le ombre 6 - Ortica Editrice

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le ombre 6 - Ortica Editrice
le ombre
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Titolo originale Boken om lille-bror
Traduzione di Laura Colombo
L’editore dichiara la propria disponibilità all’assolvimento dei suoi obblighi in favore degli eventuali aventi diritto
Prima edizione giugno 2013
Ortica editrice soc. coop., Aprilia
www.orticaeditrice.it
ISBN 978-88-97011-36-1
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Gustaf af Geijerstam
IL LIBRO
del
PICCOLO SVEN
Ortica editrice
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Il libro del piccolo Sven
C’era una volta uno scrittore che viveva felice con sua moglie e tre bambini. La sua felicità
era così profonda che non riusciva a misurarla,
eppure quest’uomo così felice scrisse molti libri che trattavano soltanto di tristezza e di dolori
umani.
Ciò che rendeva quell’uomo tanto felice non
era l’amore, né la meravigliosa giovinezza del
cuore, che lui e sua moglie avevano saputo conservare intatta, nonostante i lunghi anni di vita
comune, e neppure le gioie della paternità, che
egli si godeva ingenuamente, come fosse naturalissimo che i genitori avessero solo delle gioie
dai propri figli. La sua felicità consisteva soprattutto nel non aver incontrato nella sua via nessuna prova, nessuna difficoltà che non si fosse
sentito la forza di vincere con la salute e con
l’energia. Ogni volta che una nube oscura e minacciosa era apparsa sul suo orizzonte, non aveva tardato a scomparire, lasciando il cielo più puro e sereno di prima. Almeno egli credeva così, e
viveva nella realtà di questa fede. I crucci non gli
erano mancati. Aveva dovuto sostenere una lotta
ininterrotta contro la povertà, ma era riuscito ad
allontanarla da casa sua. Il solo nemico contro
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il quale non avesse ancora misurato le proprie
forze era la Morte, e la sua felicità era così grande
appunto perché non aveva mai avuto seri timori
che la morte potesse colpire lui ed i suoi cari.
Durante questo periodo di attività gioconda
e di pienezza di vita, quello scrittore compose
un libro pieno di sole, in cui parlava dei suoi due
figli, dei loro divertimenti, delle loro piccole avventure infantili.
Egli scrisse il suo libro in piena gioia, come
giocando, e quando il mio pensiero corre a quel
tempo, non riesco a persuadermi come l’uomo
di cui parlo ed io abbiamo formato una volta la
stessa persona.
Quando il libro fu stampato e uscito, pronto
a spiccare il volo attraverso il vasto mondo, l’autore ne portò tre copie a casa, dove si attendeva
impazientemente la nuova opera. Sopra una di
esse egli scrisse il nome di Olof, su un’altra quello di Svante, e consegnò solennemente a ciascuno dei suoi figli, che aveva immortalati, l’esemplare che gli era destinato.
Si pretende che Olof, natura pratica, poco
portata alle lettere, abbia preso, in quell’occasione, per la prima volta in vita sua, senza esservi
obbligato, un libro tra le mani. Si mise a sfogliare
l’opera di papà, credo che ne abbia letto tre capitoli interi. Svante invece lo divorò subito dalla
prima linea all’ultima. Poi scelse alcuni capitoli che lo avevano specialmente commosso e li
lesse a tutti quelli che accondiscesero ad ascol6
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tarlo.Certo, una grande gioia riempiva la nostra
piccola casa.
In quel tempo trotterellava ancora in mezzo
a noi un minuscolo ometto di due anni, che si
chiamava Sven. Sven era il fratellino di Olof e di
Svante; un bambino con dei lunghi capelli biondi
inanellati, e i più grandi occhi azzurri che bimbo
abbia mai avuto. Non sapeva ancora esprimersi
bene, ma capiva tutto!
Svante lesse anche a lui il libro di Papà, e
Mamma gli chiese:
— Di chi si parla in quel libro?
Siccome Sven non sapeva che rispondere,
Mamma proseguì:
— Sai che vi si parla dei tuoi fratelli? Forse
«Ninin» non capisce questo?
Noi lo chiamavamo di solito con questo nome, che si era dato da sé, perché non sapeva pronunziare le s.
— Ma i fratelli non si chiamano come è detto
nel libro! — obiettò Ninin.
Come sei sciocco! — rispose Olof — Sono
nomi immaginari che Papà ci ha dato.
Allora Sven comprese, e con gli occhi scintillanti di curiosità e di impazienza domandò:
— Ma non si parla di Ninin in quel libro?
Papà entrava in quel punto. Sollevò il piccino
fino al soffitto, poi lo depose di nuovo a terra e
disse:
— Che vuoi si racconti di un omettino non più
alto dei miei stivali, che non ha ancora fatto nulla?
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Ma Sven non si diede per vinto; con tutta l’abilità di cui era capace, volse i suoi grandi occhi azzurri, distribuì tutt’in giro dei baci, con la sua boccuccia rosea, mise tutto in opera per giungere al
suo scopo: voleva avere un libro come gli altri!
— Ma Ninin non sa neppure leggere!
Questo argomento non sconcertò affatto il
bambino, che si mise a correre da una stanza
all’altra, tutto rosso e affannato, talmente la cosa
gli stava a cuore. Olof aveva avuto un libro, Svante aveva avuto un libro: perché non dovrebbe
averne uno anche lui, Sven? Bisognò accontentarlo. Poiché l’autore ne aveva portati solo tre,
Mamma cedette il suo, e dopo aver cancellato
con cura il nome di lei, Papà scrisse solennemente, sulla prima pagina, la seguente dedica:
Al piccolo Ninin
Da parte di Papà
Allora soltanto Ninin fu soddisfatto. Cioè,
sembrò che lo fosse, poiché non oppose altre
obiezioni. Girava dappertutto col suo libro in
mano, lo leggeva in tutti i sensi e a voce così alta,
che lo si sentiva per tutta la casa.
Alla fine, si sedette un momento in disparte
e si mise a riflettere. Poi si alzò di colpo, corse
difilato allo studio di Papà, che stava fumando la
pipa. Si fece così piccolo, che giunse a ficcarsi
tra lo scrittoio e la sedia di Papà, e quando fu a
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posto, alzò il viso e guardò fissamente suo padre
per attirarne l’attenzione.
— Che c’è, Sven? — domandò Papà, che non
voleva essere disturbato.
Sven non si chetò finché la sedia del babbo
non fu allontanata, perché lui potesse avvicinarglisi ancor più.
Si ficcò tra le ginocchia di Papà, immerse gli
occhi nei suoi e disse, con voce dolce, ma risoluta:
— Papà scrivere un libro per Ninin solo!
— Che dici? — domandò Papà.
— Papà scrivere un libro per Ninin solo, — ripetè il piccino, alzando questa volta la voce.
Allora Papà capì.
Il piccino si era sentito un po’ offeso per non
essere stato nominato nel libro: per minuscolo
che fosse, aveva il senso della giustizia; pretendeva aver su Papà gli stessi diritti dei suoi fratelli,
e trovava che il suo posto era là dov’erano Papà,
Mamma e i due maggiori. Guardò Papà con i suoi
grandi occhi interrogatori, mentre tutto il suo
esserino vibrava e fremeva. Papà, dal canto suo,
prese la cosa molto sul serio e rispose:
— Ti prometto di scrivere un giorno un libro
anche su di te.
— Su Ninin solo! — rispose il bimbo, facendo
chiaramente comprendere che quello era l’essenziale per lui.
— Su Ninin solo, te lo prometto! — rispose
Papà gravemente.
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Il fanciullo allora se ne andò e corse ad annunziare la notizia per tutta la casa e perfino in cucina. Aveva ricevuto soddisfazione e il suo onore
era salvo. Non finiva poi di rammentare di tanto
in tanto a Papà la sua promessa. Ma uno scrittore
ha tante cose che lo occupano! Non gli è sempre
facile trovare il tempo di scrivere su un bambino
dai riccioli d’oro, il quale non ha fatto altro che
venire al mondo e ripartirne, dopo esser stato
per tutti una sorgente di gioia e di felicità. Nella
Poesia, come nella Vita, i piccoli devono sempre
aspettare, perché i grandi non vogliono occuparsi di loro fin quando non sia venuta la loro volta.
Per questo il fratellino ha dovuto attendere fino
ad oggi il suo libro. Ora io stesso sono un altro
uomo e tutto è cambiato intorno a me. Certo, il
piccino non sapeva quel che mi chiedesse, come
io non sapevo a che cosa m’impegnassi!
Ma sento una voce che mi obbliga a mantenere la mia promessa!
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Parte Prima
I
Questo libro è per intero un libro della Morte, e tuttavia mi pare che la gioia vi abbia una
parte più larga che non il dolore. Poiché il dolore non sta nel perdere ciò che ci è caro, ma
nel macchiarlo o nell’avvilirlo. Vi è un mistero
che per molti anni non seppi comprendere, cioè
che l’amore non è mai statico: con gli anni deve
aumentare o diminuire. Ed esso ci fa soffrire non
solo nei casi in cui declina o deperisce: le ferite
più cocenti son quelle con cui Eros trionfante ci
strazia il cuore!
Ma voglio cominciare dal principio, e raccontare gli avvenimenti, di cui si compone questo
libro, come si racconta un sogno. E per quanto
strano possa sembrare al lettore, tutto l’insieme
del mio racconto è per l’appunto il libro che il
piccolo Sven mi chiese di scrivere per lui. È un
sogno che io abbia amato, che mi sia sposato e
che abbia avuto dei figli? È un sogno che io abbia
conosciuto le più alte gioie e le sofferenze più
atroci? Oppure ho realmente raggiunto le vette
della felicità e del dolore umano, talmente eccelse l’una e l’altra che ne rimase abolito in me
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perfino il ricordo di tutto ciò che mi avvenne in
tutti questi anni?
Gli avvenimenti che compongono la trama
della mia vita mi appaiono, in questo momento,
come qualche cosa di assai lontano e misterioso,
che riempie la mia anima di una commozione
religiosa, di cui nessuna lingua, nessuna musica
umana potrebbe esprimere la profondità. Spero
che quando avrò terminato questo libro, che mi
preme tanto di scrivere, il mio racconto stesso
mi aiuterà a trovar la soluzione dell’enigma che
in questo momento mi assale e mi tormenta, e a
comprendere la parte che nella mia vita ebbe il
sogno e quella che ebbe la realtà.
Poiché io non soffro soltanto per le ferite del
mio cuore, ma soffro anche per non veder chiaro
nella mia esistenza, che persiste a rimaner per
me un enigma indecifrabile. Mi ricordo, in questo momento, di una sera in cui entrai nella camera di mia moglie e la trovai perduta nei suoi
pensieri, davanti ad un libro aperto sulla tavola.
Ella non leggeva più, ma nella sua fisionomia scoprii una espressione di collera e di rivolta.
Mi chinai al disopra della sua spalla e vidi che
leggeva la Bibbia. Il libro era aperto alla Genesi:
le chiesi che cosa avesse letto, ed ella si contentò
d’indicarmi qualche riga, che mi par di vedere
ancora oggi, in fondo ad una pagina. Presi il volume e lessi le parole seguenti:
«Maledetta sia la terra per causa tua... Tu concepirai d’ora innanzi nel dolore!»
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— Non è atroce? — disse. — Io non ricordo
di aver concepito nel dolore: non ci ho mai pensato!
Si alzò, si diresse verso un letto, posto dietro
i nostri due, e si chinò su una testina di bimbo
dalle guance rosee e paffute, che dormiva, e nel
sonno muoveva le labbra, come se succhiasse il
seno di sua madre.
— T’ho forse concepito nel dolore? — disse,
come se parlasse a se stessa. — No, nella gioia
t’ho concepito, nell’allegrezza e nella gioia; una
gioia tale, che solo ora ne comprendo tutta l’immensità!
Ella mi attirò sul sofà, appoggiò la testa alla
mia spalla e si rannicchiò nelle mie braccia, come se avesse voluto cercarvi un rifugio contro
tutte le prove e i dolori della vita.
Senza cambiar posizione, stese la mano e
chiuse il libro.
— È un libro assurdo, — disse — non mi è
mai piaciuto.
— Esageri — risposi sorridendo.
— L’ hai detto tu stesso — replicò raddrizzandosi a mezzo.
— Io? Non ho mai detto questo!
— Allora hai detto qualche cos’altro.
E riprese la sua posizione anteriore.
— Non mi ricordo, — continuò. — So una
cosa sola, che voglio pensare come te, credere
come te! Poiché non esiste nessuno sulla terra
come te.
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L’uomo non può rispondere a simili parole.
Non è il caso di contraddire, poiché chi le pronuncia non lo fa per adularci. Si ricevono come
una carezza. Si sente ciò che prova la moglie
quando il marito la contempla e le dice: «All’infuori di te, per me non esiste nessuna donna.»
Dopo un silenzio di qualche secondo, mia
moglie continuò:
— Non ti ho certo ringraziato ancora per
avermi appreso a credere come tu credi, ma sono infinitamente contenta che tu l’abbia fatto.Tu
non potrai mai sentir questo come lo sento io,
mai! Ogni giorno che passa mi arricchisce. Ogni
ora della vita mi par piena della mia felicità. Non
posso concepire ora come mai, una volta, quando ero più giovane, abbia potuto desiderare di
morir per andare in Cielo. Ciò che credessi e sperassi, desiderando così la morte, non saprei dirlo.
L’ho dimenticato, come se non l’avessi pensato
mai. La sola cosa che una volta mi sembrasse penosa era il pensiero che non avrei riveduto mio
padre, che avevo perduto. Ma ora mi par di non
aver altro desiderio che di poter vivere con te ed
i piccini. Non desidero altro se non la vita che ci
è stata concessa di vivere, a te ed a me. Voglio vivere con te finché i ragazzi siano grandi e volino
con le loro ali. Allora invecchieremo insieme, tu
ed io: non so figurarmi altro.
— Non credi alla possibilità di un’altra vita?
— le chiesi.
Ella scosse il capo energicamente.
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— No! — esclamò. — Non voglio nulla più di
ciò che ho. Voglio, un giorno, riposare sotto un
poggio ricoperto di fiori... Ecco tutto quanto desidero, ed ecco ciò che domando ogni sera a Dio.
Ella recitava ogni sera la sua preghiera e non
credeva alla vita futura. Lo sapevo, e sentii nuovamente tutto ciò che v’era di strano e d’enigmatico nella sua personalità. Ma per lei quest’enigma
non esisteva. Le accarezzai la spalla per mostrarle che avevo sentito e compreso. Allora, senza
transizione, bruscamente, mi domandò, e la sua
voce tremava leggermente:
— Tu non credi a qualche altra cosa?
— Io non posso dire che credo o non credo,— risposi.
Ella ripetè parecchie volte le mie parole con
voce spenta; quantunque le avesse già intese altra volta, le ridisse, come se esprimessero qualcosa di assolutamente incomprensibile; poi esclamò di colpo:
— Allora, hai cambiato idea?
— Non mi pare.
— Sì, hai cambiato. Come avrei potuto giunger da sola a credere che la vita finisca con la
morte? Me l’hai insegnato tu. Perché ti rifiuti ora
di credere come me?
Queste parole rievocarono in me un ricordo
ormai lontano. Ci vidi camminare insieme per
un stretto sentiero, sotto le canne argentee degli
«Schären». Al disopra di noi brillavano le stelle, e
ai nostri piedi, nell’erba, vacillavano pallide luci,
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provenienti dalla lampada che ardeva nella casetta in cui eravamo venuti a passare le nostre
prime vacanze estive. Credetti di sentire ancora
le parole che mormoravamo a bassa voce, nel
silenzio della notte: parlavamo della vita e della
morte, di Dio e dei nostri futuri destini. Sposati
da poco, la nostra tenerezza infondeva nelle nostre parole un senso di gravità e di ardore appassionato. Ricordo che ella mi interrogava, e che io
rispondevo alle sue domande. Ad un tratto ella
tacque, tutta rattristata perciò che le dicevo; e
nel momento in cui questo ricordo attraversò
la mia mente con una nitidezza straordinaria, mi
parve che la mia risposta avesse dovuto, in passato, affliggerla assai più ch’io non avessi voluto,
e provai rimorso di averle causato, quantunque
involontariamente, un dolore profondo.
M’interruppe e mi disse:
— Io non arrivo a comprendere come si possa credere e non credere. Per conto mio, devo
fare una cosa o l’altra.
Pronunciò queste parole con un tono tale,
ch’io vi sentii come la preghiera di non contraddirla; perciò non insistetti; mi contentai di
revocare i ricordi di quella notte luminosa, in
quell’isola piena di sole, che albergò la nostra
felicità giovanile, e con mio grande stupore, credetti di scorgere ancora le stelle che scintillavano attraverso le foglie dei canneti.
Mia moglie s’era alzata durante la nostra conversazione e si era avvicinata al lettino, poiché
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aveva notato che il bimbo si muoveva. Lo sollevò, lo prese fra le braccia con quel gesto sicuro e
protettore che è solo delle madri, e se lo mise al
seno. Il suo viso divenne raggiante quando vide
e sentì che la sua creatura succhiava il suo latte,
con la serenità indescrivibile che è privilegio dei
bambini.
I problemi che avevamo discussi insieme e
lo spettacolo che avevo in questo momento sotto gli occhi, si fusero e si identificarono nel mio
spirito e le parole della Bibbia, ch’erano state il
punto di partenza della nostra breve discussione,
mi tornarono in mente. Restai lì a lungo, riflettendo su ciò che volevo dire, pensando alle parole implacabili della Scrittura: «Maledetta sia la
terra per causa tua!», e a quest’apostrofe alla povera terra: «Tu porterai spine e rose!» Una commozione profonda m’inondava l’anima, mentre
contemplavo mia moglie col mio piccino; una
commozione tale che temevo, parlando, di tradirla con le lacrime; nello stesso tempo feci un
violento sforzo su me stesso per non tradurre in
parole ciò che avveniva in me, per paura che mia
moglie mi trovasse enfatico.
Infine presi la Bibbia e la misi da parte.
— Hai ragione tu, e il libro ha torto!
In luogo di questa maledizione dovrebbe esservi scritto: «Benedetta sia la terra per causa tua.
Essa feconderà uva e rose!»
E dopo aver pronunciato queste parole, piegai il ginocchio e appoggiai la testa contro mia
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moglie e il bimbo uniti. Con la mano che le rimaneva libera, ella mi carezzò i capelli.
Ahimè! Eravamo giovani allora, giovani e felici.
II
Non ho detto, sin qui, il nome di mia moglie
e mi è ancor penoso il dirlo.A bassa voce la chiamo a volte Nicoletta, perché questo nome è il solo con cui la possa vedere, così come è venuta e
se ne è andata. So forse io, del resto, se è proprio
lei ch’io dipingo qui, oppure il ricordo ch’ella mi
ha lasciato?
Un uomo è ciò che sembra a coloro che non
l’hanno veduto come un solo essere ha forse potuto vederlo? Non è piuttosto, in fondo a se stesso, precisamente ciò che ne resta dopo che gli
elementi esteriori e casuali sono stati spogliati
e sono svaniti? Non è possibile che ciò che si
chiama idealizzazione non sia invece la rassomiglianza più intima, quella che diverrà un giorno,
in un mondo inaccessibile all’occhio dell’uomo,
il nostro vero io, che tutti riconosceranno allora?
Mia moglie era di statura al disotto della media e un po’ delicata. La vidi per la prima volta in
strada, alla luce di una lampada a gas. Un amico
ci presentò l’uno all’altra, e basta. Non conservai di lei che il ricordo di due occhi straordinari
per grandezza e profondità; all’infuori di questo,
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di lei ricordavo solo un colletto di pelliccia nera, un paio di guanti pure neri e lunghissimi e la
stretta di una mano che dava il profondo senso
di qualcosa di franco, di vivo e di vero. Il resto
della sua fisionomia m’aveva così poco colpito
che, qualche giorno dopo le passai accanto senza riconoscerla. Pure i suoi occhi non mi avevan
dato pace; la mia immaginazione li evocava senza
posa e li vedeva nello stesso tempo raggianti e
velati di tristezza, pieni della gioia di vivere e con
un’espressione grave e raccolta. Se mai due occhi
riflessero un’anima, quegli occhi furono i suoi.
Quando getto uno sguardo indietro sui vari
avvenimenti che formano la trama della mia esistenza agitata, mi rendo conto che nessuno come lei mi ha insegnato a conservare il sentimento religioso; pure non credo di averle mai sentito
pronunciare la parola religione, e se si fosse confuso in sua presenza Abramo con l’apostolo San
Paolo, ella non se ne sarebbe neppure accorta.
Ma tutto ciò ch’ella abbracciava con la mente o
col cuore prendeva subito ai suoi occhi un carattere sacro. Il suo essere era tutto tenerezza,
la vita che voleva vivere era una festa, ed aveva
un’idea così alta del dolore e della santità della
vita, che non poteva sopportare, in quella festa,
la minima stonatura.Tutto ciò che in lei era forte
e vivo era nello stesso tempo delicato e timido.
Il fondo della sua natura era un bisogno di amare
e di adorare senza limite, incompatibile con la
realtà, al disopra della quale ella pareva librarsi.
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Eravamo già sposati da parecchi anni, quando
un giorno mi disse, ex abrupto, senza preparazione, senza nessun motivo apparente, poiché
così esprimeva sempre le sue impressioni e i
suoi sentimenti più profondi:
— Non lasciarmi mai sentire che il tempo o
l’abitudine hanno affievolito la tenerezza che ci
unisce. Il giorno in cui me ne accorgessi, non potrei più vivere.
Quante donne hanno detto la stessa cosa, e
nondimeno hanno continuato a vivere e hanno
più tardi sorriso delle loro stesse parole. Intesi un
giorno una delle nostre amiche dire a suo marito:
— Non credi che esista qualche rara moglie,
la quale senta realmente ciò che tutte dicono ad
alta voce?
Ricordo che le parole di Elsa mi fecero tornare a mente questa domanda, ed ero così profondamente convinto della sua assoluta sincerità,
che per tutta risposta mi contentai di stringerle
forte la mano.
Compresi che ciò che aveva detto non era
una parola banale, sfuggita in un accento di
superficiale sentimentalismo, ma rispecchiava
tutta l’anima sua. Nello stesso tempo indovinai
ch’ella attendeva da me una parola che le facesse conoscere il mio modo di sentire, e per questo le risposi:
— Non credi che si possa invecchiare insieme, senza che la tenerezza non perda nulla in
profondità, in dolcezza, in santità?
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Mi fissò con gli occhi profondi, come se volesse scrutare nel fondo della mia anima. Poi venne a me e mi abbracciò; i suoi occhi eran pieni di
lacrime e sentii tutto il suo essere piegare verso
di me con infinita tenerezza.
— Ebbene, invecchiamo insieme! È il mio unico desiderio! — aggiunse.
La nostra conversazione finì lì, ma per tutta la
giornata la vidi andare e venire, col cuore pieno
di una segreta e serena allegrezza. Nel pomeriggio era fuori, in giardino: la sentii cantar da sola,
con voce pura e melodiosa, e il suo canto invadeva il giardino e la casa.
Dopo poco entrò nel mio studio con un mazzo di fiori di campo disposti artisticamente: lo
portò sul mio scrittoio senza dire una parola,
non volendo disturbare il mio lavoro, e sorrise
silenziosamente; poi si sedette un po’ in disparte,
ed io, scrivendo, alzavo di tanto in tanto il capo
per guardarla.
Il sole al tramonto dorava la sua bruna capigliatura, i raggi scherzavano sul suo viso, che era
talmente mobile da cambiar espresione e carattere da un momento all’altro.
III
Il tempo e l’abitudine non la vinsero mai sui
nostri sentimenti. So che questa è un’affermazione grave, eppure corrisponde alla verità. E per
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questo posso dire: «Benedetta la vita per tutto
ciò che mi ha dato!» Benedirla per ciò che m’ha
tolto è al disopra delle mie forze.
Accadde che la sventura entrasse in casa nostra, e comprendo ora ch’essa avrebbe potuto
allontanarci e separarci, poiché io non sapevo
piangere come lei. Eppure posso affermare in
umiltà e col cuore pieno di gratitudine, che questo non avvenne. Se non fosse dipeso che dagli
uomini, sarebbe accaduto.
Quando rievoco ora il ricordo di mia moglie,
mi sembra impossibile di rappresentarmela giovane e pienamente felice. Infatti, fu ben presto
ammalata e non ricordo di averla mai vista perfettamente in salute. Come ho potuto dimenticare per tanto tempo che la sua salute era minata e
che il male crudele di cui portava in sé il germe
non poteva che sparire del tutto o svilupparsi?
Io sapevo troppo bene che non sarebbe scomparso. Eppure non sapevo veder la sua vita sotto
altra luce che la solita. Non ascoltai i segni annunziatori di ciò che doveva avvenire? Fui cieco per tutti i presentimenti che mi assalivano,
minacciando di distruggere la felicità del mio
focolare, che credevo basata su fondamenta indistruttibili? Non ne so assolutamente nulla. Ma so
che quando mi sposai ero tanto giovane, da creder che l’amore fosse una difesa infallibile contro tutti i dolori della vita, e quando vedevo Elsa,
raggiante di gioia, correre con me attraverso le
montagne e le foreste, prender parte a tutti i no22
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stri giochi e alle nostre distrazioni sulla riva del
mare, dimenticavo che il dolore potesse piombare su di noi, trovavo che tutto ciò che avevo
temuto non era che illusione e chimera. Ahimè!
divenni talmente abile nell’arte di dimenticare
ciò che non volevo vedere, che sognavo per Elsa
la salute e un’esistenza di lunghi anni, perfino
dopo ch’ella ebbe visto la morte da vicino e l’ebbe sfuggita per miracolo e quando portava sulle sue carni la cicatrice della grave operazione
subita, rimanendo da allora sempre sofferente, e
dimenticando le sue sofferenze solo in grazia di
un’energia sovrumana, per non guastare ai suoi
cari, ai nostri bimbi ed a me, la gioia di vivere.
Eppure ricordo che assai presto mi resi conto
di ciò che volli poi dimenticare con tanta energia.
Lo notavo sul suo viso quando era sola o quando non si credeva osservata, e credetti dapprima,
notandolo, che vi fosse fra di noi qualche grave
malinteso. Gliene chiedevo di solito la causa, e
non saprei dire se fosse il mio amore o il mio
amor proprio a farmi credere che nulla all’infuori di me avrebbe potuto turbar la sua felicità.
Vedevo che le mie domande la facevano soffrire
crudelmente, ma la interrogavo lo stesso, ed ogni
volta v’era nel suo sorriso un’espressione tale,
che si sarebbe detto la sua anima essere assente,
lontana, infinitamente lontana dal mondo reale.
— Non interrogarmi — mi disse un giorno.
— Non so neppure io che cosa abbia: so soltanto
che nessuno al mondo può comprendermi.
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I suoi occhi contemplavano il grande mistero
dal quale cerchiamo tutti di togliere il velo e che
rimane ostinatamente chiuso per noi. Allora mi
fu impossibile rendermene conto. La nostra vita
era felice; i nostri ragazzi crescevano e riempivano la casa di gioia e di letizia. Ed Elsa non era mai
con me così tenera come quando l’avevo sorpresa in uno di quei momenti di silenziosa tristezza, che avrei potuto credere senza causa, se non
esistessero altri motivi, oltre quelli che possono
esprimersi con parole.
IV
I nostri figli erano cresciuti e cominciavano
ad essere dei ragazzetti. Olof andava a scuola da
qualche tempo e Svante stava per fare altrettanto.
In questo tempo la malattia morale che torturava
Elsa parve prostrarla, ed indovinai molte volte,
dal rossore dei suoi occhi, che aveva pianto.
In quei momenti ella m’evitava nel modo discreto e silenzioso che le era abituale e faceva
questo per non rispondere alle domande che
temeva io le rivolgessi. Non dimenticherò mai
l’angoscia morale che mi strinse durante questo
periodo più doloroso di tutti!
Quest’angoscia mi afferrava alla sera, mentre
ero seduto al mio scrittoio solitario; mi seguiva
quando andavo a coricarmi, e rimaneva seduta,
nell’oscurità della notte, al mio capezzale, men24
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
tre rimanevo sveglio e ascoltavo il respiro di mia
moglie, per saper se dormisse. Eravamo come
due estranei, che vivessero sotto lo stesso tetto:
potevamo andare in salotto, accendere la lampada, rimaner seduti uno accanto all’altra senza
scambiare una sola parola, e sentivamo il silenzio
elevarsi fra noi, come una barriera che nessuno
aveva innalzato e che nessuno avrebbe saputo
abbattere; quando le nostre mani si cercavano,
era unicamente perché non ci era possibile fare
altrimenti, poiché nessuno dei due poteva sopportare di sentirsi lontano dall’altro, quantunque
avessimo entrambi la sensazione che un abisso
ci separava.
I ragazzi entravano per dar la buona notte.
Li abbracciavamo, li guardavamo uscire, ma non
scambiavamo una parola, e quando volgevo il capo verso mia moglie, sentivo che piangeva, ma
non la vedevo piangere.
Non avremmo potuto essere più infelici, neppure se uno di noi avesse dovuto nascondere
all’altro un segreto terribile; eppure sapevamo
benissimo che fra noi non ve n’era.
— Sei forse infelice con me, Elsa? — le chiedevo.
Mi rispondeva con un singhiozzo, soffocato
dall’angoscia:
— Credi che potrei vivere se non ti avessi?
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
V
Quanto durò questa condizione dei nostri
spiriti? Non lo rammento più. So soltanto che
me n’è rimasta nella memoria l’impressione di
un interminabile inverno senza neve, di un velo
oscuro gettato sulla nostra vita, che mi pareva
vuota e senza senso. Più tardi vidi la morte strapparmi dalle braccia ciò che avevo di più caro,
vidi morir degli amici, assistetti al naufragio di
tutte le grandi cause alle quali avevo dedicato
la vita. Ma tutto quanto ho potuto soffrire non
potrebbe esser paragonato a ciò che sopportai
quell’inverno, perché allora credevo che Elsa
fosse sul punto di sfuggirmi, e quel pensiero era
per me più atroce di tutte le sofferenze che gli
uomini o la vita potessero darmi.
Se ho tanto sofferto in quel tempo è perché,
per la prima volta in vita mia, mi mostrai duro
verso di lei, e ciò avveniva perché non la comprendevo. Arrivai, infine, a ripiegarmi su me stesso, come faceva lei, sotto il peso del dolore che
mi opprimeva. Questo dolore finì col prendere
una voce, e parole crudeli caddero dalle mie labbra.
Un giorno in cui la trovai in lacrime, le gridai,
con una voce che non era più la mia:
— Quanto tempo credi che io potrò sopportare questo?
Appena ebbi pronunciato queste parole me
ne pentii, ma avevo colpito; non dimenticherò
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
mai l’espressione di spavento che si dipinse sul
suo viso stravolto.
— Che vuoi dire? — mormorò.
— Quel che ho detto è ben chiaro. — risposi.
Pareva che un cattivo genio, più forte di me,
avesse parlato per bocca mia. Tutto ciò che avevo sofferto mi venne alla gola, stringendomela
da soffocarla, e sentii la gioia crudele di averle
fatto male.
— Vattene! lasciami! — disse. — Perché sei
entrato nella mia vita?
Non pianse, ritirandosi; pure io sentii che le
avevo dato, con le mie parole inconsiderate e la
mia collera, un dolore inesprimibile. Ma respinsi
questo pensiero di pentimento, obbedendo alle
suggestioni di quell’orgoglio assurdo e meschino, che spinge l’uomo a cercare chi è responsabile di una disgrazia, anziché far tutto il possibile
per impedirla!
— È colpa sua se la nostra felicità crolla! —
dicevo a me stesso. — Che ho fatto io perché lei
sia infelice e mi torturi, nascondendomi la causa
delle sue sofferenze? Ella non mi ama più! Dovevo aspettarmelo: è legge fatale, ineluttabile, che
quaggiù ogni cosa bella sia effimera, e la felicità
non abbia domani!
Sotto a queste miserabili argomentazioni nascondevo i miei veri sentimenti, ch’erano tutti
pieni di lei. Credevo aver diritto d’essere irritato
e trovavo che la sua risposta alle mie parole era
più dura che io non avessi meritato.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
VI
Quel tempo fu il solo in cui la nostra felicità avrebbe potuto naufragare, e credo che tutt’e
due avessimo l’impressione vivissima che la nostra esistenza fosse un gingillo nelle mani del
Destino.
Passò un’intera giornata senza che tra di noi
fosse scambiata una parola; ma alla sera, al momento di andare a riposare, ci buttammo l’uno
nelle braccia dell’altro, senza poter parlare.
Poi le nostre relazioni ridivennero quali erano
prima. Ma la domanda che mi torturava il cuore:
«Che cosa può mai avere?» rimase senza risposta.
Pure io divenni più calmo, mi rimproverai tutte
le supposizioni che facevo dentro di me e attesi frattanto la soluzione dell’enigma. Due giorni
dopo trovai sul mio scrittoio la seguente lettera.
Ricordo che l’aprii con un senso di vera angoscia, come se quel foglio potesse rivelarmi un
segreto tale da annientare tutta la mia vita. Ma
nello stesso tempo bruciavo dal desiderio di avere una risposta alla domanda: — Perché non è
felice? Si può esser nello stesso tempo felice ed
infelice?
Ecco quella lettera.
«Mio caro!
«Perché delle parole come quelle dell’altro giorno sono cadute dalle nostre labbra,
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
e in che modo questo ha potuto avvenire?
Io credetti dapprima che il sole si fosse
spento e che non avrei più visto la luce del
giorno! E da allora non faccio che studiare
il mezzo per riconciliarti con me e cancellare quest’ incidente doloroso.
«Ma vidi in seguito che, nonostante le
apparenze contrarie, il tuo cuore è rimasto
lo stesso per me; compresi che non cambierebbe mai, che la tua amarezza e la tua
irritazione provenivano solo dalla mia impossibilità a rispondere alle tue domande,
e per questo ti mostrasti così duro verso
di me, non immaginando certo quanto
questa durezza mi facesse male. Anche in
questo momento non so che cosa debba
risponderti, ma non stupirti se ti scrivo. Lo
faccio unicamente perché, se tentassi di
spiegarmi con te a viva voce, non ti direi
la metà di ciò che voglio dirti. Vi son tante,
tante cose, Giorgio, che porto in me, che
non ho mai detto né a te né a nessuno, perché so che mai potrei dirle. Son sempre
stata così, Giorgio, e resterò probabilmente così sino alla fine.
«Quando mi accade di riflettere a quel
che sei tu per me, come tu mi parli di tutto
e non mi nascondi il più recondito angolo
della tua anima, sento allora ch’io non sono che un riflesso, un’eco di te, e mi sento
così povera cosa, perché non ho nulla da
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
darti in cambio. Quando mi hai assicurato
che non è così e ch’io mi sbaglio, mi son
sentita felice al di là di quanto possa dire,
Giorgio, e ricca di tutti i tesori della terra!
Poiché so che ti ho dato tutto ciò che posso dare, tutto ciò che possiedo!
«Ma quando mi vedi seduta, ripiegata
su me stessa e perduta nei miei pensieri,
pensa ch’io non faccio se non ciò che ho
sempre fatto, anche quando ero felicissima, anche molto prima di conoscerti e di
associare la mia vita alla tua.
«Quando piango, non pensare ch’io sia
infelice. Quel che penso non mi rende infelice. È qualcosa a cui di quando in quando non posso non pensare, poiché so che
avverrà e l’ho sempre saputo. Soprattutto,
non devi interrogarmi a questo proposito,
poiché mi è impossibile risponderti.
«Ah, se potessi parlare, le mie lacrime
si asciugherebbero da sé! Può anche darsi
che i miei timori non siano fondati, e che
io sia così perché son troppo felice.
«Ma voglio che tu mi creda quando affermo che non v’è, in fondo al mio cuore,
né un segreto né un mistero ch’io voglia
nasconderti, perché tu debba ignorarli.
«È semplicemente perché non posso!
«Non chiedermi di parlare, ma amami
come io t’amo. Amami e sopportami come la tua figliolina, come la tua amica, che
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
chiede una cosa sola, di camminare accanto a te, finché il buon Dio mi conserverà
in vita, e poi di morire e dormire in pace,
dimenticata da tutti, tranne che da te. Poiché non voglio che tu mi dimentichi; è la
sola immortalità che desideri e di cui sia
fiera.
«V’è una cosa che desidero a volte:
d’aver io e te i capelli bianchi e di veder
i nostri bimbi diventati uomini. Mi sento
talmente madre, che desidererei i nostri
ragazzi avessero già una famiglia, per poter andar da loro, prender fra le braccia
dei piccini, dei piccoli esseri senza difesa,
e sentire che vivo anche un poco in loro.
«I nostri due figli son grandi ora e fra
poco non avran più bisogno di me. Oh, sarebbe così bello essere vecchi, non lasciarci mai e attendere insieme il giorno in cui
entreremo nell’eterno riposo! Credo che
t’amerei il doppio se tu fossi un vecchio
coi capelli bianchi, se nessuno potesse
vederti coi miei stessi occhi, e se potessi
dirmi che nessuno, all’infuori di me, ha dei
diritti su te, che nessuno sa chi tu sia, come lo so io.
«T’ho detto molte cose, eppure non ti
ho parlato di ciò che mi hai chiesto. Te ne
supplico, Giorgio, non pensarci: pensa solo che in questo momento t’amo come ti
ho sempre amato e che la mia tenerezza
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
per te supera tutto ciò che le parole possono esprimere, supera tutto ciò che puoi
immaginare. Poiché il mio posto è qui,
presso di te, ed io possiedo tutto ciò che
una donna, sia pur la più felice, abbia mai
posseduto. Ti supplico di credere alle mie
parole, altrimenti faresti di me la creatura
più infelice.
