ISTITUZIONI DI DIRITTO DEL LAVORO- 6° edizione

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ISTITUZIONI DI DIRITTO DEL LAVORO- 6° edizione
ISTITUZIONI DI DIRITTO DEL LAVORO- 6° edizione - 2013
Aggiornamento
A cura di A. Tursi e P. A. Varesi con la collaborazione di Scilla Fagnoni, Dottore di
ricerca in Diritto del lavoro e relazioni industriali
Si riportano di seguito le principali novità introdotte dal d.l. 28 giugno 2013, n. 76,
conv. con mod. in l. 9 agosto 2013, n. 99 (cd. Pacchetto lavoro) e dalla legge 27
dicembre 2013, n. 147 (cd. Legge di stabilità 2014).
PARTE QUARTA
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO (Cap.
XX)
Principali novità introdotte.
§ 6. Il luogo di lavoro e le sue variazioni
Il “distacco”, pur non comportando necessariamente una dislocazione geografica del
lavoratore, si accompagna solitamente
ad una trasferta, o addirittura a un
trasferimento (ciò accade addirittura tipicamente, nel caso del “distacco all’estero”).
L’art. 7, comma 2, della legge n. 99/2013, aggiunge un comma 4-ter all’art. 30 del
D.Lgs. n. 276/2003 che disciplina l’istituto. Con tale intervento il Legislatore ha
inteso configurare “automaticamente” l’interesse del distaccante al distacco qualora
ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete. Infatti, “qualora il distacco di
personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di
impresa”, come disciplinato dalla legge n. 33/2009, n. 33 (ossia, un contratto tramite
il quale più imprenditori si obbligano a collaborare in ambiti attinenti all’esercizio
delle proprie imprese, a scambiarsi informazioni ovvero ad esercitare in comune una
o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa), “l’interesse della parte
distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le
norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice
civile”.
Ciò significa che, nell’ambito della “rete di imprese”, ai fini della legittimità del
distacco sarà sufficiente l’esistenza di un valido contratto di rete che coinvolga
distaccante e distaccatario, e che non venga violato il divieto di adibizione a mansioni
inferiori, stabilito dall’art. 2013 c.c..
§ 10. La sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro.
L’art. 9, comma 2, della legge n. 99/2013 inasprisce il regime sanzionatorio della
disciplina della sicurezza sul lavoro: la rivalutazione della misura delle ammende
derivanti dalle contravvenzioni irrogabili in materia di igiene, salute e sicurezza sul
lavoro, non avverrà più in base all’indice ISTAT dei prezzi al consumo, bensì in
forza di uno specifico decreto del Ministero del lavoro; in sede di prima applicazione,
a decorrere dal 1 luglio 2013, la rivalutazione è pari al 9,6%, e trova applicazione per
le violazioni commesse successivamente a tale data.
L’incremento di gettito derivante dalle sanzioni di cui sopra, è destinato nella misura
del 50% al finanziamento di iniziative di vigilanza, prevenzione e promozione in
materia di salute e sicurezza sul lavoro.
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA PRESTAZIONE DI LAVORO (Cap.
XX)
Principali novità introdotte.
§ 6. Impugnazione del licenziamento illegittimo, procedure di conciliazione,
nuovo rito speciale per i licenziamenti “ex art. 18”
Le novità introdotte dalla legge n. 99/2013 riguardano la procedura di conciliazione
per il licenziamento “economico”, disciplinata dall’art. 7 della legge n. 604/1966
(come modificato dalla legge n. 92/2012).
La prima modifica riguarda l’ambito di applicazione della procedura: confermando
un orientamento già emerso nella prassi applicativa (v. la circolare n. 3/2013 del
Ministero del lavoro), la riforma del 2013 chiarisce che la procedura in oggetto non
trova applicazione nelle ipotesi di licenziamento per superamento del periodo di
comporto per malattia ex art. 2110 cod. civ..
