Il mercato mondiale della moda e la Toscana
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Il mercato mondiale della moda e la Toscana
Il mercato mondiale della moda e la Toscana Marco Ricchetti (*) Dario Caserta (**) (*) Hermes Lab (**) CCIAA Prato SOMMARIO IL MERCATO MONDIALE DELLA MODA E LA TOSCANA ............................. 1 1. Sintesi dei risultati e alcune conclusioni. .................................................................. 3 .1.1. La competitività dei prodotti italiani è ancora elevata..................................... 5 .1.2. Una globalizzazione incompiuta. .................................................................... 5 .1.3. La posizione del sistema moda toscano........................................................... 7 2. La geografia del mercato mondiale della moda: una globalizzazione incompiuta 8 .2.1. La pelletteria ................................................................................................. 10 .2.2. Le calzature ................................................................................................... 11 .2.3. I prodotti dell'abbigliamento ......................................................................... 12 .2.4. I filati............................................................................................................. 13 .2.5. I tessuti .......................................................................................................... 15 .2.6. Le pelli .......................................................................................................... 16 3. Le quote dei principali paesi esportatori: l'Italia ancora ai primi posti. ............. 18 .3.1. Il quadro generale.......................................................................................... 18 .3.2. I filati............................................................................................................. 20 .3.3. I tessuti .......................................................................................................... 21 .3.4. I prodotti dell'abbigliamento ......................................................................... 23 .3.5. Le pelli .......................................................................................................... 25 .3.6. La pelletteria ................................................................................................. 26 .3.7. Le calzature ................................................................................................... 26 4. Le quote di mercato dell'Italia dagli anni '70 ad oggi ........................................... 28 .4.1. 30 anni di scambi (1970-1999)..................................................................... 28 .4.2. Una sintesi per prodotto ................................................................................ 28 .4.3. L'analisi per mercato di sbocco ..................................................................... 30 5. Le esportazioni dell'industria toscana della moda (1991-1999)............................ 37 .5.1. Introduzione .................................................................................................. 37 .5.2. L'evoluzione delle esportazioni per prodotto e destinazione ......................... 39 .5.3. Il quadro generale.......................................................................................... 39 .5.4. L'analisi per prodotto..................................................................................... 43 .5.5. L'analisi per destinazione .............................................................................. 