CAPITOLO 2 STUDIO DELLA DIFFUSIONE MEDIANTE IMMAGINI

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CAPITOLO 2 STUDIO DELLA DIFFUSIONE MEDIANTE IMMAGINI
NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
CAPITOLO 2
STUDIO DELLA DIFFUSIONE MEDIANTE
IMMAGINI DI RISONANZA MAGNETICA
2.1 NMR e diffusione molecolare in tessuti
biologici
Con il termine diffusione si indica il moto caotico e disordinato delle molecole di un
sistema dovuto all’agitazione termica.
I
tessuti biologici possono svolgere le loro funzioni vitali all’interno di un range di
temperature che va da 273°K a 315°K : in tali condizioni la maggior parte degli elementi
biologici si presenta allo stato liquido o in soluzione acquosa. La diffusione riveste perciò
un ruolo primario nei processi di trasporto che avvengono in ambito metabolico; il
principale mezzo di trasporto in tali processi è l’acqua, che rappresenta circa il 70% in
volume dei tessuti biologici.
I tessuti, a livello microscopico, non presentano una struttura omogenea: le membrane
cellulari ed i vari organelli formano ostacoli al movimento dell’acqua e delle altre molecole
biologiche. Misure riguardanti la mobilità delle molecole d’acqua possono quindi fornire
rilevanti informazioni sulla struttura dei tessuti e sulla presenza di eventuali alterazioni
patologiche.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
2.1.1 Processo di diffusione molecolare
Le tecniche tradizionali per lo studio di processi diffusivi utilizzano un tracciante, iniettato
nella zona di interesse, di cui registrano i profili spazio-temporali di concentrazione. Per
un mezzo isotropo vale la 1a legge di Fick , in base alla quale il flusso di tracciante risulta:
J = - D ∇C
(2.1)
dove C è la concentrazione molecolare di tracciante e D il “coefficiente di diffusione”
del mezzo. Quindi è possibile determinare D a partire dal rapporto tra J e ∇C , dove
queste ultime grandezze possono essere misurate mediante opportuni metodi di natura
fisica o chimica.
Secondo il Sistema Internazionale si utilizzano le seguenti unità di misura:
J = [moli/sec · m 2 ] , ∇C = [moli/ m 4 ]
,
D = [ m 2 /sec ]
Sostituendo l’eq.(2.1) nell’equazione di conservazione della massa, data da:
∂C
=- ∇·J
∂t
(2.2)
si ottiene l’equazione di diffusione:
∂C
= ∇ · (D ∇C )
∂t
(2.3)
Nel caso in cui D sia uniforme nello spazio, il mezzo sia infinito (ossia il flusso non è
ostacolato) ed il profilo iniziale di concentrazione sia:
C(r,t) = δ(r - r0 )
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l’eq. (2.3) ha una soluzione data da:
3
⎛ 1 ⎞
⎛ - (r − r0 ) ⋅ (r − r0 ) ⎞
C(r , t) = ⎜⎜
⎟⎟ exp⎜
⎟
4Dt
⎝
⎠
⎝ 4πDt ⎠
(2.4)
Utilizzando l’equazione di diffusione e ricorrendo all’ausilio di traccianti radioattivi o
fluorescenti è possibile
perciò determinare il coefficiente di diffusione del sistema in
esame.
Si può notare, poi, che il coefficiente D definito sopra coincide con quello presente nella
relazione ricavata da Einstein:
〈 (r - r0 ) · (r - r0 ) 〉 = 6Dt
(2.5)
che esprime la varianza del processo stocastico P(r/r0,t), il quale fa riferimento alla
probabilità di trovare una molecola in una posizione r ad un istante t partendo da una
posizione iniziale r0 . La (2.5) è valida in caso di diffusione libera (senza ostacoli).
In accordo alla relazione di Einstein esiste una proporzionalità diretta tra la distanza di
diffusione (cioè il cammino medio percorso da una molecola in movimento diffusivo) ed il
tempo di percorrenza: andando a disegnare su un piano cartesiano tale relazione, la
pendenza della retta ottenuta è una misura del coefficiente di diffusione della specie in
esame.
Le tecniche che utilizzano traccianti operano in situazioni di non equilibrio e riescono
difficilmente a sondare strutture inferiori al millimetro. Per studi di diffusione a livello
microscopico si utilizzano tecniche di scattering laser o neutronico, arrivando anche a
risoluzioni dell’ordine del nanometro; tali procedure sono però molto invasive e quindi
difficilmente applicabili per studi in vivo e sull’uomo.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
2.1.2 NMR e diffusione
La tecnica NMR rappresenta l’unica metodica totalmente non invasiva che ci permetta di
eseguire studi di diffusione molecolare a livello cellulare.
Il principio su cui si basa tale procedura è quello dell’effetto IVIM (Intra Voxel Incoherent
Motion): in condizioni di equilibrio il flusso macroscopico molecolare in un mezzo diffusivo
è nullo, anche se a livello microscopico le singole molecole sono soggette ad un moto
incoerente e casuale.
In NMR è possibile implementare specifiche sequenze sensibili al moto incoerente delle
molecole, ottenendo una perdita di segnale FID nelle zone a maggior diffusione. L’idea è
quella di utilizzare un gradiente bipolare come quello di fig. 2.1 (sequenza di StejskalTanner): in pratica si tratta di una sequenza Spin-Echo cui si aggiungono due gradienti di
campo magnetico, di ampiezza G, intervallati dall’impulso a 180°. Il tempo di applicazione
di ogni gradiente è pari a δ, mentre il tempo che intercorre tra le applicazioni dei due
gradienti è ∆. I due gradienti, detti “gradienti di diffusione”, per distinguerli da gradienti
utilizzati per altre funzioni (tipo l’imaging), hanno lo scopo di marcare magneticamente gli
spin.
