In cruce pro homine - Péguy

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In cruce pro homine - Péguy
Con il Patrocinio del
In cruce pro homine
Lunedì santo
29 marzo 2010 - ore 21
Chiesa di San Pietro Martire
Via Carlo Alberto - Monza - Ingresso libero
Voci
ROBERTO GUARNIERI chitarra
violino
SERENA CANINO
SAMANTHA ZANUSSO flauto
Inno
alla
Speranza
Regìa
da
GUIDO GARLATI
«Il portico del Mistero della seconda virtù»
GUIDO GARLATI
MONICA MANTEGAZZA
Musiche originali di
ROBERTO GUARNIERI
eseguite da
AVVISO SACRO
di Charles Péguy
In cruce pro homine
«...nella speranza
siamo stati salvati.»
Benedetto XVI, enc. Spe salvi, 1
Inno alla Speranza
da
Il portico del Mistero della seconda virtù
di Charles Péguy
Voci
GUIDO GARLATI
MONICA MANTEGAZZA
Musiche di
ROBERTO GUARNIERI
eseguite da
ROBERTO GUARNIERI
SERENA CANINO
SAMANTHA ZANUSSO
chitarra
violino
flauto
Regìa
GUIDO GARLATI
Selezione dei brani
MARCO ed ENRICA PENNATI
N.B. - Titoli e neretti non sono nel testo originale
INTRODUZIONE
Il Centro Culturale Talamoni di Monza, nell’occasione della Settimana Santa, propone
ormai da quindici anni, sotto la titolazione “In cruce pro homine”, una meditazione
artistica incentrata sull’evento salvifico che passa attraverso la Croce e la Resurrezione del
Signore. Quest’anno, considerando che la salvezza portata da Cristo è la sorgente della
vera speranza che non delude, ed anche sulla scorta della recente enciclica di Benedetto
XVI “Spe salvi”, che ha riproposto in modo magistrale il tema della speranza cristiana, il
CCT ha voluto recuperare il messaggio poetico che uno dei maggiori scrittori cattolici del
Novecento, il francese Charles Péguy, ha lasciato proprio su questo tema.
Charles Péguy (1873-1914) veniva da un’umile famiglia di Orléans, e rivendicò
sempre la sua appartenenza al popolo, alla gente semplice, mantenendo, nel suo impegno
intellettuale e artistico, un solido radicamento nella concretezza del reale. Dopo aver aderito
in gioventù al partito socialista, ritrovò la fede cattolica e, senza rinnegare nulla della sua
storia, trasferì la sua militanza in un’assidua opera di giudizio e di presenza culturale e
artistica, volta a risvegliare nel popolo cristiano l’essenza della fede, messa a repentaglio dai
mutamenti sociali, ideologici e di costume dell’inizio del secolo XX. Morì al fronte, nel
1914, nella battaglia della Marna
Pochi scrittori, anche fra i cattolici, hanno avvertito così intensamente, come Péguy, la
decisività, per la storia umana, dell’avvenimento salvifico dell’Incarnazione. Dio ha preso
l’iniziativa per salvare l’uomo, tutto l’uomo: l’Eterno entrato nel temporale ha sovvertito
radicalmente il rapporto tra il “carnale” e lo “spirituale”, tra corpo ed anima, in quanto ha
assunto nella dimensione del sacro tutta la realtà creata, quindi anche la materialità, la
povera e quotidiana concretezza del vivere umano. Di conseguenza, come l’Eterno ha
voluto entrare nel tempo, così il tempo storico può veicolare l’eterno, aprire all’eterno.
Per questo Péguy ha combattuto con vigore veeemente ogni riduzione spiritualistica o
moralistica del cristianesimo, e così pure il clericalismo e la riduzione politica dell’ideale,
attirandosi incomprensioni e patendo l’ostracismo anche di noti e rilevanti esponenti della
cultura cattolica del suo tempo.
L’opera forse più originale e significativa dello scrittore francese è costituita dalla trilogia
dei “Misteri”: Il mistero della carità di Giovanna d’Arco, Il portico del mistero della
seconda virtù e Il mistero dei santi Innocenti. In essi questo entrare in gioco della Grazia e
della salvezza nella dimensione quotidiana del temporale e della libertà umana emerge con
grande forza espressiva, col dispiegarsi zampillante e irrefrenabile di immagini, arricchite
via via di sfumature e variazioni che raggiungono in più punti vertici di alta poesia, pur
nell’assoluta centratura teologica.
Il secondo di essi (come il terzo) è incentrato sul tema della Speranza. Ed è a questo che si
è attinto per l’occasione, operando, ovviamente, una selezione e un ‘alleggerimento’nella
materia così sinfonica e sovrabbondante, come è nello stile di Péguy, in modo da consentire
di gustare meglio la bellezza degli spunti e delle immagini con cui egli fa riflettere su quella
che, altrove, definisce “la virtù della contro-abitudine”.
Si articoleranno, così, sei “quadri”, in cui il leit motiv della Speranza ci viene incontro, di
volta in volta, sotto figure e sfaccettature diverse: innanzitutto, con l’indimenticabile
immagine della bambina, quasi impertinente, allegoria della perenne novità cristiana,
dell’”infanzia del cuore” evangelica, che impedisce alla Fede e alla Carità di isterilirsi
nell’abitudine; poi come annuncio da portare al mondo affidato ai fedeli, annuncio di una
salvezza che abbraccia anima e corpo, insieme. Ritorna, quindi, come la speranza delle
parabole in cui Dio cerca, incalza, attende il peccatore che si smarrisce, sperando nel suo
libero ravvedimento; e ancora, con la similitudine della sorgente che zampilla eternamente
di acqua nuova, in cui la Speranza trasfigura l’acqua vecchia delle miserie umane, poi con la
metafora della strada, che la bambina-Speranza ripercorre e fa ripercorrere innumerevoli
volte, ma non invano, perché, nel cammino che ci conduce alla Meta, ogni passo, ogni tratto
che sembra a noi ripetersi monotonamente, agli occhi di Dio invece si somma; e, infine, nel
bellissimo inno alla Notte mediante la quale Dio pacifica il cuore umano sempre inquieto, e
la Speranza ci fa finalmente affidare alle Sue, e non più alle nostre mani, l’esito del nostro
operare. La notte che richiama quella Notte, precedente la Pasqua, in cui si è compiuto il
Sacrificio di Gesù che ha suggellato il patto eterno di misericordia tra Dio e l’uomo.
Così Péguy ci affida il suo “canto di fede nella speranza”, come lo definì Guyon. E il grande
teologo Hans Urs von Balthasar, a tal proposito, parlò di un Péguy che poneva le basi di una
inedita teologia della speranza, aggiungendo: “Nessuno ha parlato così cristiano”.
I ‘quadri’ saranno intervallati e anche collegati da musiche composte appositamente dal
M° Roberto Guarnieri, monzese, ed eseguite alla chitarra, al violino e al flauto da tre
valenti strumentisti: nell’ordine, lo stesso Guarnieri, Serena Canino e Samantha Zanusso.
