Untitled - Marco Barberini

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Untitled - Marco Barberini
Indice:
Introduzione
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L'onda (La sinusoide del nostro segnale)
3
Adsr
4
I cavi
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Tipo di connettori
7
Gli alimentatori
9
L'amplificatore
11
Le valvole
15
I trasduttori elettroacustici
16
Il compressore
18
Partiture degli esempi audio del capitolo "La Compressione"
21
La distorsione
24
I Booster
25
Overdrive e distorsore
26
Il Fuzz
28
Storia sulla distorsione
29
Partiture degli esempi audio del capitolo "La Distorsione"
31
L'equalizzatore
41
Il pedale del volume
43
L'effect loop
44
Seriale e parallelo
45
Switching sistem
47
Il phaser
49
Il chorus
50
Il flanger
51
Il leslie
52
Il tremolo
54
Partiture degli esempi audio del capitolo "Effetti di modulazione"
57
Unità di ritardo
61
Esempi di programmazione del Delay
62
Storia del delay
63
Partiture degli esempi audio del capitolo “Effetti di ritardo”
64
1
INTRODUZIONE
La natura del suono: Ha un'origine di tipo ondulatorio e in particolar modo costituito da onde
meccaniche che trasportano energia lontano da una fonte sonora. Quest’ultima costituita da un corpo che
vibrando produce un segnale che propagandosi in tutte le direzioni nell'ambiente circostante mette in
vibrazione tutti gli oggetti che si trovano sulla sua traiettoria (pensiamo alle onde che si creano quando
lanciamo una pietra nell’acqua ferma di uno stagno). Quindi, ciò che “viaggia” non è del materiale visibile
ma è una variazione continua di un qualche parametro ambientale a noi non percettibile con la vista.
Esistono due tipi di onde: trasversali e longitudinali. Nel primo caso l'asse di vibrazione è perpendicolare
alla direzione di propagazione dell'onda mentre nel secondo caso è parallelo. Il suono è costituito da
un’onda longitudinale e questo si può intuire osservando la vibrazione avanti e indietro di un altoparlante.
Per descrivere l'origine del suono immaginiamo di avere un pennino attaccato all'apice di un diapason. La
punta del pennino poggia su un foglio di carta che si muove a velocità costante. Se facciamo vibrare il
diapason quello che otteniamo nel disegno è una curva chiamata sinusoidale, che avrà un inizio e man
mano che la vibrazione svanisce, terminerà.
La vibrazione di un corpo si può rappresentare con un grafico definito, che ha sull'asse orizzontale il
tempo (Hz) e sull'asse verticale l'ampiezza della vibrazione (dB). Maggiore è la distanza percorsa dal
corpo attorno alla posizione di equilibrio, maggiore è l'intensità' del suono e quindi quelli più deboli
avranno un'ampiezza di oscillazione inferiore. Il numero di oscillazioni che avvengono nell’unità di tempo,
si misura con la frequenza e determina l'altezza di un suono: maggiore è la frequenza e più acuto è un
suono. L’unità di misura dell'intensità' sono i decibel (dB), mentre per la frequenza si utilizzano gli hertz
(Hz). Il nostro orecchio percepisce i suoni compresi tra i 16 Hz e i 20 KHz, mentre per l’intensità si va da
valori prossimi a zero decibel fino a valori superiori ai 100 decibel (oltre i 120 dB avvertiamo dolore!).
A questo punto vediamo la differenza tra un suono puro (detto tono) e complesso. Un suono puro è
costituito da un'unica frequenza e può essere rappresentato da un'onda sinusoidale, come abbiamo già
visto, normalmente si utilizza un generatore presente nell’oscilloscopio. I suoni puri sono abbastanza
noiosi e senza carattere. Un suono complesso invece è rappresentabile da un'onda ad andamento
complesso costituito dalla somma di molte frequenze (Armonici superiori). In natura i suoni sono in
generale complessi, ma possiamo comunque generare dei suoni puri mediante strumenti elettronici
chiamati oscillatori. Due suoni di pari frequenze e intensità sono distinguibili tra loro grazie al timbro che
dipende da un parametro chiamato 'forma d’onda. La forma d'onda descrive il modo in cui la fonte sonora
vibra e le sue caratteristiche sono legate nel dominio delle frequenze alle parti spettrali e nel dominio del
tempo ai transitori. Per quanto riguarda l'elemento spettrale dobbiamo introdurre l'analisi del suono nel
dominio delle frequenze. Abbiamo visto come la rappresentazione nel dominio del tempo ci permette di
disegnare una curva che associa la variazione dell'intensità' a quella del tempo per cui ne deriva che la
rappresentazione nel dominio della frequenza, non è altro che l'associazione d’intensità ad alcune
frequenze. Abbiamo anche visto che un segnale complesso è la somma di più frequenze, è basato un
metodo matematico chiamato trasformata di Fourier che permette di fare quella che è chiamata analisi
spettrale (o armonica). Tra queste onde possiamo distinguerne una di frequenza inferiore (f) e ampiezza
maggiore che si chiama fondamentale e le altre chiamate armoniche superiori che hanno una frequenza
che è un multiplo intero della frequenza fondamentale (2*f,3*f,…). L'analisi spettrale ci permette quindi
di fare la rappresentazione nel dominio delle frequenze di un segnale complesso periodico.
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L’onda (La sinusoide del nostro segnale)
Misurare l'onda: Ora vedremo cos’è possibile misurare con precisione in un'onda. Consideriamo una
forma d'onda strettamente periodica.
Per prima cosa è possibile misurare la lunghezza di un ciclo, la sua durata e il numero di volte che esso si
ripetono in un secondo.
La lunghezza è un valore raramente utilizzato in acustica musicale (serve invece nel campo delle
trasmissioni radio). Concentriamoci, quindi sulle ultime due misure.
•
Durata del Ciclo o Periodo: Il periodo è la durata di un ciclo e si misura in frazioni di secondo.
•
Frequenza: Il numero di ripetizioni del ciclo per secondo. Si misura in Hertz (Hz). Un'onda il cui
ciclo si ripete 100 volte il secondo ha una frequenza di 100 Hertz. E’ strettamente collegata
all'altezza del suono.
Nota: in inglese, come misura della frequenza si usa anche la definizione CPS (Cycles Per Second).
Ovviamente 1 CPS = 1 Hertz.
Chiaramente, il Periodo e la Frequenza sono strettamente collegati: se il ciclo di un'onda si ripete 100
volte il secondo, ogni ciclo dura necessariamente 1/100 di secondo.
Il Periodo è uguale a 1/Frequenza e la Frequenza = 1/Periodo.
•
Ampiezza: E’ lo scostamento dell'onda dalla linea di zero (non suono). Si misura in decibel.
Come vedremo più avanti, la dinamica/intensità/volume del suono sono legati a questo fattore.
•
Fase: La fase, in un certo punto, è l'istante in cui l'onda si trova nel ciclo. Il ciclo ha una certa
forma; in ogni istante, l'onda si trova in un punto di quel ciclo: questa è la fase. Si misura in gradi
da 0 a 360, come un angolo. Nel caso di suoni singoli, l'orecchio è insensibile alla fase.
Frequenza e Altezza
Come già accennato, frequenza e altezza sono strettamente collegate. In effetti, tutti noi ci accordiamo
sul LA 440 Hz
In breve, per ogni nota c'è una frequenza e permette di definire con precisione il nostro campo udibile.
La soglia superiore si abbassa rapidamente con l'età e l'usura (chi ascolta spesso suoni molto forti, perde
frequenze alte più rapidamente del normale).
Quanta di questa estensione noi utilizziamo effettivamente in musica?
In termini di note, solo una parte (circa 1/4), ma in realtà quasi tutta, perché sopra a ogni suono ci sono
gli armonici.
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ADSR
La trasformata di Fourier introdotta prima è uno strumento molto utile per la sintesi elettronica del suono
da semplici onde sinusoidali.
Sfortunatamente in natura i segnali non sono strettamente periodici ma si può comunque estendere il
metodo eliminando il vincolo dell'armonicita'.
In questo caso il segnale complesso è sempre una somma di sinusoidi che però non è in rapporto
armonico ovvero non hanno frequenze multiple intere. Lo spettro risultante si dice allora inarmonico e le
varie frequenze ottenute sono chiamate parziali. I suoni musicali sono complessi ma non del tutto
periodici tuttavia si possono distinguere dal rumore (un segnale non periodico e caratterizzato da tutte le
frequenze con la stessa ampiezza) perché la loro non periodicità è caratterizzata dai transitori.
Per spiegare cosa sono i transitori dobbiamo pensare che una sorgente sonora naturale passa da una
condizione di riposo a una condizione in cui si ha una vibrazione approssimativamente periodica e infine
la vibrazione si estingue.
L'inviluppo descrive il modo in cui l'ampiezza di un suono varia nel tempo e si può rappresentare
graficamente andando a unire i picchi positivi di un'onda.
Le fasi che caratterizzano la forma dell'inviluppo sono appunto i transitori e i principali sono quattro:
Attack, Decay, Sustain e Release.
La chitarra per definizione è uno strumento senza sustain, nel senso che, dopo aver plettrato la corda,
inizia subito il decadimento del suono, a differenza di strumenti come gli archi ad esempio quando
utilizzano l’archetto e il suono e il sustain, è lungo finché noi suoniamo…tutti gli effetti di dinamica che
andremo ad affrontare andranno a lavorare sull’ADSR.
L’ADSR: Attack, Decay, Sustain e Release. Dallo schema sotto possiamo vedere un ipotetico segnale di
una chitarra con suono clean…
Attack (Attacco): È il tempo che intercorre dal momento in cui il volume passa da zero al suo valore
massimo. Nella chitarra l'attacco è in pratica immediato, poiché la nota è suonata al massimo volume non
appena si suona. Altri suoni, invece, saranno caratterizzati da un attacco più graduale, come ad esempio
il suono di un pad ottenuto da un synth. Tutti i suoni hanno un attacco.
Decay (Decadimento): Rappresenta il tempo che il suono impiega a passare dal volume massimo
(raggiunto durante la fase di attack) al volume di sustain.
Sustain (Tenuta): Volume che si mantiene dopo la fase di attack finché la corda rimane premuta dalla
mano sinistra.
Release (Rilascio): In questa fase, il volume diminuisce fino al valore 0. In un organo, la fase del
rilascio sarà istantanea (non appena si rilascia il tasto dell'organo, la nota cessa), nella chitarra questa
fase sarà più lenta; volendo simulare un gong, questa fase sarà molto lenta.
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Quando utilizziamo i processori di dinamica come ad esempio il compressore, overdrive, distorsori…noi
influenzeremo l’ADSR cambiando i parametri naturali di segnale come quello della chitarra nel nostro
caso.
Differenze transitorie in strumenti diversi tra loro:
Notate che non tutti i suoni hanno tutte le 4 fasi. Alcuni ne hanno meno. Gli strumenti a evoluzione libera
non hanno né decadimento, né tenuta.
Anche se alcuni vedono come decadimento il rapido calo di ampiezza che segue la percussione o il
pizzicato, si può dire che questi strumenti abbiano solo 2 fasi: attacco e rilascio (l'esecutore fornisce
l'energia all'inizio e poi non può fare niente).
Al contrario, negli strumenti a esecuzione controllata, l'esecutore può influenzare notevolmente
l'inviluppo.
Gli archi, per es., normalmente non hanno un decadimento perché l'ampiezza del suono cresce
rapidamente con il movimento dell'arco e raggiunge uno stato di tenuta senza scatti (3 fasi: attacco,
tenuta, rilascio), ma l'esecutore può creare un decadimento suonando sfz.
Negli ottoni, invece, il decadimento di solito esiste per le ragioni già esposte, ma l'esecutore può evitarlo
eseguendo un attacco dolce.
Sia negli archi sia nei fiati, è possibile creare un inviluppo formato solo da un attacco molto lungo e da un
rilascio come nel caso di una minima suonata in crescendo pp. < ff. Il suono dell'organo può avere una
coda dovuta alla riverberazione del luogo in cui di solito è piazzato.
Considerate, infine, che le 4 fasi dell'inviluppo siano schematiche: si tratta di una semplificazione utile per
studiare l'evoluzione dinamica dei suoni.
Anche nella fase di tenuta, il suono non è mai perfettamente fermo (non sarebbe umano) anche a causa
di pratiche esecutive come il vibrato o di particolarità costruttive come le doppie o triple corde del piano.
In alcune situazioni, infine, avvengono variazioni di ampiezza molto rapide dette transienti, soprattutto
nel corso dell'attacco quando il mezzo inizia a vibrare, ma non ha ancora raggiunto la stabilità.
In vari sintetizzatori possiamo trovare i controlli per variare l’ADSR…
Gli effetti che andremo ad analizzare nei prossimi capitoli (esclusi gli effetti di modulazione e ritardo)
sono definiti “Processori di dinamica” perché influenzano l’ADSR del segnale proveniente dal nostro
strumento (chitarra, basso o batteria che sia…).
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I CAVI
I cavi che utilizziamo di alimentazione, audio o di potenza, rappresentano una componente molto
importante del nostro set-up e vanno considerati parte fondamentale per ottenere un suono di qualità.
Non ha senso avere pedali di qualità e cavi di bassa, al contrario cercare invece di mettere in risalto ogni
componente, ottenendo così una buona qualità generale.
In base al budget che abbiamo deciso di spendere per realizzare il nostro set-up, il 10%
(indicativamente) investiamolo in giusta misura nei cavi sia di collegamento sia di potenza.
Caratteristiche
I cavi non hanno solamente il compito di trasportare il segnale da un componente a un altro o condurlo al
nostro cabinet, ma hanno la delicata responsabilità di disperdere la minor quantità di segnale possibile;
non solo, ma anche quella di alterare il meno possibile il segnale che conduce.
La dispersione elettrica, fenomeno molto più comune di quanto si possa pensare, è dovuta a tre motivi
attinenti la fisica: Cattivo conduttore e/o Cattivo isolante.
Ovvio dunque che la qualità dei materiali impiegati nella costruzione dei cavi, e un’attenta procedura
della lavorazione fa la differenza tra quello che potrà dimostrarsi un buon cavo, oppure no.
Ci sono aziende specializzate nei cavi audio come Gorge L’S, Fulltone, Evidence Audio, Analysis…mosse
certamente da una forte passione per il loro lavoro, si occupano esclusivamente nella costruzione e
produzione di cavi di alta qualità, questo dovrebbe farci riflettere sull’importanza, spesso sottovalutata,
che rivestono i cavi, preposti a garantire maggior trasparenza possibile nella conduzione del segnale
elettrico.
Negli ultimi trenta anni, i cavi audio hanno, giustamente, assunto notevole importanza e considerazione
da parte degli appassionati e delle aziende che producono componenti audio di alta fedeltà.
Oltre tutti i dati tecnici come l’induttanza (grandezza fisica che misura la proporzione tra la tensione e la
sua derivata), l’impedenza (grandezza fisica che misura la proporzione della corrente e della tensione), la
maniera in cui ad esempio i cavi di potenza possano condizionare il Fattore di smorzamento di un
amplificatore, in altre parole la capacità dell’amplificatore di controllare gli altoparlanti, tutti dati
comunque importanti, ma la nostra valutazione finale deve essere data dall’ascolto.
Per ovviare ai tre motivi cui è legata la dispersione elettrica, di basilare importanza per i cavi audio sono i
materiali scelti nella costruzione del cavo, la cura riposta nella costruzione, la loro schermatura dalle
interferenze, non essere corruttibile dalle risonanze, la geometria con la quale il cavo è lavorato.
Siccome la semplicità è sinonimo d’intelligenza, mai usare cavi audio più lunghi del necessario: se si ha
bisogno di tre metri di cavo per raggiungere la nostra pedaliera, inutile utilizzarne sei, il segnale dovrebbe
percorrere un tragitto più lungo senza motivo.Idem per i cavi di potenza, il cabinet in genere è sempre
collocato vicino alla testata, quindi cavi dalla lunghezza superiore al metro non servono.
Evitare anche di intricare inutilmente i cavi tra loro…
Cavi di alimentazione
Sono i cavi che collegano gli apparecchi alla rete elettrica (220 volt), sono detti cavi di alimentazione.
Nella quasi totalità degli amplificatori tranne il caso in cui il cavo sia inserito all’interno del circuito senza
la possibilità di staccarlo, noi utilizziamo cavi chiamati VDE femmina, utilizzando i classici connettori C13
(sul cavo) e C14 (presa posta nell’amplificatore).
Mentre all’altra estremità del cavo, la presa che andremo a inserire, avrà la classica spina a tre poli
Schuko (CEE 7/7) detta “tedesca” oppure la classica spina a tre poli italiana (tipo L).
Attenzione a utilizzare prese Schuko inserite nelle prese tradizionali oppure cavi con terminazione a due
poli, in entrambi i casi e la nostra apparecchiatura sarà sprovvista di messa a terra.
Cavi di segnale o audio
Sono quelli che collegano un apparecchio audio a un altro (Preamplicatore-finale, pedalino-testata…).
I cavi audio che utilizziamo per la chitarra o nella catena dei nostri pedali sono di tipo schermato per
segnali sbilanciati, sono messi insieme normalmente con connettori di tipo jack mono da 6,3 mm (1/4”).
Possiamo trovare connettori mini-jack da 3,5 mm (1/8”) o il classico cannon (XLR)…
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Tipo di connettori
Jack (TRS) connettore mono: E’ assolutamente il più utilizzato dal chitarrista, la dicitura TRS deriva
dai termini inglesi Tip (corrisponde alla punta), Ring (la parte centrale, l’anello) e Sleeve (la manica, la
parte finale del connettore).
Come dicevamo poco sopra il jack è formato dalla punta, dove scorre il nostro segnale, la manica dove è
collegata la massa e un anello normalmente di plastica che ha lo scopo di separare i due componenti.
Jack (TRS) connettore stereo: A differenza del tipo mono, abbiamo due anelli nella sezione della
manica, quindi facilissimo da riconoscere.
Il jack è formato dalla punta, dove scorre il nostro segnale Positivo/Caldo (Sinistro), il primo anello
(quello vicino alla punta) dove è collegato il segnale negativo/freddo (Destro) e la manica dove troviamo
collegata la massa.
Jack (TRS) connettore tri canale: A differenza del tipo mono, abbiamo tre anelli nella sezione della
manica. Il jack è formato dalla punta, dove scorre il segnale del canale Sinistro, il primo anello (quello
vicino alla punta) dove è collegato il segnale del canale Destro, il secondo anello dove abbiamo il segnale
ausiliario (AUX) e la manica dove troviamo collegata la massa.
XLR (Cannon): Il connettore XLR che si usa comunemente per il collegamento di microfoni, ma è
utilizzato anche per linee audio bilanciate che per segnali sbilanciati creando un corto circuito tra il polo di
massa e quello freddo (-).
E’ composto di tre poli ed è chiamato XLR-Line è progettato per connettere il polo numero 1 (massa)
prima degli altri. Questo permette di collegare senza introdurre ronzii di massa, come succede per
esempio con i connettori di tipo RCA.
1) Massa (schermatura del cavo).
2) Polarità normale ("polo caldo").
3) Polarità inversa ("polo freddo").
