Leggi un estratto

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è nata in Gran Bretagna ed è cresciuta tra
l’Inghilterra e il Maine. È autrice di diversi
romanzi. Ha insegnato scrittura creativa e
letteratura a Yale e alla Drew University.
Acclamato dal pubblico e dalla critica, Le
cose che non so di te è rimasto per mesi ai
primi posti delle classifiche americane.
http://narrativa.giunti.it
Disponibile anche in versione ebook
«Una storia travolgente di perdita, rinascita
e coraggio. Con compassione e delicatezza
Kline ci regala un gioiello.»
Library Journal
«Un libro drammatico ed emozionante.»
Kirkus Reviews
«Pagine vibranti di vita.»
Helen Schulman
LE COSE CHE NON SO DI TE
Christina Baker Kline
«Una perla.»
Huffington Post
Christina Baker Kline
«Un romanzo che lascia senza fiato.
Un’esperienza che entra sottopelle.»
Publishers Weekly
LE COSE
CHE NON SO
DI TE
Christina Baker Kline
Progetto grafico: Adria Villa
Fotografia in copertina: © Michael Trevillion / Trevillion Images
ROMANZO
Molly ha solo diciassette anni ma una spiccata predilezione per i guai. In affido presso due genitori disarmati, dopo aver rubato
Jane Eyre dalla biblioteca della scuola, per
punizione è costretta a recarsi ogni pomeriggio a casa dell’anziana signora Vivian
per aiutarla nelle pulizie. L’ incontro tra le
due non è certo dei più promettenti: Molly
ha sempre il broncio, si esprime a monosillabi, è piena di piercing e ha due ciocche ossigenate ai lati del viso. Vivian però
è una donna speciale a cui la vita ha tolto
e regalato tanto: non si fa certo intimidire
dall’aspetto di Molly. Giorno dopo giorno,
le due scoprono di avere qualcosa di molto
profondo che le unisce: anche Vivian infatti è rimasta sola da piccola e, come tanti
altri bambini della sua epoca, venne messa
sul “Treno degli orfani” per trovare una famiglia che si facesse carico di lei. E quando
Molly capisce di poterla aiutare a dipanare
il mistero che da tanti anni la perseguita,
la scintilla dell’affetto più grande e sincero
libererà entrambe.
La storia di un’amicizia che incanta e commuove. Christina Baker Kline racconta il
miracolo di un cuore grande e generoso.
Christina Baker Kline
Le cose
che non so di te
Traduzione di
Sara Reggiani
Titolo originale:
Orphan Train
Copyright © 2013 by Christina Baker Kline
All rights reserved
Quest’opera è frutto della fantasia dell’autore.
Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale.
http://narrativa.giunti.it
© 2014 Giunti Editore S.p.A.
Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia
Via Borgogna 5 – 20122 Milano – Italia
Prima edizione: aprile 2014
Ristampa
6 5 4 3 2 1 0
Anno
2018 2017 2016 2015 2014
Nel passaggio da un fiume all’altro, i Wabanaki trasportavano a
braccia le canoe e i loro averi. Tutti conoscevano il vantaggio di
viaggiare leggeri e comprendevano l’esigenza di doversi lasciare qualcosa alle spalle. Nulla ostacolava i movimenti più della
paura, che molto spesso era la cosa più difficile a cui rinunciare.
BUNNY McBRIDE, Women of the Dawn
Prologo
Io credo nei fantasmi. Sono loro che ci perseguitano, le persone
che ci hanno lasciato. Molte volte nella vita li ho sentiti intorno a
me, che mi osservavano, testimoni di ciò che nessuno al mondo
sapeva o voleva sapere.
Ho novantuno anni e quasi tutti coloro che un tempo facevano parte della mia vita adesso sono spiriti.
A volte i fantasmi si sono rivelati più reali delle persone in
carne e ossa, più reali di Dio. Riempivano il silenzio con la loro
presenza, calda e corposa, come pane che lievita sotto un panno.
