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è nata in Gran Bretagna ed è cresciuta tra l’Inghilterra e il Maine. È autrice di diversi romanzi. Ha insegnato scrittura creativa e letteratura a Yale e alla Drew University. Acclamato dal pubblico e dalla critica, Le cose che non so di te è rimasto per mesi ai primi posti delle classifiche americane. http://narrativa.giunti.it Disponibile anche in versione ebook «Una storia travolgente di perdita, rinascita e coraggio. Con compassione e delicatezza Kline ci regala un gioiello.» Library Journal «Un libro drammatico ed emozionante.» Kirkus Reviews «Pagine vibranti di vita.» Helen Schulman LE COSE CHE NON SO DI TE Christina Baker Kline «Una perla.» Huffington Post Christina Baker Kline «Un romanzo che lascia senza fiato. Un’esperienza che entra sottopelle.» Publishers Weekly LE COSE CHE NON SO DI TE Christina Baker Kline Progetto grafico: Adria Villa Fotografia in copertina: © Michael Trevillion / Trevillion Images ROMANZO Molly ha solo diciassette anni ma una spiccata predilezione per i guai. In affido presso due genitori disarmati, dopo aver rubato Jane Eyre dalla biblioteca della scuola, per punizione è costretta a recarsi ogni pomeriggio a casa dell’anziana signora Vivian per aiutarla nelle pulizie. L’ incontro tra le due non è certo dei più promettenti: Molly ha sempre il broncio, si esprime a monosillabi, è piena di piercing e ha due ciocche ossigenate ai lati del viso. Vivian però è una donna speciale a cui la vita ha tolto e regalato tanto: non si fa certo intimidire dall’aspetto di Molly. Giorno dopo giorno, le due scoprono di avere qualcosa di molto profondo che le unisce: anche Vivian infatti è rimasta sola da piccola e, come tanti altri bambini della sua epoca, venne messa sul “Treno degli orfani” per trovare una famiglia che si facesse carico di lei. E quando Molly capisce di poterla aiutare a dipanare il mistero che da tanti anni la perseguita, la scintilla dell’affetto più grande e sincero libererà entrambe. La storia di un’amicizia che incanta e commuove. Christina Baker Kline racconta il miracolo di un cuore grande e generoso. Christina Baker Kline Le cose che non so di te Traduzione di Sara Reggiani Titolo originale: Orphan Train Copyright © 2013 by Christina Baker Kline All rights reserved Quest’opera è frutto della fantasia dell’autore. Ogni riferimento a fatti e persone realmente esistiti è puramente casuale. http://narrativa.giunti.it © 2014 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 – 50139 Firenze – Italia Via Borgogna 5 – 20122 Milano – Italia Prima edizione: aprile 2014 Ristampa 6 5 4 3 2 1 0 Anno 2018 2017 2016 2015 2014 Nel passaggio da un fiume all’altro, i Wabanaki trasportavano a braccia le canoe e i loro averi. Tutti conoscevano il vantaggio di viaggiare leggeri e comprendevano l’esigenza di doversi lasciare qualcosa alle spalle. Nulla ostacolava i movimenti più della paura, che molto spesso era la cosa più difficile a cui rinunciare. BUNNY McBRIDE, Women of the Dawn Prologo Io credo nei fantasmi. Sono loro che ci perseguitano, le persone che ci hanno lasciato. Molte volte nella vita li ho sentiti intorno a me, che mi osservavano, testimoni di ciò che nessuno al mondo sapeva o voleva sapere. Ho novantuno anni e quasi tutti coloro che un tempo facevano parte della mia vita adesso sono spiriti. A volte i fantasmi si sono rivelati più reali delle persone in carne e ossa, più reali di Dio. Riempivano il silenzio con la loro presenza, calda e corposa, come pane che lievita sotto un panno. La nonna, con gli occhi gentili e la pelle che profuma di talco. Papà che ride, per una volta sobrio. La mamma che canticchia fra sé. Queste incarnazioni della mente non conoscono l’amarezza, l’alcolismo, la depressione, e mi consolano e proteggono dopo la morte come non hanno mai fatto in vita. Sono giunta alla conclusione che sia questo il paradiso: un luogo nella memoria degli altri dove la parte migliore di noi