La tua Elsa
VII
Rimasi a lungo con la lettera in mano. La sorgente di tenerezza che ne scaturiva era tanto
grande, che fece dileguar via tutte le domande
angosciose.
In apparenza, non era avvenuto nessun cambiamento; eppure, in quel piccolo mondo del
mio focolare, mi rassomigliavo al principe dei
racconti delle fate, che sulle ali del vento di ponente ha raggiunto l’isola della Felicità.
Avevo chiesto a mia moglie la cagione del
cambiamento che sembrava essere avvenuto in
lei, ma non l’avevo saputa. Avevo ricevuto solo
una prova della sua tenerezza profonda, e l’amore
è tale da non cercar che se stesso: tutti i problemi
che agita hanno il solo scopo di acquistare una
certezza, senza la quale non potrebbe esistere.
Così questa lettera, che non rispondeva alle
mie domande, tolse l’interdetto che pesava su di
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
noi, e col cuore pieno di muta gratitudine, dopo
averla letta, mi recai da mia moglie, felice di esser
liberato dai miei dubbi e dalle mie angoscie.
D’altronde, non parlammo molto di questa
lettera, ma provavamo tutt’e due un gran sollievo che fosse stata scritta, e alla sera, dopo che i
bimbi erano andati a dormire, prolungavamo la
nostra veglia assai tardi.
Ricordo che Elsa cantò allora per me, come
nessuno l’aveva mai sentita cantare; mentre la
musica della sua voce cullava ed accarezzava la
mia anima, stavo seduto in una poltrona e cercavo di spiegarmi come un malinteso avesse potuto insinuarsi fra noi.
Non saprei come trascorressero i giorni. Non
m’accorgevo che si allungavano, che la neve fondeva sui tetti e che nel giardino gli alberi incominciavano a germogliare.
Se mai, deploravo che l’inverno non durasse più
a lungo, perché la lampada fosse accesa di buon’ora
e le nostre serate potessero incominciare.
— Hai notato — mi disse mia moglie un mattino — ch’io sono più gaia di una volta e che non
piango più?
L’avevo notato. Ma, con la leggerezza di un
uomo appena sfuggito ad un pericolo che non
ha compreso, mi ero rallegrato del cambiamento
senza approfondire.
— Piangi forse quando nessuno ti vede? — le
chiesi; e sentii un’ombra dei miei dubbi d’una
volta risorgere in me.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ma mia moglie non se ne accorse. Stava davanti a me, in un tal trionfo di gioventù, che si sarebbe potuto credere che nessuna nube avesse
mai offuscato la sua fronte. Sulle sue labbra passava un sorriso, che mi pareva di aver già veduto
una volta, ma non ricordavo quando.
— Non piango più — disse.
E la sua voce aveva un accento quasi provocante quando aggiunse:
— Anche questo è un mio segreto.
Fui pienamente rassicurato dalle sue parole,
quantunque non ne comprendessi il senso, e
m’abbandonai alla gioia di veder la vita nuovamente sorriderci.
VIII
Quantunque Elsa fosse madre di due ragazzoni, ciò che le piaceva rammentare con segreto
orgoglio, era ancor molto giovane, e quando passava, al braccio di suo marito, alla Passeggiata, la
sua andatura era svelta ed aggraziata; camminando si stringeva a me con un movimento da far
pensare che, se un fardello pesava sul suo capo
dalla purissima linea, non era certo quello degli
anni.
Era una di quelle suggestive serate di primavera a Stoccolma, quando i tepidi raggi del sole
avvolgono gli alberi coperti di gemme, quando
le vie rigurgitano di passanti felici di vivere, e
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
le vecchie coppie si danno appuntamento nei
ristoranti per giocare ai giovani sposi, quando il
cielo è azzurro e i blocchi di ghiaccio corrono
verso il mare in un turbinìo fantastico, quando
l’inverno sembra tanto lontano da non dover tornare mai più e la primavera promette un’estate
non mai veduta.
Elsa mi aveva trascinato a far con lei una passeggiata fino a Thiergertenbrumen; verso sera
telefonammo a casa che non saremmo ritornati
pel desinare, ed ordinai una piccola cena in una
sala bassa, con delle tendine bianche alle finestre, da cui si potevano scorgere gli alberi dalle
fronde chiare, attraverso cui giocavano i raggi
del sole morente.
Era una delle nostre distrazioni preferite, che
ci concedevamo ben raramente, ora che i nostri
ragazzi crescevano e ci spiaceva lasciarli soli; ma
godevamo tanto più queste serate a due, perché
ci facevano rivivere per un momento le gioie e
le ebbrezze degli anni giovanili, e siccome erano
rarissime, come ho detto, assumevano ai nostri
occhi un carattere di festa. Tutti i particolari di
quella serata mi sono impressi nella memoria.
Allegra e felice, Elsa era rannicchiata nell’angolo del divano e sorbiva lentamente la sua ultima coppa di champagne. Pareva un gattino che
attenda lo si accarezzi o si giochi con lui.
Io ero seduto di fronte a lei, con un eccellente
sigaro in bocca e seguivo con lo sguardo i raggi
del sole, che scherzavano tra le ombre degli albe35
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ri. Mi sentivo contento e felice; ma avevo molto
lavorato negli ultimi tempi a scapito della mia
energia fisica; soffrivo quasi, vedendo come Elsa
desiderasse che mi intonassi con lei, ed ella era
in una vera esaltazione febbrile. Si sarebbe detto
che volesse correr per la stanza, giocare, far mille
follie; che sognava qualcosa di nuovo, d’inedito,
di straordinario, e nulla poteva rendermi felice
come il vederla in preda a quella vertigine di
follia giovanile. Ma nonostante tutto il mio desiderio, mi fu impossibile mettermi all’unisono
con lei. Si sarebbe detto che un presentimento
doloroso o una melanconia insormontabile pesassero su di me e impedissero ai miei sentimenti di prendere il volo con i suoi. Più tardi,questi
momenti ci tornano in mente, e al ricordo della
felicità che si trascurò di godere, ci si accusa come di un delitto che si abbia commesso. Ricordo
ancora che compresi lo stato d’animo in cui ella
si trovava, e da ciò che seguì, so che via prendessero i suoi sogni.
Leggermente indispettita nel vedere che, per
la prima volta, i nostri sentimenti non armonizzavano completamente, rimase silenziosa, sorbendo lentamente il suo champagne; a poco a poco
la sua esaltazione si calmò e si mutò in un dolce
sognare, e mentre aveva gli occhi fissi sopra suo
marito, le cui tempie principiavano a brizzolarsi,
rivide, come in sogno, il giorno in cui, molti anni
prima, avevamo vogato tutt’e due verso un’isola
soleggiata degli Schären, sulla quale era, rannic36
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
chiata in mezzo ad alte pinete, la chiara casetta
dove passammo la nostra prima estate.
Quante volte ella mi descrisse la nitidezza di
quelle visioni e di quei ricordi. La facoltà di rievocare era, in lei, un dono speciale. Oggi non
posso vedere il suo sogno men preciso e chiaro
di una volta.
È certo ch’ella rivide tutto il passato nei più
minuti particolari; la sua esaltazione era affatto
scomparsa ed io scorsi grosse lacrime nei suoi
occhi. Con rapido gesto, vuotò il bicchiere, si lasciò scivolar dal divano e appoggiò il capo sulle
mie ginocchia.
I nostri pensieri s’erano incontrati senza dubbio in quel passato, in cui tutt’e due avevamo
accarezzato insieme la chimera della felicità; le
nostre anime si trovarono di nuovo in perfetta
comunione, ed il riserbo in cui m’ero tenuto fino
allora cadde; misi dolcemente il braccio attorno
al suo collo, e accarezzandola le dissi:
— A che pensi?
— Penso alla prima estate che abbiamo passato insieme.
In questo momento mi parve che io pure ci
avessi pensato. Tutta la mia stanchezza se n’era
andata, e in preda a una profonda commozione
le alzai il viso e le baciai le labbra.
Nello stesso momento Elsa s’era rialzata. Il
desiderio di sensazioni nuove, straordinarie, venendo a rompere la monotonia della vita quotidiana, si fuse allora coi ricordi del passato, e
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
con un accento al quale non si poteva resistere,
esclamò:
— Voglio tornarvi, Giorgio, voglio tornarvi!
Ma nello stesso momento mi sentii trasportato di nuovo nella realtà. Nel profondo del mio
animo sentivo forse come mia moglie, ma avevo
nello stesso tempo quel sentimento singolare di
una delusione inevitabile che si leva in noi nelle
ore d’entusiasmo e di vertigine a tarpare le ali ai
nostri sogni. Il tentativo di far rivivere il nostro
passato mi sgomentava, come se temessi di trovare, invece della nostra gioventù, un dolore che volevo evitare ad ogni costo. Ero talmente sicuro di
andare incontro ad una delusione, che la semplicissima proposta di mia moglie di fare il viaggio
degli Schären, per rivedere i luoghi in cui ogni
baia, ogni fiore mi erano familiari, dove conoscevo perfino le pietre in fondo al golfo, mi apparve
qualcosa di così delicato e pericoloso, che mi occorse rifletter seriamente prima di prendere una
risoluzione così grave. Ma vedendo nello stesso
tempo che questo disegno dava a mia moglie una
beatitudine tanto grande, mi fu impossibile dire
di no. Acconsentii, dunque, alla sua domanda e la
strinsi fra le mie braccia, per dissimulare il turbamento profondo che mi aveva causato.
Quando riprendemmo la via di casa, tutta
la persona di Elsa era raggiante di gioventù. Ella non aveva nulla notato di ciò che turbava il
fondo dell’animo mio. Il suo viso raggiava, come
se fosse sicura di andare incontro ad una felicità
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
straordinaria, e mostrava a che punto ella identificasse, in fondo al cuore, ciò che era stato con
ciò che era.
Ed il timore di veder avverarsi i miei presentimenti e sopraggiungere la delusione mi torturava a tal punto, che mi fu impossibile trattenere
il mio pensiero.
— Sei sicura di non esser delusa nella tua
aspettativa? — le chiesi.
Ella trasalì e mi rispose, con espressione quasi
irritata:
— Perché devi sempre guastarmi tutto?
— Ti par proprio che sia la mia abitudine?
Ridivenne subito lei.
— Non dico questo, ma ero così felice proprio ora!
Non aggiunsi nulla e mi contentai di attirarla
più vicino a me. In presenza della sua fede profonda, dimenticai tutti i miei dubbi, e la mia immaginazione si mise ad abbellire la nostra piccola escursione coi colori più meravigliosi, come il
viaggiatore li intravede nei miraggi ingannatori
del deserto.
IX
Il nostro disegno stava finalmente per effettuarsi, ed una domenica mattina eravamo tutt’e
due sul ponte di un vaporetto, che doveva condurci verso una meta ben nota.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Molti anni erano passati dacché avevamo preso per la prima volta quella via. Ci avevano portato gioie e tristezze, che ci avevano separati e ravvicinati. I nostri pensieri avevano seguito strade
opposte, ma si erano incontrati di nuovo, e noi
eravam seduti uno accanto all’altra, uniti in un
sentimento strano e mistico, che pareva sfidare il
destino, mentre davanti a noi sfilavano i paesaggi
illuminati da un chiaro sole primaverile, bagnati
dalle onde di un azzurro scintillante, che la brezza leggera coronava di creste bianche.
Io non dubitavo più, non resistevo più interiormente. Mi lasciavo condurre da mia moglie
come un bambino, subendone tutte le impressioni, come se fossi stato minore di dodici anni. Ero seduto sul ponte, vagando verso mete
sconosciute, che dovevan modificare la mia vita
quotidiana e aprire nuove prospettive a tutta la
mia esistenza. Mia moglie mi pareva ringiovanita
come me. Il suo viso era delicatamente colorito
e i suoi occhi brillavano dello splendore che da
la felicità. La sua voce aveva modulazioni di indefinibile tenerezza, che mi avvolgevano come una
carezza, e scambiavamo parole, sorrisi, sguardi,
quali l’amore conosce solo alla sua aurora.
Quando finalmente approdammo e ci trovammo soli sul ponte dell’imbarcadero, da cui
guardammo il vaporetto continuare la sua via,
le circondai la vita col braccio, e così avvinti, ci
inoltrammo lentamente nel sentiero che serpeggiava tra cespugli di noccioli e di grandi quer40
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ce dal tronco nodoso, i cui rami annunziavano
appena appena l’arrivo della primavera. Il mare,
che circonda l’arcipelago degli Schären come
di una cintura di ghiaccio, vi ritarda la primavera. Ci rendemmo conto solo allora di quanto la
vegetazione fosse in ritardo. Niente verde ancora, come nell’interno del paese, ove le praterie
e i boschetti rinverdiscono tanto più presto, in
quanto gli Schären li proteggono contro i freddi
venti del Nord. Qui tutto era deserto e morto; sui
rami degli alberi appariva timidamente qualche
gemma verde chiaro: l’erba sonnecchiava sotto
le foglie secche, e gli anemoni, che da noi erano
sfioriti da un pezzo, lasciavano spuntare discretamente tra i rami dei noccioli le loro corolle azzurre e bianche.
Fu appunto questo ritardo della natura che ci
riempì tutt’e due di una felicità nuova.
— Vedi, tutto è in ritardo qui, come una volta.
— Te ne ricordi? Una seconda primavera ci
attende negli Schären, quando si viene da Stoccolma.
I nostri sguardi abbracciarono il vasto fiordo,
che racchiude quest’angolo di terra ancora intirizzito dall’inverno; eravamo felici di vedere che
i gabbiani volavano sempre sulle onde azzurre,
descrivendo dei vasti circoli, e ci fermammo per
ammirare le loro ali bianche, tutte scintillanti al
sole, la leggerezza e la grazia dei loro movimenti
quando fendevano l’aria e raggiungevano l’acqua,
dove i loro occhi acuti avevano scorto la preda.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Tenendoci per mano come due bambini e
guardandoci l’un l’altro come se ci scambiassimo un segreto, salimmo la collina e non tardammo a giungere ad una casetta rossa, sulla soglia
della quale apparve subito il barcaiolo, una nostra vecchia conoscenza, che consentì a prenderci nella sua barca e a condurci all’isola dei nostri
sogni, come aveva fatto tante volte al tempo della nostra gioventù.
La traversata fu silenziosa. Compresi tutt’e
due da una profonda commozione, che aumentava di mano in mano che procedevamo, eravamo seduti sulla panchina, tenendoci per mano,
senza scambiare una parola, ed ascoltavamo salir dentro di noi la marea dei ricordi, sentendo
bene che in quel momento i nostri pensieri e
i nostri sentimenti si accordavano pienamente. Quella traversata non ci era mai parsa tanto
meravigliosa, non avevamo mai tanto ammirato
lo splendore raggiante del sole di mezzogiorno,
non avevamo mai visto le acque scintillanti del
fiordo, le rive dalle fronde verdeggianti e la scura
foresta d’abeti che chiudeva l’orizzonte, fondersi
in così arcana armonia. Quando ci avvicinammo
all’isola, ogni roccia, ogni cespuglio, ogni albero di quel paesaggio, che era stato la culla della
nostra felicità, ci sembrava un vecchio amico, di
cui il nostro cuore aveva fedelmente conservato
il ricordo.
Discendemmo a terra e ci avviammo per il
sentiero, che conduceva alla casa in cui avevamo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
passato la nostra prima estate. Ma fatto appena
qualche passo, ci arrestammo entrambi, stupiti.
Non vedevamo più davanti a noi la grande casa
grigia, ma una piccola capanna verniciata di rosso, che pareva essersi raggrinzita sul luogo stesso ove sorgeva la nostra villa di un tempo, come
se l’affanno e la miseria l’avessero costretta, nel
corso degli anni, a farsi così umile.
Rimanemmo per un momento silenziosi, col
cuore stretto per la commozione.
— Che vuol dir questo, Giorgio? — chiese
Elsa.
Le vecchie querce che circondavano la capanna avevano i rami e la corteccia anneriti dalle
fiamme; il giardinetto era abbandonato e incolto;
sull’erba giaceva un mucchio di travi a mezzo
consunte, che imputridivano lentamente.
Era tutto quanto restava della dimora che aveva albergato la nostra felicità giovanile.
C’è stato un incendio qui! — dissi con voce
tremante di commozione.
Davanti a questa visione sinistra il nostro sogno incantato svanì, e non pensammo più che
alla povera gente, di cui vedevamo a un tratto
la sventura. Nello stesso momento apparve sulla
soglia della capanna una vecchietta tutta curva,
con sulle labbra un sorriso che mostrava come
ci avesse riconosciuti. Pareva così vecchia, che
si sarebbe detto uscisse di colpo da un racconto delle fate; si appoggiava su di un bastone e il
suo viso rugoso faceva delle orribili smorfie ai
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
minimi movimenti del suo corpo torturato dai
reumatismi.
— Il signore e la signora hanno trovato molti
cambiamenti qui? — chiese la vecchia.
Mentre ella s’avvicinava a fatica, scorgemmo
dietro di lei un vecchio, che, secondo la sua abitudine, da noi ben conosciuta, s’era tenuto indietro, finché fosse venuta la sua volta di farsi
avanti. I due vecchi ci salutarono e c’invitarono
a entrare in casa.
Attraverso lo scheletro di una veranda non
finita, contemplammo i fiordi e i tund, che una
volta non ci stancavamo mai di guardare. La
casetta pareva cadere in rovina, il giardino era
trascurato, l’erba cresceva nei sentieri che avevamo seguito una volta, e sotto il pergolato, in
riva all’acqua, le tavole e le panche, abbandonate
alle intemperie, marcivano a poco a poco. Non
avemmo bisogno di far domande: i due vecchi ci
raccontarono spontaneamente come la sventura
fosse piombata su di loro a tradimento e con una
rapidità tale, ch’era stato impossibile opporvi
resistenza e ricever soccorsi; man mano che la
vecchia parlava, il marito ripeteva le sue parole
e le confermava.
Un mattino di primavera, nel mese di marzo,
era scoppiato il fuoco; soffiava un forte vento di
Nord. Siccome il ghiaccio intorno alle isole incominciava a fondere e non permetteva né agli uomini né alle barche di avventurarvisi, gli abitanti
degli isolotti vicini avevano assistito al disastro
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
senza poter correre in soccorso. I due vecchi
avevano strappato alle fiamme tutto ciò ch’era
stato loro possibile trasportare; ma era ben poca
cosa, e la povertà li attendeva sulla soglia della
vecchiaia. La casa, che dopo molti anni avevano
edificato sulle rovine dell’antica, era piccola e
bassa, il mobilio povero, e tutto ciò che li attorniava era in armonia con esso. Anch’essi erano
stanchi e annientati; una sola giornata di sventura aveva distrutto il frutto di lunghi anni di pena
e di lavoro.
Noi, che avevamo voluto riviver colà un istante della nostra gioventù, ci sentivamo colpiti
dalla stessa sventura, mentre ascoltavamo quei
vecchi raccontarci, nella loro maniera sobria e
grave, la disgrazia che li aveva colpiti. Fu appunto la semplicità del loro racconto, commovente
nonostante la sua banalità, e in cui si intrecciavano ogni sorta di particolari insignificanti e di
ricordi di oggetti perduti nell’incendio, che ci
strinse il cuore, spogliò i nostri sogni degli splendori dell’illusione e ci riempì di una silenziosa e
dolorosa malinconia.
Ci pareva, quasi a nostra insaputa, che, mentre
vivevamo la nostra vita e ci credevamo felici, là,
in un’isoletta in mezzo agli Schären, qualcosa di
quel tesoro della vita che avevamo accumulato e
credevamo in sicurezza, era stato divorato dalle
fiamme e annientato. Elsa sentiva di aver perduto
in quell’incendio assai più che non i vecchi, e
mentre essi continuavano il loro racconto, vidi
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ch’ella dovette fare uno sforzo per non scoppiare in lacrime. Poiché, che cos’era di fatti la pena
di quei due infelici per la loro casa rovinata, e i
loro miseri arredi distrutti, in confronto della delusione ch’ella provava non trovando più l’isola
della sua gioventù come l’aveva vista un tempo?
Sapevo troppo bene quel ch’ella sentiva in
quel momento, ma mi fu impossibile procurarle la consolazione che pareva cercare, fissando
i suoi sguardi su me, perché in quel momento
pensavo di aver previsto questa delusione e come avessi avuto torto cedendo al suo capriccioso desiderio di rivedere il nostro caro asilo. Ma
non ebbi il coraggio di confessarle ciò che avveniva in me; presi il suo braccio e per l’ultima
volta facemmo silenziosamente il giro dell’isola.
Ci accadde ciò che era accaduto a quei bambini dei racconti delle fate, che s’eran perduti,
un giorno, in un paese incantato, e poi, ritornati
a casa loro, trovarono che gli anni erano succeduti agli anni e le persone intorno a loro eran
cambiate ed invecchiate. Ci sedemmo sulla riva,
silenziosi, perduti nelle nostre fantasticherie,
mentre i nostri sguardi erravano sul fiordo.
Là nulla era mutato, e a poco a poco dimenticammo la capanna nuova e tutte le rovine sparse
dietro di noi. Ricordammo una sola cosa, cioè,
che per tre estati consecutive avevamo abitato sulle rive di questa baia, ed ogni volta in un
luogo diverso. Il desiderio di rivederli uno dopo
l’altro ci vinse e ci facemmo subito condurre dal
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
barcaiolo verso l’isola in cui avevamo trascorso
la nostra seconda estate. Avevamo conservato il
ricordo di due casette rosse, fabbricate al limite
del bosco e di una piccola prateria, sulla quale il
nostro primo bambino aveva dormito in una carrozzella di vimini bianca, sotto un velo azzurro.
Ci eravamo informati dal barcaiolo; sapevamo, dunque, che saremmo approdati ad una riva
deserta, che anche là il tempo aveva fatto l’opera
sua, trasformato ogni cosa e cancellato fin le ultime vestigia del passato.
Sulla stretta lingua di terra, dove sbarcammo,
abitava, qualche anno prima, un vecchio pescatore con sua moglie. In una cupa notte d’inverno, mentre la tormenta imperversava intorno alla casetta, la donna morì, e quando, poco tempo
dopo, suonò anche l’ora del vecchio, i loro figlioli ereditarono le due casette al confine della
foresta, con la barca e la rimessa sulla riva del
mare.
Ma le due casette rosse al confine della foresta ebbero uno strano destino, come capita sovente negli Schären. Quando fu spirato il termine di cinquant’anni, per il quale i defunti avevano una volta acquistato il terreno, il contadino a
cui apparteneva venne e lo riprese, dopo averne
espulsoil nuovo occupante. Le casette furono rase al suolo, il legno venne portato via, i rovi e la
gramigna invasero il campo dove una volta si coltivavano le patate. Si sarebbe detto che il fuoco
fosse passato anche di là e avesse tutto distrutto.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
I gitanti, che avevan sognato di rivedere i luoghi in cui erano stati felici, per la seconda volta
non trovarono che rovine, là dove un giorno sorgeva l’asilo che li aveva accolti. Si sarebbe detto
che la distruzione era attaccata ai loro passi. Col
cuore stretto per queste successive delusioni,
nelle quali naufragava il suo sogno, Elsa lasciò
il mio braccio. Salì la collina spoglia, coperta di
rami morti, e arrivò fino al muro di cinta, da cui
la porta era stata divelta: qualche cardine ritorto
e arrugginito pendeva ancora dagli uncini dello
stipite.
Ella appoggiò le braccia al tetto del muricciolo e, dando libero sfogo ai diversi sentimenti da
cui era invasa, scoppiò in singhiozzi. Piangeva
come se tutta l’angoscia della vita fosse piombata sul suo capo.Tentai di accarezzarla, ma ella respinse la mia mano, e le sue lacrime caddero così
a lungo, ch’io finii coll’impazientirmi, e l’avvertii
che bisognava tornare indietro, per non perdere
il battello a vapore. Ella non m’intese, posò semplicemente il braccio sulla mia spalla e disse:
— Avevi ragione, non avremmo mai dovuto
tornar qui.
Mi confessò che da un pezzo aveva pensato
a questo viaggio, che l’aveva desiderato per degli anni e che, per una ragione che non poteva
spiegarsi, bisognava avesse luogo proprio allora.
Nelle sue misteriose fantasticherie il pensiero di questo viaggio s’era identificato in modo
strano con quello della felicità della nostra vita.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Le sembrava che bisognasse ad ogni costo intraprenderlo, che non poteva mai essere completamente sicura della sua felicità se non avesse riveduto quei luoghi, come li aveva visti una volta,
come li vedeva sempre nei suoi sogni. Mi disse
che era stata sua intenzione di pregarmi di ritornarvi e di passarvi ancora un’estate insieme.
Ella sapeva che io avrei acconsentito alla sua
domanda. Ma ora, non restando più nulla di quel
passato col quale ella s’era identificata, pareva
che le avessero strappato un membro, per il quale si attaccava alla vita stessa.
Assistevo, muto, a quell’esplosione di dolore, e capivo troppo bene di trovarmi davanti ad
uno di quei misteriosi effetti d’immaginazione
o di sogno, i quali, per un essere vivente soprattutto di sentimento, possono, nel vero senso della parola, aver maggiore importanza che la vita
stessa.
In quanto a me, anch’io m’ero commosso,
tanto per i ricordi che quei luoghi rievocavano
in me, quanto per le rovine che vi ritrovavo accumulate; ma non mi venne in mente di stabilire
una corrispondenza qualsiasi tra quelle rovine
e ciò che mi era caro e prezioso. Perciò rimasi
completamente sconcertato a questa esplosione
di dolore di Elsa.
Cercai di ricorrere ai mezzi di cui l’uomo si
serve di solito per consolare un dolore femminile: le carezze. Ma Elsa respinse la mia mano,
perché vedeva nel mio gesto una consolazione
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ch’ella disdegnava, invece della simpatia che
cercava. Il suo viso prese un’espressione dura e
aggressiva, come se la sua intera personalità difendesse i sentimenti che imperavano in lei e da
cui non voleva che nessuno la distraesse.
Girò lo sguardo su quella scena di devastazione, e con gli occhi pieni di lacrime, disse semplicemente:
— Povera gente!
Di nuovo, la sua delusione personale disparve nella simpatia che provava per gli infelici,
di cui vedeva la sventura sotto i suoi occhi. Di
nuovo ci sedemmo e lasciammo errare i nostri
sguardi sul monticello, al confine del bosco ove
sorgeva la casa che ci aveva accolti per un’intera estate. Rompemmo il silenzio e cercammo di
rappresentarci le scene che avevano preceduto
la devastazione. Il contadino, a cui appartiene
il terreno, giunge presso la giovane coppia, che
ha ereditato la fattoria. Egli annunzia duramente
che il termine di cinquant’anni è spirato, ch’egli
vuol riavere il suo possesso e che le case devono
esser rase al suolo. È chiaro ch’egli non ha alcun
interesse per agire così, e che avrebbe ricavato
maggior profitto dalla sua terra, consentendo ad
un nuovo affitto di cinquant’anni. Ma ha visto
che i contadini affittano a dei forestieri, l’estate;
questo modesto guadagno eccita la sua invidia, e
con la forza di un’idea fissa, ingigantisce in lui la
convinzione che nessuno debba abitare sul terreno che gli appartiene.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ecco perché la giovane coppia, che si è stabilita qui, è obbligata ad abbattere la propria casa, a
trasportarne i materiali su un’altra isola e a riedificare là dove il ricco consente a cedere un boccon
di terra al povero. Ma quando la barca è pronta a
lasciare la riva col suo ultimo carico, l’uomo, preso dal furore, valendosi a sua volta del proprio diritto, afferra la scure, abbatte gli alberi piantati dal
padre, sradica tutto ciò che fa frutto, strappa dai
cardini la porta del muro di cinta e la getta sul carico della barca, per portarsela via. Prima di risalir
sul suo battello, fa rotolar nel mare i blocchi di
pietra che si trovavano sul sentiero, per rendere
impossibile per sempre l’approdo in quel luogo;
poi prende il largo, soddisfatto della sua vendetta,
lasciando dietro di sé la completa rovina.
Rimanemmo un po’ di tempo ad evocare queste scene. A un tratto Elsa rabbrividì e mi disse:
— Portiamo forse la sventura con noi?
Io sorrisi. Queste parole di mia moglie mi parvero prive di senso comune ed assolutamente
esagerate.
— Facciamoci condurre alla nostra terza isola, — dissi; — almeno là sappiamo di trovar tutto
come abbiam lasciato.
Ma Elsa scosse il capo, e alzandosi bruscamente mi rispose:
— No, seguiamo piuttosto il nostro antico
sentiero attraverso la foresta.
E senza neppure attender la mia risposta, si
avviò. Pareva avesse ritrovato tutta la sua vivacità
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
e la sua energia e scosso, come per incanto, il
peso di tristezze e di delusioni che lo spettacolo
di tanti infortuni e rovine aveva accumulato sul
suo cuore. Mi condusse direttamente nella foresta per uno stretto sentiero, dove gli abeti intrecciavano i loro rami al disopra delle nostre teste.
Camminavamo senza fatica sopra un tappeto erboso, ricoperto di secchi aghi di abeti. All’intorno il sole scherzava sul muschio umido, sui rami
e i tronchi degli alberi, che s’innalzavano davanti
a noi a perdita d’occhio.
Il sentiero conduceva a una piccola baia, circondata da rocce a picco; verso il mare gli alberi
divenivano più radi e davan luogo a una radura
soleggiata, ove spuntava un’erba magra e qualche abete intristito.
Là, Elsa si fermò e si mise ad esaminare il tronco degli alberi. Vedendola correre da uno all’altro, mi tornò in mente un fatto che avevo completamente dimenticato da undici anni.
Era l’anno in cui avevamo passato l’estate
nella casetta che ora avevamo ritrovata rasa al
suolo. In una sera d’agosto, per lo stesso sentiero, eravamo pervenuti fino a questa radura, per
rivedere un’ultima volta i luoghi ove avevamo
vissuto tante giornate felici. Allora mia moglie
aveva tolto una spilla nera dalla sua acconciatura e l’aveva confitta nella corteccia dell’abete,
dicendo:
— Son curiosa di sapere se la ritroverò quando ritorneremo qui!
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ero inquieto e temevo una nuova delusione.
A un tratto sentii un leggero grido di Elsa e la
vidi dirigersi vivamente verso un piccolo abete,
dalla cui corteccia tolse una spilla arrugginita; si
appese al mio collo e mi abbracciò con lacrime
di gioia.
Poi, di nuovo, puntò con ogni cura la spilla
nella corteccia dell’albero; non si sentiva il coraggio di portarla via; forse provava un timore
superstizioso a toccarla. Ma da questo momento
ogni traccia di tristezza disparve in tutt’e due,
e come se vedessimo in quest’incidente, molto
insignificante in apparenza, un felice presagio,
ripassammo con animo lieto presso le macerie e
le rovine, che avevan lasciato sussistere soltanto
una spilla arrugginita, così ben nascosta, che nessuno aveva potuto scoprirla e portarla via.
Quante volte, da allora, mi son ricordato di
questo viaggio attraverso luoghi devastati, e
quante volte m’è apparso come un simbolo della
nostra vita intera!
X
L’impressione che riportammo da questa
rapida escursione fu tale, che ci decidemmo a
passar di nuovo l’estate in un luogo al quale ci
sentivamo uniti da una spilla arrugginita, che
nessuno aveva saputo rintracciare. Questa volta
scegliemmo, per soggiornarvi, la terza isola, quel53
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
la che mia moglie s’era rifiutata di vedere nella
nostra escursione, e dove avevamo trascorso già
una volta la bella stagione.
Furono vacanze luminose, una lunga giornata
di gioia e di sole, che nessuna nube venne ad
oscurare. Io lavoravo con ardore giocondo e il
mio lavoro procedeva come per incanto. Tranquillamente e senza sforzo, preparavo il libro
che doveva esser pubblicato in autunno e più
d’una volta, mentre la colazione era già servita, ci
chiudevamo nel mio studio ed io leggevo ad Elsa,
seduta presso di me, le pagine che avevo scritto
la mattina. Nulla la rendeva felice come il vedere
che il mucchio di foglietti neri d’inchiostro sulla
mia tavola era ingrossato, poiché ella sapeva bene chi fosse l’anima del mio lavoro. Ella sapeva
che i miei libri erano il frutto delle nostre lunghe
conversazioni, ed era fiera di sentirsi chiamata da
me «il mio quaderno di note». Questo quaderno
custodiva i miei pensieri più sicuramente che
non la carta e me li rendeva con una freschezza
ed una fedeltà meravigliose, ancora abbelliti dalla lente d’ingrandimento dell’amore, attraverso
il quale ella vedeva tutto ciò che era nostro e
in particolare il mio lavoro. Così ella aveva l’impressione che le idee, rimosse in me nelle nostre
conversazioni occasionali, avevano preso ora,
sotto la mia penna, una forma definitiva. Provava
una gioia segreta e materna ad assistere così al
lavoro di concepimento del mio spirito, ciò che
pur non le impediva d’essere un po’ gelosa di
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
questi figli della mia musa, perché s’immaginava ch’essi mi accaparrassero e mi assorbissero al
punto da relegare al secondo piano lei, i bimbi,
il nostro focolare e tutto ciò per cui valeva la
pena di vivere. Non credo ch’ella abbia mai capito come questa collaborazione con lei fosse più
dolce e più preziosa per me, che la gioia stessa
di scriver dei libri.
Ciò che sto per dire può sembrare infantile, ma è perfettamente vero ch’io non provavo
mai tanta gioia nel lavoro, come quando vedevo
dall’espressione del suo viso, la quale rifletteva
fedelmente tutti i suoi pensieri, che avevo prodotto qualche cosa di buono e ch’ella ne era soddisfatta. Mentre scrivevo, pensavo al momento in
cui le avrei letto ciò che avevo messo sulla carta,
e questo pensiero mi impediva di abbandonarmi
a tutte le fantasticherie, che vengon così spesso a mettersi attraverso il lavoro ed a fermarlo.
Quando, finita la nostra lettura, entravamo in sala
da pranzo, non potevamo far a meno di ridere
trovando il pesce freddo e vedendo i piccoli appena lavati e bruciati dal sole, seduti a tavola, impazienti e affamati.
— Da un’eternità siamo qui seduti ad attendervi, — brontolava Olof; — dove eravate?
— Leggevamo il libro di Papà, — diceva Mamma.
— Avreste potuto aspettare, prima di mettervi a leggere, di aver fatto colazione.
— No, non avremmo potuto.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Dev’essere uno strano libro! — aggiungeva Olof.
Ma Svante, che non aveva ancora incominciato a sillabare, prendeva la difesa del libro ancora
inedito di Papà, e regolarmente la cara Mamma
era obbligata ad intervenire per ristabilir la pace
fra i due contendenti.
Che meravigliosa estate passammo colà, nella
gioia del lavoro, in mezzo ad una natura incomparabile, quando ai giorni soleggiati succedevano tiepide notti di chiaro di luna! È rimasta nel
mio ricordo come un giorno di festa ininterrotto! Ricordo gli amici che venivano ad approdare
al nostro imbarcadero con le loro barche a vela,
ricordo le nostre escursioni in canotto, con una
fresca brezza d’estate, le nostre allegre merende
all’aperto, i nostri bagni nel mare, quando Olof
imparava a nuotare e Svante si rotolava nella sabbia, felice di mostrarci le sue attitudini. Ricordo
i giorni di festa, quando ornavamo la nostra casetta con delle ghirlande e recitavamo dei versi,
bevendo del vino di maggio; ricordo le nostre
lunghe e silenziose passeggiate attraverso la foresta di abeti che si stendeva sino al fiordo soleggiato, il barcaiolo che ci portava con la sua barca
a vela nelle nostre escursioni e ci sorrideva così
cordialmente nella sua barba grigia.
Come quell’estate fu breve e come venne
presto l’autunno! Con che melanconia vedevamo le trasformazioni nella natura, vedevamo
accorciarsi i giorni ed allungarsi le notti, l’erba
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
fiorita dei prati cader sotto la falce dei mietitori
e la terra denudarsi, la segale dorarsi nei campi,
le canne spuntare e formare come una foresta
mobile sulla riva dove, qualche settimana prima,
avevamo visto l’acqua correre allegramente sui
sassi del fondo!
Quando il giorno della partenza alla fine s’avvicinò, andammo a riveder tutti i luoghi che ci
eran divenuti cari in quell’estate, e a congedarci
da essi. Salimmo la montagna, d’onde la vista abbracciava tutto l’orizzonte; percorremmo la foresta in tutti i sensi, quasi sempre dopo l’imbrunire, quando le stelle scintillavano tra i rami degli
abeti. Impiegammo quasi una settimana per dare
i nostri addii; prendemmo i nostri ragazzi con
noi, e facemmo il giro dell’isola in barca, intrattenendoci del libro, del nostro libro, che doveva
esser pubblicato in autunno. Per delle ore intere
potevamo camminare nello stretto sentiero che
conduceva dalla nostra casetta dipinta di rosso
fino alla riva; ed ogni sera rimanevamo a lungo
sul ponte, ascoltando il rumore delle onde, meno
agitate che in primavera, che battevan contro gli
scogli con un sordo brontolìo.
L’ultima sera, quando agosto stava già declinando, ci dirigemmo, noi due soli, verso l’imbarcadero, e salimmo in barca.