La nonna, con gli occhi gentili e la pelle che profuma di talco.
Papà che ride, per una volta sobrio. La mamma che canticchia
fra sé. Queste incarnazioni della mente non conoscono l’amarezza, l’alcolismo, la depressione, e mi consolano e proteggono
dopo la morte come non hanno mai fatto in vita.
Sono giunta alla conclusione che sia questo il paradiso: un
luogo nella memoria degli altri dove la parte migliore di noi
continua a vivere.
Dovrei considerarmi fortunata, già a nove anni ho potuto
vedere i fantasmi dei miei genitori, la loro parte migliore, e a
ventitré quello dell’amore della mia vita. E mia sorella Maisie
era sempre presente, un angelo al mio fianco. Lei diciotto mesi,
io nove anni, lei tredici, io venti. Ora lei ne ha ottantaquattro e
io novantuno, ed è ancora qui.
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Non era come averli accanto in carne e ossa, ma non mi è
stato concesso di scegliere. Potevo trarre conforto dalla loro
presenza o sprofondare nel dolore, piangendo la mia perdita.
I fantasmi mi hanno sussurrato di andare avanti.
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Spruce Harbor, Maine, 2011
Chiusa nella sua stanza, Molly sente i genitori affidatari parlare
di lei in soggiorno, proprio dietro la sua porta. «Non mi avevano
avvertita» stava dicendo Dina. «Se avessi saputo che aveva così
tanti problemi, non avrei mai accettato.»
«Lo so, lo so.» Ralph ha la voce stanca. È stato lui, e Molly
lo sa, a volerla accogliere. Un tempo, quando era un «ragazzo
problematico», come le aveva detto senza dare chiarimenti, a
scuola un consulente lo aveva iscritto al programma Fratelli
e Sorelle d’America, e da allora aveva sempre potuto contare
su quella persona, il suo mentore, come lo chiamava lui. Dina
invece era stata diffidente sin dall’inizio nei confronti di Molly. Che prima di lei avessero accolto un bambino che per poco
non aveva dato fuoco alla scuola elementare certo non aiutava.
«Ho già abbastanza stress sul lavoro» dice Dina, alzando la
voce. «Non voglio tornare a casa la sera e ritrovarmi con tutti
questi casini da sistemare.»
Dina lavora come centralinista alla stazione di polizia di Spruce Harbor e in quel posto, a quanto ne sa Molly, c’è poco da stressarsi: qualche automobilista ubriaco, un occhio nero ogni tanto,
furti di poco conto, incidenti. Spruce Harbor è il posto meno
stressante del mondo, figurarsi per una centralinista. Ma Dina è
nervosa di natura. Le basta il minimo contrattempo. È come se
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si fosse convinta che debba andare tutto bene, e quando così non
è, cioè spesso, si meraviglia, lo prende quasi come un affronto.
Molly è l’esatto contrario. In diciassette anni le sono andate
male così tante cose che ormai è preparata al peggio. Se qualcosa
va bene, allora sì che si meraviglia. Non sa come spiegarselo.
Ed è esattamente quello che è successo con Jack. Quando lo
scorso anno, cioè in seconda superiore, si è trasferita a Mount
Desert Island, gli altri ragazzi facevano di tutto per evitarla.
Avevano i loro amici, i loro gruppetti, e lei non c’entrava niente.
Del resto, non rendeva le cose facili; sapeva per esperienza che
scontroso e strano è preferibile a patetico e vulnerabile, così
portava il suo aspetto dark come un’armatura. Jack era stato
l’unico a cercare di guardare oltre.
Era metà ottobre, ora di studi sociali. Bisognava dividersi in
gruppi, e come al solito Molly era rimasta isolata. Jack le aveva
chiesto di unirsi a lui e Jody, che era molto meno entusiasta.