continua a vivere. Dovrei considerarmi fortunata, già a nove anni ho potuto vedere i fantasmi dei miei genitori, la loro parte migliore, e a ventitré quello dell’amore della mia vita. E mia sorella Maisie era sempre presente, un angelo al mio fianco. Lei diciotto mesi, io nove anni, lei tredici, io venti. Ora lei ne ha ottantaquattro e io novantuno, ed è ancora qui. 9 Non era come averli accanto in carne e ossa, ma non mi è stato concesso di scegliere. Potevo trarre conforto dalla loro presenza o sprofondare nel dolore, piangendo la mia perdita. I fantasmi mi hanno sussurrato di andare avanti. 10 Spruce Harbor, Maine, 2011 Chiusa nella sua stanza, Molly sente i genitori affidatari parlare di lei in soggiorno, proprio dietro la sua porta. «Non mi avevano avvertita» stava dicendo Dina. «Se avessi saputo che aveva così tanti problemi, non avrei mai accettato.» «Lo so, lo so.» Ralph ha la voce stanca. È stato lui, e Molly lo sa, a volerla accogliere. Un tempo, quando era un «ragazzo problematico», come le aveva detto senza dare chiarimenti, a scuola un consulente lo aveva iscritto al programma Fratelli e Sorelle d’America, e da allora aveva sempre potuto contare su quella persona, il suo mentore, come lo chiamava lui. Dina invece era stata diffidente sin dall’inizio nei confronti di Molly. Che prima di lei avessero accolto un bambino che per poco non aveva dato fuoco alla scuola elementare certo non aiutava. «Ho già abbastanza stress sul lavoro» dice Dina, alzando la voce. «Non voglio tornare a casa la sera e ritrovarmi con tutti questi casini da sistemare.» Dina lavora come centralinista alla stazione di polizia di Spruce Harbor e in quel posto, a quanto ne sa Molly, c’è poco da stressarsi: qualche automobilista ubriaco, un occhio nero ogni tanto, furti di poco conto, incidenti. Spruce Harbor è il posto meno stressante del mondo, figurarsi per una centralinista. Ma Dina è nervosa di natura. Le basta il minimo contrattempo. È come se 11 si fosse convinta che debba andare tutto bene, e quando così non è, cioè spesso, si meraviglia, lo prende quasi come un affronto. Molly è l’esatto contrario. In diciassette anni le sono andate male così tante cose che ormai è preparata al peggio. Se qualcosa va bene, allora sì che si meraviglia. Non sa come spiegarselo. Ed è esattamente quello che è successo con Jack. Quando lo scorso anno, cioè in seconda superiore, si è trasferita a Mount Desert Island, gli altri ragazzi facevano di tutto per evitarla. Avevano i loro amici, i loro gruppetti, e lei non c’entrava niente. Del resto, non rendeva le cose facili; sapeva per esperienza che scontroso e strano è preferibile a patetico e vulnerabile, così portava il suo aspetto dark come un’armatura. Jack era stato l’unico a cercare di guardare oltre. Era metà ottobre, ora di studi sociali. Bisognava dividersi in gruppi, e come al solito Molly era rimasta isolata. Jack le aveva chiesto di unirsi a lui e Jody, che era molto meno entusiasta. Per tutti e cinquanta i minuti della lezione Molly era rimasta sulle sue. Perché faceva il carino con lei? Cosa voleva? Era uno di quelli che avevano il pallino per le ragazze un po’ incasinate? Quali che fossero le sue intenzioni, Molly era pronta a difendersi. Se ne stava a braccia conserte, appoggiata allo schienale della sedia, la testa bassa, i capelli scuri davanti agli occhi. Borbottava o si stringeva nelle spalle quando Jack le chiedeva qualcosa, anche se seguiva e faceva comunque la sua parte di lavoro. «Quella è proprio strana» aveva sentito dire a Jody mentre uscivano dalla classe, dopo la campanella. «Mi fa paura.» Molly allora si era girata e aveva incrociato lo sguardo di Jack, che l’aveva sorpresa con un sorriso. «Per me è uno spettacolo» aveva detto lui, guardandola dritta negli occhi. E per la prima volta da quando era arrivata in quella scuola, Molly non era riuscita a farne a meno: aveva sorriso. 