Figura 2.1: Sequenza di Stejskal – Tanner con i due gradienti di diffusione, G, applicati per un intervallo di
tempo pari a δ e distanziati a loro volta di un intervallo ∆.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
Il primo gradiente induce uno sfasamento φ1 della magnetizzazione trasversale che
dipende dalla posizione del singolo spin. Se il gradiente è applicato lungo l’asse z si ha:
δ
∫
φ1 = Gz 1 dt = γ G δ z1
(2.6)
0
dove z1 è la posizione dello spin , che viene supposta costante durante l’intervallo δ.
Lo sfasamento prodotto dal secondo gradiente di diffusione (applicato ancora lungo la
direzione z) è dato similmente da:
∆+ δ
φ2 =
∫ Gz
2
dt = γ G δ z 2
(2.7)
∆
dove z 2 è la posizione dello stesso spin all’istante di applicazione del secondo gradiente.
Tenendo conto che il secondo gradiente di diffusione è applicato dopo l’impulso a 180°,
che inverte la magnetizzazione trasversale , otteniamo uno sfasamento totale dato da:
δ(φ) = φ1 − φ 2 = γGδ(z1 − z 2 )
(2.8)
Per spin statici si ha z1 = z 2 e lo sfasamento prodotto dai due gradienti è nullo. Al
contrario, per gli spin in movimento si ha uno sfasamento globale diverso da zero, che
dipende dal moto molecolare durante l’intervallo ∆, ossia dai processi di diffusione nel
mezzo in esame. Possiamo anche notare come lo sfasamento ottenuto sia indipendente
dalla posizione dei due gradienti in termini temporali rispetto all’impulso a 180°.
La magnetizzazione che noi andiamo a misurare è data dalla somma dei momenti
magnetici di ogni singolo spin, ognuno con le sue caratteristiche di moto. Otteniamo perciò
la seguente relazione:
M
= ∑ exp(iδ(φ j ))
M0
j
(2.9)
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dove M 0 è la magnetizzazione di equilibrio.
Se indichiamo con P(z 2 | z1 , ∆ ) dz 2 la probabilità condizionata di trovare uno spin,
inizialmente in posizione z1 , compreso tra le posizioni z 2 e ( z 2 +d z 2 ) dopo un intervallo di
tempo ∆, otteniamo:
M
=
M0
+∞+∞
∫ ∫ exp(iγGδ(z1 − z 2 )) P(z 2 | z1 , ∆ ) dz1dz 2
(2.10)
0 0
Nel caso di diffusione libera ed unidirezionale (come quello analizzato sin qui) la
probabilità condizionata è data da:
P(z 2 | z1 , ∆ ) =
⎛ - (z − z )2 ⎞
exp⎜⎜ 1 2 ⎟⎟
4πD∆
⎝ 4D∆ ⎠
1
(2.11)
dove D è il coefficiente di diffusione.
Sostituendo la (2.11) nella (2.10) si ottiene:
(
)
(2.12)
⎛ M ⎞
⎟⎟ = −(γGδ )2 D∆
ln⎜⎜
M
⎝ 0⎠
(2.13)
M
2
= exp - (γGδ ) D∆
M0
o, in forma logaritmica:
in cui si ottiene una relazione diretta tra il coefficiente di diffusione (detto anche
“diffusività”) ed il logaritmo naturale dell’attenuazione pesata di segnale.
La (2.13) rappresenta la relazione base per misure di diffusione utilizzanti tecniche NMR.
Nella pratica si utilizza un certo numero di sequenze di Stejskal-Tanner, ognuna con una
sua coppia di valori di G e δ, ricavando per ogni sequenza applicata il valore logaritmico
dell’attenuazione pesata di segnale; su un piano cartesiano si riporta la retta di
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
interpolazione per ln(M/M0) in funzione di (Gδ ) e la pendenza di tale retta è proprio una
2
misura di D.
Rimangono a questo punto due problemi derivanti da alcune ipotesi semplificative fatte in
precedenza. Per prima cosa si è supposto che δ<<∆ e che quindi i processi diffusivi
durante l’applicazione dei due gradienti di diffusione fossero trascurabili: nella pratica ciò
non è vero, in quanto molto spesso nelle indagini MRI si hanno a disposizione gradienti
di ampiezza piccola, che richiedono una certa durata in modo da poter avere misure
consistenti di diffusione.
Inoltre dobbiamo tener conto dell’effetto provocato da altri gradienti (ad esempio quelli
necessari per l’imaging) presenti in ogni indagine.
2.1.3 Equazione di Bloch per mezzi diffusivi
Per una trattazione completa dei processi di diffusione e dei loro effetti in MRI è
necessario far ricorso all’equazione di Bloch per mezzi diffusivi, data da:
⎛ 1
⎜
⎜ T2
⎜
∂M
= γM Λ B − ⎜ 0
∂t
⎜
⎜ 0
⎜
⎝
0
1
T2
0
⎞
0⎟
⎛ ⎞
⎟
⎜0⎟
⎟
⎜ ⎟
0 ⎟M + M 0 ⎜ 0 ⎟ + ∇ ·(D ∇ M)
⎟
⎜1⎟
1⎟
⎜T ⎟
⎝ 1⎠
⎟
T1 ⎠
(2.14)
dove D è il tensore di diffusione, M la magnetizzazione misurata, M 0 la magnetizzazione
di equilibrio, T1 e T2 i tempi di rilassamento longitudinale e trasversale, B il campo
magnetico totale prodotto dal campo statico e dall’insieme dei gradienti G, di imaging e
diffusione, applicati. La soluzione generale di tale equazione è la seguente:
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
⎛ t
T
M (t ) = M (t ) exp ⎜ − k (u ) D k (u ) du
⎜
⎝ 0
*
∫
⎞
⎟
⎟
⎠
(2.15)
dove M * (t ) rappresenta la magnetizzazione in assenza di processi diffusivi e k(t) è dato
da:
t
k (t ) = γ ∫ G (t') dt'
(2.16)
0
dove tutti i gradienti applicati dopo un eventuale impulso a 180° si intendono cambiati di
segno.