Per tutti e cinquanta i minuti della lezione Molly era rimasta
sulle sue. Perché faceva il carino con lei? Cosa voleva? Era uno
di quelli che avevano il pallino per le ragazze un po’ incasinate?
Quali che fossero le sue intenzioni, Molly era pronta a difendersi. Se ne stava a braccia conserte, appoggiata allo schienale della
sedia, la testa bassa, i capelli scuri davanti agli occhi. Borbottava
o si stringeva nelle spalle quando Jack le chiedeva qualcosa, anche se seguiva e faceva comunque la sua parte di lavoro. «Quella
è proprio strana» aveva sentito dire a Jody mentre uscivano dalla
classe, dopo la campanella. «Mi fa paura.» Molly allora si era
girata e aveva incrociato lo sguardo di Jack, che l’aveva sorpresa con un sorriso. «Per me è uno spettacolo» aveva detto lui,
guardandola dritta negli occhi. E per la prima volta da quando
era arrivata in quella scuola, Molly non era riuscita a farne a
meno: aveva sorriso.
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Nei mesi successivi, Molly aveva scoperto qualche dettaglio
in più su quel ragazzo. Il padre era un operaio, un immigrato
dominicano, che aveva conosciuto la madre mentre raccoglieva
mirtilli a Cherryfield. L’ aveva messa incinta, poi se n’era tornato
nel suo paese a divertirsi con una ragazzina del posto e non si
era fatto più vedere. La madre, che non si era mai sposata, lavorava per una ricca e vecchia signora che abitava sul mare. Un
ruolo da emarginato sarebbe spettato di diritto anche a lui, ma
la realtà era un’altra. Jack, infatti, aveva diversi assi nella manica:
l’agilità felina sul campo da calcio, un sorriso abbagliante e due
occhioni dalle ciglia lunghissime. E anche se non si prendeva
mai sul serio, Molly sapeva che era più sveglio di quanto volesse
far credere, o di quanto lui stesso sapesse.
A lei non poteva importare di meno delle prodezze sul campo, ma dell’intelligenza aveva rispetto. (Gli occhi da cucciolo
erano un bonus.) Perché era stata quella stessa sete di sapere ad
averle impedito di prendere una brutta strada.
Lo stile dark la libera dall’obbligo di soddisfare qualsiasi
aspettativa convenzionale, così può essere strana quanto vuole. Legge sempre, per i corridoi, in mensa, per lo più storie con
protagonisti angosciati: Le vergini suicide, Il giovane Holden,
La campana di vetro. Su un quaderno annota le parole di cui le
piace il suono: bisbetica, pusillanime, talismano, arcigno, estenuante, sicofante…
Da nuova arrivata, Molly aveva apprezzato molto le distanze
che il suo aspetto le consentiva di mantenere, la diffidenza e il
sospetto che vedeva negli occhi dei compagni. Ma negli ultimi
tempi, anche se detesta ammetterlo, quel ruolo ha iniziato a
starle stretto. Impiega troppo ogni mattina per prepararsi, e
i rituali che un tempo avevano un preciso significato, come
truccarsi di nero gli occhi con qualche nota di viola e bianco,
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applicare strati su strati di fondotinta di una tonalità molto più
chiara di quella della sua pelle, assemblare e allacciare vari capi
di abbigliamento assurdi, ora non fanno altro che spazientirla.
Si sente come un pagliaccio che un giorno si sveglia e decide
che non vuole più appiccicarsi il naso rosso in faccia. La maggior parte della gente non ha bisogno di fare tutti questi sforzi
per mantenere il proprio personaggio. Perché lei sì? Le piace
fantasticare che altrove – perché prima o poi ci sarà un altro
posto, un’altra casa, un’altra scuola – potrà ricominciare tutto
da capo, con uno stile più semplice. Trasandato? Sexy?