•
Guardando il connettore femmina, il pin in alto a sinistra è il
numero 2, quello in alto a destra è il numero 1 e quello in basso
è il 3.
•
Guardando il connettore maschio, il pin in alto a sinistra è il
numero 1, quello in alto a destra è il numero 2 e quello in basso è il 3.
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RCA mono o stereo: Il nome "RCA" deriva dalla prima ditta produttrice, la Radio Corporation of
America, spesso viene utilizzato nel campo video ma compare spesso anche in ambito audio.
Il connettore RCA è mono ed è cablato su cavo coassiale, a differenza del jack stereo può trasportare un
solo canale.
Nell’uso digitale come connettore S/PDIF trasporta invece entrambi i canali.
Il connettore bianco corrisponde al canale Sinistro o mono (nel caso in cui lo utilizzassimo mono), mentre
il connettore rosso corrisponde al canale destro.
Il connettore è composto di una protuberanza centrale (maschio) o da un foro (femmina), circondati da
un anello, separati da un isolante di plastica o ceramica.
Il bloccaggio della connessione non è meccanico, ma avviene a pressione, sfruttando la piccola differenza
di diametro dell'anello esterno.
Da notare che, a differenza di connettori professionali come il tipo XLR, il polo centrale viene in contatto
con l'altro connettore prima della massa, per cui accade spesso che durante la connessione si verifichino
ronzii o soffi, se questa avviene ad apparecchiature accese.
I connettori RCA sono conosciuti anche come prese cinch o connettori phono.
Quest'ultimo termine deriva dall'abbreviazione della parola inglese phonograph (giradischi), poiché lo
scopo iniziale delle connessioni RCA era il collegamento di un giradischi a un ricevitore radio, usato come
amplificatore.
Cavi di potenza
I cavi di potenza sono quelli che collegano il finale di potenza o testata al cabinet.
A differenza dei più comuni cavi di segnale utilizzati per mettere insieme la nostra pedaliera, non hanno
bisogno di essere schermati e al loro interno hanno fili elettrici di sezione più grande. Siccome devono
sopportare un transito di corrente superiore proporzionalmente alla potenza erogata.
In effetti nei cavi di segnale sono applicate tensioni di qualche millivolt, nell’ordine di qualche
milliampere, mentre nel caso dei cavi di potenza la corrente che circola è dell’ordine di qualche ampere.
I cavi di potenza possono avere due tipi di connettori nel caso di amplificatori per basso e chitarra:
Jack mono: Come quello in precedenza descritto.
Speackon: Normalmente utilizzato per gli amplificatori da basso che hanno potenze superiori rispetto a
quelli per chitarra. Il connettore speackon a differenza del jack mono ha un sistema di bloccaggio.
Qualità dei cavi
Alcune aziende utilizzano rame OFHC, il modo scelto dalla maggior parte dei costruttori di cavi è usare
conduttori più spessi, o nel caso di fili intrecciati, di aumentare lo spessore del conduttore aggiungendo
più fili al gruppo che compone il conduttore.
Un’altra cosa che può influenzare è il materiale isolante, gli isolanti hanno un effetto udibile sulla qualità
del suono.
Non tutta l’energia del segnale che passa attraverso un cavo è trasmessa direttamente. Una sua parte
andrà a caricare l’isolamento del cavo, esattamente come se fosse il dielettrico di un condensatore.
La maggior parte di questa energia è semplicemente immagazzinata fino a che il segnale non invertirà
polarità (Ogni 180° di un’onda sinusoidale per esempio) e poi sarà iniettata, sfasata di 180°, sul percorso
del segnale cancellando una parte del segnale trasmesso o creando del rumore.
Il resto dell’energia del segnale sfasato sarà trasformato in calore e quindi persa.
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GLI ALIMENTATORI
I parametri di un alimentatore
È detto “alimentatore” un apparato basato su di un circuito elettronico in grado di fornire una tensione
costante (ovvero stabilizzata) a un carico qualsiasi, sia esso un dispositivo elettromeccanico sia un
circuito. Un alimentatore di questo tipo viene, infatti, detto anche “stabilizzato” se è in grado di fornire
una tensione che non subisca variazioni al variare ad esempio della corrente di carico, della tensione
d’ingresso, della temperatura e del tempo. E’ ovvio che tanto più bassa sia la resistenza d’uscita di un
alimentatore, tanto più la tensione d’uscita si manterrà stabile nei confronti delle variazioni di carico. Un
carico di valore costante non crea in genere problemi, ma se la sua resistenza interna varia entro ampi
limiti, allora la corrente assorbita potrà subire ampie variazioni. (Vedi figura).
In alternativa a questo grafico il costruttore indica nel foglio tecnico un parametro equivalente, detto“
regolazione di carico”, che indica di quanto varia la Vo (Tensione d’uscita) al variare di Io (Corrente
d’uscita), per l’alimentatore citato nell’esempio la regolazione, di carico sarà di 150 mv/A (millivolt per
ampere). Un altro parametro caratteristico di un alimentatore è quello che è definita “regolazione di
linea”, in altre parole di quanto varia la tensione d’uscita al variare della tensione d’ingresso Vin, a
corrente fissa, e è espresso in millivolt per volt. Questo parametro può sembrare trascurabile ma, se si
pensa che l’ingresso di un alimentatore sia tipicamente costituito dalla tensione di rete rettificata (e
quindi caratterizzata da un’ampia ondulazione), si comprende come sia importante conoscere la “capacità
di stabilizzazione” del nostro alimentatore. Per questo motivo è importante conoscere qual è l’ampiezza
del “ripple” (ondulazione residua) in uscita conoscendo il ripple in ingresso e la corrente erogata.
L’alimentatore classico
Fino ad almeno 15 anni fa gli unici tipi di alimentatori utilizzati nell’industria, negli apparati e nella
strumentazione erano di tipo lineare, in altre parole nella quale il transistor interno utilizzato per la
regolazione-serie della tensione era polarizzato in modo da farlo lavorare in zona lineare, in altre parole
intorno alla zona centrale della retta di carico. Lo schema a blocchi generico di un alimentatore lineare
(corrispondente a quello di un “regolatore di tensione”) si presenta come quello di figura sottostante.
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Schema funzionale semplificato di un regolatore di tensione a controllo lineare. Questi regolatori si sono
dimostrati circuitamene semplici, dotati di buona stabilità, di ottima capacità di regolazione e di basso
costo. Presenta però un serio inconveniente: dissipano molto (scaldano).
La soluzione switching
Rimanendo nell’ambito degli schemi classici a regolazione lineare, non esiste soluzione di sorta in grado
di contenere la dissipazione e quindi aumentare l’efficienza del circuito di alimentazione.
La soluzione a questi problemi è venuta utilizzando la tecnica “switching”, che suggerisce di cambiare
strategia: non più circuiti in cui i transistor di regolazione-serie operano in zona lineare con elevata
dissipazione, bensì circuiti progettati e pilotati in modo da far funzionare i transistor esclusivamente in
commutazione, in altre parole i cui punti di lavoro passino continuamente dalla saturazione
all’interdizione. Si può a questo punto (ragionevolmente) chiedere come sia possibile che un transistor in
continua commutazione possa garantire una regolazione della corrente verso il carico, e quindi della
tensione ai suoi capi, fornendo altresì una tensione continua! La risposta viene dalla modulazione PWM
(Pulse Width Modulation, in altre parole dell’ampiezza dell’impulso) abbinata ad un filtro passa-basso, in
una configurazione quella quale della figura sottostante, dove è riportata anche la temporizzazione
riguardante la modulazione pwm.
Come si vede dalla figura 15, la presenza del filtro passa-basso L-C fa sì che la sequenza d’impulsi
presenti sull’emettitore non si ripercuota in uscita, bensì serva a “caricare” i componenti del filtro e ad
ottenere in uscita un’onda che può essere variata a piacere da un massimo ad un minimo, semplicemente
variando la durata degli impulsi. In altri termini il filtro funge da “integratore” degli impulsi, nel senso che
in uscita abbiamo una forma d’onda che equivale all’integrale di ciascun impulso in ogni singolo periodo.
Si noti che questi impulsi sono di ampiezza (intensità) costante, cioè sono ottenuti portando il transistor
non già in zona lineare, bensì in completa saturazione, e ciò con l’esplicito obiettivo di ridurre al minimo
la dissipazione.
Pro e contro…
Vantaggi: Nel tipo lineare si ha un’efficienza del 40%, mentre il sistema switching ha un’efficienza
addirittura del 92%! Ciò porta vantaggi in termini di minor ingombro (o spesso totale assenza) del
dissipatore, di costo e di peso, se si pensa fra l’altro che spesso negli alimentatori lineari si deve spesso
ricorrere addirittura alle ventole di raffreddamento.
Svantaggi: I circuiti switching sono in grado di generare intensi disturbi elettromagnetici a causa proprio
delle rapide variazioni di tensione imposte ai circuiti di potenza, i quali sono sottoposti a transitori di
molte decine di volt che durano pochi decimi di microsecondo. E’ noto che questi “gradini” generano
disturbi poiché sono assimilabili ad uno spettro di frequenze (sviluppo in serie di Fourier) che si estende
fino a valori tanto più elevati quanto maggiore, è il dv/dt del segnale, analogamente a quanto accade ad
esempio nella parzializzazione di fase a tiristori. Questi circuiti devono essere schermati adeguatamente.
Questi disturbi possono non solo causare problemi dovuti ai fenomeni d’induzione nei componenti del
circuito stesso o in quelli circostanti, ma possono altresì inviare disturbi lungo la rete elettrica di
alimentazione, raggiungendo altri apparati ad essa connessi. Ciò è vietato dalle normative vigenti, e ad
esempio le VDE indicano limiti ben precisi riportando un preciso andamento ampiezza del
disturbo/frequenza, che non va superato. Per tale motivo è sempre opportuno collocare fra l’alimentatore
switching e la rete elettrica degli opportuni filtri antidisturbo (facilmente reperibili in commercio) che sono
costituiti da filtri a sella (a pi-greco) capacitivi-induttivi a circuiti accoppiati fra fase e neutro.
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L’AMPLIFICATORE
Un amplificatore per chitarra è un dispositivo che permette di trasformare il segnale elettrico prodotto dai
pick-up di una chitarra elettrica in un vero e proprio segnale sonoro. In commercio possiamo trovare vari
tipi di amplificatori... In generale un amplificatore è formato (semplificando molto) da due unità
accoppiate tra loro: Il preamplificatore, il finale di potenza e gli altoparlanti.
Preamplificatore
E’ un circuito elettrico che ha il compito di fornire guadagno al debole segnale proveniente dai pick-up
dello strumento. Rende possibile una equalizzazione al nostro segnale, contribuendo a creare le sonorità
tipiche della chitarra elettrica. Negli amplificatori più professionali troviamo anche l’effect loop (seriale o
parallelo). Vari tipi di preamplificatori:
Preamp a canali separati: Sono preamplificatori di concezione e costruzione simile a quelli inseriti in un
amplificatore combo o testata, in questi ogni canale è progettato per sviluppare una sonorità particolare.
Le sonorità richiamabili in tempo reale sono limitate dal numero dei canali.
Preamp programmabili: Sono preamplificatori che permettono di programmare tanti suoni diversi
quanti sono i preset disponibili. E’ sempre midi e ha una capienza di 127 preset singoli. Ovviamente la
differenza dal modello precedente è che ci permette un più vasto parco-suoni e una maggiore
potenzialità.
Controlli principali:
Gain: Qui il suono è preamplificato, può essere clean o divenire distorto. (eccezione per quanto riguarda
gli amplificatori vintage…).
Equalizzatore: Normalmente sono di tipo passivo a tre bande, qui il suono può essere radicalmente
cambiato nel suo spettro. I bassi normalmente lavorano attorno ai 100Hz, i medi attorno ai 500 Hz e gli
acuti sui 2,5 KHz. Una precisazione, gli equalizzatori in realtà sono filtri che limitano il passaggio della
frequenza sulla quale sono impostati. Il loro compito è di opporsi, non di aggiungere. Assegnando tutti i
controlli a 10 i filtri sono totalmente disinseriti, come se non ci fossero, in questa maniera si ha il vero
tono dell’amplificatore! Gli equalizzatori di tipo attivo a differenza di quelli sopra descritti amplificano o
attenuano la frequenza selezionata aumentando e diminuendo in maniera evidente il volume.
Volume: Definisce il volume d’uscita del suono già preamplificato e equalizzato. Alcune case costruttrici
come Marshall hanno introdotto un controllo di nome Contour o Dynamic Voice per Mesa Boogie. Questo
particolare controllo impone un equalizzatore globale in aggiunta a quello di serie, il suo intervento è
drastico rispetto agli altri controlli. Il presence è un controllo molto particolare questo perché agisce sul
finale di potenza a differenza dell’equalizzatore del preamp, regolando il brightness o chiamato anche
negative feedback, abbiamo un maggior passaggio di frequenze alte, in certi amplificatori tipo Fender
corrisponde ad un interruttore chiamato normalmente “Bright” che però funziona solo come on/off.
Send e Return: Tramite queste due prese possiamo collegare i nostri multi effetti o pedalini, comunque
vedremo nel capitolo dedicato tutte le caratteristiche.
Direct Output/Speaker Emulator: E’ un’uscita che si trova nel retro del preamplificatore, serve per
collegarlo direttamente ad un mixer, ad un registratore…simulando un suono simile a quello di una cassa
microforata. Ovvio che il suono di una cassa microforata è indubbiamente migliore, perché un microfono
che riprende un cono vero riproduce lo spostamento dell’aria e tutte le armoniche scaturite.
Uscita cuffie: E’ un’uscita generalmente con uno speaker emulator per rendere il suono simile a quello
che esce da una cassa come nel caso del direct output.
Finale di potenza
Il segnale di piccola intensità applicato all'ingresso esce in parte amplificato dagli stadi di amplificazione
ed è pronto per essere trasferito al dispositivo che lo renderà udibile; l'altoparlante. Anche in questo
caso, come il segnale d’ingresso, bisognerà adattarlo al sistema che lo riceve, per fare in modo di
trasferirlo senza sprechi di potenza e con distorsione minore possibile. Il parametro principale da tenere
presente è il valore di impedenza dell'altoparlante o del diffusore acustico, i valori usati sono tre, 4-8-16
ohm. Un valore basso d’impedenza impone un maggiore valore di corrente circolante, con conseguente
maggiore potenza sull'altoparlante.
Altoparlanti: Sono gli attuatori che convertono il segnale elettrico in onde sonore.
Nell'amplificazione della chitarra elettrica sono utilizzati uno o più coni di diametro variabile tra 8 e 15
pollici, con impedenze di 4, 8 o 16 Ω.
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Amplificatori valvolari
Nei primi anni dell'elettronica la valvola era l'unico dispositivo attivo disponibile ed attualmente il loro uso
è riservato principalmente all'amplificazione di potenza delle Radiofrequenze, delle microonde e
all'amplificazione del segnale in sistemi audio come nel nostro caso.
Un amplificatore valvolare necessita dell'uso di trasformatori sia per la sezione preamplificatrice sia per
quella finale, un componente elettrico relativamente voluminoso e pesante, necessario per poter adattare
l'elevata impedenza della valvola, alla bassa impedenza del carico pilotato, l'altoparlante.
Le classi più comuni di funzionamento sono A, A-B e B.
Amplificatori a stato solido (transistor)
Sono amplificatori che non fanno uso di valvole, bensì di transistor come il BJT, JFET e MOSFET,
dispositivi specializzati ognuno per amplificare il segnale in tensione o in corrente.
In questa categoria rientrano anche i dispositivi a circuito integrato, disponibili ormai per tutte le
applicazioni. Un amplificatore a componenti "discreti" è costituito da uno stadio d’ingresso nel quale sono
presenti uno o più transistor che preamplificano il segnale per portarlo ad un livello tale da poter essere
utilizzato da altri transistor, denominati finali, i quali alzano ulteriormente il livello di tale segnale che è
poi trasferito ad un diffusore acustico.
Gli stadi d’ingresso e finale utilizzano configurazioni diverse secondo la tipologia di amplificazione che si
vuole ottenere, le tipologie degli stadi finali sono denominate classi (A, A-B, B…).
Amplificatori ibridi
Questo tipo di amplificatore utilizza un preamplificatore a valvole, per ottenere un suono "caldo",
accoppiandolo però ad un finale di potenza a transistor, per ridurre il costo, l'ingombro e la fragilità
dell'intera apparecchiatura.
Un esempio di questo tipo di amplificatore è la famiglia Valvestate della Marshall.
Alla fine degli anni Settanta Leo Fender realizzò amplificatori di concezione diametralmente opposta, che
vennero commercializzati dalla Music Man: progettati per le sonorità cristalline della musica country,
erano dotati di un preamplificatore a transistor, per evitare la distorsione, e di un finale di potenza a
valvole, per garantire maggiore pressione sonora.
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Amplificatori digitale
In questa tipologia di amplificatore il segnale in entrata viene convertito da analogico a digitale, per poi
essere processato in modo da ottenere virtualmente ogni tipo di sonorità, dalle più classiche alle più
moderne. Un amplificatore digitale offre spesso numerosi effetti integrati; inoltre molti di questi
amplificatori offrono, in modo più o meno raffinato, una funzione di amp modeling, che permette di
imitare il suono di numerosi amplificatori.
Tipi di amplificatori:
Combo: E’ un amplificatore che ospita i tre componenti (preamplificatore, finale di potenza, altoparlanti)
nella stessa struttura, di solito costruita in legno. Questa soluzione è pratica e consente di risparmiare
spazio e tempo di montaggio. Un amplificatore combo può però diventare molto pesante (specie se
valvolare), e di norma un combo non ospita mai più di due coni.
Testata e cassa: Un amplificatore testata e cassa, detto anche stack, è composto da due unità distinte:
la testata ospita il preamplificatore ed il finale di potenza, mentre nella cassa trovano alloggio gli
altoparlanti. La cassa, di solito realizzata in legno, normalmente può contenere da uno ad quattro coni.
La configurazione classica, detta half stack, prevede che la testata sia appoggiata su una cassa
contenente quattro coni; la configurazione full stack è composta da due casse da quattro coni una sopra
l'altra, con la testata in cima alla pila.
Sistemi a rack: Un sistema di amplificazione modulare, detto anche rack, prevede che i tre componenti
fondamentali (preamplificatore, finale di potenza, altoparlanti) siano alloggiati in tre unità diverse, da
collegare poi tra di loro. Il vantaggio di questa configurazione sta nella versatilità: il chitarrista può
utilizzare preamplificatore, finale e cassa di marche diverse. Per contro, questo sistema è il più costoso ed
anche il più difficile da gestire, dato che i vari componenti non sono necessariamente progettati nello
stesso modo e potrebbero avere interfacce diverse. Il preamplificatore ed il finale di potenza sono
alloggiati in scatole metalliche delle stesse dimensioni dei rack usati nell'informatica, e possono essere
alloggiati in armadi; per esigenze di portabilità i chitarristi di solito preferiscono inserire le varie unità in
speciali valigie molto robuste, dette flight cases. Un sistema rack utilizza le stesse casse degli
amplificatori testata e cassa.
2
Guadagno
Il guadagno dell'amplificatore è il rapporto tra il segnale di uscita e il segnale di entrata.
