Ae thnic - Uniontrade
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E FR NG O LIS M H PA T GE EX 33 T A e thnic Il periodico italiano del cibo etnico NUMERO 06 NEGOZIO YUZU È UN AGRUME ORIENTALE USATO IN CUCINA. MA ANCHE CONTRO L’INFLUENZA O PER RILASSARSI NUOVI ARRIVI UNA VETRINA DA SCOPRIRE TOFU, MISO, NOODLES. ECCO LE NOVITà paesi SPECIALITà DAI CONTINENTI GOBO, SOIA PERUVIANA, LATTE EVAPORATO E ALTRI PRODOTTI NEGOZIO PICCOLA GRANDE GDO LA CATENA GB RAMONDA HA INTRODOTTO L’ETNICO SUGLI SCAFFALI RICETTE DALL’ITALIA E DAL MONDO Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - 70% dcb Milano I CONSIGLI DE I TRE CEDRI DI PIACENZA E DELLO CHEF ALEX LIBANO la via dei sapori Incastrata tra israele, siria e mar mediterraneo, la piccola repubblica mediorientale offre una grande e sorprendente varietà di piatti e tradizioni gastronomiche RISTORANTE shiki a milano si incontrano oriente e occidente 01 eAthnic SOMMARIO COVER STORY COVER STORY Tutti gli aromi del Libano 04-11 04-08 La posizione strategica di un Paese, crocevia di tre culture, rende unici i sapori della sua cucina Paesi Paesi Asia 12-17 12-13 Gobo, alle radici del Giappone Africa 14-15 Sudamerica 16-17 Latte evaporato, nutriente e senza zuccheri Soia, gastronomia da esportazione 19 AZIENDA AZIENDA Brevi 19 Inka Cola, Singha Beer NEGOZIO NEGOZIO Yuzu VAI SUL SITO EATHNICMAGAZINE.IT E ISCRIVITI. RICEVERAI GRATUITAMENTE LA TUA COPIA DI EATHNIC 04 16 20-24 20-21 L’agrume giapponese dai mille usi L’etnico nella Gdo 22 Il punto vendita 24 In Veneto ci sono i supermercati Gb Ramonda Roma, Selli International Food Store RISTORANTE RISTORANTE La cucina fusion a Milano eathnic gratis a casa 26-30 26-27 30 Da Shiki Oriente e Occidente nello stesso piatto Intervista a Matias Perdomo Lo chef sudamericano che ha rivoluzionato l’osteria milanese Al Pont de Ferr 28-29 La vetrina dei prodotti L’importanza del coltello 29 30 ricette ricette Consigli dai protagonisti 31 Saper tagliare bene in cucina è arte di pochi Lo chef Alex e Suzy Kmeid NEWS NEWS Tendenze, salute e fiere 31 32 Eathnic - Il periodico italiano del cibo etnico Numero 6 2013 pubblicazione semestrale - registrazione presso il Tribunale di Milano n° 248 del 08/06/2012 Direttore Responsabile Luca Villani Editore e redazione The Van Group - via Cucchiari 20 20155 Milano Proprietario Uniontrade Srl - Via E. Mattei 1 20068 Peschiera Borromeo - Milano Progetto, impaginazione ed editing The Van Group - www.thevan.it - [email protected] Stampa ERA Comunicazione Srl - Castelseprio (Va) eAthnic EDITORIALE Continua 02 01 03 04 il giro del mondo D English text on page 33 all’India al Libano il passo è breve. Il giro del mondo di Eathnic vira verso ovest per fermarsi in un Paese noto ai più per la sua tormentata storia recente fatta di guerre e distruzioni. Ma forse in pochi sanno che in questo lembo di terra che si affaccia sul Mediterraneo e che ha subito negli anni l’influenza di culture ricche e varie come quella africana, mediorientale e dell’Europa meridionale prospera una ricca tradizione gastronomica che riprende nelle sue sfaccettature caratteri e sapori di quelle vicine. Non a caso quella libanese viene definita la “perla” della cucina araba e il suo ruolo tocca aspetti importanti anche della vita sociale. Suzy Kmeid vive da 18 anni in Italia e dal 2008 a Piacenza gestisce un ristorante che serve specialità libanesi. Ed è proprio lei a sottolineare come l’ospitalità, nel suo Paese, si traduca condividendo con amici e conoscenti un posto a tavola. Non solo Libano in questo numero di Eathnic. Si va anche in Sudamerica per scoprire come un prodotto tipico del mercato orientale quale è la soia abbia preso piede anche in Perù da quasi due secoli. Fa parte delle curiosità di una delle cucine più raffinate, ma anche più particolari nel mondo, “contaminata” da una miriade di culture gastronomiche diversissime tra loro. Fra queste c’è anche quella cantonese dopo che nel 1850 in Perù arrivarono migliaia cinesi in cerca di lavoro. Nacque così la cucina chifa, un mix di sapori sudamericani e di ingredienti orientali, come l’olio di soia. Tra i prodotti in rilievo c’è anche lo yuzu, l’agrume tuttofare che ha la forma di un mandarino, il colore di un limone e un sapore simile a quello del pompelmo. Poi, come sempre, non manca un viaggio tra i ristoranti più in voga. Obiettivo puntato sulla cucina fusion dello Shiki di Milano. Sempre nel capoluogo lombardo c’è Al Pont de Ferr dove è primo chef Matias Perdomo. Sudamericano, giramondo, il rivoluzionario della cucina... 02 06 07 05 08 APPENA ARRIVATI 01. Unicurd tofu fresco Yaku alla giapponese, 50 confezioni (blu) da 300 grammi, provenienza Singapore 02. Unicurd tofu fresco pressato, 46 confezioni (verde) da 300 grammi, provenienza Singapore 03. Tofu fresco Silken morbido, 50 confezioni (rossa) da 300 grammi, provenienza Singapore 04. Pasta di shiro miso (bianco) a base di soia e di dashi miso (al pesce), 4/8 confezioni da 300 grammi, provenienza Giappone 05. Bottigliette da 200 ml, dalla tipica forma affusolata di ramune, bevanda gassata proveniente dal Giappone acquistabile in cinque gusti diversi: fragola, melone, classico (lime), ananas e mirtillo 06. Kiku masamune sake nella varietà Junmai, prodotto attraverso la fermentazione del riso e senza aggiunta di alcol, in bottigliette da mezzo litro (confezioni da 12), provenienza Giappone 07. Unicurd tofu fresco (morbido), in tubetto da 250 grammi, provenienza Giappone 08. Noodles Maggi 2 minute in 50 confezioni da 62,5 grammi in quattro gusti diversi: pollo, masala (spezie indiane), curry e pomodoro 03 COVERSTORY Libano English text on page 34 Ma i cedri sono due Il simbolo del Libano è, in tutto il mondo, il suo cedro (Cedrus libani). Un nome però ambiguo: in italiano la parola “cedro” indica infatti sia questa imponente conifera stilizzata persino al centro della bandiera del Paese mediorientale, sia il giallo agrume (Citrus medica), anch’esso tipico di queste parti. L’agrume però non ha nulla a che vedere con la conifera, che non produce veri e propri frutti. Di forma ovoidale, il Citrus medica è giallo come un limone ma ha una buccia molto più spessa e butterata ed è molto apprezzato nella cucina libanese, anche per le benefiche proprietà. Ricco di potassio e vitamina C, vanta infatti un’azione dissetante e depurativa mentre il suo succo aiuta a eliminare gas e fermentazioni alla base di gonfiori addominali. 04 eAthnic aromatiche ispirazioni Un Paese a cavallo tra Nord Africa, Medio Oriente ed Europa latina. Crocevia di sapori, questo piccolo angolo di Mediterraneo custodisce tradizioni ricche di gusto. E profumi di una storia millenaria 05 COVERSTORY LIBANO eAthnic I pilastri della cucina libanese English text on page 34 Il ristorante I TRE CEDRI Mangiare sano e con gusto DAL 2004 TASTE OF HOME PORTA IN GIRO PER IL MONDO I SAPORI ETNICI. PROTAGONISTA LOGISTICO È PERÒ NESTRADE CHE SI OCCUPA DI IMPORT ED EXPORT N ei locali di via Molineria Sant’Andrea, nel pieno centro storico di Piacenza, il ristorante I tre cedri offre ai visitatori un ambiente accogliente e riservato, aperto su un antico porticato e su un cortile interno. Dal 2008 questo bel locale gestito da Suzy Kmeid presenta il meglio della cucina libanese per cene, pranzi di lavoro e da asporto. La prima regola dei piatti mediorientali è l’utilizzo di ingredienti semplici, naturali, con un buon contenuto di fibre, vitamine e proteine: regola rispettata anche qui, dove si gustano piatti buoni ma anche sani affiancati da vini di grande pregio. A I tre cedri, infatti, ha ampio spazio la selezione delle migliori etichette locali, vanto di questa terra: bianchi, rossi e rosati tipici della zona della valle della Beqa dove vigneti a oltre 1200 metri di altitudine regalano vini squisiti premiati in ambito internazionale. Durante le serate di venerdì e sabato, I tre cedri offre inoltre uno spettacolo di danza del ventre mentre, durante il giorno, corsi di danza e di lingua araba. Tahina Bulgur Prezzemolo Labneh Ceci Pasta prodotta con semi di sesamo bianco, con il suo tipico aroma simile a quello di noci e arachidi ma con un’intensa nota tostata, è la base di molte ricette e soprattutto dei meza, gli antipasti libanesi. Praticamente immancabile nelle cucine di tutto il Paese. Base di mille ricette come il tabbuleh, è una preparazione di chicchi frumento integrale cotti al vapore e fatti seccare, poi macinati e ridotti in piccoli pezzetti. È molto diffuso in tutto il Medio Oriente. È impiegato anche per impastare il kebbeh, le tipiche polpette di agnello. È fondamentale in molti meza e in particolare nel tabbuleh. Insieme all’olio d’oliva, al pomodoro e alla cipolla freschi e alle spezie costituisce la base di molti condimenti a crudo e uno degli ingredienti capaci di rendere la cucina libanese piacevolmente aromatica. Crema di formaggio ricca e densa, costituisce uno dei prodotti caseari più noti e diffusi in Libano. Simile allo yogurt, viene generalmente condito con olio d’oliva. Solitamente modellato in piccole palline, si accompagna a insalate con cetrioli. Legume diffusissimo anche nell’Europa mediterranea, è presente in molte salse a base di tahina come l’hummus. Talvolta i ceci sono impiegati anche nella preparazione di frittelle, come le celeberrime falafel. English text on page 33 I l modo migliore per conoscere la cultura libanese? Osservare come a Beirut, a Tripoli o a Byblos uomini e donne, giovani e anziani, si comportano a tavola. In altre parole è il ruolo che il cibo svolge nella convivialità e nella vita quotidiana a raccontare i rapporti tra le persone e le generazioni. Dalla culla alla tomba, ogni tappa dell’esistenza è accompagnata da un piatto e ogni festività o evento è celebrato con un pasto. Ma non solo. Suzy Kmeid, libanese di Tanbourit (non lontano da Sidone) residente in Italia da 18 anni (a Piacenza dal 2008 gestisce il ristorante I tre cedri), racconta a Eathnic che l’ospitalità è quanto più contraddistingue la cultura culinaria del suo Paese: «Non si lascia la casa di un amico che ci ha ospitati senza aver mangiato qualcosa», spiega. s Per incominciare Quella libanese è spesso definita la “perla” della cucina araba. Non è un caso. Affacciato sul Mediterraneo, questo piccolo grande Paese (la sua superficie supera di poco quella della A TAVOLA col sorriso Suzy Kmeid gestisce dal 2008 il ristorante piacentino I Tre Cedri, che propone la più tradizionale cucina libanese. Nella foto in alto il luminoso porticato che ospita la sala per cene e pranzi di lavoro dove gustare le specialità. 06 07 eAthnic COVERSTORY LIBANO La storia Due secoli tormentati English text on page 34 I English text on page 35 Un’amicizia (commerciale) che dura da decenni L᾿ Piatti aromatici Le salsine assaporate con il pane e senza posate non sono l’unico punto in comune con le altre cucine mediorientali, come quella israeliana, ma anche con quella turca e greca. Anche qui ogni pasto prosegue infatti con una selezione di insalate i cui ingredienti base sono, proprio come negli altri Paesi del bacino orientale del Mediterraneo, legumi, verdure (spesso grigliate, come nelle nostre regioni del Sud) e odori: coriandolo, cumino, curcuma, pimento e il “nostro” prezzemolo. L’aromaticità contraddistingue quindi i sapori libanesi. Lo si capisce dal profumo di un altro piatto tipico: il tabbuleh, cous cous di grano con cipolla, menta, prezzemolo, pomodoro, spezie, lime e olio d’oliva. interscambio commerciale tra Italia e Libano è ammontato nel 2011 (ultimi dati disponibili presso l’Ambasciata italiana a Beirut) a 1,9 miliardi di dollari Usa, di cui 1,87 di export italiano. I dati mostrano quindi una netta superiorità in volumi delle transazioni verso il Paese mediorientale rispetto a quelle verso l’Italia. Una posizione che il nostro Paese ha progressivamente migliorato, arrivando oggi a ricoprire la seconda posizione dopo gli Stati Uniti tra le economie mondiali da cui il Libano importa prodotti. Anche alimentari: nel 2011 le aziende italiane hanno infatti venduto a quelle libanesi cibi preparati e bevande per 50 milioni (2,7% dell’export italiano verso il Libano). Le esportazioni dal Libano verso l’Italia, invece, non sono consistenti (1% nel 2010), anche se in questo caso il cibo riveste un ruolo di discreta importanza. Del resto il 5% circa delle esportazioni del Paese dei cedri verso il resto del mondo ha riguardato, sempre nel 2010, prodotti agroalimentari e cibi confezionati. Che i rapporti commerciali tra i due Paesi siano solidi da tempo si desume anche dal sito infomercatiesteri.it del Ministero degli affari esteri italiano dedicato agli imprenditori del Bel Paese intenzionati a investire oltre confine: «L’Italia gode in Libano di un’ottima reputazione. Il mercato locale non è certo rilevante per volume, ma dispone di un elevato grado di apertura a scambi e triangolazioni varie», si legge. Una cucina in gran parte vegetariana «I piatti forti in Libano variano molto da famiglia a famiglia e da regione a regione», precisa Suzy. Che propone ai suoi ospiti ricette fedeli alla tradizione, non curante (e lo dice con una certa ironia) di chi si dice timoroso di imbattersi in pietanze troppo saporite: «La cucina libanese contiene aglio e cipolla. Preparati alla nostra maniera, però, i piatti non sono mai forti e indigesti. Così spesso i clienti nemmeno si accorgono di averne mangiato». Anche le pietanze più sostanziose sono infatti sempre delicate, anche perché spesso vegetariane. «È sulle verdure che la nostra tavola dà il meglio di sé con qualcosa come un centinaio di s nostra Basilicata) condivide con le altre cucine mediorientali sapori unici e profumi, a cui però affianca ricette decisamente originali, forti anche delle influenze europee e di quella francese prima di tutto, retaggio dell’ormai dissolto Mandato che Parigi vantava sul Libano fino all’indipendenza dichiarata nel 1943. Che il pasto qui sia un rito lo si