Le probabilità che questo si verifichi a breve aumentano ogni
minuto di più. È già da un po’ che Dina dice di volersi sbarazzare di lei e adesso finalmente ha un valido motivo. Ralph ci
aveva messo la faccia per difenderla, aveva fatto di tutto per
convincere Dina che sotto quel trucco e quei capelli arruffati si
nascondeva una ragazza dolce. Ma ormai la sua credibilità ha
fatto un bel volo dalla finestra.
Molly si mette carponi sul pavimento e solleva il copriletto. Tira fuori due borse di lana, quelle che le aveva comprato
Ralph in liquidazione all’outlet di L.L.Bean, a Ellsworth (una
rossa e una arancione a fantasia hawaiana, con sopra ricamati
nomi diversi dal suo, probabilmente scartate per via dei colori
sgargianti, lo stile, o semplicemente per quell’orribile scritta
bianca… questo Molly non lo sa). Fa per aprire il primo cassetto del comò e all’improvviso sente da sotto la coperta il ritmo
martellante di Impacto di Daddy Yankee. «Così capisci subito
che sono io e rispondi a quel cavolo di cellulare» aveva detto
Jack quando le aveva scaricato la suoneria.
«Hola, amigo» dice Molly quando finalmente trova il cellulare.
«Come andiamo, chica?»
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«Il solito. Dina ha una delle sue crisi.»
«Ah sì?»
«Sì. A ’sto giro finisce male.»
«Quanto male?»
«Mi sa che mi buttano fuori.» Le trema la voce e si stupisce,
considerando tutte le volte che si è ritrovata in situazioni del
genere.
«Nooo» dice lui. «Non credo.»
«Invece sì» ribatte lei tirando fuori un mucchio di calzini
e mutande e infilandoli nella borsa rossa. «Sento tutto quello
che dicono.»
«Ma devi fare tutte quelle ore di servizio sociale.»
«Non ho speranze.» Districa la catenina coi ciondoli dal
mucchio di collane sul comò e la strofina fra indice e pollice
per sciogliere un nodo. «Dina dice che non mi prenderà nessuno. Che sono inaffidabile.» Il nodo si scioglie. «Poco male. Ho
sentito dire che il carcere minorile non è poi così tremendo. In
fondo è solo per qualche mese.»
«Ma… tu quel libro non l’hai rubato.»
Reggendo il cellulare tra orecchio e spalla, Molly si allaccia
la collana e si guarda allo specchio sopra il comò. Il trucco sotto
gli occhi è colato, assomiglia a un giocatore di football.
«Vero, Molly?»
Il fatto è che invece l’ha rubato. O almeno ci ha provato. Era
il suo romanzo preferito, Jane Eyre, e voleva tanto averlo, farlo
suo. Da Sherman a Bar Harbor non c’era ed era troppo timida
per chiedere al libraio di ordinarglielo. Dina non le avrebbe mai
permesso di usare la sua carta di credito per comprarlo on-line.
Ma a Molly non era mai capitato di desiderare tanto qualcosa. O
almeno non le capitava da molto tempo. Perciò eccola in biblioteca, in ginocchio fra due scaffali della narrativa, davanti a sé tre
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copie del libro, due tascabili e una con la copertina rigida. Aveva
già preso in prestito due volte quella con la copertina rigida, era
andata al banco mostrando la tessera. Quel giorno aveva tirato
fuori tutte e tre le copie, soppesandole fra le mani. Aveva rimesso
quella con la copertina rigida al suo posto, accanto al Codice Da
Vinci. La copia tascabile più recente l’aveva seguita a ruota.