L’amplificatore al suo interno presenta dei componenti attivi che, offerto un segnale in entrata, lo
aumentano di guadagno di X volte rendendolo disponibile in uscita.
Nel dettaglio i componenti attivi sono ad es. le valvole, i transistor, i transistor FET e circuiti integrati. Ci
sono amplificatori a basso guadagno, medio guadagno, alto guadagno, ciò che li differenzia è il numero di
componenti attivi presenti nell'amplificatore stesso ovvero degli Stadi di amplificazione.
Esempio: un microfono ci fornisce una tensione di 0,005 volt, questo segnale lo mandiamo all'ingresso di
un amplificatore e alla sua uscita misuriamo la tensione di 50 volt, il guadagno dall'amplificatore è
50:0,005 = 10.000. Il guadagno di norma è espresso in Decibel.
Potenza
Uno dei fattori primari di un amplificatore è la potenza, ed è espressa in watt, come metodo di misura,
viene usato l’ rms.
I transistor o le valvole finali aumentano notevolmente il livello del segnale sonoro che è costituito da una
corrente di un dato valore.
Tale corrente quando è fatta circolare all'interno di un altoparlante fa vibrare la membrana dello stesso,
traducendo in suono le variazioni di corrente.
Maggiore è il valore di tale corrente maggiore sarà l'emissione sonora.
Per misurare la potenza si applica in ingresso un segnale sinusoidale e si aumenta il suo livello fino a
quando non si raggiunge in uscita il massimo segnale possibile, senza distorsione oppure con livello di
distorsione prefissato.
Efficienza di un amplificatore
Ogni amplificatore, secondo la sua classe di funzionamento ha un’efficienza teorica massima, determinata
nel seguente modo:
Si applica in ingresso il massimo segnale sinusoidale tale che in uscita si abbia la massima potenza senza
distorsione. Si misura la potenza sul carico. Si misura la potenza erogata dall’alimentatore. Si calcola il
rapporto fra la potenza ricevuta dal carico e la potenza erogata. Nel caso migliore l'efficienza vale 1 cioè il
100% della potenza erogata dall’alimentazione, è convertita in potenza utile al carico.
Classi più comuni di funzionamento
Classe A: Amplifica il 100% del segnale, nel caso di una sinusoide l'angolo di conduzione è di 360°.
Con questa tecnica sono realizzati amplificatori per bassa frequenza, media frequenza e alta frequenza.
L'efficienza teorica massima del 25% ne limita l'impiego solo alle basse potenze.
Forse l’unico svantaggio che si riscontra in una classe A è l’elevata quantità di calore da dissipare a causa
del continuo assorbimento di corrente, anche in assenza di segnale.
Modelli più conosciuti: Vox AC30, Brunetti Maranello…
Classe AB: Amplifica più del 50% ma meno del 100% del segnale, l'angolo di conduzione è compreso fra
180° e 360° estremi esclusi.
Per amplificare l'intera onda sinusoidale (360°) si ricorre a due amplificatori in classe AB che lavorano
rispettivamente, uno per la semionda positiva e l'altro per la semionda negativa.
Notare che In questo caso una certa porzione del segnale è amplificata da entrambi i dispositivi attivi, in
questo modo si riduce enormemente la distorsione che si ha nella regione di commutazione di questi.
Questa distorsione è anche nota con il nome "distorsione di cross-over".
Il valore dell’efficienza teorica è compreso fra il 25% (classe A) e il 78.5% (Classe B)
Il principale vantaggio offerto dalla classe AB è di riuscire a prelevare in uscita un’elevata potenza
facendo assorbire al circuito una corrente irrisoria in assenza di segnale.
Modelli più conosciuti: Marshall JCM800, Mesa Boogie Rectifire…
Classe B: Amplifica il 50% del segnale, e nel caso di una sinusoide l'angolo di conduzione è di 180°
L'efficienza teorica è del 78.5%. Per amplificare l'intera onda sinusoidale (360°) si ricorre a due
amplificatori in classe B che lavorano rispettivamente, uno per la semionda positiva da 0° a 180° e l'altro
per la semionda negativa da 180° a 360°.
In questo caso si amplifica tutto il segnale, come nella classe A, ma con l'efficienza propria della classe B.
La classe B presenta il vantaggio di fornire in uscita delle potenze elevate, anche se con una notevole
distorsione.
3
LE VALVOLE
Differenze tra i principali tipi di valvole: In un amplificatore si hanno fondamentalmente quattro tipi
di valvole con funzioni diverse: la preamplificatrice, che amplifica il segnale d’ingresso; la sfasatrice, che
pilota il finale; la rettificatrice, che trasforma in corrente continua all’interno dell’apparecchiatura la
corrente alternata di rete e le finali, che hanno il compito di fornire agli altoparlanti l’energia, che
determina la potenza complessiva dell’intero sistema.
Tipi di valvole
Preamplificatrice: Le valvole preamplificatrici più usate sono le 12AX7, note in Europa come ECC83 e
identificate industrialmente come 7025, indipendenti dalle denominazioni, tecnicamente si tratta dello
stesso tipo di valvola, ma il fatto che fosse prodotto in Europa o in USA, o su specifiche militari,
determina, di fatto, delle udibili differenze nel timbro e nella capacità di guadagno. Oggi, essendo cessate
le produzioni europee e statunitensi, le diverse sigle indicano appunto queste differenti caratteristiche,
attribuendo generalmente alle 7025 un maggior guadagno e un suono più brillante, un timbro più caldo e
con più medie rispetto alle 12AX7 e alle ECC83. Le 12AY7 sono meno usate ai giorni nostri, si utilizzavano
nei vecchi Fender, hanno un guadagno leggermente inferiore e un suono più morbido.
Sfasatrici (Invertitore di fase): Come sfasatrice e per pilotare il riverbero e la scelta cade sulla 12AT7
o ECC81 o 6201, anche se Marshall usa spesso come sfasatrice una 12AX7, che molti preferiscono nella
stessa funzione anche sui Fender per un suono leggermente più compresso e aggressivo.
Rettificatrici: Come rettificatrice la valvola più usata è la GZ34, denominata negli USA 5AR4, mentre su
molti Fender vintage si trova la 5U4 e su quelli più vecchi la 5Y3. La scelta di un tipo o dell’altro dipende
dalle caratteristiche del circuito e delle tensioni in gioco, quindi non a scelta dell’utente. La rettificazione
tramite valvola, rispetto a quella tramite diodi, a parità di circuito, provoca una lieve diminuzione della
potenza e un suono più morbido, più ricco di armoniche specialmente ad alto volume, con una distorsione
per molti gusti più musicale e una compressione che aumenta gradualmente con il livello di uscita; il
timbro è generalmente più caldo.
Finali: Per le finali il mercato è diviso principalmente fra 6L6, tipiche per la maggior parte degli
amplificatori americani storici, come Fender, Gibson, Ampeg, ed EL34, sinonimo per molti di suono
Marshall. Tuttavia ultimamente la casa inglese, per problemi di reperibilità, si dovuta convertire alle 6L6,
nella versione 5881. I due tipi di valvole hanno un carattere piuttosto diverso: brillanti e tendenzialmente
lineari, con un maggior margine di suono pulito prima di saturare la 6L6; più grintose, con una maggiore
enfasi degli estremi di banda e un’attitudine alla distorsione più “ruvida” le EL34. Meno potenti e con un
timbro più dolce sono le EL84, famose per essere le valvole del mitico Vox AC30, amate per i bassi
morbidi, le medie leggermente bronzate e gli acuti trasparenti. In America sugli amplificatori di piccolo
wattaggio sono molto amate le 6V6, dalla distorsione calda e dal timbro chiaro e più dolce rispetto alle
più potenti 6L6; spinte un po’ al limite conferiscono al suono una sorta di acidità.
4
I TRASDUTTORI ELETTROACUSTICI
Le casse (o cabinet)
Il ruolo della cassa non è di certo secondario, essa è legata all’esigenza di ottenere una precisa risposta in
frequenza. Le possiamo dividere in base alla loro costruzione.
Cassa chiusa: Prende il nome dalla chiusura ermetica della cassa in cui è montato l’altoparlante. Le
caratteristiche di queste casse sono i bassi frenati e profondi, una marcata direzionalità che contribuisce
al suono in ambienti grandi o all’aperto, ma in qualche maniera mancano di senso di ariosità al contempo
stesso sono più ricercate per i suoni aggressivi proprio per il senso di controllo che si a gamma bassa.
Cassa aperta: Prende il nome da una finestra che è ricavata nella parte posteriore della cassa, che può
essere una semplice apertura, oppure un condotto tra il volume interno della cassa e l’esterno, di solito
cilindrico, serve al recupero in fase di porzioni utili (di gamma bassa) della radiazione posteriore
dell’altoparlante, questo tipo di cassa è detta cassa bass reflex.
Cassa accordata (Tuned box): In certi tipi di casse chiuse possiamo trovare un condotto tra il volume
interno della cassa e l’esterno, di solito cilindrico detto “bass reflex”, serve al recupero in fase di porzioni
utili (di gamma bassa) della radiazione posteriore dell’altoparlante. I benefici che ha questo tipo di cassa
è l’esaltazione della gamma bassa, per il resto ha un suono simile alla cassa chiusa di pari volumi.
Gli altoparlanti (o speaker)
È l’elemento centrale di qualsiasi sistema di diffusione, ne esistono di moltissimi tipi ma quelli più diffusi
sono il magnetodinamico e il piezoelettrico, il primo sfrutta le leggi dell’elettromagnetismo, il secondo il
fenomeno della piezoelettricità dei cristalli (ma solo per la trasduzione delle alte frequenze), in tutte i due
i casi e l’altoparlante riceve in ingresso un segnale elettrico amplificato e il conseguente movimento del
suo diaframma o del suo elemento vibrante genera variazioni istantanee della pressione che lo circonda,
quello che poi noi percepiamo come suoni.
5
L’impedenza ( Ω)
Molte volte, soprattutto per ragioni commerciali, è indicato il valore nominale dell’impedenza come se
fosse una sorta di categoria di appartenenza (4 Ohm, 8 Ohm) e senza considerare che il suo valore cambi
con la frequenza e che non è un semplice carico resistivo dell’unità. In realtà in un’unità con impedenza
nominale di 4 ohm, ad esempio, non capiterà quasi mai che nella sua gamma di funzionamento si
raggiunga un valore d’impedenza di 4 Ohm. L’impedenza è una grandezza elettrica che descrive la
reazione di un’unità all’applicazione di un segnale al suo ingresso, un comportamento che, come già
detto, varia secondo la frequenza considerata. La caratteristica d’impedenza (ovvero la conoscenza del
comportamento dell’unità in base alla frequenza applicata) ci consente di rilevare eventuali
incompatibilità di funzionamento con l’amplificazione finale, di ottimizzare il sistema di collegamento in
caso di utilizzo di unità multivia o di unità specializzate (ottimizzando la rete di filtraggio passiva), e
permette inoltre la definizione della potenza necessaria per l’applicazione di cui abbiamo bisogno.
Effettivamente l’impedenza è costituita da una parte reale (resistiva) e da una parte immaginaria
(reattiva) detta reattanza, tutte e due le componenti sono determinate da vari fattori come i trasduttori,
le casse o dal sistema di radiazione prescelto, e tutte e due sono variabili in base alla frequenza. Dato che
l’unità presenta un’impedenza complessa, si determina (in base alla frequenza) uno sfasamento tra
corrente entrante e tensione a essa applicata, determinando fenomeni di deterioramento del segnale
audio (distorsione di fase) e dei funzionamenti non ottimale dell’amplificatore a esso applicato. Senza
scendere in altri particolari tecnici, i dati che più interessamento sono, l’impedenza minima (che
corrisponde al valore più basso d’impedenza, il suo valore critico è di 2 Ohm, toccato dal suo modulo
d’impedenza alla frequenza di utilizzo) che comporterebbe un’attenuazione del segnale dell’amplificatore
all’unità, e l’argomento dell’impedenza che non dovrebbe eccedere i 30° per evitare un deterioramento
della qualità della frequenza riprodotte, e per consentire un ottimale funzionamento dell’amplificatore.
Risposta in frequenza
La risposta in frequenza di un’unità sia di tipo specializzato sia di tipo multivia è strettamente legata
all’ambiente e alla posizione in cui è misurata, il suo andamento è di solito rappresentato in forma grafica
o tabellare, ed è la misura del variare del livello della pressione sonora in base al variare della frequenza.
Dobbiamo considerare che qualsiasi strumento ha un limite inferiore ed un limite superiore di risposta in
frequenza, per cui le unità di trasduzione vanno scelte in base allo strumento che devono riprodurre, è
chiaro che un’unità per basso non riprodurrà efficacemente un pianoforte. Strettamente legata alla
risposta in frequenza è la sua risposta assiale, in altre parole la rilevazione della sua risposta in base
all’angolo di ripresa, tipicamente la rilevazione è fatta a 0° o in asse, considerando l’angolo di 0° il centro
del cono per le unità a radiazione diretta in cassa chiusa (o se è composta di più altoparlanti la metà della
distanza che intercorre tra il loro cono e gli altri). Per le unità a radiazione indiretta in cassa aperta
dobbiamo tener presente che il contributo sonoro del condotto (bass reflex) non è trascurabile, quindi la
risposta in asse si troverà tra il driver e la sua apertura. Bisogna tener presente che l’utilizzo di qualsiasi
unità non è mai perfettamente in asse o fuori asse di 15° o 30° con il nostro ascolto. Nella
rappresentazione grafica della risposta in frequenza possiamo distinguere tre regioni caratteristiche di
frequenza, in altre parole roll-on (o roll-off inferiore), banda passante, roll-off. Roll-on è la salita in
potenza in base alla frequenza analizzata, partendo dal limite inferiore della banda audio (20 Hz) avremo
una salita con una pendenza di circa 12 dB ottava per gli altoparlanti con caricamento a cassa chiusa, e di
circa 18 dB ottava per gli altoparlanti a cassa aperta.
Banda passante
E’ questa la regione di frequenza in cui possiamo individuare la gamma di funzionamento dell’unità. Nella
regione di banda passante la curva di risposta tende a diventare dritta (tranne qualche avvallamento o
rigonfiamento) e si ottiene determinando il picco di potenza di una frequenza e scendendo in una finestra
di tolleranza di + o – 3 dB includendo nella banda passante tutte le frequenze che rispettano questo
principio. Roll-off è la discesa in potenza della frequenza analizzata con una pendenza di circa 36 dB
ottava. Va inoltre considerata la risposta in frequenza che risente della posizione e dell’ambiente a causa
delle radiazioni indirette del suono per cui l’unica condizione per un corretto confronto fra diverse unità è
la rilevazione della risposta in frequenza fatta in camera anecoica ovvero priva di qualsiasi superficie
riflettente. Un altro fenomeno che altera sostanzialmente la risposta in frequenza di un’unità è il power
compression, causato dal riscaldamento della bobina mobile dell’altoparlante a seguito di un ampio
passaggio di corrente.
6
IL COMPRESSORE
Il compressore è un effetto che limita l’escursione dinamica, fa sì che la gamma sei più stretta e se
portata al volume della traccia iniziale non processata, porti come risultato un innalzamento del volume
medio. Il volume medio non è altro che la media tra i picchi più alti e quelli più bassi. Per essere ancora
più semplici lo possiamo vedere come uno strumento che controlla in automatico il volume.
Dinamica
La dinamica di un segnale è il range nel quale varia l'ampiezza di un segnale. Ad esempio, la dinamica di
un brano musicale potrebbe essere tra 40 dB e 90 dB (ipoteticamente, tanto per fare un esempio). In
questo caso la dinamica complessiva sarebbe di 50 dB, ossia la differenza tra il valore massimo e quello
minimo. Ciò descrive il fatto che i valori hanno la facoltà di variare in un intervallo (o range) di 50 dB
complessivi.
Come si fa a dire al compressore come modificare la gamma dinamica di un segnale?
Diciamo per ora che il compressore agisce quando il segnale raggiunge una certa soglia o threshold, ossia
un certo valore minimo prestabilito, regolato dall'utente, e che la "quantità" di compressione applicata è
stabilita mediante controlli di ratio e gain, oltre a controlli più fini come attack, release e knee. Vedremo
tutti questi valori più avanti.
Limiter
Il Limiter propriamente detto è un processore di dinamica progettato per impedire ai segnali di
oltrepassare un dato livello, generalmente regolabile, detto livello di soglia (threshold). A volte il Limiter è
configurato come un vero e proprio "muro" ("brick wall" è esattamente il termine utilizzato) che
impedisce al livello d'uscita di andare oltre la soglia stabilita, qualunque sia l'incremento del livello
d'ingresso. L'effetto è di consentire al segnale solo un piccolo incremento (non lineare) nel livello d'uscita
per qualsiasi incremento del livello d'ingresso oltre la soglia stabilita.
Differenza tra compressore e limiter
Poiché la circuiteria è quasi identica, la reale distinzione tra un compressore e un limiter sta nel modo in
cui il dispositivo è usato. Molti di questi dispositivi sono progettati per svolgere entrambe le funzioni. Essi
hanno un'ampia gamma d’impostazioni del valore di soglia e del valore del rapporto di compressione
(ratio), e a volte anche dei valori dei tempi di attacco e di rilascio, e sono quindi conosciuti come
compressori/limiter.
Tipi di compressore
Compressori analogici: Sono i classici stomp box e utilizzano al loro interno un amplificatore controllato
in tensione, il quale riduce il suo guadagno quando la "potenza" del segnale in ingresso aumenta.
Compressori ottici: Al loro interno a differenza di quelli analogici hanno un diodo sensibile alla luce, per
riconoscere la variazione di livello del segnale, come espresso da una luce fisica più morbida al segnale.
Siccome i tempi di risposta del fotodiodo influiscono, rallentandoli, sia sull'attacco sia sul rilascio, in altre
parole sui fronti di salita e di discesa dei transitori di un brano musicale.
7
Compressori DSP: Correntemente, le tecniche di processamento di segnale (DSP) sono comunemente
usate per implementare la compressione attraverso editor audio digitali o workstation dedicata.
Controlli che possiamo trovare in un compressore di tipo professionale:
Threshold - Ratio - Volume - Tono - Attack - Release
Threshold
La soglia (threshold) è il livello sopra il quale il segnale è ridotto. Se settiamo il threshold a 0 dB, il
compressore si prenderà cura solamente delle note che oltrepassano la soglia da noi settata, in questo
caso 0 dB. (vedi fig.1 nella pagina successiva)
Ratio
Il rapporto di compressione (ratio) determina il rapporto ingresso/uscita per i segnali sopra la soglia.
(vedi fig.1 nella pagina successiva)
Qualche esempio di ratio...
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Se la settiamo a 1:1 è nulla la compressione, come se l’effetto fosse by-passato (fig.1).
Se la settiamo ∞:1 otteniamo un limiter. Es: Se settiamo la threshold a 0dB ogni nota che
supererà gli 0dB, sarà portata al livello settato, in questo caso 0dB.
Se la settiamo a 4:1 tutti i picchi che superano gli 0dB saranno abbassati di quattro volte, es: un
picco a +10dB sarà portato a 2,5dB (fig.2).