Agli attori Guido Garlati (che cura anche la regìa) e Monica Mantegazza, già noti al
pubblico monzese per altri memorabili “lunedì santi” (v. per tutti “Interrogatorio a Maria”
di G. Testori, proposto nel 2006), il compito di proporre i versi di Péguy.
m.p.
indice
I. SPERANZA, INFANZIA DEL CUORE
1. Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia
2. La piccola Speranza fa camminare la Fede e la Carità
p. 1
p. 2
II. DIPENDE DA NOI CHE LA SPERANZA NON MENTA NEL MONDO
1. Maria, colei che è tutta Speranza
2. Corpo e anima insieme, per la vita eterna
p. 4
p. 5
III. DIO SI E’ DEGNATO DI SPERARE IN NOI
1. Dio ha messo nelle nostre deboli mani la sua Speranza eterna
2. Spaventosa libertà dell’uomo
p. 7
p. 9
IV. E BISOGNA CHE LA MIA GRAZIA SIA PROPRIO GRANDE
1. La terza parabola della Speranza
2. La fonte eternamente zampillante
p. 10
p. 11
V. ALLO SGUARDO DI DIO NULLA SI RICOMINCIA
1. Quello che conta è la strada. E come la si fa
2. La piccola Speranza è la sola che non delude
p. 13
p. 15
VI. CHI NON DORME E’ INFEDELE ALLA SPERANZA
1. Colui che sa rimandare al domani è il più gradito a Dio
2. La notte è la mia più bella creazione
p. 17
p. 18
I.
SPERANZA, INFANZIA DEL CUORE
Brano musicale: “Dalla Croce alla Luce” (chitarra solo)
1. Per sperare bisogna aver ricevuto una grande grazia
Quello che mi stupisce, dice Dio, è la speranza.
Non me ne capacito.
Questa piccola Speranza che ha l’aria di non essere nulla.
Questa bambina Speranza.
Immortale.
Perché le mie tre virtù, dice Dio.
Le tre virtù mie creature.
Sono esse stesse come le altre mie creature.
Della razza degli uomini.
La Fede è una Sposa fedele.
La Carità è una Madre.
Una madre ardente, piena di cuore.
O una sorella maggiore che è come una madre.
La Speranza è una bambina da nulla.
Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso.
Che gioca ancora con babbo Gennaio.
Eppure è questa bambina che traverserà i mondi.
Questa bambina da nulla.
Lei sola, portando le altre, che traverserà i mondi compiuti.
Come la stella ha guidato i tre re fin dal fondo dell’Oriente.
Verso la culla di mio figlio.
Così una fiamma tremante.
Lei sola guiderà le Virtù e i Mondi.
Una fiamma bucherà delle tenebre eterne.
Si dimentica troppo, bimba mia, che la Speranza è una virtù,
che è una virtù teologale, e che di tutte le virtù, e delle tre
virtù teologali, è forse la più gradita a Dio.
Che è sicuramente la più difficile, che è forse la sola difficile,
e che senza dubbio è la più gradita a Dio.
La fede va da sé. La fede cammina da sola. Per credere c’è solo
da lasciarsi andare, c’è solo da guardare. Per non credere
bisognerebbe farsi violenza, torturarsi, tormentarsi, contrariarsi.
Irrigidirsi. Prendersi a rovescio, mettersi a rovescio, riprendersi.
La fede è tutta naturale, tutta alla buona, tutta semplice.
Per non credere, bambina, bisognerebbe tapparsi gli occhi e gli orecchi.
Per non vedere, per non credere.
La carità purtroppo va da sé. Per amare il prossimo c’è solo
da lasciarsi andare, c’è solo da guardare una simile desolazione.
Per non amare il prossimo bisognerebbe farsi violenza,
torturarsi, tormentarsi, contrariarsi. Irrigidirsi. Farsi male.
Snaturarsi, prendersi a rovescio, mettersi a rovescio. Riprendersi.
1
La carità è tutta naturale, tutta zampillante, tutta semplice,
tutta alla buona. E’ il primo movimento del cuore. E’ il primo
movimento che è quello buono. La carità è una madre e una sorella.
Per non amare il prossimo, bambina, bisognerebbe tapparsi gli occhi
e gli orecchi.
A tante grida di desolazione.
Ma la speranza non va da sé. La speranza non va da sola.
Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici,
bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia.
2. La piccola Speranza fa camminare la Fede e la Carità
La piccola Speranza avanza tra le sue due sorelle grandi
e non si nota neanche.
Sulla via della salvezza, sulla via carnale, sulla via accidentata
della salvezza, sulla strada interminabile, sulla strada
tra le due sorelle grandi, la piccola Speranza.
Avanza.
E non si fa attenzione, il popolo cristiano non fa attenzione
che alle due sorelle grandi.
E crede volentieri che siano le due grandi che tirino
la piccola per la mano.
Ciechi che sono che non vedono invece
che è lei nel mezzo che si tira dietro le sue sorelle grandi.
E’ lei, quella piccina, che trascina tutto.
1° Stacco flauto
Perché la Fede non vede che quello che è.
E lei vede quello che sarà.
La Carità non ama che quello che è.
E lei, lei ama quello che sarà.
La Speranza vede quello che non è ancora e che sarà.
Ama quello che non è ancora e che sarà.
Nel futuro del tempo e dell’eternità.
2° Stacco flauto
Sulla via ripida, sabbiosa, malagevole.
Sulla via ripida.
Tirata, appesa alle braccia delle due sorelle grandi,
che la tengono per mano.
La piccola Speranza.
Avanza.
E in mezzo tra le sue due sorelle grandi ha l’aria
di lasciarsi tirare.
Come una bimba che non avesse la forza di camminare.
E che si tirasse su quella strada suo malgrado.
E in realtà è lei che fa camminare le due altre.
E che le tira.
Perché non si lavora mai che per i bambini.
E le due grandi non camminano che per la piccola.
Tutto quel che si fa lo si fa per i bambini.
E sono i bambini che fanno fare tutto.
Tutto quello che si fa.
2
Come se ci prendessero per mano.
Così tutto quello che si fa, tutto quello che la gente fa
lo fa per la piccola Speranza.
3° Stacco flauto
Tutto quello che c’è di piccolo è tutto quello
che c’è di più bello e di più grande.
Tutto quello che c’è di nuovo è tutto quello
che c’è di più bello e di più grande.
E il battesimo è il sacramento dei piccoli.
E il battesimo è il sacramento più nuovo.
E il battesimo è il sacramento che comincia.
Tutto quello che comincia ha una virtù che non si ritrova
mai più.
Una forza, una novità, una freschezza come l’alba.
Una giovinezza, un ardore.
Uno slancio.
Un’ingenuità.
Una nascita che non si trova mai più.
Il primo giorno è il più bel giorno.
Il primo giorno è forse il solo bel giorno.
E il battesimo è il sacramento del primo giorno.
E il battesimo è tutto quello che c’è di bello e di grande.
Se non ci fosse il sacrificio.
E la consumazione del corpo di Nostro Signore.
C’è in quello che comincia una fonte, una razza che non ritorna.
Una partenza, un’infanzia che non si ritrova, che non si ritrova
mai più.
Ora la piccola Speranza
è quella che sempre comincia.
Quella nascita
perpetua.
Quell’infanzia
perpetua. Cosa si farebbe, cosa si sarebbe, mio Dio,
senza i bambini.
Cosa si diventerebbe.
E le sue due sorelle grandi sanno bene che senza di lei loro
non sarebbero che serve di un giorno.
Ma grazie a lei invece sanno bene di essere due donne generose.
Due donne con un avvenire.
E che grazie a questa bambina che allevano tengono tutto
il tempo e l’eternità stessa nel cavo di una mano.
Beati bambini; padre beato.
Beata Speranza.
Beata infanzia. Tutto il loro piccolo corpo, tutta la loro
piccola persona, tutti i loro piccoli gesti, sono pieni,
grondano, traboccano di una speranza.
Risplendono, traboccano di un’innocenza.
Che è l’innocenza stessa della Speranza.
Speranza; infanzia del cuore.
Brano musicale: “Il volo” (trio)
3
II.
DIPENDE DA NOI CHE LA SPERANZA NON MENTA NEL MONDO
1. Maria, colei che è tutta Speranza
Ci sono dei giorni in cui i patroni e i santi non bastano.
I più grandi patroni e i più grandi santi.
I patroni ordinari, i santi ordinari.
E in cui bisogna salire, salire ancora, salire sempre; sempre più in alto,
e andare e andare.