Il libro che invece si era infilata nella cintura dei jeans era
vecchio e pieno di orecchie, le pagine ingiallite con diversi passi
sottolineati a matita. Per colpa della rilegatura da due soldi,
la copertina si stava scollando. Se l’avessero messo fra i libri
della vendita annuale, lo avrebbero dato via al massimo per
dieci centesimi. Nessuno, si era detta Molly, ne avrebbe sentito
la mancanza. Erano disponibili altre due copie, praticamente
nuove. Peccato che di recente la biblioteca avesse preso delle
misure di sicurezza, e che qualche mese prima quattro volontarie, signore di una certa età interamente dedite alla Spruce
Harbor Library, si fossero prodigate per giorni e giorni a inserire striscioline antifurto fra le pagine di tutti gli undicimila
volumi della biblioteca. Così, non appena Molly ebbe superato
l’inattesa barriera antifurto, un insistente e assordante allarme
si mise a suonare facendo piombare su di lei come un falco la
capo bibliotecaria, Susan LeBlanc.
Molly aveva confessato immediatamente, o meglio, aveva
tentato di giustificarsi dicendo che era sovrappensiero. Ma Susan LeBlanc non aveva sentito ragioni. «Per carità di Dio, non
insultarmi con le tue bugie» aveva detto. «È da un po’ che ti
tengo d’occhio» aveva aggiunto. «Ero sicura che avessi qualcosa
in mente.» E che vergogna dover ammettere che le sue supposizioni erano fondate! Per una volta le sarebbe piaciuto doversi
ricredere, aveva detto.
«Merda. Dici davvero?» sospira Jack.
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Guardandosi allo specchio, Molly sfiora i ciondoli della collana. Ormai non la mette quasi più, ma ogni volta che succede
qualcosa e capisce di essere sul punto di spostarsi altrove, la indossa. L’ aveva comprata in un discount, Marden’s, a Ellsworth,
e aveva aggiunto i tre ciondoli – un pesce di cloisonné azzurro
e verde, un corvo di peltro e un orsetto marrone – che il padre
le aveva regalato per il suo ottavo compleanno. Era rimasto ucciso in un incidente d’auto alcune settimane dopo, cappottando
sulla I-95 in una gelida notte d’inverno, e sua madre, all’epoca
ventitreenne, era precipitata in una spirale infernale senza mai
più riuscire a riprendersi. Il compleanno seguente Molly viveva
già con un’altra famiglia e sua madre era in prigione. I ciondoli
sono quanto le resta di quella che una volta era la sua vita.
Jack è un bravo ragazzo. Ma Molly sa già come andrà a finire.
Presto o tardi, come chiunque altro – assistenti sociali, insegnanti, genitori affidatari – si sarebbe stufato di sentirsi tradito,
e avrebbe capito che non ne valeva troppo la pena. Per quanto
desideri affezionarsi a lui e glielo stia dimostrando, non si è mai
lasciata andare sul serio. Non che stia fingendo, ma una parte di
lei si trattiene. Ha imparato a controllare le emozioni pensando
al proprio petto come a una grossa scatola chiusa con catene
e lucchetto. La apre per infilarci dentro tutti i sentimenti che
non sa gestire, le sofferenze e i rimpianti che non si arrendono
al silenzio, e poi nasconde la chiave.
Anche Ralph ha provato a vedere del buono in lei. La sua
è una predisposizione naturale; lo vede anche dove non c’è. E
anche se Molly gli è grata per la fiducia, non si fida completamente. È quasi meglio con Dina, che non si sforza di nascondere
i propri sospetti. È più facile credere che tutti ce l’abbiano con te
invece di dover sopportare la delusione quando non ti aiutano.
«Molly… Jane Eyre?» le chiede Jack.
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«Che differenza fa?»
«Te l’avrei comprato io.»
«Eh vabbè…» Anche se adesso è nei guai e rischia di essere mandata via, Molly sa benissimo che non gli avrebbe mai
chiesto una cosa simile. Se c’è un aspetto di tutta questa storia che proprio non le va giù, è dover dipendere da persone
che a malapena conosce e dal loro umore. Ha imparato a non
aspettarsi niente da nessuno. I suoi compleanni spesso vengono
dimenticati; gli auguri per le feste arrivano solo dai più attenti.