12 Nei mesi successivi, Molly aveva scoperto qualche dettaglio in più su quel ragazzo. Il padre era un operaio, un immigrato dominicano, che aveva conosciuto la madre mentre raccoglieva mirtilli a Cherryfield. L’ aveva messa incinta, poi se n’era tornato nel suo paese a divertirsi con una ragazzina del posto e non si era fatto più vedere. La madre, che non si era mai sposata, lavorava per una ricca e vecchia signora che abitava sul mare. Un ruolo da emarginato sarebbe spettato di diritto anche a lui, ma la realtà era un’altra. Jack, infatti, aveva diversi assi nella manica: l’agilità felina sul campo da calcio, un sorriso abbagliante e due occhioni dalle ciglia lunghissime. E anche se non si prendeva mai sul serio, Molly sapeva che era più sveglio di quanto volesse far credere, o di quanto lui stesso sapesse. A lei non poteva importare di meno delle prodezze sul campo, ma dell’intelligenza aveva rispetto. (Gli occhi da cucciolo erano un bonus.) Perché era stata quella stessa sete di sapere ad averle impedito di prendere una brutta strada. Lo stile dark la libera dall’obbligo di soddisfare qualsiasi aspettativa convenzionale, così può essere strana quanto vuole. Legge sempre, per i corridoi, in mensa, per lo più storie con protagonisti angosciati: Le vergini suicide, Il giovane Holden, La campana di vetro. Su un quaderno annota le parole di cui le piace il suono: bisbetica, pusillanime, talismano, arcigno, estenuante, sicofante… Da nuova arrivata, Molly aveva apprezzato molto le distanze che il suo aspetto le consentiva di mantenere, la diffidenza e il sospetto che vedeva negli occhi dei compagni. Ma negli ultimi tempi, anche se detesta ammetterlo, quel ruolo ha iniziato a starle stretto. Impiega troppo ogni mattina per prepararsi, e i rituali che un tempo avevano un preciso significato, come truccarsi di nero gli occhi con qualche nota di viola e bianco, 13 applicare strati su strati di fondotinta di una tonalità molto più chiara di quella della sua pelle, assemblare e allacciare vari capi di abbigliamento assurdi, ora non fanno altro che spazientirla. Si sente come un pagliaccio che un giorno si sveglia e decide che non vuole più appiccicarsi il naso rosso in faccia. La maggior parte della gente non ha bisogno di fare tutti questi sforzi per mantenere il proprio personaggio. Perché lei sì? Le piace fantasticare che altrove – perché prima o poi ci sarà un altro posto, un’altra casa, un’altra scuola – potrà ricominciare tutto da capo, con uno stile più semplice. Trasandato? Sexy? Le probabilità che questo si verifichi a breve aumentano ogni minuto di più. È già da un po’ che Dina dice di volersi sbarazzare di lei e adesso finalmente ha un valido motivo. Ralph ci aveva messo la faccia per difenderla, aveva fatto di tutto per convincere Dina che sotto quel trucco e quei capelli arruffati si nascondeva una ragazza dolce. Ma ormai la sua credibilità ha fatto un bel volo dalla finestra. Molly si mette carponi sul pavimento e solleva il copriletto. Tira fuori due borse di lana, quelle che le aveva comprato Ralph in liquidazione all’outlet di L.L.Bean, a Ellsworth (una rossa e una arancione a fantasia hawaiana, con sopra ricamati nomi diversi dal suo, probabilmente scartate per via dei colori sgargianti, lo stile, o semplicemente per quell’orribile scritta bianca… questo Molly non lo sa). Fa per aprire il primo cassetto del comò e all’improvviso sente da sotto la coperta il ritmo martellante di Impacto di Daddy Yankee. «Così capisci subito che sono io e rispondi a quel cavolo di cellulare» aveva detto Jack quando le aveva scaricato la suoneria. «Hola, amigo» dice Molly quando finalmente trova il cellulare. «Come andiamo, chica?» 