Fino all’ultima santità, l’ultima purezza, l’ultima bellezza,
il patronato ultimo.
Allora bisogna prendere il coraggio a due mani.
E rivolgersi direttamente a colei che è al di sopra di tutto.
Essere arditi. Una volta. Rivolgersi arditamente a colei che è
infinitamente bella.
Perché è anche infinitamente buona.
A colei che intercede.
La sola che possa parlare con l’autorità di una madre.
A colei che è tutta Fede e tutta Carità.
Perché è anche tutta Speranza.
A colei che è infinitamente celeste:
Perché è anche infinitamente terrestre.
A colei che è infinitamente eterna.
Perché è anche infinitamente temporale.
A colei che è infinitamente al di sopra di noi.
Perché è anche infinitamente tra di noi.
A colei che è la madre e la regina degli angeli.
Perché è anche la madre e la regina degli uomini.
A tutte le creature manca qualcosa, e non soltanto
di non essere Creatore.
A quelle che sono carnali, lo sappiamo, manca di essere pure.
Ma a quelle che sono pure, bisogna saperlo, manca
d’essere carnali.
Una sola è pura essendo carnale.
Una sola è carnale insieme essendo pura.
E’ per questo che la santa vergine non è solo la più grande benedizione
che sia caduta sulla terra.
Ma la più grande benedizione stessa che sia scesa
in tutta la creazione.
Lei non è solo la prima fra tutte le donne.
Benedetta fra tutte le donne,
lei non è solo la prima fra tutte le creature,
lei è una creatura unica, infinitamente unica,
infinitamente rara.
1° Stacco chitarra
4
2. Corpo e anima insieme, per la vita eterna
Una sola e nessun’altra insieme carnale e pura. Perché da parte
degli angeli
gli angeli sarebbero bene puri, ma sono puri spiriti,
non sono carnali.
Non sanno che sia avere un corpo, essere un corpo.
Non sanno che sia essere questa povera creatura.
Carnale.
Un corpo impastato del fango di questa terra.
Carnale.
Non conoscono questo legame misterioso, questo legame creato,
infinitamente misterioso,
dell’anima e del corpo.
Perché Dio non ha creato soltanto l’anima e il corpo.
L’anima immortale e il corpo mortale ma che risusciterà.
Ma ha creato anche, con una terza creazione ha creato
questo vincolo misterioso, questo vincolo creato,
questo attaccamento, questo legame del corpo e dell’anima,
di uno spirito e di una materia,
dell’immortale e del mortale ma che risusciterà
e l’anima è legata al fango e alla cenere.
Al fango quando piove e alla cenere quando il tempo è asciutto.
Eppure legata così bisogna che l’anima faccia la sua salvezza.
Non occorre soltanto che lei si salvi, lei per lei, lei per sé.
Occorre anche che salvi lui, l’anima salvi lui il corpo.
Come le due mani sono giunte nella preghiera,
e una non è più ingiusta dell’altra,
così il corpo e l’anima sono come due mani giunte.
E l’uno e l’altra insieme entreranno insieme nella vita eterna.
E saranno due mani giunte, insieme, per ciò che è infinitamente
più della preghiera.
E infinitamente più del sacramento.
O tutti e due insieme ricadranno come due polsi legati
per una prigionia eterna.
Perché nessuno dei due, né l’uno né l’altra sarà salvato
senza l’altro.
Ecco quello che gli angeli non conoscono.
Voglio dire ecco quello che non hanno provato.
Cosa sia avere questo corpo; avere questo legame con questo corpo;
essere questo corpo.
Avere questo legame con la terra, con questa terra, essere questa terra,
il limo e la polvere, la cenere e il fango della terra.
Il corpo stesso di Gesù.
Gesù Cristo, bambina, non è venuto per dirci frivolezze,
capisci, non ha fatto il viaggio di venire sulla terra,
un grande viaggio, detto tra noi,
(e stava così bene là dove era.)
(Prima di venire. Non aveva tutte le nostre preoccupazioni.)
non ha fatto il viaggio di scendere sulla terra
per venire a contarci indovinelli
5
e barzellette.
Non si ha il tempo di divertirsi.
Lui non ha messo, non ha impiegato, non ha speso
i trentatré anni della sua vita terrestre,
della sua vita carnale,
i trent’anni della sua vita privata,
i tre anni della sua vita pubblica,
i tre giorni della sua passione e della sua morte,
(e nel limbo i tre giorni del suo sepolcro),
per venire in seguito e nello stesso tempo a contarci frottole.
No, no, bambina mia, e Gesù non ci ha neanche dato
delle parole morte
che noi dobbiamo chiudere in piccole scatole
(o in grandi.)
Gesù Cristo, bambina mia, non ci ha dato delle conserve di parole
da conservare,
ma ci ha dato delle parole vive
da nutrire.
Ego sum via, veritas et vita,
Io sono la via, la verità e la vita.
Le parole della vita, le parole vive non si possono conservare
che vive,
nutrite vive,
nutrite, portate, scaldate, calde in un cuore vivo.
2° Stacco chitarra
E’ a noi infermi, che è stato dato,
è da noi, infermi e carnali, che dipende
di far vivere e di nutrire e di mantenere vive nel tempo
quelle parole pronunciate vive nel tempo.
Mistero dei misteri, questo privilegio ci è stato dato,
questo privilegio incredibile, esorbitante,
di conservare vive le parole della vita,
di nutrire col nostro sangue, con la nostra carne,
col nostro cuore
delle parole che senza di noi ricadrebbero disincarnate.
Occorre, dipende da noi fedeli
che lo spirituale non manchi del carnale,
dobbiamo dir tutto, è incredibile: che l’eternità non manchi
di un tempo,
del tempo, di un certo tempo.
Che lo spirito non manchi di carne.
Che l’anima per così dire non manchi di corpo.
Che Gesù non manchi di Chiesa,
della sua Chiesa.
Bisogna andare fino in fondo: Che Dio non manchi
della sua creazione.
Cioè dipende da noi
che la speranza non menta nel mondo.
Brano musicale:
“Il tremolar della marina” (trio)
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III.
DIO SI E’ DEGNATO DI SPERARE IN NOI
1. Dio ha messo nelle nostre deboli mani la sua speranza eterna
Bisogna aver fiducia in Dio bambina mia.
Bisogna aver speranza in Dio.
Bisogna avere in Dio questa fede di sperare in lui.
Bisogna credere in lui, cioè sperare.
Bisogna aver fiducia in Dio, lui ha ben avuto fiducia in noi.
Bisogna dar fiducia a Dio, lui ci ha ben dato fiducia.
Singolare mistero, il più misterioso.
Dio ci ha prevenuto.
E’ un miracolo. Un miracolo in anticipo, Dio ci ha prevenuto,
un mistero di tutti misteri, Dio ha cominciato.
Tutti i sentimenti, tutti gli impulsi che noi dobbiamo avere
per Dio,
Dio li ha avuti per noi, ha cominciato ad averli per noi.
Dio ci ha fatto speranza. Ha cominciato. Ha sperato
che l’ultimo dei peccatori,
che il più infimo dei peccatori lavorasse almeno un po’
alla sua salvezza,
sia pure poco, poveramente.
Lui ha sperato in noi, sarà detto che noi non spereremo in lui?
Dio ci ha affidato suo figlio, ahimè, ahimè. Dio ci ha affidato
la nostra salvezza, la cura della nostra salvezza.
Ha fatto dipendere da noi e suo Figlio e la nostra salvezza,
e anche la sua speranza stessa.
Egli ha messo nelle nostre mani, nelle nostre deboli mani,
la sua speranza eterna,
nelle nostre mani passeggere.
Nelle nostre mani peccatrici.
E noi, noi peccatori, non metteremo la nostra debole speranza
nelle sue mani eterne?