La brezza soffiava e ci portò al largo; la falce
gialla della luna si rifletteva in strisce luminose
sulla baia inondata dalla notte; sulla riva gli alberi, immersi nell’oscurità, assumevano un aspet57
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
to fantastico, che dava al paesaggio un carattere ben diverso che in pieno giorno. Vogavamo
come in un paese incantato, ascoltando in silenzio il rumore dell’acqua, che ciangottava contro
la prua della barca. La barca scorreva, sulla superficie dell’acqua appena increspata, più rapida che non avesse mai fatto durante il giorno,
perché, nella notte, la brezza ha o sembra avere
maggior forza. Avevo lasciato ignorare ad Elsa le
mie intenzioni. A un dato momento cambiai la
direzione della barca, la feci contornar gli scogli, ed approdammo ad un luogo che ci era familiare. Saltammo a terra e tenendoci per mano,
prendemmo il sentiero seguito tante volte, che
ci condusse all’abete, nella cui corteccia era confitta la spilla arrugginita. Non dovemmo cercarla
a lungo, perché durante l’estate eravamo venuti
spesso in quel luogo; non avevamo mai temuto
che qualcuno toccasse quell’oggetto, il quale, nel
suo sicuro nascondiglio, simboleggiava ai nostri
occhi la felicità, che aveva per un momento minacciato di sfuggirci, ma che era poi ritornata.
Mentre eravamo là, perduti nei nostri pensieri, guardando la luna sparir dietro gli abeti, Elsa
disse:
— Non voglio lasciarla qui; la porto via.
E ritraendo delicatamente la piccola spilla
dalla corteccia, la puntò nella fodera della sua
giacca.
— Può essere ch’io non ritorni mai più qui, e
non voglio che tu la ritrovi senza di me!
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ci imbarcammo di nuovo: mentre il nostro canotto correva sulle onde, ebbi un presentimento
di ciò che doveva un giorno accadere, e questo
mi diede una tristezza indicibile. Guardai il punto della barca in cui Elsa era seduta. Mi pareva di
veder quel posto vuoto, e di essere solo a remar
sulla baia, le cui coste erano in quel momento
ben diverse da come le avevo vedute in pieno
giorno. Ero talmente sotto l’impressione di questa vista,che dimenticai di non essere solo, e trasalii, come se mi svegliassi a una nuova realtà,
quando intesi la voce di mia moglie. Ella parlava
dolcemente e come a se stessa, e da principio
intesi queste parole, senza comprenderle:
— Ho sovente pensato, — diceva — che devono esistere alcune persone che han bisogno
di credere a qualcosa, e si commetterebbe un
delitto togliendo loro la fede. Io son così felice
di credere come tu credi! Io non voglio far nulla
che tu non approvi, neppure credere a qualcosa
senza che tu lo sappia. Ma non posso non credere in Dio!... Questo forse ti contraria?
Se mia moglie mi avesse fatto questa domanda nei primi tempi del nostro matrimonio, mi
sarei certamente seccato e non le avrei risparmiato nessuno degli argomenti che militavano,
ai miei occhi, contro una fede simile, che giudicavo allora con sovrano disprezzo. Non ero io il
figlio di un secolo senza fede e senza speranza,
fiero di aver spento le stelle del firmamento? Gli
anni che mi avevano invecchiato, non mi aveva59
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
no certo reso credente, ma mi avevano tolto il
desiderio di fare un solo proselito, e di convertire mia moglie alle mie idee. La mia fede non
consisteva in qualcosa di chiaro e di positivo, ma
solo nella ricerca di un ideale più elevato, perché
anche in gioventù ero stato colpito dalla povertà e dall’aridità di ciò che si chiama impropriamente materialismo. In generale, non mi piaceva
parlare di questi argomenti, sui quali io stesso mi
sentivo ancora tanto nel vago, e fui in quel momento sorpreso ed umiliato insieme dalle parole
di mia moglie.
— Perché ne sarei contrariato? — mi contentai di risponderle.
— Oh, come sono felice! — esclamò; — allora
non ti inquieterai neppure se ti dico che ogni
sera io recito la mia preghiera, come una volta,
quando ero bambina. Non so a chi rivolgo la mia
preghiera; ma ho insegnato anche ai bimbi a pregare; pregano per te, per me, e l’uno per l’altro.
Credi che sia male?
Lasciai il timone, mi alzai, presi fra le mani la
testa di Elsa e la baciai silenziosamente.
— Non voglio vi sia nulla fra di noi che tu
ignori! — disse semplicemente.
Ritornai al timone, la barca riprese la sua corsa, e qualche minuto dopo scorsi attraverso il fogliame una luce, che mi guidò verso il ponte ove
dovevamo approdare. Scendemmo a terra, e tenendoci strettamente uniti, prendemmo lo stretto sentiero che conduceva alla nostra casetta.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Quando abbracciai mia moglie, augurandole
la buona notte, mi disse:
— Mi hai reso infinitamente felice, oggi; così
felice come non puoi fartene un’idea!
Quella sera rimasi alzato e pensai a lungo
ad Elsa ed a me, cosa che avevo fatto di rado in
quell’estate così piena di gioia e di felicità. Il mio
pensiero era turbato da ciò che ella m’aveva detto.
Perché s’era sentita obbligata di domandarmi se le
permettevo di credere in Dio e di pregare? Certo,
ero felice di constatare una volta di più la nobiltà
dei suoi sentimenti e la sincerità del suo carattere,
ma sentii pure il pungiglione nascosto sotto la domanda che aveva creduto suo dovere rivolgermi.
Ripassai nella memoria la nostra gioventù, tutta piena di gioia e d’amore. Il mio sogno era stato
di portarla sulle braccia attraverso la vita; credevo di averlo raggiunto, ed ecco che un grido del
suo cuore mi rivelava a un tratto che aveva forse
sanguinato a lungo prima ch’ella avesse il coraggio di lasciarmi vedere la sua sofferenza. Pareva
ella avesse paura di me, o delle mie critiche, o di
tutt’e due queste cose, e davanti alla mia mente
si ergeva imperiosa la domanda:
— Perché? perché?
Sapevo di non poterle domandare spiegazioni.
Ella si sarebbe accontentata di gettarmi le braccia
al collo e di dirmi:
— Da te non ho mai ricevuto che del bene!
Mi pareva di sentire il suono della sua voce,
che assumeva come un tono di fanatismo, quan61
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
do diceva questo. Sì, sapevo quale sarebbe stata
la sua risposta, e sapevo pure ch’ella era di una
sincerità e di un’integrità tali, che le sue parole
sarebbero state lo specchio stesso della verità.
Ma questo pensiero non bastava a tranquillizzarmi, e sempre s’alzava davanti a me l’idea che, senza volerlo, l’avevo inquietata e tormentata.Avevo
un bel ricordare l’esplosione della sua gioia e
della sua gratitudine; esse erano evidentemente in contraddizione con le sue parole, ed io ne
soffrivo dolorosamente. Mi misi a ripassar nella
mente tutta la nostra vita in comune, a ricordarmi fin nei minimi particolari le intime conversazioni ed i lunghi colloqui in cui scambiavamo le
nostre idee su tutti gli argomenti. Mi fu impossibile ricordare una sola mia parola per cui ella
potesse pensare che la sua fede fosse divenuta
oggetto della mia critica o della mia ironia. Eppure mi sentivo colpevole, e questo senso di una
colpa, che avevo dovuto commettere senza saper né come né quando, mi faceva male al cuore.
Quando andai in camera per coricarmi, vidi
con sorpresa che mia moglie era ancora sveglia,
e quando mi fui disteso vicino a lei, si chinò semplicemente verso di me e mi baciò la mano.
Non avevo mai visto il suo viso raggiante di
una felicità più completa.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
XI
Finalmente venne il giorno atteso con tanta
impazienza, in cui doveva nascere il nostro bambino, e la felicità doveva definitivamente prender posto con lui al nostro focolare.
Questa prospettiva aveva contribuito molto a
farci passare delle vacanze tanto felici negli Schären, almeno me ne rendo conto ora, poiché tante
cose che mi sembravano allora semplicissime e
naturalissime assumono un carattere straordinario.
Infatti, io ero in quel tempo assai lungi dal
sospettare tutto ciò che mia moglie attendeva
dalla venuta di quel piccolo essere. Due bimbi
ci erano già nati; Elsa mi aveva dato numerose e
commoventi prove della felicità che prova una
madre nell’attesa della sua prossima maternità.
Sono dei ricordi che restano per sempre scolpiti
nella memoria di un marito che ama la propria
moglie. Ma non avevo mai visto Elsa attendere il
grande evento con una simile pienezza di gioia
e di felicità; non l’avevo mai vista andare e venire per la casa con un simile splendore di intima
gioia nel volto. Durante il buio autunno che ci
accolse, al nostro ritorno dagli Schären, nella città oscura e triste, battuta da scrosci ininterrotti
di pioggia, la nostra esistenza non fu, per merito
suo, che un lungo ed unico giorno di festa.
Avevamo già due maschi, ed era naturale che
chiamassimo «la bimba» l’esserino che doveva
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
venire. Vivevamo nell’attesa di lei, non pensavamo che a lei, parlavamo di lei senza posa, e un
giorno, quando tornai a mezzodì dall’ufficio, mia
moglie mi disse:
— Arriva il mio buon angelo, Giorgio! Ella mi
salverà!
Avevo vissuto così a lungo senza pensare che
un pericolo qualsiasi potesse minacciarci, che
dapprima non compresi le sue parole.
— Salvarti? — ripetei macchinalmente. — Da
che cosa?
Il suo viso assunse un’espressione singolare,
strana: si sarebbe detto ch’ella si ripiegasse su se
stessa, per rendersi conto del come due esseri
che si adoravano potessero differire così nel loro
modo di sentire.
— Hai già dimenticato com’ero quest’inverno?
Non capivo ancora, o non volevo capire.
— Credevo fosse passato — replicai.
— Credi forse che qualcosa possa mai esser
passata? — mi rispose. Ed aggiunse: — Forse il
piccolo essere che sta per venire potrà ottenere
ciò che non è possibile a nessuno al mondo!
Ho pensato sovente, dopo, a questa breve conversazione, ed ho invano cercato di comprendere come mia moglie avesse potuto parlare e
sentir così, quando l’avevo vista completamente
felice durante la nostra villeggiatura negli Schären. Come era possibile che, in mezzo alla felicità
che la trasfigurava tutta, potesse nascondermi il
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
germe di una disgrazia che doveva abbattersi su
tutta la nostra vita e spezzarla? Viveva essa una
doppia esistenza? Poteva camminare così nella
luce, mentre sentiva che la notte le era vicina?
Oppure quei timori e quei tristi presentimenti,
che mi aveva ora manifestati, non erano che la
conseguenza del suo stato fisico?
Cercai di rassicurarmi, adottando quest’ultima ipotesi, ma non vi riuscii che imperfettamente, e l’intera esistenza di mia moglie mi apparve
da allora in una luce completamente diversa da
quella in cui l’avevo vista prima; era come trasfigurata ai miei sguardi. In quanto a me, avendo
aperto gli occhi, mi misi ad amarla con una tenerezza più viva ed a portarla sulle braccia come
un essere posto al disopra della mia stessa vita.
Dopo grandi sofferenze, Elsa diede alla luce
un piccolo essere, al quale ella rivolse parole che
nessuno aveva diritto di ascoltare.
Ma la bimba non venne, e al suo posto avemmo un maschietto, che ebbe il nome di Sven.
65
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Parte Seconda
I
Il piccolo Sven crebbe accarezzato e adorato
da tutti. Aveva lunghi capelli d’oro, e sua madre,
in memoria della bimba che non era venuta, aveva l’abitudine di arricciarglieli; i riccioli incorniciavano il suo fine visetto, in cui brillavano due
occhi d’angelo, di meravigliosa bellezza. Mai
bimbo ebbe occhi più grandi e più profondi, con
uno sguardo così precocemente meditabondo;
mai bimbo ebbe una manina più delicata e fiduciosa, che s’insinuava in quella dei grandi, come
sapesse ch’egli era dappertutto al sicuro, poiché
ignorava che cosa fosse il male.
Sven era l’idolo del fratello maggiore, ed era
commovente veder questo, a cui piaceva far già
l’ometto e che, perciò, stava volentieri sulle sue,
tirarlo in una carrozzella, godendo della felicità
del piccino, tutto raggiante di gioia, e voltandosi
di continuo per veder che non cadesse. E non
era meno commovente veder Svante far lo stesso. Svante era tanto più felice di proteggere Sven,
in quanto, nei suoi giochi con Olof, questo, come
maggiore, gli imponeva sempre la sua volontà.
Sven era così piccolo vicino ai suoi fratelli, per i
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
quali aveva un’ammirazione profonda e che seguiva dappertutto, che per noi restò sempre «il
fratellino». Non stava in sé dalla gioia quando vedeva tutta la famiglia riunita intorno a lui, perché
gli avevamo procurato un piacere qualsiasi. Faceva risuonare allora, attraverso tutte le stanze, la
sua voce sonora e il suo riso argentino; si correva
per vedere i suoi occhi scintillanti, le sue manine bianche, tese, nella gioia, a tutti, e tutto quel
raggiar di felicità infantile che riscaldava il cuore.
Perché mai non scrissi allora la storia del piccolo Sven! Avrei potuto mostrarne ogni pagina
a colei che conosceva la trama della sua troppo
breve esistenza assai meglio di me, assai meglio
di chiunque al mondo.
Ella ricordava ogni sua parola e perfino il minimo particolare del libro della sua vita. La sua
esistenza si era completamente identificata con
quella del suo bimbo, anche quando la morte
aveva chiuso per sempre i cari piccoli occhi, e
non potè rassegnarsi a vivere dopo che egli ci
ebbe lasciati. Ella avrebbe riempito del suo spirito tutto il racconto, che ne sarebbe divenuto
soggettivo e palpitante, come si fosse trattato di
un bimbo ancor vivo.
Si divertiva accanto a lei per intere mattinate;
mentre Papà era al suo lavoro e i fratelli maggiori studiavano, rimaneva seduto sul pavimento di
legno, vicino a Mamma, e l’ascoltava raccontare
le storie delle fate. Mamma ne sapeva molte, ma
quella ch’egli preferiva era la storia di Cappuc68
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cetto rosso, che doveva andare dalla sua nonna e
che fu divorata dal cattivo lupo. Era così sconvolto quando pensava alla triste sorte della piccina,
aveva così paura dell’atroce lupo e l’odiava tanto
di cuore, che voleva crescer presto per partire
alla sua ricerca ed ucciderlo.
In seguito, la Mamma e lui inventarono dei
giochi. Immaginavano, per esempio, che Sven
partisse per un viaggio e restasse a lungo assente, mentre la Mamma rimaneva sola ad attendere
il suo ritorno. Poi Sven ritornava, ed era una gioia
tale, che Mamma era obbligata a lasciare il suo
lavoro, a prenderselo sulle ginocchia ed abbracciarlo a lungo a lungo. Giocavano anche a tanti
altri giochi.
Avevamo dato a Sven molti soprannomi. Lo
chiamavamo il fratellino, Ninin, invenzione sua,
e Fratzi, e tesoro, ecc. Egli conosceva tutti i suoi
nomi, sapeva enumerarli e ne era assai fiero. Il
piccolo Sven giocava assai di rado con altri bambini e non rimaneva mai a lungo con loro.Tornava sempre dalla Mamma, come se fosse la cosa
più naturale del mondo, preoccupandosi ben
poco se la sua partenza interrompeva il giuoco e
se faceva stizzire gli altri bimbi.Appena scorgeva
la Mamma, lasciava ogni cosa, le prendeva la mano e la seguiva dappertutto. Era una tenerezza, di
cui è impossibile farsi un’idea; e non si raffreddò mai, perché colei che ne era l’oggetto ne era
troppo felice per trovar che la stancava. Sven e
Mamma avevano i loro piccoli segreti, e quando
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
egli le mormorava qualcosa all’orecchio, neppure Papà aveva il diritto di ascoltare; se faceva
finta di tender l’orecchio, solo per far disperare
Sven, questi gridava:
— No! non deve ascoltare! Non voglio! Diglielo, Mamma!
E Mamma prendeva le parti del suo tesoro, allontanando Papà, di modo che il piccino poteva
mormorarle all’orecchio tutto ciò che aveva da
dirle, e quando aveva finito, esclamava con aria
trionfante:
— Vedi, che ad ogni modo non hai sentito!
Poi prendeva la Mamma per mano e rideva della
sconfitta di Papà. Chiamava questo: «canzonare
Papà» e nulla poteva divertirlo altrettanto.
Li vedo ancora tutt’e due, tenendosi per mano, camminare per il lungo sentiero che conduceva alla siepe di serenelle; oppure passeggiare
d’inverno sotto gli alberi spogli, Sven, avviluppato nel suo mantello di pelliccia, di cui era assai
fiero, perché era stato tagliato in uno vecchio
della Mamma. Sarebbe stato difficile decidere
quale dei due avesse più cose da dire all’altro.
Se qualche volta, dopo averli guardati a lungo,
provavo il bisogno di unirmi a loro, Sven diventava geloso e la sua bocchina faceva una smorfia
tale, che Mamma era obbligata a sgridarlo per
la sua attitudine verso il capo della famiglia, e
di ricordargli quanto fosse buono Papà: Sven ne
conveniva a malincuore. Mentre camminavamo
insieme, egli, di nascosto, faceva alla Mamma dei
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
cenni d’intesa, che Papà non doveva vedere, felice di constatare che nessuno poteva oltrepassare il magico cerchio della loro segreta intesa, da
lui tracciato intorno all’oggetto della sua tenerezza e intorno a se stesso.
Ma quando Papà doveva tornare dalla città,
il piccolo Sven si teneva nascosto dietro la porta ed attendeva per fargli paura. Si rannicchiava
molto tempo prima del presumibile ritorno di
Papà, ed usciva ad ogni momento dal suo nascondiglio per domandare a Mamma:
— Credi che Papà avrà molta paura?
Naturalmente Mamma lo credeva, e la prospettiva di far molta paura a Papà metteva Sven
al colmo della gioia.
Quando finalmente Papà arrivava e si fermava
nel corridoio per scuotere la sabbia dalle scarpe,
Sven s’avvicinava adagio adagio, senza più ricordarsi di spaventarlo, e rimaneva piantato davanti
a lui, sorridendo a se stesso, come se fosse certo
che Papà non poteva vederlo senza provare una
grande gioia. E avanzava a piccoli passi, come volesse godersi l’impazienza di Papà di stringerlo fra
le braccia, poi si sospendeva al suo collo, e si faceva portar così in sala da pranzo, mentre il cagnolino di casa saltava intorno a noi e abbaiava di gioia.
Vedo ancora l’espressione degli occhi di mia
moglie quando guardava questa scena:
— Se tu sapessi come gli parlo di te! — mi
diceva, quando Sven permetteva a Papà di sciogliersi e acconsentiva a cedere il posto a Mamma.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
II
Sven era stato sempre l’amico intimo di Fox,
il nostro bulldog, e aveva ottenuto il diritto di
far di lui ciò che gli piaceva. Poteva pizzicargli
le orecchie, tirargli la coda, che era assai corta,
coricarsi su di lui e fargli tenere le posizioni più
incomode. Il solo dispiacere che ne mostrasse
Fox era un certo stupore col quale aveva l’aria
di chiedersi perché dovesse subire tutte quelle
familiarità, e la fretta con cui si coricava, senza
brontolare tuttavia, in un altro posto, nella speranza affatto illusoria che il suo gentile piccolo
tiranno si sarebbe stancato di tormentarlo.
Ma quando Sven usciva in cortile, Fox lo seguiva e non lo lasciava un attimo. Proteso il muso
corto, diviso in due, esso rimaneva là e guardava
Sven, che riempiva lentamente e delicatamente
di sabbia una scatoletta di latta, oppure — divertimento assai meno innocente — andava a pasticciar nella vasca. Fox lo seguiva sempre, e se
un forestiero qualsiasi si avvicinava, osservava i
suoi gesti con aria diffidente, pronto a intervenire, se le circostanze lo esigevano.
Sven e Fox, del resto, preferivano far società
da soli, e più d’una volta avevan riempito la casa
di spavento, scomparendo senza che si sapesse
dove fossero andati; si disperava già di ritrovarli
vivi, quando a un tratto si vedevano ricomparire,
come se nulla fosse, tutt’e due sorpresi dell’ansia
di cui erano stati causa.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Non sarebbe giusto dire che Sven era precisamente quel che si chiama un bimbo disobbediente; pure non era sempre facile fargli intender ragione. Quante volte la Mamma gli aveva
promesso la frusta, se si fosse permesso ancora
di andarsene per suo conto, e quante volte la
Mamma aveva affermato che avrebbe fatto passare un brutto quarto d’ora a chi avesse avuto
l’audacia di far male a Sven.
Ma il ragazzino non si lasciava commuovere
né dalle esortazioni né dalle minacce, e davanti
all’esplosione di gioia della Mamma per averlo
ritrovato vivo dopo una delle sue fughe abituali,
rimaneva stupito, quasi se non riuscisse a capire
come potessero loro due non esser dello stesso
avviso in qualche cosa.
— Via, non c’è da temer nulla! — diceva Sven;
— Fox era con me.
Mamma non voleva dir male di Fox, ma si
sforzava di far comprendere al piccolo che v’era
pur una differenza tra Fox e un uomo. Ella gli
diceva tutto quel che le veniva in mente per convincerlo; egli le gettava allora i braccini al collo e
le prometteva di non scappar più, per non farla
più stare in ansietà.
Ma quando era solo, perduto nei suoi pensieri, mentre di fuori fioriva la primavera, e nel
cortile l’acqua correva nei rigagnoletti, Sven dimenticava tutto al mondo, eccetto una cosa, cioè
ch’era un ometto e che aveva voglia di fare un
giro lontano, nel bosco.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Chissà a che pensava in quei momenti e se si
rendeva conto di essere disobbidiente? Egli va,
chiacchierando con se stesso, e Fox lo segue; arrivato alla porta del muricciolo, la trova aperta;
deve per forza oltrepassarla e dare un’occhiata
fuori, sul mondo che l’attira e lo invita ad andare
a lui. Allora, dall’altra parte della strada maestra,
lassù, lungo il pendìo del fosso, scorge le primule
gialle, che brillano chinandosi sulla terra grigia, e
s’arrampica sul pendìo, equilibrandosi sulle sue
gambette. Ma ecco che si trova a due passi dal
bosco, e la tentazione di entrarvi è troppo forte;
vi penetra e passeggia fra gli abeti dai tronchi
giganteschi e nodosi, che formano una volta sul
suo capo; i raggi del sole scherzano sul muschio
e nei cespugli, i primi usignoli intonano le loro
melodie. Un topolino fugge velocemente tra le
pietre e Sven lo rincorre. Penetra sempre più nel
bosco e arriva ad un piccolo stagno, in mezzo a
cui crescono alberi con dei fiori tanto graziosi.
Non può giunger a quei salici, perché si infangherebbe e si bagnerebbe i piedi. Ma può però
lanciar qualche sasso nello stagno, sentir come
fa «pluf » cadendovi dentro e vedere i gran circoli che si formano sulla superficie dell’acqua. Fa
anche questo, e questo l’occupa per un bel po’.
Le guance gli si arrossano e gli occhi gli brillano dalla gioia. Sempre più entusiasta, discende
fino ad una prateria, su cui sorge il castello reale.
Quando è arrivato sulla strada, si prende le gambe
in spalla e corre quanto può; finalmente si trova
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
davanti alla cancellata d’ingresso e si rende conto
che non è più tanto lontano da casa. Ne è felice,
perché riconosce la sua via e Fox gli fa comprendere, con i suoi lamenti e con i moti disordinati
della coda, che desidera rincasare. A un tratto è
preso dal desiderio irresistibile di riveder la Mamma e si ricorda dei fiori gialli che ha in mano.
Con lentezza e gravità si dirige verso casa, e
forse ora si ricorda vagamente che non avrebbe
dovuto allontanarsene. Ma una cosa Sven non
sa e non saprà mai, cioè da quanto tempo sta
vagando. Per lui, parecchie ore ed un minuto è
assolatamente la stessa cosa.
Ma nel momento in cui attraversa il prato e
si rimette a trottare per giungere in fretta presso
la Mamma a farsi accarezzare ed abbracciare e
a raccontarle quanto si è divertito, Sven si spaventa, perché sente da ogni parte intorno a lui
della gente che grida. Sono Papà e Mamma, Olof
e Svante, i due domestici ed altri ancora, pensa
Sven. Essi chiamano, uno più forte dell’altro, uno
in una direzione, uno nell’altra. Sven è tutto stupito, e non sa da che parte guardare o ascoltare;
a un tratto si sente sollevato da terra e trasportato da qualcuno, che corre più presto che può, e
prima ancora che si sia rimesso dallo stupore, si
trova nella sala da pranzo, dove Mamma lo riceve
fra le braccia e lo stringe così forte contro di sé,
che quasi lo soffoca.
Sven sa benissimo che non deve mai aver
paura di Mamma, ma questa volta anche il suo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
coraggio l’abbandona, perché sa ch’ella gli ha
promesso la frusta; e quando scorge Papà ha proprio paura, perché Papà ha lo sguardo severo e
gli dice con tono ancor più severo:
— È inutile, Sven, bisogna che vada a prender
la frusta: so che Mamma te l’ha promessa.
Sven non sa più a che santo votarsi e nel suo
smarrimento chiede ai fiori d’intercedere per lui
e li presenta a Mamma.
Ma anche questo è superfluo. Mamma si è
tanto spaventata per la sua scomparsa, ed è così felice di averlo ritrovato, che si contenta di
prenderlo fra le braccia, e mezzo ridendo, mezzo
piangendo, si lascia accarezzare da lui; finalmente accetta i suoi fiori, li mette in un vasetto verde
e fa vedere a Sven come brillano al sole. Allora
Papà rinunzia ad ogni idea di castigo, e sentendosi inutile, ritorna nel suo studio.
Quando Mamma rimane sola con Sven, lo
prende sulle ginocchia, e gli racconta, sotto forma di storia delle fate, l’inquietudine e la paura
che le ha causato. Gli racconta di aver creduto
che Sven si fosse rotto una gamba, fosse steso in
qualche punto del bosco e che lei non lo avrebbe più ritrovato che morto; oppure ch’egli fosse
caduto nell’acqua, ove lo si sarebbe trovato annegato, e Papà, e Mamma, e i fratelli grandi non
avrebbero più potuto esser felici per tutta la vita.
Sven ascolta sempre, ma in tutte queste storie capisce solamente che Mamma è per lui più buona
di tutti.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
A sua volta, Sven racconta a Mamma ciò che
ha fatto e ciò che ha veduto, come s’ è divertito
e fin dove è andato. Le parla del topolino, degli
uccelli, dello stagno e dei sassi che vi ha gettato
dentro; tutti e due finiscono col riconciliarsi in
un bacio e si abbandonano alla gioia di essersi
ritrovati.
Dopo questo Mamma conduce Sven allo scaffale tutto pieno di belle cose, con le quali ha il
permesso di giocare quando è stato molto buono.
Fra gli oggetti che guarniscono lo scaffale, si
trovava un cagnolino bianco, di porcellana, che
aveva una nappina sulla coda e portava una pantofolina nelle fauci. Era assai vecchio e apparteneva, del resto, non a Mamma, ma a Papà, che
l’aveva avuto da sua madre, a cui l’aveva regalato
la madrina quand’ella aveva due anni.
Sven non conosceva al mondo nulla di più
bello, e Mamma, nella gioia del suo cuore, toglieva il cagnolino dallo scaffale e lo dava a Sven, in
luogo delle frustate. Ma egli non voleva toccarlo
e diceva:
— Non voglio prenderlo, perché potrei romperlo, e a Papà rincrescerebbe.
Non dimenticava mai che apparteneva a Papà e ne parlava sovente, quando avevamo visite.
Diceva:
— Mamma me lo diede il giorno in cui ritornai, dopo esser fuggito nel bosco. Me lo regalò,
perché era molto contenta di rivedermi.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Mamma giustificava il suo sistema d’educazione, contro tutte le critiche che si potevano
rivolgerle, sollevandolo in aria e facendolo vedere a tutti.
Benedetta sia lei! Aveva ragione.
III
Passò un intero anno senza che ce ne fossimo
accorti. Ma in quel tempo Elsa incominciò ad essere molto sofferente e sapevamo tutt’e due, pur
non avendone parlato insieme, che v’era una sola soluzione possibile. Già un’altra volta, qualche
anno prima, il ferro del chirurgo aveva dovuto intervenire energicamente per salvarla dalla morte, ed i sintomi che si presentavano ora ci erano
anche troppo noti. Così non fummo per nulla
sorpresi quando sentimmo il medico dichiarare
che solo un’operazione immediata avrebbe potuto conservarla a suo marito e ai suoi bimbi.
Quel giorno errammo per la nostra casa come se una sentenza di morte ci avesse colpiti, e
vedevo che Elsa si congedava da ogni cosa.
Per la prima volta compresi quanti fra i suoi
pensieri più intimi aveva nascosti a me, come a
tutti, a che punto l’idea della morte le era familiare, come la certezza di morir giovane la rodeva
e la consumava lentamente. Il suo colorito era
diventato livido e le sue mani eran bianche come cera; ella andava e veniva; vedevo che aveva
paura di me.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Allora, per la prima volta, mi pregò di permetterle di morire. Per la prima volta parlò di tutto
ciò che aveva sopportato, del suo segreto doloroso, che avevo tentato di strapparle e che lei
aveva avuto la forza di non lasciarmi che oscuramente presentire.
— Fin dalla mia più tenera infanzia, — mi disse, molto tempo prima che ci conoscessimo, —
il pensiero che sarei morta giovine m’era familiare. Poi trovai te e dimenticai tutto. Poiché tu
m’hai resa infinitamente felice, Giorgio; ti devo
una felicità più grande di quella che non potrò
mai procurarti.Tu m’hai dato i miei tre figli, i due
grandi e il piccolo Sven. Ed io che posso essere
per te, per loro, per voi tutti? Sono così malata e non guarirò mai! Tu dovresti dimenticarmi,
Giorgio! Ah, so che mi piangerai, perché mi ami,
quantunque sia sempre stata debole e delicata
e di poco aiuto per tutti. Ma bisognerà, ad ogni
modo, che tu mi dimentichi. Ne troverai un’altra,
che avrà cura di te e dei bambini.
Di nuovo mi pregò di permetterle di morire
e di lasciarle passare in pace le poche settimane
che aveva ancor da vivere. Non voleva a nessun
costo morire sulla tavola d’operazione, ma era
rassegnata ad andarsene e domandava una cosa
sola: di vivere con le sue sofferenze fino a che
avesse il tempo di preparare i bambini all’inevitabile e di congedarsi da loro.
Tutto questo era piombato su di me con una
rapidità tale, che non ebbi neppure la forza di
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metter ordine nei miei pensieri, ed ancor meno
di risponderle qualsiasi cosa. Sentivo oscuramente che, se avessi tentato d’intervenire, avrei impegnato un combattimento superiore alle forze
e alle sofferenze umane. Provavo lo scrupolo che
ho sempre sentito quando si è trattato di toccare
ciò che costituisce il possesso intimo e intangibile di un altro essere. Ora, se v’ è un problema
la cui soluzione appartenga soltanto a chi è in
pericolo di vita, è precisamente quello di sapere
se vuol sottomettersi a una morte inevitabile, oppure se acconsente a subire un combattimento
terribile, il cui risultato sarà forse la guarigione.
Quale la vedevo, mia moglie mi appariva nello
stesso tempo molto vicina e molto lontana da me.
La sua preghiera di poter morire era così commovente e così seria, che non ebbi il coraggio di
chiederle di vivere per amor mio. Compresi con
stupore ch’ella poteva lasciar tutto ciò che amava, perché vi era preparata. Ma sentii nello stesso
tempo, con tutta la forza della disperazione, che
non potevo perderla. Non lo potevo! Nella mia
disperazione, invocai il solo argomento che mi
venisse in mente, le dissi semplicemente:
— E Sven? Puoi abbandonare Sven?
Ella trasalì, come se avesse ricevuto un colpo
di scure, e si torse le mani disperatamente.
— No, no! Non posso!
Si diresse, barcollando, verso la camera da letto, e mi pregò semplicemente di lasciarla sola. La
sentii chiuder la porta a chiave, e rimasi seduto
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
sulla mia sedia, col sentimento che tutto il nostro passato comune era morto, svanito, e che
ora ella stava per lasciarci. Mi resi conto che se
ella non partiva non era per me, ma per il bimbo
dai capelli d’oro e dagli occhi meravigliosi, per
il piccolo angelo che era venuto e che l’aveva
fortemente incatenata alla vita. Vidi tutto questo
ben chiaramente, ma non ne fui offeso. Trovai
naturalissimo di non poterla trattenere da solo.
Chinai il capo e piansi, piansi per la prima volta su di me e sulla mia vita. Non credevo e non
attendevo più che una cosa, cioè che i giorni sarebbero corsi ormai immutabilmente calmi, fino
al momento in cui l’inevitabile sarebbe avvenuto
e finalmente la morte avrebbe annientato tutto
ciò per cui avevo vissuto. Non saprei dire quanto
tempo rimanessi là, perduto nei miei pensieri; so
soltanto che la notte era sopraggiunta e che fui
bruscamente risvegliato dai miei sogni, sentendo
che mia moglie era inginocchiata davanti a me
e appoggiava il capo contro il mio braccio. Era
entrata così dolcemente, che non l’avevo sentita;
mi disse, con una voce in cui non era più la minima traccia di agitazione:
— Voglio vivere per te, Giorgio, per Sven e i
nostri due grandi!
Conoscevo la sua voce, quando diventava
così calma e profonda, come se tutto in lei tacesse, tranne la sua tenerezza. Compresi che la
sua risoluzione era ora irrevocabile, ch’ella ci apparteneva o voleva nuovamente appartenerci, e
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un’onda di ardente gratitudine per lei e per la
vita intera mi gonfiò il cuore. Rimanemmo a lungo nella stessa posizione, poi ella si alzò e accese
la lampada.
Chiamò i bambini, che vennero tutt’e tre,
silenziosi e stupiti, e non avemmo da dar loro
nessuna spiegazione. Avevano compreso tutto,
ciascuno a suo modo; avevano parlato insieme,
come noi; sapevano che la vita della loro Mamma era in gioco e ch’essa l’arrischiava per poter
viver con loro.
Sven si arrampicò sulle ginocchia di Mamma
e si rannicchiò contro di lei.
I nostri occhi erano pieni di lacrime, eppure
non potemmo trattenerci dal sorridere quando
lo sentimmo dire:
— Non voglio che Mamma muoia e che lasci
«Fratzi».
Fratzi era uno dei soprannomi che gli avevamo dato. Queste parole furon quasi per noi una
promessa di vita e ci rassicurarono.
Ma quando i bambini furon coricati, Elsa ed
io facemmo, con le braccia intrecciate, il giro
della casa. E vidi che di nuovo ella si congedava
da tutto, ma in modo diverso da quel che aveva
fatto qualche ora prima. L’indomani ella doveva
entrare in clinica.
Al mattino, quando uscii prestissimo dalla nostra camera, trovai Olof seduto sulla poltrona,in
faccia all’uscio.
— Sei qui da molto tempo ? — gli chiesi.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Sì, — rispose il ragazzo semplicemente.
Era rimasto seduto là e aveva pensato a sua
madre e alla disgrazia che minacciava di piombare su di noi. Per la prima volta fui colpito di vederlo già grande, e gli presi la mano, come fosse
un mio amico e avesse avuto la mia età; i muscoli
del suo viso trasalirono, ma gli fu impossibile di
pronunziare una sola parola.
Poco tempo dopo, quando fummo seduti in
vettura, si era ripreso; salì ancora sul predellino
vicino a sua madre, le accarezzò la guancia e le
disse, come si parla a un bimbo che si vuol tranquillizzare:
— Non aver paura, Mamma, tutto andrà bene.
Svante pure s’avvicinò alla vettura e il piccolo Sven fu sollevato in alto; egli chiacchierava
e scherzava senza posa. In quel momento Elsa
non sapeva quale di noi amasse di più, ma per la
strada, la nostra conversazione ricadeva sempre
sul nostro ragazzo grande, che per la prima volta
aveva sentito e parlato come un uomo.
IV
L’angelo della morte passò anche questa volta
presso la nostra casa senza entrarvi, ma le sue ali
ci avevano sfiorato così da vicino, che la prova
per la quale passammo allora lasciò per lungo
tempo, in realtà per sempre, la sua impronta su
tutta la nostra vita. Pure la felicità entrò da noi
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ancora una volta, ma era una felicità più grave
e come annebbiata. Avemmo la gioia di vederla
ritornare in mezzo a noi, ella ch’era la gioia e il
raggio di sole della nostra vita giornaliera. I nostri figli ci diedero il benvenuto al nostro ritorno, il piccolo Sven si arrampicò fra le braccia di
Mamma, si strinse forte a lei, e il suo viso aveva
un’espressione maliziosetta e insieme raggiante
di gioia.
— Vedi, Mamma, che avevo ragione? Non sei
morta e non hai abbandonato il tuo Fratzi.
V’era una tale espressione di trionfo sul suo
viso, che si sarebbe detto ch’era persuaso d’aver
lui salvato sua madre, ed io aggiunsi, per far sorridere tutti:
— Io credo che ti immagini di esser stato tu a
guarire la Mamma?
—È la verità — rispose mia moglie.
Di nuovo vidi sul suo viso quell’espressione
che mi pareva strana una volta e che incominciavo sempre più a comprendere. Ella si strinse
dolcemente il bimbo fra le braccia, mentre le
scendevano due grosse lacrime. Poi mi tese la
mano e disse:
— Sono così felice di ritrovarmi in casa nostra!
Mi fu impossibile risponderle. Mi contentai di
guardare il gruppo ch’era davanti a me, sapendo
di aver lì la felicità, che poche settimane prima
avrei appena osato sperar di trattenere. Pure, in
fondo al cuore sentivo una malinconia segreta,
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
come il lontano presentimento di una solitudine
senza speranza.