14 «Il solito. Dina ha una delle sue crisi.» «Ah sì?» «Sì. A ’sto giro finisce male.» «Quanto male?» «Mi sa che mi buttano fuori.» Le trema la voce e si stupisce, considerando tutte le volte che si è ritrovata in situazioni del genere. «Nooo» dice lui. «Non credo.» «Invece sì» ribatte lei tirando fuori un mucchio di calzini e mutande e infilandoli nella borsa rossa. «Sento tutto quello che dicono.» «Ma devi fare tutte quelle ore di servizio sociale.» «Non ho speranze.» Districa la catenina coi ciondoli dal mucchio di collane sul comò e la strofina fra indice e pollice per sciogliere un nodo. «Dina dice che non mi prenderà nessuno. Che sono inaffidabile.» Il nodo si scioglie. «Poco male. Ho sentito dire che il carcere minorile non è poi così tremendo. In fondo è solo per qualche mese.» «Ma… tu quel libro non l’hai rubato.» Reggendo il cellulare tra orecchio e spalla, Molly si allaccia la collana e si guarda allo specchio sopra il comò. Il trucco sotto gli occhi è colato, assomiglia a un giocatore di football. «Vero, Molly?» Il fatto è che invece l’ha rubato. O almeno ci ha provato. Era il suo romanzo preferito, Jane Eyre, e voleva tanto averlo, farlo suo. Da Sherman a Bar Harbor non c’era ed era troppo timida per chiedere al libraio di ordinarglielo. Dina non le avrebbe mai permesso di usare la sua carta di credito per comprarlo on-line. Ma a Molly non era mai capitato di desiderare tanto qualcosa. O almeno non le capitava da molto tempo. Perciò eccola in biblioteca, in ginocchio fra due scaffali della narrativa, davanti a sé tre 15 copie del libro, due tascabili e una con la copertina rigida. Aveva già preso in prestito due volte quella con la copertina rigida, era andata al banco mostrando la tessera. Quel giorno aveva tirato fuori tutte e tre le copie, soppesandole fra le mani. Aveva rimesso quella con la copertina rigida al suo posto, accanto al Codice Da Vinci. La copia tascabile più recente l’aveva seguita a ruota. Il libro che invece si era infilata nella cintura dei jeans era vecchio e pieno di orecchie, le pagine ingiallite con diversi passi sottolineati a matita. Per colpa della rilegatura da due soldi, la copertina si stava scollando. Se l’avessero messo fra i libri della vendita annuale, lo avrebbero dato via al massimo per dieci centesimi. Nessuno, si era detta Molly, ne avrebbe sentito la mancanza. Erano disponibili altre due copie, praticamente nuove. Peccato che di recente la biblioteca avesse preso delle misure di sicurezza, e che qualche mese prima quattro volontarie, signore di una certa età interamente dedite alla Spruce Harbor Library, si fossero prodigate per giorni e giorni a inserire striscioline antifurto fra le pagine di tutti gli undicimila volumi della biblioteca. Così, non appena Molly ebbe superato l’inattesa barriera antifurto, un insistente e assordante allarme si mise a suonare facendo piombare su di lei come un falco la capo bibliotecaria, Susan LeBlanc. Molly aveva confessato immediatamente, o meglio, aveva tentato di giustificarsi dicendo che era sovrappensiero. Ma Susan LeBlanc non aveva sentito ragioni. «Per carità di Dio, non insultarmi con le tue bugie» aveva detto. «È da un po’ che ti tengo d’occhio» aveva aggiunto. «Ero sicura che avessi qualcosa in mente.» E che vergogna dover ammettere che le sue supposizioni erano fondate! Per una volta le sarebbe piaciuto doversi ricredere, aveva detto. «Merda. Dici davvero?» sospira Jack. 16 Guardandosi allo specchio, Molly sfiora i ciondoli della collana. Ormai non la mette quasi più, ma ogni volta che succede qualcosa e capisce di essere sul punto di spostarsi altrove, la indossa. L’ aveva comprata in un discount, Marden’s, a Ellsworth, e aveva aggiunto i tre ciondoli – un pesce di cloisonné azzurro e verde, un corvo di peltro e un orsetto marrone – che il padre le aveva regalato per il suo ottavo compleanno. Era rimasto ucciso in un incidente d’auto alcune settimane dopo, cappottando sulla I-95 in una gelida notte d’inverno, e sua madre, all’epoca ventitreenne, era precipitata in una spirale infernale senza mai più riuscire a riprendersi. Il compleanno seguente Molly viveva già con un’altra famiglia e sua madre era in prigione. I ciondoli sono quanto le resta di quella che una volta era la sua vita. Jack è un bravo ragazzo. Ma Molly sa già