E raccontò loro questa parabola, dicendo:
Quale uomo tra voi, che abbia cento pecore;
(questo è secondo san Luca;)
e se ne perde una,
non rimanda forse, (non lascia,) le novantanove nel deserto,
e non va verso quella,
quae períerat, che era perita,
finché non la ritrovi?
E quando l’ha trovata,
la pone sulle spalle rallegrandosi
e venendo a casa, convoca i suoi amici e vicini dicendo loro:
Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perita.
7
Io ve lo dico,
che ci sarà tanta gioia nel cielo
per un peccatore che fa penitenza,
quanto per novantanove giusti che non hanno bisogno
di penitenza.
Ora che è mai la penitenza, bambina mia, cosa c’è dunque
nella penitenza?
Com’è inquietante.
Qual è questa virtù, questo segreto, che cosa occorre dunque
che ci sia di così straordinario,
nella penitenza,
perché questo solo peccatore, questo solo peccatore che fa penitenza
valga altrettanto, rallegri, susciti tanta gioia nel cielo quanto
novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza?
Non siamo tutti figli di Dio. Ugualmente allo stesso modo?
E’ ingiusto. Cos’è questa invenzione, questa nuova invenzione?
E’ ingiusto. Ecco un’anima (ed è giustamente quella che s’era perduta),
che vale tanto, che conta tanto, che rallegra tanto quanto quelle novantanove
disgraziate che erano rimaste costanti.
Perché; in che cosa; come? Ecco uno che pesa nella bilancia di Dio
quanto novantanove.
1° Stacco chitarra e violino
Perché bisogna prendere tutto alla lettera, bambina,
letteralmente come Gesù era morto ed è risorto di tra i morti,
così quella pecora era perduta, così quella pecora era morta,
così quell’anima era morta e dalla sua propria morte è risorta
di tra i morti.
Essa ha fatto tremare il cuore stesso di Dio.
Del tremore del timore e del tremore della speranza.
Ha fatto tremare il cuore di Dio
del tremore stesso della speranza.
Ha introdotto nel cuore stesso di Dio la teologale
Speranza.
Ecco, bambina, quale segreto. Ecco quale mistero.
Il fatto è che una penitenza
dell’uomo
è il coronamento di una speranza di Dio.
Dio, che è tutto, ha avuto qualcosa da sperare, da lui,
da quel peccatore. Da quel nulla. Da noi. E’ stato messo a questo punto,
si è messo a questo punto, in questa condizione da aver da sperare,
da attendere da quel miserabile peccatore.
Colui che ama cade in schiavitù di colui che è amato.
Proprio per questo.
Colui che ama cade in schiavitù di colui che egli ama.
Dio non ha voluto sfuggire a questa legge comune.
E per il suo amore è caduto in schiavitù del peccatore.
Rivolgimento della creazione, è la creazione all’incontrario.
Il Creatore adesso dipende dalla sua creatura.
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2. Spaventosa libertà dell’uomo
Noi possiamo mancargli.
Non rispondere alla sua chiamata.
Non rispondere alla sua speranza. Far difetto. Mancare.
Non esserci.
Spaventoso potere.
I calcoli di Dio possono a causa nostra non cader giusti.
Le previsioni, le previdenze, le provvidenze di Dio
a causa nostra possono non cader giuste,
per colpa dell’uomo peccatore.
Spaventosa libertà dell’uomo.
Noi possiamo far fallire tutto.
Non esser lì il giorno che veniamo chiamati.
Possiamo mancare a Dio.
Ecco il caso in cui s’è messo,
il brutto caso.
S’è messo nel caso di aver bisogno di noi.
2° Stacco chitarra e violino
Che imprudenza. Che fiducia.
Ben posta, mal posta, questo dipende da noi.
Che speranza, che testardaggine, che partito preso, che forza
incurabile di speranza.
In noi.
Che spoliazione, di sé, del suo potere.
Che imprudenza.
Che mancanza di previsione, di previdenza,
di provvidenza
di Dio.
Eppure è così, bambina, che sono fatti i conti di Dio.
Così erano fatti, bambina, i conti di Gesù. Non si può negare;
non c’è alcun dubbio che ci siano due razze di santi
in cielo.
Due specie di santi
(fortunatamente vanno d’accordo).
Ci sono quelli che vengono, quelli che escono dai giusti.
E ci sono quelli che escono dai peccatori.
Ed è un’impresa difficile.
E’ un’impresa impossibile all’uomo.
Sapere quali sono i più grandi santi.
Così nel cielo è piaciuto, è stato gradito alla sua sapienza.
E alla sua contentezza.
Di essere lodato, di essere cantato, di essere combattuto
da due voci.
Da due lingue, da due cori.
Dagli antichi giusti e dagli antichi peccatori.
Perché palmo a palmo la Giustizia arretrasse
davanti alla Misericordia.
E la Misericordia avanzasse
e la Misericordia vincesse.
Perché se non ci fosse che la Giustizia e se la Misericordia
non se ne impicciasse,
chi si sarebbe salvato?
Brano musicale:”Improvviso n 2” (trio)
9
IV.
E BISOGNA CHE LA MIA GRAZIA SIA PROPRIO GRANDE
1. La terza parabola della speranza
C’era una grande processione; in testa avanzavano
le tre Similitudini:
la parabola della pecorella smarrita;
la parabola della dracma smarrita;
la parabola del figlio smarrito.
Tutte le parabole sono belle, bambina, tutte le parabole sono grandi,
tutte le parabole sono care.
Tutte le parabole sono la parola e il Verbo,
la parola di Dio, la parola di Gesù.
Tutte vengono dal cuore, ugualmente, e vanno al cuore,
parlano al cuore.
Ma tra tutte le tre parabole della speranza
avanzano,
insieme.
Ugualmente giovani, ugualmente care.
Segretamente amate. Ugualmente amate.
E come più interiori di tutte le altre.
Come rispondenti a una voce interiore più profonda.
Ma fra tutte; fra tutte e tre ecco la terza parabola che avanza.
Così nuova fino all’ultimo giorno.
A meno di avere un cuore di pietra, bambina, chi la sentirebbe
senza piangere?
Un uomo aveva due figli. Di tutte le parole di Dio
è quella che ha destato l’eco più profonda.
Più antica.
Più vecchia, più nuova.
Fedele, infedele.
Conosciuta, ignota.
E’ la sola che il peccatore non ha mai fatto tacere nel suo cuore.
Quando una volta questa parola ha morso al cuore
nessuna voluttà cancellerà più
la traccia dei suoi denti.
Tale è questa parola. E’ una parola che accompagna.
Segue come un cane.
Che si picchia, ma che resta.
Come un cane maltrattato, che torna sempre.
Fedele essa resta, torna come un cane fedele.
Avete un bel prenderla a calci e a bastonate.
Fedele essa stessa di una fedeltà unica,
così accompagna l’uomo nei suoi più grandi eccessi.
E’ lei che insegna che non tutto è perduto.
Non è nella volontà di Dio
che uno solo di questi piccoli perisca.
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Quando il peccatore s’allontana da Dio, bambina,
a misura che s’allontana, a misura che sprofonda nei paesi perduti,
a misura che si perde.
Getta sul bordo della strada, tra i rovi e tra le pietre
come inutili e imbarazzanti e seccanti i beni più preziosi.
I beni più sacri.
La parola di Dio, i più puri tesori.
Ma c’è una parola di Dio che non respingerà.
E per lontano che vada l’uomo, quest’uomo che si perde,
in qualsiasi paese,in qualsiasi oscurità,
lontano dal focolare, lontano dal cuore,
e quali che siano le tenebre in cui sprofonda,
le tenebre che gli velano gli occhi,
sempre veglia una luce che non sarà mai messa sotto il moggio.