V
Ricordo la primavera che seguì queste angosce come un oceano di fiori che venne a riempire e profumare tutta la nostra casa. Dappertutto ove c’era un posto libero se ne trovavano a
profusione. Mamma e Sven andavano a cercarli, e
sarebbe difficile dire chi dei due li amasse di più.
Li vedo ancora attraversare, uno accanto all’altra, il cortile grande e dirigersi verso la veranda
aperta con dei veri fasci di serenelle o di rose
sulle braccia, con le gote rosse, parlando e ridendo insieme.
I capelli di Elsa erano neri quanto quelli di
Sven eran biondi, ma la madre e il bimbo avevano gli stessi occhi azzurri e profondi. Formavano
il più assoluto contrasto, eppure si rassomigliavano più di quanto si rassomiglino solitamente
una madre e il suo bambino. Si identificavano a
tal punto, che sembravano fatti per esser sempre
riuniti, per aver sempre le braccia piene di fiori e
camminare insieme attraverso la vita, con le mani unite e gli occhi negli occhi. Era impossibile
vederli insieme senza averne il cuore riscaldato,
e quest’impressione che producevano sugli altri mi rendeva ancor più prezioso il tesoro che
possedevo.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
La vita non m’era mai parsa così piena, così
ricca come in quel tempo. Tutto preso dall’ora
presente, dimenticai di nuovo le tristezze recenti e gli oscuri presentimenti che mi avevano
oppresso. Mi pareva che tutte quelle prove non
avessero avuto altro scopo che di farmi maggiormente apprezzare la presente felicità. Godevo
con gratitudine ogni giornata che trascorrevo;
ero felice di poter dimenticare e avevo la convinzione che la felicità largitaci dal cielo era la
più grande che due creature umane avessero
mai conosciuto.
Credevo che mia moglie dividesse la mia convinzione, almeno per un certo tempo, poiché da
lei scaturiva questa fonte ininterrotta di felicità.
Ella era veramente tornata alla vita, si sentiva in
salute, viveva sotto grandi alberi secolari e in
mezzo ai fiori; ci aveva tutti presso di lei; nulla
turbava la sua serenità.
Tutte le sere passeggiavamo sul sentiero che
serpeggia, a perdita d’occhio, attraverso la campagna e che preferivamo, perché sapevamo di
non incontrarvi nessuno.
Intorno a noi le siringhe in fiore profumavano l’aria, mentre, al disopra delle nostre teste, nel
pallido e chiaro cielo di giugno, la falce lunare
e le stelle d’argento gettavano deboli luci e non
riuscivano a dissipare le tenebre notturne.
Quando ricordo questo periodo e gli avvenimenti che seguirono, sono stupito dell’energia
e della vivacità che avevamo. Ci pareva che una
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
semplice nube avesse, per un istante, oscurato il
nostro cielo e si fosse in seguito dissipata; tutte
le sere passeggiavamo sulla via solitaria, profondamente felici, senza che la minima ombra di
malinconia o di tristezza velasse la nostra felicità.
Tutte le nostre passate tristezze erano dimenticate, seppellite. Certo, non era la felicità inconsapevole, la cieca e serena fiducia della gioventù
non ancora messa alla prova. Era infinitamente
di più! Era l’armonia calma e profonda che si stabilisce fra due cuori che hanno sofferto e vinto
insieme, una felicità che nulla può turbare o distruggere, perché le sue radici sono infitte nelle
profondità stesse dell’anima di questi due esseri,
che ne formano uno solo. Noi sapevamo in quel
momento che non desideravamo, né sognavamo
nulla più di quanto possedessimo.
In periodi dell’esistenza come questo, avviene sovente che uno dei due ricerchi la solitudine per asciugar le sue lacrime di gioia, poiché si
vergogna, quasi, di far vedere all’altro fino a che
punto è felice. Non vi sono più giardini segreti
che si coltivino di nascosto, più sogni né immaginazioni malate, più desideri nascosti che, soddisfatti, potrebbero aumentare una felicità così
alta ed infinita! Tutto ciò che i poeti han sognato
e cantato si trova raggiunto, ma nessuna poesia
umana è atta ad esprimerne tutta la ricchezza e
tutta la pienezza, e credo che solo esperienze di
questa natura possano rendere sacra l’unione di
un uomo e di una donna.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Questo noi sentivamo in quelle tiepidi notti di
primavera, in cui le nostre passeggiate terminavano sempre allo stesso punto, davanti al letto dei
nostri bambini. Non parlavamo affatto di ciò che
sentivamo, ma una sera mia moglie mi chiese:
— Da quanto tempo siamo sposati?
— Perché mi domandi questo, tu, che ricordi
così bene le date?
— È possibile che sia da più di dieci anni? È
possibile che siamo così vecchi?
— Forse questo ti rattrista? — le risposi sorridendo.
Ella si strinse a me e mi prese il braccio.
— Vi fu un tempo in cui avevo il terrore di
diventar vecchia, e l’ho ancora, — mi disse. —
Ma non comprendo come certa gente possa dire
che in gioventù si ama meglio e si è più felici.
Devono esser persone che non sanno amare!
Arrischiai un’obiezione, ma Elsa m’interruppe e si mise a parlar di altro. Parlò di amici che
ci erano affezionati, di conoscenze che frequentatavamo e contestò che potessero esser felici.
Raccontò degli episodi della loro vita, citò cose
che avevano fatto e detto, fermandosi in particolare a quelle che non avevano né fatto né detto,
e concluse in questi termini:
— Credo che gli uomini del nostro tempo
abbiano dimenticato di amare. Sono assorbiti da
troppe preoccupazioni futili.
Ero sorpreso di sentir mia moglie parlar così,
poiché non aveva l’abitudine di occuparsi degli
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
altri, quando era con me. Cercai di prender la
difesa dell’umanità e riuscii anche a farle confessare che vi erano delle felici eccezioni.
Ma rispose a tutte le mie obiezioni come se, in
realtà, non ascoltasse ciò che dicevo; e seguendo
il filo delle sue idee, dopo un momento mi chiese:
— Perché noi, tu ed io, siamo più felici degli
altri?
Diceva questo con profonda serietà, come cosa riconosciuta e fuor di dubbio.
— Trovo che tutti gli altri sono infelici, quando li paragono a noi due.
Sorrisi alla sua intransigenza, mentre le sue
parole mi riempivano il cuore di gioia.
— Perché hai bisogno di far dei paragoni? —
replicai.
— Perché ciò mi rende felice, — e, ritta in
faccia a me, con gli occhi fissi nei miei, aggiunse:
— Lasciami dirti questo ora, perché non ne
troverò forse mai più l’occasione. Provo un’impressione singolare quando ripenso ai primi
tempi della nostra unione. Mi figuravo allora di
amarti e di esser felice. Era solo perché non sapevo nulla e non capivo nulla. Ma ora so che cosa
vuol dire amare ed esser felice, e ti voglio dire
tutta la gratitudine che mi trabocca dal cuore.
Prima che fosse stato possibile di impedirglielo, ella mi aveva afferrato la mano sinistra e l’aveva baciata, e quando tentai di ritirarla, la strinse
forte e la baciò di nuovo, nel punto in cui era la
mia fede.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Nel momento in cui aveva pronunciato queste parole, v’era nel suo sentimento, come nella
sua persona, una potenza tale, che ne fui sconvolto. Senza dire una parola, la presi fra le braccia
e la baciai, con la sensazione di dare alla mia fidanzata il primo bacio; sapevo come lei che sulla
terra non v’era felicità più grande.
VI
Sven aveva trovato un compagno di giochi, e
questo fu un grande avvenimento nella sua piccola vita. Questo compagno aveva qualche mese
meno di lui, ed era una bimbetta. Tutto questo
era pieno di novità e d’incanto per lui e dava
luogo ad interminabili conversazioni tra lui e la
Mamma. La piccola Marta era venuta ad abitare
in campagna con i suoi genitori e, in principio,
Sven e lei non s’eran guardati che a distanza.
Marta era una bimbetta infinitamente dolce, con
le gote fresche e rosee, gli occhi azzurro-chiari
e lunghi capelli ondulati, che rassomigliavano a
quelli di Sven. Il riserbo non durò a lungo; Marta
venne un giorno, si sedette presso Sven e si mise
a guardar curiosamente ciò ch’egli faceva.
Sven aveva l’abitudine di giuocar da solo: aveva un giuoco che lo divertiva tanto e ch’era dei
più semplici.
Ecco in che consisteva. Usciva di casa e andava a sedersi sul prato. Giunto là, osservava col
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
più vivo interesse tutto ciò che accadeva intorno a sé, sull’angolino di terra in cui si trovava. Vi
eran delle formiche che si arrampicavano su fili
d’erba, una farfalla che si posava su di un fiore e
spiegava poi le ali per volare altrove, uno scarabeo caduto sul dorso e che bisognava rimetter
diritto perché potesse continuar la sua via, oppure qualche uccelletto che saltellava fra le zolle, in
cui cercava il cibo per i suoi piccini, e che non si
lasciava sgomentare dalla presenza del piccolo.
A volte stava semplicemente seduto sul tappeto
verde, strappava dei fili d’erba intorno a sé, li faceva scivolar tra le dita, dopo averli guardati ed
esaminati uno dopo l’altro, e li gettava via quando la sua manina era piena, per ricominciar la
sua operazione subito dopo.
Sven chiamava questo «giocar nell’erba verde» e poteva parlare a lungo su di ciò, quando
interrompeva il suo gioco e correva svelto a casa
dalla Mamma per farle il racconto di tutte le sue
scoperte.
Un giorno, dunque, in cui la piccola Marta
stava guardando Sven, seduto sull’erba, tutto assorto nel suo gioco preferito, ella gli chiese finalmente che cosa facesse.
— Non vedi che gioco nell’erba verde? — rispose Sven. E spalancò i suoi occhi stupiti.
No, la piccola Marta non lo capiva. Ma vedendo che Sven non si stancava del suo gioco,
ammise che dovesse esser qualcosa di molto
divertente e si sedette accanto a lui. Allora i
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
due bimbi strapparono insieme dei fili d’erba
e osservarono le formiche, e ciò li avvicinò talmente che, lasciandosi, si strinsero la manina,
persuasi che non avrebbero mai più potuto separarsi.
Qualche giorno più tardi, Sven era seduto
vicino a Mamma, nella sua camera, e parlava di
Marta. Non si trattava più ora d’erba o di fiori, o
di uccellini o di farfalle. Egli parlava solo di Marta, di ciò ch’ella aveva detto e di ciò che aveva
fatto e di quanto si divertissero insieme. Un giorno Mamma gli disse:
— Vuoi, dunque, molto bene a Marta?
Sven sporse il labbro inferiore e rispose:
— Tu non sai che Marta è la mia fidanzata?
— Non me l’avevi detto! — rispose la Mamma gravemente.
— Ebbene, ora lo sai, — disse Sven. — Noi
vogliamo sposarci.
— E quando volete sposarvi? — chiese la
Mamma.
— Naturalmente, quando saremo grandi — rispose Sven.
Sven era proprio felice di avere una fidanzata
sua, ed era uno spettacolo commovente quello
dei due bambini che attraversavano il cortile tenendosi per mano, mentre il sole scherzava fra
i loro ricci biondi; oppure vedere Sven che trascinava Marta nella sua carrozzina, voltandosi ad
ogni momento per guardarla. Ma avveniva anche
che litigassero; allora il viso di Sven si rabbuiava;
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
correva dalla Mamma e le diceva che Marta era
«una cattiva».
Mamma gli rispondeva:
— Eppure vuoi sposarla: allora bisognerà che
vi riconciliate e torniate buoni amici.
— Non voglio sposarla! — rispondeva Sven.
Pure, nonostante le sue proteste, si riconciliavano alla fine; si abbracciavano e giuocavano
insieme meglio di prima.
Naturalmente la Mamma adorava la fidanzata
di Sven per lo meno tanto quanto l’adorava egli
stesso; accadeva qualche volta ch’ella volesse
portar via Sven e che questo non potesse rassegnarsi a lasciar Marta; di qui il conflitto, al quale metteva fine la Mamma, prendendo ciascuno
dei fidanzati per una mano, associandosi ai loro
giochi e ascoltando le loro confidenze. Son perfino tentato di credere ch’ella parlasse con loro
dell’amore e del matrimonio, poiché nessuno
conosceva il loro linguaggio meglio di lei, ed è
probabile che, data la sua straordinaria immaginazione, ella cominciasse già a sentirsi suocera.
Disgraziatamente, non tutti prendevano altrettanto sul serio l’amore di Sven per la piccola
Marta. Olof si permetteva talvolta di canzonare il
fratellino, e tentava di porre il principio che un
vero ragazzo non s’interessa alle bambine. Svante stesso, che su questo punto aveva la coscienza meno candida, faceva valere altri argomenti e
pretendeva che Sven fosse ancor troppo piccolo
per pensare a quelle cose.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Nella sua pena, Sven cercava rifugio presso la
Mamma, la cui autorità era sovrana ai suoi occhi.
Mamma gli diceva che non doveva preoccuparsi
di ciò che i fratelli potevano pensare o dire, e
che non v’era nulla di ridicolo per lui nell’amare
Marta, quantunque non avesse ancora i baffi.
Sven trovava che gli argomenti della Mamma
avevano vittoriosamente chiusa la bocca ai fratelli e godeva la sua felicità senza curarsi delle loro canzonature. Aveva egli stesso una tal gravità
nella sua gioia, che non capiva come si potesse
scherzare su di una cosa simile e non ne faceva
nessun mistero. Se qualcuno gli chiedeva, e ciò
avveniva qualche volta, se fosse vero che aveva
una fidanzata, rispondeva semplicemente: — Sì
— e se ne andava immediatamente a giuocare
con Marta, come se volesse prendere il mondo
intiero a testimonio ch’ella era dolce e bella, come dev’essere una fidanzata.
La sua attitudine era tale che non si pensava
a sorridere, e i suoi fratelli stessi finirono col lasciarlo in pace.
Ma un giorno a Olof venne in mente di dirgli
che aveva i capelli come una bimba e che questo
era ridicolo per un fidanzato.
Questa critica del fratello maggiore produsse
un’impressione profonda sulla mente del piccino, che da quel giorno non cessò di tormentar la
Mamma perché gli si tagliassero i capelli.
— Voglio avere i capelli come gli altri ragazzi,
— diceva.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
La Mamma ebbe un bel resistere, pregare
Sven di non preoccuparsi di ciò che dicevano
i grandi, supplicarlo perfino di conservare, per
amor suo, quei bei riccioli ch’ella amava tanto;
nulla valse; Sven pretese che glieli tagliassero.
— Non voglio sembrare una bambina, — diceva.
La Mamma si affliggeva solo al pensiero che
qualcuno avrebbe tagliato quei bei ricci.
— Non posso rappresentarmi il nostro Fratzi
senza i suoi ricci, — diceva.
Lo prese tra le braccia, gli parlò all’orecchio e
fece tutto il possibile per piegarlo e salvarli; ma
Sven non volle lasciarsi convincere; insistette talmente e con una convinzione così commovente,
che finì col vincerla.
Un mattino si presentò col suo cappellino
rosso e il soprabitino bianco, che gli batteva sulle gambette.
— Vado in città a farmi tosare, — diceva.
Era tutto in affanno e non stava in sé dalla
gioia, e nel treno non smetteva di chiacchierare,
e raccontava, a un vecchio signore che non aveva mai visto in vita sua, che andava in città per
farsi tagliare i capelli.
Il vecchio signore alzò gli occhi dal giornale,
guardò il bambino con aria distratta, indifferente,
e continuò la sua lettura. Sven credette che non
avesse inteso e ripetè ciò che aveva detto:
— Mi faccio tagliare i capelli, per non sembrare una bimba.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ma il signore si rifugiò dietro al suo giornale,
e brontolò fra i denti delle parole che decisero la
Mamma a far tacere il suo omettino.
Da quel momento, Sven non disse più una parola e restò immobile al suo posto, come se riflettesse su qualche cosa.Aveva un’aria così infelice,
che la Mamma finì col prenderlo sulle ginocchia
e accarezzarlo teneramente: era furente con quel
vecchio signore, il quale non capiva che il bimbo era là desolato perché tutti i signori della terra non si associavano alla gioia di un bimbo di
quattr’anni.
Sven non aprì bocca, ma quando sua madre e
lui furono scesi dal treno, le disse all’orecchio, a
bassa voce, come se temesse di esser inteso:
— Non era proprio gentile quel signore!
— Via, Sven, tu non lo conoscevi — disse la
Mamma.
— Non era un motivo per non esser gentile!
— rispose Sven.
— I bambini non devono rivolger la parola a
gli sconosciuti, — obiettò la Mamma.
— Credevo che gli facesse piacere di sapere
che non sarei più sembrato una bimba.
— Povero caro! — pensò la Mamma, e di nuovo risentì una collera sorda contro le persone
cattive e senza cuore, che guastano la gioia dei
piccoli. — Povero caro! Quanto dovrai soffrire
un giorno!
Per consolare Sven e rendergli la sua gaiezza,
gli disse:
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Era proprio un brutto vecchione! uno zoticaccio!
La tristezza di Sven se ne andò come per incanto, e ridivenne gaio come prima, poiché sapeva che solo le persone sgarbate e cattive possono comportarsi come quel vecchio signore. I
capelli furon tagliati, e poi lo si condusse in una
pasticceria; ed era felice al di là di ogni espressione, perché s’immaginava che tutti sapessero
che era stato per la prima volta tosato come un
maschietto. Poi prese il treno con la Mamma e
ritornò a casa; quando fu nel cortile, lasciò la
mano della Mamma e corse da Papà con tutta
la sveltezza delle sue gambette. Si fermò davanti
allo scrittoio e si tolse il cappello, dimenticando
la proibizione di disturbar Papà quando lavorava. Era piantato là, col cappello in mano e tutto
il corpicino in moto, per l’impazienza di sapere
ciò che avrebbe detto Papà. Perfino i suoi occhi
s’eran dilatati ed ingranditi al punto che nel suo
viso non si vedevan che essi.
Papà lo guardò a lungo e incominciò a sospettar che fosse avvenuto qualcosa di straordinario.
Finalmente indovinò, e dovette alzar il bimbo
per aria e posarlo di nuovo in terra.
— Ora Sven è diventato proprio un ragazzo!
— disse Papà.
Questo certificato di mascolinità, che suo padre gli aveva dato, portò la sua gioia al colmo, ed
egli uscì in fretta per andar a mostrarsi ai suoi
fratelli e farsi ammirare da Marta.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
VII
Quando giunse l’estate, fui preso dal desiderio irresistibile e quasi morboso di andar a fare, con la famiglia, una villeggiatura estiva, non
negli Schären, ma sulla costa occidentale della
Svezia.
Non saprei dire come m’entrasse nel sangue
questo desiderio folle. Forse gli diede origine un
soggiorno da me fatto, durante la bella stagione,
sulla costa occidentale, nei lontani giorni della
mia infanzia. Le impressioni che si ricevono nella primissima gioventù, per fragili che siano, devono certamente influire sulla formazione delle
idee e dei sentimenti, che, più tardi, determinano
la nostra vita.
Non posso neppure spiegare a me stesso come il ricordo di quelle poche settimane si sia
conservato così vivo nella mia memoria per più
di un quarto di secolo. Avevo, infatti, solo sei anni a quel tempo, e i ricordi che risalgono così
lontano, generalmente si cancellano e spariscono completamente con gli anni, eccezion fatta,
tuttavia, per quelli che si riannodano al focolare
in cui sono trascorsi la nostra infanzia e la nostra gioventù.Ad ogni modo, io vidi, davanti a me,
per molti anni, il mare quale l’avevo visto allora.
L’avevo visto con delle onde enormi, alle quali
la mia immaginazione infantile dava proporzioni
spaventevoli, fantastiche! Avevo visto le alghe, le
meduse, le stelle di mare, tutta la varietà e la ric98
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
chezza della vita che si agita in fondo all’oceano,
in seni poco profondi e contro scogli grigiastri.
Avevo visto rocce nude ergersi sopra il mare e
le onde frangersi rumorosamente ai loro piedi,
ed ho anche conservato il ricordo di una tempesta terribile, che sollevava montagne di sabbia, la
quale mi sbatteva sul viso, con mia grande gioia.
È strano che si possa portare in noi per tanto
tempo un ricordo simile, più strano ancora che
questo ricordo possa esercitare sulla nostra anima una simile influenza. Per ciò che mi tocca,
esso dimorava nel più profondo di me stesso;
come una segreta e dolorosa nostalgia, mentre
passarono più di trent’anni prima che mi fosse
possibile rispondere al suo richiamo.
Ma quando il mio desiderio di passare un’estate in riva al mare, al mare aperto, parve sul punto
di venir soddisfatto, mia moglie mi fece temere
che la gioia ch’io attendevo da quella villeggiatura, andasse in fumo.
Elsa non aveva mai visto la costa occidentale
della Svezia e sapevo ch’ella provava una specie
di repulsione per quel viaggio, che vi si rassegnava soltanto perché si rendeva conto che la minima opposizione da parte sua mi avrebbe fatto
dispiacere. Mi ricordavo le parole che m’aveva
dette un giorno: «Non posso figurarmi un’estate
in cui non si vedano alberi». E capivo benissimo
che, nel momento in cui queste parole le sfuggirono, il mio disegno le ispirava una tale ripugnanza, che ella credeva di non poterla vincere.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Pure, quando s’accorse ch’io avevo indovinato
la sua segreta ostilità circa quel viaggio, ella fece
tutto quel che potè per farmi dimenticare ciò
che aveva detto; ma le sue parole mi seguivano
dappertutto, e sentivo stringermi il cuore quando pensavo a quel mare, ch’ero così impaziente
di rivedere e che minacciava di sfuggirmi.
Tutto questo può sembrare insignificante al
lettore e un po’ infantile, ma non lo era per me.
Nessuno può goder pienamente una gioia in
cui si mescolino delle dissonanze, e la peggior
dissonanza per me era il veder che mia moglie
non si associava alla mia gioia. Mi ero abituato a
non sentirmi mai solo, tanto nella gioia che nella
tristezza, e il pensiero che in questa circostanza
una divergenza profonda esisteva tra noi, mi rendeva infinitamente infelice.
Ma io tenevo moltissimo a questo disegno,
che avevo in mente da tanto tempo, e lottavo, per
effettuarlo, con lo stesso tenace ardore con cui
avevo lottato una volta per riconquistare l’affetto
di mia moglie, quando m’ero creduto vicino a
perderlo. Giorno e notte cercavo il mezzo di impedirle di guastarmi la gioia che mi ripromettevo da quel viaggio, e credetti d’averlo finalmente
trovato. Infatti, proposi un giorno ad Elsa di prendere, per andar nell’Ovest, invece della ferrovia,
il battello a vapore, di far così tutto il giro delle
coste della Svezia per mare. Sentivo che una sorda lotta era dichiarata fra lei e me e bisognava
che ad ogni costo ne uscissi vincitore. Volevo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
condurre Elsa ad amar l’infinito mare e credevo
che il mezzo da me escogitato per riuscirvi fosse
un colpo di genio. Mi dicevo: «Passeremo dall’arcipelago di Stoccolma, e costeggeremo tutta la
Svezia orientale, che è meravigliosa; a poco a poco ella la vedrà scomparire colle sue rive ridenti
e la sua ricca vegetazione; si troverà insensibilmente, quasi senza accorgersene, in presenza
della costa occidentale e sarà conquistata dalla
sua sublimità e dai suoi aspetti maestosi».
Non potrei affermare che durante la traversata avvenisse qualcosa per cui potessi credere
che il mio piano, così ben combinato, avesse il
risultato sperato. Mia moglie, a cui piacevano
moltissimo i viaggi in battello a vapore, godette infinitamente questo, che fu meraviglioso; ma
non potei scoprire se i suoi pensieri presero,
mentre navigavamo, una precisa direzione; ella
considerava questa traversata come una lunga e
deliziosa gita di piacere in mare, ma nulla più.
Durante tutto il tragitto i miei nervi erano
estremamente tesi, e non ne potevo quasi più,
quando, dopo Gothemburg, scorsi infine le rive
amate, sulle quali vedevo infrangersi rumorosamente le onde spumeggianti. Il vento soffiava
tempestoso, ed io ero desolato, perché il cattivo
tempo, sulla costa ovest, non ci dispone certamente ad amare il mare, quando lo si ha in avversione. Non perdevo di vista mia moglie, e l’osservavo con la coda dell’occhio, mentre il battello
era sollevato dai flutti e le onde invadevano il
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ponte da cima a fondo. Ma non riuscivo a scorgere il menomo indizio che desse una risposta al
problema che mi ponevo. Vedendola seduta là,
con gli occhi fissi sull’immenso lenzuolo d’acqua cupa, mi pareva che fra lei e me si ergesse
un muro insormontabile, ch’io dovevo abbattere
ad ogni costo, per giungere al suo cuore e farle
dividere il mio entusiasmo.
A un tratto vidi disegnarsi all’orizzonte carico
di nebbie i contorni di un’isola di forma ovale,
ed allora tutta la mia inquietudine, tutti i miei
dubbi, tutta la mia tensione nervosa sparirono
come per incanto, e mi sentii invaso da una commozione profonda, religiosa. Finalmente raggiungevo la meta, e il sogno che avevo così a lungo
accarezzato per tanti anni stava per avverarsi...
La mia isola cara era davanti a me.
Scendemmo a terra; con avido sguardo abbracciai tutto ciò che mi circondava. Vidi i pontili, i cantieri, tutte le piccole costruzioni, dai
chiari colori che brillavano al sole, addossate
sul declivio della roccia nuda, le une alle altre.
Nel porto si dondolavano battelli allineati uno
accanto all’altro e sugli scogli masse di pesci essiccavano al sole. Laggiù, sopra una stretta lingua
di terra, un gruppo di pescatori, vestiti di abiti
incatramati e calzati di grossi stivali, con gesto
lento ammucchiavano pesci enormi, come non
ricordavo di averne mai visti.
La brezza, fortissima, mi sferzava il viso e intorno a me sentivo un brontolìo sordo, simile a
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
quello di una cateratta su cui si sia scatenato un
uragano.
Da lungi vedevo i contorni dello scoglio fondersi fino a formare una massa indecisa, nera o
azzurra, quando il vento cacciava le nubi nel cielo e copriva il sole.
E quando arrivai alla nostra casetta, situata alla punta estrema dell’isola, sulla costa ovest, lungi da ogni altra abitazione umana, rividi l’oceano
per la prima volta.
Rimasi a lungo a contemplar quel mare che
avevo finalmente davanti a me; facendo il giro
delle nostre camere, ebbi la gioia di constatare
che dalle mie finestre avevo sotto gli occhi lo
stesso spettacolo che avevo appena contemplato,
un momento prima, con la differenza che il mare
sembrava ancor più vicino. Di nuovo mi arrestai,
colpito d’ammirazione e profondamente commosso. Nello stesso momento i miei sguardi si
rivolsero a mia moglie; ella era in piedi presso la
finestra e guardava fuori. Dal momento in cui avevo messo piede su quell’isolotto roccioso, avevo
dimenticato tutto il passato, tutte le mie inquietudini, tutti i miei dubbi, tutte le mie furberie, tutto
il mio nervosismo, tutte le lotte che avevo sostenuto per condurre mia moglie a sentir come me.
Ma non potevo indovinar che cosa avveniva in lei
in quel momento, se ella sentiva ciò che sentivo
io, oppure se la lotta sarebbe ricominciata.
Allora ella si volse e vidi che aveva gli occhi
bagnati di lacrime. Stese la mano verso di me, io
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
la presi, e rimanemmo così in piedi tutt’e due,
lasciando errare i nostri sguardi sull’immensa distesa acquea. Davanti alle nostre finestre, le onde
si frangevano contro le rocce, e lontano, fin dove
l’occhio poteva giungere, non si vedevano che
le creste bianche delle onde, che si staccavano
in rilievo sulla superficie scura del mare e sugli
isolotti, contro i quali esse venivano a rompersi.
Sotto la pressione dell’immensa massa liquida,
che il vento cacciava da ovest a est, le onde s’innalzavano, simili a cascate di schiuma bianca.
Davanti a questo spettacolo sublime, commovente, tutta la mia agitazione interiore si calmò
e disparve; sentii che mia moglie, di cui tenevo
sempre la mano, aveva avuto, in quel momento,
la rivelazione del mare, come l’avevo avuta io
stesso, e che la pace tra noi era fatta. Rimanemmo là a lungo, senza pronunziare una parola, ma
le nostre anime erano in comunione perfetta di
pensieri e di sentimenti.
Al momento di addormentarci, sentivamo ancora il muggito della tempesta e il rumore delle
onde che si frangevano sugli scogli, e quando
l’uragano si fu calmato, il silenzio ci risvegliò.
Davanti alle nostre finestre si stendeva il mare
calmo, infinito.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
VIII
Da molti anni ho segnato questi ricordi. Non
sapevo allora che avrei dovuto un giorno sostenere un’altra lotta con mia moglie, una lotta assai
più grave, dopo la quale mi sarei trovato solo, ma
non abbandonato; abbattuto, ma non disperato.
In questo momento mi rivedo con lei seduto
sulla roccia più elevata, davanti alla nostra casa
bianca, ove si vive così bene. Con uno splendore,
che si rinnova e varia ogni sera, il sole discende
nel mare; tra Elsa e me è seduto Sven. È a piedi
nudi, abbronzato, e siccome verso sera fa fresco,
cerca di riparare i suoi piedini sotto la sottana di
Mamma. Ci supplica di lasciarlo alzato finché si
vede il sole; i suoi occhi stupiti contemplano le
ultime luci ch’esso proietta prima di sparire nei
calmi flutti del mare. Egli è là seduto, col mento
appoggiato alla mano, come se pensasse a qualcosa di grave, che non può tradurre in parole. E
quando sente giunto il momento in cui deve andare a coricarsi, si sospende al collo di Papà e lo
prega di portarlo. Col mio leggero fardello fra le
braccia, salgo dolcemente sulle rocce, e quando
ritorno, vedo la scura figurina di mia moglie che
si profila sul cielo. Ella è là seduta, nella posa che
aveva Sven qualche minuto prima, e i suoi occhi
cercano il punto in cui il sole è scomparso e le
ultime luci del crepuscolo si sono spente.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
IX
Il nostro Sven non era mai stato ammirato, accarezzato, adorato e viziato da tutti come lo fu
quell’estate. I piloti se lo caricavano sulle spalle
e gli scolpivano dei battellini, le vecchierelle si
fermavano, quando lo scorgevano, e gli sorridevano; le giovani madri dimenticavano i loro piccini, dicendo che non avevano mai veduto un
bambino come quello; le ragazze lo conducevano sugli scogli e giocavano con lui, senza ch’egli
avesse bisogno di pregarle. Sven passava tutte le
sue giornate fuori; il suo viso e le gambe si abbronzarono e l’aria del mare lo rese più vigoroso
e più forte che non fosse mai stato.
Egli fu il centro di tutti i nostri pensieri e il
nostro raggio di sole durante quell’estate incomparabile che passammo sulla costa ovest.
Cosa strana, proprio durante questo soggiorno al mare egli trovò un nuovo soggetto di
conversazione, al quale tornava senza mai stancarsi. Infatti, Sven aveva l’abitudine di parlare
di tutto quel che gli veniva in mente; lo faceva
con assai maggior semplicità che non abbiano
di solito i bambini, e senza preoccuparsi affatto
dell’impressione che avrebbe potuto produrre
sui grandi.
È un fatto riconosciuto che i piccoli non si
abbandonano mai completamente e che, davanti
a qualcuno maggiore di loro, non esprimono il
loro pensiero senza un certo riserbo. Ciò provie106
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ne dal timore del sorriso e dell’ironia per le loro
idee, anche quando questo sorriso e quest’ironia
sono attenuati dalla benevolenza. Questo avviene soprattutto quando un bimbo è più sensibile, più ingenuo, di carattere più aperto di altri, o
quando ha, in tutto il suo modo di fare, qualcosa
che lo rende diverso dal comune.
Dal momento in cui aveva aperto gli occhi
alla vita, Sven aveva trovato intorno a sé una
tenerezza intelligente e calda. Quando giunse
all’età in cui i genitori possono occuparsi dei
loro bimbi, fu seguito, quasi ad ogni passo, da
due occhi che ammiravano ogni suo movimento, comprendevano ogni sua parola, e nei quali
tutte le manifestazioni della sua anima delicata
e pura si riflettevano con una nitidezza ed una
fedeltà meravigliose. Attraverso la tenerezza di
sua madre, il piccolo Sven imparò a conoscere
il mondo che lo circondava, e questa tenerezza
rispondeva così bene a quello che era il fondo
stesso della sua natura fine ed affettuosa, ch’egli
non provava la minima soggezione a manifestare davanti a lei tutto ciò che pensava, ad esprimerlo naturalmente e semplicemente come gli
veniva.
Forse aveva già un segreto e misterioso presentimento che la sua vera patria non era quaggiù, ed è possibile che questo presentimento
unisse così strettamente la sua anima a quella
di sua madre, la quale pure, in piena felicità, aveva avuto per lungo tempo la certezza di morir
107
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
giovane. Chi potrebbe rispondere a una simile
domanda? Chi oserebbe solo tentar di rispondervi?
Il silenzio domina sulle zolle fiorite, sotto le
quali riposano i morti!
Certo è che il piccolo Sven scoprì un giorno
un’immagine appesa in camera di Mamma; dopo
averla guardata un momento, la staccò dal muro
e la considerò a lungo in silenzio, come se si trovasse davanti a qualcosa di assolutamente nuovo,
che non poteva spiegarsi.
Non era un’immagine di gusto moderno, ed
era ben lungi dall’opera d’arte. Rappresentava
una leggenda ben nota: «Il corteo della Morte». La
Morte attraversa una landa, che si stende a perdita d’occhio. È avvolta in un mantello bianco,
che nasconde tutto il suo scheletro, eccettuata la
testa. È seguita da un immenso corteo di persone d’ogni età e d’ogni sesso, ed il corteo è così
lungo, che è impossibile scorgerne la fine. Tiene
in mano un campanello e si vede che l’ha appena scosso. Sul margine della strada è seduta una
donna tutta curvata dalla vecchiaia, che stende
la mano verso la Morte e la supplica di condurla
con sé, ma ella passa davanti alla vecchia senza neppur degnarsi di guardarla. Subito dietro la
Morte viene una coppia d’innamorati: il giovane
ha inteso suonar la campana, ed invano la sua cara, disperata, cerca di trattenerlo. Il corteo della
Morte prosegue, e quando il giovine innamorato
scorge il posto che gli è in esso riserbato, deve
108
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
occuparlo, e non vi è supplica né tenerezza che
possa trattenerlo sulla terra, ove il suo posto è
per sempre vuoto. In lontananza, al punto in cui
il corteo sembra finire, si vede brillare una luce,
come la luminosità dell’alba.
Mamma aveva portato quest’immagine, con
parecchie altre e qualche fotografia, per ornare
la nostra casetta sulla riva del mare.
Sven guardò un giorno a lungo quest’immagine, poi disse a bruciapelo a Mamma:
— Che cos’è questo?
La Mamma gli raccontò allora la storia della
Morte crudele, che viene, si porta via il giovane e
lascia il vecchio, che invano la supplica di prenderlo.
Sven riappese l’immagine al muro. Ma l’indomani mattina la staccò di nuovo, la considerò a
lungo, e la Mamma dovette, per la seconda volta,
raccontargli tutta la storia.
Sven ascoltava a bocca aperta il racconto della Mamma, e di nuovo i suoi grandi occhi si fecero gravi e pieni di stupore.
— Credi, Mamma, che il giovane fidanzato sia
molto triste per essere obbligato a morire? —
domandò Sven.
— Certo, ma la sua fidanzata è ancora più triste, — rispose la Mamma.
— Chissà? Diventerà forse un angelo, e avrà
delle ali bianche sulle spalle? — obiettò Sven.
— Credo bene! — disse Mamma.
Sven sospirava e non era ancora soddisfatto.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Perché la vecchia non può andare con la
Morte, se lo desidera tanto? — disse Sven.
— Nessuno lo sa, Sven, — disse la Mamma, —
Dio solo lo sa!
— Lo sa, dunque?
— Sì, Egli lo sa!
Sven riprese la via delle rocce per andar a giocare al sole. Ma, a partir da quel momento, quella
storia fu da lui preferita a tutte le altre, e quasi
ogni mattina, mentre Mamma stava pettinandosi,
entrava in camera, staccava l’immagine e pregava la Mamma di ripetere il racconto.
Nell’inverno precedente c’era stato, nella vita di Sven, un piccolo avvenimento, che aveva
prodotto una grande impressione su di lui. Una
domenica l’avevano condotto di giorno al teatro,
ove si rappresentava: Pietro il V... di Strindberg:
Quantunque non capisse molto della rappresentazione, Sven si divertì moltissimo a modo suo;
si divertiva tanto, che tutti intorno a lui furono
obbligati a divider la sua gioia.
Quando fu il momento della scena in cui la
Morte appare a Pietro, Sven non parlò più. Nessuno aveva pensato a questa scena, né immaginato che avrebbe prodotto una simile impressione sul bimbo. Il resto della rappresentazione
non lo interessò più affatto, e quando, più tardi,
qualcuno gli chiedeva che cosa avesse visto al
teatro, rispondeva:
— Ho visto la Morte! Era un grande scheletro
che parlava e teneva una falce in mano.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
L’immagine del «Corteo della Morte» ricordò
a Sven la rappresentazione a cui aveva assistito al
teatro. La sola cosa che lo turbasse era che, sulla
scena, la Morte aveva una falce in mano, mentre
sulla stampa agitava un campanello. Eccettuato
questo, il bimbo identificava, nella sua mente, la
rappresentazione che aveva visto, l’immagine sospesa al muro e la spiegazione di Mamma.