come andrà a finire. Presto o tardi, come chiunque altro – assistenti sociali, insegnanti, genitori affidatari – si sarebbe stufato di sentirsi tradito, e avrebbe capito che non ne valeva troppo la pena. Per quanto desideri affezionarsi a lui e glielo stia dimostrando, non si è mai lasciata andare sul serio. Non che stia fingendo, ma una parte di lei si trattiene. Ha imparato a controllare le emozioni pensando al proprio petto come a una grossa scatola chiusa con catene e lucchetto. La apre per infilarci dentro tutti i sentimenti che non sa gestire, le sofferenze e i rimpianti che non si arrendono al silenzio, e poi nasconde la chiave. Anche Ralph ha provato a vedere del buono in lei. La sua è una predisposizione naturale; lo vede anche dove non c’è. E anche se Molly gli è grata per la fiducia, non si fida completamente. È quasi meglio con Dina, che non si sforza di nascondere i propri sospetti. È più facile credere che tutti ce l’abbiano con te invece di dover sopportare la delusione quando non ti aiutano. «Molly… Jane Eyre?» le chiede Jack. 17 «Che differenza fa?» «Te l’avrei comprato io.» «Eh vabbè…» Anche se adesso è nei guai e rischia di essere mandata via, Molly sa benissimo che non gli avrebbe mai chiesto una cosa simile. Se c’è un aspetto di tutta questa storia che proprio non le va giù, è dover dipendere da persone che a malapena conosce e dal loro umore. Ha imparato a non aspettarsi niente da nessuno. I suoi compleanni spesso vengono dimenticati; gli auguri per le feste arrivano solo dai più attenti. Deve accontentarsi di quello che ha e quello che ha non l’ha nemmeno chiesto. «Sei una gran testarda!» dice Jack, come se le avesse letto nel pensiero. «Guarda che casino hai combinato.» Qualcuno bussa forte alla porta. Molly abbassa il telefono sulla guancia e guarda la maniglia girare. Ecco un’altra cosa che non sopporta: niente chiave, niente privacy. Dina fa capolino nella stanza, le labbra rosa e lucide che formano una perfetta linea orizzontale. «Dobbiamo parlare.» «Okay. Saluto e arrivo.» «Con chi stai parlando?» Molly esita. Deve rispondere? Ah, al diavolo. «Con Jack.» Dina la guarda storto. «Sbrigati. Non ho tutta la sera.» «Arrivo subito.» Molly attende, fissandola con sguardo assente finché non se ne va, e poi si riporta il telefono all’orecchio. «Devo andare, mi fucilano.» «No, no, ascolta» dice Jack. «Ho un’idea. È un po’… così, ma…» «Cosa?» chiede lei disinteressata. «Dài che devo andare.» «Ho parlato con mia madre…» «Stai scherzando? Gliel’hai detto? Già mi odiava…» «Oh, ma mi lasci parlare? Primo, non ti odia. E secondo, ha 18 parlato con la signora per cui lavora, e pare che potresti fare qualcosa per lei e fartele abbonare come ore di servizo sociale.» «Come?» «Hai capito benissimo.» «Sì ma… come?» «Be’, sai, mia madre è la peggiore donna delle pulizie del mondo.» A Molly piace come lo dice, come un dato di fatto, senza giudizi, quasi come se le stesse raccontando che la madre è mancina. «La signora vuole fare ordine in solaio… sbarazzarsi di vecchie scartoffie e scatoloni e stronzate del genere, insomma l’incubo di mia madre. Allora mi è venuto in mente che potresti farlo tu e gliel’ho detto. Ti spari cinquanta ore lì e fine della storia.» «Aspetta un attimo… vuoi farmi pulire il solaio di una vecchia?» «Esatto. Guarda che non abita lontano. E poi lo so quanto sei fissata con l’ordine, non provare a negarlo. Tutti quei soprammobili allineati perbenino sulla mensola. I quaderni impilati… e non sei tu quella che mette i libri in ordine alfabetico?» «L’ hai notato?» «Ti conosco meglio ti quanto tu pensi.» Molly doveva ammetterlo: per quanto assurdo potesse sembrare, adorava l’ordine. Anzi, era proprio una maniaca. Dovendo cambiare casa di continuo, aveva imparato a prendersi cura delle sue cose. Ma dell’idea di Jack non sapeva cosa pensare. Starsene chiusa in un solaio per giorni e giorni a rimestare fra le cianfrusaglie di una vecchia riccona non era una prospettiva