Parimenti, la procedura conciliativa preventiva non si applica in altri due casi:
a) nel caso di cessazione del rapporto di lavoro per cambio di appalto, al quale sia
succeduta l’assunzione presso altro datore di lavoro, in attuazione di clausole di
contratti collettivi nazionali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente
più rappresentative (cdd. “clausole sociali”);
b) in caso di interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, nel settore
delle costruzioni edili, per completamento delle attività o chiusura del cantiere.
Si tratta, a ben vedere, delle medesime ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro,
per le quali non è dovuto il contributo previsto dall’art. 2, comma 31, della legge n.
92/2013.
La seconda modifica riguarda le conseguenze della mancata comparizione di una
delle parti al tentativo di conciliazione: a quella, già ricavata in via interpretativa
dalla prassi amministrativa (“Vademecum” del Ministero del lavoro dell’aprile 2013),
della chiusura della procedura con redazione di un “verbale negativo”, si aggiunge la
obbligatoria valutazione di tale comportamento omissivo da parte del giudice ai sensi
dell’art. 116 cod. proc. Civ. (ossia, al fine di trarre da detto comportamento
“argomenti di prova” in sede processuale, ovviamente a danno della parte assente).
SOSPENSIONE
DEL
RAPPORTO
DI
LAVORO
E
RIDUZIONE
DELL’ORARIO DI LAVORO PER CAUSE ECONOMICHE (Cap. XXIV)
Principali novità introdotte.
§ 5. La riforma della legge n. 92/2012: la protezione del reddito dei lavoratori
sospesi per ragioni economiche da imprese appartenenti a settori non coperti
dalla normativa in materia di cassa integrazione guadagni
Le novità introdotte dalla legge n. 99/2013 riguardano la disciplina temporale
dell’introduzione dei Fondi bilaterali di solidarietà.
Innanzi tutto viene modificato l’art. 3, comma 4 della legge n. 92/2012 relativo al
termine assegnato alle parti sociali per stipulare accordi collettivi finalizzati a
costituire fondi bilaterali nei settori non coperti dalla normativa sulle integrazioni
salariali. Il termine fissato inizialmente in 12 mesi dall’entrata in vigore della legge
(18 luglio 2013) è spostato al 31 ottobre 2013.
Ove anche tale termine dovesse trascorrere inutilmente, le forme di sostegno al
reddito saranno assicurate ai lavoratori interessati, a partire dal 1 gennaio 2014,
dall’attivazione del fondo di solidarietà residuale costituito con decreto del Ministro
del lavoro. La data di costituzione di tale fondo viene anch’essa spostata al 31 ottobre
2013.
La seconda modifica riguarda lo spostamento al 31 ottobre 2013 del termine fissato
dal comma 14 dell’art. 3, ai fondi bilaterali in settori specifici, come l’artigianato (cd.
“modello alternativo”), per l’adeguamento delle fonti istitutive di detti fondi o dei
fondi interprofessionali per la formazione, alle finalità proprie dei fondi bilaterali di
solidarietà.
DIMISSIONI,
RISOLUZIONE
CONSENSUALE,
LICENZIAMENTO
INDIVIDUALE (cap. XXV)
Principali novità introdotte.
§ 1. Il recesso dal contratto di lavoro in generale. Dimissioni e risoluzione
consensuale
Proseguendo nella linea di progressivo rafforzamento delle garanzie a tutela dei
lavoratori cdd. ”parasubordinati”, l’art. 7, comma 5, lett. d), della legge n. 99/2013,
estende la nuova disciplina procedurale delle dimissioni e della risoluzione
consensuale del contratto di lavoro subordinato, introdotta dall’art. 4, comma da 6 a
23, della legge n. 92/2012, “in quanto compatibile”, ai collaboratori coordinati e
continuativi, anche a progetto, nonché agli associati in partecipazione con apporto di
lavoro: viene a tal fine aggiunto, all’art. 4 della legge n. 92/2012, un comma 23-bis.