50 1. Sintesi dei risultati e alcune conclusioni. Nel decennio degli anni '90 lo scenario competitivo internazionale dell'industria 1 della moda è tornato a movimentarsi dopo essere rimasto in larga misura immutato dall'inizio degli anni '70 quando l'affacciarsi sui mercati internazionali dei Paesi dei paesi a basso costo del lavoro, aveva portato al riassetto delle regole del commercio internazionale, in particolare per i prodotti tessili con l'introduzione nel 1974 dell'Accordo MultiFibre (AMF). I fattori di cambiamento che hanno movimentato gli anni '90 sono stati: - l'ingresso sulla scena competitiva europea dei paesi dell'Europa Centro-Orientale e dell'ex blocco sovietico. Molti di questi, si pensi ad esempio alla Polonia, all'Ungheria, alle Repubbliche Slovena e Ceca, hanno una lunga tradizione tessile e si presentano con una ampia, anche se spesso inefficiente, base produttiva nel settore. Per le imprese italiane, l'apertura del nuovo fronte ha rappresentato un segnale che ha innescato una vera e propria rincorsa al decentramento, prima con 2 l'utilizzo del regime TPP, poi con significativi investimenti diretti . - la crescita dirompente della Cina tra i maggiori esportatori mondiali di tessile-abbigliamento, il cui avvio può essere collocato nei primi anni '90, nel 1993-'94 giungono infatti a compimento in Cina le principali riforme economiche (riforma delle imprese di stato, eliminazione del doppio mercato dei cambi, incentivi agli investimenti esteri) che alimentano la competitività dei prodotti cinesi a basso costo. - l'eliminazione con la formazione del mercato unico europeo nel 1993 dii contingenti nazionali all'import , in favore di un contingente unico europeo, con l'effetto di una sostanziale ed improvvisa maggiore 1 Per industria della moda si intende qui l'insieme di industria della pelle e dei manufatti in pelle (SITC 61); dei filati, tessuti ed altri manufatti tessili (SITC 65); della pelletteria (SITC 83 borse e articoli da viaggio), dell'abbigliamento (SITC 84) e delle calzature (SITC 85) 2 Per analisi approfondite sulla internazionalizzazione delle imprese italiane si vedano: OECD, Beyond the Miltifibre arrangemente, Third World Competition and Restructuring Europe's Textiles Industry, G.Barba Navaretti, R.Faini, A Silberston (a cura di) Parigi, 1995; G. Viesti, F.Onida, The Italian Multinationals, Croom Helm, London, 1998; M.Ricchetti, Il ruolo e le dimensioni del Traffico di Perfezionamento Passivo nelle politiche dei delocalizzazione del TA italano, Relazione al convegno La rilocalizzazione dell'industria tessile abbigliamento Università di Modena, dic.1991, A.Forti, Uno studio di caso: la delocalizzazione nelle strategie di internazionalizzazione delle imprese italiane del tessile-abbigliamento, in Settimo Rapporto CER-IRS sull'Industria Italiana, il Mulino, Bologna, (1994); A. Forti, Il traffico di perfezionamento passivo, i paesi dell'Est e la riorganizzazione dell'industria tessile e dell'abbigliamento, Europa/Europe, 3, anno III, settembre, (1994),. - - - apertura dei mercati, soprattutto per l'Italia e gli altri paesi mediterranei della Comunità. la sottoscrizione dell'accordo NAFTA nel 1994 tra USA, Canada e Messico che provoca una impennata nell'interscambio tessile abbigliamento all'interno della regione nordamericana ed in particolare tra Usa e Messico. L'accordo permette il libero movimento delle merci tra i 3 paesi, senza dazi né limitazioni quantitative. l'entrata in vigore nel 1995 degli accordi sottoscritti a Marrakesh a conclusione dell'Uruguay Round dei negoziati GATT. Per quanto riguarda il commercio internazionali dei prodotti tessili e dell'abbigliamento si adotta la storica decisione di fissare un percorso definito e rapido per lo smantellamento dell'AMF. In 10 anni dall'entrata in vigore dell'accordo, entro il 2005 quindi, tutte le limitazioni quantitative saranno eliminate secondo un percorso predefinito rigidamente con tappe progressive. la crisi finanziaria nei paesi asiatici, esplosa nel 1997, che congela per un triennio la