In una generica sequenza in campo MRI
si utilizzano opportune configurazioni per i
gradienti di imaging in modo da rendere k(t) il più possibile vicino a zero, così da poter
trascurare eventuali effetti provocati da processi diffusivi. L’idea è quella di applicare
gradienti di media intensità per brevi intervalli di tempo; inoltre lo sfasamento prodotto da
ciascun gradiente è compensato applicando un secondo gradiente di pari intensità avente
polarità opposta. Operando in tal modo si riesce a rendere l’attenuazione di segnale
dovuta a processi diffusivi inferiore al 2%.
In campo DWI (Diffusion Weighted Imaging), oltre ai gradienti di imaging, si utilizzano
gradienti bipolari di notevole intensità ed aventi periodi di applicazione sufficienti a
realizzare un adeguato sfasamento degli spin. La sequenza base utilizzata in tali tecniche
è quella di Stejskal-Tanner con l’aggiunta dei gradienti di imaging:
47
NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
Figura 2.2: Sequenza Spin - Echo accoppiata con una sequenza di Stejskal - Tanner pesata in diffusione
lungo l’asse di codifica in frequenza.
Tornando alla formula (2.15), per un mezzo isotropo il tensore di diffusione è una matrice
diagonale con gli elementi sulla diagonale uguali fra loro e coincidenti con il coefficiente di
diffusione. In tal caso, supponendo anche di utilizzare una sequenza come quella in
fig. 2.2, abbiamo una soluzione semplificata, data da:
M (TE )
= exp(- bD )
M0
(2.17)
dove M(TE) è la magnetizzazione trasversale misurata al tempo di eco, M 0 è la
magnetizzazione trasversale al tempo t = 0 + subito dopo l’applicazione dell’impulso a 90°,
mentre il termine b è dato da:
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TE
b = ∫ k (t') ⋅ k (t') dt'
(2.18)
0
e viene detto “b value” o “b factor”.
Risolvendo tale espressione per la sequenza in esame otteniamo:
b = ( γGδ) 2 (∆ - δ/3)
(2.19)
Per δ<<∆ la (2.17) coincide con la (2.12).
La sequenza di Stejskal-Tanner va bene fino a che non si ha a che fare con mezzi diffusivi
aventi un tempo di rilassamento trasversale T2 molto piccolo: in tal caso avremmo
bisogno di tempi TE molto piccoli, che però porterebbero ad avere un’attenuazione di
segnale non sufficientemente consistente. In tali casi si fa ricorso ad una sequenza di
indagine come la seguente, detta “Stimulated Echo Sequence”:
Figura 2.3: Stimulated Echo Sequence
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
In questo caso alla fine del secondo impulso a 90° metà della magnetizzazione
trasversale
viene
trasposta
come
magnetizzazione
longitudinale,
che
avrà
un’attenuazione dipendente da T1 , che nei tessuti biologici è maggiore di T2 di qualche
ordine di grandezza. Viene così risolto il problema del basso valore di T2 , anche se viene
introdotta una riduzione di segnale di un fattore 1/2 non dovuta ai processi diffusivi.
Nella pratica, comunque, in campo DWI si opererà utilizzando la sequenza di StejskalTanner e tecniche di acquisizione veloce dell’immagine.
2.1.4 Diffusione anisotropa
La diffusione è un processo tridimensionale ed inoltre la mobilità molecolare non può
essere la stessa in ogni direzione. Questa anisotropia può essere dovuta a vari fattori, tra
cui la presenza di ostacoli e la configurazione strutturale del mezzo.
In mezzi anisotropi la relazione (2.17) è sostituita dalla seguente:
⎞
⎛ 3 3
M(TE )
b ij D ij ⎟
= exp⎜ ⎟
⎜ i =1 j =1
M0
⎠
⎝
∑∑
(2.20)
dove i D ij sono gli elementi del tensore di diffusione e b ij , dato da:
TE
b ij = ∫ k i (t') k j (t') dt'
(2.21)
0
rappresenta l’elemento generico della matrice b , detta “b-matrix”.
Gli elementi diagonali del tensore di diffusione rappresentano le correlazioni del
movimento degli spin molecolari lungo una stessa direzione, mentre gli elementi non
diagonali fanno riferimento alle correlazioni lungo direzioni ortogonali. Gli elementi b ij
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
dipendono dalla particolare sequenza utilizzata e sono quindi funzione dei gradienti di
diffusione e di quelli di imaging.
2.1.5 Diffusione nei sistemi biologici
I tessuti biologici differiscono in modo sostanziale da un mezzo infinito ed omogeneo,
come abbiamo considerato fino ad ora. I vari tessuti, infatti, presentano una struttura
eterogenea e sono suddivisi in molteplici compartimenti (microstrutture); inoltre, tenendo
conto della permeabilità delle barriere che separano i singoli compartimenti, dobbiamo
anche prendere in esame possibili fenomeni di scambio e di trasporto. In tale ottica un
trattamento del segnale NMR come in precedenza non rifletterebbe propriamente la
struttura e le proprietà del tessuto, ed una misura del coefficiente di diffusione potrebbe
risultare priva di significato, a meno che non siano specificate la scala temporale (∆), la
direzione e l’intensità dei gradienti di diffusione applicati.