Viene così ad applicarsi a fattispecie di lavoro autonomo o associato, una disciplina
nata e pensata per il lavoro subordinato. Ciò giustifica il limite della “compatibilità”,
previsto dalla norma: limite che porta ad escludere dalla predetta estensione, talune
figure del tutto peculiari di collaboratori coordinati e continuativi, quali, ad es., gli
amministratori di società e i membri di collegi sindacali.
LE GARANZIE DEI DIRITTI DEI LAVORATORI (Cap. XXVII)
Principali novità introdotte.
§ 6. Le speciali garanzie dei lavoratori subordinati negli appalti e nelle
esternalizzazioni d’impresa
In tema di appalti, prosegue il processo di stratificazione normativa, che, dopo
l’impennata garantista del 2006 (v. spec. le leggi n. 296/2006 e n. 248/2006) ha virato
verso una progressiva attenuazione dei vincoli a carico di committenti e appaltatori.
Se si prescinde dalla previsione dell’art. 8 della legge n. 148/2011, che apre ad una
totale liberalizzazione in materia per via di contrattazione collettiva aziendale
“qualificata” (v. in questo stesso §, nonché infra, cap. XXXI), e da quella dell’art. 4,
comma 31, della legge n. 92/2012, che, modificando l’art. 29, comma 2 del d.lgs. n.
276/2003, apre ad analoga liberalizzazione a favore della contrattazione collettiva
nazionale; un primo ulteriore passo nella segnalata direzione è quello compiuto dal
cd. “decreto del fare” (d.l. n. 68/2013, convertito dalla legge n. 98/2013).
L’art. 50 del suddetto decreto, modificando il testo dell’art. 2, comma 28 della legge
n. 248/2006, ha eliminato, INFATTI, la responsabilità solidale dell’appaltatore e del
subappaltatore per l’IVA scaturente dalle fatture inerenti le prestazioni effettuate
nell’ambito del subappalto.
Anche la successiva legge n. 99/2013 è intervenuta in materia di responsabilità
solidale negli appalti, introducendo due importanti modifiche.
La prima modifica riguarda l’applicabilità del regime di responsabilità solidale negli
appalti anche ai compensi ed agli obblighi di natura contributiva ed assicurativa in
favore dei lavoratori impiegati nell’appalto con contratti di natura autonoma, fatta
eccezione per i contratti di appalto delle Pubbliche Amministrazioni (v. già circ.
MLPS n. 5/2011 e circ. INPS n. 106/2012).
Si è immediatamente posto, a tal proposito, il problema di come conciliare tale
previsione con le caratteristiche dell’obbligazione contributiva gravante sui lavoratori
autonomi ex art. 2222 c.c.; infatti, tali lavoratori versano i propri contributi in proprio,
alla propria cassa previdenziale, sia pur “scaricando” una piccola parte di essi sul
committente, a titolo di “rivalsa previdenziale”.
Ci si è chiesti, quindi, se il legislatore abbia inteso riferirsi solo all’importo
corrispondente alla “rivalsa previdenziale”, oppure all’intera contribuzione a carico
dei prestatori d’opera. La seconda interpretazione sembra preferibile, poiché la prima
addosserebbe irragionevolmente al committente di un appalto gli oneri contributivi
posti a carico (non già dell’appaltatore, ma) dei collaboratori autonomi
dell’appaltatore.
Ancora più irragionevole, poi, sarebbe l’interpretazione secondo cui la norma impone
sia al committente che all’appaltatore la responsabilità solidale per gli obblighi
contributivi dei collaboratori autonomi dell’appaltatore.
La seconda modifica riguarda il ruolo della contrattazione collettiva nel regime di
solidarietà applicabile alle catene di appalti.
L’art. 9, comma 1 della legge n. 99/2013 chiarisce, ancora con norma di
interpretazione autentica, che la contrattazione collettiva, abilitata ex art. 29, comma
2, d. lgs. n. 276/2003, a derogare al regime di responsabilità solidale negli appalti, ha
effetto soltanto sui trattamenti retributivi dei lavoratori impiegati nell’appalto, con
esplicita esclusione di qualsiasi effetto sulla parte contributiva.