crescita di quei mercati, dove la penetrazione dei prodotti italiani era affermata rapidamente negli anni precedenti. la completa eliminazione nel 1998 delle limitazioni all'import tessile da tutti i paesi dell'ex-europa Centro-Orientale (PECO) e l'avvio dei negoziati per il nuovo allargamento dell'Unione Europea. Un ampliamento senza precedenti per numero e dimensione dei paesi coinvolti- che, con tempi diversi coinvolgerà ben: la Bulgaria, Cypro, la Reppubblica Ceca, l’Estonia, l’Ungheria, la Latvia, la Lithuania, Malta, la Polonia, la Romania, la Repubblica Slovacca, la Slovenia e la Turchia. Nell'insieme dei paesi candidati lavorano nell'industria della moda oltre 2 milioni di addetti Tabella 1 L'occupazione nell'industria della moda nei paesi candidati all'ingresso nell'UE Paese Anno Tessile Abbigliam. Pelle Calzature Tot.Moda Romania 1994 221 208 98 527 Polonia 1998 196 159 17 59 431 Ungheria 1998 48 73 9 22 152 Rep.Ceca 1997 65 54 11 19 149 Rep.Slovac. 1997 20 28 7 20 75 Bulgaria 1997 46 83 5,7 23 157,7 Slovenia 1998 33 8,4 41,4 Lithuania 1996 27 23 3,4 3,7 57,1 Latvia 1996 12 10 1 2,9 25,9 Estonia Nd Nd Nd Nd Nd Nd Cypro 1998 2 5 0,3 1 8,3 Malta 1998 0,6 3,3 0,3 0,8 5 Turchia 1998 253 136 10 9 408 Totale 1.705,9 331,5 2.037,4 Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati UNIDO Che cosa hanno comportato questi cambiamenti nella struttura del mercato mondiale della moda ? Come escono da questo periodo di turbolenza la posizione competitiva dell'Italia ? L'analisi dei flussi di import ed export tra le principali aree mondiali e delle esportazioni toscane offre alcuni elementi di riflessione e qualche indicazione per il futuro. .1.1. La competitività dei prodotti italiani è ancora elevata La prima indicazione che i dati ci offrono (si vedano le sezioni 3 e 4) è che la posizione dell'industria italiana della moda sui mercati internazionali non è stata significativamente alterata da un decennio di grandi pressioni competitive. La sua migrazione verso i paesi a basso costo del lavoro non è avvenuta nelle proporzioni temute e l'emergere di nuovi e agguerriti concorrenti, come la Cina de i paesi dell'Europa Centro Orientale, ha sottratto solo in parte quote ai prodotti italiani, che si mantengono ai primi posti nelle graduatorie internazionali. A fine anni '90, l'Italia è ancora il primo esportatore mondiale di filati, tessuti nelle cosiddette fibre nobili (lana, seta, lino), al secondo posto nei tessuti di cotone, nell'abbigliamento maschile, in quello femminile, nella pelletteria e nelle calzature. Ciò avviene in un contesto in cui il vantaggio sugli altri Paesi ad elevato costo del lavoro (Germania, Francia. Regno Unito) è andato ampliandosi, mentre il principale concorrente emergente (la Cina) sopravanza l'Italia in molti casi ma con prodotti che occupano fasce di prezzo diverse da quelle italiane. Nell'insieme dei prodotti tessili, alla fine degli anni '90, le quote italiane sulle importazioni di prodotti tessili in quasi tutti i principali mercati erano addirittura più elevate rispetto agli anni '70, anche se, il culmine dell'espansione si è registrato, soprattutto negli USA e in Giappone prima della metà degli anni '90. In altri comparti, come la pelletteria e le calzature, le quote italiane si sono notevolmente ridotte nel corso degli ultimi 30 anni, tuttavia i dati registrano ormai da qualche anno una stabilizzazione. La persistenza nel tempo della posizione dell'Italia tra i primi esportatori mondiali, in un contesto competitivo che ha subito notevoli cambiamenti nell'ultimo decennio, rende difficilmente accettabili spiegazioni del fenomeno di natura occasionale (effetto delle svalutazioni) o protezionistiche (i contingenti dell'Accordo Multifibre) e lascia quindi intravedere nuove opportunità per i prodotti italiani anche in un mercato senza l'Accordo