Sven vi ritornava continuamente. Questa scena aveva preso possesso della sua immaginazione con una potenza tale, che nulla poteva cancellarla. Raccontava a tutti come la Morte minacciasse Pietro di portarlo via, e come ella avesse
dovuto ripartir senza di lui, perch’egli aveva saputo così ben pregarla di lasciarlo vivere ancora.
Raccontava così sovente la storia, che ne aveva
perfino il brivido quando gli veniva in mente, e
credo che non sarebbe stato maggiormente impressionato se la Morte in persona si fosse drizzata davanti a lui.
I suoi amici della riva del mare trovavano assai strano che un bimbo così piccolo potesse
parlare di simili cose. Essi non lo canzonavano
mai, ma sentendolo parlare così, erano sempre
più convinti che si trovavano davanti a un piccolo essere di una delicatezza e di una sensibilità
eccezionali, ed erano felici di prenderselo sulle
spalle e di portarlo, quando il cammino diveniva
troppo scabroso.
Tutte queste storie non vietavano però a Sven
di goder pienamente della sua felicità; esse face111
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
vano così intimamente parte della sua vita, che
pareva semplicemente lo seguissero, come l’ombra segue i raggi del sole.
Fuori, sulla spiaggia, si creava il suo mondo.
Quando la tempesta infuriava e le onde sbattevano con fracasso sugli scogli, egli restava presso la
finestra e guardava il mare scatenato, a volte per
ore intere, senza riuscire a strapparsi a quello
spettacolo. Ma quando il cielo era azzurro ed una
brezza dolce e fresca soffiava sull’isola, scendeva
solo alla riva, coglieva stelle di mare e imparava a
giuocare con dei battellini.
Pure il suo luogo prediletto era il posto dei piloti, ove sapeva che la Mamma era seduta col suo
lavoro. Veniva a sedersi vicino a lei e la pregava
di raccontargli tutte le storie che conosceva sul
mare. La sua gioia più grande era di correre a piedi nudi sulle rocce; rialzava allora il suo gonnellino e saltava dalla punta di uno scoglio all’altra,
con la grazia e la delicatezza d’una principessa.
Ma quando c’era da fare una lunga marcia, chiedeva di essere portato, e siccome era impossibile
rifiutargli ciò che chiedeva, v’era sempre qualcuno pronto a prenderlo in braccio o sulle spalle.
Egli allora si guardava in giro con aria trionfante e
sorrideva felice dell’ascendente che esercitava e
della tenerezza che tutti gli dimostravano.
Poi, quando Mamma e Papà si ritrovavano soli, accadeva spesso che questo dicesse:
— Sven è gaio e forte come non è mai stato;
perché parla sempre della Morte?
112
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
E Mamma rispondeva:
— Non gli insegno io tutto questo. I suoi pensieri vanno e vengono come vogliono. Guarda!
E mi mostrava col dito la riva.
Sven era seduto tutto solo e sembrava raggiante di gioia. Teneva fra le mani un cordino e a questo cordino era attaccato un pezzo di legno che assomigliava a un bastimento. Lo tirava sulla riva, lo
caricava di pietre e lo lanciava di nuovo nell’acqua.
— Non senti? — chiese Elsa.
E per sentir meglio, ci avvicinammo dolcemente, senza che il bimbo ci scorgesse.
Era tranquilllamente seduto in riva all’acqua,
facendo scivolare il pezzo di legno sulle onde, e
cantava per sé, con voce flebile, ma meravigliosamente pura. Era una canzone da marinaio, che gli
avevano insegnato i ragazzi dell’isola:
Canta falleralà, canta falleralò,
E il mare inghiottì il povero marinaio.
Nello stesso momento egli ci scorse e cessò
di cantare, dichiarando «che non voleva cantare,
se Papà ascoltava».
X
M’accorgo che in questo libro non parlo che
delle nostre estati. La ragione è semplicissima:
solo in estate ci sentivamo vivere realmente, pienamente.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
In inverno abitavamo a Stoccolma o nei suoi
dintorni immediati, di modo che ci era assai facile andarvi. Avveniva ciò che avviene a tutti. La
vita della grande città ci prendeva, ci trascinava
nel suo turbine e ci lasciava pochissimo tempo
per vivere in quell’intimità che ci era tanto cara.
Bisognava che rinunziassimo a quella conversazione a due, in cui le nostre anime si sfogavano
liberamente, e alla gioconda compagnia dei bambini. La stessa festa di Natale non era esente da
quel lavoro febbrile, che lascia dietro a sé solo
rimpianto, delusione e stanchezza.
Per questo noi attendevamo l'estate come
una liberazione, come la fine di un incubo penoso, e quando lasciavamo la capitale ci pareva
sempre di andar finalmente a ritrovare noi stessi,
nella stretta cerchia della famiglia, al sicuro dagli
estranei e dagli importuni.Voglio raccontare ora
la nostra ultima estate, l’ultima in cui si ebbe realmente il senso di vivere, e che finì, ahimè, ben
diversamente da quanto avessimo supposto e
sognato.
Avevamo scelto, questa volta, per passarvi la
bella stagione, un luogo ch’era tutto il contrario
di quello in cui avevamo soggiornato l'estate precedente; avevo preso questa decisione perché
Elsa si trovasse di nuovo in mezzo agli alberi e alla verdura, che le erano tanto mancati sull’aspra
costa dell’ovest. Giacché, quantunque fosse stata
fortemente impressionata dall’oceano, pure continuava a provare, in fondo al cuore, una segreta
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
antipatia per questo mare, che pretende dominare nella sua maestà solitaria, e non tollera vicini
né alberi dai tronchi elevati, né prati smaltati di
fiori. Nel più profondo dell’anima, ella rimpiangeva sempre i boschi fronzuti e i fiori variopinti,
e la vittoria che avevo riportato nella mia lotta in
favore del mare, non era che una mezza vittoria.
Così convenimmo di scegliere una volta per uno
il luogo ove avremmo passato la bella stagione.
Inoltre, volevamo dividere quest’estate con altre persone, rivivere gli antichi tempi, quando la
nostra felicità si rifletteva in un circolo di veri
amici, che andavano e venivano in casa nostra
liberamente, come nella loro.
Per rendere più completo il contrasto con
la natura in mezzo alla quale avevamo passato
l’estate precedente, scegliemmo quell’anno Lidìjon, e stabilimmo i nostri penati nel piano superiore di un castello mezzo diroccato.
Era un gran fabbricato, con finestre in isbieco, con numerose e vaste stanze ricoperte di
tappezzerie macchiate e due verande in cattivo
stato: una di esse, stretta e lunga, dava sul cortile,
mentre l’altra, più piccina, guardava sul giardino,
dove i pruni, i rovi e tutte le cattive erbe della terra regnavano da padroni; lontano, al disopra dei pini e delle querce, si scopriva la punta
dell’isola e tutta la baia, che si stendeva calma e
luminosa nella sua meravigliosa cornice di verdura, somigliante ad un pacato lago interno. Dai
due lati della casa le verande erano completa115
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
mente ricoperte da una vite selvatica; quella che
guardava sul mare aveva uno dei lati guerniti di
caprifoglio.
Si aveva l’impressione che l’opera dell’uomo fosse sul punto di sparire davanti alla natura
trionfante e di fondersi nuovamente con essa; si
sentiva che tutti quei campi e quei fabbricati erano destinati a una distruzione prossima e fatale,
e che i futuri coloni sarebbero stati obbligati a
difendere la terra, per ritrovarvi la traccia di coloro che avevano abitato altra volta quei luoghi,
vi avevano lavorato, sofferto e goduto la vita.
Il giardino era un folto inestricabile di piante
e d’arbusti, che crescevano in piena libertà. Le
siringhe si stringevano le une contro le altre, i
rami di citiso ricadevano in grappoli sodi e dorati sopra le aiuole abbandonate, in cui le piante
di rose e di papaveri si chinavano pesantemente
verso terra. Qui mia moglie trovava una natura
come piaceva a lei, e quella vegetazione in mezzo alla malinconia delle cose che devono morire corrispondeva anche troppo al suo speciale
stato d’animo. Ella andava e veniva come se, fin
dal primo momento, si fosse sentita a casa sua.
Qui noi dimenticavamo che la vita e gli uomini
ci avevano inferto crudeli ferite e che avevamo
resistito difendendoci energicamente. Qui dimenticavamo l’inverno con le sue fatiche noiose
e i suoi divertimenti spossanti.
Infine, dall’altra parte della baia avevamo degli amici cari, coi quali un servizio di battelli a
116
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
vapore ci permetteva di comunicare facilmente
e prontamente.
Eppure, io non respiravo liberamente in mezzo a questa natura votata alla morte; provavo come un indefinibile senso di oppressione, ignoto
fino allora, che m’impediva di lavorare. Ma questa sorda angoscia disparve a poco a poco, la calma ritornò in me, e mi misi al lavoro con ardore
ed energie nuove; eccetto Sven, nessuno poteva
disturbarmi nel mio lavoro.
Egli era il solo che non riuscisse a mettersi in
testa che non bisognava disturbar Papà quando
lavorava. Apriva la porta adagio adagio, come se
volesse dimostrare che sapeva bene che non si
doveva far rumore. Se lo guardavo, si metteva il
dito sulla bocca e diceva: «Sss» con un’aria così
innocente e nello stesso tempo così cosciente
della propria forza, che non potevo tralasciar di
posare la penna. Ma se non alzavo gli occhi, si
avvicinava dolcemente allo scrittoio e si metteva vicino a me; poteva rimaner là molto a lungo;
se io rimanevo inflessibile e facevo finta di non
accorgermi della sua presenza, se ne andava di
nuovo dolcemente com’era venuto. Ma ciò non
avveniva spesso, e bastava volgessi un po’ il capo per scorgere subito i suoi occhi azzurri, pieni
d’attesa, che cercavano i miei.Allora ero perduto.
— Che vuoi, Sven? — chiedevo.
E sapevo che avrei dovuto fare un viso severo. Ma mi era impossibile. Veniva a portarmi un
fiore, una pietruzza o qualche altro oggetto raro,
117
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ed io mi arrendevo a discrezione. Allontanavo la
carta e la penna e permettevo a Sven di disturbarmi finché voleva. Ed oggi son così felice di
averglielo permesso!
XI
Quell’estate, Sven cantava come aveva fatto
tutto l’inverno, e certamente fu soprattutto per
lui che Elsa aveva insistito perché il nostro pianoforte ci seguisse negli Schären.
Da quando Mamma aveva scoperto che Sven
aveva disposizione per il canto, era ben naturale
che gliela coltivasse e che fosse fiera della sua
voce, come era fiera di tutto ciò che egli faceva
e diceva. Gli comperò piccole raccolte di canzoni infantili e ne imparò a mente le parole con
lui. Sven aveva, infatti, solo cinque anni e mezzo; non sapeva ancora leggere e la Mamma, dal
canto suo, aveva fatto il giuramento solenne di
non tormentarlo tanto presto con studi di qualsiasi genere. Ma egli sapeva cantare e conosceva
molte canzoni. Di rado gli accadeva di fare una
nota falsa, e quando gliene sfuggiva una, prendeva un’aria seccata e ricominciava tutto da capo.
Non aveva nessuna paura di cantar davanti ad
estranei, e qual si fosse il numero dei suoi uditori; cantava e rideva, e i suoi grandi occhi azzurri
brillavano. Perché avrebbe avuto paura di cantare, quando si divertiva tanto e cantava così bene?
118
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Mamma aveva detto ch’egli cantava benissimo, e se lei pensava questo, anche gli altri dovevano pensarlo.
Di tutte le graziose canzoni che Sven conosceva, nessuna era bella come la seguente:
— Bee, bee, piccolo agnellino,
Hai fors’anche della lana?
— Sì, sì, caro piccolino,
Ne ho la tasca tutta piena.
Un vestito delle feste
Per Papà e per la Mammina,
E due paia di calzine
Ne farem pel fratellino.
Era la sua canzone preferita e il suo trionfo,
specialmente alla fine.
Quando arrivava all’ultimo verso, si sbrigava
talmente, che si sarebbe detto volesse inghiottirlo e tenerselo per sé.
Il «fratellino» lasciava l’accompagnamento
da solo, certamente perché prendeva il paio di
calzine per sé e tutto il verso per un’allusione a
se stesso. E perché tutta la canzone non sarebbe
stata composta per lui, poiché egli sapeva cantarla e questo gli faceva tanto piacere?
Del resto, nessuno all’infuori di Sven aveva il
diritto di cantarla e nessuno poteva renderla come lui. Lui, che era il fratellino in vita, è rimasto
il fratellino in morte, e vivrà eternamente con
questo nome, il solo che abbia portato.
119
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Le finestre della sala da pranzo sono aperte,
i profumi delle serenelle in fiore entrano con la
brezza della sera, il sole è al tramonto e i suoi raggi tremolano sul muro, al disopra del piano aperto. La Mamma, vestita da estate, tutta di bianco, è
seduta al piano, gli altri son raggruppati intorno
a lei, e in mezzo a noi Sven canta:
Un vestito delle feste
Per Papà e per la Mammina
E due paia di calzine
Ne farem pel fratellino.
È la sera di S. Giovanni e Sven è al colmo della
gioia, perché Mamma gli ha promesso che non
andrà a coricarsi se non quando lo chiederà lui
stesso. Si guarda bene dal chiederlo, e passeggia,
con la manina in quella di Mamma, coi fratelli ed i
grandi, in giardino, fino a che i suoi occhi si chiudono, e lo si porta addormentato nel suo lettino.
Riposa col suo amico tra le braccia, il cagnolino di legno, tutto bianco, che ha la lana sul dorso
come un agnello e occhi fatti con capocchie di
spilli neri. Sven lo ha battezzato: «Flocki». «Flocki»
è un compagno di letto molto tranquillo; non disturba nessuno.
Al di fuori, sulle cime degli alberi, si sente il
primo e timido cinguettìo degli uccellini, che annunziano l’approssimarsi dell’alba.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
XII
Nulla potrebbe dare un’idea dell’intimità
completa e veramente meravigliosa nella quale
Sven visse con sua madre quell’estate. Contribuì verosimilmente ad unirli così l’assenza del
nostro figliolo maggiore che, per la prima volta, passava le vacanze lontano dai genitori. Noi
avevamo mandato Olof nel Nord, tanto per fargli
respirar l’aria delle grandi foreste di abeti; quanto per abituarlo a separarsi da noi. Ne risultò, naturalmente, che coloro i quali rimasero a casa si
strinsero più fortemente gli uni agli altri e vissero
in un’intimità ancor più grande del solito. Senza
rendermene conto, cominciai io pure a vedere il
nostro piccolo Sven con gli occhi di sua madre
ed a comprendere quanto fosse diverso da tutti
gli altri bimbi che conoscevo, quantunque in lui
non vi fosse nulla di meno che infantile.
Mi ricordo che un mattino uscii per andare
a fare una passeggiatina, e lo trovai seduto tutto
solo sul prato, con in mano un mazzetto di campanule e di primule.
Gli chiesi se volesse venire a passeggio con
me nel parco; di solito, accettava la mia proposta
con entusiasmo, e non fui poco sorpreso nel sentirmi, questa volta, rispondere con un «no» dei
più energici.
— Non vuoi venire con Papà, Sven?
Mi sentii quasi offeso da quel rifiuto, che attribuivo a un puro capriccio del bimbo.
121
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Sven scosse il capo e rimase seduto.
— Perché non vuoi venir con Papà?
— Io resto qui per aspettar la Mamma! — mi
rispose il piccino, con un tono molto risoluto.
— Vediamo, Sven; sai benissimo che Mamma
esce molto più tardi. Ella non sta più bene come
una volta, e poiché non dorme di notte, deve rimaner più a lungo a letto, il mattino.
Ed era la verità. La salute di Elsa lasciava talvolta a desiderare, ma siccome eravamo avvezzi,
da parecchi anni, a vederla ritornar in salute dopo un periodo di malessere, non ce ne preoccupavamo più di tanto.
Sven non parve per nulla commosso dai
miei ragionamenti, e restò ostinatamente seduto
sull’erba.
— Io so che oggi verrà! — disse.
Questa certezza imperturbabile mi fece sorridere, e continuai la mia via; camminando, riflettevo a quel che mi aveva detto e ammiravo la
profonda tenerezza di un bimbo di cinque anni,
che lo faceva rimaner là seduto, solo, con qualche fiore in mano, per aver la gioia, non appena
comparisse sua madre, di correrle incontro e di
gettarsi nelle sue braccia.
Avevo fatto qualche passo appena, quando,
voltandomi a un tratto, vidi spuntar, tra i cespugli
di serenelle, il cappello bianco e il vestito chiaro
di mia moglie; nello stesso tempo sentii un grido
acuto, un vero grido di gioia.
122
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ritornai sui miei passi, sorridendo, e scorsi
il bimbo appeso al collo di sua madre, che l’abbracciava freneticamente.
Li apostrofai, ma Sven non voleva lasciar la
mamma. Si aggrappava a lei, e, non appena mi
vide, mi gridò, punto dalla mia incredulità e nello
stesso tempo fiero di averla vinta contro di me:
— Vedi che è proprio venuta? Vedi che non
m’ero sbagliato?
— Tu eri probabilmente andato a casa e avevi
visto Mamma che si preparava.
È impossibile descrivere l’aria di dispettosa
indignazione con cui rispose alle insinuazioni di
Papà.
— Ma no, non sono andato a casa! Dì, Mamma, ci son forse venuto?
La mamma calmò il suo piccolo caro e lo consolò, affermando solennemente che non era andato a casa per veder se ella venisse.
— Non puoi figurarti, — mi disse, — quante
volte è accaduto questo! Si direbbe che mi sente
nell’aria quando devo andar a raggiungerlo. Son
cose che i bambini non possono inventare!
XIII
Fummo obbligati a constatare che il piccolo
Sven non era più quello di una volta. Avveniva
che dichiarasse a un tratto, e senza la minima
causa apparente, di sentirsi stanco, e allora chie123
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
deva di rimaner coricato sull’erba, con la testa
appoggiata sulle ginocchia della Mamma. Oppure andava da Papà e lo pregava di portarlo. Papà
se lo prendeva sulle spalle e lo portava fra i campi o nei boschi, e il suo sguardo non espresse
mai una maggior gratitudine, né la sua manina
una maggior tenerezza.
Poi si lagnò di mali di capo e dovette prender dell’antipirina; al mattino non voleva alzarsi,
accusando un’estrema stanchezza. Ma Papà, che
non lo vedeva malato, lo levava dal letto, lo pregava di vestirsi e di andar a giocare all’aria libera.
Allora Sven si alzava e tentava, finché Papà era
in camera, di mettersi le calze, ciò che era assai
faticoso per lui. Ma quando Papà aveva chiuso
la porta dietro di sé, egli scivolava nel letto di
Mamma e la pregava di fargli un posticino accanto a sé.
Si capisce che Mamma non poteva dirgli di
no. Sven non avrebbe potuto esser più felice.
Colla testa appoggiata al braccio di Mamma,
chiudeva di nuovo gli occhi e riposava senza fare un movimento, finché le forze non gli fossero
ritornate. Allora si alzava, non senza aver prima
guardato la Mamma con i suoi occhi straordinari.
— Non lo dirai a Papà?
— Perché non vuoi che lo dica a Papà? —
chiedeva la Mamma.
— Perché Papà, sai, andrebbe in collera.
Ciò pareva così strano alla Mamma, ch’ella
avrebbe promesso tutto quanto le fosse stato
124
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
chiesto. Gli prometteva di non dir nulla a Papà.
Allora Sven usciva, rassicurato e contento, perché Mamma non avrebbe denunciato mai la sua
disobbedienza.
Quando Mamma doveva partir per un viaggio
o semplicemente uscir senza di lui, aveva delle
vere crisi di disperazione. Il suo dolore era atroce e piangeva da spezzare il cuore. Si cercava allora di consolarlo in tutti i modi possibili, ma la
sua disperazione era tale, che ne risentivamo gli
effetti molto tempo dopo.
Ne parlavamo in un pomeriggio Elsa ed io.
Io avevo per l’appunto convinto mia moglie e
far con me una piccola fuga a Stoccolma, dove
dovevamo incontrarci con alcuni amici e far colazione con loro. Avevo organizzato questa gita
per cambiar aria e liberar Elsa, per qualche ora,
dalla tirannia del piccolo Sven.
Una penosa scena di lacrime ebbe luogo alla
nostra partenza, ma riuscimmo a dimenticarla,
e passammo una buona giornata in città, come
avveniva sempre quando sapevamo di doverci
rimanere solo per poche ore. Ci eravamo incontrati con degli amici e godevamo insieme la gioia
d’esser riuniti, quando a un tratto mia moglie mi
chiese piano se mi sarebbe spiaciuto che tornasse a casa col prossimo battello, mentre avevamo deciso di prender l’ultimo. Ci avveniva così
di rado di far una gita, che la domanda di mia
moglie mi sorprese spiacevolmente; le feci osservare che avevamo stabilito di ritornare assai
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
tardi e che perciò nessuno ci avrebbe aspettati.
In breve, le posi tutte le obiezioni che mi vennero in mente, e finalmente addussi l’argomento
principale:
— Sven sarà già coricato, quando arriverai a
casa.
— Non è per questo, — mi rispose; — vorrei
semplicemente tornar subito.
V’era nel suo sguardo una muta preghiera, alla quale mi fu impossibile resistere.
Nel frattempo, il piccolo Sven andava e veniva
per la casa, e giocò per tutto il pomeriggio. Quando giunse l’ora di coricarsi, disparve, senza che si
sapesse dove fosse andato. Le nostre domestiche
non si disperavano per così poco; lo chiamarono
a parecchie riprese; e non ricevendo risposta, si
tranquillizzarono, pensando che sarebbe rientrato prima di notte e che i genitori, d’altra parte,
non sarebbero tornati che molto tardi.
Sven era, dunque, libero nei suoi movimenti, e
verso le otto andò a sedersi solo solo sul pontile,
ove approdavano i battelli a vapore. Non sapeva
precisamente a che ora ne sarebbe arrivato uno,
e per questo dovette rimaner là molto a lungo.
Ma attese con pazienza, e il battellino era ancora
al largo quando la Mamma aveva già scorto Sven.
Era seduto sul pontile, piccino piccino, tutto
raggomitolato su se stesso, col cappello di feltro
verde, che spiccava sulle onde azzurre del fiordo.
Ella era commossa, e le sembrava quasi di
aver avuto il presentimento ch’egli sarebbe stato
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
là ad attenderla; i suoi occhi non potevano distaccarsi dal bimbo, seduto su di una panca, con
la testa china e il corpo piegato, come se fosse
perduto nei suoi sogni.
Quando il battello approdò e la Mamma si
preparò a scendere a terra, il piccolo Sven era in
piedi sul pontile, col visetto ansioso e gli occhi
intenti.
Quando vide la Mamma venir a lui, sarebbe
stato impossibile dire quale dei due fosse il più
felice, se il bimbo che non aveva atteso invano
o la Mamma che aveva trovato il suo piccino ad
attenderla, con la certezza che sarebbe arrivata.
— Come potevi rimaner là seduto, Sven? —
disse la Mamma nella sua gioia. — Sapevi pure
che la Mamma doveva tornare tardissimo.
— Sapevo che saresti venuta, — rispose Sven
tranquillamente.
La voce e gli occhi esprimevano il suo stupore
che Mamma non capisse una cosa così semplice.
— Naturalmente, sapevo che saresti venuta, e
per questo son rimasto là ad aspettarti.
— Sei rimasto a lungo là?
— Certo, altrimenti Anna mi avrebbe preso e
avrei dovuto andare a coricarmi.
La Mamma non rispose. Le sarebbe stato impossibile rimproverare a Sven di avere, in certo
modo, disobbedito, poiché capiva che l’aveva
fatto per tenerezza verso di lei, e Sven sapeva
benissimo che non correva il minimo rischio di
essere sgridato.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Guardò la Mamma un po’ di sottecchi e disse
sorridendo:
— Ho fatto uno scherzo ad Anna; mi sono nascosto dietro un cespuglio, perché non potesse
scoprirmi!
Rientrarono tutt’e due in casa, felici come due
complici a cui è riuscito il colpo. In conseguenza
di tutto questo, quella sera la Mamma coricò ella
stessa il fratellino, come le accadeva sovente, del
resto, quantunque egli stesse per compiere i sei
anni.
Di solito, quest’operazione richiedeva del
tempo. Le sue dita avevano una delicatezza infinita per svestirlo, lavarlo, asciugarlo e infilargli la
sua lunga camicia da notte. Ella rimaneva a lungo seduta col bimbo sulle ginocchia, sognando
il tempo in cui era piccino e lo nutriva ella stessa. Quando era giunto il momento di mettersi in
letto, non poteva mai decidersi a recitar la sua
preghiera e inventava ogni sorta di storie perché
la Mamma non lo lasciasse. Ma quando l’aveva
finita, le metteva le braccia attorno al collo e
mormorava:
— Mi piace tanto che tu mi svesta! Tu almeno
non hai le mani ruvide quando mi tocchi!
Ella si chinò su di lui e gli disse piano:
— Ti spoglierò sempre io finché sarai grande.
Nessuno, all’infuori di me, ti dovrà toccare.
Ella era largamente ricompensata del sacrificio fatto interrompendo la sua gita per tornare
a casa, e quando arrivai a mia volta con l’ultimo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
battello, ella era ancora sveglia, poiché desiderava raccontarmi ciò che aveva detto Sven.
Dopo una lieta giornata trascorsa con degli
amici, quei tratti così commoventi del bimbo mi
commossero profondamente come non mai.
— Figurati, — dissi ad Elsa, — che un giorno, uno dei miei amici, raccontandomi le sue
prime impressioni dopo la morte di sua madre,
si espresse nello stesso modo. Anche lui aveva
appena sei anni. Spogliandosi e infilandosi la camicia da notte, — per la prima volta, — disse,
adoperando le stesse parole di Sven, — sentii
che delle ruvide mani mi toccavano.
— Rimasi in piedi presso il letto di Sven e lo
guardai a lungo. Le sue tempie parevano essersi
infossate, ma dormiva d’un sonno quieto e profondo. Mi chinai su di lui e lo baciai in fronte.
Cercammo di parlar d’altro, ma non riuscivo
ad allontanare il pensiero dal nostro bimbo.
— V’è una cosa a cui ho sovente pensato —
dissi ad Elsa. — Posso rappresentarmi Olof diventato uomo e Svante pure, per quanto diversi
siano uno dall’altro, ma Sven... Puoi, tu, figurartelo uomo? Che vuoi fare di lui nella vita? Credi
che il suo posto possa mai essere altrove che vicino a noi?
Il viso di mia moglie sorrise, ma la piega impercettibile intorno alla sua bocca indicava tutta
la tristezza di questo sorriso.
— Ci ho pensato spesso, — mi rispose. — E
seguendo il corso dei suoi pensieri, aggiunse:
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— È forse per questo ch’io l’amo più che tutti al mondo, più che i nostri due ragazzi grandi,
più che te stesso. Ho riflettuto spesso a queste
cose, e so che, se perdessi uno dei miei figli, lo
piangerei per tutta la vita. Ma sopporterei questa
prova per l’amore di voi che mi restereste. Se tu
morissi... — oh! non posso pensarci! — Ma se
Sven venisse a morire, allora non potrei più vivere nemmeno io! Tante volte ho pensato a dirti
questo, poiché ci tenevo che lo sapessi.
Mi tese la mano e i suoi occhi cercarono i
miei, come se volesse domandarmi perdono di
credere di poter vivere senza di me.
Dopo ch’ebbi spento il lume, rimasi a lungo
sveglio, tornando con la mente a ciò che Elsa mi
aveva detto. Mi addormentai con la certezza che
non avrei mai saputo se ella avesse detto la verità
o no.
XIV
Lo stato di Sven peggiorò talmente, che egli
dovette rimanere a letto. Noi ci rendevamo ben
conto ch’era grave, ma siccome non aveva quasi febbre, non credevamo che la sua vita fosse
realmente in pericolo. Io continuai a lavorare
alacremente al mio libro; mia moglie era seduta
presso il letto del malatino, gli teneva la manina
nella sua e gli raccontava delle storie, quand’egli
aveva la forza di ascoltarle.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Il dottore ci disse che la malattia sarebbe stata
lunga, ma ci rassicurò completamente sul suo esito.Avevo disegnato di fare un viaggio abbastanza
lungo, e partii, con la speranza che al mio ritorno
avrei trovato Sven in piena convalescenza.
Passai, dunque, tre intere giornate con dei carissimi amici, in luoghi meravigliosi, e godetti la
mia gioia, senza inquietarmi soverchiamente per
ciò che accadeva a casa mia.
Ma quando fui seduto sul treno che doveva ricondurmi a Stoccolma, mi sentii invaso da un’angoscia indicibile, che non riuscivo a vincere. Prima di salire in treno avevo ancora comunicato
per telefono con mia moglie ed avevo sentito,
attraverso la distanza, la sua voce tremar di gioia nell’annunziarmi che Sven stava meglio. Era
seduto sul suo letto, aveva riso e chiacchierato,
mangiato con buon appetito e pregato la mamma di abbracciare «il suo babbino». Tutto pareva
andar bene, eppure io non riuscivo a liberarmi
dall’angoscia che mi stringeva il cuore.
Arrivai a Stoccolma alle dieci di sera, nel momento in cui partiva l’ultimo battello per Lidìjon.
Mi vidi, dunque, obbligato a passar la notte alla
capitale, e andai direttamente all’albergo dove
avevo l’abitudine di scendere. Era buio e pioveva a torrenti. Penetrai vivamente nel vestibolo, in
preda a quel senso d’isolamento e d’abbandono,
che mi prendeva ogni volta ch’ero obbligato di
venire a Stoccolma in estate e mi vi ci trovavo
solo. Non avevo ancora avuto il tempo di farmi
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
dare una camera, che il portiere mi si accostò
pregandomi d’andare al telefono per una comunicazione urgente. Entrai subito nella cabina, ove
mi si annunziava, da casa mia, che il dottore se
n’era appena andato e ch’io dovevo immediatamente prendere una vettura e precipitarmi a
casa.
Fu come un colpo di scure che mi stordisse.
Feci i miei preparativi per la partenza, con l’incoscienza di un automa. Ordinai una vettura, e nello stesso momento mi dissi che dovevo prender
qualche cibo. «Sven è morto — pensavo. — Non
sarà più in vita quando giungerò a casa. Non bisogna che arrivi sfinito dalla fatica e dalla fame,
bisogna ch’io possa vegliare e consolar mia moglie!» Tutto questo attraversava il mio cervello,
mentre ero seduto là, in attesa di una vettura da
nolo. Mi vedevo, come se fossi un’altra persona,
mettere la carne nel piatto, tagliarla e cercar di
mangiarla. Per tutto il tempo non pensai che ad
una cosa, alla vettura che tardava tanto a venire!
Dio del cielo! La vettura non arriva ed a casa il
mio bimbo è in agonia, ed io non posso andar
da lui!
Vagai nel vestibolo, che misuravo febbrilmente a gran passi. Non potei rimaner seduto,
né metter un po’ d’ordine nelle mie idee. «Il mio
bimbo è in agonia» dissi al portiere; « per questo
mi vedete così nervoso!»
Cercai di sorridergli, per mostrargli che mi
rendevo perfettamente conto di ciò che v’era di
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
stravagante nel mio modo di fare. Ma sentii che il
mio sorriso si cambiava in una smorfia, e non attesi la risposta. Continuai ad andare e venire nel
vestibolo, con l’orologio in mano, come se volessi affrettar l’ora; infine, quando giunse la vettura,
avevo la certezza che tutto era finito. Non capivo
perché fossi là, perché dovessi salire in vettura
con quella pioggia dirotta, ma dissi al cocchiere
macchinalmente:
— Andate più presto che potete! Il mio bimbo è in agonia. Vi ricompenserò.
Quel cocchiere ci aveva condotti già molte
volte.
— È forse quel bimbo così bello? — chiese.
Queste semplici parole mi richiamarono alla
realtà, e un sentimento di calda e profonda gratitudine per quel giovanotto mi riempì il cuore.
— Sì, — dissi con voce soffocata, — sì, è lui!
Mi sedetti nella vettura, felice d’aver incontrato un uomo che mi comprendeva e che mi
sarebbe venuto in aiuto. Mentre correvamo velocemente per le strade, io parlavo a me stesso
e piangevo di gioia e di dolore insieme. «È così
bello e buono, che perfino un uomo, che l’ha
semplicemente visto salire in carrozza, si ricorda
di lui e me lo dice. E dovrebbe morire? Vivono
milioni di bimbi! perché proprio il mio dovrebbe morire?».
Mai tragitto fu più rapido e mi parve più lungo. Vedevo, nell’oscurità, le scintille accendersi
sotto gli zoccoli dei cavalli e il paesaggio passar
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
davanti a me come un gioco d’ombre; e per tutto il tempo parlavo a me stesso, dicendomi delle
cose fantastiche, senza capire come potessero
venirmi alle labbra. Mi pareva che in quella notte tempestosa io andassi incontro ad una fatalità ineluttabile e non chiedevo che una cosa: di
trovare il mio bimbo ancora in vita, arrivando,
perch’egli potesse ancora una volta metter le sue
braccine intorno al mio collo e mi fosse dato di
sentire ancora una volta il suono della sua voce.
I cavalli correvano con velocità vertiginosa;
la carrozza rimbalzava da una parte all’altra della
strada. Ma non mi venne neppure in mente che
potessimo avere un incidente e rovesciarci. Che
bravo ragazzo, quel cocchiere! Si ricordava del
mio bimbo, che era così bello, così carino e ch’io
non volevo lasciar morire!
— «È il padre col suo figliolo» — mormorai
ad alta voce. La ballata di Goethe m’era venuta in
mente e ne recitavo dei versi.
A un tratto mi misi a singhiozzare nervosamente e la gola mi si chiuse al punto che credetti di soffocare; sporsi la testa dallo sportello per
prender aria, guardando sfilare il paesaggio, i cui
minimi particolari mi erano noti.
Le pietre sulle quali la carrozza rimbalzava
in quel momento, mi fecero comprendere che
ci eravamo inoltrati nella scorciatoia che conduceva a casa mia. Con lo spirito ed i nervi tesi all’ultimo limite, scrutai le tenebre e finii per
distinguere la forma di una carrozza ferma nel
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
cortile. Il medico è ancora là! Il medico è ancora là! Poi intesi la voce di mia moglie: — Arriva!
Dio sia lodato! È qui. — Pochi istanti dopo, ero
in casa. Tutto il mio essere era in un tale stato di
sovraeccitazione e di febbre, che non compresi nulla di ciò che avevo sotto gli occhi. Avevo
l’impressione che il medico era là e sentii mia
moglie che mi stringeva fra le braccia. Era chiaro
per me ch’ella era contenta, che pareva perfino
raggiante di gioia e che io pure dovevo esserlo.
Sentii vagamente parlare di uno svenimento che
aveva avuto Sven, dal quale si era rimesso, e che
il dottore sperava non avrebbe avuto gravi conseguenze. Ero così poco preparato alla felicità
che mi attendeva a casa mia, che non riuscivo a
scuotere l’atroce depressione morale che s’era
impadronita di me al mio arrivo a Stoccolma.
Macchinalmente mi tolsi i guanti, mi levai il
soprabito e rimasi là, in piedi, cercando, per così
dire, di abituare i miei occhi alla luce che rischiarava la camera.
— Non vuoi entrare nella sua camera a vederlo? — mi chiese mia moglie. Non dorme.
— Ma sì — risposi.
Senza rendermi conto di quel che facessi, entrai nella camera e vidi Sven coricato nel mio letto: alzò gli occhi su di me.
— Riconosci Papà, Sven?
— Sì, — rispose il bimbo con voce spenta.
Non poteva capire perché tutti avessero l’aria
così preoccupata e inquieta. Stese la sua manina
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
per accarezzarmi, ed io notai come fosse smagrita e trasparente.
Mi chinai su di lui; allora soltanto compresi
che tutto ciò era la realtà e che il mio bimbo
viveva. Mi misi la mano sugli occhi: sentii a poco
a poco il mio petto liberarsi dal peso che l’opprimeva e cadere il velo che oscurava le mie palpebre.
XV
Vivemmo allora giornate di commozioni indimenticabili, giornate d’inquietudine e di disperazione, in cui i minimi sintomi favorevoli ci facevano rinascere alla speranza. Il medico ci aveva
avvertiti che la convalescenza sarebbe stata lunghissima; ci eravamo armati di pazienza e cercammo anche di mettere in pratica questa virtù.
Durante le due settimane che seguirono, due
settimane interminabili, la malattia di Sven non
cambiò nulla alla nostra solita vita; ci abituammo
a poco a poco, come avviene sempre quando la
malattia si stabilisce a lungo in una casa.
Io passavo la mattinata lavorando al mio libro,
mia moglie andava e veniva tra il mio studio e
la camera di Sven, tranquillizzando questo con
la sola sua presenza, ed usciva in punta di piedi,
quand’egli dormiva, sia per andare a respirare un
po’ d’aria pura, sia per tenermi al corrente dei
sintomi favorevoli che il suo occhio vigile crede136
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
va scoprire ad ogni momento. Svante errava per
la casa come un’anima in pena; a volte attraversava la baia e andava a raccontare alle sue amiche,
le ragazzine, che il suo fratellino era gravemente
ammalato e che la nostra casa era diventata triste
e silenziosa.
Perché mia moglie potesse riposare durante
la notte, avevo dovuto prendere un’infermiera,
non senza una viva resistenza da parte di Elsa,
poiché ella era così gelosa del bimbo, che non
voleva permettere a nessuno di curarlo. Pure,
quando s’accorse che non ne poteva più, dette il
consenso con le lacrime agli occhi e si rassegnò
alla necessità.