Fig. 1
Fig. 2
Volume (Level, Make-up)
Come si vede nella figura sopra, avendo compresso il segnale abbiamo automaticamente abbassato il
volume, possiamo rimediare compensando la perdita con il controllo del volume, in gergo si dice "fare il
match del volume". Comprimendo un segnale smussiamo la parte superiore dell’onda e colmiamo la
perdita alzando il volume in uscita dell’effetto, in questo modo alzeremo il volume medio, come si fa ad
esempio nel Mastering dei dischi. Compressori di tipo professionale talvolta hanno anche un controllo sul
livello in ingresso.
8
Attack
Il tempo impiegato dal compressore, a ridurre il guadagno fino a raggiungere il livello indicato dal
rapporto di compressione. Per essere ancora più semplici possiamo dire che l’attack è il tempo che
impostiamo per far abbassare il volume al compressore (fig.3 nella pagina successiva).
Release
Tempo per quanto rimane attivo il compressore dopo il tempo di attacco (vedi fig.3 sottostante). Entrando
nello specifico possiamo dire che un compressore dotato di regolazioni di attacco e rilascio ci permettere
di intervenire sulla rapidità di reazione alle variazioni del segnale d'ingresso. Il tempo impiegato dal
compressore a ridurre il guadagno fino a raggiungere il livello indicato dal rapporto di compressione è
chiamato ATTACK (attacco). Il RELEASE (rilascio), al contrario, corrisponde alla fase in cui il compressore
aumenta il guadagno in modo da raggiungere il livello indicato dal fattore di compressione. La lunghezza
di entrambe le fasi è determinata dall'entità del cambiamento nel segnale d'ingresso e dalla
corrispondente modifica del guadagno. Per rendere la regolazione più intuitiva, i controlli di attacco e
rilascio sono spesso tarati in unità di tempo ms. (millisecondi). Questo è il tempo che sarà impiegato dal
guadagno per crescere o diminuire di un certo numero di dB, in molti compressori i tempi di attacco e
rilascio sono regolabili dall'utente; alcuni compressori, tuttavia, hanno tempi di attacco e rilascio
determinati dalle caratteristiche di progetto e non possono essere regolati.
Tono
Il compressore di norma tende a scurire il suono, per questo motivo i compressori hanno un controllo di
tono per ripristinare la “brillantezza”. Il compressore le frequenze che tratta prima ovviamente sono gli
acuti perché hanno frequenze superiori. (vedi esempio)
Routing (Signal flow)
Il compressore può essere inserito prima o dopo un pre, il suono che si ottiene è differente. Se utilizzo un
compressore prima dello stadio di pre otterrò una gamma dinamica inferiore, ma un suono più fluido,
mentre se lo utilizziamo, dopo avremo maggiore omogeneità di volume ma una migliore differenziazione
timbrica, perché davanti a un pre valvolare suonando piano avrò un clean e se suono più forte avrò un
crunch, quindi una gamma di volume meno dinamica.
Stesso discorso vale con gli overdrive/distorsori...un fattore da tenere conto in questo caso è l’incremento
del noise floor (Rumore essenziale), infatti utilizzando il compressore dopo un overdrive, avrai un
incremento di rumore.
Differente se si utilizza prima o dopo un wha, infatti collegandolo, a monte magicamente ci allunga
“l’escursione” del wha...
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LISTA TRACCE ESEMPI AUDIO CD “La compressione”
Brano 1. Freak out (Chic) Ritm ica funky
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
1
2
3
4
5
-
Ritmica funky con accordi staccati in sedicesimi senza compressione.
Ritmica funky con accordi staccati in sedicesimi con compressione.
Brano con ritmica funky senza compressione.
Brano con ritmica funky con compressione.
Base.
Settaggi compressione utilizzata sulla chitarra nella traccia 2.
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Threshold: -35dB
Ratio: 20:1
Attack: 2ms.
Release: 5ms.
Out: +16 dB
Brano 2. September (Earth, wind & fire) Riff e Ritmiche funky
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Traccia 6
Traccia 7
- Riff funky (Left) con note singole senza compressione.
- Riff funky (Left) con note singole con compressione.
Settaggi compressione utilizzata sulla chitarra nella traccia 7.
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Threshold: -36dB
Ratio: 3:1
Attack: 15ms.
Release: 35ms.
Out: +1 dB
Traccia 8
Traccia 9
- Ritmica funky (Right) senza compressione.
- Ritmica funky (Right) con compressione.
Settaggi compressione utilizzata sulla chitarra nella traccia 9.
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Threshold: -48dB
Ratio: 4:1
Attack: 5ms.
Release: 3ms.
Out: +18 dB
Traccia 10 - Brano con chitarre Dry.
Traccia 11 - Brano con chitarre Wet.
Traccia 12 - Base.
Brano 3. Concrete Skies (Steve Trovato) Solo in stile country
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
13
14
15
16
17
-
Solo senza compressione.
Solo con compressione.
Brano con chitarre Dry.
Brano con chitarre Wet.
Base.
Settaggi compressione utilizzata sulla chitarra nella traccia 14.
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Threshold: -18 dB
Ratio: 5:1
Attack: 3 ms.
Release: 100 ms.
Gain: +5 dB.
10
Brano 1 (Il Compressore)
Brano 2 (Il Compressore).
11
Brano 3 (Il compressore).
12
13
LA DISTORSIONE
Introducendo l'argomento dei distorsori, definiremo per prima cosa la distorsione dal punto di vista fisico
generale.
La distorsione è definita come l'alterazione di una forma d'onda. La distorsione è generalmente
indesiderata, ma nel campo della musica rock è spesso perseguita in maniera intenzionale ed è indotta
artificialmente per deformare il segnale elettrico proveniente dai pick-up della chitarra al fine di ottenere
un suono più aggressivo.
La distorsione di un segnale audio può avvenire in uno dei seguenti modi:
-Distorsione di ampiezza: Quando l’ampiezza d’uscita è superiore all’ampiezza d’ingresso, per esempio
nel caso di un booster.
-Distorsione di frequenza: Avviene quando frequenze diverse sono amplificate con coefficienti diversi,
causata dai filtri, questa distorsione è principalmente causata dalle stanze acustiche, altoparlanti scadenti
e microfoni, cavi per altoparlanti lunghi in combinazione con la frequenza dipendente dell’impedenza
dell’altoparlante, etc.
Un particolare tipo di distorsione causato dalla risposta in frequenza del sistema attraversato è la
distorsione per 'taglio di banda' dovuta alla banda passante del canale che può essere inferiore a quella
del segnale in input.
-Distorsione di fase: Effetto presente nei sintetizzatori anni '80 tipo Casio della serie CZ. Il segnale
d’ingresso non è amplificato con la stessa fase, portando il segnale di uscita ad essere fuori fase con il
segnale iniziale.
-Distorsione inter modulare o di non linearità: La distorsione d’intermodulazione è molto importante
per i chitarristi ed è generalmente indesiderata e da evitare, perché causa l'annullamento di frequenze.
La distorsione valvolare
Una chitarra elettrica può fornire in uscita un segnale prolungato di circa 50 millivolt. Un segnale di
questo livello può sovraccaricare o portare in " overdrive" l'amplificatore e tale sovraccarico può causare
distorsione nello stadio di preamplificazione o di potenza, quando la chitarra sia suonata ad alto volume.
Negli anni '60 il chitarrista che voleva far distorcere l'amplificatore doveva mettere a "palla" lo stesso
amplificatore: praticamente ne alzava al massimo il volume. Successivamente si trovò la soluzione
tecnica di mandare in saturazione il preamplificatore e ponendo un potenziometro dopo il pre (Master
volume) si aveva la possibilità di regolare a piacere il volume del suono appena saturato ottenendo
pertanto la distorsione del suono anche a volume basso.
•
Potete provare la funzione “Master Volume” con l’ausilio di un ampli “vintage”, oppure se avete un
ampli moderno regolando in maniera adeguata il gain. trovate, l’esempio audio dell’intro del
brano “Litte Wing” di Jimi Hendrix nel cd in allegato, mentre la trascrizione fatta da me la trovate
nelle ultime pagine di questo capitolo.
14
Il boost (clean, treble e fat)
Clean boost: L'uso del boost è molto semplice, ma molte possono essere le sfaccettature che può dare
al suono. Il clean boost, in altre parole un piccolo pre che nulla dovrebbe aggiungere al suono,
semplicemente aumenta il livello, senza influenzare tono e distorsione.
Treble booster: Questo tipo di booster è utilizzato per aumentare la presenza delle medie e delle alte
frequenze. Utilizzato da grandi chitarristi come Ritchie Blackmore, David Gilmour, ma soprattutto da
Brian May, che ha dato vita a un sound unico e inconfondibile, lo scopo era quello di saturare lo stadio
finale di amplificazione costituito dai quattro pentodi EL84.
Il treble booster infatti è in grado di saturare l’amplificatore valvolare. Col passare degli anni Brian May
adoperò vari tipi di treble booster (i primi erano costruiti con transistor al germanio), per poi passare ad
altri pedali che, non essendo al germanio, davano un timbro più secco ed aggressivo.
Brian May era solito inoltre usare il treble booster assieme al Deacy Amp, un piccolo amplificatore da
circa 0,45 Watt di potenza, costruito dal bassista John Deacon nel 1970 utilizzando materiale elettronico
recuperato da un vecchio fonografo Philips AG 4127. Il circuito fu inserito in una vecchia cassa acustica in
massello e collegato a due speakers da sei pollici e mezzo, da 16 ohm ognuno, uno del quale filtrato
tramite un condensatore che fungeva da filtro passa-alto.
Era utilizzato preceduto da un treble booster (inizialmente una Dallas Rangemaster) e, privo di uscita
diretta, era microfonato per essere ulteriormente amplificato in uno o due Vox AC30 (nove o sedici dal
vivo).
Fat boost: Questo effetto a differenza dei booster descritti sopra tende a enfatizzare la parte bassa del
nostro suono, l’effetto che si ottiene è un “ingrossamento” del nostro suono…
Routing del boost: Usare un boost in fronte all'ampli può aumentare il volume, ma questo dipende dal
gain al quale sono sottoposte le valvole d’ingresso. Ovvero dipende dal margine di pulito disponibile. Le
valvole di pre hanno un margine di pulito che permette di aumentare il volume fino a un certo livello oltre
il quale non aumenta più, ma il segnale va in clipping, ottenendo la saturazione.
Maggiore è la saturazione delle valvole di pre minore sarà l'effetto del boost. Questo comporta che nel
caso di una ritmica molto satura attivando un boost avremo un ulteriore impastamento e compressione
del suono ma pochissimo incremento di volume. Se invece la nostra ritmica non è “esasperata” e il pre ha
ancora una buona riserva di guadagno, allora otterremo un aumento di volume unitamente ad un
aumento di saturazione limitato dalla headroom del pre. Per ovviare a questo è possibile cercare di
ottenere la distorsione a monte, con un distorsore, così da lasciare al pre lo "spazio necessario" per
l'incremento di volume. Tutt'altro discorso invece è il boost nel loop effetti. Tuttavia è da verificare prima
di tutto se il boost che è utilizzato sia dotato di una headroom sufficiente per "reggere" il livello di un loop
seriale. Se il boost è tarato per lavorare a -10dB e è inserito in un loop che lavora a +4dB, allora avremo
un effetto imbuto che vanifica qualsiasi tentativo successivo. Una volta verificato ciò, il boost inserito nel
loop semplicemente funge da master volume.
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L'overdrive
Quando si parla di overdrive, si parla di soft clipping. Infatti questo tipo di effetto ha una tipologia
costruttiva diversa dal distorsore che crea un hard clipping mediante il suo circuito. Quest'ultimo distorce
la nota, modificandone la forma d'onda originaria, l'overdrive non la modifica così radicalmente. Nel
circuito di un overdrive in genere troviamo (vedi figura sottostante) due diodi al silicio in antiparallelo
(posti in parallelo ma invertiti ingresso e uscita) rispetto all'uscita dell'amplificatore operazionale, posti
nella retroazione, dove il loro intervento viene in parte mitigato a causa della miscelazione fatta
dall'amplificatore operazionale con il segnale “pulito” che possiamo trovare nel circuito. Il controllo del
gain in questo tipo di circuito regola la quantità di segnale che passa nei diodi, arrivando nella posizione 0
ad annullarne completamente l'effetto. Nell'overdrive è presente la sezione di clipping formata da due
diodi come nel distorsore ma al suo contrario, questi non agiscono su tutto il segnale perché il segnale in
uscita dall’overdrive è il risultato del mix tra il segnale pulito e quello squadrato.
Il distorsore
Il distorsore invece, può considerarsi il diretto discendente dell'overdrive con il quale condivide un
funzionamento di base piuttosto simile: simula infatti il naturale effetto di saturazione di un cono in cui è
immesso un segnale a volume troppo alto, ma a differenza del suo "prototipo", esaspera questo effetto.
Tale dispositivo genera un segnale in uscita a onda quadra della stessa frequenza di quello in ingresso alla
chitarra, infatti è per questo motivo che si parla di hard clipping con il distorsore. La proporzione tra segnale
non distorto e onda quadra è definita dalla quantità di segnale che è mandata alla sezione di clipping. Di
base nel distorsore il livello del segnale non è ridimensionato come nel caso dell'overdrive ma l'onda è
troncata per l'effetto di clipping totale. In un tipico circuito distorsore (vedi figura sottostante) l'effetto è
ottenuto passando la totalità del segnale nella sezione di clipping, formata da diodi al silicio o in alcuni casi
diodi led.
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Differenza tra distorsore e overdrive
La differenza sostanziale (come si può vedere nella figura qui sotto) è che l'overdrive non taglia (clipping)
le frequenze, ma abbassa l'ampiezza dell'onda in maniera non lineare, mantenendo il picco all'interno del
range. La distorsione, invece, taglia l'onda al livello massimo, introducendo molte più armoniche.
L'overdrive è un suono saturo più "leggero" e caldo di un suono distorto, che è invece molto più incisivo e
rumoroso. L'effetto di overdrive è ottenibile anche a volumi bassi con i soli comandi "gain" e "volume" di
un qualsiasi amplificatore.
Il clipping
Non possiamo parlare di “ distorsione” o di “overdrive” se non prendiamo confidenza con il termine
inglese “clipping”, tradotto in italiano “tosatura”, che sta alla base del fenomeno della distorsione del
suono originato dagli strumenti elettrici.
Il “clipping” è il taglio dell'ampiezza massima del segnale che può essere moderato, cosiddetto “soft
clipping”, in altre parole aggressivo, letteralmente “hard clipping” della distorsione propriamente detta e
del suo suono “crunch”.
Nella figura seguente è riportato come si presenta il taglio della forma d'onda di un segnale nei due casi,
“soft” e “hard clipping” rispetto alla forma originaria.
Una forma d'onda originaria può avere due tipi di “clipping”.
Si vede facilmente che nel primo caso il segnale mantiene la forma della cuspide arrotondata sia al valore
massimo sia al valore minimo ed in tal caso si ottiene l'effetto overdrive, nel secondo caso invece le
forme d'onda presentano una vera e propria squadratura con il taglio della parte alta e bassa della
sinusoide.
Tali artifici producono altri segnali e quindi suoni di frequenza più elevata non presenti nella forma
originaria. I circuiti elettronici presenti nei pedali non fanno altro che manipolare quindi i segnali di
partenza, introducendo in misura in parte consistente l'effetto del “clipping”.
I vari modelli si differenzieranno poi per il grado di “smusso” che è artificialmente provocato dal circuito,
il valore dell'ampiezza del segnale in cui è fatto intervenire il taglio del “clipping”, il rapporto di
preamplificazione del segnale, le frequenze eventualmente filtrate e il grado di missaggio del segnale
originario con quello “clippato” che s’invia all'output; ma il funzionamento e quindi i comandi di base di un
effetto a pedale restano praticamente invariati e comuni tra i vari tipi di modelli.
Riportando un esempio più fedele alla realtà, il segnale di una forma d'onda complessa si presenterebbe
dopo l'effetto del “clipping” come nella figura seguente.
17
Nell'immagine sopra abbiamo un suono di chitarra prima e dopo aver applicato l'effetto del clipping.
Si può avvertire il passaggio a un suono invariato in frequenza ma che dopo il clipping assume una
timbrica e un sustain sostanzialmente modificati dal punto di vista musicale.
Tagliando cioè le ”teste” il suono appare più ricco e interessante perché compare, proprio per effetto di
questi tagli tutto un insieme di altre frequenze cosiddette armoniche superiori o parziali che arricchiscono
il suono e soprattutto gli forniscono più sustain.
Analogamente possiamo confrontare il suono di una nota elementare di frequenza 440Hz dalla forma
sinusoidale con la stessa nota alla stessa frequenza ma con forma d'onda quadra. Si avverte bene la
differenza di sustain con la nota dalla forma quadra che contiene più armoniche e quindi è più gradita al
nostro orecchio.
Vedremo che la distorsione taglia le teste delle onde sinusoidali "squadrando" l'onda originaria.
Ciò crea più armoniche producendo lo stesso effetto di un’onda elementare quadra rispetto alla stessa
onda sinusoidale con la stessa frequenza.
La fuzz box
Il pedale per l'effetto fuzz è detto fuzzbox e comprende un amplificatore ed un circuito di clipping.
Supponiamo di esasperare la manipolazione dell'onda, prima amplificandola e successivamente
tagliandola. Avremo praticamente originato un’onda quasi “quadra” il cui principio è alla base della
cosiddetta “fuzzbox” e dell'effetto”fuzz”.
Tale dispositivo genera un segnale in uscita dalla forma di un’onda quadra della stessa frequenza di
quello in ingresso. Il risultato è una mescolanza tra il segnale della chitarra amplificato e l'onda quadra.
La proporzione tra segnale non distorto e onda quadra è definita da un controllo di mixaggio denominato
in genere distortion o gain.
Quando la tensione del segnale in ingresso ha raggiunto un livello che provoca il "clipping", qualsiasi
ulteriore incremento del segnale in ingresso non determinerà alcun mutamento del segnale in uscita.
Una manipolazione pesante dell'onda fino a renderla quasi squadrata produce un effetto molto distorto e
molto interessante dal punto di vista musicale ma deve fare i conti anche con il rovescio della medaglia
legato alla distorsione d’intermodulazione che invece produce suoni tipici di un sintetizzatore “stonato”.
I circuiti elettroni dei distorsori interverranno pertanto sul segnale cercando di “squadrare” la forma
d'onda con l’accortezza di ridurre quanto più possibile l'effetto della distorsione d’intermodulazione.
Per ridurre gli effetti della distorsione d’intermodulazione si cerca di arrotondare gli spigoli del “taglio”.
18
La storia del distorsore
Il distorsore è considerato il primo vero effetto per chitarra elettrica. Inizialmente la distorsione era avvertita come un
fastidioso effetto dovuto all'esigenza di alzare il volume dell'amplificatore per far sentire la voce dello strumento nella
band.
Lavorando ad alti volumi gli amplificatori dell'epoca andavano infatti in saturazione e tendevano a produrre un suono
distorto naturalmente. Il suono risultava arricchito di “ armoniche” ed aveva una timbrica particolare che a lungo
andare è iniziata a piacere e anzi ad essere ricercata dai musicisti. Attribuire la paternità circa le prime apparizioni
dell'effetto distorsione sulla scena del rock è un po' arduo.