Multifibre e con la Lira che ha lasciato il posto all'Euro. .1.2. Una globalizzazione incompiuta. La seconda indicazione che ci viene dai dati (si veda la sez.2) è che malgrado le trasformazioni avvenute negli ultimi 20 anni, quello della moda è ancora un mercato a globalizzazione incompiuta. La crisi che ha colpito le regioni Asiatiche nel '97 non ha fatto altro che rallentare il processo di globalizzazione, lasciando L'Europa e il Nord America a fare da poli di attrazione delle esportazioni di tutto il mondo. Il commercio internazionale di prodotti della filiera tessile in particolare si caratterizza per una forte regionalizzazione degli scambi. Nell'abbigliamento, benché i paesi asiatici godano di quote rilevanti sia delle importazioni americane (oltre la metà) che europee (circa il 40%), la produzione realizzate nei paesi periferici delle due aree (il NAFTA per gli USA e i paesi dell'Europa Centro Orientale per l'Unione Europea) continuano a rappresentare una quota consistente delle importazioni rispettivamente in ciascuna delle due aree. Infine l'interscambio tra Europa ed USA è di dimensioni irrilevanti, si pensi, ad esempio che il solo Honduras esporta verso gli USA più di quanto faccia l'Italia e che 3 paesi centro americani (Honduras, Guatemala ed El Salvador) più di quanto facciano i 15 paesi dell'Unione Europea. Nel caso del tessile, dove la regionalizzzazione è più spinta si pensi ad esempio che l'85% dei filati esportati dalla Cina è utilizzato in Asia, l'Italia si caratterizza rispetto ai concorrenti per una maggiore globalizzazione dei propri sbocchi di mercato, che rappresenta una delle chiavi di lettura della tenuta, già ricordata delle quote italiane sull'export mondiale. Nel caso della filiera pelle, benché l'Italia resti il secondo esportatore mondiale, la maggior globalizzazione degli scambi si è tradotta i un ridimensionamento delle quote italiane sull'export mondiale a favore della Cina e, sul mercato interno italiano, in una forte crescita delle importazioni. Lo scenario di breve medio termine, che le tendenze dell'assetto competitivo internazionale che hanno dato corpo all'articolazione geografica degli scambi che i dati disegnano, presenta aspetti sia positivi che negativi per l'industria italiana della moda. In primo luogo, la tendenza alla regionalizzazione degli scambi nel tessile e nell'abbigliamento fa prevedere un'intensificazione degli scambi all'interno dell'area commerciale europea, che potremmo definire come l'Europa a 28 paesi disegnata dal processo di allargamento dell'Unione Europea più i Paesi della costa sud del Mediterraneo, a scapito delle importazioni dai paesi asiatici. Finora questa tendenza ha visto in un ruolo attivo e non passivo le imprese italiane (e più in generale europee) che hanno realizzato accordi di subfornitura, joint ventures e investimenti diretti nei paesi periferici all'Unione Europea. Soprattutto per le fasce di prodotto medie, la filiera produttiva pare cioè destinata allargarsi su scala regionale invece che frammentarsi su scala globale. Nel tessile, l'orizzonte relativamente più globale che caratterizza le imprese italiane richiede di far leva su quei fattori competitivi quali l'innovazione tecnologica, un'organizzazione aziendale orientata alla flessibilità e la reputazione del marchio, che qualificano i prodotti italiani presso i produttori di abbigliamento che operano su tutti i mercati regionali. Già oggi tessuti e filati Made in Italy di qualità sono utilizzati da confezionisti asiatici, persino cinesi, per le prime linee delle collezioni destinate agli affluent consumers della regione. Le opportunità di espansione internazionale per il tessile sono tuttavia subordinate al realizzarsi di alcune condizioni: in primo luogo la prosecuzione della tendenza alla liberalizzazione degli scambi internazionali, che