Qualche ora dopo l’arrivo dell’infermiera, Elsa entrò nel mio studio e mi raccontò, tutta raggiante di gioia, che la sua nuova amica piaceva
molto a Sven.
— Son contento di lasciarmi curare da te, perché sei gentile — le aveva detto.
Poi chiuse gli occhi e riposò tranquillamente,
secondo la sua abitudine, con la borsa del ghiaccio sulla fronte, che gli faceva sempre male, e le
manine magre posate sulle coperte.
Un giorno, un organetto si fece sentire a un
tratto in cortile; quel giorno Sven aveva preso un
po’ di cibo, aveva chiacchierato e pareva molto allegro; gli chiedemmo se non voleva che lo portassimo fuori per vedere una scimmia che ballava.
Di solito, quando un suonatore d’organetto
era in vista, Sven accorreva ansante da Papà per
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
chiedergli qualche soldo. Era felice di dare e la
sua fisonomia era così raggiante di gioia quando
arrivava con le sue monete in mano, che il musicista dal viso abbronzato, in cui scintillavano due
occhi di brace, non poteva tralasciar di sorridere.
Sven fu avvolto con cura in una coperta, gli
misero le calze e Papà lo portò in braccio sulla
veranda, da dove poteva assistere alla rappresentazione del suonatore d’organetto. Non era più il
piccolo Sven di una volta! Con occhio affaticato
e lontano guardava gli alberi e il cortile pieno di
sole, e il gruppo dei bimbi che lo riempivano, e a
veder l’espressione del suo viso si sarebbe detto
che cercava di capire perché tutto ciò non fosse
bello come una volta.Tentò solo di abbozzare un
sorriso alla vista della scimmia, che lo aveva divertito tanto, di solito, per i balletti che eseguiva
sull’organo e le sue buffe smorfie, quando cercava di rompere una noce coi denti.
Ma Sven era indifferente a tutto ciò; il suo viso
diventava sempre più serio e il suo corpo pesava
sempre maggiormente sul braccio di Papà. Pareva che contemplasse quello spettacolo molto
da lontano, che rivedesse col pensiero tutto ciò
che aveva tanto amato sulla terra: i fiori, i prati, i
boschi, gli uccelli, ma che avesse la certezza che
ormai tutto questo non era più per lui.Appoggiò
la testa sulla spalla di Papà e così lo riportammo
nella sua camera.
La Mamma lo coricò nel suo letto e gli accomodò i cuscini.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Non è vero ch’era bello, Sven?
— Oh si! soltanto io non potevo ancora guardar bene! Ma presto sarò guarito!
Allora la Mamma si chinò su di lui, accarezzò
i capelli del fratellino, e senza ch’egli se ne accorgesse, tese verso la mia la sua mano rimasta
libera e me la strinse spasmodicamente.
XVI
Una notte ero seduto solo nella mia camera;
sapevo che l’indomani sarebbero venuti i medici
e avrebbero pronunziato una sentenza decisiva
di vita o di morte per il piccolo Sven. Sapevo che
sarebbero venuti in due, perché il nostro solito
medico, desideroso di declinare l’intera responsabilità, aveva deciso di chiamare uno specialista
a consulto. Ero seduto alla mia tavola, solo, e davanti a me stava il manoscritto del mio libro quasi terminato; mancavano solo gli ultimi capitoli.
Avevo dato la buona notte a mia moglie, annunziandole che contavo lavorare ancora.
— Come puoi lavorare questa sera? — mi aveva risposto con un’ombra d’amarezza nella voce,
come se immaginasse che non sentivo come lei!
Ma ella si rimproverò subito quelle parole; appoggiò la testa contro la mia e disse:
— Sei ben felice di poter lavorare!
Ero, dunque, seduto al mio scrittoio, solo, coi
nervi tesi, in preda a una depressione morale in139
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
descrivibile. Speravo, nonostante tutto, che mio
figlio sarebbe vissuto, e lo credevo, anche. Ma
avevo in me la persuasione, che se non avessi
finito il mio libro, non l’avrei finito mai più. Sapevo quasi ogni parola che dovevo scrivere sui fogli ancora bianchi che avevo davanti a me. Sotto
il pungolo di una forza irresistibile che mi spingeva, scrissi, riempii una dopo l’altra le pagine
bianche e le ammucchiai in pila sullo scrittoio.
Mi pareva che una voce misteriosa mi ordinasse
di scrivere; ero obbligato ad obbedirle, mio malgrado, e mi sentii invaso da una febbre di lavoro,
come fosse in gioco la mia vita stessa.
«Domani, domani! Chi sa quel che avverrà
domani?» dicevo a me stesso. «È possibile che il
tuo bimbo muoia. E allora non potrai scrivere. Ti
si chiederà del denaro, molto denaro! Tu potrai
rivedere il tuo libro, correggerlo, ma non potrai
più finirlo, se il tuo bimbo muore!».
I miei pensieri correvano con rapidità vertiginosa, e i fogli davanti a me si riempivano, gli uni
dopo gli altri, mentre sentivo una voce mormorarmi all’orecchio: — Bisogna che ti procuri del
denaro, molto denaro, se il tuo bimbo muore e se
vuoi salvare tua moglie! — Le prime luci dell’alba cominciavano già a filtrare attraverso le tendine e a scherzare sul mio scrittoio, ove la lampada
brillava ancora, ed io scrivevo sempre, con la testa in fiamme e lo spirito allucinato da ogni sorta
di visioni. Rivedevo col pensiero il mio ritorno da
Stoccolma, nella notte buia, sotto l’uragano scate140
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
nato. «È il padre col suo figliolo». Sentivo sibilar la
frusta sopra la testa dei cavalli, vedevo le scintille brillar sotto i loro zoccoli, sentivo l’aria gelida
della notte accarezzare e rinfrescare la mia fronte arsa dalla febbre. E scrivevo sempre, sempre!
Intanto, a poco a poco, pensavo meno al mio
bimbo che a lei, lei a cui dovevo consacrarmi intero, se volevo trattenerla presso di me, nel caso
in cui l’irreparabile si producesse e Sven venisse
a morire. E scrissi, scrissi sempre, come nessun
uomo scrisse mai per del denaro; scrissi le migliori pagine che siano uscite dalla mia penna. Quando le forze stavano per abbandonarmi, bevevo,
bevevo molto, per poter arrivare sino alla fine.
Il sole brillava nel cielo da un istante quando
scrissi le ultime righe. Ero seduto sulla mia sedia
come inebetito!
Raccolsi i fogli scritti e li chiusi nel mio cassetto, poi uscii dolcemente e appoggiai l’orecchio
contro la porta della camera in cui Sven dormiva.
Nello stesso momento questa s’aperse e scorsi la figura di mia moglie. Mi avanzai verso di lei
barcollando, e le dissi:
— Ho finito!
Ella mi sorrise e mi rispose con una voce rivelante tutta l’immensità della gioia che le riempiva il cuore:
— Dorme placidamente, ogni pericolo mi par
scongiurato!
— La lasciai, e qualche momento dopo mi addormentai in un sonno quasi letargico.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
XVII
Prima che l’indomani fosse trascorso, sapevamo che ogni speranza era perduta e che il piccolo Sven stava per morire. Fu come un colpo di
scure per noi, che non avevamo cessato di aver
fiducia e di sperare. Eravamo in piedi nel vestibolo, con i due medici gravi e silenziosi, mia moglie
li fissava ostinatamente, come se sperasse ancora
che non avessero detto l’ultima parola; anch’io li
osservavo tutt’e due, mentre mettevo il braccio
intorno alla vita di Elsa per attirarla verso di me,
e vidi che il viso del nostro amico si contraeva
dolorosamente; il professore, dal canto suo, parlava lentamente e con voce quasi spenta, come
se ogni parola gli costasse un violento sforzo su
se stesso.
Non potevo pensare che a una sola cosa, cioè
che l’inevitabile era sul punto di compiersi e che
era necessario irrigidirsi per sopportarlo.
Con un gesto energico, che mi rivelò l’immensità del suo dolore, Elsa si liberò dal mio
braccio, e gridò, torcendosi le mani fino a farne
scricchiolar le ossa:
— Dite, dite che v’è ancora speranza, ditemelo!
I due medici evitarono il suo sguardo, ma la
povera donna si rizzò e gridò con esaltazione feroce:
— Io non voglio che muoia! Vi farò vedere io
che vivrà!
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ella si ritirò; noi rimanemmo là, senza trovar
parole, e la guardammo sparire nella camera del
malato. Comprendevamo ch’ella pure si rendeva
conto che ogni speranza era perduta e che per
questo aveva giurato di strappare Sven alla morte, a dispetto della sentenza dei medici. Ci separammo silenziosamente, ed io seguii mia moglie,
senza saper che cosa le avrei detto, ma solo per
esserle vicino.
Non la trovai nella camera di Sven, ma nella
mia; i suoi lineamenti erano contratti, era seduta
sul sofà, prostrata, annientata; premeva convulsamente le guance nelle palme; i suoi occhi erano
asciutti, spenti e fissavano il gran Mistero; il suo
corpo, il suo viso e perfino le sue mani esprimevano che là solo era il suo rifugio.
Cercai di parlarle, la chiamai per nome, ma
ella non rispose, e dovetti abbandonarla alla sua
muta disperazione. Passò lungo tempo prima
che Elsa uscisse dalla sua prostrazione e tornasse
in sé. Non pronunciò parola, stese semplicemente la mano verso di me e m’attirò vicino a lei, sul
sofà; poi si gettò nelle mie braccia e la nostra comune disperazione si fuse in un lungo, immenso
singhiozzo.
— Io ti compiango, tanto, tanto! — mormorò.
— Me?
Mi liberai violentemente dalla sua stretta e
la guardai: v’era qualcosa nella sua voce che mi
ispirava un presentimento, al quale non volevo a
nessun costo abbandonarmi.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ella si volse verso di me, a mani giunte, e mi
disse, mi gridò quasi:
— Non pensi mica di domandarmi di vivere,
di vivere senza Sven? Non è possibile, non è possibile!
Era ciò ch’io temevo, e le sue parole mi provavano che avevo indovinato. Rimasi come inebetito e non seppi rispondere una parola.
— Siediti vicino a me, — aggiunse — io non
mi inquieterò, ti parlerò con molta calma. Non
sono più inquieta. Il solo sentimento che provo è
quello di un annientamento completo. Fin da ora
io son partita, quantunque tu non possa concepirlo, poiché tu sai così poco, ed io potevo così
poco parlare. A che pro, del resto, parlar di tutto
questo, prima che l’inevitabile dovesse compiersi? Io ho desiderato vivere vicino a te, Giorgio, ho
desiderato vivere vicino a te; perché ti ho amato
più che ogni cosa al mondo. Non sono la giovane
donna che tu credi, sono vecchia, infinitamente
vecchia e infelice! Tu non te ne sei mai reso conto, non hai mai voluto accorgertene, e quando ti
vedevo completamente felice, non volevo turbar
la tua gioia. Ma, fin dai miei più lontani ricordi,
sapevo di non essere come gli altri, e desideravo
di morire. Giorgio, puoi capire ciò che dico in
questo momento? Quasi non lo capisco neppur
io. Mentre ero così felice di avervi, te ed i cari
piccini, felice di goder tutto ciò che v’ha di bello
nella vita, sapevo che sarei un giorno costretta
a rinunciare a tutta questa felicità e che nulla
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
avrebbe potuto impedirmelo; sapevo che avrei
voluto e non avrei voluto, che avrei desiderato e
non avrei desiderato, sapevo che me ne sarei andata fatalmente nella notte che mi attende e alla
quale son destinata. Avevo la sensazione che sarebbe venuto qualcosa a vincer le mie resistenze
e mi avrebbe forzato ad accettare l’ineluttabile.
Ti ricordi, Giorgio, dell’inverno in cui le relazioni
fra te e me erano così tese, così penose? Cercai
allora di scriverti e di aprirti l’animo mio, poiché non potevo parlare. Ma non potei nemmeno
scrivere! Non potevo dirti tutto ciò che avevo
in cuore, e ricordo il mio stupore vedendo che
in seguito tu non m’interrogavi, non m’incalzavi
di domande, quantunque t’avessi pregato di non
rivolgermene. A volte, desideravo di esser da te
interrogata, ma in fondo ero contenta che tu non
lo facessi. Non puoi avere un’idea, Giorgio, di ciò
che allora ho sofferto. Tu venivi, mi prendevi la
mano, ti sedevi vicino a me, ed io non mi sentivo
felice come una volta, perché sapevo che non
sarebbe passato giorno in cui non avessi pensato a morire e ad abbandonarti. Volevo darmi io
stessa la morte, Giorgio! Puoi immaginare una
cosa simile puoi concepire che, in mezzo alla felicità che mi circondava, io pensassi al suicidio?
Ma ti vedevo così buono con me, così affettuoso,
così felice di vivere, e mi facevo l’effetto di una
moglie infedele che ti tradisse. E sai perché volevo lasciarti e morire? Perché sapevo in modo
assoluto che ciò sarebbe accaduto fatalmente un
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
giorno o l’altro, e preferivo andarmene quando
tu eri ancora nel pieno vigore dell’età, e potevi
consolarti, dimenticarmi, rifarti un focolare ed
esser felice con un’altra.
Si fermò un momento; aveva gli occhi bagnati
di pianto; poi continuò, con una voce che non
pareva più la sua:
— Poi è venuto il piccolo Sven, Giorgio, e fu
una completa trasformazione. Ti ricordi che te
l’ho detto a quel tempo? Te lo ricordi? Credevo
allora che il buon Dio m’avesse inviato Sven per
riattaccarmi alla vita, per permettermi di darti
tutta la felicità che desideravo darti, ed ogni sera
gli chiedevo nelle mie preghiere di concedermi questa grazia! Credevo fermamente che mi
avesse esaudita, e ne parlavo col piccolo Sven,
quand’eravamo soli noi due e nessuno poteva
sentirci. Ma egli mi abbandona ora, Giorgio; ora
so che tutto il resto, che tu hai ignorato fino ad
ora, sta per tornare, e ti chiedo una sola grazia
in questo momento, cioè di perdonarmi tutto
ciò che t’ho fatto soffrire in passato e tutto ciò
che ti faccio soffrire in questo momento, in cui
metto la mia anima a nudo davanti a te. Ma non
chiedermi di rimanere con te! Là dove va Sven,
andrò io pure!
Ella era in piedi, davanti a me, e in quel momento m’apparve come un essere sovrumano!
Ero così poco preparato a tutto ciò che mi
aveva detto, che mi pareva mi raccontasse un incubo atroce.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ma mentre mi lacerava così il cuore, intravidi
anche tutta la profonda ed infinita tenerezza con
cui mi amava; ed ero fermamente deciso ad afferrar con le due mani questa tenerezza e a trattenerla energicamente, non volendo lasciarmela
rapire proprio nel momento in cui mi si rivelava
così.
— Questo è superiore alle mie forze! — le
gridai. — Non posso perdervi tutt’e due in una
volta! Non è possibile che tu esiga questo da me!
Ella s’alzò, silenziosa, e come una Niobe che
si stringe al cuore i figli, cui le frecce degli dèi
perseguitano fin tra le braccia della madre, si
drizzò davanti a me.
— Lasciami condurre Sven con me, — disse
— poiché deve morire! Stasera, quando tutti dormiranno, discenderò con lui fino al fiordo. Non
sarà che l’agonia di un istante. Così non avrò da
torturarti più oltre.
Mi alzai davanti a lei, la presi per un braccio e
l’obbligai a sedersi di nuovo.
— Disgraziata! — le gridai; — hai perduto la
ragione, e non hai coscienza dei tuoi atti?
Mi rispose semplicemente:
— Se m’impedisci di morire con Sven, sarà la
tua disgrazia e la mia! L’inevitabile accadrà, ma
non potrai rendermene responsabile!
La pressione del mio braccio era così forte
che le fece male, e cercò di liberarsi; a un tratto
gli occhi le si annebbiarono e svenne. La distesi
sul sofà, continuando a pensare a ciò che m’ave147
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
va detto, che mi sembrava come un sogno assurdo e mostruoso, e rimasi a lungo vicino a lei
ad osservarla. Quando vidi che il suo respiro era
tornato regolare e che dormiva, le feci scivolare
un guanciale sotto la testa, le spiegai una coperta
sulle gambe ed uscii.
Rotto dalla commozione e appena in grado
di stare in piedi, entrai nella camera di Sven. Il
suo occhio destro era chiuso, ma il sinistro s’era
dilatato e aveva uno splendore straordinario. Mi
chinai su di lui, presi la sua manina smagrita nella
mia e la portai alle labbra.
— Mio povero angelo! — dissi a bassa voce,
— tu ed io non possiamo aiutarci! Non possiamo
nulla uno per l’altro!
XVIII
Avevamo posto il letto di Sven nella stanza
che dava sulla veranda, perché potesse, attraverso le porte spalancate, sentir cantar gli uccelli e
mormorare il vento. Egli era coricato là, nel suo
lettino bianco; di tanto in tanto alzava gli occhi,
nell’attesa di un bacio, che eravam troppo felici
di dargli, oppure muoveva dolorosamente le sue
povere manine esangui, ed allora ci chinavamo
su di lui, ben sapendo che desiderava accarezzarci.
Svante entrò in punta di piedi nella camera
del malato; poteva pensare solo ad una cosa, che
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
il fratellino stava per morire, e non capiva perché dovesse morire. Rimase a lungo immobile,
con gli occhi fissi su Sven; di tanto in tanto si
chinava su lui e lo baciava sulle gote. Quando
Elsa si fu rimessa dal suo svenimento ed entrò
nella stanza, egli andò a lei e le mise le braccia
al collo.
Non dimenticherò mai l’espressione di angoscia straziante del suo sguardo, quand’ella
abbracciò il figlio maggiore e fissò gli occhi nei
suoi.
— Hai telegrafato ad Olof? — mi chiese.
Feci un cenno affermativo col capo, e la vidi
di nuovo chinarsi su Svante e stringerlo fortemente a sé. Obbedendo ad una subita ispirazione, mi alzai ed uscii, lasciando Elsa sola col figliolo sano e con quello che stava per morire. Ma
al momento d’oltrepassar la porta, mi voltai e la
vidi che conduceva Svante presso il letto di Sven.
Si sedette da una parte del letto e disse al fanciullo di sedersi dall’altra. Poi si chinò sul malato, ma
per tutto il tempo tenne la mano di Svante nella
sua, e vidi che accarezzava i suoi due figlioli, senza far alcuna differenza fra di essi.
Quando Svante uscì dalla camera, io vi rientrai e mi sedetti al posto ch’egli aveva lasciato, di
fronte a mia moglie.Allora ella mi tese la mano al
disopra del bimbo agonizzante e mi disse:
— Non so se sarà per il nostro bene o per il
nostro male, ma io resterò presso di te, poiché
ora credo che sia la volontà di Dio!
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
E dopo qualche momento aggiunse:
È pure la volontà di Sven; ho parlato con lui.
Senza poter rispondere una sola parola, mi
chinai verso di lei e le baciai la mano. In quel
momento ci sentivamo tutt’e due trasportati al
disopra delle gioie e delle tristezze della terra.
XIX
Invano cerco di distinguer gli uni dagli altri
i giorni che seguirono, e mi sarebbe anche impossibile dire quanto tempo trascorse. Le notti
e le giornate si confondevano, e la nostra vita
si concentrava in un unico punto, la cameretta
sulla veranda ricoperta di caprifoglio fiorito, che
riempiva l’aria del suo profumo. In quella cameretta il nostro bimbo lottava contro la morte.
Vi passavamo le giornate, seduti l’uno accanto all’altra, vi prendevamo i pasti, vi dormivamo,
vi vegliavamo. Là, tutte le nostre tristezze, tutte
le nostre gioie, tutti i nostri sogni si fusero in un
solo ed indicibile dolore.
Quando ogni speranza fu spenta, mia moglie
chiuse la boccetta dell’etere. Ella, che voleva morire con lui, portò via l’ultimo stimolante, per non
dover poi rimproverarsi di aver turbato l’agonia
del bimbo, per il suo piacere egoista di vederlo
fissar su di noi l’occhio brillante e dilatato.
L’occhio destro s’era spento, e la palpebra
vi si era ribattuta sopra, come se la metà della
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
sua testina fosse morta da un pezzo; ma quando
la palpebra sinistra s’apriva, l’occhio aveva uno
splendore straordinario; lo sguardo diveniva grave e profondo, come se penetrasse già un mondo in cui suo padre e sua madre non avevano
accesso, e ove non avrebbero potuto penetrare
che quando avessero inteso a loro volta suonare
la campana della Morte, alla chiamata della quale
era impossibile sottrarsi, qualunque fossero i vincoli che li avvincevano alla terra.
In quella camera eravamo seduti quando il sole brillava nel cielo, quando, di fuori, la pioggia
cadeva a torrenti e quando il lumicino da notte
spandeva la sua luce pallida e tremante sul letto
bianco e sul viso dimagrito di Sven. Su di lui avevamo sempre fissi gli sguardi, su di lui si concentravano i nostri dialoghi muti, ed eravamo giunti
a desiderar per lui la liberazione finale. La sua
agonia fu calma e serena come la sua vita; quando
mia moglie si chinava su lui, egli muoveva le sue
povere labbra bruciate dalla febbre e la baciava.
— Sven, accarezza Papà! Papà è qui — ella
diceva a volte.
Allora egli mi fissava col suo grande occhio
doloroso e posava la sua mano smagrita contro
la mia guancia: quella carezza aveva qualcosa di
lontano, come se la facesse in sogno.
Giunse l’ultima notte. Eravamo seduti l’uno
vicino all’altra, e credo che mai due esseri si siano sentiti più intimamente uniti e fusi in un solo.
Le nostre mani erano congiunte sopra il letto del
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
bimbo, e ci indicavamo, con una leggera pressione, i minimi movimenti del suo viso; quando la
sua palpebra si rialzava ed il suo sguardo ci cercava, ci dicevamo l’un l’altra:
— Hai visto? hai visto? — E mentre raccoglievamo avidamente quel tesoro di ricordi, che
doveva esser tutto ciò che ci rimaneva di lui, le
ore della notte trascorsero lentamente, e l’alba
apparve sul fiordo, sulle grandi querce e su tutto
il giardino abbandonato, sotto le nostre finestre.
Spalancammo le porte della veranda, come
se volessimo lasciar che l’anima del fratellino
s’involasse liberamente per le regioni in cui non
potevamo seguirla, e l’aria del mattino penetrò a
ondate nella camera. Era piovuto nella notte, e le
nebbie leggere correvano sulle onde della baia,
mentre i raggi del sole penetravano timidamente
tra le fratture delle nubi. Quando si furono completamente liberati dalle nebbie che li imprigionavano, gli uccellini si misero a cinguettare, e
quel raggiante risveglio della natura ci commosse al punto che dovemmo imporci silenzio, per
non turbare il sonno del bimbo agonizzante.
— Vedi, — diceva Elsa, — vedi come la natura
è in festa nel momento in cui egli sta per lasciarci?
Ma l’angelo della morte non venne ancora a
prenderlo, e la sua respirazione continuò ad essere calma e regolare.
Eravamo disfatti. Decisi mia moglie, con gran
fatica, a stendersi sul sofà, accanto al letto del
piccino, e a prender un po’ di riposo. Ella dormì
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
là, con la mano appoggiata sul letto, e mentre il
sole saliva nel cielo, io vegliai solo, ascoltando il
respiro ansante di Elsa e desiderando, nel mio
intimo, la liberazione per tutti. Rimasi fin quando
mia moglie si svegliò; allora presi il suo posto,
e rotto dalla fatica, m’addormentai, con la mano
nel punto preciso in cui s’era posata la sua.
Qualche ora trascorse così, e il sole si levò
sempre più alto in un luminoso cielo d’estate. Mi
risvegliai sentendo la mano di mia moglie posarsi sulla mia.
— Svegliati, Giorgio, — mi disse, — Sven sta
per morire.
Mi fu impossibile restar nella camera; scesi in
giardino, ed essendomi venuta l’idea di procurar
un’ultima gioia a lui, che aveva sempre amato i
fiori, colsi un bocciolo di rosa, il più bello che
potei trovare, e lo posai sul guanciale ove riposava il mio bimbo, vicino all’occhio che non era
ancora morto. Non sentendomi il coraggio di rimanere in camera, uscii di nuovo sulla veranda.
Sentii di là Svante che entrava e si sedeva accanto al letto, ma non mi voltai: il rumore del respiro ansante del bimbo giungeva fino a me e mi
spezzava il cuore; pareva il rantolo di un adulto.
A un tratto sentii mia moglie mandare un grido,
e guardai attraverso la porta a vetri.
Sven aveva aperto l’occhio e veduta la rosa:
poi aveva steso la mano, aveva preso il fiore, come se avesse voluto guardarlo un’ultima volta, e
l’aveva lasciata ricader sul guanciale.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
A un tratto tutto il suo corpo fu scosso da
atroci convulsioni, che ci sembravano interminabili. Cominciavano dalla testa e la torcevano, poi
sembravano continuar fin nelle estremità, che si
facevano rigide e paonazze.Allora mia moglie abbassò il capo per non veder l’orribile spettacolo, ma quando la crisi fu passata, la vidi pianger
silenziosamente, e di nuovo mi tese la mano al
disopra del letto.
Rimanemmo così in camera sino alla fine,
ascoltando il respiro del bimbo che rallentava,
poi diveniva più debole e infine cessò completamente.
Il silenzio della morte regnava intorno a noi.
Annientati e con gli occhi pieni di lacrime, seguivamo la piccola anima, che apriva le ali e prendeva il volo.
Tenevamo il «fratellino» ciascuno per una mano; a un tratto lasciammo ricader sulle coperte le
due manine gelide.
Poi mia moglie uscì dalla camera per andar a
prendere un po’ di riposo; io rimasi sulla mia sedia, col cuore affondato nella tristezza, vedendo
il silenzio profondo in cui la morte stava immergendo ogni cosa intorno a me.
Olof arrivò nel pomeriggio, e tutt’e tre andammo presso il letto su cui riposava il corpo
del piccolo Sven. Egli pianse silenziosamente, virilmente, e quando tornò in sala da pranzo, Svante gli mostrò con gravità il suo dito.
V’era impresso un segno profondo, e Svante
spiegò ad Olof che il fratellino vi aveva impresso
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
la sua unghia prima di morire. Conservò il segno
per parecchi giorni, e si desolò quando scomparve.
XX
In mezzo alla camera, nel luogo stesso in cui
una volta stava un letto con sopra coricato un
bimbo vivo, v’è, ora, una piccola bara gialla. La
camera sparisce quasi sotto le rose con cui l’hanno ornata, e dalla porta entra una povera donna
vestita a bruno.
Ella porta un bimbo fra le braccia, e questo
bimbo è morto. Ella non permette che altri tocchi il suo diletto, e con le mani, che non tremano,
lo corica nella bara. Fra le sue braccia depone un
piccolo cane di lana, col quale aveva l’abitudine di dormire quand’era ancor pieno di salute e
di vita, e nessuno pensava alla morte. È «Flocki»
che vuol accompagnare il suo padroncino. È un
compagno quieto, che non disturba nessuno. Poi
ella s’assicura che il suo bimbo è ben coricato,
e gli accomoda il letto, come se avesse appena
recitate le preghiere della sera e lei venisse nella
sua camera a dargli la buona notte. Lo contempla
a lungo, con un’espressione di dolore indicibile,
e bacia le sue labbra gelide.
Poi se ne va, ed io resto solo, col coperchio
della bara che le ho promesso di avvitare io stesso. Mi accingo al funebre compito, e ad ogni giro
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
della vite che sprofonda nel legno, mi par che
m’entri nel cuore. Ma quando ho finito, non sento più nessun dolore, come se le angosce sofferte avessero estinto in me ogni facoltà di sentire
e di soffrire. Da qualsiasi parte i miei sguardi si
volgano, non vedo che fiori.
Allora esco sulla veranda, e il profumo del caprifoglio, che s’effonde nella notte, mi avvolge: è
lo stesso profumo che respiravo quando sentivo
le dita del mio bambino stringere disperatamente la mia mano negli spasimi dell’agonia. Tutto è
spezzato in me, tutto è naufragato. Io penso a lei,
che è uscita, penso a tutto ciò che accadrà ora.
Sento che non avrò mai il tempo di piangerlo
come vorrei, il mio bimbo dai riccioli d’oro, dagli
occhi d’angelo, e nel mio smarrimento solitario,
piego le ginocchia dinnanzi alla bara, io che non
so davanti a chi debba piegar le ginocchia, né
verso chi innalzar la mia preghiera.
XXI
Nel cimitero v’è una piccola tomba: pare
un giardino: una siepe di bosso la circonda; un
rosaio è piantato sopra un tumulo ricoperto di
erbetta fresca, e, in cima, viole del pensiero. È
diversa da tutte le altre tombe; un tiglio solitario
la ricopre della sua ombra.
In mezzo alle viole è posta una pietra, e questa pietra reca la semplice iscrizione: «Il nostro
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
piccolo Sven». Là è rinchiusa tutta la nostra felicità. Una volta essa era tanto grande, che non
trovavamo nulla al mondo da poterle paragonare. L’anima di mia moglie è trattenuta prigioniera sotto quel tumulo, vi è incatenata da vincoli
magici, e nessuna tenerezza umana è abbastanza
forte per strapparla a quell’incanto e richiamarla
sulla terra.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Parte Terza
I
Tutto ciò ch’io avevo atteso e temuto accadde, con questa differenza però, che più la mia
disgrazia ingrandiva e meno io volevo crederci, quantunque l’avessi presentita con certezza.
L’uomo sa, infatti, che il dolore verrà a visitarlo
un giorno o l’altro, ma ignora sempre in che modo lo colpirà.
Per prima cosa compresi, quando mi sentii
un po’ più calmo e potei riflettere su tutto l’accaduto, che mia moglie aveva espresso l’intimo
del suo pensiero il giorno in cui m’aveva detto,
seduta davanti a me nella mia camera, che era
votata al dolore, e che, quando Sven fosse partito,
ella non sarebbe vissuta che per morire. Questa
scoperta mi gettò nella più completa disperazione. Senza posa mi ripetevo le sue parole, e più ci
pensavo, più forte si formava in me la convinzione che in lei si combatteva una terribile lotta tra
il desiderio di morire e l’amore per i suoi bimbi e per me, che le comandava di vivere. Pure,
tutto ciò che m’aveva detto sulla sua tenerezza
per noi, mi tornò in mente e finì per vincerla
sulle parole atroci che indicavano un desiderio
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
di morte, in cui si poteva quasi vedere una risoluzione irrevocabile di partire. La vedevo dolorosamente divisa e combattuta tra l’affezione che
l’avvinceva ai tre esseri cari che le rimanevano e
la segreta chiamata che le veniva dalla tomba del
piccolo Sven. Noi avevamo formato un tutto per
lei, e la sua sofferenza proveniva dal sentire che
mai avrebbe potuto conciliare le forze contrarie
che si disputavano la sua anima.
Mi resi conto di tutto questo e lo compresi, soprattutto durante un viaggio che le avevo
quasi imposto, nella speranza che lo spettacolo
del mare, del sole e il cambiamento completo
d’ambiente avrebbero modificato il corso dei
suoi pensieri e l’avrebbero riconciliata con la vita. Non dimenticherò mai quel viaggio! Ebbi una
crisi di vera disperazione quando, dopo qualche
settimana, fui obbligato a riconoscere che tutto
ciò che ella vedeva scivolava su di lei come se
non esistesse. Ella mi nascose molte cose, mi nascose anche le sue lacrime, e compresi che lo
faceva perché vedeva com’ io vivessi esclusivamente della speranza di ricondurla alla vita, e desiderava ch’io conservassi questa speranza più a
lungo possibile. Me ne persuasi, una sera, quando, seduti tutt’e due sotto una veranda, guardavamo i fiordi norvegesi che si stendevano a perdita
d’occhio. Ella contemplò a lungo il meraviglioso
spettacolo, che amava in modo particolare, poi,
ad un tratto, chiuse gli occhi e guardò in un’altra
direzione.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Giorgio! perché mi fai vedere tutto questo? esclamò, e si mise a piangere silenziosamente. Dopo qualche minuto si riprese, si asciugò gli
occhi e alzò il viso verso di me.
Perché fai tutto questo per me? Perché sei
così buono con me? Sarebbe meglio lasciarmi
seguire il mio destino!
Sentii che mi trovavo in presenza di un’angoscia, che parola umana non avrebbe potuto
esprimere. Mi pentivo di aver voluto strapparla
al suo dolore e di averglielo lasciato scorgere.
In quel momento credetti indegno di me tentar
d’influire su di lei, l’attirai semplicemente fra le
mie braccia e le dissi:
— Piangi vicino a me! Piangi finché vuoi e
non importi nessuno sforzo! Credi che il mio
cuore non sanguini come il tuo?
Scoppiò in lacrime, eppure il viso che volse
verso di me era raggiante, come se le fosse giunta una gioia inattesa.
— È proprio vero? — mi disse.
L’idea che mia moglie potesse credere ch’io
avessi già dimenticato o che fossi sulla via di dimenticare, mi sconvolse a tal punto, che il mio
dolore scoppiò a un tratto irresistibile, e in un
lungo grido d’angoscia misi tutta la mia anima a
nudo davanti a lei. Le dissi come il nostro focolare mi sembrasse triste e vuoto, dopo che Sven
ci aveva lasciati. Le confessai lo sgomento ch’io
provavo al pensiero di ritornarvi e di riprendere
il mio lavoro quotidiano, sapendo che non avrei
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
sentito più la sua chiara vocina darmi il benvenuto, e che non lo avrei più trovato nascosto dietro
l’uscio, pronto a gettarsi fra le mie braccia, al mio
ritorno dal lavoro.
Le dissi tutto questo e la sentii a poco a poco
divenire più calma. Fui felice di constatare che la
perfetta comunione dei nostri sentimenti esisteva ancora, ma compresi pure che, vedendo ch’io
non dividevo il suo dolore, come avrebbe desiderato, ella aveva supposto che ogni mio pensiero,
ogni mia parola, tutto ciò che facevo e intraprendevo, avesse il solo scopo di richiamar lei stessa
alla vita.
Riflettei a lungo, e da quel giorno risolvetti di
modificar la mia attitudine di fronte ad Elsa. Mi
armai di rassegnazione e non sperai più ch’ella
staccasse, da un giorno all’altro, tutti i suoi pensieri da colui che aveva perduto, per concentrarli
su di noi, che le restavamo ancora. La mia nuova
attitudine la rese meno chiusa e più confidente
verso di me.
Il nostro viaggio, però, non riuscì a toglierla
dal suo torpore; ella rimaneva indifferente a tutto ciò che vedeva. Incontrammo degli amici che
ci mostrarono la loro simpatia, senza ottener da
lei, in cambio, null’altro che una fredda riconoscenza: si sarebbe detto che tra gli uomini e noi
s’innalzasse una barriera, che non era in nostro
potere oltrepassare.
Infine rientrammo a Stoccolma, e prendemmo possesso della nostra nuova casa. Prima della
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
nostra partenza per la Norvegia, avevamo sgomberato dalla casa di campagna, ove avevamo conosciuto tante gioie e sofferto tanti dolori, e preso un appartamento in città.
I primi giorni che vi passammo, al ritorno del
nostro viaggio, ci portarono un po’ di sollievo e
di pace, e non potemmo rammaricarci abbastanza di esserci messi in viaggio, trascinando con
noi il nostro dolore, per offrirlo in spettacolo agli
indifferenti.
II
Al cimitero c’è una piccola pietra con
quest’iscrizione: «Il nostro piccolo Sven». Sopra
questa pietra s’innalza un tiglio, le cui foglie son
cadute da un pezzo. Al tronco di questo tiglio è
appoggiata una panca e su questa panca è seduta una donna solitaria, vestita a lutto, con un lungo velo di crespo, simile a quello delle vedove. È
seduta là da parecchie ore e parla con qualcuno
che non è possibile vedere.
Ordina al cocchiere, che l’attende pochi passi
lontano, di ricondurre sulla strada la vettura; poi
si china, raccoglie un po’ di terra della tomba e
ne riempie il fazzoletto. Poi toglie dalla borsa un
pezzo di seta nera, un ago, del filo e le forbici.
Taglia la seta e ne fa un sacchetto. Poi prende la
terra che è nel fazzoletto e ne riempie il sacchetto. Posa a lungo le labbra sulla terra nera, poi ri163
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
cuce il sacchetto. Fa dei piccoli punti solidi e fitti, perché non si perda un solo granello di terra,
e agli angoli del sacchetto fissa un fitto cordone
di seta. Poi rimette l’ago, il filo e le forbici nella
borsa, rimane a lungo seduta là, tenendo in mano
il nero amuleto, e pensa che ora è consacrata a
colui che riposa sotto terra.
Piega le ginocchia sotto il tiglio spoglio di foglie e bacia la pietra che porta il nome del suo
diletto. Con gesto calmo e ieratico, come se compisse un atto sacro e solenne, alla presenza di
una moltitudine raccolta, si passa i cordoni intorno al collo, si apre il vestito e si posa il sacchetto
sul cuore.
Il suo viso, sempre grave, risplende di una segreta gioia: prima di rialzarsi, bacia la terra sotto
i suoi piedi, poi si rialza e contempla a lungo la
tomba, che scompare sotto i mazzi, le corone ed
i vasi di fiori. Allora sorride di gioia e ricomincia
a parlar con voce dolce e piena di tenerezza a
qualcuno che non è possibile vedere. Infine si
dirige verso la vettura, che l’attende alla porta
del cimitero, e ritorna a casa.
Appena giunta, va diritta al mio studio, si leva
dal vestito il sacchetto nero e mi dice ciò che
contiene. Poi me lo porge e mi prega di baciarlo.