La diffusione viene detta “ristretta” se il mezzo possiede barriere che non sono
attraversabili dalle molecole in movimento: tali barriere si comportano perciò come ostacoli
impermeabili. Nel caso in cui si considerino tempi di diffusione brevi, la maggior parte delle
molecole non riesce a raggiungere le barriere e la diffusione può essere considerata
libera. All’aumentare del tempo di diffusione, invece, gran parte delle molecole in moto
andrà a colpire tali barriere e la misura dei coefficienti di diffusione risulta da ciò
condizionata. Il cammino libero medio in una direzione, calcolato mediante la formula di
Einstein per la diffusione libera, è dato da:
〈 z 2 〉 = 2DTd
(2.22)
dove Td è il tempo di diffusione.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
In caso di diffusione libera il cammino libero medio, detto anche “distanza di diffusione”, è
proporzionale a
Td ; in presenza di diffusione ristretta, invece, esso tende ad un valore
asintotico dell’ordine delle dimensioni caratteristiche del particolare compartimento. Questi
effetti dipendono, oltre che dal tipo di barriera, anche dalla forma (sferica, cilindrica,..)
della barriera stessa e dal tipo di gradienti (costanti, pulsati,..) utilizzati nell’indagine
sperimentale. In linea teorica, quindi, si potrebbero sfruttare misure di diffusione
per
ottenere informazioni sulla struttura dei tessuti e per risalire alle dimensioni dei
compartimenti.
Figura 2.4: Diffusione libera e diffusione ristretta in un mezzo biologico. Nel primo caso λ è proporzionale a
Td , mentre nel secondo λ tende ad un valore asintotico con l’aumentare del periodo di diffusione.
In condizioni di diffusione ristretta con barriere impermeabili i coefficienti di diffusione
risultano inferiori a quelli che si hanno in caso di diffusione libera ed inoltre diminuiscono
all’aumentare del tempo di diffusione secondo la formula:
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
D(Td ) =
ζ2
2Td
(2.23)
dove ζ è un parametro che rappresenta il valore della dimensione caratteristica del
compartimento in esame.
In un’indagine DWI, come già accennato, per evitare la comparsa di processi legati alla
diffusione ristretta è opportuno ridurre il tempo di diffusione Td (∆ ) in modo tale da rendere
la distanza di diffusione inferiore alla dimensione caratteristica del compartimento in
esame. Il problema a cui si va incontro, però, riguarda la diminuzione dell’attenuazione
dovuta a processi diffusivi. Per tentare di risolvere anche quest’ultima cosa si può pensare
di far ricorso a più coppie di gradienti bipolari di diffusione: in questo modo, se da una
parte il b factor subisce una diminuzione a causa del ridotto valore di ∆, dall’altra aumenta
per la presenza di più coppie di gradienti bipolari.
Figura 2.5: Sequenza di Stejskal – Tanner con un treno di gradienti alternati.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
Lo svantaggio di questa procedura di indagine è che, comunque, si ha a che fare
globalmente con un b factor
n volte più piccolo di quello ottenuto utilizzando un solo
paio di gradienti di diffusione bipolari (sequenza di Stejskal-Tanner), dove n è il numero di
coppie di gradienti utilizzate.
Nei tessuti biologici la diffusione può essere, oltre che “ristretta”, anche “ostacolata”.
Data la presenza di ostacoli quali fibre, macromolecole ed organelli, le molecole che
diffondono percorrono sempre un cammino maggiore dell’effettivo spostamento: le
molecole non possono, infatti, diffondere in linea retta, ma intorno alle strutture per loro
impermeabili. Tutto questo si traduce in un maggior tempo di diffusione per diffondere da
una regione ad un’altra. Il coefficiente di diffusione in caso di diffusione ostacolata può
essere espresso come:
D=
D free
(2.24)
ζ2
dove D free è il coefficiente di diffusione in assenza di ostacoli e ζ è un coefficiente di
tortuosità.
Figura 2.6: Diffusione ristretta (compartimento in alto) e diffusione ostacolata. Le varie strutture all’interno
dei tessuti impediscono alle molecole di seguire un percorso rettilineo da A a B, costringendole ad
effettuare un cammino tortuoso.
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NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
Un altro tipo di diffusione è quello che si ha in presenza di barriere parzialmente
permeabili alle molecole in movimento. In tal caso il coefficiente di diffusione decresce
all’aumentare del tempo di diffusione, come per la diffusione ristretta, ma al contrario di
essa raggiunge un valore asintotico dato da:
D asymp =
D0
(1 - D 0 ka )
(2.25)
dove D 0 è il coefficiente di diffusione libera, k la costante di permeabilità della barriera ed
a un parametro funzione della forma e delle dimensioni del compartimento in esame.
In molti tessuti biologici la diffusione è un processo tridimensionale e, in genere,
anisotropa. L’anisotropia può essere dovuta alla presenza di strutture direzionali od
ostacoli che limitano la diffusione. Sono inoltre possibili casi di diffusione anisotropa e non
ristretta o viceversa. Tessuti che sono caratterizzati da fenomeni di diffusione anisotropa
sono la sostanza bianca, il rene, i muscoli scheletrici ed i muscoli cardiaci.
2.1.6 Coefficiente di diffusione apparente (ADC)
Considerando la presenza di fenomeni di diffusione ristretta, ostacolata ed anisotropa,
misure di diffusione nei tessuti biologici possono dipendere dalle relative procedure
sperimentali e sono significative soltanto se correlate ad esse. Poiché, inoltre, i tessuti si
presentano come strutture molto eterogenee, non sono possibili misure di diffusione
locale, se non una determinazione dei valori medi all’interno della zona di interesse. Dopo
aver precisato questa limitazione, è preferibile non parlare di diffusione assoluta ed
utilizzare il termine “coefficiente di diffusione apparente (ADC)”. In MRI non è possibile
risalire ai valori di ADC per zone di interesse di dimensioni inferiori a quelle del voxel.