capisce però anche da come è composto. «Ogni pranzo o cena è diverso in base alla bravura e alla creatività del padrone di casa, ma il suo inizio è sempre lo stesso: i meza, ovvero una serie di antipasti che sono un vero e proprio must», aggiunge Suzy. Piccole pietanze, quasi assaggi. Una sorta di degustazione, quindi. Innanzitutto ci sono le “quattro sorelle”, quattro creme che da sole sono il simbolo di questa terra. Due sono a base di polpa di sesamo, la celebre tahina, e sono arricchite rispettivamente con un passato di melanzane (baba ghannouj) e con uno di ceci (hummus). Le altre due, i cui sapori si bilanciano perfettamente con le prime, sono invece una crema di formaggio profumata alla menta (labneh) e un puré di fave (foul). «Tipicamente si mangiano aiutandosi con pezzi di pane, il tradizionale khubz arabi, servendosi tutti dallo stesso piatto di portata», spiega Suzy. La condivisione è la cifra della cucina libanese. Il Libano ha infatti ereditato dall’antica cultura fenicia l’abilità nel commercio e nelle relazioni: non è un caso che il pasto rappresenti il più importante momento di incontro e di socialità, tanto da durare nei giorni di festa anche diverse ore. 08 IMPORT ED EXPORT l Libano ha avuto una storia molto tormentata, dilaniata da lotte interne e dalle guerre con Israele, cruente e sanguinose. Già nel 1860 fu necessario l’intervento francese per placare l’animosità tra maroniti e drusi, due confessioni religiose in lotta. La prima costituzione arrivò nel 1920, in seguito alla Prima guerra mondiale e alla caduta dell’Impero ottomano: in quegli anni il Libano si chiamava Stato del grande Libano ed era un territorio sotto mandato francese, mentre nel 1925 assunse il nome di Repubblica libanese. Nel 1943, al termine della Seconda guerra mondiale, il Libano ottenne l’indipendenza, anche se l’ultimo soldato francese lasciò i confini solo nel 1946. Alla fine del 1947 anche il Libano disse di no alla risoluzione 181 dell’Onu che divideva il territorio della Palestina in uno Stato ebraico (Israele) e uno arabo e, nell’accesa questione mediorientale, il Libano si schierò sempre con i Paesi arabi: migliaia di profughi palestinesi si sono rifugiati così all’interno dei suoi confini creando una serie interminabile di tensioni. Nel 1975 scoppiò la guerra civile e nel 1982 il Libano fu invaso da Israele: solo l’intervento delle forze internazionali evitò il prolungarsi del conflitto, risparmiando ulteriori distruzioni e spargimenti di sangue. La seconda offensiva di Israele contro il Libano ebbe inizio nel luglio del 2006 in risposta al rapimento di due soldati israeliani operato dalle milizie di Hezbollah, il partito di orientamento sciita che può contare anche su un’ala militare. Fu un attacco durissimo che non risparmiò nemmeno la popolazione civile: alcuni quartieri della capitale Beirut furono rasi al suolo, con 130mila edifici colpiti. Il conflitto durò poco più di un mese prima del “cessate il fuoco” e della creazione di una zona cuscinetto libera da forza armate a cavallo tra i due Paesi. 09 eAthnic COVERSTORY LIBANO CHIUDERE DOLCEMENTE Un tipico pasto libanese non può concludersi senza il dolce. Che siano biscottini al pistacchio o torte a base di pasta sfoglia, il comune denominatore della cucina locale è l’alto contenuto calorico degli ingredienti base – spezie o frutta secca – che risentono dell’influenza mediorientale. il vino English text on page 35 Nettare mediterraneo C piatti vegetariani», spiega. Cucina influenzata dalla tradizione araba, quella libanese tra le carni predilige quella di agnello. Poco consumata è invece quella di maiale, non per ragioni religiose (oggi la maggioranza della popolazione è cristiana) ma perché il clima caldo rende difficile l’allevamento dell’animale. Ovviamente le influenze internazionali incominciano a farsi sentire anche da queste parti: «Nelle grandi città abbondano i ristoranti di ogni parte del mondo e nelle dispense delle case libanesi non mancano ormai prodotti pronti e industriali», aggiunge Suzy. n Per finire A dispetto del caldo, il pasto libanese è spesso accompagnato da alcolici e superalcolici. Celebre è l’arak, un distillato d’uva a cui sono aggiunti semi di anice analogamente all’ouzo greco, servito diluito e con ghiaccio. E poi il vino, un vanto di questa terra: la valle della Beqaāè da sempre la principale regione vinicola del Paese, grazie a un clima favorevole e un terreno argilloso e calcareo. Bottiglie celebri come quelle di Château Musar (un rosso ottenuto da uve Cinsault, Cabernet e Carignan) hanno reso famoso il vino libanese in tutto il mondo. Infine i dolci. Il fine pasto libanese si discosta in parte dalla tradizione araba: «I nostri dolci sono veramente dolci», scherza Suzy. In altre parole, quelle libanesi sono preparazioni ricche di burro e zucchero, a base di pasta sfoglia o pasta fillo molto sottile. L’influenza mediorientale ritorna invece negli ingredienti, come la frutta secca, le spezie, l’acqua di rosa e lo zucchero sciroppato. «Se i piatti sono sani e in un certo senso dietetici, i dolci sono al contrario estremamente calorici», aggiunge Suzy. Infine, una raccomandazione. Un’antica regola suggerisce di servire sempre il doppio del cibo che ci si aspetta gli ospiti possano consumare. Quindi, se vi capitasse di essere invitati in una casa di Beirut ricordate di accettare tutto quello che vi viene offerto: un rifiuto sarebbe una grave offesa nei confronti del padrone di casa. ucina saporita, cedri e… vino. Il Libano è anche una delle capitali mondiali della viticoltura. Il cuore di questa produzione batte nella valle della Beqa, fertile vallata che si estende tra Libano e Siria (che a oggi costituisce il 40% della terra arabile dell’intero Paese), a circa 30 chilometri a est di Beirut. Delimitata dalle montagne del Monte Libano e dai monti dell’Anti Libano a est, la vallata ospita alcuni tra i più celebri vitigni del mondo. Qui vinificano, secondo metodi di produzione ormai avanzati, vini di particolare pregio. Le migliori produzioni sono invecchiate: alcune etichette possono essere conservate in cantina anche fino a sette anni. Un nome su tutti è il rosso Château Musar, le cui bottiglie possono invecchiare anche per più di trent’anni. Ottimi anche i novelli di Kefraya. Con circa sette milioni di bottiglie prodotte all’anno, il vino libanese sta ormai conquistando sempre più spazio nel mercato mondiale. Marks & Spencer, la nota catena britannica di centri commerciali, ha deciso ad esempio di proporlo sui suoi esclusivi scaffali accanto alla tabbuleh e allo hummus, mentre sono sempre di più i tour operator europei che hanno già inserito il Libano tra le destinazioni dei loro itinerari enologici ed enogastronomici. 10 11 PAESI eAthnic ASIA GOBO UNA STORIA GIAPPONESE È la radice principale della bardana, una pianta che cresce con qualsiasi condizione atmosferica. si coltiva da migliaia di anni ed è molto utilizzata nella cucina TRADIZIONALE nipponica English text on page 35 I l nome è decisamente curioso, ma il gobo altro non è che la radice della bardana, una pianta che, botanicamente, appartiene alla famiglia delle Asteracee. È molto resistente a tutte le temperature, alte e basse, e si dice abbia avuto origine nel gelo della Siberia. Ma è in Giappone che si coltiva da millenni: le radici vengono solitamente sradicate in autunno e lasciate essiccare durante l’inverno, sono sottili e possono anche misurare tre metri, hanno consistenza piuttosto compatta e sono di colore scuro, ma con una polpa bianca. Il gobo è ricco di potassio, vitamina C e vitamina E, di pirossidina (vitamina B6) e di sali minerali. Può essere utilizzato come erba medicale – depura l’organismo e cura le malattie della pelle – ma in Giappone è particolarmente apprezzato come verdura in alcune ricette della cucina locale. È uno degli ingredienti di molte zuppe, ma il piatto giapponese a base di gobo più famoso e gustoso è sicuramente il kinpira gobo: si tratta di un’insalata da servire fredda composta oltre che dalla radice, da carote precedentemente stufati con salsa di soia e mirin (una sorta di sakè dolce) e, una volta in tavola, leggermente aromatizzata con polvere di spezie oppure di sedano bianco. È un’insalata croccante e profumata che nei ristoranti o nei bar viene servita in piccole ciotole come stuzzichino insieme alla birra o all’aperitivo ed è un piatto tipico della tradizione di Capodanno. Il gobo può essere equiparato alla scorzonera, pianta coltivata in Europa e appartenente alla stessa famiglia delle Asteracee: in Italia è reperibile soprattutto al nord e in passato, specie durante guerre o carestie, questa radice veniva tostata e macinata per essere usata come caffè, mentre le foglie venivano fumate al posto del tabacco. In Francia la preparano come l’asparago, in altri Paesi sostituisce la patata ed è utilizzata per cucinare zuppe, torte e cotolette. n 12 NOODLES FORTUNATI Sono i classici noodles prodotti con le migliori farine e commercializzati dalla cinese Lucky Boat, uno dei marchi più apprezzati e utilizzati dai migliori chef di ristoranti e take away, soprattutto del Regno Unito. I noodles di Lucky Boat possono essere cucinati con diverse tecniche e accompagnati da tutte le salse, assorbono molto bene i sapori e mantengono la loro forma e consistenza durante l’intero periodo di cottura. Qui sono proposti nel formato medio e sottile. BONTà IN SCATOLA Sardine in salsa di pomodoro e la versione un po’ più saporita con l’aggiunta di peperoncino. Già dal lontano 1945 nei negozi di alimentari delle Filippine si potevano acquistare le confezioni della Ligo, l’azienda diventata leader nel settore del pesce in scatola nel suo Paese e poi in tutto il mondo grazie agli elevati standard qualitativi dei suoi prodotti. A metà degli anni ‘80 ha allargato il suo business con la carne in scatola. In commercio per la Ligo anche frutta sciroppata e snack. SCELTI PER VOI SOIA E PESCE BONITO LE SALSE PIù GUSTOSE Stimolare il sapore del gobo, magari immerso in salsine saporite, per apprezzarne ancora di più le sue qualità. Obaneya propone una doppia soluzione dal Giappone in buste da 180 grammi; la prima è il gobo in salsa di bonito, un pesce molto simile al tonno e diffuso nei mari caldi temperati; la seconda proposta è decisamente più classica ma non per questo meno gustosa e invitante. Si può assaporare il gobo imbevuto nella salsa di soia, il condimento tipico e più utilizzato che caratterizza molti piatti della cucina orientale. Dal 1985 selezioniamo e importiamo prodotti alimentari etnici da tutto il mondo. Siamo leader nella distribuzione all’ingrosso di cibo etnico per la ristorazione, negozi e Gdo. Con la nostra esperienza siamo il partner ideale per chi vuole affrontare un mercato in continua crescita. VIA ENRICO MATTEI, 1 - 20068 - PESCHIERA BORROMEO (MI) - TEL: 0226922898 - WWW.UNIONTRADE.IT 13 PAESI eAthnic AFRICA LATTE EVAPORATO CONDENSATO SENZA ZUCCHERI Grazie agli elevati principi nutritivi, è molto utilizzato dai musulmani per nutrirsi DURANTE IL Ramadan. Mentre nel continente nero SI dissetaNO unendolo alla GuiNness, alle spezie e al cacao English text on page 35 I l latte evaporato è, semplicemente, il latte condensato ma senza l’aggiunta finale di zuccheri. Il ciclo di preparazione è lo stesso, ma con un’unica differenza: il latte evaporato prima viene omogeneizzato (procedimento che, in pratica, frantuma i grassi per favorirne la digeribilità), poi lo si fa evaporare riscaldandolo a una temperatura moderata per evitare la caramellizzazione degli zuccheri, infine sterilizzato. Attraverso questo processo si ha una parziale sottrazione di acqua (fino al 60%), a cui consegue una riduzione del volume iniziale con aumento della conservabilità e di una certa praticità d’uso. Come accade per il latte condensato – ma anche per quello in polvere – il latte evaporato è molto utilizzato in quei Paesi in cui c’è carenza di latte fresco, ad esempio a causa di guerre o catastrofi naturali, come provvista d’emergenza e già nel 1880 viaggiava in lungo e in largo per il continente africano negli zaini dei minatori che restavano lontani per settimane da casa. Si usa normalmente in cucina per la produzione e la guarnizione di dolci (come i churros nei paesi latini), per macchiare tè e caffè, per fare la panna e il gelato e, allungato con acqua, per ottenere, appunto, latte liquido. Rispetto al condensato, decisamente sciropposo, il latte evaporato ha una consistenza più fluida. Anche il latte condensato è molto utilizzato per fare dolci e, grazie agli elevati principi nutritivi, è uno degli alimenti più consumati dai fedeli musulmani dopo il tramonto durante il periodo di digiuno del Ramadan. In Irlanda e in Giamaica, ma anche in alcuni paesi africani come Nigeria, Ghana e Camerun, c’è chi ama dissetarsi con il Guinness punch, un cocktail di birra Guinness stout, spezie e latte condensato con l’aggiunta di polvere di cacao che serve a contrastare il gusto un po’ amaro tipico della birra. In India, infine, c’è il kulfi, il gelato locale privo di uova a base di latte condensato e panna.n 14 SCELTI PER VOI UN SORSO D’IRLANDA Nasce nel 1912 per essere esportata in Belgio ed è destinata al mercato africano. Si distingue dalla Guinnes tradizionale per una schiuma più scura, ha un gusto meno amaro, ma un solido livello alcolico di otto gradi. Mischiata con il latte condensato compone un cocktail bevuto in molte zone dell’Africa. GRADAZIONE ZERO Bevanda analcolica al malto in bottiglia da 33 cl, bevuta dai nordafricani al posto della birra proprio perché priva di alcol pur mantenendo lo stesso gradevole sapore del luppolo. ROSSO FRANCESE La Bonnet Rouge ha una lunga tradizione nei Paesi africani in cui si parla la lingua francese, dove il latte evaporato è utilizzato in cucina, per macchiare tè e caffè o allungarlo per farne vero e proprio latte. L’AFRICA AUTENTICA Il saka-saka è un condimento preparato con giovani