Lo avvicino alle labbra per non guastare la
sua gioia; allora ella sorride di soddisfazione e si
rimette il sacchetto sul cuore, dicendomi:
— Se tu sapessi come mi sento felice quando
sono al cimitero, vicino a Sven, non saresti scon164
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
tento di vedermici andar così sovente! Ogni volta che vado a vederlo, faccio provvista di calma
per parecchi giorni.
Poi esce dalla stanza e mi lascia solo. Quando,
qualche ora dopo, lascio il mio scrittoio e vado
a cercarla, la trovo presso il piccolo cassettone
di Sven, dove si fa scivolar tra le mani, uno dopo
l’altro, gli oggetti che una volta gli appartenevano.
III
Così tutti i suoi pensieri vanno alla creatura
che ha perduto, e non v’è nulla che possa turbarla nel culto di cui circonda la sua memoria.
Le capita spesso di dire che non tarderà ad
andarlo a raggiungere; lo dice con tono calmo, riflessivo e fiducioso, come se fosse la cosa più naturale del mondo, per gli altri come per lei stessa.
A volte le accade di aggiungere:
— Desidererei tanto vivere finché i nostri ragazzi fossero un po’ più grandi e non avessero
più bisogno di me.
In quei momenti la sua fisionomia prende
un’espressione di angoscia e di disperazione indicibili, come se sapesse che questo desiderio
sorpassa ciò che può sperare e domandare; una
ruga profonda le incava la fronte tra gli occhi
e vi imprime il segno delle sue sofferenze interiori. Ella sente che deve scegliere tra la vita e
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
la morte, almeno nei suoi desideri, e non può
rassegnarsi. Per questo vuol vivere ancor qualche tempo, per compiere il suo dovere verso gli
esseri che le son cari, e poi morire e andare a raggiungere per sempre colui a cui appartiene intera. Cerca di conciliare il suo desiderio di morire
col suo dovere di vivere, e teme l’uno e l’altro,
perché tutt’e due si disputano la sua anima e ciascuno le procura, a suo modo, torture inesprimibili. Nello stesso tempo ella presente quale delle
due forze nemiche riporterà definitivamente la
vittoria; perciò aggiunge queste parole che, nella
sua bocca, sono l’espressione del convincimento intimo e profondo e di cui nessuno saprebbe
mettere in dubbio la sincerità:
— Ti ricordi che un giorno ti ho detto che
non credevo ad un’altra vita dopo questa? Sei tu
che mi hai insegnato a creder così!
Pronunciando queste parole, il suo viso si
oscura e v’è nella sua voce come una collera sorda, che mi fa male. Se ne accorge ed aggiunge,
con un tono meno aggressivo, posando la sua
mano sulla mia:
— Ora io credo ad una vita futura, e so che
è possibile, anche da questa terra, incominciare
a vivere quella vita. Per creder questo basta perdere qualcuno a cui si è uniti a tal punto d’aver
la sensazione che la nostra anima se n’è andata
con lui. Quasi ogni sera io ricevo la visita di Sven.
Non viene quando desidero vederlo o quando
lo prego di venire, né quando piango e tendo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
le mani verso di lui, chiamandolo per nome. Ma
quando meno lo aspetto, lo vedo seduto vicino a
me. E se ho l’aspetto calmo e felice, mi sorride e
sembra felice lui pure. Allora mi guarda a lungo,
come aveva l’abitudine di fare una volta, e prima
che io abbia potuto riprendere i sensi, scompare.
Pure mi sento felice, perché so che mi è stato
vicino. È venuto spesso mentre tu dormivi ed io
vegliavo presso di te. Più di una volta ho pensato di svegliarti, ma non ho mai osato farlo, per
paura che scomparisse subito e che tu credessi
ch’ero stata vittima di un’allucinazione.
Mentre mi parlava, mi guardava con aria inquieta, come se aspettasse ch’io la contraddicessi. Io non la contraddico mai. So io forse che
cosa credo? Ho sofferto commozioni e dolori
tali, che non mi sento il coraggio di dire ciò che,
nell’esperienza degli altri, è apparenza ingannevole o realtà. Lo so io, forse, per ciò che riguarda
le cose mie? So io forse se non vi è realtà che in
ciò che la mia ragione può afferrare e comprendere? Che cosa impedisce di credere a una realtà
che non può esser raggiunta che col sentimento
e — perché non dirlo — con l’immaginazione?
Mi par che sia un mutilare, per dir così, noi
stessi, il condannare l’immaginazione e il sentimento all’ufficio degradante di schiavi della ragione. Conosco perfettamente gli argomenti che
mi si può opporre, ma in questo caso io li respingo e nego loro ogni valore. Non sono né un
credente, né un incredulo.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Attraverso la vita come un povero essere
che attende angosciosamente che gli si spieghi
un giorno ciò ch’egli ignora ancora. Eppure, se
ignoro ciò che è realtà e ciò che è illusione nelle esperienze di mia moglie, di una cosa sono
sicuro, e questa certezza data dal giorno in cui
seppi il mio bimbo colpito mortalmente. Elsa è
perduta per me. Le nostre due esistenze sono
talmente fuse l’una nell’altra, che mi è impossibile vivere senza di lei. Contro la mia felicità, che
una volta credevo talmente indistruttibile d’aver
pietà di ciò che gli altri chiamavano con quel nome, si leva una potenza alla quale nessun essere
umano può sfuggire. Vedo davanti a me la Morte, come l’aveva vista una volta il piccolo Sven,
sull’immagine di cui non si stancava di sentir la
spiegazione.
La Morte agita la sua campana, e colui che
non vorrebbe ancora partire è obbligato a seguirla, e colui a cui la chiamata di Lei non è rivolta, deve rimanere indietro. Per me c’è però una
differenza: io percepisco la venuta della Morte
molto tempo prima che arrivi e so che il giorno in cui la sua campana suonerà, colei che sarà
chiamata partirà con gioia.
Ma non voglio maledire la potenza della Morte senza essermi misurato con lei. Quando mia
moglie comprese che ogni speranza di salvare
Sven era perduta, gridò pazza di dolore:
— Non deve morire! Non voglio che muoia! So ch’egli non morrà! — Io mi faccio, ora, lo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
stesso giuramento: — Non voglio ch’ella muoia!
Non voglio perderla! Ella vivrà, contro tutto! —
Voglio lottare con la Morte, per salvare la felicità
di tutt’e due, non quella degli anni luminosi, ma
almeno quella dei giorni di lutto e di prova, che
è ancora felicità! Voglio tentare tutto per conquistarla di nuovo. Come Orfeo, voglio scendere nel
Regno dei Morti, obbligarla, a forza di tenerezza,
a ritornar con me alla luce, e se mi segue, prometto di non voltarmi, né di gettare uno sguardo
alle ombre del Tartaro. Ecco la promessa solenne
che faccio a me stesso, e non mi aspetto di vedere i miei sforzi ricompensati tanto presto. So che
un lungo e doloroso Calvario si eleva davanti a
me, e che la prima virtù che devo acquistare è
la pazienza.
Ma la mia fede è tanto incrollabile, ch’io posso sorridere quando la sento parlare della sua
morte. Posso sentirla dire che sospira avidamente di partire e sentir le sue carezze quando mi
supplica di perdonarla; accetto con gioia le sue
carezze e dimentico le sue parole. Ho una certezza assoluta che riporterò io la vittoria finale,
e non colui che riposa sotto terra. Ne faccio anzi
il mio alleato: dico a Elsa, conoscendo perfettamente il valore di quest’argomento, che deve vivere perché Sven vuole che viva, e me l’ha detto
a bassa voce, mentre dormivo.
Ella mi ascolta con gli occhi lucenti e stupiti, e molto tempo dopo mi racconta che Sven
è venuto a sedersi sul suo letto, vestito col suo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
abitino nuovo, bianco, con la sciarpa azzurra, e le
ha detto: — Non pianger tanto, Mamma, per me!
Mi fa tanto male alla testa, se tu piangi!
Io m’impadronisco di queste parole e le chiudo come tesori nel mio cuore. Più che mai apro
l’animo alla speranza, e sogno un avvenire in cui
il nostro bimbo morto sarà per noi un legame
più potente e più forte, che non sarebbe stato
se avesse vissuto. Mi ricordo, con le lacrime agli
occhi, le parole che mi disse lei stessa, un giorno:
«Invecchieremo insieme».
IV
Era, nientemeno, che una lotta con la morte
ch’io avevo intrapresa, e nel tempo che seguì la
mia vita fu un combattimento ininterrotto, con
tutte le alternative immaginabili di vittoria e di
disfatta, di lieta speranza e di cupa disperazione. Ciò che è particolarmente doloroso in una
situazione simile, è il sentirsi affatto impotenti,
il rendersi conto che occorre solo armarsi di pazienza e lasciar che il tempo compia la sua opera riparatrice, mentre in fondo in fondo si ha la
certezza che la catastrofe, che si vuol evitare, si
avvicina lentamente, e si produrrà fatalmente. In
quei giorni bui e tristi osservavo mia moglie nei
suoi minimi atti e gesti; il mio pensiero l’accompagnava al cimitero, dove andava a veder la tomba di Sven, e il mio cuore esultava quando, dopo
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
quelle visite, la vedevo, calma e piena d’animazione, chiamare i suoi due figli intorno a sé, e raccontare o legger loro, come ella sola sapeva farlo,
delle storie o dei racconti di fate, e sentivo di
nuovo le loro voci sonore e gioconde mischiarsi
e confondersi, se ciò che era stato letto offriva
materia alla discussione. Con che ansietà osservavo a tavola, la sera sotto la lampada, il viso di
mia moglie, che prendeva subito un’espressione
di stanchezza e di assenza tali, che le parole mi si
spegnevano sulle labbra.
Si sarebbe detto, in quei momenti, che la sua
anima ci abbandonava a un tratto e ci lasciava
soli. I ragazzi scambiavano con me degli sguardi
che indicavano chiaramente che comprendevano quanto me, e che soffrivano con me, quantunque a loro fosse più facile che a me distrarsi
e stordirsi. Svante allora si alzava e andava ad accarezzar sua madre; né si scoraggiava vedendo
di non riuscire a far di nuovo brillare un po’ di
luce ne’ suoi occhi. Dopo ciò, veniva vicino a me
e mi diceva:
— Mamma mi fa tanta pena!
Si contentava di soffrire, e forse per questo
era miglior consolatore di me.
In quei momenti di crisi, Olof rimaneva piuttosto silenzioso, e cercava di parlare con me, come se nulla fosse. Ma non perdeva di vista sua
madre, e quando ella usciva per esser sola, e ciò
accadeva spesso, perché non poteva sopportar
più a lungo di guardarci e di parlare con noi,
171
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
egli andava pian piano fino alla sua porta e vi
rimaneva a lungo, con l’orecchio teso. Quando
il silenzio si prolungava troppo, entrava adagio
in camera, e se gli accadeva di esser rimandato,
tornava silenziosamente verso di noi, e si sedeva
con aria rassegnata, come se si rendesse conto
che non bisognava chieder troppo in una volta.
Come me, egli avrebbe provato sollievo alla
sua pena se avesse saputo che cosa fare per consolarla.
E mentre eravamo seduti là, tutt’e tre, pensavamo a ciò che avveniva dietro l’uscio chiuso a
chiave, ove mia moglie spezzava uno ad uno gli
ultimi legami che l’avvincevano alla vita e s’avviava verso la morte.
— Sapete perché la Mamma soffre tanto? —
chiesi loro un giorno.
Olof volse gli occhi e non rispose, ma Svante
disse:
— Sì.
Io non avevo bisogno, del resto, di chiederlo, perché sapevo ch’ella li aveva preparati a ciò
che doveva accadere.
V
La sera, quando rimanevo solo, mi mettevo
spesso allo scrittoio, e per cambiare il corso dei
miei tristi pensieri o per occuparmi, scrivevo
una specie di giornale, che avevo cura di nascon172
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
dere in fondo ad un cassetto, perché non capitasse fra le mani di Elsa.
Ho riletto questi foglietti, e tutto ciò che vi ho
scritto mi pare così lontano, che posso appena
credere siano trascorsi solo due anni dacché li
scrissi. Ma man mano che leggo, tutto il passato
si leva davanti a me, vivente e presente, e sento
di nuovo tutte le torture che ho sofferto a quel
tempo in cui la speranza sola mi sosteneva, in
cui speravo contro ogni speranza.
Diario
4 settembre
Son seduto al mio scrittoio e penso al piccolo Sven. Tutto è silenzio intorno a me, e mi par
di vederlo, negli ultimi giorni in cui potè alzarsi,
passeggiare con me per i viali del giardino, con
la sua manina che stringeva teneramente la mia,
chiacchierando senza posa, mentre levava su di
me i suoi occhi di bimbo, pensosi e profondi.
Più mi sprofondo in questi ricordi e più sento
un’indicibile disperazione invadere il mio cuore al pensiero che non lo vedrò mai più. Egli
era, senza saperlo, il centro del nostro focolare.
Appena arrivavano i suoi genitori od i suoi fratelli, egli correva loro incontro e riempiva tutta la casa del suo gaio chiacchierìo. Al minimo
felice incidente, ci riunivamo intorno a lui per
chiedergli che ne pensasse. Ora suo padre va e
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
viene, solitario, ed è obbligato a irrigidirsi contro i suoi ricordi, per non soccombere sotto il
dovere che si è imposto. Egli non ha il diritto di
abbandonarsi ai suoi tristi pensieri, e nemmeno quello di piangere, perché sarebbe la rovina
completa.
È forse venuto al mondo per trascinar sua madre con sé e lasciarci tutti nel lutto e nella desolazione? Oppure è venuto per partire in silenzio
e in bellezza, come ha fatto, ed insegnarci con la
sua morte la grande arte della vita?
16 ottobre
Ho riflettuto su tutto: i miei occhi si sono
aperti, ed ora so qual è la meta della lotta che sostengo. Giorno per giorno ho visto la situazione
peggiorare, e non è una gioia, è un dolore atroce
il veder chiaro! Durante le ultime settimane ho
potuto rendermi conto dei minimi particolari, e
così una sua parola o un suo sguardo mi sconvolgevano fin nel più profondo del mio essere, perché ne comprendevo il significato. In presenza
mia e dei ragazzi l’ho vista astrarsi completamente, intrattenersi con un essere invisibile, e dovevo invocar tutta la mia energia morale per ottenere ch’ella mi mostrasse, con uno sguardo, che
aveva coscienza di non essere sola. Ho compreso
che si rendeva perfettamente conto del suo stato
e che conosceva l’interdetto che pesava su di lei.
L’ho vista gettarsi ai miei piedi, supplicandomi,
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
con un’espressione di angoscia straziante, di non
mandarla via, di avere un po’ di pazienza!
È una sofferenza atroce per me essere testimone delle sue lotte interiori; eppure io so che
colei che ora fa sanguinare il mio cuore è sempre la stessa donna dall’intelligenza superiore,
dall’anima generosa, a cui io devo le gioie più
pure, la felicità più assoluta che un uomo possa
godere quaggiù.
30 ottobre
La spaventosa tensione incomincia a diminuire e lo stato di mia moglie migliora di giorno
in giorno.
Dopo le tenebre dell’inverno, i giorni finiranno col farsi più lunghi e le ore meno buie.
8 dicembre
Da molto tempo non ho ripreso il mio giornale. Ho lavorato molto; ho scritto una commedia,
e nelle condizioni più straordinarie. Nonostante
tutti i miei lavori, i crucci per la salute di mia moglie ed un’estrema sovraeccitazione, che mi faceva sentir tutti i nervi scoperti, riuscivo a dedicare
qualche ora al giorno al mio lavoro. Mi alzavo al
mattino presto e scrivevo fino alle due di notte.
Bevevo del wisky per tenermi sveglio e mi accadeva di alzarmi e di uscire nel forte del lavoro,
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
per desinare al ristorante e sentir del rumore, per
veder dei visi umani, per sentire la vita febbrile
turbinare intorno a me e farmi ardere le tempie.
Ora che la mia commedia è finita, non provo
più che un’immensa stanchezza. Non aspiro certo né alla gloria, né alla gioia che si prova quando
si è creata un’opera. Ho la sensazione che il mio
cervello vive solo a spese del resto del corpo.
Che peccato, in verità, che il giorno abbia solo
ventiquattr’ore, quando si tratta di raggiunger
l’impossibile.
17 dicembre
Ho come il presentimento oscuro che tutta la
mia esistenza passata e presente si avvii, in modo
misterioso, verso la realtà definitiva, che subisco
senza poter modificare in nulla.
Intanto conduco la mia solita vita, e non credo che nessuno trovi in me il minimo cambiamento. Son felice quando esco e mi trovo nella
società di altri uomini; mi accade anche di esser
allegro. Questo mi solleva!
Ma, a casa mia, vivo la mia vera vita: là ho la
sensazione, e non mi lascia mai, che su lei, come
su me, passa qualche cosa di cui ho detto altrove
«che è più grande della felicità e più grande del
dolore», qualche cosa che nessuna parola può
esprimere.
Mia moglie è il centro verso cui convergono
tutti i miei pensieri. Ignoro s’ella s’avvii verso la
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
guarigione o verso la morte: ho l’impressione di
esser fuori del dramma che si svolge sotto i miei
occhi, di non poter intervenire in nulla. Mi rassegno tristemente ed attendo.
25 gennaio
Mia moglie si è rimessa oggi al piano. Rifiuta
ancora di cantare, ma ho avuto la gioia di sentire
ancora della musica al mio focolare, e le melodie
di una volta hanno messo un po’ di sole e di gioia
nei nostri cuori. Del resto, il suo stato ha subìto
una modificazione da qualche tempo, e attendo
molto da questo cambiamento. Ella s’è risvegliata alla vita, e se non è ancora assolutamente con
noi com’era una volta, sento però che ogni giorno ci si avvicina. A volte, credo che dica il vero
quando pretende che questo cambiamento d’attitudine proviene dal sentir prossima la sua fine
e che è sostenuta dalla speranza di andarsene
ben presto. Ma in altri momenti ho la convinzione che, nonostante tutte le apparenze contrarie,
noi andiamo incontro ad una vera liberazione,
ch’ella intravede con uno stupore misto di spavento e a cui non vuol credere a nessun costo.
Ignoro quale di queste due ipotesi si produrrà, ma so che ora non son più disperato come
una volta, perché mi sento tra le mani di un
destino che mi conduce, e son sicuro, checché
accada, che nessun atto di disperazione verrà a
177
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
macchiare la sua vita e la mia, come ho per tanto
tempo temuto.
26 marzo
Attendo con impazienza la fine dell’inverno
per poter partire di qui. Un’apatia strana si è
impadronita di me, e a volte temo che quest’inverno abbia distrutto in me ogni forza ed ogni
energia. Siamo venuti ad abitare in città, credendo che questo cambiamento di ambiente ci
avrebbe fatto, a lungo andare, del bene; in realtà, sarebbe stato meglio rimanere in campagna,
nell’isolamento completo, che mi par sia ciò che
ci conviene soprattutto. Ci si sente assai più soli
qui che laggiù.Il dolore fa il vuoto intorno a noi.
31 maggio
Oggi è l’anniversario del nostro matrimonio.
Era «nel meraviglioso mese di maggio!» Non posso fare a meno di notare qui qualche impressione, per quanto infantile possa sembrare. Sono
appunto quattordici anni oggi che ci siamo sposati e quest’ultimo anno è stato il più doloroso
di tutti. È, difatti, il tredicesimo. L’anno preferito
dalla disgrazia, come dicono i Francesi. Orbene,
mi par di veder brillare in fondo a me stesso
la speranza che abbiamo raggiunto la cima del
Calvario e che la liberazione sia vicina. Tutto ciò
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
perché questo numero 13, a cui non avrei fatto
attenzione in tempi ordinari, ha per combinazione colpito oggi la mia mente.
25 giugno
I giorni passano, ed io trascorro il tempo a
ripetermi che dovrei cominciare a lavorare. Mi
par di sentire a volte la chiamata della Morte;
mi preparo a prendere il volo per seguirla, ma
m’accorgo tosto che ho le ali spezzate, e ricado
pesantemente a terra, nell’atroce realtà in cui mi
dibatto.
Se potessi soltanto aver sempre un viso sorridente, perché mia moglie non si accorgesse di
ciò che avviene in me, o almeno mettere una maschera sulla mia tristezza! Ma ciò è impossibile e
so che Elsa non soffre soltanto per sé, ma anche
per me, per causa mia, perché ha coscienza di
far la mia infelicità. Dev’essere una tortura senza
nome vivere con un cuore spezzato, che si sa
inconsolabile per sempre, augurarsi e sperar la
morte che rifiuta di venire, e soprattutto causare
all’essere che si ama più che tutto al mondo, delle sofferenze e delle angosce che si è impotenti
a consolare.
Le succede sovente di sedersi accanto a me
e di fissarmi, quando s’immagina che non me ne
accorga, e il suo viso prende allora un’espressione così disperata, che ne sono tutto sconvolto.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ieri venne a sedersi vicino a me; posò la mano
sulla mia e mi disse: — Come saresti più felice se
non mi avessi!
Io so che le sue parole erano l’espressione
fedele dei suoi sentimenti; eppure protestai con
tutto il calore del mio cuore, ma mi resi ben conto di non esser riuscito che a versare un po’ di
balsamo sulle sue ferite, e che in fondo ella non
si credeva indispensabile e, per conseguenza, obbligata a vivere.
Fine del Diario
VI
Quando rileggo questi foglietti, e vedo
com’ero combattuto a quel tempo fra la tema
e la speranza, non posso credere alla realtà di
ciò che raccontano. Eppure essi traducono fedelmente il mio stato d’animo di allora. Sebbene queste annotazioni siano incomplete e frammentarie, mi provano, con evidenza, che le mie
speranze erano allora senza limiti, ed oggi, che
tutto è compiuto, non posso concepire come mi
sia abbandonato ad illusioni così chimeriche.
Ora mi rendo ben conto che in quell’inverno
doloroso, su cui non posso né voglio ritornare,
la mia sola gioia consisteva in questo: credevo di
avere scoperto un mezzo per salvar mia moglie,
e provavo una gioia immensa al pensiero che
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
non sarei più stato condannato ad assistere, impotente, alla sua agonia, che avrei potuto intervenire, lottare e forse riportar la vittoria. Da molto
tempo, infatti, avevo acquistato la certezza che
la vita in un piccolo appartamento, in mezzo ad
una gran città, non poteva non esser dannosa alla
salute di Elsa, e un bel giorno presi la risoluzione
di strapparla via, e di andar a vivere con lei in
quella campagna che non avremmo mai dovuto
lasciare. Il medico approvò vivamente il mio disegno, e quando ne parlai per la prima volta ad
Elsa come di un’eventualità possibile, il suo viso
si trasfigurò dalla gioia e mi disse:
— Potresti far questo per me? Proprio lo potresti?
Queste parole mi resero il coraggio e la speranza, proprio nel momento in cui non osavo
più sperare; esse mi diedero la forza di tentare
un immenso e supremo sforzo per ricondurre la
felicità al nostro focolare devastato ed avvincer
di nuovo mia moglie alla vita, da cui non chiedeva che di evadere. Come un uomo che crede
aver trovato un talismano, con l’aiuto del quale
potrà sperar dei miracoli, mi abbandonai con fiducia gioconda, assoluta, al piano da cui attendevo meraviglie. Dal giorno in cui entrammo nella
nostra villetta, che dominava le foreste ed i fiordi,
e dove un pioppo ombreggiava la finestra, da cui
mia moglie poteva vedermi ogni giorno, al ritorno dal mio lavoro, ero convinto d’aver trovato
finalmente la soluzione definitiva e raggiunto la
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
nostra liberazione. Oggi non posso fare a meno
di sorridere quando penso alla fede che mi animava allora; ma essa riempiva tutto il mio essere
e mi rendeva indicibilmente felice.
Non mai mi sentii il cuore palpitare di lieta
speranza come quell’inverno, quando la neve
incominciò a cadere, e provammo la sensazione
strana e misteriosa d’esser separati dal mondo
intero, sensazione conosciuta solo da chi abita le
lontane regioni del Nord.
La nostra casa era pronta, dalla cantina al solaio; Elsa andava e veniva di nuovo in mezzo a noi,
attiva, premurosa come una volta, per metter tutto in ordine e provvedere la nostra casa di quelle
mille piccole cose che l’ingegnosità della donna
sa inventare e creare.
Si sentivan di nuovo le voci allegre e chiassose dei ragazzi risuonar liberamente per la casa,
senza che si dovesse dir loro di parlar piano, e
non era più necessario sospender di notte un
panno verde sulla gabbia dei canarini, per impedire che turbassero coi loro trilli sonori il sonno
dell’ammalata. Il cagnolino poteva abbaiare senza tema, mentre i ragazzi si divertivano, è perfino
il pianoforte si riaprì.
Fu una sera, quando meno me l’aspettavo.
Senza aver lasciato indovinare a nessuno la sua
intenzione, Elsa discese in salotto e si mise al piano. Mi gettò uno sguardo, passandomi davanti,
ed io indovinai com’era felice di poter soddisfare un desiderio che le stava a cuore. Dopo che
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Sven era morto e che ella non aveva più inteso
risuonare la sua voce cristallina mentre l’accompagnava al piano, ella s’era rifiutata di cantar le
canzoni, che tante volte egli era stato solo ad
ascoltare. Io non potevo credere ai miei occhi
quando la vidi sedersi al piano, e dopo qualche
accordo, intonare una delle nostre melodie preferite, il «Cigno» d’Ibsen. Mai, né prima né dopo,
intesi cantare quell’aria com’ella la cantò quella
sera. Quando i ragazzi intesero la sua voce, entrarono pian pianino, uno dopo l’altro, nella stanza,
e rimasero immobili e silenziosi, in piedi, vicino
all’uscio. Mi guardarono stupiti, come se non
potessero, neppur loro, credere alla realtà di ciò
che vedevano.
Io risposi con un movimento del capo alla
loro muta interrogazione, e sentii le lacrime premermi gli occhi. Quando le ultime note se ne
furono involate, nella stanza regnava un silenzio
religioso, come se vi si fosse celebrata una cerimonia santa.
Mia moglie allora si alzò e chiuse il piano. — È
tutto ciò che posso oggi — disse, come credesse
di aver bisogno di giustificarsi.
Poi ci avvolse tutti in uno sguardo e comprese la gioia che ci aveva dato. Il suo viso s’illuminò; andò verso i ragazzi, passando vicino a me, li
attirò a sé e strinse a lungo le loro teste contro
il suo petto.
— Ringraziate il piccolo Sven! — disse; —
egli m’è venuto in aiuto.
183
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Disse questo con un tono naturale, ch’era
affatto nuovo per noi e senza che la sua voce
avesse il tono aggressivo, che invece prendeva
quando s’immaginava che noi, viventi, volessimo impedirle d’andare a raggiungere il suo caro
morto.
Le disse con un accento di dolcezza e di serenità infinite, con un’espressione di gioia profonda, come se fosse un solenne addio ad un passato che non doveva tornare mai più.
VII
Dietro alla nostra camera da letto v’era una
cameretta, di cui avevamo intenzione di fare il
nostro spogliatoio, e che invece rimase disoccupata: era molto irregolare, con una finestra posta
molto in alto, ed era assai meno chiara delle altre
camere. In questa stanza abitava il piccolo Sven,
e questa stanza era chiusa a chiave.
Nessuno aveva il diritto di aiutar mia moglie
a metterla in ordine; ella voleva occuparsene da
sé. Appese ella stessa le tende di stoffa chiara davanti alla finestrina, e nel vano di questa, dietro
alle tende, pose una tavola, per la quale fece un
tappeto con la stessa stoffa delle tende. Su questa tavola pose i balocchi di Sven. V’era un cavallo attaccato a una carrozzina, qualche soldatino
di piombo, una tenda, la tazzina di Sven, di porcellana bianca filettata d’oro, la sua cartella, una
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
piccola sciabola e un chepì. Ecco tutto ciò che
gli aveva appartenuto, tutto ciò che ci restava di
lui. Sotto la tavola v’erano due cavalli di legno,
di cui l’uno aveva perduto fin l’ultimo pelo della
criniera, e davanti alla tavola una seggiolina bassa, che gli avevano regalato e che egli aveva l’abitudine di portare da una camera all’altra quando si sentiva particolarmente felice e cercava di
persuader la Mamma a raccontargli una storia.
Sulla tavola, in mezzo ai giocattoli, eran posati
ritratti di ogni dimensione, nelle loro cornici, e il
muro vicino alla finestra ne era coperto. V’eran
le fotografie di Papà, di Mamma, dei fratelli grandi; ve n’era una di Sven, vestito di maglia bianca,
e un’altra con la sua piccola pelliccia, presa nel
momento in cui, in piedi su di una panca, guardava i raggi del sole scherzar sulla neve.Tutti questi
ritratti datavano dal tempo in cui eravamo giovani e felici, quando la nostra famiglia era ancora al
completo.Al punto in cui il muro faceva una rientranza, era sospeso soltanto il «corteo della Morte», quell’immagine che aveva tanto turbato Sven
e che sua madre gli aveva spiegato tante volte.
Infine, nella cameretta si trovava un ultimo
oggetto; un piccolo cassettone scuro, che era
stato regalato a Sven. Questo cassettone aveva
tutta una storia. Dapprima aveva appartenuto a
Papà, ed era dipinto in giallo chiaro. Siccome era
vecchio e molto deteriorato, era stato riparato e
ridipinto in marrone, quando divenne proprietà
di Sven. Nei suoi tre cassetti eran rinchiusi tutti
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
gli oggetti che ci ricordavano il bimbo e che si
conservavano religiosamente. V’era la sua ultima
camicina e le ultime calze che aveva portato,
nonché i suoi quaderni di musica che, dopo la
sua morte, non eran più ricomparsi sul pianoforte del salotto. Là, Elsa conservava religiosamente l’ultimo vestito da estate di Sven, in flanella
bianca, con la bella sciarpa azzurra e la coccarda dello stesso colore, puntata sul berretto pure
bianco. Là si trovavano le scarpette marroni ed i
libri del fratellino; là si trovava anche l’opera che
Papà aveva scritto sui fratelli grandi. Sven aveva
tanto supplicato la Mamma di dargli la sua copia, ch’ella se n’era privata per lui, in attesa ch’io
scrivessi un libro su Ninin soltanto.
Era la camera di Sven e il santuario di Elsa. Ella
vi entrava ogni sera, ed ogni mattino vi rimaneva
a lungo, prima di parlare con chiunque. Non era
mai tanto felice come quando vi entravo anch’io
e vi rimanevo con lei.
Sven dimorava in quella camera, e nessuno sa
ciò che fu detto tra quelle mura.Accadeva a volte
che Elsa facesse allusione a quei colloqui e ce ne
parlasse, ma quel ch’ella ne diceva era un’eco
fievole delle conversazioni che si scambiavano
tra lei e il mondo sconosciuto, in cui il suo bimbo era entrato.
— Perché te ne parlerei? —mi disse un giorno. — Sento bene che tu non ci credi.
— Come sai che non ci credo? — le risposi.
Mi guardò con dei grandi occhi stupiti.
186
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Tu non puoi credere come me! — replicò.— Tu dubiti, però, della sua realtà, ma io ho la
certezza che ciò è vero, e non dubito più!
Mi ricordai, in quel momento, ch’ella m’aveva rimproverato un giorno di averle tolto la sua
fede nella realtà di un mondo soprannaturale.
Mi resi conto che la sua fede le era necessaria,
che le era sempre stata necessaria, che costituiva
uno degli elementi essenziali della sua vita, a tal
punto, che le si sarebbero forse risparmiate sofferenze crudeli, se nessuno gliela avesse scossa.
Sapevo pure che, in quanto a me, io non avevo
mai completamente cessato di credere ad una
vita d’oltretomba. Avevo esaminato in tutte le
sue fasi il problema della nostra immortalità, avevo dubitato, avevo negato! Tutta questa ricerca
inquieta e questa negazione non avevano, senza
dubbio, altro scopo, che di ricondurmi alla verità, contro la quale m’irrigidivo. Se non ero riuscito a trovare la fede, le mie idee sulla vita futura
s’erano singolarmente modificate con gli anni.
L’immortalità dell’anima mi appariva ancora soltanto come una possibilità, ma di mano in mano
che procedevo nella vita e la sventura veniva a
curvare il mio capo, questa possibilità diventava
più certa, senza che la ragione mi permettesse
tuttavia di credere o di negare completamente.
Mi pareva, nello stesso tempo, di esser solo in
questa ricerca della Verità e che mia moglie non
volesse o non potesse vedere ciò che avveniva in
me. Ma quando l’intesi dirmi: — Tu credi e dubiti
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
nello stesso tempo — compresi ch’ella doveva
per forza ingannarsi sul mio modo di sentire, poiché non m’ero mai aperto con lei. Come avevo
potuto mantenere il silenzio su tutte queste cose
così importanti e così gravi? Come avevo potuto dimenticare che le avrei certamente dato una
gioia immensa se mi fossi spiegato liberamente
con lei? Volli riparar con una parola i torti che
immaginavo di avere verso di lei, e le ricordai il
giorno in cui m’aveva detto che voleva credere
come me, pensar come me, vivere come me.
— Parecchi anni son trascorsi da allora, — le
dissi, — ma voglio che tu sappia, una volta per
tutte, che non ho mai preteso da te una cosa
simile. Mai ho voluto che tu modificassi il tuo
modo di vedere per causa mia! La tua affezione
soltanto può averti suggerito ciò, non certo io.
Ella guardò davanti a sé, come se il suo pensiero si perdesse in un passato lontano, poi mi
rispose:
— Credevo tu volessi che diventassi come te.
— Non ho mai desiderato una cosa simile,
— replicai. — Volevo poter parlare liberamente
con te di tutto ciò che pensavo e sentivo, ma
desideravo che tu facessi lo stesso con me. Mi è
rincresciuto che tu non l’abbia fatto.
Vidi che in questo v’era qualcosa che le procurava delle torture indicibili, ma non immaginavo che cosa potesse essere.
— Ho sempre creduto che tu volessi ch’io
fossi simile a te, — mi disse. — Ne ero persuasa
188
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
e l’ho anche detto a parecchi nostri amici; poiché devo confessarti che quando immaginavo
non essermi possibile parlar con te di certi soggetti, sono andata a cercar rifugio presso degli
estranei.
Ella pronunciò quest’ultima frase lasciando
cader la voce, come se avesse fatto una confessione dolorosa ed umiliante.
— Come ho potuto disconoscerti fino a questo punto? — aggiunse.
Mise il braccio intorno alla mia spalla e mi
domandò, guardandomi fissamente:
— Non sei in collera quando mi vedi entrare
da Sven?
— In collera?
La sorpresa che mi causava tale domanda dovette rassicurarla pienamente, poiché non ripetè
mai la domanda. Senza aggiungere una parola, si
alzò ed entrò nella camera di Sven.Vi restò a lungo, e quando tornò a me, vidi che aveva pianto,
ma non lacrime di dolore.
Mentre ero seduto al mio scrittoio e l’attendevo, non potei far a meno di pensare che prima
non aveva mai aperto la porta della cameretta e
non v’era mai entrata in mia presenza per dir le
sue preghiere. E sapevo pure che, dopo la morte
di Sven, non m’ero mai sentito vicino a lei come
in quel momento.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
VIII
Quell’anno, la primavera, in cui avevo posto
tutte le mie speranze per la guarigione di mia
moglie, giunse molto tardi. La terra era gelata; un
vento glaciale frustava i rami nudi degli alberi,
che ricadevano tristemente davanti alle nostre
finestre; un enorme lenzuolo di neve ricopriva
ancora il suolo alla fine del mese d’aprile, e quando il sole si arrischiava a brillar nel cielo, il vento
del nord si levava subito dal fondo del golfo di
Botnia e ci faceva rabbrividire.
Verso la fine dell’inverno, mia moglie prese
una gravissima infreddatura. Per alcune settimane dovette stare a letto e tememmo una soluzione fatale. La nostra casa era di nuovo divenuta
silenziosa, di nuovo i ragazzi ed io eravamo seduti, senza scambiare una parola, alla tavola, dove il
suo posto rimaneva vuoto; di nuovo la malattia
era entrata nella nostra casa, annientando tutte le
nostre speranze.
Pure i nostri timori si dissiparono, ed Elsa si
ristabilì. La malattia aveva sfinito le sue forze, e
la convalescenza fu lenta. Questo ritorno alla vita, al quale nessuno osava credere, ci appariva
come qualche cosa di miracoloso. Quand’ero
seduto tutto solo nel mio studio al pianterreno,
e tutta la casa era addormentata, io potevo di
nuovo allargar le ali alla mia immaginazione a far
dei progetti per le vacanze d’estate. Cosa strana,
anche Elsa ne faceva dal canto suo. Rimettendo190
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
si dalla malattia, pareva che avesse ritrovato la
salute fisica e che la grande liberazione morale
stesse per compiersi.
Cominciò a parlar con me dell’avvenire, e si
mostrava impaziente di riprendere il suo posto
accanto a me. Ridivenne espansiva e fiduciosa,
come non era più stata dal giorno in cui avevamo coricato Sven nella piccola bara. Era ancora
debole e piena di dolori e non poteva parlar molto, ma poteva sentire ciò che le dicevo. Era felice
al pensiero che l’inverno fosse passato, ammirava i primi fiori di primavera che avevo colti per
lei e posati sul tavolino da notte.
— Come siamo stati felici, Giorgio! — mi disse.
Pronunciò queste parole con un accento di
sofferenza inesprimibile; chiuse gli occhi mentre parlava e due grosse lacrime le scesero dagli
occhi.
— La ritroveremo un giorno quella felicità, —
le risposi.
— Sì, sì, durante l’estate, — replicò vivamente.