All’interno di un voxel sono presenti più microstrutture e compartimenti, basti pensare alle
regioni intracellulare ed extracellulare. Nell’ipotesi che i tempi di diffusione siano piccoli da
55
NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
poter trascurare i fenomeni di scambio tra i vari compartimenti e considerare una
diffusione non ristretta in ognuno di essi, l’attenuazione del segnale misurato è data da:
M
= ∑ p i exp(- bD i )
M0
i
(2.26)
dove D i e pi sono rispettivamente il coefficiente di diffusione e la frazione di molecole che
diffondono nell’i-esimo compartimento.
In questo caso il coefficiente di diffusione apparente che andiamo a misurare è funzione di
b: misure con bassi valori di b sono più sensibili alle componenti a rapida diffusione.
L’approccio ideale sarebbe quello di separare i vari sottocompartimenti eseguendo un fit
multi-esponenziale: sfortunatamente i valori di D i sono spesso non elevati e non molto
differenti l’uno
dall’altro. La procedura richiederebbe quindi grandi valori di b ed alti
rapporti segnale-rumore; inoltre dovrebbero essere tenuti in considerazione anche effetti
di rilassamento se i vari compartimenti avessero tempi di rilassamento diversi. La
situazione cambia se si aumenta il tempo di diffusione: la diffusione inizia ad essere
ristretta nei compartimenti più piccoli e possono non essere più trascurabili fenomeni di
scambio molecolare fra compartimenti comunicanti. Applicando il teorema del limite
centrale su di una distribuzione statistica di compartimenti per lunghi tempi di diffusione è
possibile giustificare l’utilizzo di un unico coefficiente di diffusione apparente, dato da:
ADC =
∑p D
i
(2.27)
i
i
Un’analisi delle varie curve di attenuazione registrate con differenti tempi di diffusione
consentirebbe di ricavare un’accurata descrizione della microstruttura del mezzo in
esame: nella pratica, comunque, studi con tempi di diffusione molto piccoli sono
sperimentalmente molto difficili da realizzare, in quanto in tali casi avremmo bisogno di
intensi gradienti di diffusione, che non sono facilmente ottenibili.
Quando si parla di diffusione molecolare in tessuti biologici ci si riferisce sempre
indirettamente alla diffusione protonica o dell’acqua: i compartimenti all’interno dei tessuti
sono totalmente o parzialmente permeabili all’acqua. Valori medi di ADC delle molecole
d’acqua in tessuti biologici
56
NMR e diffusione molecolare in tessuti biologici
alla temperatura corporea sono dell’ordine di 1 mm 2 sec : tale valore è circa un terzo di
quello del coefficiente di diffusione in acqua libera, così da confermare gli effetti della
diffusione ristretta, ostacolata ed anisotropa. Dall’eq. (2.5) si ricava quindi che le molecole
d’acqua compiono un cammino medio di 5 µm in circa 4 ms: stimando le dimensioni
cellulari pari a poche decine di µm allora il confine fra tempi di diffusione brevi e lunghi può
essere posto intorno a 5 ms.
Una maggiore specificità dei vari compartimenti sarebbe possibile con studi di diffusione di
macromolecole come metaboliti del fluoro o del fosforo; il limite di un tale approccio è
rappresentato dalla bassa concentrazione di tali metaboliti e, quindi, dai deboli segnali
misurabili.
57
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
2.2
Immagini pesate in diffusione (DWI) e
mappe ADC
L’ MRI rappresenta di per sé una tecnica d’indagine multi-parametrica, in quanto il
contrasto delle immagini ottenute è governato da una serie di parametri intrinseci
( T1 , T2 , T2* , densità protonica e processi diffusivi). Esiste quindi la possibilità di regolare
maggiormente tale contrasto in funzione di uno o più di tali parametri. Le tecniche DWI
fanno appunto riferimento ad immagini maggiormente pesate in diffusione: quest’ultimo
parametro permette di fornire informazioni complementari a quelle derivanti da indagini
MRI convenzionali (immagini pesate in T1 o T2 ) ed inoltre rappresenta un parametro
fisico assoluto, essendo indipendente dal valore di B 0 e da eventuali disomogeneità di
campo magnetico applicato.
Tutto questo giustifica i numerosi sforzi effettuati in campo clinico per mettere a punto
efficienti tecniche MRI basate su studi di processi diffusivi.
2.2.1
Utilizzo di sequenze ultraveloci: problemi e possibili
soluzioni
Per la realizzazione di immagini DWI è necessario mettere a punto una sequenza di
Stejskal - Tanner che vada ad aggiungersi alla convenzionale sequenza MRI. Operando
in tal modo l’immagine risultante è sensibile non solo ai moti microscopici di diffusione
molecolare nella zona di indagine, ma anche ad altri movimenti fisiologici come il ciclo
cardiaco ed il flusso cerebro-spinale. Ne segue che non solo il paziente dovrebbe essere
praticamente immobilizzato, ma l’intero complesso hardware utilizzato richiederebbe la
massima stabilità in modo da evitare che l’immagine sia contraffatta da artefatti causati
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Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
da tali movimenti, che, distribuiti lungo la direzione del gradiente di fase, renderebbero
problematica la normale visualizzazione di immagini DWI.
Questi tipi di problemi possono essere completamente evitati mediante l’utilizzo di
sequenze ultraveloci (vedi cap. 1.1.3) e di un hardware un po’ più sofisticato. Quest’ultimo
è costituito da gradient coils1
schermate e fornite di guide per le alte correnti di
dispersione, oppure da gradient coils di piccolo diametro. Tali correnti, situate nelle
strutture conducenti circostanti e causate da disomogeneità di campo magnetico,
possono seriamente compromettere l’interpretabilità dell’immagine: infatti correnti
parassite con piccole costanti di tempo vanno a contrastare l’efficacia di qualsiasi tipo di
sequenza ultrarapida.