PARTE QUINTA
LE
RAPPRESENTANZE
SINDACALI
AZIENDALI
E
I
DIRITTI
SINDACALI (Cap. XXIX)
Principali novità introdotte.
§ 2. Le rappresentanze sindacali aziendali e le rappresentanze sindacali unitarie
La sentenza della Corte costituzionale n. 231/2013
In materia si registra un nuovo, atteso e in parte sorprendente intervento della Corte
costituzionale, indotto dalla situazione venutasi a creare in Italia con la stagione dei
cdd. “contratti separati”.
La diffusione di accordi aziendali e perfino ccnl stipulati senza la partecipazione o
comunque la sottoscrizione di sindacati molto rappresentativi, come la CGIL e le sue
federazioni, ha infatti messo in luce una contraddizione fin dall’inizio insita nel testo
post-referendario dell’art. 19 dello Statuto: l’esclusione dal diritto a costituire r.s.a. di
sindacati certamente rappresentativi, e anzi “maggiormente rappresentativi”, ma non
firmatari di alcun contratto collettivo applicato nell’unità produttiva.
Chiamata ancora una volta a giudicare della conformità ai principi costituzionali (artt.
3 e 39 Cost.), della formulazione post-referendaria dell’art. 19 s.l., la Consulta
sembra cambiare registro rispetto alla sue precedenti pronuncie n. 30/1990 e n.
244/1996, affermando che il criterio di selezione sancito dall’art. 19 non può essere
uno strumento per privare di una propria rappresentanza aziendale un sindacato
“maggiormente rappresentativo”.
Conseguentemente, la Corte reinterpreta, con sentenza di accoglimento “additiva” (n.
231/2013), l’art. 19, dichiarandone l’incostituzionalità “nella parte in cui non prevede
che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito
di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati
nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli
stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda”.
In tal modo, al criterio legale della “firma” del contratto, la Corte sostituisce quello
della “partecipazione effettiva alle trattative”: un criterio che però lascia perplessi, in
quanto poco chiaro (che cosa significa “partecipare alle trattative” ?), e
pericolosamente equivoco (la partecipazione alle trattative è un dato di fatto da cui
scaturisce il diritto a costituire r.s.a. ? Ovvero è essa stesso oggetto di un diritto, non
potendosi escludere dalla trattativa un sindacato effettivamente rappresentativo ?).
L’impressione, alla fine, è che si sia surrettiziamente reintrodotto quel criterio della
“maggiore rappresentatività” che, soppresso per volontà popolare nel 1995, si
dimostra essere, quasi vent’anni dopo, l’unico criterio ragionevole per una
legislazione “di sostegno” sindacale.
La nuova regolamentazione pattizia delle R.S.A.: l’A.I. Confindustria-CGIL, CISL,
UIL 10.1.2014
A distanza di 20 anni dalla loro introduzione, la costituzione delle RSU viene
ridisciplinata dall’accordo interconfederale del 10 gennaio 2014 (“Testo unico sulla
rappresentanza Confindustria – CGIL, CISL, UIL”), che ne ridefinisce, in primo
luogo, i soggetti promotori, identificandoli:
-
nelle organizzazioni sindacali di categoria aderenti al medesimo accordo
interconfederale;
-
nelle organizzazioni sindacali di categoria firmatarie del c.c.n.l. applicato
nell'unità produttiva;
-
nelle associazioni sindacali abilitate alla presentazione delle liste elettorali
(ossia recanti un numero di firme di lavoratori dipendenti dell'unità produttiva
pari al 5% degli aventi diritto al voto nelle aziende con oltre 60 dipendenti, e
pari a 3 nelle aziende di dimensione minore), a condizione che abbiano
comunque aderito formalmente al contenuto dell’Accordo Interconfederale.