foglie di manioca tritate o polverizzate. Lo chiamano così nel golfo di Guinea e in Madagascar e, come recita la confezione da 410 grammi, racchiude in sé i veri sapori dell’Africa. KIRIN ICHIBAN AD:185x120mm VITAMINE E MINERALI. E L’UNICEF LO RACCOMANDA Il latte nelle sue tre declinazioni: evaporato, condensato e in polvere. Lo propone, in lattine da 400 grammi, Peak, marchio conosciutissimo in Nigeria (ha sede a Lagos) e raccomandato anche dall’Unicef: tutti i suoi prodotti, infatti, contengono 28 vitamine e minerali, incluse la B1, B12 e lo iodio. In Paesi in cui non tutte le famiglie possiedono un frigorifero, il latte condensato e i suoi simili sono la soluzione perfetta per non rinunciare ai valori nutritivi del latte, specie per i bambini. Se la confezione resta sigillata, il prodotto può essere consumato anche dopo molto tempo il suo acquisto. Molto comuni in Asia e in Africa, queste varianti meno liquide del latte si stanno diffondendo anche in più parti dell’Europa. Solamente il puro mosto ottenuto dal primo filtraggio dei migliori ingredienti è utilizzato per produrre Kirin Ichiban. Il metodo Ichiban Shibori assicura che la nostra birra sia sempre fresca e pura dalla prima all'ultima goccia. Birra nella sua purezza 15 PAESI eAthnic SUDAMERICA SOIA dalla cina alle ande La gastronomia peruviana è nota per le influenze di altre culture. Ad esempio quella cANTONESE, che ha portato oltre l’oceano ingredienti e sapori che hanno dato vita alla cucina chifa English text on page 36 L a cucina peruviana è sempre una nuova scoperta: l’autorevole settimanale britannico The Economist l’ha eletta tra le dodici più raffinate al mondo. Ma la sua peculiarità è un’altra: è conosciuta e apprezzata per la sua complessità, contaminata da stili e influenze provenienti da culture gastronomiche diversissime tra loro come quella pre-colombiana, spagnola, africana, italiana, giapponese e, soprattutto, cantonese. A partire dal 1850, infatti, sono arrivati in Perù, per sostituirsi agli schiavi neri che si stavano affrancando, numerosi immigrati cinesi. Una volta sbarcati, firmavano lunghi contratti con gli imprenditori locali per essere sottomessi al loro servizio. Chi riusciva a svincolarsi da queste condizioni di semi-schiavitù fuggiva verso le grandi città e apriva piccoli ristoranti chiamati chifas (nome che si dice derivi dal termine Mandarino chi fan, ovvero “mangiare”): non a caso, quindi, la cucina nata dall’incontro tra la tradizione cinese con quella peruviana si chiama chifa. Uno dei piatti che suggella alla perfezione questa unione tra Cina e Perù è l’arroz chaufa (riso fritto, che non a caso nel Mandarino attuale è chiamato chao fan) nelle sue numerose varianti al pollo, vitello, maiale o pesce, rigorosamente annaffiato, una volta ben cotto, con salsa di soia, un ingrediente di origine cinese presente in numerosi piatti della cucina chifa. Ad esempio il pollo a la brasa, il pollo arrosto marinato con l’aggiunta di un cucchiaio di salsa. Ma il piatto tradizionale della capitale e diffuso in tutto il Perù è il lomo saltado, cucinato per la prima volta, un centinaio di anni fa, proprio in una delle locande aperte dagli immigrati di origine cantonese: viene preparato con cubi di filetto marinato in salsa di soia e pepe, con aromi del pisco (un distillato del mosto di vino simile al brandy) e cipolle croccanti, pomodorini e scalogno. È un piatto che in Perù piace ai ricchi e ai poveri e lo si può trovare nei locali più importanti di Lima così come sulle tavole delle abitazioni della gente comune. n 16 PER ADDOLCIRE LA VITA La panela si ottiene dall’evaporazione del succo della canna da zucchero da cui si ricava una melassa viscosa versata in piccoli stampi e poi lasciata essicare. è un alimento tipico dei paesi dell’America latina, il maggior produttore mondiale è la Colombia da cui proviene la panela Gourmet Latino. Si utilizza come dolcificante, ma anche come cibo. ORIGINI ARABE è il grano spezzato e tostato, ricco di fibre, vitamine e sali minerali. In Brasile lo hanno introdotto gli immigrati arabi alla fine dell’XIX secolo e viene utilizzato per la preparazione di insalate di verdure come il tabule, di torte e nel quibe, un preparato di burgul (grano duro) e carne. UN CONTORNO DI SPESSORE La farofa è un contorno salato tipico della cucina brasiliana composto da farina manioca o di mais poi arricchibile con altri ingredienti (uovo, cipolla, banana). In Brasile è una pietanza molto comune, viene servita assieme a piatti di carne o pesce e consumata soprattutto dai lavoratori e dagli strati umili della popolazione vista la sua economicità. SCELTI PER VOI UN condimento sconfinato Quando si parla di salsa di soia la mente va subito a Cina o Giappone dove nasce e, tuttora, si utilizza per condire ogni piatto. Kikko Siyau, invece, è un prodotto peruviano nulla ha da invidiare alle salse di soia orientali ed è ben inserito nella ricchissima tradizione culinaria del paese andino. Un cucchiaio di salsa di soia, ad esempio, è tra gli ingredienti principali del secondo piatto più famoso del Perù, il lomo saltado, non a caso anche la portata più rappresentativa della cucina chifa. La salsa di soia è utilizzata per condire il ceviche, ricetta tipica a base di pesce. Nel riso fritto, che si consuma nella parte settentrionale del Paese, non può mai mancare il suo inconfondibile gusto, mentre la soia, in alcuni ristoranti peruviani, talvolta è utilizzata al posto della carne per il ripieno dei peperoni. I migliori MAKI con le alghe di TSUKIJI HAYASHIYA! “Nori” Confezione salva freschezza ...with HAYASHIYA 防湿アルミパックにてお届け致します。 Come nasce Nori 17 AZIENDA 18 eAthnic BREVI Inka cola singha Beer Il Perù in bottiglia Una bionda sportiva Dal 1970 è la bebida del Perù, la bibita del Perù per eccellenza. È la Inca kola, ha un colore giallo simile a quello della cedrata, è gassata e ha un gusto molto dolce. In Perù è popolarissima: è leader nel mercato delle bevande analcoliche con una quota di oltre il 30%, dieci punti in più della Coca Cola. Piace ai ricchi e ai poveri e, inoltre, detiene un record molto curioso, quello dei diversi formati di bottiglie in vendita: secondo una recente stima esistono sul mercato latino sette tipologie di bottiglie in vetro, dodici in plastica, due di lattine e tre per i distributori automatici. In Italia la Inca Kola non è in commercio e infatti da noi si trova la Inka Cola (in pratica sono state invertite la “c” e la “k”), del tutto simile alla bevanda che spopola in Perù e in molte zone del Sudamerica, anche se non appartiene allo stesso produttore: la si può trovare nelle pratiche bottigliette da mezzo litro e in quella da un litro e mezzo. La maggioranza dei ristoranti che servono piatti di cucina chifa (una sorta di mix tra la cucina peruviana e quella orientale) l’ha adottata da qualche anno come bevanda analcolica; i peruviani la preferiscono a temperatura ambiente piuttosto che fredda. È la birra del leone la più diffusa in Thailandia. La Singha Beer, infatti, è amata sia dagli abitanti del posto sia dai turisti, che la sorseggiano per trarre sollievo dal caldo umido di Bangkok e dintorni. È una lager con il 6% di alcool e un gusto leggero e gradevole, ideale per dissetarsi al bar per un aperitivo o in discoteca e anche molto gradita durante i pasti. Nata nel 1933 (quest’anno quindi festeggia il suo ottantesimo compleanno), è una delle birre più conosciute in tutto il mondo grazie anche alle partnership pubblicitarie che la legano ai brand sportivi più prestigiosi. In Inghilterra è sponsor ufficiale delle due squadre di calcio più vincenti degli ultimi anni nel massimo campionato, la Premier League: a gennaio è stato prolungato fino al 2016 il contratto con il Manchester United e ad aprile si è replicato con il Chelsea fino al 2017. Tra l’altro, entrambe le formazioni saranno ospiti a Bangkok rispettivamente sabato 13 e domenica 17 luglio per due match contro una selezione di stelle locali al Rajamangala National Stadium e in palio ci sarà proprio la Singha 80th Anniversary Cup. L’azienda thailandese, inoltre, è anche team partner della scuderia campione del mondo di Formula Uno, la Red Bull. Una curiosità finale, Singha non produce solo birra, ma anche acqua naturale e gassata oltre a una bevanda al the verde, Moshi green tea, in quattro varianti: original, lemon, melon e fruit. 19 NEGOZIO eAthnic YUZU L’agrume tuttofare 01 01. Bottiglia da mezzo litro di Yorozuya, il liquore allo yuzu al 9% di alcol, ottimo come digestivo da gustare freddo dopo i pasti oppure per aromatizzare i dolci e le macedonie di frutta fresca 02. Lo Yuzusco è la variante giapponese del tabasco, aromatizzata allo yuzu con l’aggiunta di peperoncino, può insaporire verdure e panini 03. Bottiglia da mezzo litro di succo puro di yuzu al 100% 04. Condimento allo yuzu e al peperoncino verde in un vasetto da 80 grammi 05. Sale aromatizzato allo yuzu, in bustina da 100 grammi, dal gusto fresco e fruttato 06. Bustina di yuzu essicato e ridotto a pezzettini, il condimento ideale per aromatizzare zuppe o piatti di carne e pesce 07. Yuzu e peperoncino verde in polvere 08. Condimento allo yuzu in polvere 09. Salsina allo yuzu della Miko Brand 10. Salsa Ponzu allo yuzu per condire il carpaccio di carne o pesce (sashimi), marca Yamasa, in bottiglia da un litro 03 02 In cucina può essere utilizzato per insaporire il pesce, come ingrediente di gustose salsine oppure per dare un tocco di originalità ai dolci. Ma c’è anche chi ne respira le essenze English text on page 36 H a la forma di un mandarino, il colore di un limone – ma si spazia dal giallo al verde a seconda del grado di maturazione – e note aromatiche simili a quelle del pompelmo. Ma su una tavola non lo si potrà mai vedere a spicchi perché in cucina lo yuzu si utilizza in (tanti) altri modi. Le sue origini risalgono al terzo secolo a.C. in Tibet e solo in seguito sarà introdotto anche in Corea e soprattutto in Giappone, dove oggi cresce su piccoli alberi spinosi – che hanno lo stesso nome del frutto – sull’isola di Shikoku, nell’Oceano Pacifico settentrionale. Solo in questa ristretta zona si producono circa 10mila tonnellate di yuzu l’anno, ovvero la metà della produzione totale presente sul mercato giapponese. La caratteristica principale della pianta è la resistenza al freddo (cresce anche fino a -10 °C) e ai forti sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte che, però, esaltano il sapore del frutto. La pianta dello yuzu, conosciuta con il nome di Citrus junos, ha anche funzione ornamentale: colora e abbellisce i giardini e alcune varietà sono coltivate esclusivamente solo per i fiori che producono. Scoperto anche dai grandi chef Il suo ambiente naturale, però, resta la cucina. Se ne può ricavare infatti un succo aromatico molto delicato oppure è possibile utilizzare direttamente la buccia per insaporire le pietanze più diverse, dalla verdura ai piatti di pesce come sushi, insalate di gamberi o capesante. Nella cucina giapponese è usato per dare un tocco in più alle salse, come la ponzu utilizzata come condimento per il sashimi, i cui ingredienti sono il mirin (un sakè dolce), l’aceto di 20 riso, fiocchi di katsuobushi (tonno secco affumicato) e alga kombu con l’aggiunta finale del succo di yuzu.È frequente anche l’uso per la preparazione di dolci, torte e gelatine, mentre in Corea ci fanno una marmellata. La diffusione dello yuzu, ormai, ha varcato i confini del Giappone: il suo gusto aspro ma fruttato è apprezzato in tutto il mondo e anche i grandi chef lo custodiscono gelosamente nelle loro dispense. Ad esempio il pasticciere più famoso di Francia, Pierre Hermé, lo utilizza per arricchire il sapore delle sue specialità, a partire dai macarons, i deliziosi pasticcini colorati che fanno bella mostra nella sua “boutique” parigina in Rue Bonaparte. Inoltre lo yuzu dà profumo al tè, è un originale ingrediente dei cocktail più esclusivi e, addirittura, in Olanda e in Finlandia aromatizza alcune birre artigianali. 04 07 05 06 08 09 10 A mollo tra gli yuzu Si intuisce quindi che è un agrume dalle mille risorse, da cui si estrae anche l’olio essenziale utilizzato per realizzare prodotti per la pulizia del corpo, creme per la pelle, profumi e candele per la casa. In Giappone è utililizzato anche per piacevoli bagni caldi la sera del solstizio d’inverno: la scorza dei frutti immersi nell’acqua bollente rilascia essenze profumate che hanno effetti rilassanti. Inoltre lo yuzu è un agrume che ha un contenuto di vitamina C doppio di quello delle arance: farsi una spremuta, però, è un’impresa alquanto complicata visto che il frutto contiene poco succo e grossi semi. Lo yuzu ha comunque buone qualità medicamentose, è ricco di antiossidanti ed è un ottimo rimedio contro raffreddori, influenze e per la guarigione della pelle screpolata. Insomma, è un agrume universale. n 21 NEGOZIO eAthnic L’intervista Veneto super... etnico Anche i punti vendita della grande distribuzione targati GB Ramonda aprono ai prodotti di tutto il mondo. ai clienti la novità è piaciuta e nei piani c’è un ampliamento dell’offerta English text on page 37 P er soddisfare la voglia di cibo etnico non sempre è indispensabile rivolgersi a negozi specializzati. Ormai, infatti, anche le piccole catene della grande distribuzione hanno diversificato la propria offerta proponendo sugli scaffali un buona varietà di questi prodotti. D’altronde, gli immigrati non vogliono perdere i sapori tipici della loro tradizione e sempre di più anche i nostri connazionali che tornano da un viaggio hanno voglia di riassaporare i cibi gustati dall’altra parte del mondo, come sostiene anche Francesca Baggio, amministratore delegato di GB Ramonda, piccola catena di supermercati del vicentino. Chi acquista i prodotti etnici? «Tutti acquistano, anche i miei figli: a loro piace provare nuovi prodotti e degustare sapori diversi dal solito». praticamente dall’inizio. Inizialmente per assecondare le richieste provenienti da parte dei nostri clienti, che dopo un viaggio ci chiedevano di introdurre i prodotti degustati all’estero per cucinarli agli amici, ma anche per proporre qualcosa di diverso rispetto ai soliti prodotti. Ovviamente, poi, una parte della nostra clientela è straniera e ci chiedeva prodotti tipici delle loro terre. Negli ultimi tempi abbiamo deciso di aumentare la nostra offerta etnica e i clienti, sia italiani sia stranieri, sono molto contenti di questa scelta». Quando è nata la vostra azienda e come si è sviluppata nel tempo? «L’azienda è nata nel giugno del 1971 ad Alte di Montecchio Maggiore da un piccolo negozio di alimentari di 50 metri quadri e si è poi allargata nel 1985 con l’acquisto di un supermercato di 400 metri quadri a Brendola. Nel corso degli anni si sono aggiunti altri punti vendita: ad Alte Ceccato, Trissino, Indicativamente, quanti sono i prodotti Sovizzo e Rosà. L’ultimo è stato aperto nel alimentari etnici proposti nei vostri punti 2006 in città, a Vicenza». vendita? E quali sono i più riforniti? «Abbiamo circa 250 referenze assortite, Quando avete iniziato a proporre prodotti dall’antipasto fino ai dolci. I supermercati più etnici e per quale motivo? E come sono stati completi sono quelli di Alte Ceccato e Trisaccolti dai vostri clienti? sino, ma è nei nostri programmi completare «Li proponiamo nei nostri punti vendita l’assortimento anche nelle altre strutture». 