Ciò che ci spinge ad utilizzare queste sequenze è il grande vantaggio che risulta
dall’acquisizione di oltre 10 immagini complete al secondo e dalla grande accuratezza
con cui è possibile ricavare da esse le mappe ADC. Con una convenzionale sequenza
EPI ogni immagine è acquisita in un periodo di 25-100 ms : conseguentemente si dovrà
avere un valore di slew rate per i gradienti di diffusione molto alto (tipicamente 120-150
T/m/s) ed un periodo di switching relativo molto piccolo (valori inferiori a 0.4 ms).
L’utilizzo di sequenze ultraveloci implica anche che il tempo δ
di applicazione dei
gradienti di diffusione non sia superiore a 40-50 ms. Da ciò deduciamo che, per ottenere
valori di bvalue elevati e consistenti attenuazioni di segnale anche nelle zone a bassa
diffusività, sono necessari gradienti di diffusione di notevole intensità.
Il tomografo in dotazione è un Signa Horizon GE 1,5 T a magnete superconduttore : i
gradienti disponibili hanno un’ampiezza massima di 25 mT/m ed uno slew rate massimo
di 120 T/m/s.
1
Opportune bobine per la generazione dei gradienti di campo magnetico.
59
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
2.2.2
Sequenza EPI utilizzata in studi di diffusione
La sequenza utilizzata per studi di diffusione cerebrale è una classica sequenza EPI
Spin-Echo a cui è stato aggiunto un gradiente bipolare di diffusione come quello che si
ritrova in una tipica sequenza di Stejskal-Tanner.
Lo schema base di tale sequenza è il seguente:
TE/2
TE/2
RF
90°
180°
G
Gx
G
δ
∆
Gy
Gz
TR
Figura 2.7: Sequenza EPI pesata in diffusione.
60
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
La pesatura in diffusione può essere effettuata lungo una direzione qualsiasi con bvalue
compresi tra 0 e 3000 sec/mm2. Il valore di b è impostato secondo la relazione già vista
nel paragrafo precedente:
b = (γGδ ) (∆ − δ / 3)
2
Ad
un valore di
b
(2.28)
fissato è possibile utilizzare gradienti di diffusione di intensità
compresa tra 0 ed il valore massimo disponibile di 25 mT/m: ciò consente, a parità di b, di
ottenere sequenze aventi tempi di applicazione dei gradienti (δ) e tempi di diffusione (∆)
differenti.
2.2.3
Esempi di immagini di diffusione (DWI)
Utilizzando la sequenza vista sopra si ottengono quindi immagini DWI relative al
parenchima cerebrale.
Anatomica ( b = 0 sec/mm2 )
Figura 2.8: Immagine anatomica (b=0). (TR = 6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 , spessore
slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione).
61
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
L’immagine precedente fa riferimento ad un’unica slice di acquisizione di uno stesso
paziente. La parte centrale molto luminosa rappresenta il liquor, mentre il contorno è
formato da sostanza grigia e sostanza bianca. Scelta una direzione di applicazione dei
gradienti di diffusione, vediamo le immagini DWI relative a tale slice ottenute per alcuni
valori di b-value.
b = 500 sec/mm2
b = 2000 sec/mm2
b = 1000 sec/mm2
b = 1500 sec/mm2
b = 2500 sec/mm2
b = 3000 sec/mm2
Figura 2.9: Immagini pesate in diffusione lungo una direzione 1 a vari bvalue. (TR = 6000 ms , FOV
=24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione ,
Gd=20 mT/m).
In DWI le zone in cui si ha una prevalenza di moti diffusivi appaiono ipointense, mentre le
zone a minor diffusione risultano iperintense (§ 2.1, eq. 2.17). Tutto questo trova
conferma nella notevole ipointensità del liquor, dove siamo in presenza di diffusione
libera. La sostanza grigia appare anch’essa ipointensa, seppur in modo molto meno
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Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
marcato: ciò è dovuto alla presenza di barriere cellulari che ostacolano i moti diffusivi in
tale ambiente. Nella sostanza bianca abbiamo fasci di fibre che risultano ipointensi o
iperintensi a seconda della direzione di applicazione dei gradienti di diffusione: se essa è
parallela ai fasci questi ultimi appariranno ipointensi in DWI, il viceversa vale se tale
direzione di applicazione è ortogonale ai fasci. Infatti il rivestimento mielinico dei fasci di
sostanza bianca rende molto più ristretti i moti molecolari in direzione perpendicolare al
fascio stesso, con l’aggiunta della presenza di numerosi ostacoli conseguenti alla
struttura fortemente direzionale dei fasci.
Queste ultime cose risultano evidenti se proviamo a cambiare la direzione di applicazione
dei gradienti di diffusione, notando che per direzioni che si avvicinano a quelle dei fasci
questi ultimi risulteranno meno intensi.
b = 500 sec/mm2
b = 1000 sec/mm2
b = 1500 sec/mm2
b = 2000 sec/mm2
b = 2500 sec/mm2
b = 3000 sec/mm2
Figura 2.10: Immagini pesate in diffusione lungo una direzione 2 a vari bvalue. (TR = 6000 ms , FOV
=24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione ,
Gd=20 mT/m).
63
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
b = 500 sec/mm2
b = 1000 sec/mm2
b = 2000 sec/mm2
b = 2500 sec/mm2
b = 1500 sec/mm2
b = 3000 sec/mm2
Figura 2.11: Immagini pesate in diffusione lungo una direzione 3 a vari bvalue. (TR =6000 ms , FOV
=24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione ,
Gd=20 mT/m).
Come già detto sopra, tramite immagini DWI è possibile studiare l’andamento dei fasci di
fibre di sostanza bianca: il metodo prevede di confrontare immagini di una stessa slice
acquisite con lo stesso b-value lungo direzioni diverse. Il problema rimane nella scelta del
valore di b-value ideale per il confronto: immagini ad alti valori di b (da 2000 sec/mm2 in
poi) consentono un’ottima pesatura in diffusione di tutte le strutture del parenchima
cerebrale e quindi anche del percorso dei grandi fasci di fibre di sostanza bianca. Come
svantaggio, però, immagini ad alti valori di b risultano molto più rumorose. In genere,
quindi, si utilizzano valori di b intermedi (1000-1500 sec/mm2).