Volendo andare a ritroso alle prime esperienze dei complessi degli anni 50 , bisogna per forza di cose scovare negli
annali del “Johnny Burnette & The Rock'n'Roll Trio” per ritrovare le prime sperimentazioni sulla distorsione. Il
chitarrista del Trio, Paul Burlison, racconta di come riuscì un giorno a ottenere il suono distorto della chitarra
semplicemente accorgendosi che l'amplificatore aveva una valvola allentata.
Nelle sessioni registrate nel 1956 delle songs “The train kept A-rollin'” e “Honey Hush”, è possibile avvertire un effetto
che lo stesso chitarrista considera l'archetipo della distorsione e che costituisce il primo esempio di una registrazione
effettuata riproducendo un effetto apparso in maniera casuale.
Molti storici comunque spiegano questo effetto come semplicemente dovuto al contatto di una corda della chitarra con
i suoi pick-up, e l'esempio riportato è da considerarsi pertanto, nella sua casualità, non dissimile dagli altri tentativi
perseguiti dai musicisti di allora di ottenere la distorsione del suono tagliando con un rasoio i coni degli altoparlanti.
Successivamente si cominciano a sperimentare le sonorità' ottenute portando gli amplificatori a tutto volume, e
facendoli funzionare in un regime in cui il segnale della chitarra non è più amplificato in maniera lineare, ma viene
necessariamente “tagliato” per effetto della saturazione delle valvole.
A quei tempi l'effetto della distorsione si otteneva esclusivamente l'amplificatore a tutto volume poiché solo dopo, con
l'avvento degli amplificatori Marshall, muniti di comandi del “gain” distinti dal comando di volume, fu possibile ottenere
un vero e proprio effetto di distorsione aumentando, indipendentemente dal volume, il controllo del “gain” delle valvole
dello stadio di preamplificazione.
Agli inizi degli anni sessanta cominciano a fare le prime apparizioni delle strane scatolette usate dai musicisti dell'epoca
soprattutto negli studi di registrazione.
Racconta Big Jim Sullivan, forse il chitarrista inglese più "registrato" degli anni sessanta e settanta: "I session-man più
anziani mi chiamavano il 'Mostro Elettrico', perché facevo gemere e strillare la chitarra quando tiravo e piegavo le
corde... Ho registrato gli assolo su "Hold Me" e "Together" di P.J.Proby e anche questi fecero scalpore perché si
trattava della prima fuzz box usata in Inghilterra. Moltissime persone pensano che sia stato Jimmy Page il primo ad
avere una fuzz box, ma non è così. Fu Eric Ford a presentarsi un giorno in sala con questa piccola scatola dorata
marchiata Gibson. Mandò fuori di testa Keith Grant, il fonico degli Olympic Studios fu registrata una sola take del
pezzo "Hold Me" e spinse P.J.Proby sulla strada del grande successo".
Divagando inoltre sulla difficoltà di ricercare il giusto effetto e grado di distorsione sempre Sullivan ricorda: " È
veramente molto importante". Una delle cose più interessanti in questo senso è scoprire quanto le orecchie possano
essere sensibili e percettive. Quando stai progettando un congegno, devi stare molto attento ad obbedire alle leggi
naturali... nel momento in cui le orecchie sentono un suono e lo riconoscono come sintetico o innaturale - come il
suono di un sintetizzatore, ad esempio - il cervello ne è decisamente insoddisfatto. Per una persona esperta è
realmente possibile intonare, definire un pedale come il Fuzz Face. E ottenere il suono specifico necessario per
l'occasione.
Se né può cambiare completamente la timbrica e questa diventò la mia specialità. La cosa più importante è la coda del
segnale, il suo decadimento... noi volevamo aggiungere armoniche seguendo una logica matematica in modo da
raggiungere un risultato musicale. È facile costruire un fuzz rendendo quadra la forma d'onda del segnale, ma il vero
segreto è nel sapere come deviare il normale funzionamento di un transistor". Numerose sono state le rivendicazioni di
chi sostiene di aver portato al successo il primo pezzo suonato sulle note manipolate da un distorsore.
Lo rivendicava John Lennon dei Beatles e Jeff Beck dei primi Yardbirds, ma il brano che tutti ricordano e identificano
nella storia del Rock come il brano che ha sancito il successo dei distorsori a pedale è Satisfaction dei Rolling Stones
pubblicato nel 1965. Nel maggio di quell'anno Keith Richards usò la prima fuzzbox disponibile sul mercato, il Maestro
FZ-1 Fuzz Tone che aveva fatto il suo debutto nel 1962. Le prime Fuzz box usavano transistor al germanio. Erano
molto semplici nella loro concezione, e infatti i circuiti comprendevano in tutto due transistor , quattro resistenze e due
condensatori.
Agli inizi i circuiti erano montati in scatolette di legno poi sostituite dalle classiche forme dei “pedalini” in metallo. Si
ebbe pertanto un’evoluzione più per quanto riguarda la costruzione dell'involucro che per quanto attiene il progetto
vero e proprio del circuito, che si modificò per successive approssimazioni senza però rivoluzionare la soluzione
progettuale originaria. I circuiti erano infatti molto semplici e prevedevano un solo circuito di amplificazione e uno per
il “clipping”in un’architettura compatta e funzionale che rapportata all'effetto rivoluzionario prodotto molti ritengono sia
stata più scoperta in maniera fortuita che invece il frutto di un progetto studiato a tavolino. Verso la fine degli anni 60'
i transistor al germanio delle FuzzBox furono sostituiti con i transistor al silicio, più affidabili nella produzione di serie e
nel funzionamento.
Altri tipi di fuzzbox , altrettanto noti e diffusi negli anni 70 sono stati il Mosrite Fuzz RITE, il Fuzz Face usato da Jimy
Hendrix, il Big Muff PiVox Tone Bender usato da Paul McCartney .
Jimy fu il primo ad utilizzare le sue Fuzz box in combinazione con altri effetti. Infatti usava talvolta un pedale Wah con
ingresso successivo nella Fuzz Face, per produrre una distorsione maggiore proprio sulle frequenze manipolate
dall'effetto Wah.
Potete cimentarvi anche voi in qualche esperimento . Per convincersi di come cambia l'effetto della distorsione alle
varie frequenze, basta collegare un equalizzatore grafico prima e dopo il pedale del distorsore. Smanettando nelle
varie combinazioni di frequenza potrete avere una nuova visione d’insieme sul distorsore e sul suo funzionamento.
Da allora i gusti e i generi musicali sono aumentati e si sono diversificati tanto che negli anni settanta con la comparsa
dei primi gruppi Metal il distorsore è entrato massicciamente in uso nella scena del rock non solo legato alla chitarra
ma anche agli altri strumenti elettrici.
Non si può completare una panoramica sui distorsori e overdrive senza richiamare i classici e diffusissimi circuiti della
MXR, della ProCo Rat , il Super Overdrive DS-1 della Boss e ancora il popolarissimo Tube Screamer della Ibanez legato
al mito di Steave Ray Vaughan.
Attualmente vi sono in commercio una miriade di distorsori e overdrive di tipo analogico e digitale , per cui è
impossibile elencarli tutti.
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LISTA TRACCE ESEMPI AUDIO CD “La distorsione”
“Master Volume”
Brano 4. Little Wing (J.Hendrix) Ritmiche Clean (Right) e Crunch (Left).
•
•
•
Traccia 18
Traccia 19
Traccia 20
- Ritmica Left (Suono Crunch).
- Ritmica Right (Suono Clean).
- Entrambe le chitarre (Crunch sul Left e Clean sul Right).
Settaggi amplificatore utilizzato nella traccia 18.
•
Preamp a 10 e Master a volume moderato.
Settaggi amplificatore utilizzato nella traccia 19.
•
Preamp a 2 e Master al massimo.
•
•
Traccia 21
Traccia 22
- Brano completo.
- Base.
“Clean Boost”
Brano 5. Another brick in the wall (Pink Floyd).
•
•
•
•
•
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
23
24
25
26
27
-
Frammento del solo (Senza Clean Boost).
Frammento del solo (Con il Clean Boost).
Frammento del solo (Traccia senza Clean Boost “normalizzata”)
Brano Completo.
Base.
“Treble Boost”
Brano 6. One vision (Queen).
•
•
•
•
•
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
28
29
30
31
32
-
Riff senza Treble Boost.
Riff con Treble Boost.
Brano con chitarre Dry.
Brano con chitarre Wet.
Base.
“Overdrive con ampli High Gain”
Brano 7. Superterrorizer (Black Label Society)
•
•
•
•
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
33
34
35
36
-
Ritmica singola solo ampli high gain.
Ritmica singola con ampli high gain + overdrive.
Brano con chitarre + overdrive.
Base.
“Distorsore vs. Overdrive”
Brano 8. Innocence Faded (Dream Theatre)
•
•
•
•
•
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
37
38
39
40
41
-
Riff con distorsore.
Riff con overdrive.
Entrambe le chitarre.
Brano completo.
Base.
20
Brano 4 (Il Master Volume).
21
Brano 5 (Il Clean Boost).
22
23
24
Brano 6 (Il Treble Boost).
25
Brano 7 (Overdrive abbinato ad un ampli High Gain).
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Brano 8 (Gtr. Left “Distorsore” – Gtr. Right “Overdrive”).
27
28
29
30
L’EQUALIZZATORE
Parleremo dell’equalizzatore come unità esterna, non l’equalizzatore che sta all’interno del nostro
amplificatore. Gli equalizzatori più utilizzati da noi chitarristi sono quelli grafici, semi parametrici e
parametrici, gli ultimi sono di tipo professionale e li possiamo trovare in ogni mixer di buona qualità.
L’equalizzatore non fa altro che variare lo spettro del suono, dobbiamo sapere che il suono è formato da
armoniche superiori che vanno a comporre il suono della chitarra, se noi andiamo a variare il peso delle
armoniche superiori rispetto la nota fondamentale noi andremo a variare il timbro.
I controlli principali che possiamo trovare in un equalizzatore grafico, sono il numero di bande (dove
interverremmo per aggiustare la frequenza o le frequenze che vogliamo), uno slider o potenziometro per
l’output dove fare il mach del volume, come abbiamo visto nell’esempio del compressore e nei modelli più
costosi un gain per l’input.
Nell’equalizzatore parametrico a differenza di quello grafico possiamo scegliere la frequenza con molta
precisione mediante un potenziometro, aumentando o attenuando la frequenza scelta con il gain, in più
possiamo intervenire sulla campanatura (Q) della frequenza selezionata, infatti questo parametro ci
consente di intervenire in maniera più o meno pesante sulle frequenze adiacenti.
Questo parametro può essere d’aiuto per cercare in maniera molto precisa la frequenza dove vogliamo
intervenire con il gain (ES. togliere un armonico fastidioso su un rullante). Sempre in questo tipo di
equalizzatori troviamo i filtri Passa Alto (High Shelf) e più Basso (Low Shelf), se per esempio azioniamo
un filtro, passa Alto impostato sui 4KHZ lui ci farà sentire solamente il suono prima dei 4KHz. Stessa cosa
vale utilizzando un filtro passa Basso.
Trovare le frequenze
Iniziamo con un argomento sottovalutato ma importante: come si fa ad individuare una particolare
frequenza?
Immaginiamo che abbiamo capito che la frequenza che ci dà fastidio sia nei medi, ma non sappiamo
come individuarla. Andiamo allora nella sezione dei medi del nostro equalizzatore e mettiamo il controllo
della larghezza di banda (Q) al valore più basso possibile, ossia in modo che l'equalizzazione che stiamo
andando a operare interessi la porzione minore possibile di spettro.
Ora alziamo al massimo il controllo del gain e muoviamoci abbastanza lentamente con il controllo della
frequenza. Quando sentiremo altissima la frequenza che ci dà fastidio (e se ci dà fastidio, state sicuri che
sarà molto evidente nel momento in cui la troviamo) allora abbassiamo immediatamente il gain
realizzando il taglio di cui abbiamo bisogno.
A questo punto possiamo anche decidere se vogliamo allargare la campana o se preferiamo lasciarla al
minimo.
31
Taglio dei bassi (High pass filter)
Questa è una pratica molto diffusa nelle situazioni live. Poiché è opinione diffusa che non c'è nulla che sia
utile riprodurre di sotto i 40 Hz dal vivo (Attenzione non da confondersi con il taglio degli 80Hz che
troviamo in vari mixer!), allora in genere è effettuato un taglio complessivo sotto i 40 Hz. Questa
naturalmente sarebbe una follia in studio durante una registrazione, ma un taglio sotto i 40 Hz dal vivo
aiuta a ridurre eventuali rumori sul palco, riduce l'effetto di "rimbombo" che può essere causato dalle
frequenze del basso e della cassa, aumenterà l'headroom degli amplificatori e in generale farà suonare il
mix complessivamente più "pulito".
La chitarra elettrica
In genere i chitarristi abituati a suonare a casa sul proprio amplificatori a volumi relativamente bassi,
amano utilizzare un'equalizzazione che presenta bassi profondi e medio-alti in abbondanza che danno
presenza agli assoli. I medi in genere vengono lasciati come sono o leggermente tagliati.
Questa equalizzazione può andare benissimo a casa, o in situazioni in cui il chitarrista stia tenendo la
scena da solo, ma darà pessimi risultati in tutte le situazioni in cui il suono della chitarra vada incluso in
un mix.
In realtà la chitarra è il più tipico degli strumenti mid-range, quindi date importanza ai medi della chitarra
e se non riuscite a farli stare nel mix, allora cercate di capire su quale altro strumento è possibile
tagliarne un po'.
Consigli più mirati sono difficili perché il suono della chitarra elettrica dipende da tanti di quei fattori
(chitarra, ampli, effetti, etc.) che è impossibile prevedere cosa uscirà dalle mani del chitarrista e dalla sua
strumentazione.
Qualche frequenza da tenere in considerazione: 750 Hz, 1 kHz, 3 kHz, 5 kHz, 8 kHz, 10 kHz sono tutti
possibili candidati per un boost. Se invece sentite il suono un po' troppo "ruvido", provate a fare un taglio
tra i 250 Hz e i 500 Hz.
Routing
Nel caso in cui vogliamo utilizzare un equalizzatore per cambiare radicalmente il timbro, dovremo
collegarlo a valle dei processori di dinamica (Overdrive, distorsori, compressori…).
Esempio: Chitarra - overdrive – equalizzatore - amplificatore; in questo caso il segnale passando da un
overdrive avrà una maggiore massa di armonica superiore essendo passato attraverso un overdrive,
sappiamo infatti che la distorsione “come spiegato nel capitolo precedente”, aumenta la massa armonica
superiore…
Al contrario se lo inserisco prima di un overdrive, vorrà dire che quest’ultimo distorcerà meno su certe
frequenze, come ad esempio la funzione del mid-boost in certe chitarre anni 80…Un altro esempio che
possiamo fare è l’utilizzo di un compressore assieme ad un equalizzatore, inserire quest’ultimo a monte o
a valle del compressore influenzerà il suono in maniera differente. Consiglio di provare entrambe le
combinazioni e utilizzarli a nostro piacere… Un ultimo esempio potrebbe essere nell’utilizzarlo come
booster, sempre a valle dei processori di dinamica oppure nell’effect loop.
La chitarra acustica
L'acustica in generale è più difficile dell'elettrica, ma in questo caso il controllo del suono è tutto in mano
al fonico che piazza il microfono e si regola l'equalizzazione.
Non c'entra con questo tutorial ma vi ricordo di non microfonare mai la chitarra acustica piazzando il
microfono direttamente davanti al foro! La posizione ideale è una decina di centimetri spostata verso il
manico. Con l'acustica può essere utile un po' di taglio sui 100 Hz per ridurre un po' di rimbombo, così
come un taglio verso i 300 Hz può essere utile se il suono risulta un po' ruvido.
Se volete un suono più brillante, provate con frequenze come 700 Hz, 750 Hz, 1.2 kHz, 5 kHz, 8 kHz, 10
kHz. Qualche esperimento sarà utile.
La qualità
Sembrerà una banalità, ma ricordate sempre che non c'è nulla che sostituisca la buona qualità. Se
utilizzate microfoni, mixer, amplificazioni e, in generale, strumentazioni di scarsa qualità, allora non
aspettatevi di poter fare miracoli con l'equalizzazione!
32
IL PEDALE DEL VOLUME
Questo non è esattamente un effetto, poiché non modifica assolutamente il suono: l'unico scopo è di
controllare il volume del segnale che passa al suo interno. Il pedale del volume è composto di un corpo in
metallo (le versioni economiche sono in plastica ma, come vedremo, sono vivamente sconsigliate) che
ospita un pianale basculante. Il pianale controlla, tramite una guida zigrinata, un potenziometro che
regola il volume del segnale: il pianale alzato chiude il percorso al suono; man mano che si abbassa il
pianale, il potenziometro si apre fina a lasciare passare tutto il segnale (pedale piatto). E' quindi un
procedimento semplicissimo.
Molti pedali hanno inoltre un potenziometro di controllo del volume minimo (posto esternamente al
pedale) che controlla il volume iniziale della corsa del pianale. Se regolato alto, anche a pianale alzato il
segnale passa comunque (nella misura da noi impostata appunto sul potenziometro). Questo sistema è
utile se si vuole tenere uno stesso suono, variandone però di poco il volume (ad esempio: pianale alzato,
ritmica; pianale abbassato, solo).
Oltre al potenziometro del volume, è possibile trovare un’ uscita per l'accordatore. Da quest’uscita passa
sempre il segnale e quindi, alzando il pianale, si può accordare lo strumento senza disturbare gli altri sul
palco. In ogni caso, è molto comodo utilizzare quest’uscita perché permette l'accordatura anche durante
l'esecuzione musicale (perciò senza perdere tempo nel cercare l'accordatore, attaccare e staccare cavi
ecc.). Rimane in ogni caso un componente essenziale nella pedaliera del chitarrista, poiché permette un
notevole controllo in tempo reale della performance, specialmente dal vivo. Ricordo inoltre che è possibile
trovare pedali del volume abbinati ad altri effetti, o a pedaliere di controllo.
I pedali del volume si distinguono in due categorie principali:
Pedale del volume mono. Possiede un’entrata (in) e un’uscita (out). Se posto subito dopo la chitarra,
non fa altro che sostituire il potenziometro del volume della chitarra stessa: è un sistema usatissimo e
molto comodo, poiché da' ampia libertà alla mano destra.
Pedale del volume stereo. Possiede due in e due out (in 1 - out 1, in 2 - out 2). Se si usa una sola
entrata, funziona come il mono. Collegando invece due entrate il pianale abbassato apre l’1 e chiude la 2;
a pianale alzato chiude l’1 e apre la 2. Questo sistema è utile per collegare due ampli o due effetti e
miscelarne o sceglierne i suoni. E' possibile trovare anche pedali con un’entrata che si divide in due
uscite: in questo caso il suono passa o su un’uscita o sull'altra (col pianale a metà corsa su tutte due).
Questo è un ottimo sistema per pilotare due ampli.
Nell'acquisto di un pedale del volume (mono o stereo che sia) verificate anche l'impedenza dello stesso,
poiché questa influisce sulla gestione del segnale di linea.