22 Quanto e come è cambiata l’offerta di cibo etnico nel corso degli ultimi anni? «Negli ultimi anni è cambiato il modo di cucinare, grazie anche ai programmi televisivi come La prova del cuoco o Masterchef, in cui i cuochi propongono continue novità per stuzzicare la curiosità e il palato del pubblico. Il cliente non perde tempo, si riversa da noi e ci chiede tutti gli ingredienti per preparare le ricette. Riscontriamo comunque una nuova sensibilità nella sperimentazione di piatti diversi da quelli della nostra tradizione». A suo avviso, i supermercati sono diventati (o potranno diventare in futuro) una valida alternativa alle botteghe etniche per gli stranieri alla ricerca di prodotti della loro terra? «Ritengo che i supermercati al momento non possano sostituirsi al negozio etnico; la profondità merceologica e la specializzazione di quest’ultimi difficilmente potrà essere raggiunta dai classici supermercati. Piuttosto, credo invece che possano fungere più da promotori per queste nuove tipologie di prodotti alimentari e fare in modo che le persone si avvicinino di più alle culture e alle tradizioni culinarie di Paesi lontani». n 23 NEGOZIO PUNTo VENDITA eAthnic English text on page 37 Selli International Food Store Dove si trova l’introvabile È il negozio di Roma in cui i desideri “esotici” possono essere esauditi. Anche i più singolari. Da Selli International Food Store, infatti, si trovano generi alimentari, spezie, cereali e legumi provenienti da ogni parte del mondo, stipati fin quasi al soffitto nei capientissimi scaffali che i fratelli Bianca Maria e Mimmo Selli (nella foto) ogni giorno con pazienza certosina riempiono per soddisfare le richieste dei loro clienti del quartiere Esquilino. Precisamente il negozio è in via dello Statuto, a due passi dalla multietnica Piazza Vittorio dove, agli inizi degli anni ‘60, da un banco del mercato all’aperto gestito da mamma Annunziata e papà Angelo, è nata l’idea di quello che oggi è un autentico punto di riferimento nella capitale per gli amanti del cibo etnico. Signor Selli, quando siete passati dal mercato al negozio? «Abbiamo aperto qui nel 1994, ma per trovare le origini del negozio è necessario andare indietro fino agli anni ‘60, quando i miei genitori “facevano il mercato” nella vicina piazza. Sul finire degli anni ’70 arrivarono a Roma i primi migranti dalle Filippine e dal Marocco, che scelsero le bancarelle di piazza Vittorio per rifornirsi, forse perché ricordavano i bazar all’aperto delle loro terre d’origine. Si sa, la domanda genera l’offerta e così i miei genitori decisero di puntare sui prodotti etnici, specie le spezie». Una posizione strategica, la vostra. A quali Paesi appartengono i vostri clienti? «Va detto che negli anni la clientela è cambiata notevolmente. Inizialmente frequentavano il negozio i tanti indiani del Punjab che lavoravano qui intorno. Ora questi si sono spostati al nord e hanno lasciato il posto a colombiani, brasiliani, peruviani e anche mediorientali, che rappresentano una bella fetta della nostra clientela. Ma, in genere, passano da noi avventori di tutte le nazionalità visto che a Roma ci sono le sedi di tutti i consolati che occupano numerosi lavoratori del proprio Paese». Quanti addetti impiegate? «Siamo io e mia sorella Bianca Maria più due dipendenti, uno indiano e uno proveniente dallo Sri Lanka. Siamo qui da 19 anni e, nonostante la crisi che sta colpendo le piccole attività, le cose vanno molto bene…». … forse perché “Da Selli si trova l’introvabile”, come scrivono i vostri clienti nelle recensioni su internet. Un bell’attestato di stima per un negozio etnico. Come fate a essere così riforniti? «La concorrenza è agguerrita e i nostri sforzi sono concentrati nella direzione di distinguerci grazie all’offerta di una più ampia varietà di merce a prezzi convenienti. L’impegno mio e dello staff è costante e quotidiano nella ricerca dei migliori prodotti, anche di quelli più particolari». Visto che siamo in tema, qual è la cosa più “introvabile” che si può trovare da Selli? «Per le nostre spezie viene gente da fuori Roma: mi vengono in mente ad esempio l’aneto e la trigonella. Abbiamo anche dei prodotti indiani di cosmetica praticamente irreperibili altrove: alcune ragazze italiane, che adesso sono nostre clienti, li facevano arrivare da Londra ordinandoli online; ora li acquistano sotto casa risparmiando parecchi soldi». Asia protagonista Anche il personale di Selli International Food Store è multietnico: oltre ai titolari Mimmo e Bianca Maria Selli, lavorano in negozio un dipendente indiano e uno dello Sri Lanka. 24 Gli italiani, appunto, frequentano il vostro negozio? E cosa apprezzano di più? «Certo, sono anche loro nostri clienti. La cucina giapponese è quella che ora va più di moda ed è molto apprezzato dai romani n l’angolo dedicato al biologico». 25 eAthnic RISTORANTE Shiki L’importanza di chiamarsi Fusion Alex, chef del locale milanese di via Solferino, racconta la sua cucina fra tradizione e innovazione, oriente e occidente. e un nuovo sorprendente menù tutto da scoprire English text on page 38 V Una proposta vincente La cucina di Alex (nella foto) è innovativa, veloce, ma allo stesso tempo gustosa e raffinata. Che ai milanesi piace. Chi andrà da Shiki sul menù non troverà la classica lista dei primi e dei secondi, ma tanti piattini in cui gli ingredienti tipicamente orientali si fondono coi più classici sapori mediterranei. Dai pomodori fino alla mozzarella di bufala. 26 ia Solferino 35, praticamente di fronte alla sede del Corriere della Sera. Una zona di Milano sempre viva, di giorno e di notte. Qui si trova lo Shiki, che da quest’anno ha una nuova gestione e propone una cucina rinnovata: non più giapponese tout-court, ma una cucina fusion, dove gli ingredienti e i sapori tipici della tradizione orientale si incontrano e si mischiano con quelli mediterranei, in un ambiente piacevole e raffinato, con musica in diffusione e comodi divani su cui sedere per gustare in maniera ancora più rilassata pranzo, aperitivo, cena o il brunch domenicale. Il punto forte sono le tante piccole portate: ce ne sono 45, tutte rigorosamente fusion (lo è persino il tiramisù: due strati di panna e crema, biscottino imbevuto di caffè e semi di sesamo al posto delle scaglie di cioccolato) che compongono un menù vario, colorato e sempre diverso, composto personalmente dallo chef Alex che gestisce locale e cucina. Autodidatta, cresciuto in una famiglia di cuochi e ristoratori sulle rive del lago Maggiore, Alex ama inventare e sperimentare. Non solo in cucina, ma an- che nella scelta dei vini: da provare, secondo lui, un profumatissimo rosé della Provenza che ben si abbina ai suoi piatti. Il nome del locale, Shiki, è accompagnato dalle parole “easy food”. Perché? «Perché da Shiki cuciniamo solamente ricette veloci e semplici. La nostra filosofia non prevede il concetto di antipasto, primo e secondo. Si tratta quindi di un menù easy: moderno, al passo con i tempi, veloce e gustoso. Si possono assaggiare uno o due piattini e poi andare via, oppure fermarsi per gustarne sette o otto…». Una scelta abbastanza particolare: da dove arriva l’idea? «Arriva da molto vicino. Da me. Mi spiego meglio: quando esco a cena, mi piace assaggiare praticamente tutto. Un po’ perché sono goloso, un po’ a scopo didattico. E così ho modellato la mia cucina». E i clienti che cosa ne pensano? «La formula piace. Non a tutti ovviamente, perché non mancano i tradizionalisti che vogliono sempre il loro piatto classico. Ma è una questione di abitudine: ritengo che la gente vada educata a mangiare in maniera diversa. Così è successo anche per i “vecchi” clienti dello Shiki, che all’inizio hanno fatto un po’ di fatica ad adeguarsi a un cambiamento così radicale; c’è chi ce l’ha fatta e chi no. Ma abbiamo avuto anche tanti nuovi clienti». Lo Shiki propone una cucina fusion: perché? «Ho iniziato la mia carriera con la cucina italiana di pesce; con il tempo, però, mi sono aperto ai nuovi sapori provenienti dal mondo. Mi piace associarli, mischiarli: da qui, quindi, è nata la passione per il fusion. Ho provato a mettere assieme il cappero con lo zenzero, oppure il basilico con le alghe per capire se l’abbinamento sperimentato potesse piacere. Alcune cose non funzionavano, ma tante altre sì». Quali sono i pilastri della tua cucina? «Come condimento base utilizziamo una emulsione di soia e olio extravergine: è gustosa, delicata e abbassa le calorie. Poi olive, basilico e, con l’estate, i pomodori per quanto riguarda la parte mediterranea, mentre non può mancare la salsa di soia per quella orientale. E poi tanti altri ingredienti che si scopriranno di volta in volta». Da cosa deve essere attratto il cliente che vuole mangiare allo Shiki? «Dagli abbinamenti curiosi e interessanti che propone il menù. Milano ormai è una città multietnica, abitata da gente aperta alle novità, gente che viaggia molto e, una volta rientrata alla base, vuole risentire certi sapori anche sotto casa. È una formula interessante ed economica: ogni piatto costa 7,50 euro». Qual è il più richiesto? «Sicuramente il TTA, ovvero la Tartare di Tonno Alex. Una mia specialità che propongo da tanto tempo, composta da una base di riso basmati caldo con una purea di avocado e tonno». E quello che meglio rappresenta il tuo ristorante? «I roll, che sono l’elemento di continuità con quello che era lo Shiki fino a qualche mese fa». n 27 RISTORANTE Intervista a Matias Perdomo Un “rivoluzionario” eAthnic LA VETRINA DEI PRODOTTI 01 02 03 AI fornelli Al Pont de Ferr, noto ristorante milanese sulle rive del Naviglio Grande, c’è uno chef sudamericano che ama inventare e stupire 04 English text on page 38 è nato in Argentina, ha vissuto in Brasile e sostiene che la sua vera patria è l’Uruguay. Matias Perdomo, chef del ristorante milanese Al Pont de Ferr, rappresenta simbolicamente tutto il Sudamerica, una terra che ha dato i natali a grandi rivoluzionari. E a suo modo lo è anche lui, visto che ha impiegato solo un mese a rivoluzionare, è proprio il caso di dirlo, la cucina di uno storico locale della Milano dei Navigli. Sei anni fa, infatti, prima che diventasse primo chef, nell’osteria tutt’oggi gestita da Maida Mercuri si potevano gustare principalmente piatti tradizionali di ottima qualità della cucina italiana. 06 Ora invece il menù è più vario e colorato e la qualità è rimasta ottima, come dimostra la Stella Michelin guadagnata nel 2012. La regia sudamericana si vede, quindi. E si sente. Matias, che cos’hai messo di tuo in un locale milanese quale è Al Pont de Ferr? «Inizialmente mi ero promesso di cambiare le cose poco per volta. Ma non è stato così: la mia cucina è diversa, è più moderna; la svolta è stata quindi repentina e la gente inizialmente non ha reagito positivamente. Ma abbiamo tenuto duro, avevo carta bianca e adesso la nostra proposta è di successo». Quali sono state le prime novità inserite in un menù tradizionale? «La cipolla innanzitutto. Poi lo zucchero soffiato, che ho imparato a preparare da solo ispirandomi a una ricetta dei fratelli Roca, che hanno un famoso ristorante a Girona, in Catalogna, dove in seguito ho fatto un stage. Inoltre sono stato il primo a portare in Italia la pluma di maiale iberico, un taglio partico- lare del suino (parte anteriore del lombo, vicino al collo, ndr) che si chiama così proprio perché la forma assomiglia a una piuma. Ora è un classico del nostro ristorante». Sostieni che le tue creazioni hanno anche un aspetto ludico: in che senso? «La cucina è un riflesso dello stato d’animo. È una filosofia di vita: io vivo la mia allegramente, non sono uno che si piange addosso. Di conseguenza mi comporto così anche in cucina, dove mi diverto e voglio divertire i clienti». Estetica e gusto in che percentuali devono stare in un piatto? «Il gusto viene prima di tutto. Se il piatto è bello e colorato ma il sapore è cattivo, non va bene. L’estetica entra in gioco quando il piatto ha raggiunto il massimo livello di sapore e, a quel punto, ci si può concentrare su come presentarlo al meglio». BELLI E SQUISITI Nella foto a sinistra la cipolla rossa di Tropea fatta di zucchero soffiato, a fianco la pluma di maiale iberico. Sopra Matias Perdomo. 