64
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
direzione 1
direzione 2
direzione 3
Figura 2.12: Immagini pesate in diffusione a bvalue=1000 sec/mm2 lungo 3 direzioni di acquisizione
differenti. (TR=6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1
mm , 24 slice,
1 acquisizione , Gd=20 mT/m).
direzione 1
direzione 2
direzione 3
Figura 2.13: Immagini pesate in diffusione a bvalue=1500 sec/mm2 lungo 3 direzioni di acquisizione
differenti. (TR=6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1
mm , 24 slice,
1 acquisizione , Gd=20 mT/m).
E’ importante sottolineare come mediante immagini pesate in diffusione sia possibile
evidenziare alcune patologie in fase acuta (periodo di insorgenza di 6-48 ore) o iperacuta
(periodo di insorgenza di 0-6 ore), ciò che era improponibile utilizzando tecniche
tradizionali come la TAC o la MRI pesata in T1 o T2.
Una diagnosi precoce di un’ischemia cerebrale, ad esempio, è fondamentale per
l’applicazione di una corretta terapia e per aumentare le possibilità di recupero del
paziente. L’elevata sensibilità in DWI in tale campo è dovuta all’alterazione dei processi
diffusivi molecolari durante l’evoluzione temporale del fenomeno ischemico. In seguito al
65
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
mancato afflusso di sangue nella regione anatomica colpita, il ridotto apporto energetico e
di ossigeno va ad interrompere il normale funzionamento della pompa sodio-potassio: da
ciò segue la comparsa dell’edema citotossico e le cellule si rigonfiano di acqua a scapito
del liquido interstiziale. L’effetto prodotto è una riduzione dei coefficienti ADC nella zona
ischemica: la diffusione intracellulare, infatti, è più ristretta ed ostacolata dal rigonfiamento
della cellula. Tutto questo spiega anche le iperintensità in DWI della regione colpita da
ischemia in fase iperacuta. A partire dalla fase acuta si ha lo sviluppo dell’edema
vasogenico, con conseguente aumento del liquido extracellulare e la possibilità di rivelare
la patologia anche in MRI. Nella fase subacuta (periodo di insorgenza di 3-10 giorni) e
cronica (periodo di insorgenza superiore a 10 giorni) si ha un ulteriore sviluppo
dell’edema vasogenico e la conseguente necrosi cellulare, con relativo disgregamento
delle membrane cellulari. I valori di ADC tendono, perciò, a risalire a livelli normali, per poi
stabilizzarsi definitivamente (nella fase cronica) a valori vicini a quelli dell’acqua libera: in
quest’ultima fase la lesione appare ipointensa in DWI ed iperintensa in MRI. Vista la
differente mobilità molecolare in fase acuta e cronica, le immagini ottenute in DWI
permettono di discriminare lesioni ischemiche recenti da altre più datate.
Allo stesso modo immagini pesate in diffusione consentono di avere informazioni migliori
di quelle ottenute in MRI riguardo a traumi cranici in fase acuta o subacuta (si riescono a
rivelare meglio lesioni di minore entità), tumori (si riescono a distinguere, in caso di lesioni
neoplastiche, le componenti cistiche e/o necrotiche da quelle solide), sclerosi multipla (si
riescono ad evidenziare aspetti particolari della malattia), processi di mielinizzazione (è
possibile una diagnosi differenziale tra malattia di Pelizaeus-Merzbacher, malattia di
Krabbe e malattia di Alexander).
Come esempio vediamo la seguente figura:
66
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
Anatomiche
b = 1000
sec/mm2
Figura 2.14: Immagini anatomiche (pesate in T2) e corrispondenti immagini DWI a bvalue = 1000 sec/mm2
di un paziente affetto da lesione ischemica acuta. (TR =6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 ,
spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione , Gd=20 mT/m).
Come spiegato sopra la lesione ischemica (presente nella parte destra dell’immagine)
appare iperintensa e chiaramente visibile in DWI, mentre nelle immagini anatomiche è
molto meno demarcata.
2.2.4
Mappe ADC
Le immagini DWI rappresentano un utile mezzo per l’analisi e lo studio dei processi di
diffusione cerebrale. In particolare, immagini DWI come quelle viste in precedenza
consentono di ottenere informazioni di tipo qualitativo in applicazioni morfo-funzionali
(localizzazione di distorsioni, malformazioni, degenerazioni, ...) o cliniche (lesioni
vascolari, tumori, patologie infettive o infiammatorie, ...).
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Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
I limiti di tali indagini è quello di non permettere analisi di tipo quantitativo. In DWI, inoltre,
risulta ineliminabile una pur minima pesatura in T2 intrinseca nella metodica.
Su questa base è stata messa a punto una procedura per la realizzazione di mappe ADC
del parenchima cerebrale, nelle quali ad ogni pixel dell’immagine è associato il
coefficiente ADC del corrispondente voxel della slice di acquisizione. Le informazioni
ottenute mediante queste mappe consentono di classificare le varie strutture cerebrali ed
eventuali lesioni in funzione del relativo valore di ADC: mediante l’evoluzione temporale di
quest’ultimo si può inoltre seguire l’evoluzione temporale di possibili patologie.
La realizzazione di mappe ADC prevede l’acquisizione di una serie di immagini di
diffusione ed una loro successiva elaborazione software.