Deve accontentarsi di quello che ha e quello che ha non l’ha
nemmeno chiesto.
«Sei una gran testarda!» dice Jack, come se le avesse letto nel
pensiero. «Guarda che casino hai combinato.»
Qualcuno bussa forte alla porta. Molly abbassa il telefono
sulla guancia e guarda la maniglia girare. Ecco un’altra cosa che
non sopporta: niente chiave, niente privacy.
Dina fa capolino nella stanza, le labbra rosa e lucide che
formano una perfetta linea orizzontale. «Dobbiamo parlare.»
«Okay. Saluto e arrivo.»
«Con chi stai parlando?»
Molly esita. Deve rispondere? Ah, al diavolo. «Con Jack.»
Dina la guarda storto. «Sbrigati. Non ho tutta la sera.»
«Arrivo subito.» Molly attende, fissandola con sguardo assente finché non se ne va, e poi si riporta il telefono all’orecchio.
«Devo andare, mi fucilano.»
«No, no, ascolta» dice Jack. «Ho un’idea. È un po’… così,
ma…»
«Cosa?» chiede lei disinteressata. «Dài che devo andare.»
«Ho parlato con mia madre…»
«Stai scherzando? Gliel’hai detto? Già mi odiava…»
«Oh, ma mi lasci parlare? Primo, non ti odia. E secondo, ha
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parlato con la signora per cui lavora, e pare che potresti fare
qualcosa per lei e fartele abbonare come ore di servizo sociale.»
«Come?»
«Hai capito benissimo.»
«Sì ma… come?»
«Be’, sai, mia madre è la peggiore donna delle pulizie del
mondo.»
A Molly piace come lo dice, come un dato di fatto, senza
giudizi, quasi come se le stesse raccontando che la madre è
mancina.
«La signora vuole fare ordine in solaio… sbarazzarsi di vecchie scartoffie e scatoloni e stronzate del genere, insomma l’incubo di mia madre. Allora mi è venuto in mente che potresti farlo
tu e gliel’ho detto. Ti spari cinquanta ore lì e fine della storia.»
«Aspetta un attimo… vuoi farmi pulire il solaio di una vecchia?»
«Esatto. Guarda che non abita lontano. E poi lo so quanto sei
fissata con l’ordine, non provare a negarlo. Tutti quei soprammobili allineati perbenino sulla mensola. I quaderni impilati…
e non sei tu quella che mette i libri in ordine alfabetico?»
«L’ hai notato?»
«Ti conosco meglio ti quanto tu pensi.»
Molly doveva ammetterlo: per quanto assurdo potesse sembrare, adorava l’ordine. Anzi, era proprio una maniaca. Dovendo cambiare casa di continuo, aveva imparato a prendersi cura
delle sue cose. Ma dell’idea di Jack non sapeva cosa pensare.
Starsene chiusa in un solaio per giorni e giorni a rimestare fra
le cianfrusaglie di una vecchia riccona non era una prospettiva
allettante.
Ma viste le alternative…
«Vuole conoscerti» le dice Jack.
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«Chi?»
«Vivian Daly. La vecchia. Vuole incontrarti per…»
«Un colloquio? Mi vuoi far fare un colloquio.»
«È solo una formalità» precisa lui. «Allora, ci stai?»
«Ho alternative?»
«Assolutamente sì. Il carcere.»
«Molly!» abbaia Dina picchiando spazientita alla porta.
«Fuori, ora!»
«Okaaaaay!» urla lei e poi a Jack, più piano, «Okay».
«Okay cosa?»
«Lo farò. Andrò a presentarmi. A fare il colloquio.»
«Grande» esulta lui. «Ah, magari se ti metti una gonna…
normale… o, sì insomma… hai capito. E ti levi un paio di orecchini.»
«Anche quello al naso?»