28 05 Quanto apprezzi la cucina etnica? «Io sono aperto a tutto, nella vita come a tavola. Lo dice la mia storia: provengo da una cultura multietnica e, di conseguenza, la mia cucina è senza frontiere. Non credo nel chilometro zero, lo si faceva cento anni fa. Non chiudo a quello che arriva dall’altra parte del mondo, purché sia di ottima qualità». In Uruguay hai avuto esperienze in radio e in tv: che cosa ricordi? «Avevo 20 anni, la gente mi riconosceva per strada, ma la cosa non mi piaceva. Stavo perdendo la mia dimensione, non volevo essere un personaggio ed ero giovane con tanto ancora da imparare. È stata una delle molle per lasciare il mio Paese e venire qui. Mi ero creato un contorno che non era autentico, non era ciò che volevo. Io volevo fare il cuoco, cucinare, plasmare un’idea…». n 07 01. Pasta surgelata per cucinare gli involtini primavera; nella busta da 550 g potrete trovare 40 sfoglie quadrate da 215 mm 02. Maionese giapponese per insalata al gusto di sesamo, leggermente dolce, ideale anche per sashimi e pesce crudo in generale, in bottiglietta da 250 ml 03. Maionese giapponese per insalata al gusto di cipolla, in bottiglietta da 250 ml 04. è la classica maionese giapponese, diversa da quella italiana. Il gusto è più intenso, è prodotta con olio di semi di colza e viene utilizzata per condire le insalate, per le tartare e i rotolini di sushi; la Kikkoman la propone in tubetti da 500 ml 05. Salsa al wasabi ideale per guarnire il sushi, in bottigliette da 570 g 06. Salsa ai fiori di ciliegio 07. Salsa allo yuzu Il cuoco globetrotter N asce 33 anni fa in Argentina a Buenos Aires. Ma è uruguaiano della capitale Montevideo dove però ci arriva all’età di sei anni. Matias Perdomo, il primo chef dell’osteria (lo specifica anche il sito ufficiale) milanese Al pont de ferr – segnalata con una stella Michelin nella guida 2012 – è un vero “giramondo”. Oltre ad Argentina e Uruguay vive anche in Brasile, Danimarca e all’età di 21 anni, nel 2001, si trasferisce in Italia dove lavora tuttora nello storico locale sul Naviglio Grande; da sei anni è la star della cucina che “sconvolgerà” introducendo nuovi piatti e nuovi sapori. Comincia da giovane con un corso privato, già a 14 anni mira a diventare lo chef del primo hotel a 5 stelle di Montevideo. A venti nel suo Paese gestisce tre ristoranti di cucina italiana e partecipa a trasmissioni televisive e radiofoniche che lo rendono famoso. Poi il richiamo del nostro Paese, l’ulteriore crescita professionale presso l’osteria Al Ponte fino a diventare uno degli chef più creativi sulla piazza. 29 RISTORANTE Coltelli giapponesi CUCINA RICETTE gli StRUMENTI QUELLI PIù COMUNI SONO CINQUE: IL SANTOKU, ADATTO AL TAGLIO DELLA CARNE, IL NAKIRI E L’USUBA PER I VEGETALI, IL DEBA (IL PIù resistente) E LO YANAGIBA PER il SUSHI N on c’è cucina giapponese di qualità senza coltelli di qualità. Strumenti di altissima precisione, sono i veri alleati per la riuscita di ogni ricetta. «Un piatto rovinato da un taglio sbagliato può persino cambiare gusto», precisa Yuki Konsho, consulente di Uniontrade. «Tagliare il pesce, in particolare, è molto difficile: richiede coltelli professionali e una maestria che si acquisisce negli anni. In Giappone si dice che per diventare cuoco ne occorrono dieci», aggiunge. Caratteristica della maggior parte dei coltelli è la lama su un solo lato: l’altro infatti è in genere piatto. Fanno eccezione le lame angolate, per la preparazione dei vegetali il cui taglio avviene esercitando una pres- LA MATERIA PRIMA è fondamentale che la qualità dell’acciaio sia elevata affinché la precisione del taglio sia la migliore possibile. Ma non solo. Trattamento termico, geometria della lama, geometria e costruzione del manico sono elementi determinanti per le prestazioni del coltello. 30 eAthnic Asparagus Shiki roll DEL MESTIERE English text on page 39 English text on page 39 sione. Le lame più usate sono cinque: il Santoku (“tre meriti”, in italiano), universale e adatto al taglio di tutti gli ingredienti e in particolare della carne. Il Nakiri e l’Usuba sono invece destinati alla lavorazione dei vegetali, ma solo il primo è affilato da entrambi i lati. Il Deba è invece un coltello pesante, affilato da un solo lato, utilizzato per tagliare anche ossa e lische ma anche per sfilettare pesci di piccole dimensioni. Infine lo Yanagiba, il coltello tradizionale per sushi e sashimi. Grazie a una lama lunga e stretta è adatto a eseguire tagli sottilissimi, lunghi ed estesi. Il materiale con cui sono fatte le lame è l’acciaio, che assicura tagli perfetti nel tempo. Tuttavia la durevolezza dipende anche dalla manutenzione: «In Giappone i cuochi usano due o tre diversi tipi di affilatori per ogni coltello», precisa Yuki. Realizzati in pietre locali a base di silice e argilla, sono trattati con acqua o olio poco prima dell’affilatura. n di Alex Ingredienti per 4 persone 130 gr di riso per sushi condito con aceto e zucchero 4 fogli di alga nori 10 asparagi verdi 1/2 avocado 200 gr di orata 1 mazzo di basilico 20 olive taggiasche 30 gr di pinoli salsa teriaki, olio extravergine e salsa di soia q.b. Preparazione Pulire l’orata ricavando dai filetti delle fettine sottili. Per la crema di basilico: frullare le foglie di basilico con un goccio di olio extra vergine e i pinoli e un pizzico di sale. Per il pesto di olive: frullare le olive. Tagliare gli asparagi in fettine sottilissime e farli sbolletntare 5 min in acqua bollente leggermente salata. Su una stuoietta in bambù ricoperta di cellopan poggiare l’alga nori. Adagiare sopra l’alga una quantità di riso sufficiente a ricoprirne la superficie. Adagiare delle fettine di avocado tagliate sottili e gli asparagi in modo che le punte non sporgano dall’alga e, aiutandosi con la stuoia in bambù, arrotolare il maki. Tagliare fette sottili l’orata e adagiarla sulla parte superiore del maki facendole aderire e premere ancora con la stuoia per compattare il tutto. Dividere il roll così ottenuto in otto parti e su ogni rotolino adagiare una goccia di crema di basilico, e una goccia di pesto di olive. Condire il tutto con un’emulsione di salsa di soia e olio extra vergine. Servire accompagnato dalla salsa teriaki. Hummus di Suzy Kmeid Ingredienti per 4 persone 300 gr di ceci secchi 2 spicchi d’aglio succo di 2 limoni olio extravergine d’oliva q.b. sale q.b. 2 cucchiai di tapina cumino q.b. 2 cucchiai d’acqua calda Per guarnire peperoncino rosso in polvere q.b. prezzemolo tritato q.b. Preparazione Mettere in ammollo i ceci per 24 ore, scolarli e sciacquarli bene. Metterli a cuocere in una pentola a pressione con abbondante acqua per 20 minuti o in pentola normale per due ore, o finché non diventeranno teneri. Scolarli. In una padella antiaderente versare tre cucchiai di olio, due spicchi d’aglio e le spezie in polvere. Far tostare il tutto per un paio di minuti a fuoco medio. Aggiungere i ceci scolati e lasciare insaporire per altri 2 o 3 minuti. Nel frattempo spremere i limone. Trasferire i ceci in un mixer, aggiungete la tahina e il succo di limone, frullare fino a ottenere una crema omogenea e liscia. Aggiungete a filo dell’olio extravergine o dell’acqua calda a seconda della consistenza desiderata amalgamando il tutto con un cucchiaio. Servite in una ciotolina dopo averne cosparso la superficie con del prezzemolo tritato o del peperoncino. 31 eAthnic NEWS English text on page 40 TENDENZE I gusti cambiano: ora piace una cucina più “decisa” Salute L’etnico cede il passo al global, evoluzione del fusion. In altre parole ai cittadini del mondo del secondo decennio del 2000 piacciono sempre più i piatti ibridi, frutto di contaminazione. A patto che i sapori siano forti e soprattutto nuovi. Lo dice l’Institute of food technology di Chicago, società scientifica non profit che riunisce 18mila membri in più di 100 Paesi. Una ricerca che l’ente ha appena pubblicato illustra infatti i nuovi trend in tema di alimentazione. Primo dato: la cucina che piace oggi è fatta di sapori accesi, da quelli piccanti all’affumicato, dal salato al marinato senza dimenticare il gusto per l’amaro. Secondo l’Ift la scelta di cibi che rientrano in queste categorie è quasi raddoppiata negli ultimi tre anni. Dato interessante riguarda poi l’hobby della cucina: nel corso di questo 2013 sette persone su dieci hanno cucinato a casa più di quanto hanno fatto l’anno prima. La sempre maggiore disponibilità di ingredienti originali, spesso etnici, in questo ha giocato un ruolo decisivo. Sushi e salsa di soia per combattere i tumori 32 FIERE L’etnico va in mostra in Italia e nel mondo Locale e globale. Le dinamiche del mondo globalizzato si rispecchiano tutte nell’etnico e in alcuni eventi che in questi mesi lo vedono protagonista. Lo scorso marzo presso lo Spazio Carroponte di Sesto San Giovanni (Milano) si è tenuto il primo festival delle cucine del mondo. Far da mangiare, questo il nome dell’evento, dall’8 al 10 marzo ha presentato laboratori sensoriali, stand e mercatini, degustazioni, mostre, brunch, cene tematiche e ricette dal mondo. Un’iniziativa a favore dell’integrazione tra locale e internazionale. Ma non c’è solo questo: l’etnico ormai merita infatti anche fiere globali: a fine giugno nel New Jersey (Usa) si tiene infatti International Food Expo, esposizione mondiale in cui i cibi del mondo mostrano le loro enormi potenzialità di mercato. «La linea di demarcazione tra cibo occidentale ed etnico si sta assottigliando», ha spiegato alla stampa Bharat Joshi, che coordina l’organizzazione dell’esposizione statunitense. Tra i Paesi protagonisti, quest’anno, ci sono Cina, Giappone, Corea, Filippine, Singapore, Thailandia, Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan e India ma anche numerosi Paesi africani e latinoamericani. NUMERO Editorial The around-the-world trip continues PAGE 02 t’s a hop from India to Lebanon. In its trip around the world Eathnic heads west to step in a country best known for its recent tormented story of war and destruction. But perhaps few know that in this stretch of land that looks out over the Mediterranean and that over the years has undergone the influence of rich and varied cultures such as African, Middle Eastern and Southern European ones, there is also a rich gastronomic culture that incorporates the characteristics and tastes of nearby lands. It’s no accident that Lebanese cuisine is defined the “pearl” of Arab cuisine and its role touches on important aspects of social life. Suzy Kmeid has lived for 18 years in Italy and since 2008 has managed a Piacenza restaurant that serves Lebanese specialties. And it is she who stresses that hospitality, in her country, is translated into sharing a place at the table with acquaintances and friends. There’s not only Lebanon in this issue of Eathnic. We also travel to South America to discover how a typical product of the Asian market like soy also took hold in Peru some two centuries ago. It is one of the curiosities of one of the most refined, but also one of the most particular cuisines I ENGLISH 06 in the world, “contaminated” by a myriad of gastronomic cultures that are extremely different from each other. Among these is also Cantonese after thousands of Chinese arrived in Peru in search of work in 1850. In this way was born chifa cuisine, a mix of South American tastes and Asian ingredients, like soy oil. Among other key products there is also yuzu, the allpurpose citrus fruit that has the shape of a tangerine, the colour of a lemon and a taste similar to grapefruit. Then, as always, we take a trip among the trendiest restaurants. Our focus turns to the fusion cuisine of Shiki in Milan. Also in the Lombard capital there’s Al Pont de Ferr where the lead chef is Matias Perdomo. South American, globe trotter, the n kitchen revolutionary... Lebanon Aromatic inspirations PAGE 04 he best way to learn about Lebanese culture? Observing how in Beirut, Tripoli or Byblos men and women, the young and the old, behave at the table. In other words, it’s the role that food plays in conviviality and daily life that recounts the relationship between people and generations. From the cradle to the grave, each step of existence is accompanied by a dish and every holiday or event is celebrated with a meal. But not only. T Suzy Kmeid, a Lebanese of Tanbourit but a resident of Italy for the last 18 years (since 2008 she has managed the I tre cedri (Three cedars) restaurant in Piacenza), tells Eathnic how fundamental hospitality is for understanding the culinary culture of her country: «You don’t leave the home of a friend who has hosted you without eating something», she explains. To begin Lebanese cooking is often described as the “pearl” of Arab cuisine. It’s no accident. Overlooking the Mediterranean, this great small country (its surface area is only slightly bigger than that of Italy’s Basilicata region) shares with other Middle Eastern cuisines unique tastes and aromas, with which it also combines decidedly original dishes, with a strong European and in particular French influence, a legacy of the mandate that Paris exercised over Lebanon until its independence was declared in 1943. That the meal here is a rite can also be understood from how it is composed: «Every lunch or dinner differs depending on the skill and creativity of the host, but it always begins in the same way: with meza, or rather with a series of appetizers that are a real must», adds Susy. Tiny dishes, almost samples. A sort of tasting. To begin with there are the “four sisters”, four creams that alone are the symbol of this land. Two have a sesame pulp base, the famous tahina, and are respectively seasoned with an eggplant (baba ghanoug) and chickpea (hummus) paste. The other two, whose tastes perfectly complement those of the first two, are instead a mint yogurt sauce and a fava bean purée (fava). «Normally you eat by helping yourself with pieces of bread, the traditional khubz arabi, everyone helping themselves from the same dish», explains Susy. Sharing is the key to Lebanese cuisine. Indeed Lebanon inherited capabilities in trade and relations from the ancient Phoenician culture. It’s no chance that the meal represents the most important moment of meeting and social