Ero persuaso di ciò che dicevo, e considerai
la sua risposta come una promessa che si sarebbe compiuta.
Le parlai a lungo della felicità della nostra
gioventù, degli Schären, che eran sempre stati il
nostro soggiorno prediletto, e le mie parole la
colmavano di gioia.
— Passeggeremo in canotto tra le isole e remeremo insieme nella brezza della sera, — mi
disse.
191
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Poi, come se ricordi atroci venissero a turbar
la sua gioia, aggiunse:
— Bisogna che tu dimentichi tutto quel che
t’ho detto in questi ultimi anni e che tu non ci
pensi mai più! Sono stata così bizzarra, che non
comprendevo me stessa. Mi pareva sovente che
un altro essere parlasse per bocca mia, senza che
potessi impedirlo.Tu hai dovuto dare tutto ed io
ho soltanto ricevuto. Ma tutto questo cambierà,
purché recuperi la salute!
Mi sforzai di rassicurarla e di calmarla; la supplicai di non affaticarsi, parlando troppo; la mia
felicità era troppo grande per poter dire di più.
— Sì, sì, — disse ella, — con te ho taciuto, ed
ho parlato con altri, con gente stupida che non
capisce nulla!
Chiuse gli occhi e s’addormentò dolcemente.
Restai seduto presso il suo letto e la guardai a lungo.Aveva quasi ripreso lo stesso viso della sua gioventù, quando mi risvegliai nel mio letto e la vidi
per la prima volta addormentata accanto a me.
Grosse lacrime di gioia mi scesero dagli occhi, e mentre fuori la neve d’aprile cadeva sulla
terra indurita, sentivo il mio cuore fondersi sotto
il sole di primavera.
IX
Mia moglie si alzò, cominciò a ristabilirsi, a
riprendere il suo posto in mezzo a noi, e non
192
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
aveva altro pensiero che di farci felici e di sentire
ella stessa a che punto il suo ritorno alla vita ci
rendeva felici.
Quelle brevi settimane in cui nessuno l’aveva
vista, all’infuori di noi, avevano cancellato, come
per incanto, tutto il nostro passato doloroso, ed
ora, il ricordo di esse ha per me una dolcezza
infinita.Tutto ciò che avevo sofferto non contava
più,quando la vedevo andare e venire, silenziosa
e felice. Tutte le parole che scambiammo allora
le ho conservate e sepolte religiosamente nella memoria: quel che non si disse e che era più
grande di tutto ciò che la vita può dare, dorme
nella mia anima e mi da la forza di continuare a
vivere.
I giorni che seguirono la sua malattia cancellarono tutte le inquietudini, tutti i dubbi, tutta la
mancanza di confidenza, di cui avevo così a lungo sofferto. Avevo dubitato di lei, dubitato della
sua tenerezza, perché non aveva potuto rassegnarsi a vivere con me e aveva voluto raggiungere il bambino perduto.
Ora ogni sua resistenza era svanita: ogni minuto che passavo accanto a lei ed ogni parola
che diceva me lo provavano. Si sarebbe detto
che la malattia avesse fatto tabula rasa del passato e l’avesse come purificata e trasfigurata. La
sua intera personalità ridivenne ciò ch’era stata
una volta, ed io potevo rimaner seduto per delle
ore vicino a lei, a guardare il suo viso che aveva
ritrovato i lineamenti della gioventù.
193
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
— Ti ricordi ancora, — mi chiese un giorno
— che ti avevo detto che dovevamo separarci?
Dovetti fare uno sforzo di memoria per ricordare quell’incidente; pure vi riuscii e le risposi
che avevo dimenticato quelle parole, come si
dimentica ciò che dice un malato in un accesso
febbrile.
— Pensavo ciò che dicevo, — continuò con
una certa asprezza nel tono della voce. — Credevo che tu volessi esercitare una costrizione su di
me. E poi, m’ispiravi tanta pietà! Hai dovuto attraversare prove ben dure, hai sofferto più di me.
Ma voglio che tu sappia che io fui malata, troppo
malata per poter pensare ad altro che a me stessa. Mi par che cominci per me una vita nuova!
Con un gesto strano, che esprimeva nello
stesso tempo l’inquietudine e la gioia, si portò la
mano alla testa e aggiunse:
— Quando sarò morta, aprirai il cassettone
di Sven. Nel cassetto in alto troverai una mia lettera... Ma ti raccomando di non leggerla prima
che io sia morta; poiché so che me ne andrò ben
presto e che morrò precisamente come è morto
Sven.
Quante volte l’avevo sentita parlar così, ed
ogni volta le sue parole mi avevano sconvolto
fino in fondo all’anima. Quel giorno esse scivolarono su di me senza commuovermi affatto. Le
consideravo come un’ultima eco lontana della
tempesta che s’era calmata. Sorrisi, tanto ero sicuro di aver riportato la vittoria e di averla ricon194
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
quistata, e mentre ella volgeva il viso verso di me,
fissai i miei occhi nei suoi e aggiunsi:
— Ma ora vuoi vivere, non è vero?
— Sì, — disse, — voglio vivere per te e per i
ragazzi, e per non dimenticare Sven.
Quel giorno, ella fece qualche passo, appoggiata al mio braccio, nel viale coperto di brina,
che passa davanti alla villa.
Il suo passo era stanco e incerto; s’appoggiava
con tutte le sue forze al mio braccio, ma eravamo
felici come due bimbi; ella rideva di sé, perché le
pareva ad ogni passo di sentir piegarsi le gambe,
e il suo riso, quantunque ancora un po’ nervoso,
rivelava una tal felicità, che io provavo una gioia
indicibile a poterla sostenere.
— Come mi sento di nuovo felice, Giorgio!
— mi disse, quando entrammo nella villa. — Bisogna che anche tu ritorni felice!
L’aiutai a salir le scale. Prima di entrare in camera, volle vedere anche quella dei figlioli. Vi rimase a lungo con me e guardò tutto in ogni particolare, come se tutto si fosse rinnovato durante
la sua malattia.
— Anche loro hanno passato dei tristi momenti! — disse; — non ero buona a nulla! Ma
ora tutto andrà meglio!
L’infermiera l’aiutò a mettersi a letto e quando i ragazzi, che giuocavano di fuori, rientrarono,
ella li chiamò con voce debole e tremante, così
diversa dalla sua voce di una volta, e li pregò di
raccontarle ciò che avevano fatto e come si era195
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
no divertiti. Più di una volta tentai di interromperli, per tema che la stancassero, ma ella sempre me lo impedì.
Mentre parlavano, a volte tutt’e due insieme,
ella li divorava con gli occhi, senza perdere una
sola delle loro parole, come se le occorresse un
certo tempo per rendersi conto che tutto ciò era
ben vero, e non un miraggio ingannatore.
Poi se li fece avvicinare al letto e disse loro,
dopo averli abbracciati:
— Sarò presto guarita! Quando verrà l’estate,
Papà ci affitterà una casetta negli Schären. Non
occorre ch’io la veda, né che sappia dov’è. Lascio fare a lui, che sa far così bene ciò che può
renderci felici.
Ella si stese sul letto, col viso illuminato da un
sorriso di gioia, e chiuse gli occhi per dormire.
Uscii coi ragazzi, presi il mantello e passeggiai in
lungo e in largo sul viale dove eravam passati noi
due. Era una serata di primavera, chiara e serena,
ma un po’ fredda.
X
Durante quei giorni di convalescenza, mi ricordai spesso, senza saper perché, il nostro viaggio alla costa occidentale della Svezia e la lotta
sorda che avevo dovuto sostenere per indurre
Elsa ad amare il mare come io l’amavo.
Eravamo seduti, una certa sera, uno vicino
all’altra; ella aveva il capo appoggiato alla mia
196
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
spalla ed io tenevo la sua mano nelle mie, mentre
il mio pensiero evocava i numerosi incidenti del
nostro soggiorno in un’isola dell’ovest.
A un tratto, mi disse:
— Perché ho potuto, in un certo momento,
disconoscerti come feci? Forse credevo tu volessi impedirmi di andare a ritrovare Sven?
— Non lo desideri più ora, non è vero?
— No, no, — mi rispose. — Voglio rimaner
con voi. Ma ho attraversato, in quel momento,
una crisi tanto dolorosa! Quante idee cattive e
stupide mi son venute allora!
La sua voce pareva quella di un bimbo che
confessa un fallo. Non potei far a meno di ridere
sentendola parlare in quel tono.
— Non devi riderne! — proseguì, — poiché
è proprio vero che m’immaginavo che tu non
comprendessi, e te l’ho anche detto. Puoi perdonarmi?
Parlava con una serietà ed una gravità tali, che
ne fui profondamente commosso; non volendo
sovraeccitarla maggiormente, le risposi con un
tono che mi sforzai di rendere il più possibile
naturale e scherzoso:
— È il solo peccato che tu abbia sulla coscienza?
— No, no, — replicò, — ma verso di te non
me ne riconosco altri.
E continuò, stringendosi più fortemente a me:
— Nessuna confessione poteva costarmi di
più, poiché sento come avessi torto di nutrir si197
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
mili idee. Mi rendo conto ora che soltanto tu non
ti sei ingannato su di me, e che nessuno di quelli
ai quali ho aperto il mio cuore in quei giorni nefasti, in cui mi sentivo sola e infelice da morirne,
mi ha compresa.
Un brivido la scosse mentre parlava, e si portò la mano alla fronte.
— Tutto ciò è passato, ora, — aggiunse; — tutte le mie inquietudini e tutte le tenebre si sono
dissipate. Ma v’è un’ultima confessione che devo
farti oggi.
Si rialzò e mi fissò con uno sguardo così chiaro e profondo, che si sarebbe detto volesse leggere sino in fondo alla mia anima.
— Bisogna tu sappia ciò che v’è stato di più
atroce nella mia vita, — disse. — Quando ero
tentata dall’idea della morte e mi figuravo che tu
mi sfuggissi, che tutto mi sfuggisse, e sentivo nel
cuore una solitudine ed un vuoto atroci, ero torturata da un’angoscia che nulla può esprimere.
M’immaginavo, infatti, che sarei stata obbligata
ad attentare io stessa ai miei giorni. Fu questo il
massimo dei dolori. Ora io so che mai non vi sarò
obbligata. Dio stesso me ne ha fatto promessa.
— Credi che, nonostante tutto, ci lascerai ben
presto? — le chiesi, con voce tremante di commozione.
— Non lo so, — mi rispose, appoggiando di
nuovo il capo contro la mia spalla. — So soltanto
che non sarò mai forzata a mettere io stessa fine
ai miei giorni.
198
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Ella tacque ed io non trovai parole per risponderle. La guardai. Era ridiventata com’era
nei giorni più felici della nostra esistenza; mi parve perfino più delicata e più giovine, e la calma,
successa alla febbre nervosa d’un tempo, dava
ad ognuno dei suoi movimenti un non so che di
tenero e fiducioso, che mi commuoveva profondamente.
Quando si mise a letto, ed io tornai in camera per augurarle la buona notte, ella mi guardò
con i suoi chiari limpidi occhi di un tempo e mi
disse:
— Ti ho detto, qualche giorno fa, che, in grazia tua, avevo perduto la fede; ti supplico di non
inquietarti per queste parole. Tu non hai mai fatto nulla per togliermi la mia fede, sono io che me
lo sono immaginato. Tante cose mi sono immaginata! La mia vita è stata un’illusione continua.
Il suo viso prese un’espressione dolorosa; le
passai la mano sulla fronte per cancellarla e le
risposi:
— È vero che non ho mai fatto ciò direttamente. Pure, avrei dovuto comprendere che la
tua fede ti era preziosa, tanto preziosa, ch’era
colpevole da parte mia di lasciarti intravedere la
sola possibilità di abbracciarne altre!
Tutto il suo viso divenne raggiante, come se
una fiamma interiore l’illuminasse; mi mise le
braccia intorno al collo, mormorando qualche
parola che esprimeva tutta la gioia che le avevo
dato, e mi augurò la buona notte.
199
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Spensi la candela che ardeva presso il suo letto e uscii pian piano dalla camera.
Il mio cuore traboccava di gratitudine per tutto ciò che ella aveva detto; mi pareva che ella mi
avesse donato un tesoro inapprezzabile, in cui
avrei potuto più tardi attingere le consolazioni
ed il conforto di cui avrei avuto bisogno.
Nello stesso momento in cui mi abbandonavo a questi pensieri, mi resi nettamente conto
di aver, per così dire, già incominciato a cercarla nel ricordo. — Ella mi lascia — mi dicevo. E
con grande stupore constatai che ora potevo
pensare alla sua dipartita senza alcuna amarezza,
semplicemente perché, in quel momento, mi ero
sentito più vicino a lei che non fossi mai stato
prima.
— Ella non morrà — mi dicevo un momento
dopo, senz’accorgermi della contraddizione che
regnava nei miei stessi pensieri.
Ero seduto in camera mia e tentavo di leggere, ma mi era impossibile; ero troppo sovraeccitato, troppo felice d’aver ricevuto in dono un
tesoro così raro. Ad un tratto, mi parve riveder
mia moglie, durante l’estate che passammo sulla
costa dell’Ovest, nel momento in cui, appoggiata
alla finestra della casa dei piloti, alzò su di me
gli occhi raggianti di gioia e in cui sentii che le
nostre anime si erano fuse, per la prima volta,
in uno stesso amore per il mare dagli orizzonti
infiniti. Ciò che sentii allora rassomigliava a ciò
che, in questo momento, mi riempiva di gioia e
200
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
di speranza, e nello stesso istante mi ricordai i
lunghi anni durante i quali avevo portato in me il
desiderio ardente e morboso di rivedere il mare
della mia gioventù.
Un antico incidente, dimenticato da molto
tempo, mi tornò in mente con la limpidezza di
una visione. Un bimbo è in piedi sopra uno scoglio e guarda il mare. Lo scoglio è a picco e ai
suoi piedi muggiscono le onde spumeggianti. Il
bimbo s’è levato il vestito e con le mani lo tiene
sospeso al disopra del suo capo per farsene una
vela. Prova una vera ebbrezza a sentir che sfida
l’uragano, il quale minaccia di sollevarlo e di lanciarlo dallo scoglio nelle onde.
Ma una voce, che grida il suo nome attraverso
il vento, viene a turbarlo nella sua gioia, e due
braccia, più forti delle sue, lo afferrano e lo trasportano, suo malgrado, lungi dal punto pericoloso, lungi da quel mare, la cui vista l’inebria e
che minaccia d’inghiottirlo.
Quel bambino sono io stesso, e sorrido melanconicamente a quest’evocazione di un passato lontano, mentre le ore della notte trascorrono
insensibilmente, ed io son seduto là, solitario,
con gli occhi fissi su ciò che deve accadere. Quel
che il bambino desiderava così ardentemente,
ora io l’ho raggiunto, ma l’uragano mi ha trasportato più lontano di quanto avrei voluto.
A quest’ora desidererei o che gli elementi
scatenati si calmassero, o che qualcuno più forte
di me mi prendesse fra le braccia e mi trasportas201
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
se lontano da un pericolo, davanti al quale non
avrei mai creduto di tremare un giorno.
Ma so nello stesso tempo che questo desiderio è irragionevole, che io domando l’impossibile, e penso, con uno spavento misto d’umiliazione, alle sofferenze di mia moglie, che son più
grandi delle mie.
XI
Poco tempo dopo fui chiamato a casa da un
messaggio telefonico, annunziantemi che Elsa
aveva avuto una crisi, che il suo stato era grave e
che dovevo rincasare immediatamente.
L’avevo abbracciata, lasciandola al mattino
prestissimo per andar al mio lavoro. Era il primo
di maggio ed avevamo stabilito, prima di separarci, di organizzare una festicciola per i ragazzi,
come ne avevamo l’abitudine una volta.
Al primo momento non potei credere alla realtà della sventura che mi annunziavano, e siccome avevo un po’ di tempo davanti a me prima
della partenza del treno, ne approfittai per acquistar della frutta e diverse cose per i ragazzi. — È
un malessere passeggero, — dicevo a me stesso,
mentre ero seduto in treno coi miei pacchi.
Presi i giornali e tentai di leggere, per far passare il tempo più in fretta. Riuscii, in principio,
con uno sforzo di volontà, a fissare il pensiero
su ciò che leggevo e ad impedire all’inquietudi202
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ne di prendere il sopravvento, almeno durante il
tragitto. Ma, di mano in mano che mi avvicinavo
a casa, sentivo aumentar la mia angoscia. Il mio
pensiero si rifiutava di seguire i miei occhi, che
scivolavano macchinalmente da una riga all’altra, e finirono a intorbidarsi del tutto. Ripiegai il
giornale, e nello stesso momento, con la rapidità del lampo, la realtà si drizzò davanti alla mia
mente. — Ciò che hai paventato, sta per accadere! — dicevo a me stesso. — Non puoi negare di
non aver cessato un sol giorno di temere questa
soluzione.Tu non hai mai creduto che ella sarebbe vissuta, hai solo cercato di farti delle illusioni.
Adesso l’ora della prova è suonata e non puoi
fuggirla!
Una serenità strana si fece in me, dovuta di
sicuro alla mia certezza che la soluzione era prossima e che d’ora innanzi non avrei dovuto più
lottare: — Mio Dio! — mormorai a bassa voce. —
Se... deve morire, fate che la sua morte sia dolce!
— Pure non potevo comprendere perché rimanessi così calmo. Quando il treno si fermò, guardai a destra e a sinistra sul viale, dove speravo di
scorger qualcuno che fosse venuto ad incontrarmi, ma non vidi nessuno. — Allora vive ancora
— dissi fra me, con la stessa calma singolare che
non mi abbandonava, e un momento dopo pensai: — Forse è proprio questo un segno che tutto
è finito. Si saranno astenuti dal venirmi incontro
per risparmiarmi una commozione troppo forte
davanti ad estranei o a indifferenti. — Quest’ul203
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
tima alternativa stessa non riuscì a farmi perdere la strana serenità che m’aveva invaso. Presi
lentamente la via di casa e salii penosamente la
collina, sulla quale essa si elevava. Alzai gli occhi
verso la finestra, e mi pareva di vederla come mi
era apparsa quando, dopo la sua prima malattia,
si era alzata per la prima volta. Sopra al vestito
nero, che portava sempre, aveva gettato una mantellina chiara; si sporgeva dalla finestra aperta a
due battenti e mi faceva dei segni d’impazienza,
perché non avevo alzato gli occhi più presto; tutto il suo corpo tremava, tanto era felice di farmi
vedere ch’era alzata e poteva camminar da sola.
Tutto il mio essere trasalì a quel ricordo, e alzai
macchinalmente gli occhi verso la finestra, quantunque sapessi benissimo che non vi sarebbe stato nessuno a darmi il benvenuto.
Pensavo fra me: — Da un anno e mezzo ti
aspettavi che morisse, e l’hai pianta come se fosse già morta, di modo che non puoi più sentir
nulla ora. Il dolore s’è consumato da sé, s’è spento nella sua propria fiamma e ne rimangono solo
le ceneri.
Qualche secondo più tardi mi trovai in camera
di mia moglie e vidi che aveva perduto i sensi.
Ascoltai il suo respiro, posai la sua mano nella mia
e cercai di parlarle, ma le sue labbra rimasero ostinatamente chiuse.Allora discesi e telefonai al medico; sapevo che non v’era più nessuna speranza,
ma qualche cosa di più forte di me mi obbligava a
chiamarlo. Mi promise di venire e risalii la scala in
204
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
punta di piedi. Nella casa silenziosa non si sentiva
che il rumore del respiro di Elsa, che giungeva
dalla porta spalancata della sua camera.
Sulla scala incontrai Olof, che pareva ascoltasse. Posai la mano sulla sua spalla e volevo passar
vicino a lui, ma il fanciullo m’arrestò.
— Perché la Mamma russa così? — mi chiese.
E arrossì, come se avesse detto qualcosa di sconveniente; tentò di sorridere, ma invano.
— Respirano così le persone che stanno per
morire, — gli risposi.
Il ragazzo non scoppiò in lacrime; fece un
semplice movimento col capo e guardò in altra
direzione.
— Se lo aspettava anche lui, — dissi tra me.
E nello stesso momento vidi quanto grande e
quanto piccolo egli fosse.
Allora le bende mi caddero dagli occhi e intravidi ciò che v’era di particolarmente atroce
nella nostra situazione; pensai a ciò che sarebbe
stato dei nostri poveri figli, ai quali non avevo
pensato fino allora!
Mentre l’infermiera rimaneva sola presso la
malata, discesi con Olof e Svante per far colazione e parlar con loro di ciò che ci minacciava.
Non dimenticherò mai la nostra conversazione di quel giorno e dei seguenti. Parlavamo a bassa voce, come se temessimo di turbare il sonno
della cara malata, che non ci sentiva già più.
I miei figlioli mi apparvero a un tratto come
due compagni, che da sé avevano tutto compre205
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
so e di tutto avevan preso la loro parte. Per loro non era affatto straordinario che la Mamma
andasse a raggiungere Sven, poiché gliene aveva
parlato tanto sovente.
L’idea che la Mamma li lasciasse perché non
desiderava di vivere, non li offendeva affatto. Essi
non cercavano di criticare e nemmeno spiegare
ciò che era, ai loro occhi, di una semplicità piena di grandezza. Sapevano che la Mamma voleva
morire e lasciarli, soltanto perché era debole e
malata e le era impossibile continuare a vivere.
Se qualcuno avesse detto loro che la Mamma
provava con questo di amarli meno, avrebbero
alzato le spalle per indignazione o per pietà.
Mi raccontarono una quantità di cose che
ignoravo e mentre ci intrattenevamo insieme,
mi pareva sentir da lontano l’avvicinarsi del Dolore. Sapevo ch’esso sarebbe venuto un giorno,
ma non sotto forma di disperazione. Pure, esso
non riuscì a vincere completamente la calma
che avevo conservato anche dopo che il medico
ebbe lasciato la camera di Elsa e mi ebbe confermato ciò che già sapevo.
Qualche momento dopo il suo arrivo, sentii
mia moglie emetter delle grida, e salii; entrando
in camera, trovai che era assalita da convulsioni, che sembravano incominciar dal viso e di là
diffondersi per tutto il corpo, che ne era tutto
scosso in modo spaventevole; rimanevamo impotenti davanti a queste crisi, che si ripetevano
di tanto in tanto. Il medico, per fortuna, riuscì ad
206
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
arrestarle con delle iniezioni, e l’ammalata tornò
calma come prima; ma non riprese conoscenza.
Per due giorni ancora rimase nello stato di prostrazione in cui l’avevo trovata. Le convulsioni
erano cessate da molto tempo, eppure mi pareva
di veder sempre il suo viso contratto e scosso da
sussulti atroci. Ricordai allora gli ultimi momenti
di Sven, e di aver avuto, allora, lo stesso spettacolo sotto gli occhi, dal viso e la bocca contratti
nelle convulsioni, alle membra frementi e alle
mani rattrappite.
Le parole che m’aveva dette un giorno mi tornarono in mente:
— Quando morrò, morrò precisamente come
Sven.
Ricordai che queste parole mi avevano fatto
sorridere, quando le aveva pronunciate, trovandole poco naturali e di un’esagerazione morbosa.
Ma ora, che si erano avverate, si imponevano alla
mia mente con la forza di un’ossessione. Come sapeva questo? E come poteva affermarlo con certezza così assoluta, se non sapeva nulla? Questa
somiglianza nella morte non era semplicemente
effetto del caso? E si può, in generale, chiamare
caso tutto ciò che non si riesce a spiegare?
Passai delle ore presso il letto di mia moglie,
non uscendo che per prender aria o per riposare. Vegliai la malata coi ragazzi, e scambiammo,
a bassa voce, parole che non ritorneranno mai
più sulle nostre labbra e di cui nessuno di noi
potrebbe ricordarsi ora. Mi coricai vestito sul let207
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
to, vicino ad Elsa, alla mia piccola Elsa, che non
doveva risvegliarsi mai più, e la vegliai solo, per
lasciar riposare l’infermiera e assicurarmi almeno il ricordo di qualche ora in cui nessun estraneo si trovasse con noi, nella camera in cui ella
agonizzava.
Si crede che chi sta per morire veda sfilare
davanti a sé la sua vita intera, ed è possibile che
tutti gli avvenimenti della vita appaiano allora
sotto una luce nuova.
So, per ciò che mi concerne, che nella notte
in cui Elsa morì, mentre il giorno sì affacciava
lentamente, ed i ragazzi, sfiniti dalla stanchezza,
erano andati a riposarsi, la mia esistenza personale e tutta la nostra vita a due si mostrarono a
me come non le avevo mai viste fino allora. Mi
resi conto che, di tutto ciò che m’aveva detto,
io avevo ritenuto soltanto ciò che avrei dovuto
dimenticare, e che avevo precisamente dimenticato ciò che avrei dovuto chiudere con ogni
cura nel mio cuore. Fra le sue parole, avevo fatto
attenzione solo a quelle che concordavano con
i miei desideri personali, ed avevo dimenticato quelle ch’erano in contraddizione con essi.
Mentre credevo di sacrificar tutto a lei, avevo in
realtà lavorato solo per me e per la mia felicità.
Sotto questa luce mi appariva ora tutta la mia
vita passata.
Ella m’aveva condotto con sé nella valletta
della Morte! Questo compresi in quell’ora, mentre l’alba nasceva lentamente, e il sole incomin208
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
ciava a metter delle frange d’oro alle nubi del
firmamento. Il pensiero della morte m’era completamente estraneo. Non conoscevo che la gioia di vivere, e tutti i miei sforzi tendevano a dimenticare che quaggiù non vi è nulla di eterno.
Avevo sempre camminato nell’esistenza come in un sogno incantato, con la sensazione che
tutto ciò che m’accadeva era solo in parte, realtà,
con gli occhi fissi sull’ignoto che attendevo, più
che sul presente che possedevo.
Sempre avevo fatto dei sogni di felicità, e
quella felicità non la concepivo mai se non sotto forma di un focolare e di una famiglia. Avevo
raggiunto quella felicità con tale pienezza, che
su mille uomini se ne poteva trovar soltanto uno
che fosse stato felice come me. Ma la Morte, a
cui mi ero ostinatamente rifiutato di pensare,
s’era introdotta a tradimento vicino a me. Ella mi
prese il mio bimbo dagli occhi d’angelo e dai riccioli d’oro. E quand’egli morì, Ella si chinò ancor
più profondamente su di me, stese le sue ali nere
sul mio focolare, e non mi lasciò che quand’ebbe
rapito, a me ed ai miei, quella che ci era più cara
di ogni cosa nella vita, perché ci era più cara che
la vita stessa.
Mi alzai e guardai dalla finestra. Ascoltai il suo
respiro, e non potevo credere che mia moglie
fosse proprio coricata là e stesse per morire. Mi
chinai su di lei, inumidendole la lingua e le labbra con un po’ d’acqua fresca, e contemplai a
lungo i suoi lineamenti, fino al momento in cui i
209
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
miei occhi si offuscarono e non potei vedere più
nulla. Ma credevo esser vicino a lei, ed ero convinto che, se v’era ancora in lei un’ultima scintilla di vita cosciente, un’ultima luce di pensiero, a
me ella pensava, me ella vedeva nella sua infinita
tenerezza di sposa.
Mentre evocavo così la nostra esistenza comune, dimenticai me stesso, e non vidi più che
lei sola. Ella era venuta a me nello splendore della sua giovinezza e del suo amore, ed aveva vissuto vicino a me anni di felicità paradisiaca; ma
v’era sempre stata nella sua felicità come un’ombra di melanconia, che si accentuò, specialmente perché le fu impossibile per tanto tempo di
aprirmi il suo cuore. Mi rendevo conto ora che
la sua natura, come il suo destino, erano proprio
eccezionali. Ella era fatta per esser felice e per
morire poi. E venne il giorno in cui cercar di costringerla a vivere fu una crudeltà. Ella non era
di quelle che piangono per un certo tempo e
poi dimenticano; ella non poteva che piangere e
morire. Avrei dovuto, conoscendo il suo destino,
dimenticar tutto; avrei dovuto sapere che ella diceva sempre la verità, soprattutto quando le sue
parole mi sembravano strane e mi facevano pena. Ma ella era particolarmente sincera quando
il dolore l’obbligava a parlare e mi supplicava di
permetterle di morire. Perché non glielo avevo
permesso? Perché avevo tentato di trattenerla
suo malgrado e di imporle un compito superiore alle sue forze? Come non avevo compreso che
210
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
per due anni aveva dovuto fare degli sforzi sovrumani per sopportare il suo martirio, per sorridere con noi, che avevamo voglia di sorridere,
per giocare con noi, che volevamo giocare?
Come avevo potuto essere così crudele, come si può esser così crudeli da esigere un sacrificio simile, se non perché non si comprende e
si ha una benda sugli occhi? A queste domande
che il mio spirito si rivolgeva se ne aggiunse una
nuova, che ne era la logica conclusione: come
aveva potuto continuare ad amarmi, mentre la
torturavo così? Credetti trovare una risposta col
dirmi che ella era persuasa che io agissi sotto il
dominio di una volontà superiore alla mia, che
determinava la mia condotta verso di lei e mi
rendeva irresponsabile dei miei atti. Era una spiegazione plausibile e non una risposta diretta e
categorica. Ella non si sarebbe mai più svegliata per darmi la chiave dell’enigma e liberarmi
il cuore dall’atroce tormento, che d’ora innanzi
l’avrebbe torturato!
Le ore della notte trascorsero lentamente,
mentre ero seduto là, perduto nei miei tristi sogni, e sentivo giungere quel momento di invincibile stanchezza, in cui si chiudono gli occhi e
si giungono le mani per chiedere a Dio, in una
muta preghiera, di affrettare la liberazione.
Ad un tratto non sentii più il rantolo della
malata, e mi parve che il mio cuore cessasse di
battere. Credendo che fosse la fine, mi precipitai
fuori per svegliare i ragazzi.
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Comparvero, con gli occhi gonfi di sonno, il
viso grave e silenzioso, e si sedettero accanto al
letto. Ricordai allora le parole che Elsa mi aveva
detto un giorno:
— Quando morrò, non voglio intorno nessun
altri che te ed i ragazzi. — Mentre eravamo seduti
là tutt’e tre, ad aspettare la fine, osservammo che i
suoi occhi parevano fare uno sforzo per aprirsi; la
vedemmo voltarsi dalla parte della parete ov’era
il ritratto di Sven, e la sentimmo dire: — Ninin. —
Aveva pronunciata questa parola con voce debole e appena percettibile, ma infine aveva parlato!
Le nostre mani si strinsero febbrilmente e le
nostre lacrime scesero; lacrime di gioia più che
di dolore, perché avevamo sentito la sua voce.
Da questo momento ella ebbe coscienza che
eravamo seduti vicino a lei, e si capiva da ogni
suo movimento, da ogni espressione del suo viso, che diceva addio a tutto ciò che la circondava. Quando intendeva la nostra voce, apriva una
pupilla, come aveva fatto Sven prima di morire,
e potemmo renderci conto che ci aveva riconosciuti ed era sensibile alle nostre carezze.
Pronunciò ancora il nome di Sven, come se
avesse voluto dirci che lo vedeva e che andava a
raggiungerlo. Poi perdette di nuovo i sensi, e noi
restammo presso il suo letto, ansanti, spiando il
menomo segno che ci indicasse che non ci aveva ancora abbandonati.
A un tratto aprì l’occhio sinistro, come aveva
fatto Sven, e il suo sguardo cercò il mio. Mi chi212
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
nai su di lei e vidi che tentava di parlare; ma non
vi riuscì e ripiombò nello stato comatoso, con
in viso un’espressione di sofferenza indicibile.
Quei tentativi si rinnovarono a più riprese, ed
ogni volta la sua impotenza di esprimersi metteva sul suo viso la stessa espressione di dolore
atroce, che ci stringeva il cuore. Si sarebbe detto
che si sentiva già lontana da noi, ma che pure
aveva qualcosa da confidarci, prima di lasciarci
per sempre, e che non poteva morire prima di
averci fatto questa suprema confidenza.
Era atroce vedere i suoi sforzi disperati per
parlare, più atroce ancora il non sentire le sue
ultime parole!
Mi chinai di nuovo su di lei e le mormorai
all’orecchio una domanda.
Allora aprì il suo occhio, mi guardò e vidi che
mi intendeva. Con lo spirito teso, come se tutta
la mia vita dipendesse ormai da ciò che stava per
dire, misi l’orecchio vicinissimo alla sua bocca.
Allora intesi la sua voce, che pareva venir
molto di lontano, così debole, che potei appena
afferrarla.
Parlava più la sua anima che non lei stessa. Ma
intesi distintamente le parole che pronunciò, e
che nessuno, all’infuori di me, potè sentire.
— Vi... amo... tanto.
Devo aver gettato a quel punto un grido disperato, perché sentii delle mani afferrarmi e sostenermi. E il mio grido era giunto fino alla moribonda, perché fece sentire un gemito doloroso e
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
disperato, che diceva come mi sentisse, ma non
avesse la forza di posare sul mio capo la sua mano già toccata dalla morte.
Anche ora mi sento risuonare all’orecchio
quel gemito di sofferenza e di agonia.
Aveva lottato delle ore per poterci dire un’ultima volta ancora tutta la sua tenerezza, e quando ebbe compiuto questo sforzo, si sentì come
acquietata, ed ogni traccia di sofferenza e di lotta
disparve dal suo viso. Non desiderava più nulla, aveva fatto i conti con la terra, poteva morire
in pace, poiché ci aveva detto, prima di morire,
quanto ci amava.
Qualche ora dopo i suoi occhi si chiusero per
sempre. Se ne andò senza agonia, dolcemente,
come una lampada che si spegne. Aveva sofferto
abbastanza prima!
Ella visse la sua propria vita, morì come aveva
voluto morire.
Ma prima di partire, ebbe la forza di donarci
un addio, che doveva non cancellarsi mai dalla
nostra memoria e aiutarci a sopportare la vita. Il
suo amore fu più grande della Morte.
Sia benedetta per tutto ciò che le dobbiamo!
XII
Aprii la lettera, che si trovava nel cassettone
che mi aveva appartenuto nell’infanzia e di cui
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
Elsa aveva fatto il santuario di Sven. Vi lessi quel
che segue:
«Ho parlato tanto spesso della Morte,
ma un giorno o l’altro la mia ora suonerà.
La persona che troverà questa carta dovrà
mostrarla a chi disporrà per i miei funerali. Dio m’è testimonio ch’io volevo vivere
per i miei cari, la cui tenerezza e devozione per me sono state infinite, e che faccio
tutto ciò che m’è possibile per riuscirvi. Se,
come temo, soccomberò sotto il fardello
che porto, chiedo che mi si metta, quando
sarò morta, il mio vestito bianco. Nell’ultimo tiretto del cassettone si trova tutta la
biancheria che apparteneva a Ninin, il mio
angelo; chiedo che sia messa nella mia bara, come tutti gli oggetti ch’erano suoi, ed
i suoi balocchi, che mi faranno un dolce
letto di riposo.
«Un ultimo voto ancora. Se muoio in casa mia, mettete la mia bara nella camera di
Ninin!
«Grazie di tutto, di tutto! Ero votata al
dolore, e non ho potuto vivere, nonostante
l’affezione e la tenerezza di cui mi avete
circondata.
La vostra Elsa
La rivestimmo dell’abito bianco, che non aveva più messo dopo che la terra non aveva più
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ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
gioie per lei; ci conformammo piamente alle sue
ultime volontà e la portammo nella cameretta di
Sven.
Là ella riposava, con la sua bella capigliatura nera disciolta e fluente sul vestito bianco, in
mezzo ai fiori primaverili, di cui avevamo spogliato il giardino.
Dietro di lei, verso la finestrella, avevamo messo un’azalea rossa tutta sbocciata, e il suo letto
scompariva sotto una cascata di rose gialle.
Pareva dormisse: il suo viso era ringiovanito
nella morte.
Così andò a ritrovare Sven, come soleva dire
ella stessa; e per ciò questo libro è «il libro del
fratellino» che venne, e fu il buon angelo di sua
madre, ma non come avevamo sperato. Poiché,
quando partì, la trascinò con sé!
XIII
Ma questo libro è, nello stesso tempo, il racconto di una lotta con la Morte: è la storia di un
uomo che s’è misurato con Essa, che fu vinto e
che non arrossisce della sua disfatta.
D’allora, ho viaggiato attraverso il mondo
ed incontrato migliaia e migliaia di esseri. Ma
il mondo era per me un deserto, ed io passavo
indifferente accanto agli uomini, fino a che non
ebbi scritto questo libro. L’ho scritto durante i
giorni soleggiati dell’estate, nel punto in cui ces216
ESPROPRIO LETTERARIO - LETTURE A KS ZERO
sano gli Schären ed incomincia il mare aperto.
E colui che l’ha scritto era solo! Ma ora non si
sente più solo.
Per lunghe settimane ha contemplato il mare
infinito, che, simile alla vita umana, non ha mai
riposo. Ha visto fari scintillare al disopra delle
onde muggenti, ed egli sa che, se anche i fari dovessero spegnersi, le stelle immortali non cesseranno di brillare nel firmamento.
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le spine
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Corrado D’Ottavi, Cosa si intende dire? Cosa si intende fare?
Cosa si riesce ad essere?
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L’Ortica editrice persegue con i fatti
quella solidarietà così lontana
dall’attuale competizione fratricida.
È animata da idee che sole possono
dar moto alle vicende umane.
È animata dallo spirito di
cooperazione, dall’amicizia, dalla
fratellanza, dall’armonia possibile
fra tutti gli esseri viventi.
Ortica editrice soc. coop • via Aldo Moro, 43/D - 04011 Aprilia
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finito di stampare nel mese di giugno 2013
presso la tipografia Grafiche Mercurio di Angri (SA)
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