Sempre una lampada.
Sempre un punto di dolore brucia. Un uomo aveva due figli.
Un punto che egli conosce bene.
Nella falsa quiete un punto d’inquietudine, un punto di speranza.
Tutte le altre parole di Dio sono pudiche. Non osano
accompagnare l’uomo nelle vergogne del peccato.
Ma questa qui in verità non è vergognosa.
Si può ben dire che non ha paura di nulla.
E’ una piccola suora dei poveri che non ha paura di maneggiare
un malato e un povero.
Essa ha per così dire
e anche realmente gettato una sfida al peccatore.
Gli ha detto: Dovunque andrai, io andrò.
Un punto doloroso resta, un punto di pensiero, un punto di inquietudine.
Un germoglio di speranza.
2. La fonte eternamente zampillante
Ma la speranza, dice Dio…
che quei poveri figlioli vedano tutti i giorni come vanno le cose.
E che tutti i giorni credano che andrà meglio
l’indomani mattina.
Tutti i giorni da quando ci sono i giorni.
E che si leverà un sole migliore.
Che tutte le mattine alzandosi credano che la giornata
sarà buona.
E che tutte le sere andando a letto credano che l’indomani
sarà, verrà una buona giornata.
Che tutte le smentite non contino, tante smentite che ricevono
precisamente tutti i giorni,
innumerevoli come i giorni,
non li disilludano da questa idea, da questa convinzione
assurda
che il giorno di oggi sarà un giorno migliore,
questo mi confonde.
Questo è troppo.
E non riesco a capacitarmi io stesso.
Che sia proprio con questa materia, con questi innumerevoli giorni cattivi
che piovono e che piovono
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che facciano, che sgorghino, che facciano uscire, che facciano sprizzare
questa fonte stessa della speranza.
Questo fiume più grande di tutti i miei fiumi.
Il solo grande.
Ecco quello che ammiro, io, che pure me ne intendo.
E che conosco la mia creazione. E l’opera dei Sei Giorni.
E il riposo del Settimo.
Ecco cosa mi meraviglia. Eppure non mi stupisco facilmente.
Sono così vecchio. Ne ho viste tante. Ne ho fatte tante.
Ecco cosa mi supera e non riesco a capacitarmi.
E bisogna che la mia grazia sia proprio grande.
1° Stacco flauto
Ci si domanda, ci si dice: Ma come avviene
che questa fontana Speranza eternamente scorre,
che sgorga eternamente, che zampilla eternamente,
eternamente giovane, eternamente pura,
eternamente viva?
Dove questa bambina prende tanta acqua pura e tanta
acqua chiara,
tanto zampillare e tanto sgorgare?
Li crea forse lei? Via via?
“No, dice Dio, non ci sono che io a creare,”
“Allora dove prende tutta quest’acqua.”
Come avviene che quest’eterna fontana
eternamente zampilli?
Ci deve essere un segreto lì dentro.
Qualche mistero.
2° Stacco flauto
“Buona gente, dice Dio, non ci vuol molto.”
Il suo mistero non è complicato.
E il suo segreto non è difficile.
E se fosse con dell’acqua pura che lei volesse dare
delle fonti pure,
mai ne troverebbe abbastanza, in (tutta) la mia creazione.
Perché non ce n’è molta.
Ma è giustamente con le acque cattive che lei fa le sue fonti
d’acqua pura.
Ed è per questo che non ne manca mai.
Ma è anche per questo che lei è la Speranza.
Se con dell’acqua chiara facesse dell’acqua chiara.
Se fosse con dell’anima pura che fa dell’anima pura,
perbacco, ci vorrebbe poco.Tutti potrebbero fare altrettanto.
E non ci sarebbe in questo nessun segreto.
Ma è delle acque cattive che fa una fonte eterna.
Lei sa bene che non ne mancherà mai.
La fonte eterna della mia grazia stessa.
Lei sa bene che non ne mancherà mai.
E bisogna che la mia grazia sia talmente grande.
Brano musicale:
“Fonte della vita” (duo violino-flauto)
12
V.
ALLO SGUARDO DI DIO NULLA SI RICOMINCIA
1. Quello che conta è la strada. E come la si fa
C’era una grande processione. Era la processione del Corpus Domini.
Si portava il Santissimo Sacramento. Così in testa le tre Teologali.
Camminavano.
Vedete, dice Dio, questa piccola, come cammina.
Guardatela un po’.
Le altre, le due altre camminavano come le persone grandi,
le sue due sorelle maggiori. Loro sanno dove sono. Si comportano
con decenza. Sanno di essere in una processione. Camminano
come le persone grandi.
Serie. Che sono sempre un po’stanche.
Ma lei non è mai stanca.
Guardate un po’. Come cammina.
Corre avanti venti volte, come un cagnolino, ritorna, riparte,
fa la strada venti volte.
Lei si diverte con le ghirlande della processione.
Guardate questa piccina, dice Dio, come cammina.
Salterebbe alla corda in una processione.
Tanto è felice
e tanto è sicura di non stancarsi mai.
I bambini camminano proprio come i cagnolini.
(D’altronde giocano anche come i cagnolini.)
Quando un cagnolino va a passeggio con i suoi padroni
va, viene. Riparte, ritorna. Va avanti, torna indietro.
Fa venti volte la strada.
E’ perché in effetti non va da nessuna parte.
Sono i padroni che vanno da qualche parte.
E quello che gli interessa, è precisamente fare la strada.
Ugualmente i bambini.
A loro non interessa andare da qualche parte.
Non vanno da nessuna parte.
Sono le persone grandi che vanno da qualche parte
Le persone grandi, la Fede, la Carità.
Sono i genitori che vanno da qualche parte.
Che si sforzano, che si agitano per andare da qualche parte.
Ma i bambini, quello che gli interessa è solo fare la strada.
Andare, venire e saltare. Consumare la strada
con le loro gambe.
Loro bevono la via. Hanno sete della via. Non ne hanno
mai abbastanza.
Loro non vanno, non corrono per arrivare. Loro arrivano per correre.
Arrivano per andare. Così è la Speranza. Non risparmiano i passi.
Non ne verrebbe loro neanche l’idea.
Di risparmiare alcunché.
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Sono le persone grandi che risparmiano.
Ahimè sono ben obbligate. Ma la bambina Speranza
non risparmia mai nulla.
1° Stacco violino
Lei non risparmia i suoi passi, e siccome ci tratta
come tratta se stessa
non risparmia neanche i nostri.
Ci fa andare venti volte nello stesso posto.
Che è generalmente un posto di delusione.
(Terrestre.)
Per lei fa lo stesso. E’ come una bambina. E’ una bambina.
La saggezza terrena non la riguarda.
Lei non calcola come noi.
Come una che ha tutta la vita davanti a sé.
Lei crede, lei conta che noi siamo come lei.
Non risparmia le nostre pene. E le nostre fatiche. Lei conta
che noi abbiamo tutta la vita davanti a noi.
Come si sbaglia. Come ha ragione
perché non abbiamo forse tutta la Vita davanti a noi.
La sola che conti. Tutta la vita Eterna.
E il vecchio non ha forse tanta vita davanti a sé
quanta il bimbo in culla.
Se non di più. Perché per il bimbo in culla la Vita eterna,
la sola che conti è mascherata da questa miserevole vita
che ha davanti a sé. Per prima. Che viene prima. Da questa miserevole
vita terrestre. Bisogna che passi attraverso tutta questa miserevole
vita terrestre.
Prima d’arrivare, prima di raggiungere, per raggiungere la Vita
la sola vita che conti. Ma il vecchio è fortunato.
Prudente ha messo dietro di sé questa miserevole vita
che gli mascherava la Vita eterna
adesso se ne è sbarazzato. Ha messo dietro di sé quello che era davanti.