Pedale volume ad alta impedenza: Il potenziometro interno è nella stragrande maggioranza dei casi
da 250KΩ. Questo tipo di pedale è ottimale solamente per segnali ad alta impedenza quindi diciamo
prima di un preamplificatore (nel caso in cui lo inserissimo nell’effect loop, la funzione del volume minimo
del potenziometro sarebbe nullo).
Pedale volume a bassa impedenza: Il potenziometro interno è nella stragrande maggioranza dei casi
da 25KΩ. Questo tipo di pedale è concepito per essere abbinato a segnali a bassa impedenza e di linea,
quindi il suo posizionamento è nell’effect loop. Gli effetti che possiamo ottenere sono di tipo sweel con
l’aumento graduale del volume con la stessa quantità di distorsione (al contrario un pedale del volume
davanti al pre non ci manterrà la quantità di gain da volume min. a max.), altro effetto può essere per lo
scalino del volume tra ritmica e solo impostando con il potenziometro esterno la soglia desiderata.
VARI PEDALI…
Wha-wha: L’effetto più utilizzato dagli anni 70 dopo la distorsione. Prende il nome dal caratteristico
suono prodotto dal taglio e dal reinserimento graduale delle frequenze alte/tono per mezzo di un apposito
potenziometro azionato con la spinta del piede sul pedale rispettivamente verso la punta o verso il tacco.
A/B Box: E’ un pedalino o switching che ti consente di slittare il segnale della chitarra in due o più
segnali separati o inviare il segnale della chitarra prima in un amplificatore poi in un altro. Esempio:
Utilizziamo un Fender per i clean e un Marshall per i soli cambiando l’ampli con un semplice click. Oppure
possiamo utilizzare due amplificatori contemporaneamente.
Whammy Pedal: Questo pedale non è un harmonizer come erroneamente è definito, ma un pitch
shifter, non armonizza ma somma alla nota suonata e utilizzando il pedale a un intervallo che possiamo
impostare da un semitono sino a più ottave oppure creare dei detune.
Looper: E’ un effetto che sfruttando una memoria interna, ci da la possibilità di registrare la nostra
performance anche con l’ausilio di un click, per poi poter sovra incidere una seconda take sopra all’audio
precedentemente registrato.
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L’EFFECT LOOP
Per prima cosa chiariamo un po’ le idee, una testata che dietro ha un Send e Return (lasciamo stare se
l’effect loop sia seriale o parallelo, oppure se abbia o no la regolazione della diretta...) concettualmente è
come se avessimo un pre e un finale come quelli posti nei rack, il Send e il Return semplicemente splitta
la testata in pre e finale (quest’ultimo se sia valvolare o mosfet non cambia nulla...). Il Send è dopo la
parte amplificatrice mentre il Return è appena prima della parte finale. Se noi abbiamo pre e finale, il
Send sarà l’uscita del pre e il Return, l’ingresso del finale, infatti su alcuni Fender troviamo le sigle
“Preamp Out” e “Power Amp In”.
Se invece utilizziamo pedali preamplificatori, noi posizionandoli per terra senza alcun switch abbiamo
tutto a portata di mano e possiamo lavorare con il Send e Return proprio li... E’ come se avessimo preso
un cavo e fossimo usciti dal Send di una testata e ritornati sempre tramite un cavo nel Return della
stessa. Gli effetti che possono essere utilizzati nell’effect loop sono i processori di segnale che simulano la
presenza di un ambiente (riverbero, echo…), modificando la fase (phaser…) o aggiungendo un segnale
identico o simile all'originale ritardandolo di millisecondi (chorus, flanger, delay…).
Non è sempre vero che questi effetti vanno usati nel loop, vedremo nei prossimi capitoli dedicati a ogni
singolo effetto che si possono ottenere ottimi risultati senza l’uso dell’effect loop. Occorre a questo punto
capire prima di tutto cos'è il loop e dove è posto nella catena del segnale.
Nel loop arriva il segnale della chitarra già modificato in dinamica, infatti si usano quasi sempre distorsori,
compressori, overdrive prima di entrare nel preamplificatore. Il segnale che esce dal preamp dopo essere
stato bufferizzato (adattato in impedenza) e opportunatamente ridotto in ampiezza dal loop è adattissimo
a essere modificato dagli effetti d'ambiente perché dopo il loop e quindi dopo l'aggiunta degli ambienti, il
segnale va direttamente al finale che quasi mai è in distorsione.
Il motivo per il quale alcuni ambienti vanno messi nel loop è semplice, se il preamplificatore distorce e
l'ambiente è posto prima del preamp sarà distorto anche l'effetto d'ambiente creando un gran pastone di
suono e perdendo la definizione generale, in questo modo si ottiene un suono più cristallino e proprio
trasparente perché questi effetti agiscono su un segnale che è già stato creato e non intaccano la
costruzione del suono in sé. Un delay o un riverbero vanno tendenzialmente usati nel loop effetti in modo
da avere le ripetizioni o la coda ben definita e presente.
Effetti come il chorus o il phaser possono essere usati sia davanti al preamplificatore sia nel loop.
Personalmente mi piace molto come suona il phaser messo davanti e poi distorto. Direi che gli unici
effetti che vanno usati nel loop sono delay e riverbero, a patto di usare la distorsione del preamplificatore
e di non far saturare il finale.
Ti spiego con un esempio. Lead distorta + delay >> ponendo il delay prima del pre, quindi insieme ai vari
distorsori e agli altri pedali, il delay influisce direttamente sul segnale della chitarra e modifica la
costruzione stessa del suono (quindi ammesso che tu stia usando la distorsione, dell'ampli, questa
distorce anche il segnale in ritardo del delay...). Ponendo invece il delay dopo il pre, nel Send Return, il
suono distorto è già pronto, già formato, e tu applichi direttamente a questo segnale il delay...
Risultato>> nel primo caso il suono è sporco e mal definito (è modificato anche il suono del delay), nel
secondo caso il suono è più trasparente (il delay è solo sommato a un segnale già pronto) Tutto questo a
livello teorico. Se sei come me che applico la teoria alla pratica, le modulazioni sono d'obbligo nel Send
Return. Nulla ti vieta però di provare a mettere un chorus prima del pre o un delay. o quello che vuoi!
Potresti ottenere dei risultati che, magari non sposano la teoria, ma sposano il tuo gusto! Il concetto di
quali effetti in Send/Return è abbastanza semplice, ma all'atto pratico il gusto personale è essenziale per
la scelta. La regola che determina quali sono gli effetti che andrebbero inseriti in s/r è legata al tempo di
ritardo.
Con i suoni clean tutto questa discussione è totalmente inutile…
Man mano che la componente di ritardo e il suo livello diminuisce, diminuisce, quindi passando da un
delay al riverbero, il problema diminuisce di entità. Un reverb appena presente di base il suo alone lo
fornisce anche messo prima della distorsione. Anche se messo dopo ha chiaramente una definizione
maggiore, ma impasta meno del delay. I chorus e flanger di fatto sono effetti con una componente di
ritardo molto ridotta, andiamo dai 20-40 ms. del flanger ai 60-80 del chorus. Con un ritardo così ridotto
di fatto l'impastamento è irrilevante, ma entra in gioco un altro fattore, il gusto personale. Molti chitarristi
difatti preferiscono, a livello di pasta sonora, il chorus e il flanger posto davanti alla distorsione un quanto
l'effetto risultante è nettamente più morbido.
Si può tranquillamente dire che chorus e flanger possono essere posti davanti o in s/r secondo il gusto
personale e non tanto per la definizione del timbro. Ultima nota invece per gli effetti dinamici che nulla
hanno a che fare con i ritardi. Per esempio il compressore.
Questo generalmente è utilizzato come primo effetto della catena, tende ad ammorbidire la distorsione
grazie all'effetto livellamento del segnale con un parallelo aumenti di sustain, ma posto in s/r potrebbe
dare delle sorprese perché in gradi di tagliare le creste del segnale distorto. In questi casi però il livello di
rumorosità può diventare un problema. Un bel vibrato, invece, posto prima da un bell'effetto simile
all'uso di un volume della chitarra con un mignolo impazzito, posto in s/r da un effetto molto interessante
sul segnale di uscita, senza alterare il livello di distorsione.
Per concludere, il s/r è una disponibilità relativamente recente. In passato, sui vecchi ampli, non era
minimamente previsto. Si ovviava molto utilizzando la distorsione prevalentemente dai pedalini. In
questa situazione le condizioni sono molto simili a quelle con s/r, in altre parole la distorsione prima del
delay.
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SERIALE E PARALLELO
Seriale e parallelo, imparare ad utilizzare nel modo corretto i sistemi seriali e i sistemi in parallelo è già
un passo avanti per l’amministrazione e la gestione di tutto il nostro suono. Nei capitoli precedenti
abbiamo analizzato compressori, overdrive, distorsori quindi i processori di dinamica che lavorano in
maniera seriale, non avrebbe senso utilizzare effetti di dinamica in parallelo (tranne casi particolari come
il “Side-chain” del compressore in studio), abbiamo visto anche il Routing di questi effetti per poterli
configurare in vari modi. Per analizzare a fondo anche gli effetti di modulazione e ritardo bisogna
affrontare il discorso “seriale e parallelo”.
Queste le differenze tra loro:
Effect loop seriale: Nel sistema seriale l’intero segnale del preamplificatore viene inviato al processore
esterno dall’uscita Send. Da qui dopo essere stato integralmente processato, rientra dall’ingresso Return.
Infatti l’effetto che andiamo a inserire nella catena in maniera seriale si frappone tra il segnale diretto e
quello che uscirà, abbiamo bisogno di un effetto che possa gestire separatamente il segnale dry (diretta)
e il segnale Wet (effetto). Nel sistema seriale noi gestiamo tramite un mixer all’interno dell’effetto la
proporzione tra l’effetto e la diretta. Così facendo noi possiamo andare ad annullare la diretta, oppure
possiamo andare a miscelare la diretta con l’effetto.
In alcuni amplificatori possiamo trovare dei potenziometri per la regolare il volume del Send e del Return
separati (es: Rivera Sedona 100 Top), altri hanno solamente un potenziometro per il livello del Send (es:
Mesa/Boogie Rectifier) oppure chi ha un interruttore +4dB/-10dB (Marshall 1987 X reissue).
Effect loop parallelo: Il sistema parallelo divide in due il segnale del preamplificatore, una parte del
segnale resta nel preamp, mentre l’altra viene inviata attraverso il Send all’effetto esterno per essere
processato. L’effetto a questo punto una volta elaborato il segnale, lo rispedisce nel Return del
preamplificatore. Ora all’interno della nostra testata possiamo regolare la quantità di effetto con un
controllo che in genere si chiama Mix.
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Conversioni A/D - D/A
Vediamo perché nel sistema parallelo è fondamentale che nell’effetto non ci sia la diretta…
Innanzi tutto spieghiamo cos’è una conversione e cosa significano A/D e D/A.
•
•
A/D: Prima conversione che compie il multi effetto al segnale proveniente dal Send della nostra
testata o preamplificatore.
D/A: Riconversione del segnale in analogico che ritorna all’amplificatore tramite la presa Return.
Ovviamente se avessimo affidato l’elaborazione del nostro suono a un effetto analogico, non si parlerebbe
assolutamente di conversioni…non ne avrebbe bisogno.
Ritorniamo al digitale, per quanto sia veloce, il processore dsp interno del nostro multi effetto, comunque
impiega qualche millisecondo per l’elaborazione e le conversioni del segnale, queste creando una latenza
di qualche ms. causa una fuori fase fra i due segnali, quindi abbiamo varie frequenze in controfase. Il
suono che esce è brutto, tende ad essere più piccolo e poco a fuoco.
Quando si utilizzano effetti in parallelo, è d’obbligo mettere la diretta a 0, nei processori della t.c.
electronic c’è la funzione “kill dry” per esempio. In questa maniera come spiegato precedentemente, il
suono che ritornerà all’ampli sarà solamente quello processato (Wet), saremo noi tramite il
potenziometro (mix) posto dietro all’ampli a miscelare a nostro gusto la quantità d’effetto.
Segnali +4dB nel Send e Return
+4db (Unità rack): Il loop per effetti che si trovano negli amplificatori per chitarra sono normalmente
tarati per unità che lavorano ad alto livello (+4dB) e questo per due motivi: il primo è che l'alimentazione
degli stadi preamplificatori lavora con una tensione consistente (almeno 30 volts per quelli a stato solido
e circa 300 volts per i valvolari) e quindi con escursione del segnale notevole, mentre il secondo motivo
riguarda il rapporto segnale/rumore che migliora quando si utilizzano livelli più alti.
Segnali -10dB nel Send e Return
-10db (Pedalini): Alcuni costruttori come Marshall per ovviare il problema di adattare sia i rack sia i
pedalini per il loop effect hanno predisposto le loro testate con un interruttore/pulsante che ci permette di
scegliere il volume ottimale +4dB oppure -10dB.
Bisogna fare molta attenzione nel settaggio di questo volume. Infatti la predisposizione di un pedalino è
di lavorare con segnali molto bassi quindi setteremo a -10dB (livello pedalini) il volume, inserire in un
loop effetti a +4dB un pedalino che non regge tale livello, provoca naturalmente dei problemi.
Il risultato che si ha generalmente è un clipping del segnale, proprio per l’impossibilità del pedalino di
gestire tale livello, per una ovvia mancanza di headroom. Nel caso in cui utilizzassimo un pedalino
booster o un equalizzatore a 18 volt (tipo quelli prodotti dalla mxr…) e quindi dotato di una headroom
doppia rispetto ai pedalini normali, normalmente è più che sufficiente per garantire il passaggio di un
segnale a +4dB.Certi amplificatori non hanno il loop posto tra pre e finale, ma all’interno della sezione di
pre (di norma prima del presence). Questo comporta che un aumento di volume esterno (ovvero un
pedalino di boost), provochi un aumento di distorsione e non di volume. In questo caso l’unica soluzione
per ottenere una variazione di volume sia operare in maniera esattamente opposta, in altre parole
inserire un pedale volume a bassa impedenza (25K), oppure un volume con selettore, definire il volume
massimo che vuoi ottenere e da li abbassare.
Il mio consiglio nel caso in cui volessimo utilizzare solo pedalini è di inserire un Delay ed ascoltare se i
ribattuti sono distorti al massimo volume di esercizio del nostro amplificatore.
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SWITCHING SYSTEM
Se si usano effetti a pedale per varie ragioni, per cambiare effetto o meglio ancora una serie di effetti, si
sa, o ci s’improvvisa dei veri ballerini di tiptap o ci si affida agli switcher. Questi sistemi sono creati per
gestire effetti a basso livello (pedali). La circuitazione prevede l’utilizzo di “buffer” in punti
strategicamente fondamentali ai fini del mantenimento della qualità e trasparenza sonora. I buffer
utilizzati nei sistemi di qualità più alta, non si basano su circuiti integrati totalmente contro reazionati, ma
su hexfet di piccola potenza, che lavorano in classe “A”. Questo sottile ma fondamentale accorgimento fa
la differenza sonora. Tutte le commutazioni “a rischio” sono attuate da vari accoppiatori, laddove la
complessità e il numero ne comprometterebbero la silenziosità. Tutte le uscite dirette a sistemi esterni
(amp, head, pre, ecc.) sono bilanciate e isolate galvanicamente. La gestione del segnale avviene
mediante microprocessore, che assolve diverse funzioni, tra il quale: l’accesso ai loop in tempo reale (all
access), la memorizzazione e il conseguente richiamo dei preset con generazione di midi program
change. Altra funzione che rende lo switching system oggetti assolutamente unici, è l’ Insert Split,
mediante il quale si può utilizzare una parte dei loop con effetti prima dell’input dell’amplificatore, e la
restante parte dei pedali nel loop dell’amplificatore stesso, con adattamento automatico dei livelli e delle
impedenze.
I benefici che porta questo tipo di sistema sono vari:
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•
Con un solo click per esempio posso spegnere due pedalini e accenderne tre differenti.
•
Una volta memorizzati i pedali/effetti da utilizzare non devono ricordarci ogni volta quale
accendere o spegnere durante il cambio del suono.
•
Il segnale non passa più da tutti i pedali per andare all’ampli, ma sono by-passati, quindi ne
guadagna il nostro suono e spariscono i vari ronzii di massa.
EFFETTI DI MODULAZIONE
Phaser
Ha un funzionamento simile a quello del flanger, senza però limitarsi a miscelare il segnale originale con
quello ritardato, ma aggiungendo altri ritardi intermedi e sfruttando il feedback per ottenere un elevato Q
del Comb filter così ottenuto. Entriamo nello specifico…
Questo effetto combina il segnale originario e una sua versione ritardata in cui il ritardo viene modulato
(ciò significa che varia continuamente e l'andamento della variazione è definito da una funzione come per
esempio una sinusoide). La seconda forma d'onda generata è identica alla precedente, ma ha un ritardo
variabile che al massimo è pari a mezza semionda. Immaginiamo la seconda forma d'onda oscillare
sull'asse orizzontale tra 0 e la posizione in cui si trova in figura.
Quando si trova sullo 0, le due forme d'onda sono in fase e riscontriamo un rinforzo di tutte le frequenze
componenti, il segnale. Quando si trova nella posizione ritardata, notiamo una cancellazione della prima
armonica e un rinforzo della seconda. Il contenuto in frequenza del segnale originario è stato modificato.
Tutte le posizioni intermedie agiscono in misura diversa sia sulla prima sia sulla seconda armonica.
Riassumendo, l'effetto phasing consiste nel sommare al segnale originario una sua replica ritardata in cui
il tempo di ritardo è modulato secondo una determinata forma d'onda.
Possiamo simulare l'effetto phasing utilizzando due microfoni per prelevare lo stesso segnale. Tenendo un
microfono fisso mentre l'altro viene ciclicamente avvicinato e poi allontanato dalla sorgente sonora,
otteniamo due copie dello stesso segnale una ritardata rispetto all'altra. Il movimento avanti e indietro
del secondo microfono simula l'operazione di modulazione del tempo di ritardo.
La figura seguente mostra lo schema logico di un phaser:
Il segnale d’ingresso viene diviso in due parti: la prima raggiunge l'uscita senza essere manipolata,
mentre la seconda viene fatta passare attraverso un delay e poi miscelata al segnale d’ingresso. Il tempo
di delay è controllato da un circuito LFO (Low Frequency Oscillator - Oscillatore a bassa frequenza). Tale
circuito consiste in un oscillatore in grado di generare forme d'onda (generalmente sinusoidali) a bassa
frequenza (1 Hz o anche meno). Tali oscillatori vengono da solito impiegati per controllare i parametri di
altri effetti come nel presente caso in cui il LFO modula il tempo di ritardo (per esempio modulando con
una sinusoide di 1Hz i due segnali rientrano in fase ogni secondo) tra i due segnali. Possiamo notare che
una parte del segnale destinato all'uscita viene prelevata e rispedita in ingresso.
I controlli tipici di cui viene dotato un effetto phaser sono i seguenti:
•
•
•
Speed: la velocità di variazione del tempo di delay (è la frequenza del modulatore LFO).
Mix: miscela il segnale originario e quello manipolato.
Feedback: controlla la quantità di phasing applicata.
Brani famosi con l’utilizzo del phaser, utilizzato non solo sulla chitarra:
•
•
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Eruption (Van Halen) chitarra.