«Lo sai che lo adoro» risponde Jack. «Ma…»
«Ricevuto.»
«Solo per il colloquio.»
«Va bene. Ehm… grazie, eh?»
«Guarda che l’ho fatto per me, mica per te» dice lui. «Non
voglio che te ne vai già.»
Quando Molly apre la porta e si ritrova davanti i volti tesi
di Dina e Ralph, sorride. «Non preoccupatevi. Ho trovato dove fare le mie ore.» Dina lancia un’occhiata a Ralph, con una
faccia che Molly conosce fin troppo bene dopo anni e anni di
finti genitori. «Ma se volete mandarmi via, lo capisco. Troverò
qualcos’altro.»
«Non vogliamo mandarti via» dice Ralph, e contemporaneamente Dina: «Dobbiamo parlare». Si fissano per un po’.
«Va bene… ma se poi non va, non fa niente» dice Molly.
E in quel momento, sentendosi spalleggiata da Jack, lo pensa
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davvero. Se non va, non va. Molly sa che le sofferenze e i tradimenti che gli altri temono per tutta la vita lei li ha già vissuti.
Suo padre è morto. Sua madre ha fatto una brutta fine. Lei
stessa è stata sballottata qua e là, rifiuto dopo rifiuto. Eppure
respira ancora, dorme e cresce. Si sveglia ogni mattina e si veste.
Dunque quando dice che non fa niente, vuol dire che tanto sa
di poter sopravvivere quasi a tutto. E ora, per la prima volta da
che si ricordi, ha qualcuno accanto. (Ma che problemi avrà?)
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è nata in Gran Bretagna ed è cresciuta tra
l’Inghilterra e il Maine. È autrice di diversi
romanzi. Ha insegnato scrittura creativa e
letteratura a Yale e alla Drew University.
Acclamato dal pubblico e dalla critica, Le
cose che non so di te è rimasto per mesi ai
primi posti delle classifiche americane.
http://narrativa.giunti.it
Disponibile anche in versione ebook
«Una storia travolgente di perdita, rinascita
e coraggio. Con compassione e delicatezza
Kline ci regala un gioiello.»
Library Journal
«Un libro drammatico ed emozionante.»
Kirkus Reviews
«Pagine vibranti di vita.»
Helen Schulman
LE COSE CHE NON SO DI TE
Christina Baker Kline
«Una perla.»
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«Un romanzo che lascia senza fiato.
Un’esperienza che entra sottopelle.»
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LE COSE
CHE NON SO
DI TE
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Progetto grafico: Adria Villa
Fotografia in copertina: © Michael Trevillion / Trevillion Images
ROMANZO
Molly ha solo diciassette anni ma una spiccata predilezione per i guai. In affido presso due genitori disarmati, dopo aver rubato
Jane Eyre dalla biblioteca della scuola, per
punizione è costretta a recarsi ogni pomeriggio a casa dell’anziana signora Vivian
per aiutarla nelle pulizie. L’ incontro tra le
due non è certo dei più promettenti: Molly
ha sempre il broncio, si esprime a monosillabi, è piena di piercing e ha due ciocche ossigenate ai lati del viso. Vivian però
è una donna speciale a cui la vita ha tolto
e regalato tanto: non si fa certo intimidire
dall’aspetto di Molly. Giorno dopo giorno,
le due scoprono di avere qualcosa di molto
profondo che le unisce: anche Vivian infatti è rimasta sola da piccola e, come tanti
altri bambini della sua epoca, venne messa
sul “Treno degli orfani” per trovare una famiglia che si facesse carico di lei. E quando
Molly capisce di poterla aiutare a dipanare
il mistero che da tanti anni la perseguita,
la scintilla dell’affetto più grande e sincero
libererà entrambe.
La storia di un’amicizia che incanta e commuove. Christina Baker Kline racconta il
miracolo di un cuore grande e generoso.