Vede chiaro. E’ pieno di vita. Tra la vita e lui non c’è più nulla.
E’ al limite della luce.
E’ sulla riva stessa. E’ arrivato.
E’ al limite della vita eterna.
E’ proprio giusto dire che i vecchi sono prudenti.
Così come quella bambina aveva ragione di contare
che noi siamo come lei.
Che noi abbiamo tutta la vita davanti a noi.
L’abbiamo quanto lei.
Ha ragione. Quello che importa
non è di andare qua o là, non è di andare da qualche parte
di arrivare da qualche parte
terrestre. E’ di andare, di andare sempre…
E’ di andare poveramente nella piccola processione dei giorni
ordinarî,
grande per la salvezza. I giorni vanno in processione
e noi andiamo in processione nei giorni. Quello che importa
è andare. Andare sempre. Quello che conta. E come si va.
E’ la strada che si fa. E’ il tragitto stesso. E come lo si fa.
2° stacco violino
14
2. La piccola Speranza è la sola che non delude
Voi fate venti volte la strada terrestre.
E venti volte terminate, raggiungete, arrivate,
penosamente, laboriosamente, difficilmente,
con pena
al punto stesso della disillusione
terrestre.
E dite: Quella piccola Speranza mi ha ancora ingannato.
Andiamo, non siete bambini, sapevate bene
che quel punto dove andavate sarebbe stato un punto
di disillusione
terrestre. Che era così dall’inizio. Allora perché ci siete andati?
Perché capite benissimo gli intrighi di quella piccola
Speranza.
E’ perché in fondo sapete benissimo cos’è lei.
Cosa fa lei. E che c’inganna.
Venti volte.
Perché lei è la sola che non c’inganni.
3° stacco violino
E che ci delude
venti volte
tutta la vita
perché è la sola
che non deluda
per la Vita.
Perché quelle venti volte che ci fa fare la stessa strada
sulla terra per la saggezza umana sono venti volte
che si raddoppiano.
Ma per la saggezza di Dio
nulla è mai nulla. Tutto è nuovo. Tutto è altro.
Tutto è differente.
Allo sguardo di Dio nulla si ricomincia.
Tutti i giorni, voi dite, si ricominciano. – No essi
s’aggiungono
al tesoro eterno dei giorni.
Il pane di ogni giorno al pane del giorno prima.
La sofferenza di ogni giorno
(quand’anche ricominciasse la sofferenza del giorno prima)
al tesoro eterno delle sofferenze.
La preghiera di ogni giorno
(quand’anche ricominciasse la preghiera del giorno prima)
al tesoro eterno delle preghiere.
Il merito di ogni giorno
(quand’anche ricominciasse il merito del giorno prima)
al tesoro eterno dei meriti.
Sulla terra tutto si ricomincia. Nella stessa materia.
Ma in cielo tutto conta.
Ed è per questo che la giovane
Speranza
lei sola non risparmia nulla.
15
Quando Gesù lavorava da suo padre
tutti i giorni faceva la stessa giornata.
Non c’era mai una storia.
Tranne una volta.
Eppure è il tessuto, in quei medesimi giorni,
è la rete di quelle medesime giornate
che costituisce, che eternamente costituisce
la Vita ammirevole di Gesù prima della sua predicazione
la sua vita privata
la sua vita perfetta, la sua vita modello.
Ugualmente, insieme a lui, a imitazione di lui
sulla terra, sulle nostre vie della terra i nostri passi
cancellano i nostri passi.
Perché le vie della terra non possono conservare più strati
e facciamo venti strade che ugualmente si sovrappongono.
Ma nel cielo non si sovrappongono. Si mettono capo contro capo.
E fanno il ponte
che ci fa arrivare dall’altro lato.
Brano musicale:
“I ragazzi di Bucarest” (trio)
16
VI.
CHI NON DORME E’ INFEDELE ALLA SPERANZA
1. Colui che sa rimandare al domani è il più gradito a Dio
I bambini non pensano nemmeno alla stanchezza.
Corrono come cagnolini. Fanno la strada venti volte.
E di conseguenza venti volte più strada di quanto occorra.
Che è mai per loro. Sanno bene che la sera
(ma non ci pensano)
cadranno dal sonno
nel loro letto o anche a tavola
e che il loro sonno è la fine di tutto.
Ecco il loro segreto, ecco il segreto di essere instancabili.
Instancabili come la bambina Speranza.
E di ricominciare sempre il giorno dopo.
Il bambino non pensa neanche che la sera cadrà dal sonno.
Eppure è quel sonno
sempre pronto, sempre disponibile, sempre presente.
Sempre sotto sotto, come una buona riserva,
che gli mette quella forza nei garretti.
Ecco il segreto di essere instancabili.
E’ dormire. Perché mai gli uomini non ne usano.
Ho dato questo segreto a tutti quanti, dice Dio.
Non l’ho venduto.
Colui che dorme, vive bene. Colui che dorme, prega.
(Anche colui che lavora, prega. Ma c’è tempo per tutto.
E il sonno e il lavoro.)
Il lavoro e il sonno sono due fratelli. E vanno molto d’accordo
fra di loro.
Ora mi si dice che ci sono uomini
che lavorano bene e che dormono male.
Che non dormono. Che mancanza di fiducia in me.
Non parlo, dice Dio, di quegli uomini
che non lavorano e non dormono.
Quelli sono peccatori, s’intende. E’ ben fatto per loro.
Grandi peccatori. Non hanno che da lavorare.
Parlo di quelli che lavorano e non dormono.
Li compiango. Gliene voglio. Un po’. Non hanno fiducia in me.
Come il bimbo si sdraia innocente nelle braccia di sua madre
così loro non si sdraiano.
Innocenti nelle braccia della mia Provvidenza.
Hanno la virtù di lavorare. Non hanno la virtù di non far nulla.
Di distendersi. Di riposarsi. Di dormire.
Disgraziati non sanno cos’è buono.
Governano benissimo i loro affari durante il giorno.
Ma non vogliono affidarmene il governo durante la notte.
Come se io non fossi capace di assicurarne il governo
durante una notte.
Chi non dorme è infedele alla Speranza.
1° Stacco chitarra
17
Poveri ragazzi seguono la saggezza umana.
La saggezza umana dice: Non rimandare a domani
ciò che puoi fare oggi stesso.
E io vi dico Colui che sa rimandare al domani
è quello che è più gradito a Dio.
Colui che dorme come un bambino.
E’ anche colui che dorme come la mia cara Speranza.
E io vi dico Rimandate a domani
quelle preoccupazioni e quelle pene che oggi vi rodono
e oggi potrebbero divorarvi.
Rimandate a domani quelle lacrime che vi riempiono gli occhi
e la testa.
Perché da qui a domani, io, Dio, sarò forse passato.
La saggezza umana dice: Disgraziato chi rimette a domani.
E io dico Beato, beato chi rimette a domani.
Beato chi rimette. Cioè Beato chi spera. E che dorme.
E al contrario dico Disgraziato.
Disgraziato colui che veglia e non si fida di me. E si trascina.
Disgraziato colui che si trascina le sue sere e le sue notti.
2. La notte è la mia più bella creazione
Le notti si seguono e si tengono e per il bimbo le notti sono continue
e sono il fondo del suo essere stesso.
E’ là che ricade. Esse sono il fondo stesso della sua vita.
Sono il suo essere stesso. La notte è il luogo, la notte è l’essere
in cui s’immerge, in cui si nutre, in cui si crea,
in cui si fa.
In cui si rifà.
In cui rientra. E ne esce fresco.
La notte è la mia più bella creazione.
Ora perché l’uomo non ne usa? Mi si dice che ci sono uomini
che non dormono di notte.
La notte è per i bambini e per la mia giovane
Speranza ciò che è realmente. Sono i bambini che vedono e sanno.
