Leonardo Bistolfi, Manifesto per L`Esposizione, Torino 1902. Parola

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Leonardo Bistolfi, Manifesto per L`Esposizione, Torino 1902. Parola
Leonardo Bistolfi, Manifesto per L'Esposizione, Torino 1902.
Parola d’Autore: La prima esposizione universale del XX secolo, Torino 1902
« Vorremmo che questa nostra esposizione avesse un carattere completamente nuovo, vorremmo cioè fornire ai
visitatori non lo spettacolo di un’accolta di oggetti varii di destinazione e stile, ma una serie di complessi decorativi, di
ambienti completi, rispondenti ai veri bisogni delle nostre esistenze; e vorremmo che questa mostra organica di arredi
non avesse soltanto di mira un aristocratico carattere di eleganza e di bellezza d’arte, ma anche e soprattutto un
carattere pratico e industriale. Vorremmo, in una parola, che artisti e fabbricanti non tendessero tanto alla creazione di
pregevoli oggetti di lusso, quanto allo studio di tipi di decorazione completa, adatti a tutte le case e a tutte le borse e
massime alle più umili, in modo da promuovere un reale, efficace e completo rinnovamento dell’ambiente ».
L. Bistolfi, D. Calandra, G. Ceragioli et al., Editoriale in «Arte decorativa moderna», 1. Torino, 1902.
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Nel 1902 Torino, che tre anni prima era diventata il motore industriale d’Italia con la nascita della Fiat di
Giovanni Agnelli, ospitò nel parco del Valentino e lungo il fiume Po i padiglioni dell’esposizione Internazionale
di Arte Decorativa Moderna. A promuoverla erano stati un gruppo di artisti e critici d’arte tra cui gli scultori
Leonardo Bistolfi e Davide Calandra, l’architetto Reycend, il critico Enrico Thovez. La complessa macchina
dell’Expo puntava a farsi promotrice dell’esigenza di far conoscere al grande pubblico i nuovi prodotti e le
nuove frontiere tecnologiche, per far assumere alla città e al Paese, cosa molto importante in un'epoca di forti
nazionalismi, un ruolo economico e produttivo a livello internazionale. In questa esposizione, come nelle
analoghe d'oltralpe che andavano organizzandosi in quegli anni così movimentati tra fine ‘800 e primi ‘900, si
pensava alle arti decorative come un unicum che abbracciava tanto l'oggetto di uso quotidiano quanto
l'arredamento urbano. La progettazione non riguardava più un solo ambito, ma investiva tutto l'oggetto del
produrre: in una stanza da pranzo il progettista-artigiano-artista curava i tavoli e i soffitti come le tazze e i
candelabri, in un palazzo l’architetto-progettista-artista curava il disegno dell'edificio e le ringhiere interne
delle scale, fino alle maniglie delle porte. La novità principale, ancora attuale, è che viene ufficialmente
invocato il superamento della distinzione tra ciò che è utile e ciò che è arte. Non è più vero che ciò che è utile
e pratico non possa anche essere “bello”: anche l'oggetto di uso quotidiano deve essere argomento di
interesse artistico, per educare al bello strati sempre più vasti di popolazione. E questo naturalmente poteva
essere fatto solo sensibilizzando la nascente industria a produrre per tutti (sostanzialmente per la media e
piccola borghesia) prodotti disegnati non solo per uno scopo pratico, ma anche per compiacere l'occhio.
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