si completerà nel 2005 per quanto riguarda l'accesso ai mercati dei Paesi avanzati, ma che ancora molta strada deve fare per quanto riguarda i mercati dei Paesi emergenti; in secondo luogo richiede che le imprese italiane raggiungano una dimensione aziendale adeguata all'operare stabilmente su diversi mercati, quello nazionale, quello delle aree periferiche all'Europa e sui mercati del resto del mondo. .1.3. La posizione del sistema moda toscano Lo scenario delineato indica che la specializzazione nel sistema moda rappresenti per l'industria toscana, così per l'industria italiana nel suo complesso più un punto di forza che un punto di debolezza. Alcune peculiarità del sistema moda toscano tendono ad enfatizzare alcuni dei rischi che caratterizzano le tendenze dell'interscambio mondiale. (si veda sez.5) Un primo punto di debolezza riguarda la specializzazione di prodotto. Oltre 1/3 delle esportazioni del sistema moda toscano riguarda prodotti della filiera pelle, che come si è detto è il comparto in cui le tendenze del commercio internazionale, in particolare per la pelletteria, stanno maggiormente penalizzando le quote di mercato italiane, comprimendo la produzione sulle fasce più elevate, ma anche di minore ampiezza, del mercato. Un secondo, ma solo potenziale, punto di debolezza discende dalla caratterizzazione del sistema produttivo, fortemente incentrato sulle piccole e piccolissime imprese, rende più difficile sia la cooperazione industriale con i produttori di abbigliamento delle aree periferiche all'Europa. In realtà, finora, i dati di export indicano che l'industria toscana sembra aver cavalcato senza difficoltà la crescente importanza dei paesi dell'Europa Centro Orientale nel panorama del sistema moda europeo. La quota di export verso quest'area è infatti cresciuta in misura consistente nell'ultimo decennio. La composizione geografica delle esportazioni pone invece il sistema moda toscano in una posizione in cui convivono luci ed ombre. Da un lato infatti, in misura non sostanzialmente differente rispetto alla media nazionale, vale l'affermazione della necessità di un'ulteriore diversificazione geografica dell'export che si concentra ancora per oltre il 50% verso l'Unione Europea (sia per l'Italia che per la Toscana). Dall'altro la consolidata presenza sui mercati del Nord-America che rappresentano oltre il 17% dell'export di moda toscano contro poco più dell'11% della media nazionale fa da contraltare ad una minor presenza sui mercati asiatici (12% contro il 14% nazionale). In alcuni comparti, inoltre, come ad esempio nei tessuti, (cfr figura 18), l'Unione Europea rappresenta il 60% dell'export toscano, mentre conta "solo" per il 54% per l'Italia nel suo insieme, una quota che scende al 51% se si considerano i soli tessuti lanieri. Nella maglieria l'UE rappresenta il 73% dell'export per la Toscana e il 66% per l'Italia. 2. La geografia del mercato mondiale della moda: una globalizzazione incompiuta Il mercato mondiale della moda è ancora a centrato largamente sui poli di attrazione europeo ed americano, la crisi che ha colpito le regioni asiatiche nel '97 non ha fatto altro che rallentare, se non sospendere per alcuni anni, il processo di globalizzazione. Stati Uniti ed Europa restano, di gran lunga i principali mercati dei prodotti del sistema moda e contano per quasi il 70% dell'interscambio mondiale (Figura1). La forza dei poli di attrazione Americano ed Europeo è ancora maggiore se si considerano le rispettive aree di influenza. Canada (1,8% delle importazioni mondiali di moda) e Messico (1,9%) sono il 12° e l'11° paese in graduatoria; la 3 Svizzera il 14° (1,4%), i paesi candidati ad entrare nell'Unione Europea contano, complessivamente per un ulteriore 4,9%, i Paesi mediterranei che hanno in corso o 4 in via di realizzazione accordi di associazione aggiungono