E’ la mia giovane Speranza
che vede e che sa. Cosa sia l’essere.
Cosa sia quest’essere notte.
2° stacco chitarra
E’ la notte che è continua.
I bambini sanno benissimo. I bambini vedono benissimo.
E sono i giorni che sono discontinui. Sono i giorni che forano,
che rompono la notte
e per nulla le notti che interrompono il giorno.
E’ il giorno che fa rumore alla notte.
Altrimenti essa dormirebbe.
E’ la notte che è continua, in cui si ritempra l’essere, è la notte che forma
un lungo tessuto continuo,
un tessuto continuo senza fine in cui i giorni non sono
che dei giorni.
Non s’aprono che come dei giorni.
Cioè come dei buchi, in una stoffa in cui ci siano dei trafori.
18
E’ la notte che è la mia grande muraglia nera
in cui i giorni non s’aprono che come finestre
di un’inquieta e vacillante
e forse falsa luce.
Come isole interrotte che interrompono il mare.
Ma il mare è continuo e sono le isole che hanno torto.
Così sono i giorni che hanno torto e interrotti interrompono
la notte.
O notte, tu la mia più bella invenzione, mia creazione
augusta fra tutte.
La mia più bella creatura. Creatura della più grande Speranza.
Ed anche, (e così), in fondo creatura della più grande Carità.
Perché sei tu che culli tutta la Creazione
in un sonno riparatore.
Come si adagia un bimbo nel suo lettino,
come sua madre lo adagia e come sua madre lo rincalza
e lo bacia (non ha paura di svegliarlo.
Dorme così bene.)
come sua madre lo rincalza e ride e lo bacia in fronte
scherzando.
E anche lui ride, ride in risposta dormendo.
Così, o notte, madre dagli occhi neri, madre universale,
non più soltanto madre dei bimbi (è così facile)
ma madre degli uomini stessi e delle donne, e questo
è così difficile,
sei tu, notte, che adagi e fai adagiare tutta la Creazione
in un letto di qualche ora.
(Aspettando.) In un letto di qualche ora
immagine, debole immagine, e promessa e realizzazione anticipata
del letto di tutte le ore.
3° stacco chitarra
Realizzazione anticipata. Promessa mantenuta in anticipo
aspettando il letto di tutte le ore.
Dove io, il Padre, adagerò la mia creazione.
O Notte, o figlia mia Notte, tu la più religiosa delle mie figlie
la più pia.
Delle mie figlie, delle mie creature colei che è più nelle mie mani,
la più abbandonata.
Tu mi glorifichi nel Sonno ancor più di quanto tuo Fratello il Giorno
mi glorifichi nel Lavoro.
Perché l’uomo nel lavoro non mi glorifica che per mezzo
del suo lavoro.
E nel sonno sono io che glorifico me stesso per mezzo
dell’abbandonarsi dell’uomo.
Ed è più sicuro, io ci so far meglio.
O mia Notte stellata io t’ho creata per prima.
Tu che addormenti, tu che avvolgi già in un’Ombra eterna
tutte le mie creature
più inquiete, il cavallo focoso, la formica laboriosa,
e l’uomo questo mostro d’inquietudine.
Notte che riesci ad addormentare l’uomo
questo pozzo d’inquietudine.
Da solo più inquieto di tutta la creazione tutta insieme.
19
O mia notte dalla grande veste
tu che spandi con le tue mani, tu che versi sulla terra
una prima pace
che precorre la pace eterna.
O mia figlia prima fra tutte. Tu che riesci addirittura,
tu che riesci talvolta
tu che adagi l’uomo nelle braccia della mia Provvidenza
materna
o mia figlia scintillante ed oscura io ti saluto
tu che ripari, tu che nutri, tu che riposi
o silenzio dell’ombra.
Un tale silenzio regnava prima della creazione dell’inquietudine
prima dell’inizio del regno dell’inquietudine.
Un tale silenzio regnerà, ma un silenzio di luce
quando tutta quest’inquietudine sarà consumata,
quando tutta quest’inquietudine sarà esaurita.
Quando avranno attinto tutta l’acqua del pozzo.
Inizia il brano musicale “Notte stellata” (trio)
Tu mi ricordi quel grande silenzio che c’era nel mondo
prima dell’inizio del regno dell’uomo.
Tu mi annunci quel grande silenzio che ci sarà
dopo la fine del regno dell’uomo, quando avrò ripreso
il mio scettro.
E ci penso già qualche volta, perché quest’uomo fa veramente
molto rumore.
Ma soprattutto, Notte, tu mi ricordi quella notte.
E me la ricorderò eternamente.
L’ora nona era suonata. Era nel paese del mio popolo d’Israele.
Tutto era consumato. Quell’enorme avventura.
Dall’ora sesta c’erano state tenebre su tutto il paese,
fino all’ora nona.
Tutto era consumato. Non parliamone più. E’ una cosa
che mi fa male.
Quell’incredibile discesa di mio figlio tra gli uomini.
Presso gli uomini.
Per quello che ne hanno fatto.
Quei trent’anni in cui fu carpentiere tra gli uomini.
Quei tre anni in cui fu una specie di predicatore tra gli uomini.
Un prete.
Quei tre giorni in cui fu una vittima tra gli uomini.
In mezzo agli uomini.
Quelle tre notti in cui fu un morto tra gli uomini.
In mezzo agli uomini morti.
Questi secoli e secoli in cui è un’ostia tra gli uomini.
Tutto era consumato, quest’incredibile avventura
per la quale, io, Dio, ho le braccia legate per la mia eternità.
Quest’avventura con la quale mio Figlio mi ha legato le braccia.
Per l’eternità legando le braccia della mia giustizia, per l’eternità
slegando le braccia della mia misericordia.
E contro la mia giustizia stessa inventando una giustizia stessa.
Una giustizia d’amore.
Una giustizia di Speranza.
20
GUIDO GARLATI
Attore e regista teatrale. Nato a Milano, è laureato in Lettere moderne. Dal 1986 si è dedicato
all’attività di attore in compagnie professionali che operano nel nord Italia. Complessivamente ha
preso parte a una settantina di allestimenti teatrali ricoprendo tanto ruoli da protagonista quanto
ruoli complementari. Con l’Associazione Culturale Spazio Scenico (costituitasi nel 2001), di cui è
presidente, ha prodotto e interpretato numerosi lavori di autori del Novecento, fra cui “Provaci
ancora, Sam” di W. Allen, “Tre sull’altalena” di L. Lunari, “L’uomo dal fiore in bocca” di
L. Pirandello, “Nodo alla gola” di P. Hamilton, “La cena dei cretini” di F. Veber. Con la medesima
compagnia ha realizzato numerose letture sceniche di testi poetici, spesso in collaborazione con
musicisti, come Roberto Guarnieri: fra le altre “Il ‘900 italiano in versi” e “Lingua mortal non
dice… Il Romanticismo tra poesia e musica” per l’Associazione monzese Memosyne, e, su proposta
del Centro Culturale Talamoni, la “Via Crucis” di Paul Claudel (2001), “Rappresentazione della
Croce” di G. Raboni (2003) e “Interrogatorio a Maria” di G. Testori (2006). Dal 1999 ha
cominciato a curare la regìa di recital e di spettacoli teatrali, tra cui “La bottega dell’orefice” di
K. Wojtyła e, più recentemente, col Gruppo Teatro Rare Tracce, di cui è pure presidente (presso
il teatro Alfredo Chiesa di Milano), “Enrico IV” di L. Pirandello e due episodi di “Ai confini del
giallo” di Cornell Woolrich (“Incendio nella notte” e “La sveglia”); con Danilo Ghezzi ha curato,
nella presente stagione, “Il soldato fanfarone” di Plauto e “Medea” di Euripide, di imminente messa
in scena. Con la medesima produzione ha recitato in “Così è…se vi pare” di L. Pirandello, “La
tragedia di Riccardo III” di W. Shakespeare e “Troiane” di Euripide.