life, so much so that it can last for several hours on holidays. Aromatic dishes Seasoned sauces with bread and without silverware aren’t the only point in common with other Middle Eastern cuisines, like that of Israel, but also that of Turkey and Greece. Here too each meal continues with a selection of salads whose key ingredients are, just like in other countries in the eastern basin of the Mediterranean, legumes, vegetables (often grilled, just like in Italy’s southern regions) and spices: coriander, cumin, turmeric, allspice and “our” parsley. Thus aromas characterize Lebanese tastes. You can also understand this from s I nutrizionisti aprono all’etnico. Nelle tabelle alimentari e nelle linee guida dell’Airc, l’associazione italiana di ricerca sul cancro fondata dall’oncologo Umberto Veronesi, accanto alle sempre premiate pietanze della cucina mediterranea entrano infatti piatti cinesi, giapponesi, africani e indiani. Oggi, ad esempio, una delle regole consigliate dall’Airc è quella di ridurre il sale, magari compensando con le spezie care alla cucina del Maghreb o del Medio Oriente. La lotta al tumore passa infatti anche dai cibi esotici. Ad esempio il pesce alla giapponese, crudo e marinato in salsa di soia, oppure gli spaghetti di riso e le carni speziate e piccanti che vengono dall’India sono molto apprezzati dagli studiosi dell’Airc. Stesso discorso per un altro ingrediente noto per i suoi effetti benefici: la curcuma. Spezia simile allo zafferano, è ricca di curcumina utile a combattere le malattie legate all’invecchiamento del cervello. «Nell’isola di Okinawa, dove viene consumata quotidianamente – spiega Veronesi – c’è una presenza di ultracentenari che supera del 10% quella di altri paesi del mondo». A e thnic 33 eAthnic ENGLISH TEXT the aroma of another typical dish: tabbuleh, cous cous grain with onion, mint, parsley, tomato, spices, lime and olive oil. A largely vegetarian cuisine «The specialties in Lebanon vary greatly from family to family and from region to region», notes Susy. Who offers her guests recipes faithful to tradition, unconcerned by those who say they are afraid of excessively seasoned dishes: «Lebanese cuisine contains garlic and onion. Prepared in our way, however, dishes are never overwhelming and indigestible. So often our clients don’t even realise they’ve eaten these things». Indeed, even the more substantial dishes are always delicate, also because they are often vegetarian. «It’s with vegetables that our cuisine offers the best of itself with hundred-odd vegetarian dishes», she explains. Influenced by the Arab tradition, when it comes to meat Lebanese cuisine favours lamb. Instead pork is consumed little, not for religious reasons (today the majority of the population is Christian) but because its hot climate makes raising animals difficult. Obviously the international influence is also making itself felt around these parts: «In the big cities restaurants from every part of the world abound and by now in the cupboards of Lebanese homes both industrial and ready-to-eat products are available», adds Susy. 34 PAGE 04 But there are two cedars he symbol of Lebanon, throughout the world is its cedar (Cedrus libani). A name, however, that is ambiguous: indeed in Italian the word “cedro” refers to both the imposing stylized conifer found even at the centre of the flag of this Middle Eastern country and also to the yellow citrus T fruit (Citrus medica), also typical of these parts. The citrus fruit, however, has nothing to do with the conifer, which doesn’t produce real fruits. Oval shaped, Citrus medica is yellow like a lemon but with a much thicker and pockmarked rind and it is highly prized in Lebanese cuisine, also for its beneficial properties. Rich in potassium and vitamin C, it is refreshing and purifying while its juice helps eliminate gas and fermentation that causes abdominal bloating. n cuisine pleasingly aromatic. Labneh Rich and dense cheese cream, it represents one of the most well-known and widespread dairy products in Lebanon. Similar to yogurt, it is generally seasoned with olive oil. Usually shaped into little balls, it accompanies salads with cucumber. Chickpeas A legume that is also widespread in Mediterranean Europe, it is present in many sauces based on tahina like PAGE 07 hummus. Sometimes chickpeas The pilasters are also used in the preparation of Lebanese cuisine of fritters, like the famous Tahina A paste produced with white falafel. n sesame seeds, with its typical aroma similar to that of wal- PAGE 08 nuts and peanuts but with History an intense toasted taste is at Two tormented centuries the base of many recipes and ebanon has had an extreespecially of the meza, the mely tormented history, Lebanese appetizers. Found torn by internal strife and fepractically in the entire coun- rocious and bloody wars with try’s cuisine. Israel. Already in 1860 French intervention was necessary to Bulgur pacify animosity between the At the base of thousands of Maronites and Druze, two rerecipes tabbuleh, it’s a prepa- ligious groups in conflict. The ration of whole wheat grains first constitution came in 1920, that are steamed and dried, following World War I and the then ground into small pieces. fall of the Ottoman Empire. In It’s quite common throughout those years Lebanon was called the Middle East. It is also used the State of Greater Lebanon to coat kebbeh, the typical and was under French control, lamb meatballs. while in 1925 it took on the name of Lebanese Republic. LeParsley banon obtained independence An apparently European ingre- in 1943, even though the last dient, it’s fundamental in many French soldier left the country meza and in particular in tab- only in 1946. At the end of 1947 buleh. Together with olive oil, Lebanon also said “no” to U.N. tomato and fresh onions and resolution 181, which divided spices they represent the base the Palestinian territory into a ingredients of many raw con- Jewish state (Israel) and an Arab diments and one of the ingre- one and, in the burning Middle dients able to make Lebanese Eastern issue has always taken L the side of Arab countries: for this reason thousands of Palestinian refugees found refuge within its borders, creating an endless series of tensions. In 1975 civil war broke out and in 1982 Lebanon was invaded by Israel: only the intervention of international troops avoided a prolonged conflict, preventing further destruction and blood. Israel’s second offensive against Lebanon began in July 2006 in response to the kidnapping of two Israeli soldiers on the part of militia from the Hezbollah, the Shiite Muslim party that that can also count on a military wing. It was a fierce attack that didn’t even spare the civil population: certain parts of the capital Beirut were razed to the ground, with 130,000 buildings hit. The conflict lasted a little more than a month before the “cease fire” and the creation of a buffer zone between the two countries free of armed forces. n PAGE 09 A (commercial) friendship that has lasted for decades rade between Italy and Lebanon amounted in 2011 (the last year for which data is available at the Italian embassy in Beirut) to 1.9 billion U.S. dollars, of which 1.87 billion from Italian exports. The figures show a clear superiority in volumes of exports towards this Middle East country compared to those towards Italy. A position that our country has progressively built on, today ranking second after the United States among the global economies from which Lebanon imports products. Including food products: indeed, in 2011 Italian companies sold Lebanese ones 50 million dollars (2.7% of Italian exports T to Lebanon) in prepared food and beverage products. Lebanese exports to Italy, instead, are marginal (1% in 2010), even though in this case food also plays a not insignificant role. Moreover, about 5% of the products exported from the land of cedars to the rest of the world involved, once again in 2010, food products. That the trade relations between Italy and Lebanon are solid can also be surmised from the infomercatiesteri.it site of the Italian foreign affairs ministry, dedicated to entrepreneurs from Italy who plan to invest abroad: «Italy enjoys a great relationship in Lebanon. The local market certainly isn’t important for volume, but it enjoys a high degree of opening to trade and triangular trade», it says. n PAGE 11 Mediterranean nectar lavourful cuisine, cedars and … wine. Lebanon is also one of the global capitals of viticulture. The heart of this production beats in the Bekaa Valley, a fertile valley that stretches from Libya to Syria (which today makes up 40% of the arable land in the entire country) to roughly 30 kilometres east of Beirut. Bordered by the mountains of Mount Lebanon and the Anti-Lebanon Mountains to the east, the valley is home to some of the most famous vineyards in the world. Here they make high quality wines with the most advanced production methods. The best production is aged: some labels can be stored in the wine cellar up to seven years. Among the best of them all is Château Musar, whose bottles can age even for F more than thirty years. The nouveau-style wines of Kefraya are also superb. With about seven million bottles produced each year, Lebanese wine is gaining an increasing amount of space on the global market. Marks & Spencer, the famous British department store chain, decided for example to offer it on its exclusive shelves alongside tabbuleh and hummus, while there an increasing number of European tour operators who have already inserted Lebanon among destinations for wine n and gastronomic tours. Gobo A Japanese story PAGE 12 he name is decidedly curious, but gobo is nothing other than the root of the bardana, a plant that botanically speaking, belongs to the Asteracee family. It withstands all temperatures, high and low, and it’s said its origins are in the Siberian cold. But it’s in Japan, where it has been cultivated for thousands of years, that the roots are usually dug up in autumn and left to dry during the winter. The roots are thin and can be as long as three metres, they are rather compact and dark coloured but with a white pulp. Gobo is rich in potassium, vitamin C and vitamin E, of pyridoxine (vitamin B6) and mineral salts. It can be used as a medical herb – it cleanses the organism and treats skin diseases – but in Japan it is especially appreciated as a vegetable in some local recipes. It’s an ingredient in many soups, but the most famous and tasty Japanese gobo dish is certainly kinpira gobo: it’s a T salad to serve cold composed of gobo and carrots that have previously been stewed with soy sauce and mirin (a sort of sweet sakè) and, once on the table, lightly with spice power or celery. It’s a crisp and fragrant salad which in restaurants or in bars is served in little bowls as an appetizer together with beer or an aperitif and is a typical New Year’s dish. Gobo is the equivalent of scorzonera, or black salsify, a plant cultivated in Europe and belonging to the same Asteracee family: in Italy it can be found especially in the north and in the past, often during wars or famines, this root was toasted or ground to be used like coffee, while its leaves were smoked instead of tobacco. In France it is prepared like asparagus, in other countries it substitutes potatoes and is used to cook soups, pies and cutlets. n Evaporated milk Condensed, but without sugar PAGE 14 vaporated milk is, simply, condensed milk, but without the sugar added. The preparation is the same, but with a single difference: evaporated milk is first homogenized in a process that in practice breaks apart the fat to ease its digestion), then it is evaporated by heating it to a moderate temperature to avoid the caramelisation of sugars, and then sterilized. Through this process, there is a partial removal of water (up to 60%) from which results a reduction in the initial volume with an increase in shelf life and a certain ease of use. As is the case for condensed milk – but also for powdered E s To finish Despite the heat, Lebanese meals are often accompanied by alcoholic drinks and spirits. A famous one is arak, a grape distillate to which aniseed is added, similar to Greek ouzo, served diluted and with ice. And then wine, the pride of this land: the Bekaa Valley has always been the main wine region of the country, thanks to a favourable climate and a clay and limestone terrain. Famous bottles like Château Musar (a red wine obtained from Cinsault, Cabernet and Carignan grapes) have made a name for Lebanese wine throughout the world. Lastly the desserts. The end of the Lebanese meal deviates from the Arab tradition: «Our sweets are truly sweet», jokes Susy. In other words, Lebanese desserts are rich in butter and sugar, with a base of puff pastry or very thin phyllo dough. The Middle East influence instead can be in the ingredients, like dried fruit, spices, rose water and sugar syrup. «If main dishes are healthy and in a certain sense dietary, sweets on the other hand are fattening», adds Susy. Finally, a suggestion. An old rule suggests you should serve double the food you expect your guest can eat. So if you happen to be invited to eat in Beirut, remember to accept everything that is offered you: a refusal would be a serious offence to the host. n ENGLISH 35 eAthnic ENGLISH TEXT milk – evaporated milk is used frequently in those countries in which there’s a shortage of fresh milk, for example as a result of wars or natural disasters, as an emergency food and already in 1880, it was widely found in the backpacks of miners on the African continent who found themselves far away from home for weeks. It is normally used in cooking to make or to garnish sweets (like churros in Latin countries), to add to tea and coffee, to make cream and ice cream, and mixed with water to obtain a liquid milk. Compared to condensed