allettante. Ma viste le alternative… «Vuole conoscerti» le dice Jack. 19 «Chi?» «Vivian Daly. La vecchia. Vuole incontrarti per…» «Un colloquio? Mi vuoi far fare un colloquio.» «È solo una formalità» precisa lui. «Allora, ci stai?» «Ho alternative?» «Assolutamente sì. Il carcere.» «Molly!» abbaia Dina picchiando spazientita alla porta. «Fuori, ora!» «Okaaaaay!» urla lei e poi a Jack, più piano, «Okay». «Okay cosa?» «Lo farò. Andrò a presentarmi. A fare il colloquio.» «Grande» esulta lui. «Ah, magari se ti metti una gonna… normale… o, sì insomma… hai capito. E ti levi un paio di orecchini.» «Anche quello al naso?» «Lo sai che lo adoro» risponde Jack. «Ma…» «Ricevuto.» «Solo per il colloquio.» «Va bene. Ehm… grazie, eh?» «Guarda che l’ho fatto per me, mica per te» dice lui. «Non voglio che te ne vai già.» Quando Molly apre la porta e si ritrova davanti i volti tesi di Dina e Ralph, sorride. «Non preoccupatevi. Ho trovato dove fare le mie ore.» Dina lancia un’occhiata a Ralph, con una faccia che Molly conosce fin troppo bene dopo anni e anni di finti genitori. «Ma se volete mandarmi via, lo capisco. Troverò qualcos’altro.» «Non vogliamo mandarti via» dice Ralph, e contemporaneamente Dina: «Dobbiamo parlare». Si fissano per un po’. «Va bene… ma se poi non va, non fa niente» dice Molly. E in quel momento, sentendosi spalleggiata da Jack, lo pensa 20 davvero. Se non va, non va. Molly sa che le sofferenze e i tradimenti che gli altri temono per tutta la vita lei li ha già vissuti. Suo padre è morto. Sua madre ha fatto una brutta fine. Lei stessa è stata sballottata qua e là, rifiuto dopo rifiuto. Eppure respira ancora, dorme e cresce. Si sveglia ogni mattina e si veste. Dunque quando dice che non fa niente, vuol dire che tanto sa di poter sopravvivere quasi a tutto. E ora, per la prima volta da che si ricordi, ha qualcuno accanto. (Ma che problemi avrà?) 21 è nata in Gran Bretagna ed è cresciuta tra l’Inghilterra e il Maine. È autrice di diversi romanzi. Ha insegnato scrittura creativa e letteratura a Yale e alla Drew University. Acclamato dal pubblico e dalla critica, Le cose che non so di te è rimasto per mesi ai primi posti delle classifiche americane. http://narrativa.giunti.it Disponibile anche in versione ebook «Una storia travolgente di perdita, rinascita e coraggio. Con compassione e delicatezza Kline ci regala un gioiello.» Library Journal «Un libro drammatico ed emozionante.» Kirkus Reviews «Pagine vibranti di vita.» Helen Schulman LE COSE CHE NON SO DI TE Christina Baker Kline «Una perla.» Huffington Post Christina Baker Kline «Un romanzo che lascia senza fiato. Un’esperienza che entra sottopelle.» Publishers Weekly LE COSE CHE NON SO DI TE Christina Baker Kline Progetto grafico: Adria Villa Fotografia in copertina: © Michael Trevillion / Trevillion Images ROMANZO Molly ha solo diciassette anni ma una spiccata predilezione per i guai. In affido presso due genitori disarmati, dopo aver rubato Jane Eyre dalla biblioteca della scuola, per punizione è costretta a recarsi ogni pomeriggio a casa dell’anziana signora Vivian per aiutarla nelle pulizie. L’ incontro tra le due non è certo dei più promettenti: Molly ha sempre il broncio, si esprime a monosillabi, è piena di piercing e ha due ciocche ossigenate ai lati del viso. Vivian però è una donna speciale a cui la vita ha tolto e regalato tanto: non si fa certo intimidire dall’aspetto di Molly. Giorno dopo giorno, le due scoprono di avere qualcosa di molto profondo che le unisce: anche Vivian infatti è rimasta sola da piccola e, come tanti altri bambini della sua epoca, venne messa sul “Treno degli orfani” per trovare una famiglia che si facesse carico di lei. E quando Molly capisce di poterla aiutare a dipanare il mistero che da tanti anni la perseguita, la scintilla dell’affetto più grande e sincero libererà entrambe. La storia di un’amicizia che incanta e commuove. Christina Baker Kline racconta il miracolo di un cuore grande e generoso.