Ha svolto anche attività di doppiatore, di speaker in pubblicità televisive e di attore nella soap-opera
di Canale 5 “Vivere”. Continua a tenere, come già negli anni passati, laboratori teatrali e seminari di
educazione allo spettacolo e alla lettura, spesso rivolti al mondo della scuola, a lui caro in quanto
insegnante e preside.
[email protected]
www.raretracce.etecna.it
MONICA MANTEGAZZA
Milanese, attrice di teatro dal 1992, ha partecipato a varie rappresentazioni dei classici, da Goldoni
a Shakespeare, da Checov a Pirandello, nel contesto di una collaborazione con la provincia di
Varese per il teatro per le scuole.
Dal 1995 ha calcato le scene di diversi teatri milanesi tra cui Teatro Olmetto (Aspettando Godot,
regìa di G. Rossi), Out Off (Antigone, regia di G. Campari), Teatro Franco Parenti (Tristano e
Isotta, regìa di M. Rampoldi, Pellico, regìa di M. Rampoldi). Dal 1998 è stata scritturata dal Teatro
Testori di Forlì per Sogno di una notte di mezza estate di W. Shakespeare, regìa di F. Palmieri,
replicato poi più volte. Ha partecipato anche a diversi recital di poesia, fra cui “Ed è subito sera”
(regìa di C.E. Coppola) presso il Teatro Out Off. Ha collaborato assiduamente anche con la
compagnia Spazio Scenico, diretta da Guido Garlati, fin dagli esordi (“True West” di S. Shepard).
Sempre con Garlati, a Monza, per i ‘lunedì santi’ del Centro Culturale Talamoni, ha partecipato
come protagonista, nel ruolo della Madonna, a “Interrogatorio a Maria” di G. Testori (2006) e, in
anni precedenti, ha realizzato la lettura scenica di “Getsemani” di C. Péguy (1998), della “Via
Crucis” di Paul Claudel (2001) e della “Rappresentazione della Croce” di G. Raboni (2003).
Intanto, dal 1995, ha continuato a svolgere con passione anche l’attività di doppiatrice (fa parte,
come professionista, dell’Associazione Doppiatori Attori Pubblicitari). Dopo aver doppiato noti
cartoni animati per Mediaset (tra cui “Sailor Moon”), dal 1997 al 2000 ha dato voce a pupazzi
dell’apprezzato programma educativo per ragazzi “L' Albero Azzurro” (Rai).
Nel 2004 è stata personaggio fisso nella prima serie della sit com “Love Bugs” (Canale 5). Dal 2004
al 2009, voce di E News! quotidiano di moda, cinema e attualità del canale E! Entertainment (Sky).
Dal 2009 è voce ufficiale del nuovo canale digitale Cielo.
Dall'inizio, voce pubblicitaria per comunicati radio e televisivi.
[email protected]
ROBERTO GUARNIERI
Nato a Monza, diplomato in chitarra al conservatorio “G. Nicolini” di Piacenza, sotto la guida del
M° Mauro Storti, si è perfezionato con Roland Dyens e David Russel. Ha al suo attivo circa 200
concerti come solista e in formazioni da camera.
Ha composto molti brani per chitarra, per formazioni cameristiche e per orchestra che sono stati
eseguiti in Italia e all’estero. Ha curato le scelte musicali e gli arrangiamenti, nonché composto le
partiture per 3 stagioni di spettacoli di musica e poesia per il Centro Culturale Ricerca di Monza, e
per “Rappresentazione della Croce” di G.Raboni, proposta nel 2003 dal Centro Culturale Talamoni.
Ha pubblicato il libro di composizioni per chitarra “Nel silenzio”, edito da Rugginenti.
Ha insegnato composizione e arrangiamento al CPM di Milano, insegna tuttora arrangiamento alla
Scuola Civica di Cinisello, e chitarra nelle scuole civiche di Cassano d’Adda, Pioltello e Cinisello.
Nel settembre 2008 è stato pubblicato dall’editore Rugginenti il libro “Poesie senza parole” (12
duetti per chitarra e violino), a cui è allegato il CD inciso da Guarnieri in duo con la violinista
Serena Canino; nel dicembre 2008 lo stesso editore ha pubblicato il CD separato dal libro. Nella
prefazione al libro il compositore Paolo Coggiola scrive: “Guarnieri pone al centro della propria
musica la necessità di raggiungere frontalmente l’ascoltatore (seppure, in modo paradossale,
attraverso la cifra della delicatezza sonora), nell’intima convinzione di un valore etico, oltre che
estetico, del messaggio artistico”.
[email protected]
SERENA CANINO
Milanese, ha iniziato lo studio del violino con Cesare Ferraresi e ha poi proseguito gli studi al
Conservatorio G. Verdi di Milano sotto la guida di Jocelyn Minella diplomandosi nel 1991. Si è
successivamente perfezionata a Parigi con Sylvie Gazeau e a Firenze con Cristiano Rossi, seguendo
anche masterclasses tenute da Stefan Gheorghiu e Mariana Sirbu. Ha conseguito, con il massimo
dei voti e la lode, la laurea in “ Classical String Performance” all’Università di Limerick, in Irlanda,
tenuto da Mariana Sirbu e Bruno Giuranna.
Si è esibita in numerose sale italiane ed estere in formazione cameristica e come solista; in
particolare: al Teatro del Giglio di Lucca, dove ha eseguito “Cantilena e Rondò” per violino e 11
strumenti, di Bruno Canino; inoltre, alla Burg House di Londra, alla sala del Consolato Italiano a
Parigi, al Teatro Gomhouria del Cairo, al Conservatorio di Losanna, a Roma nei Concerti del
Quirinale. Ha collaborato con artisti quali Antonio Ballista, Cristiano Rossi, Giuseppe Garbarino,
Emanuele Segre, Sylvie Gazeau, Paul Gulda, Francesco Fiore e Gabriele Pieranunzi. E’ membro del
Quartetto Mantegna, di cui è stato pubblicato il DVD, registrato dal vivo, del quintetto di Dvořák,
eseguito alla sala dell’Angelica di Roma insieme con Bruno Canino. È stata docente di violino
presso la Scuola Civica di Musica di Cassano d’Adda, dal 1997 al 2008. Insegna attualmente presso
la Scuola di Musica Civica della città di Vigevano.
Tiene, ogni estate, dei corsi di violino, di musica da camera e orchestra al Festival e Accademia di
Lasino-Trento e al Sacro Monte Calvario di Domodossola. Suona un violino Pierray del 1701.
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SAMANTHA ZANUSSO
Dal 1995 al 2007 è stata primo flauto dell'Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi di Milano, dove ha
lavorato a fianco di grandi solisti, direttori e compositori tra i quali Carlo Maria Giulini, Luciano
Berio, Riccardo Chailly, Romano Gandolfi, Riccardo Muti, Gianandrea Noseda, Marta Argerich,
Mstislav Rostropovič, Enrico Dindo.
Con l'Orchestra ha partecipato a tournées in Italia, Europa, Giappone, Cile, Brasile, Argentina e
realizzato registrazioni per le maggiori case discografiche internazionali. Ha inoltre preso parte a
spettacoli del Teatro alla Scala, del Piccolo Teatro di Milano e delle Settimane Musicali di Stresa.
Ha collaborato con giovani compositori italiani e fatto parte dell’IRTEM Vocal Ensemble e del coro
Rinascimentale di Milano.
Attualmente si dedica alla musica da camera e alla didattica, ideando e realizzando lezioni concerto
rivolte prevalentemente ad un pubblico di giovani.
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