milk, which is decidedly syrupy, evaporated milk has a more fluid consistency. Condensed milk is also used a lot to make desserts and thanks to its excellent nutritive properties, is one of the most consumed foods by Muslims after sunset during the Ramadan fasting period. In Ireland and Jamaica, but also in some African countries like Nigeria, Ghana and Cameroon, people like to quench their thirst with Guinness punch, a cocktail of Guinness beer, spices and condensed milk with the addition of cocoa that is used to contrast the slightly bitter taste of the beer. In India, lastly, there’s kulfi, the local ice cream without eggs with a base of condensed milk and cream. n P 36 onions, cherry tomatoes and shallots. It’s a dish that in Peru is enjoyed both by the rich and the poor and that can be found in the most important restaurants of Lima or on the tables of the houses of common people. n Yuzu The handy citrus fruit PAGE 20 t has the shape of a tangerine, the colour of a lemon – but it ranges from yellow to green depending on its stage of ripeness – and smells similar to grapefruit. But on the table you’ll never see it cut in slices because in the kitchen yuzu is used in (many) other ways. Its origins date back to the third century B.C. in Tibet and only afterwards was it introduced in Korea and especially in Japan, where today it grows on little thorny trees – that have the same name as the fruit – on the island of Shikoku, in the northern Pacific Ocean. In this limited area alone some 10,000 tonnes of yuzu are produced each year, or half the total production of the Japanese market. The main characteristic of the plant is its resistance to cold (it even grows in temperatures as low as -10 °C) and to major variations in temperature between day and night that, however, bring out the taste of the fruit. The yuzu plant, known by the name of Citrus junos, also has an ornamental function: it brightens up and decorates gardens and some varieties are cultivated solely for the flowers they produce. I deed, you can extract a very delicate juice out of it or it’s possibly to directly use the rind to season a wide variety of dishes, from vegetables to seafood dishes like sushi, shrimp salads or scallops. In Japanese cuisines it is used to give a special touch to sauces, such as in ponzu used as a condiment for sashimi, whose ingredients are mirin (a sweet sake), rich vinegar, flakes of katsuobushi (dried smoked salmon) and alga kombu with the final addition of yuzu juice. It’s frequently also used in the preparation of desserts, cakes and gelatins, while in Korea they make a jam out of it. By now yuzu has spread out across the borders of Japan; its bitter but fruity taste is appreciated throughout the world and even great chiefs jealously guard it in their cupboards. For example, the most famous pastry maker in France, Pierre Hermé, used it to enrich the taste of his specialities, starting with macaroons, the delicious coloured cookies that make such a pretty sight in his Paris “boutique” in Rue Bonaparte. In addition, yuzu spices up tea, is an original ingredient in the most exclusive cocktails and, even, in the Netherlands and Finland flavours some craft beers. Awash in yuzu As you already will have understood, it’s a citrus fruit of a thousand resources, from yuzu are extracted the essential oils used to make cleaning products for the body, skin creams, perfumes and candles for the house. In Japan it is also used Also discovered by great chefs for pleasing warm baths the Its natural environment, how- evening of the winter solstice: ever, remains the kitchen. In- the peel of the fruit immersed in boiling water lets off perfumed essences that have a relaxing effect. In addition yuzu is a citrus fruit that has double the vitamin C contents of an orange: making fresh-squeezed juice, however, can be quite complicated seeing that the fruit contains little juice and large seeds. Yuzu, however, has good medicinal qualities, it’s rich in anti-oxidants and is a great remedy for colds, flus and for healing chapped skin. In short, it is a universal citrus n fruit. Store - The interview A super ethnic... Veneto region PAGE 22 o satisfy the desire for ethnic food, it’s not always necessary to go to a specialized store. Indeed, by now even the small chains of largerscale retailers have diversified their offering, making available a good variety of these products. On the other hand, immigrants don’t want to do without these typical tastes of their tradition and an increasing number of Italians who return from a trip want to savour the foods enjoyed on the other side of the world, as Francesca Baggio, the chief executive of GB Ramonda, a small chain of supermarkets in the Vicenza area explains. T When was your company born and how did it develop over time? «The company was born in June 1971 in Alte di Montecchio Maggiore from a small 50 square-metre food store and then was enlarged in 1985 with the acquisition of a 400 square-metre supermarket in Brendola. In recent years other stores have been added: in Alte Ceccato, Trissino, Sovizzo and Rosà. The last one was opened in 2006 in the city, in Vicenza». When do you start to offer ethnic products and for what reason? And were they well received by your clients? «We’ve made them available in our stores almost from the beginning. At first to satisfy requests from a portion of our clients, who after a trip were asking us to introduce the products they tasted abroad so they could cook them for their friends, but also to offer something differ than the usual products. Obviously, then, a part of our clients are foreigners and they were asking us for products typical of their countries. Recently we have decided to increase our ethnic offering and our clients, both Italians and foreigners, are very happy about this decision». Roughly how many ethnic food products are offered in your stores? And which stores are the best stocked? «We have an assortment of about 250 products to choose from, covering appetizers to desserts. The best stocked stores are those in Alte Ceccato and Trissini, but we also plan to complete the product assortment in other structures». «In the last few years the way of cooking has changed, thanks also to television programmes like La prova del cuoco (the cook’s test) or Masterchef, in which chefs are always proposing something new to whet the curiosity and the palate of the public. The client doesn’t lose any time; she comes to us and asks for all the ingredients to prepare the recipes. We see, however, a new desire to experiment with dishes that are not part of our tradition». n Selli International Food Store Where to find what’s impossible to find PAGE 24 t’s the Rome store in which “exotic” desires can be satisfied. Even the most particular ones. Indeed, at Selli International Food Store you can find food products, spices, cereals and legumes from every part of the world, crammed almost to the ceiling on the spacious shelves that the siblings Bianca Maria and Mimmo Selli each day patiently fill to satisfy the requests of their clients in the Esquilino neighbourhood. Precisely the store in via dello Statuto, two steps away from the multi-ethnic Piazza Vittorio where, at the beginning of the ‘60s, from a stand in the open market run by mamma Annunziata and papa Angelo, the concept was born which today has become a reference point in the capital for ethnic food lovers. I Who are the biggest purchasers of ethnic products? «Everyone buys, even my children: they like to try new prod- Mr. Selli, when did the transiucts and taste flavours differ- tion from market to store take place? ent from the usual ones». «We opened here in 1994, but How much and how has the of- the origins of the store actually fering of ethnic food changed go back to the ‘60s when my parents “did the market” in the in recent years? nearby square. At the end of the ‘70s the first immigrants arrived from the Philippines and Morocco, who chose the market stands in piazza Vittorio to shop, perhaps because they were reminded of the open-air markets in their homeland. As is known, demand generates supply and my parents decided to focus on ethnic products, especially spices». Yours is a strategic position. From what countries do your clients come? «I must say that over the years our clientele has changed a lot. Initially we had a lot of Indians from the Punjab who worked in this area. Now they have moved north and been replaced by Colombians, Brazilians, Peruvians and also people from the Middle East, who represent a good share of our clients. But, in general, people from all nationalities come here seeing that in Rome there are all the consulates that employ numerous people from these countries». How many employees do you have? «There’s myself and my sister Bianca Maria plus two employees, one Indian and one from Sri Lanka and, despite the crisis that has hit small businesses, things are going very well…». …maybe because “at Selli’s you find what’s impossible to find”, as your clients write on reviews on internet. Nice praise for an ethnic store. How do you manage to be so “stocked”? «Competition is keen and our efforts are concentrated on distinguishing ourselves thanks to an offering of a wider variety of goods at affordable s Soy From China to the Andes PAGE 16 eruvian cuisine is always a new discovery: the authoritative British weekly The Economist elected it among the twelve most refined in the world. But its peculiarity is another: it’s known and appreciated for its complexity, contaminated by styles and influences from extremely different culinary cultures like pre-Columbian, Spanish, African, Italian, Japanese and, especially, Cantonese. Indeed, beginning in 1850, numerous Chinese immigrants came to Peru to take the place of black slaves that were being freed. Once they landed, they signed long contracts to serve local entrepreneurs. Those who succeeded in escaping from these conditions of semi-slavery fled towards the big cities and opened little restaurants called chifas (a name that is said to come from the Mandarin chi fan, or “to eat”): not by chance, then, the cuisine born form the meeting of the Chinese tradition with the Peruvian one is called chifa. One of the dishes that perfectly represents this union between China and Peru is arroz chaufa (fried rice, which not by chance in modern Mandarin is called chao fan) in its numerous versions in chicken, veal, pork or fish, rigorously marinated once it is well cooked, with soy sauce, an ingredient of Chinese origin present in many dishes of chifa cuisine For example, pollo a la brasa, roasted marinated chicken with the addition of a spoonful of sauce. But the traditional dish of the capital that has spread throughout Peru is lomo saltado, prepared for the first time about a hundred years ago in one of these restaurants opened by immigrants of Cantonese origin: it is prepared with tenderloin cubes marinated in soy sauce and pepper, with the aroma of pisco (a wine must distillate similar to brandy) with crisp ENGLISH 37 eAthnic ENGLISH TEXT prices. My commitment and that of my staff in the research of products is constant and daily, even for the most particular items». While we’re on the subject, what is the thing that is “impossible to find” that you can find at Selli? «People come from outside of Rome for our spices: for example, dill and fenugreek come to mind. We also have some cosmetics from India that are practically impossible to find elsewhere: some young Italian women, who are now are clients, had them shipped in from London, ordering them on-line; now they purchase them in the neighbourhood, saving lots of money». Italians, in fact, do shop in your store? And what do they most value? «Certainly, they are also our clients. Japanese cuisine is that which is most in demand at the moment and the corner dedicated to organic foods is much appreciated by Romans». n V 38 about it? «They like the formula. Obviously not everything because there are always traditionalists who want their classic dish. But it’s a question of habits: I believe that people must be educated to eat in a different way. That’s what happened with the “old” clients of Shiki, who in the beginning had some difficulty adapting to such a radical change; there are those who did it and others who didn’t. But we also had a lot of new clients». Shiki offers fusion cuisine: why? «I began my career with Italian seafood cuisine; over time, however, I opened up to new tastes from around the world. I like to associate them, to mix them: so from this was born my passion for fusion. I tried to put together capers with ginger or The name of the restaurant, basil with algae to understand Shiki, is accompanied by the what could be created. Some things didn’t work, but many words “easy food”. Why? «Because at Shiki we only pre- others did». pare fast and simple recipes. Our philosophy doesn’t in- What are the pilasters of your clude the concept of appetizer, cooking? first and second courses. So it’s «As a basic seasoning we use an easy menu: modern, up with an emulsion of soy and exthe times, fast and tasty. You tra-virgin olive oil: it’s tasty, can eat one or two dishes and delicate and brings down the then leave, or rather stop to calories. Then olives, basil and, with the summer, tomatoes as taste seven or eight …». far as the Mediterranean part A rather particular choice: is concerned, while soy sauce where did the idea come from? is essential for the Asian part. «It’s comes from very close. And then many other ingrediFrom me. I’ll explain myself ents that are discovered each better: when I go out to din- time». ner, I like to taste practically everything. A little bit because What must the client who I like to eat, a little bit for edu- wants to eat at Shiki be atcational reasons. And so I mod- tracted by? «From the curious and interelled my