l'1,4%. Le economie asiatiche rappresentano una componente ancora relativamente 5 marginale del mercato . Tra i 14 Paesi che da soli rappresentano l'80% delle importazioni mondiali compaiono soltanto il Giappone (al 5° posto con il 5,4% dell'import mondiale e la Cina con il 4,4%), il 3° paese asiatico in graduatoria è la Corea, 18° in ordine assoluto con una quota di solo l'1%. Il peso di questi 2 paesi, singolarmente, è paragonabile a quello di un medio Paese dell'UE (l'Italia conta per il 5% dell'import, il Belgio per il 3,1%). Differenze significative nel grado di globalizzazione dei mercati e più in generale nella geografia dei flussi commerciali si riscontrano tra le filiere tessile e della pelle-calzature, ma soprattutto tra i diversi stadi di produzione: semilavorati da un lato (filati, tessuti e pelle) e prodotti finiti dall'altro (abbigliamento, pelletteria calzature). 3 Bulgaria, Rep.Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Rep slovacca Slovenia, Estonia, Latvia, Lituania, Cipro, Malta, Turchia 4 Israele, Tunisia, Siria, Algeria, Egitto, Giordana, Marocco, Libano, PLO 5 Non sono state considerati i flussi di import di Hong Kong che, come noto, provengono per la quasi totalità dalla Cina continentale o da altri Paesi limitrofi ed oltrepassano la dogana di HK solo per essere successivamente riesportati. Questo fenomeno è particolarmente significativo per i beni finali (calzature, abbigliamento) Figura 1 IL M E R C AT O M O N D IALE D E L S IS T E M A M O D A P E R P AE S E D I D E S T IN AZIO N E D E LLE E S P O R T AZIO N I- 1998 ALTR I USA SW ITZ AUSTR IA C AN MEX GER SPAIN NETH BELG C HINA UK ITA JAP FRA Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade Il mercato dei semilavorati è meno polarizzato di quello dei prodotti finiti. Mentre i primi 5 paesi importatori contano per il 66% del mercato di prodotti finiti, i primi 5 dei semilavorati pesano per il 40,2% (Tabella 2). Nella graduatoria dei maggiori compratori di semilavorati si trova al primo posto la Cina con l'11%, e in quello dei prodotti finiti gli USA con 1/3 delle importazioni mondiali. In ogni caso i paesi dell'area nordamericana ed europea hanno un peso molto rilevante anche nelle importazioni di semilavorati, l'unico paese non appartenente a questi due blocchi, oltre alla Cina, è il Giappone. Tabella 2. I maggiori importatori di semilavorati e prodotti finiti. Quote sull'import mondiale - 1998 SEMILAVORATI CHINA USA GERMANY ITALY UK FRANCE BELGIUM SPAIN MEXICO JAPAN PRIMI 5 PRIMI 10 PRODOTTI FINITI 11.4% 8.0% 7.8% 7.4% 5.6% 5.4% 3.4% 3.2% 2.6% 2.6% 40.2% 57.4% USA GERMANY UK JAPAN FRANCE ITALY BELGIUM NETHERLANDS SWITZERLAND MEXICO PRIMI 5 PRIMI 10 Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade 33.3% 12.5% 7.0% 6.8% 6.4% 3.8% 2.9% 2.9% 1.9% 1.9% 66.0% 79.4% .2.1. La pelletteria I primi 10 paesi acquirenti della pelletteria contano per oltre l'80% delle importazioni mondiali. Il Nord America rappresenta 1/3 del mercato mondiale e gli Usa, il primo Paese importatore, da soli ne rappresentano il 30% (figura 2). Il secondo compratore è il Giappone (17,1% dell'import mondiale). Il primo mercato europeo, la Germania si colloca al 3° posto con un forte distacco dai primi due, con una quota del 7,9%. L'insieme dei paesi dell'Ue a 15 detiene una quota ancora più rilevante (il 36%), quasi la metà delle importazioni dei Paesi dell'Ue (il 47,9%) è però traffico intracomunitario. Se consideriamo soltanto le importazioni dall'esterno dell'Unione, il peso sul totale delle importazioni mondiali è del tutto simile a quello americano (17,4% del totale) Figura 2. Pelletteria Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 50% 40% V ELOCITA ' ITA DI 30% UNT CRESCITA BEL 20% CA N NE T US A 10% FRA 0% -10% SW I GE R -20% JA P QUOTA SULL'IMPORT MONDIA LE -30% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE La polarizzazione compare anche dal punto di vista dei fornitori, con l'Asia (ed in particolare la Cina) che detiene quote elevatissime sia del mercato americano (82,3%), che di quello europeo (83,8%). La crescita delle importazioni mondiali della pelletteria negli ultimi 3 anni è stata molto modesta. In un contesto di stabilità, tuttavia, le importazioni dei maggiori acquirenti europei (tra cui, in particolare l'Italia, il Regno Unito e il Belgio) hanno registrato tassi di crescita sostenuti (+45% in 3 anni per l'Italia, + 31% per il Regno Unito). Nel complesso le importazioni europee sono cresciute, in dollari, del 12,5%. Espressa in quantità (tonnellate) la variazione delle importazioni europee è stata ancora più significativa (+34%). Il protagonista principale della penetrazione dei mercati europei è stata la Cina da cui ha originato oltre la metà dell''intero incremento delle importazioni europee (inclusi gli scambi intra-UE), se poi limitiamo l'osservazione all'aumento delle importazioni provenienti dai paesi esterni all'UE la Cina conta per 73% dell'incremento del valore dell'import verificatosi tra il '95 e il '98 (il 93,9% della variazione delle quantità). .2.2. Le calzature Il mercato delle calzature è ancora più concentrato di quello della pelletteria, i primi 10 paesi acquirenti rappresentano circa l'80% dei flussi commerciali mondiali). Il peso tra i paesi acquirenti dei 2 principali poli del mercato, USA e paesi della UE, è solo di poco inferiore a quello descritto per la pelletteria: gli USA acquistano sui mercati esteri calzature per oltre 1/3 (33,9%) del valore dei flussi mondiali, mentre i 15 paesi dell'UE arrivano a contare per il 42,8%. In questo caso, la quota sull'import dei paesi UE rappresentato dagli scambi interni all'Unione è addirittura preponderante (64%). Gli acquisti europei dal resto del mondo sono quindi inferiori a quelli degli USA e arrivano a contare per il 15,4% del mercato mondiale. Nel commercio internazionale delle calzature il fenomeno della regionalizzazione degli scambi è nettamente meno pronunciato. Gli USA e l'UE si riforniscono in larga misura presso gli stessi paesi esportatori asiatici. Dall'Asia proviene il 72,3% delle importazioni americane e il 68,1% di quelle europee. Per quanto riguarda l'UE, un certo peso (quasi 1/5 delle importazioni) mantengono i paesi europei non membri dell'Unione, mentre per gli USA gli altri paesi del Nord america (incluso il Messico) arrivano soltanto al 2% del complesso delle importazioni. La velocità di crescita complessiva è modesta (4% in 3 anni), ma è una media tra Paesi che hanno subito contrazioni significative (Giappone, e HK in Asia, Germania in Europa) e paesi che invece hanno significativamente aumentato gli acquisti (UK, Italia, Belgio) Anche gli Stati Uniti, il paese che rappresenta il mercato più importante hanno registrato una dinamica degli acquisti brillante (+14% negli ultimi 3 anni) (figura 3). Figura 3. Calzature Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 40% V ELOCITA ' DI CRESCITA UNT 30% ITA 20% 10% BEL US A CA N FRA 0% NE T A US GE R -10% -20% JA P QUOTA SULL'IMPORT MONDIA LE -30% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% 40,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE .2.3. I prodotti dell'abbigliamento In misura non diversa che per le calzature, l'80,4% dei flussi mondiali di commercio estero di abbigliamento è assorbito dai primi 10 paesi. Ancora una volta sono gli USA a collocarsi al primo posto come singolo paese con circa 1/3 dell'import mondiale (33,2%), mentre i 15 paesi dell'UE contano complessivamente per ben il 44%. I flussi europei sono però in grandissima parte (il 70,9%) scambi tra i Paesi dell'Unione. Gli acquisti europei dal resto del mondo sono quindi pari soltanto al 12,8% del commercio