Atomic Punk (Van Halen) chitarra.
Kashmir (Led Zeppelin) batteria.
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Chorus
Consiste nell'impiego di una o più linee di ritardo, attraverso le quali viene fatto passare il segnale, che
subisce appunto un ritardo nella propagazione.
Il tempo introdotto dalla linea di ritardo, è variato mediante un oscillatore a bassa frequenza (LFO),
creando quindi un effetto Doppler periodico.
Il segnale audio viene quindi miscelato con il segnale originale, con intensità generalmente regolabile; la
somma del segnale diretto e di quello processato con effetto Doppler, si presenta come un raddoppio del
segnale originale, contenendo piccole dissonanze come avviene in un coro di voci.
L'ampiezza del segnale prodotto dal LFO determina la variazione di ritardo introdotto dalla linea di
ritardo, e di conseguenza la variazione di altezza del suono processato; quanto maggiore è l'ampiezza del
LFO, tanto evidente sarà l'effetto di dissonanza e d’insieme prodotto come risultato finale.
Può essere pensato come un’estensione rispetto al Flanger, aggiungendo un modulo che introduce
variazioni di ampiezza sul segnale manipolato:
Così come un coro in un gruppo di cantanti, l'effetto di "chorus" fa in modo che un singolo strumento
suoni come se in realtà ci fossero vari strumenti suonati insieme.
Il chorus rende in genere un suono più ricco e più presente. L'algoritmo su cui è basato il chorus è molto
semplice: così come due cantanti in realtà non cantano mai veramente all'unisono, nel chorus viene
generato un ritardo tra il suono originario e alcune sue copie. In aggiunta, il pitch viene leggermente
modificato in modo da dare maggiore ricchezza all'insieme, e ancora una volta donando maggiore
naturalezza all'effetto generato. Il delay viene generato semplicemente tramite una linea di delay.
L'effetto di "detune" viene generato trasformando la semplice linea di delay in una linea di delay a
lunghezza variabile. "Lunghezza variabile" significa che il delay time cambia nel tempo.
Per far sì che il delay time cambi nel tempo, viene utilizzato un filtro LFO che fa variare una forma d'onda
sinusoidale, la quale controlla il suono del chorus: Tipicamente, per un chorus standard al suono originale
viene aggiunta una replica ritardata di un valore intorno ai 5 ms.
Per rendere più verosimile l’effetto, nel tempo sono state aggiunte delle varianti all’algoritmo descritto
affinché venisse variata anche l’ampiezza (poiché in un coro, un gruppo di cantanti oltre a non cantare
perfettamente all’unisono e con la stessa intonazione, non hanno mai la stessa intensità).
I controlli tipici di cui viene dotato un effetto phaser sono i seguenti:
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Mix: Miscela effetto e segnale dry.
Depth: Gestisce la profondità dell'effetto.
Voice: Gestisce la quantità dell'effetto.
Velocity: Gestisce la velocità del chorus.
Brani famosi con l’utilizzo del chorus:
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One Vision (Queen).
Come as you are (Nirvana).
De, Do, Do, Do, De, Da, Da, Da (Police).
Flanger
E’ un effetto musicale elettronico realizzato mediante l'impiego di una linea di ritardo, con tempi
sensibilmente elevati (fino a qualche decina di millisecondi), attraverso la quale viene fatto passare il
segnale da trattare.
Il segnale così ritardato viene miscelato col segnale originale, dando luogo alla cancellazione di quelle
frequenze che si trovano in opposizione di fase.
Il suono così risultante presenta picchi di risonanza e punti di assenza del segnale audio; modulando il
tempo di ritardo della linea di ritardo, l'effetto sarà di evanescenza sull'intera gamma dello spettro audio.
Estende l'effetto phasing aggiungendo un pitch shifter, ossia un circuito in grado di aumentare o
diminuire la tonalità del segnale (l'esempio classico di pitch shifting è quello in cui si accelera o si rallenta
lo scorrimento di un nastro magnetico).
Per dare una spiegazione pratica di questo fenomeno pensiamo ad una sinusoide avente una certa
frequenza, registrata su di un nastro magnetico.
Aumentando la velocità del nastro avremo come risultato che la sinusoide viene riprodotta più
velocemente e ciò equivale alla generazione di una sinusoide a frequenza maggiore.
Lo schema logico è illustrato nella figura seguente:
In esso si nota che il LFO pilota sia il modulo delay che quello di pitch shifter.
I controlli tipici di cui viene dotato un effetto flanger sono i seguenti:
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Width: Si va ad agire sulla larghezza d'onda desiderata.
Manual: Si può centrare l'effetto dove vogliamo lungo la frequenza preferita.
Speed: Regola giustamente la velocità d'effetto che si vuole ottenere, da un lento flanger a un
veloce simil-vibrato.
Regen: Regola l'intensità generale di tutto il pedale ed è la regolazione con più carattere tra le
quattro, rende l'effetto davvero personale secondo i gusti.
Brani famosi con l’utilizzo del flanger:
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Unchained (Van Halen).
Ain’t Talkin’ About Love (Van Halen).
De, Do, Do, Do, De, Da, Da, Da (Police).
Killing In The Name (Rage Against The Machine).
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Leslie
Il Leslie venne ideato come complemento ai primi organi Hammond a ruote foniche (tonewheels); lo
strumento era stato proposto dal suo inventore come sostituto dell'organo liturgico, ma il risultato
complessivo lasciava molto a desiderare per la staticità e innaturalezza del suono, nonché per il
persistere di onde stazionarie, amplificate ed evidenziate nell'acustica delle chiese. Si pensò allora di
migliorarne la qualità, facendo ruotare gli altoparlanti dell'amplificatore in modo da creare un piccolo
effetto Doppler e da fornire al suono una certa spazialità.
Il suono viene suddiviso in due gamme (acuta e grave) per mezzo di un filtro Crossover e distribuito
come segue: la gamma grave viene riprodotta da un grande altoparlante a cono, posto con il magnete in
alto e la membrana orientata verso il basso; sotto all'altoparlante c'è un riflettore acustico in legno, dalla
forma a parabola concava, con pianta circolare che ruota sul proprio asse, azionato da un motorino
elettrico mediante una cinghia.
La gamma acuta viene riprodotta da un altoparlante a compressione, che sfoga all'interno di un doppio
diffusore a tromba, montato su un asse e posto in rotazione da un altro motorino elettrico dotato di
cinghia; un diffusore piazzato davanti ad ogni tromba (in realtà solo una delle due è attiva, l'altra serve
solo per l'equilibratura della rotazione) scinde, colora e diffonde ulteriormente il suono, donandogli una
caratteristica timbrica.
I due rotori sono tra loro svincolati; quello delle note gravi gira ad una velocità simile ma non uguale
rispetto a quello delle note acute, generalmente più veloce ed il più delle volte ulteriormente regolabile
cambiando sull'albero motore la gola (nei modelli più diffusi in genere il pignone ha tre gole di differente
diametro) dove è alloggiata la cinghia, similmente ad un trapano a colonna, inoltre i sensi di rotazione dei
due rotori sono opposti, creando così una modulazione del suono che cambia in continuazione, evitando
l'insorgere di onde stazionarie.
Il Leslie ha due velocità di funzionamento, denominate Chorus e Tremolo, anche se nei primi modelli era
previsto solo il Tremolo o in alternativa i rotori rallentavano fino a fermarsi (in seguito furono posti in
commercio dei kit aggiuntivi di motorini per avere anche la bassa velocità, quindi il Chorus); la prima
prevede una rotazione molto lenta dei riflettori acustici, circa 40 giri al minuto, adatta a generi musicali
moderati, mentre la seconda, con la rotazione veloce specialmente dei diffusori delle note acute, circa
400 giri al minuto (caratteristica è l'accelerazione e decelerazione del rotore dei bassi, più graduale
rispetto al rotore degli acuti per via della maggiore inerzia del diffusore di legno), fornisce una
connotazione molto particolare al suono, estremamente difficile da riprodurre con altri dispositivi.
Infatti, l'effetto prodotto da Leslie è molteplice; la rotazione del riflettore acustico provoca una
modulazione di ampiezza, di frequenza, di fase e di spettro, a seconda della direzione dei riflettori
acustici, della velocità di rotazione degli stessi e della posizione dell'ascoltatore, con un fronte sonoro
molto ampio e continuamente variabile; inoltre la timbrica degli altoparlanti usati, in special modo del
tweeter a tromba, non è volutamente hi-fi e dona un colore sonoro caratteristico.
Modo operative: Chorus, Tremolo, Stop
La maggior parte di Leslie prevede due velocità di funzionamento: si tratta del Chorus e del Tremolo visti
in precedenza. Oltre alla velocità lenta e a quella veloce, esistono modelli che prevedono anche una
posizione detta di Stop nella quale i motori non sono alimentati e pertanto i rotori pervengono ad una
condizione di fermo.
Nel modello 760 nel passaggio da tremolo a stop, viene esercitata un'azione di frenatura per far sì che i
rotori si arrestino in fretta. Per raggiungere lo scopo viene usato un circuito temporizzatore che inserisce
per un tempo (regolabile internamente) la modo Chorus prima di disattivare del tutto i gruppi motori.
In questo modo i motori più lenti effettuano un'azione frenante per imporre la propria velocità ai rispettivi
rotori. Lo Stop può essere installato anche su modelli che prevedono solo Tremolo e Corale, ivi compreso
il circuito per la frenatura.
Brani famosi con l’utilizzo del Leslie:
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Little Wing (Jimi Hendrix).
One (U2).
Black Hole Sun (Soundgarden).
Cold Shot (Stevie Ray Vaughan).
Tremolo
Tremolo e vibrato, spesso confusi tra loro fino a essere spesso considerati erroneamente uguali, sono gli
effetti forse più antichi introdotti sulla chitarra elettrica.
Fender, con il suo ponte del vibrato chiamato tremolo e i suoi effetti elettronici per il tremolo definiti
vibrato, ha contribuito non poco a confondere le idee di tanti poveri chitarristi e ora dedica una sorta di
mea culpa tra le news del sito ufficiale.
Il tremolo è un effetto “tremante” prodotto da piccole e veloci variazioni nel volume della nota.
Esiste da centinaia di anni come una tecnica musicale, ma per ciò che ci riguarda, è un'innovazione
tecnica molto più recente utilizzata nella progettazione degli amplificatori.
Quando Fender presentò la Stratocaster nel 1954, questa era dotata di un ingegnoso meccanismo che
permetteva in modo efficace di allentare la tensione delle corde conservando una buona intonazione.
Questo era a tutti gli effetti, un sistema di vibrato, ma Fender lo chiamò synchronized tremolo system.
Da quel momento in poi, Fender e molti chitarristi in tutto il mondo si sono riferiti al sistema meccanico
per il vibrato della Stratocaster come sistema tremolo.
Il nome comune per la leva è stato per lungo tempo trem arm, e le altre parti sono chiamate in modo
simile (trem block, trem springs etc.).
Per evitare confusione, comunque, il fenomeno che questi apparecchi producono, è un vibrato.
Per evitare di complicare le cose, molti amplificatori dotati di tremolo sono tuttora etichettati come dotati
di vibrato.
Gli amplificatori con tremolo sono in circolazione fin dalla fine degli anni '40. Fender introdusse il suo
primo amplificatore con tremolo, il Tremolux, nell'estate del 1955 (era il primo amplificatore Fender con
un effetto integrato, basilarmente si trattava di un Deluxe con un circuito per il tremolo).
In questo caso l'amplificatore fu correttamente battezzato e pubblicizzato.
Il secondo amplificatore Fender con un effetto integrato, il Vibrolux, fu introdotto nel 1956. Anche questo
aveva un circuito del tremolo, ma fu pubblicizzato come vibrato.
John Teagle e John Sprung scrissero nel loro Fender Amps: The First Fifty Years che "Il Vibrolux dovrebbe
introdurre un vibrato (modulazione di pitch) negli amplificatori Fender, ma in realtà era solo un'altra
variante del tremolo già presente nel Tremolux".
Così cominciò una lunga tradizione di amplificatori con tremolo pubblicizzati per avere il vibrato. Anche
oggi amplificatori tutt'ora in commercio come il '65 Super Reverb, il '65 Twin Reverb, il '65 Twin Custom
15, il '65 Deluxe Reverb e il Custom Vibrolux Reverb sono descritti, spesso anche sul pannello
dell'amplificatore, come dotati di vibrato quando in effetti offrono un effetto tremolo.
Nuovamente Teagle e Sprung scrissero: "In effetti nessun amplificatore Fender ha mai avuto un vero
vibrato, nonostante il catalogo esprimesse il contrario".
Confusi? Non ce n'è bisogno. Ricordate solamente che vibrato, vuol dire cambio di altezza, e che tremolo
vuol dire cambio di volume.
E che in effetti Fender ha semplicemente invertito i termini, così le chitarre con tremolo hanno
effettivamente il vibrato, e gli amplificatori con vibrato hanno effettivamente il tremolo.
I controlli tipici di cui viene dotato un effetto phaser sono i seguenti:
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Intensity: Regola la quantità di effetto sul segnale generale.
Depth: Cambia la forma dell'onda, passando dal tremolo classico stile vintage a suoni "tagliati" in
modo brusco, molto robotici.
Speed: Regola la velocità del tremolo.
Volume: Regola il volume generale di uscita, permettendo di usare il pedale anche come
semplice booster.
Brani famosi con l’utilizzo del tremolo:
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Boulevard Broken Dream (Green Day).
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LISTA TRACCE ESEMPI AUDIO CD “Effetti di modulazione”.
“Phaser”
Brano 9. Running with the devil (Van Halen).
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Traccia
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Traccia
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Riff senza Phaser.
Riff con Phaser.
Brano con chitarra Dry.
Brano con chitarra Wet.
Base.
“Chorus”
Brano 10. Come as you are (Nirvana).
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
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51
-
Frammento del riff senza Chorus.
Frammento del riff con Chorus.
Brano con chitarra Dry.
Brano con chitarra Wet.
Base.
“Flanger”
Brano 11. Unchained (Van Halen).
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
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Frammento Riff senza Flanger.
Frammento Riff con Flanger.
Brano con chitarre Dry.
Brano con chitarre Wet.
Base.
“Leslie”
Brano 12. Cold shot (Stevie Ray Vaughan)
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•
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
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Riff senza Leslie.
Riff con Leslie.
Brano con chitarra Dry.
Brano con chitarra Wet.
Base.
Brano 8 (Il phaser).
Brano 9 (Il Chorus).
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Brano 10 (Il Flanger).
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Brano 11 (Il Leslie).
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UNITA’ DI RITARDO
Riverbero, Echo e Delay
Innanzi tutto è necessario dare delle definizioni precise. Troppo spesso si fa confusione tra delay, echo e
riverbero, ma si tratta di tre cose ben distinte. In pratica sia l'echo sia il riverbero sono due tipi particolari
di delay.
Riverbero: E’ un fenomeno acustico legato alla riflessione del suono da parte di un ostacolo posto
davanti alla fonte sonora: per esempio, se in una stanza una sorgente sonora cessa di irradiare, il livello
sonoro diminuisce tanto più lentamente quanto minore è l'assorbimento acustico delle pareti.
Il riverbero ha aspetti negativi, come il rischio di mascheramento delle sillabe nel parlato o del fraseggio
musicale, e positivi, come il rinforzo dell'intensità della sorgente.
Echo: In fisica e in acustica l'eco è un fenomeno prodotto dalla riflessione di onde sonore contro un
ostacolo che vengono a loro volta nuovamente "percepite" dall'emettitore più o meno immutate e con un
certo ritardo rispetto al suono diretto. Tale ritardo non dev'essere inferiore a 1/10 di secondo. Al di sotto
di tale valore non si può più parlare di eco ma di riverbero. Si parla propriamente di eco quando le singole
riflessioni dell'onda sonora sono percepite distintamente dall'ascoltatore. In termini più generali, l'eco può
essere definita come un'onda che viene riflessa da una discontinuità nel mezzo di propagazione, e che
ritorna con una intensità e ritardo sufficiente per essere percepita.
Delay: La funzione generale del delay consiste nel registrare il suono in ingresso e riprodurlo con un
determinato ritardo temporale. Solitamente il suono ritardato viene sommato al segnale originale (Dry),
anziché sostituirlo. Quello che lo differenzia dall’eco e dal reverbero riguarda la scala dei tempi resi
disponibili al musicista. Il riverbero, infatti, riproduce il suono originale con un ritardo minimo, inferiore al
decimo di secondo, mentre un delay può produrre il suono ritardato anche a distanza di decine di
secondi. Il suono ritardato può a sua volta essere reintrodotto nel sistema di delay, producendo una
sequenza di echi. In genere, il suono ritardato è riprodotto a un volume inferiore all'originale, cosicché la
sequenza di echi sfuma nel tempo, come un'eco fisica in determinate condizioni di acustica.
Le riflessioni
Per farsi un'idea chiara di come funzionano gli effetti di echo, riverbero e delay, è fondamentale avere in
mente che tutti questi fenomeni, in natura, sono causati dalla riflessione del suono. Le onde sonore,
infatti, hanno la caratteristica di "rimbalzare" sulle superfici che incontrano durante il loro tragitto, e di
proseguire il loro viaggio in direzioni diverse da quella originale. L'esempio più semplice che, questo
fenomeno, che tutti conosciamo bene, è costituito dall'eco. L'eco è un fenomeno molto semplice: un'onda
sonora, che può essere per esempio una voce, si propaga fino a una superficie distante, e dopo un certo
intervallo torna indietro, e quindi puoi sentirla di nuovo. Le due caratteristiche principali di questo
fenomeno sono: il tempo che trascorre tra la produzione del suono e la ripetizione - che dipende dalla
distanza della superficie riflettente - e il fatto che il suono torna indietro con minore intensità, ossia
percepito con un volume minore, a causa dell'energia spesa durante il tragitto.
In un ambiente chiuso
Il fenomeno della riflessione delle onde sonore si presenta anche in un ambiente chiuso, ma in questo
caso diventa molto più complesso, a causa dell'enorme quantità e varietà di fattori in gioco. In un
ambiente chiuso, infatti, c'è un grande numero di superfici riflettenti. Il suono incontra ognuna di esse
con diverse angolazioni, e si riflette con differenti angoli d'incidenza, riflettendosi più volte su diverse
superfici, col risultato di comporre alla fine una complessa "ragnatela" di riflessioni. Ognuna di queste
riflessioni ha una diversa intensità e giunge all'orecchio dell'ascoltatore con diversi tempi di ritardo. In
effetti, migliaia di piccole riflessioni raggiungono l'orecchio a distanze praticamente casuali l'una dall'altra,
al punto che l'orecchio non riesce a percepirle come eventi distinti: è questo il fenomeno che viene
comunemente definito "riverbero". All'interno di un grande ambiente, come ad esempio una cattedrale, i
suoni non terminano in modo definito, ma hanno sempre una certa coda di riverberazione naturale:
questa coda è costituita da tutte le riflessioni del suono sulle superfici della cattedrale, riflessioni che il
nostro cervello raggruppa in un riverbero d'insieme.