cuisine». esting combinations the menu And what do clients think proposes. By now Milan is a multi-ethnic city, inhabited by people who are open to the new, people who travel a lot and, once they’ve returned to their base want to be able to try certain tastes near their home. It’s an interesting and economic formula: each dish costs 7.50 euros». What’s the most requested? «Certainly the TTA, or rather tuna tartar Alex. One of my specialties that I have offered for a long time, composed of a base of warm basmati rice with a puree of avocado and tuna». And what best represents your restaurant? «The rolls, which represent the continuity with what Shiki was until a few months ago». n Restaurant - Interview with Matias Perdomo A “revolutionary” in the kitchen PAGE 28 e was born in Argentina, lived in Brazil and maintains that his real homeland is Uruguay. Matias Perdomo, chef of the Milanese restaurant Al Pont de Ferr, symbolically represents all of South America, a land that was the birthplace of many great revolutionaries. And he is in his own way as well, seeing that he took only a month to revolutionise the cuisine of a historic Milan restaurant located on the canals. Indeed, six years ago, before he became the lead chef, here in the restaurant that is still managed by Maida Mercuri, you could mainly eat traditional Italian dishes of excellent quality. Today instead the menu is more varied and colourful and the quality has remained excellent, as the Michelin star H earned in 2012 attests. The good. Aesthetics comes into South American touch can be play when a dish has reached the maximum level of taste seen, therefore. And tasted. and, at that point, you can Matias, what part of yourself concentrate on how to best have you put in the Milanese present it». restaurant Al Pont de Ferr? «Initially I had promised myself How much do you value ethnic to change things a little bit at a cuisine? time. But it didn’t end up like «I’m open to everything, in that: my cooking is different, life as at the table. My hismore modern: the change was tory shows this; I come from a therefore sudden and people multi-ethnic culture and, as a didn’t react positively at first. result, my cooking is without But we resisted, I was given borders. I don’t believe in only carte blanche and now our of- local foods, this was the way fering is a success». things were done a hundred years ago. I don’t close the door What were the first new items to that which arrives from the placed in a traditional menu? other part of the world, as long «Above all, onion. Then blown is it is of excellent quality». sugar which I learned to prepare on my own with inspira- In Uruguay you had experienction from a recipe from the es in radio and TV: what do you Roca brothers, whom I met in remember of that? a restaurant in Girona, in Cata- «I was 20 years old, people in lonia, in which I also did an ap- the street recognized me, but prenticeship. I was the first to I didn’t like this. I was losing bring to Italy the Iberian pork my perspective, I didn’t want pluma, a particular cut of pork to be a celebrity and I was (the front part of the loin, near young with still a lot to learn. the neck) that is called this It was one of the motivations way because it’s shaped like a for leaving my country and feather. Now it is a classic of coming here. I had created an image that wasn’t authenour restaurant». tic, it wasn’t what I wanted. I You maintain that your crea- wanted to be a chef, to cook, n tions also have a playful aspect: to shape an idea …». in what sense? «Cooking is a reflection of your PAGE 29 state of mind. It’s a philosophy The globetrotter chef of life: I’m not one who feels He was born 33 years ago in sorry for himself. As a result, I Argentina in Buenos Aires. am also like that in the kitchen, But he’s Uruguayan from the where I enjoy myself and want capital of Montevideo where clients to enjoy themselves». he instead arrived at the age of six. Matias Perdomo, the lead Aesthetics and taste, in what chef of the Milanese osteria percentage should you find (it’s also specified on the official web site) Al pont de ferr them in a dish? «Taste comes above all. If a – rewarded with a Michelin dish is beautiful and colourful star in the 2012 guide – is a but the taste is bad, that’s no “globetrotter”. In addition to Argentina and Uruguay, he’s also lived in Brazil, Denmark and at the age of 21, in 2001, he moved to Italy where he still works in the historic restaurant on the Naviglio Grande canal. For six years he’s been the star of the kitchen that he “upset” by introducing new dishes and tastes. He started out young with a private class, already at 14 he aimed at becoming the lead chef at the first five star hotels in Montevideo. At twenty he managed three restaurants and participated in television and radio transmissions. Then the call of our country, and further professional growth until becoming one of the most creative chefs n on the market. Japanese knives Instruments of the trade PAGE 30 here’s no Japanese cooking without quality knives. High-precision instruments, they’re the real allies for every recipe. «A dish ruined by a faulty cut can even change taste», notes Uniontrade consultant Yuki Konsho. «Cutting fish, in particular, is very difficult: it requires professional knives and skill that is acquired over the years. In Japan they say it takes ten years to become a chef », he adds. A characteristic of most knives is that there is a blade only on one side; indeed, the other is normally flat. An exception is angled knives, for the preparation of vegetables a cut is made by exercising pressure. There are five blades that are used most: Santoku (“three merits”, in Italian), universal and suitable for cutting all ingredients and in particular meat. Nakiri and Usuba are instead T used for cutting vegetables, but only the first is sharpened on both sides. Deba is instead a heavy knife, sharpened only on one side, used to cut fish bones and other bones and also to fillet small fish. Lastly, the Yanagiba, the traditional knife for sushi and sashimi. Thanks to its long and narrow blade it is suitable for making fine, long and extended cuts. The material of which knives are made is steel, which ensures perfect cuts over time. However, durability also depends on maintenance: «In Japan chefs use two or three different types of sharpeners for every knife», notes Yuki. Made with local clay and silicabased stone, they are treated with water or oil just before sharpening. n Recipes PAGE 31 Asparagus Shiki roll Ingredients for 4 people 130 g rice for sushi seasoned with vinegar and sugar 4 leaves Nori algae 10 stalks of green asparagus 1/2 avocado 200 g bream 1 bunch of basil 20 Taggiasche olives 30 g pine nuts teriyaki sauce, extra-virgin olive oil and soy sauce to taste Preparation Clean the bream, cutting the filet into thin slices. For the basil cream: blend the basil leaves with a drop of extra-virgin olive oil and pine nuts with a pinch of salt. For olive pesto: blend the olives. Cut the asparagus stalks into thin slices and parboil s Restaurant - Shiki The importance of being fusion PAGE 26 ia Solferino 35, practically facing the headquarters of the Corriere della Sera newspaper. An area of Milan that is always alive, day and night. Here you find Shiki, which since this year has had a new management and offers an updated menu: no longer simply Japanese, but fusion cuisine, where the ingredients and typical tastes of the Asian tradition meet and mix with those of the Mediterranean, in a pleasing and elegant environment, with music in the background and comfortable couches to sit and enjoy lunch, happy hour, dinner or Sunday brunch in an even more relaxed manner. The strong point are the many small dishes: there are 45, all rigorously fusion (like tiramisu: two layers of whipped cream and cream, cookies soaked in coffee and sesame seeds instead of chocolate) that make up a menu that is varied, colourful and never the same, composed personally by the chef Alex who manages the restaurant and the kitchen. Self-taught, raised in a family of cooks and restaurant owners on the shores of Lake Maggiore, Alex likes to invent and experiment. Not only in the kitchen, but also in the choice of wines, to try, according him, is a fragrant rosé from Provence that goes well with his dishes. ENGLISH 39 eAthnic ENGLISH TEXT them for 5 minutes in lightly salted boiling water. Place the Nori algae on a bamboo mat covered with cellophane. Cover the algae completely with rice. Place pieces of thinly cut avocado and asparagus in a way that the tips don’t protrude from the algae and helping yourself with the bamboo mat, roll up the maki. Cut the bream into thin slices and place them on top of the maki, making them stick and pressing down again with the mat to compact everything. Divide the rolls obtained in eight parts and on each roll place a drop of basil cream and a drop of olive pesto. Season everything with an emulsion of soy sauce and extra-virgin olive oil. Serve accompanied with n teriyaki sauce. Hummus by Suzy Kmeid Ingredients for 4 people 300 gr dried chickpeas 2 cloves garlic juice of 2 lemons extra-virgin olive oil as needed salt to taste 2 tablespoons tahini cumin as needed 2 tablespoons of hot water To garnish red chili powder as needed chopped parsley as needed Preparation Soak chickpeas for 24 hours, drain and rinse well. Cook in a pressure cooker with abundant water for 20 minutes or in a normal pan for two hours, or until they become tender. Drain. In a non-stick pan pour three tablespoons of olive oil, two doves of garlic and the powdered spices. Toast for a few minutes at medium heat. 40 Add the drained chickpeas and cook for another 2 or 3 minutes. In the meantime, squeeze the lemon. Put the chickpeas in a blender, add the tahini and lemon juice, blend until you obtain a homogeneous and smooth cream. Add a bit of extra-virgin olive oil or hot water to attain the desired consistency, mixing with a spoon. Serve in a bowl after having covered the surface with chopped parsley or chili powder. n News Health Ethnic food beneficial against tumours PAGE 32 utritionists are opening open to ethnic food. In the food tables and guidelines of Airc, the Italian cancer research association founded by the oncologist Umberto Veronesi, alongside the always prized dishes of Mediterranean cuisines can now be found Chinese, Japanese, African and Indian dishes. Today, for example, one of the rules suggested by Airc is that of reducing salt, perhaps by compensating it with spices dear to the cuisine of the Maghreb region or the Middle East. Indeed, the fight against tumours is fought also with exotic foods. For example, Japanese-style fish, raw and marinated in soy sauce, rice noodles and spicy meats from India are all much appreciated by Airc researchers. The same is true for another ingredient known for its beneficial properties: turmeric. A spice similar to saffron, it is rich in curcumin, which is useful in fighting diseases tied to the ageing of the brain. «On the island of Okinawa, where it is N ENGLISH consumed daily – explains Veronesi – there’s a presence of centenarians that exceeds that of other countries in the world by 10%». n Trends Ethnic food pleases, as long as flavours are “decisive” PAGE 32 thnic gives way to global, the evolution of fusion. In other words, the world’s citizens in the second decade of the twenty-first century increasingly like hybrid dishes, the fruit of contamination. As long as the tastes are strong and especially new. So says the Institute of food technology in Chicago, a non-profit scientific organization with 18,000 members in more than 100 countries. Indeed, research just published by the organization illustrates the new trends in the food sector. The first data: the cuisine that is favoured today is made of strong flavours, from spicy to smoked, from salty to marinated without forgetting a taste for bitter. According to the Ift, the choice of foods in this category has almost doubled in the last three years. Some other interesting data involves the hobby of cooking: during this first part of 2013 seven out of ten people cooked at home more than they did in the year earlier. The increasing availability of original ingredients, often ethnic, has placed a decisive role in n this trend. E Trade fairs Ethnic food on exhibit PAGE 32 ocal and global. The dynamics of the globalized world are mirrored in ethnic food and in some events in L which it plays a protagonist role. Last March at the Spazio Carroponte in Sesto San Giovanni (Milan) held its first global food festival. Far da mangiare (Make something to eat), this is the name of the event, which from March 8 to 10 presented sensorial workshops, stands and markets, tastings, exhibits, brunches, theme dinners and recipes from around the world. An initiative in favour of integration between local and international. But there’s not only that; by now ethnic food also merits global fairs: indeed, the International Food Expo, a global exhibition in which the world’s foods demonstrate their enormous market potential, will be held at the end of June in New Jersey (USA). «The dividing line between western and ethnic food is blurring», Bharat Joshi, who is coordinating the organisation of the exhibit, explained to the press. Among countries featuring this year are China, Japan, Korea, the Philippines, Singapore, Thailand, Sri Lanka, Bangladesh, Pakistan and India but also numerous African and Latin American countries. n Kikkoman Con il 43% di sale in meno Il buon cibo, ancora più buono. Prova l'esperienza di sapore e aroma della nuova salsa di soia naturale Kikkoman, oggi con il 43% di sale in meno. Sempre senza coloranti o aromi artificiali. Light o dark, la salsa di soia Kikkoman è perfetta in ogni occasione. Kikko EATHNIC Mag #4 IT.indd 1 5/11/12 11:32 AM