Sappiamo che in DWI vale la seguente relazione:
S(b ) = S(0 ) exp(− b ⋅ ADC)
(2.29)
dove b è il valore di bvalue di pesatura e S(0) il segnale per b = 0. Acquisendo immagini
DWI lungo una stessa direzione con due diversi valori di bvalue ( b1 , b 2 ) si ottiene
(risolvendo un semplice sistema):
ADC =
⎛ S(b1 ) ⎞
1
⎟
ln⎜⎜
b 2 − b1 ⎝ S(b 2 ) ⎟⎠
(2.30)
Mediante tale relazione è quindi possibile ottenere il valore di ADC per ogni voxel grazie
all’acquisizione di due sole immagini DWI caratterizzate da due diversi valori di bvalue.
In genere le immagini DWI vengono acquisite mediante la sequenza vista nel paragrafo
(2.2.2) e si sceglie b1 = 0 sec/mm2, mentre b 2 rappresenta il valore di bvalue a cui
vengono realizzate le mappe ADC. Le immagini DWI sono successivamente elaborate e
visualizzate mediante il pacchetto software DPtools.
Chiaramente, a differenza delle immagini DWI delle stesse slices dello stesso oggetto, in
una mappa ADC le zone a maggior diffusione risultano iperintense, mentre le zone a
bassa diffusione appaiono ipointense. Le mappe ottenute per grandi valori di bvalue (da
2000 sec/mm2 in poi) sono molto più rumorose di quelle a bvalue inferiori: ciò è in
relazione al basso rapporto segnale-rumore delle immagini pesate in diffusione a bvalue
68
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
maggiori di 2000 sec/mm2. In questi casi, per migliorare il valore di tale rapporto, si ricorre
ad un numero maggiore di acquisizioni. Per valori di bvalue pari a 500 sec/mm2 il valore
del rapporto segnale-rumore è abbastanza alto, ma le strutture anatomiche risultano
morfologicamente non
ben definite: quest’ultimo aspetto ha origine dalla non
considerevole pesatura in diffusione a bvalue uguale a 500 sec/mm2 .
Vediamo adesso alcuni esempi di mappe ADC.
Nel primo caso le immagini DWI vengono acquisite lungo 6 direzioni spaziali, nel secondo
lungo 25 direzioni e su un paziente diverso. Nel prossimo capitolo vedremo il significato di
questi parametri: per adesso è sufficiente sapere che per avere un’informazione spaziale
consistente riguardo alla diffusione per ogni singolo voxel è necessario acquisire dati
relativi ad almeno 6 direzioni . Tutte le mappe che seguono sono calcolate per bvalue
uguale a 1000 sec/mm2.
Anatomica
ADC (X)
ADC (Y)
ADC (Z)
Figura 2.15: Mappe ADC lungo le direzioni dei tre assi del sistema di riferimento del laboratorio. Le
immagini si riferiscono ad un’unica slice di uno stesso paziente. (TR = 6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice
128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 24 slice , 1 acquisizione , 6 direzioni di
acquisizione , Gd=20 mT/m).
69
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
Nella figura 2.15 le mappe ADC si riferiscono alle 3 direzioni lungo gli assi del sistema di
riferimento fisso del laboratorio. Nella figura seguente vedremo il tutto applicato nel caso
di acquisizione lungo 25 direzioni.
Anatomica
ADC (X)
ADC (Y)
ADC (Z)
Figura 2.16: Mappe ADC lungo le direzioni dei tre assi del sistema di riferimento del laboratorio. Le
immagini si riferiscono ad un’unica slice di uno stesso paziente. (TR = 6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice
128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1 mm , 9 slice , 1 acquisizione , 25 direzioni di
acquisizione , Gd=20 mT/m).
Vediamo adesso un confronto diretto tra mappe ADC ed immagini pesate in diffusione in
entrambi i casi (6 e 25 direzioni di acquisizioni).
70
Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
DWI (b =1000 sec/mm2)
ADC (X)
ADC (Y)
ADC (Z)
Figura 2.17: Immagine pesata in diffusione e mappe ADC. Le immagini si riferiscono ad un’unica slice di uno
stesso paziente. (TR = 6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice 1
mm , 24 slice , 1 acquisizione , 6 direzioni di acquisizione , Gd=20 mT/m).
DWI (b = 1000 sec/mm2)
ADC (X)
ADC (Y)
ADC (Z)
Figura 2.18: Immagine pesata in diffusione e mappe ADC. Le immagini si riferiscono ad un’unica slice di uno
stesso paziente. (TR = 6000 ms , FOV =24x24 cm , matrice 128x128 , spessore slice 4 mm , spaziatura tra slice
1 mm , 9 slice , 1 acquisizione , 25 direzioni di acquisizione , Gd=20 mT/m).
Qualitativamente le mappe ADC risultano il “negativo” delle immagini DWI ; a differenza
di queste ultime, però, non risultano influenzate dalla pesatura in T2 e forniscono,
mediante un parametro fisico, un’informazione quantitativa sui processi di diffusione
molecolare.
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Immagini pesate in diffusione (DWI) e mappe ADC
Sfruttando questa informazione quantitativa contenuta nelle mappe ADC si è cercato di
dare una classificazione delle principali strutture del parenchima cerebrale in funzione del
corrispettivo coefficiente di diffusione apparente. In soggetti non patologici i valori
massimi di ADC si ritrovano nel liquor e nel CSF (intorno a 3 x 10-3 mm2/sec), mentre i
valori minimi sono quelli corrispondenti alle strutture ossee. La materia grigia presenta
valori di ADC intorno a 0,9 x 10-3 mm2/sec, mentre per la materia bianca occorre
distinguere tra le situazioni in cui il gradiente di diffusione è applicato in direzione
parallela o ortogonale alle fibre. Nel primo caso la mobilità molecolare è almeno il doppio
che nell’altro, a causa dell’effetto della diffusione ristretta ed ostacolata in direzione
perpendicolare ai fasci di fibre. Come valori medi di ADC in soggetti non patologici
troviamo 1,2 x 10-3 mm2/sec nel primo caso e 0,5 x 10-3 mm2/sec nel secondo.
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