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Riverbero
Plate Reverb: E’ costituito da una grossa lamina d'acciaio, sospesa all'interno di un'intelaiatura, in grado
di generare riverbero grazie alla vibrazione. Su di essa vengono applicati due trasduttori: uno che
trasmette il segnale d'ingresso, l’altro che preleva la vibrazione così generata. Posizionando in punti
diversi i due trasduttori è possibile variare le caratteristiche dell'effetto. Il plate reverb ha una risposta
più fedele del riverbero a molla, soprattutto alle alte frequenze, e genera un suono che ha la
caratteristica, di essere molto piacevole all'orecchio. Per questo motivo è ancora la forma di riverbero
analogico preferita da molti musicisti professionisti. Il vero svantaggio del plate reverb sta nel suo costo e
nel suo ingombro. I plate reverb possono misurare vari metri e devono essere perfettamente isolati.
Spring reverb: E’ costituito da una lunga molla, che produceva un riverbero, sempre basandosi sul
principio della vibrazione. Oggi tutti gli effetti di riverbero vengono ottenuti in modo digitale.
Il riverbero a molla sfrutta un principio molto semplice. Un piccolo amplificatore riproduce il suono
accanto ad una molla, la quale entra in vibrazione e produce un effetto di riverbero grazie alla
trasmissione della vibrazione a tutte le sue spire. Un microfono posto accanto alla molla riprende il suono
e lo invia all'uscita. La gran parte dei vecchi amplificatori per chitarra erano dotati di un riverbero a molla,
il cui suono è caratteristico di moltissime vecchie registrazioni.
Digital reverb: Fino all'avvento del riverbero digitale, la maggior parte degli ingegneri del suono si
preoccupava ben poco (nel senso che non potevano modificarlo più di tanto) del modo in cui il riverbero
modificava l'inviluppo del suono originale. Dopo la rivoluzione digitale, invece, gli ingegneri sono stati
praticamente costretti a studiare le relazioni tra il suono "pulito" originale e le pareti riflettenti (virtuali).
Di seguito viene riportata una lista dei controlli fondamentali:
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Pre Delay: consente di modificare il tempo del Pre Delay.
Early Reflections: durata delle prime riflessioni.
Decay: durata del decadimento delle ultime riflessioni.
Mix: la percentuale tra segnale asciutto e bagnato.
Dimensioni della stanza: spesso i valori sono riferiti alle forme-dimensioni degli ambienti.
HF Ratio: le alte frequenze sono le prime ad essere attenuate durante le riflessioni.
Stereo width: allarga o restringe l'immagine stereo del riverbero.
Alcune unità permettono di definire un tempo di decadimento diverso, seconda la frequenza. In alcune
unità molto sofisticate è perfino possibile decidere il posizionamento dei microfoni all’interno della stanza
simulata. Le moderne unità di riverbero realizzate utilizzano algoritmi piuttosto complessi per i quali non
scenderemo oltremodo nei dettagli. I primi algoritmi di riverbero digitali cercavano di imitare le
riverberazioni naturali di una stanza utilizzando due tipi di filtri a risposta d’impulso infinita in modo che
l'output andasse a scemare gradualmente. Uno di questi filtri è il cosiddetto "Comb filter", il quale deve il
nome alla particolare risposta in frequenza, che ricorda quella di un impulso che rimbalza tra due pareti.
L'altro filtro principale utilizzato è un "all pass filter", che incide solo sulla fase del segnale.
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Doubling: E’ un effetto utilizzato molto spesso dagli ingegneri di studio durante le registrazioni. Il
doubling consiste semplicemente in questo: dopo che un musicista ha inciso una traccia, la suona
nuovamente riascoltando la vecchia traccia, e la nuova esecuzione viene registrata su una nuova traccia.
Quando le due tracce vengono riprodotte in contemporanea, le minime variazioni nel timing tra di esse
creano un suono più pieno di quello che restituisce una singola traccia. Questo effetto non è tecnicamente
simile ad un riverbero, ma il risultato all'orecchio può essere in qualche modo assimilabile. Il doubling
viene utilizzato molto spesso nelle registrazioni professionali, più di quanto crediate! Il "digital doubling" è
un effetto digitale che divide il segnale in due parti, e ritarda una delle porzioni di alcuni millisecondi. Il
doubling digitale ha però il difetto di non essere in grado di anticipare una nota, ma solo di ritardarla. Nel
doubling reale, il musicista può suonare una nota alcuni millisecondi dopo, ma anche alcuni millisecondi
prima, rispetto alla prima registrazione.
DELAY
Come abbiamo detto nell’introduzione all’inizio del capitolo il delay aggiunge repliche del segnale
distanziate nel tempo, generando un effetto di eco. La linea di ritardo deve assicurare un ritardo non
inferiore agli 80 ms., tempo sotto al quale non è assicurata la percezione distinta di due suoni identici.
Inizialmente veniva generato utilizzando un registratore analogico, sfruttando la distanza tra la testina di
riproduzione e quella di registrazione: mandando l'uscita del canale sinistro all'ingresso del canale destro
e viceversa, e lavorando sulla velocità del nastro, si riusciva a ottenere un effetto delay versatile e, per
l'epoca, rivoluzionario. L'era digitale ha semplificato molto la realizzazione di questo effetto, consentendo
inoltre di introdurre innovazioni interessanti come il ping pong delay (le repliche sono alternate sul canale
destro e sinistro) e il multi-tap (le repliche si susseguono con tempi diversi creando effetti di
dissolvenza). Nella pratica musicale il tempo di delay viene spesso posto pari al tempo di una battuta. In
questo modo le repliche vanno a tempo con la musica, creando un effetto che contribuisce a riempire il
suono. Per calcolare il tempo di delay (in millisecondi) necessario per un pezzo di n battute al minuto
(bpm) possiamo ricorrere alla seguente formula:
Tempo di delay (ms.)=60000 (ms.) / n (bpm.)
Slapback: Un delay prende un segnale audio e lo riproduce dopo il tempo di delay. Il tempo di delay può
variare tra alcuni millisecondi e alcuni secondi: Il delay raffigurato produce una singola ripetizione distinta
dell'input, per cui in questo caso si parla di "slapback echo". Il tempo di ritardo che consente di udire una
ripetizione distinta, ossia come echo e non come riverbero, è in genere tra i 30 e i 100 millisecondi, a
seconda dell'ascoltatore (spesso maggiore). Un tempo medio che si applica alla maggior parte delle
persone, e che viene in genere preferito dagli ingegneri in studio, è di circa 80 ms.
Feedback delay: Avere l'effetto di un singolo echo può essere limitante, per cui le unità di delay spesso
hanno anche un controllo di "feedback" (a volte detto "regeneration") che prende l'output del delay e lo
manda indietro all'input, com’è possibile vedere nel seguente diagramma.
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In questo modo è possibile far ripetere il suono varie volte di seguito, diminuendone il volume ogni volta
che questo viene riprodotto (se il valore di "gain" del feedback è minore di 1) o lasciandolo invariato
all’infinito (se il feedback gain è pari a 1). La maggior parte dei delay non lascia la possibilità di impostare
il feedback gain ad 1, ma solo a valori minori.
Multi-tap delay: In molti casi è richiesta una maggiore flessibilità ad un'unità di delay, e la flessibilità è
esattamente ciò che offre un multi-tap delay. I multi-tap delay consentono di creare pattern complessi
che possono aggiungere una qualità ritmica al suono dello strumento.
Nelle unità di delay viste sopra, l'output viene preso dopo che il segnale è stato ritardato per l'intero
tempo di delay. E' possibile anche prendere altri output, per così dire parziali, in modo che il segnale è
stato ritardato solo per una porzione del tempo di delay totale.
L'azione di prendere un output da un punto all'interno della linea di delay viene definito "tap" della linea
di delay ("tapping" significa "dare un colpo"). Le unità sono in genere definite con il numero dei "tap"
disponibili, quindi un 3-tap delay ha tre tap a disposizione, un 4-tap delay ne ha 4, etc.
Se non si desidera utilizzare uno dei tap, è sufficiente impostare l'output level di quel tap a zero.
La quantità di delay tra i vari tap può essere differente.
Quello che vediamo è il diagramma di un 4-tap delay.
Ping-pong delay: Produce un suono rimbalzante, dove i rimbalzi tipicamente avvengono tra il canale
destro e il canale sinistro di un segnale stereofonico.
Il ping-pong delay utilizza due delay distinti, ognuno con il proprio input (naturalmente si può inviare il
medesimo segnale a entrambi gli input).
Invece di re inviare l'output all’input corrispondente, la linea di feedback di ogni delay manda il segnale al
canale opposto, prima del modulo di delay.
I due segnali di output, creano così il classico effetto di "rimbalzo" del suono.
Perché usare gli effetti di ritardo
Gli effetti di riverbero, echo e delay, se usati con attenzione, possono migliorare moltissimo la qualità di
una registrazione, e donarle un'atmosfera molto più incisiva e corposa. L'importante è non esagerare:
tempi di riverbero attorno al mezzo secondo sono più che sufficienti.
Anche la batteria è uno strumento che trae vantaggio dal riverbero: in particolare è tipico l'uso di un
riverbero sul rullante, magari con una Room piuttosto grande, che genera l'impressione di un ambiente
molto ampio. Inutile infine porre l’accento, l’uso del riverbero nei suoni di chitarra: qui c'è ampio spazio
per la creatività. Gli effetti di delay, invece, possono aiutare a creare trame sonore complesse e
ritmicamente efficaci.
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Esempi di programmazione del delay
Il delay è un tipo di effetto di largo uso, e quindi penso sia giusto analizzarne alcuni esempi tratti da brani
dove, appunto, il delay svolge un ruolo fondamentale per la caratteristica del suono.
Steve Vai
Come primo esempio, analizziamo un paio di battute del brano Ballerina 12/24 di Steve Vai, tratto
dall'album Passion & Warfare del 1990. Il suono è stato programmato su di un Heventide H3000 in modo
da processare il suono pulito della chitarra aggiungendo due segnali ad effetto in stereo ritardati con il
delay e trasposti con il Pitch transposer. La parte di chitarra suona ad ottavi, su di un tempo di
metronomo di 134 bpm. Devono essere due i delay che lavoreranno con un feedback a 0, ognuno dei
quali genera una sola ripetizione. Un primo delay, programmato a circa 112ms, suona sul sedicesimo
successivo all'ottavo suonato (secondo rigo sul pentagramma), mentre il secondo delay è tarato a circa
224ms e ritarda il segnale di un ottavo (terzo rigo). I due delay sono inoltre trasposti rispetto al segnale
originale rispettivamente di una sesta maggiore ascendente (il primo delay) e di una quarta giusta
ascendente (il secondo delay). La somma di tutte queste note dà un intreccio di sedicesimi precisi a
tempo, con un risultato sonoro sorprendente quanto efficace. Questo tipo di effetto è possibile ottenerlo
con molti tipi di apparecchiature di alta qualità, quali possono essere il Rocktron Intellifex o, appunto,
l'Eventide H3000 utilizzando i parametri di delay con il controllo pitch. Il livello dell'effetto deve essere a
volume uguale al livello del segnale originale. La tecnica della ripetizione metronomica del delay è
largamente usata per creare brani dalle caratteristiche particolari. La taratura del delay (espressa in
millisecondi su ogni ripetizione) pone le ripetizioni nei vari sedicesimi della battuta. Vediamo com’è
possibile calcolare i valori. Come esempio valutiamo un tempo di metronomo di Quarto=120. Il primo
passo da fare è di trasformare il tempo metronomico in millisecondi, secondo questa divisione: 60.000 :
120. La prima cifra dà i millisecondi contenuti in un minuto, mentre la seconda è il tempo di metronomo.
Il risultato ci dice quanti millisecondi dura il movimento da quarto: 500. Ora bisogna dividere in quattro
parti la cifra 500 per assegnare il valore dei sedicesimi e degli ottavi: 500:2 = 250 (l'ottavo in levare);
250:2=125 (il primo sedicesimo in levare). Per trovare l'ultimo sedicesimo si somma 250 + 125, che dà
375. In questo modo troviamo le tre ribattute sui sedicesimi che possiamo programmare (il primo
sedicesimo in battere è coincidente alla nota reale, quindi il valore è 0). Il numero 60.000 è un dato fisso,
perché il metronomo è calcolato sempre in battiti al minuto, e quindi per fare qualsiasi calcolo di questo
tipo si deve dividere 60.000 per il tempo metronomico. Per avere la ribattuta del delay sull'ultimo
sedicesimo della quartina, dovremo quindi programmare il delay sui 375ms. Molte apparecchiature hanno
la suddivisione dei millisecondi in pari (cioè 0,2,4,6,8 ecc.) e di conseguenza si arrotonda alla cifra
superiore o inferiore (nell'esempio sopra si programma 374 oppure 376). La differenza di 1ms non
influisce assolutamente sul time.
Nuno Bettencourt
Un sistema analogo a quello sopra descritto è stato usato da Nuno Bettencourt nell'esecuzione del brano
di sola chitarra e drum machine "Flight of the wounded bumblebee", inciso nell' album degli Extreme
"Pornografitti" (1990). La velocità del metronomo è di Quarto=204: Bettencourt suona ad ottavi
utilizzando un delay a ribattuta singola programmata sull'ultimo sedicesimo (approssimativamente
222ms), ed effettivamente il risultato è sorprendente.
Eddie Van Halen
Vediamo un altro procedimento simile, usato questa volta da Edward Van Halen nel Live "Right Here,
right now" (1991) dei Van Halen. La parte in questione è all'interno del brano "316". In questo punto il
tempo di metronomo è di Quarto=116, e anche stavolta la ripetizione è sull'ultimo sedicesimo: il delay
viene quindi programmato a 388ms, con ribattuta singola. Van Halen suona in hammer-on con la mano
sinistra, alzando il potenziometro del volume della sua chitarra ad ogni nota (l'esecuzione è ad ottavi).
Il tempo del delay che un'apparecchiatura è in grado di offrire varia molto da modello a modello. Nella
maggior parte dei casi il delay che è possibile ottenere non supera i due secondi, anche se alcune
apparecchiature superano questo limite. A tempi superiori si può già parlare di campionamento, che è un
termine che indica la capacità di un'apparecchiatura di registrare un suono (si dice appunto campionare).
Sono comunque strumenti utilizzati in studio, generalmente non proprio chitarristici. Si può comunque
"giocherellare" anche con queste macchine: programmando un delay ad esempio di 4 secondi, questo
campiona la parte suonata per appunto 4 secondi. Se facciamo ripetere ciclicamente questa frase, è
possibile suonarci sopra, dando così la sensazione che siano due chitarre a suonare. Può essere utile
magari anche in fase di studio, per provare a suonare magari sopra una sequenza di accordi campionata
e ripetuta dal delay. Voglio infine ricordare che un po' di delay non guasta mai. Generalmente un delay
impostato sui 400-600ms, con un feedback abbastanza corto (nell'ordine delle due - tre ripetizioni) ma,
soprattutto, con un effect level basso, è conveniente usarlo nella maggior parte dei suoni che non
richiedono una specifica taratura per il delay stesso. Amalgamato al riverbero, crea ambiente al suono
dry della chitarra, che, se regolato nelle giuste dosi, non disturba durante l'esecuzione con gli altri
strumenti.
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Un po’ di storia…
Dopo l'introduzione della registrazione magnetica, Les Paul realizzò che lo spazio tra la testina di
registrazione e quella di riproduzione di un registratore a nastro poteva essere utilizzato per creare un
delay a nastro (Tape Delay).
Più tardi, per aumentare il tempo di delay, Les Paul collegò due registratori a nastro, e infine, con
l'avvento delle piastre a velocità di riproduzione variabile, riuscì a controllare il tempo di delay effettivo
rallentando o accelerando la seconda piastra.
Les Paul si trovava di fronte ad un dilemma ogni volta che il nastro sulla seconda piastra terminava: in
questo caso infatti l'effetto si interrompeva bruscamente. La risposta a questa questione giunse alcuni
anni più tardi, con un nuovo tipo di delay a nastro chiamato Echoplex.
Questo delay utilizzava un loop su un nastro continuo che consentiva di realizzare un delay continuo
senza restare a corto di nastro. Gli Echoplex furono utilizzati per tutti gli anni settanta ed è ancora
possibile trovarne qualcuno in qualche studio oggi (sebbene magari ricoperto di polvere!).
Verso la metà degli anni settanta si verificò l'inizio dell'era digitale, e con essa comparvero le prime linee
di delay digitale o "DDL" (Digital Delay Line). Però, a causa del costo rilevante della tecnologia digitale a
quei tempi, le DDL in genere avevano un'ampiezza di banda di soli 10 - 15 kHz.
Principalmente esse non furono utilizzate per registrazioni in studio, ma venivano impiegate in luoghi
molto ampi per tenere in sincrono gli speaker molto lontani tra loro.
Verso la fine degli anni settanta, gli Analog Delay divennero molto popolari a causa del loro prezzo
piuttosto ridotto.
Molti musicisti ancora oggi ritengono che i delay analogici suonassero più "grossi" e più caldi dei delay
digitali. Chiunque ne abbia utilizzato uno, in realtà, sa che essi sono soggetti all'introduzione di molto
rumore esterno, da EMF o da altre sorgenti, estranee al segnale originale.
Gli effetti di Echo e Riverbero, nell'epoca pre-digitale, venivano realizzati riproducendo un segnale audio
in una stanza con pareti molto rigide (e quindi particolarmente riflettenti) e registrandone le riflessioni.
Queste stanze, note come Live Rooms, offrivano ai tecnici una possibilità di controllare i parametri del
riverbero soltanto cambiando la posizione del microfono quando registravano le riflessioni.
Se c'era bisogno di più riverbero, semplicemente il microfono veniva spostato più lontano dalla sorgente
sonora, mentre un riverbero minore veniva ottenuto spostando il microfono più vicino alla sorgente
sonora. In breve vennero escogitati sistemi intelligenti e stravaganti per modificare l'inviluppo del
riverbero, come ad esempio appendere materiali assorbenti su alcune pareti, oppure utilizzare pannelli
rimovibili più o meno riflettenti, etc.
Oggi i tecnici, nella maggior parte dei casi, registrano i segnali "dry" (ossia asciutti, senza alcun effetto)
cercando di ottenere un segnale della migliore qualità, e solo in seguito aggiungono questo tipo di effetti,
quando realizzano il missaggio finale di una registrazione.
Questo modo di procedere ha condotto ad un definitivo mutamento di direzione nella struttura degli studi
di registrazione.
Laddove una volta solo chi aveva ampi mezzi poteva permettersi di realizzare ambienti che offrissero
riverberazioni di alta qualità, oggi chiunque disponga di un'area di registrazione relativamente quieta può
manipolare i suoni grazie a processori di segnale digitali di alta qualità.
Il "digital processing" è divenuto un vero e proprio standard, al punto che ormai molti apparecchi stereo
casalinghi offrono alcuni tipi di riverbero per l'ingresso microfonico, così come i software di gestione delle
interfacce audio economiche per pc.
Un vecchio Maestro “Echoplex”.
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LISTA TRACCE ESEMPI AUDIO CD “Effetti di ritardo”.
“Riverbero”
Brano 13. Start me up (The Rolling Stones).
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Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
Traccia
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63
64
65
66
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Ritmica senza riverbero.
Ritmica con riverbero.
Brano con chitarra Dry.
Brano con chitarra Wet.
Base.
Brano 13 (Riverbero).
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