I componenti della r.s.u., eletti a suffragio universale e nel rispetto di “un'adeguata
rappresentanza di genere”, restano in carica per tre anni, al termine dei quali
decadono automaticamente. Viene quindi eliminato il privilegio del cd. “terzo
riservato” (ai sindacati firmatari del ccnl).
Viene anche chiarito che il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un
componente della r.s.u. ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il
primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito; come pure
viene chiarito che la r.s.u. è un organismo collegiale, che delibera a maggioranza.
Viene infine ribadito che le organizzazioni sindacali di categoria, partecipando alla
procedura di elezione della r.s.u., rinunciano formalmente ed espressamente a
costituire r.s.a. ai sensi dell'art. 19, della legge 20 maggio 1970, n. 300.
LA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA (Cap. XXXI)
§ 2. L’ambito di efficacia dei contratti collettivi
L’accordo interconfederale del 31 maggio 2013 mira esplicitamente a completare
l’opera di complessiva razionalizzazione del sistema contrattuale intrapresa
dall’accordo interconfederale del 28 giugno 2011: se quest’ultimo, anche in risposta
all’iniziativa legislativa concretatasi nell’articolo 8 della legge n. 148/2011, aveva
concentrato l’attenzione sulla contrattazione aziendale, il primo focalizza il tema
della «rappresentanza e rappresentatività per la stipula dei contratti collettivi
nazionali di lavoro».
Viene confermato il disegno regolativo del 2011, che mira, per un verso, a
disciplinare la «certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali
per la contrattazione collettiva nazionale di categoria», mutuando sostanzialmente il
sistema vigente per l’impiego pubblico contrattualizzato; e, per l’altro, ad assegnare
alla contrattazione collettiva nazionale di categoria la funzione di «garantire la
certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore
ovunque impiegati nel territorio nazionale», prevedendo esplicitamente l’efficacia
erga omnes del contratto collettivo nazionale.
Ai fini della legittimazione negoziale è richiesta «una rappresentatività non inferiore
al 5%» come media tra il dato associativo e il dato elettorale.
Ai fini dell’«applicazione degli accordi all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici»,
e della «piena esigibilità per tutte le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie della
presente intesa», si fa riferimento alle «organizzazioni sindacali che rappresentino
almeno il 50% + 1 della rappresentanza». Il criterio maggioritario è previsto per la
stessa “selezione della piattaforma negoziale, ove questa non sia unitaria”.
Si tratta di un ambizioso disegno di autoregolazione, in parte attuativo, nella sostanza,
dei principi pluralistico, proporzionale e maggioritario, scritti nel 4° comma dell’art.
39 Cost.; ma che resta pur sempre un atto di autonomia negoziale, esso stesso non
vincolante erga omnes , ma solo per le «Federazioni delle Organizzazioni Sindacali
firmatarie del presente accordo».
L’unico effetto in qualche maniera rafforzativo della mera efficacia inter partes è
quello attinente all’obbligo c.d. “di influenza”, stabilito dall’accordo in termini di
impegno delle «Parti firmatarie» e delle «rispettive Federazioni [...] a [...] non
promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti».
La vera portata innovativa della previsione contrattuale di una validazione
maggioritaria del contratto collettivo di categoria consiste, in effetti, nel tentativo di
porre un freno alla pratica dei c.d. “contratti separati”. E’ ragionevole, infatti,
attendersi un netto declino di tale pratica, la quale ha coinvolto e coinvolge, a livello
sia nazionale che aziendale, in larghissima prevalenza proprio le organizzazioni
sindacali affiliate alle parti stipulanti l’accordo del 2013; organizzazioni sindacali
che, in base all’accordo in commento, sono vincolate sia dalla procedura
democratico-maggioritaria formalizzata dall’accordo, sia dall’impegno a «dare piena
applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti».
§
Prof. Armando Tursi
Milano-Monza, 27 marzo 2014