mondiale. Nell'abbigliamento la tendenza alla regionalizzazione degli scambi pare più accentuata per l'UE che per gli USA, anche se per entrambi i mercati quote significative delle importazioni provengono da paesi vicini. Le importazioni americane provengono per circa 1/3 (31,7%) dallo stesso continente americano (il solo Messico pesa per il 12,3%) e l'Honduras esporta negli USA più di quanto faccia l'Italia (3%) e se all'Honduras si aggiungono El Salvador e Guatemala (4,3%) si ottiene un flusso di export superiore a quello realizzato dall'intera Europa (7%). L'Asia è in ogni caso il fornitore di gran lunga dominante (59% delle importazioni USA) con al primo posto la Cina e Hong Kong che insieme rappresentano quasi la metà delle importazioni americane dall'Asia (21,8%). Spostando l'attenzione sul mercato europeo, Il peso dell'Asia si riduce leggermente (40,7%) a favore dei paesi europei non membri dell'UE (28,3%) e di quelli del bacino del mediterraneo (22,8%). Assolutamente marginale è il contributo dei prodotti americani (1,8% il complesso di Nord, Centro e Sud America). Le importazioni mondiali di abbigliamento sono cresciute negli ultimi 3 anni dell'11%, come effetto del boom del principale mercato, quello americano (+32%), di un buon andamento in quello europeo (+9,6%) e di un vero crollo dei flussi verso i paesi asiatici (-32% il Giappone, -16,5% Singapore, -60,7% la Corea). (figura 4.) Figura 4. Abbigliamento Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 120,0% VELOCITA' DI CRESCITA 100,0% MEX 80,0% 60,0% UNT 40,0% USA ITA 20,0% BEL FRA 0,0% -20,0% NET GER SWI QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE JAP -40,0% 0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0% 30,0% 35,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE In conseguenza di ciò, la concentrazione del mercato mondiale nei due poli principali (UE e USA) si è andata ulteriormente accentuando. Il generale ottimo andamento dell'area nordamericana e, soprattutto, la crescente integrazione produttiva con gli USA hanno trascinato anche le importazioni verso il Messico entrato nel gruppo di 10 maggiori importatori, con un peso sull'import mondiale che è raddoppiato in 3 anni. .2.4. I filati Il mercato mondiale dei filati è decisamente meno polarizzato di quello dei prodotti finiti. I primi 10 paesi acquirenti contano per il 61,9% dei flussi mondiali di import e nessuno di essi, singolarmente supera il 10%. Il primo compratore è l'Italia (9,1%). In generale i Paesi dell'UE si trovano nelle prime posizioni della lista dei compratori, la Germania è al 3° posto (8,3%), la Francia al 4° (6,9%), Regno Unito, Belgio e Spagna rispettivamente al 6°, 7° e 9°. Tra i Paesi europei si inseriscono solo la Cina (2° con l'8,8%), gli USA (5° con il 6,7%) e il Giappone (all'8° posto). Pur in un mercato meno concentrato, i 15 paesi dell'Ue, includendo anche gli scambi intra-comunitari rappresentano il vero cuore del mercato mondiale con il 50% del totale. La gran parte degli scambi (il 70.7%) avviene però, appunto all'interno dei confini dell'Unione, che come compratore dai paesi extra comunitari conta soltanto per il 14,7% degli scambi mondiali. Figura 5. Filati Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 40,0% VELOCITA' DI CRESCITA USA 30,0% SPA 20,0% CHI 10,0% ITA BEL 0,0% GER FRA UNT -10,0% -20,0% JAP -30,0% KOR -40,0% QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE -50,0% 0,0% 1,0% 2,0% 3,0% 4,0% 5,0% 6,0% 7,0% 8,0% 9,0% 10,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE Nei filati l'approvvigionamento dei due principali mercati mondiali avviene in misura consistente dalle regioni vicine. Per gli USA la maggior parte delle importazioni proviene infatti dai paesi confinanti, Canada e Messico contano, insieme per oltre il 37% delle importazioni americane, l'Asia viene solo al secondo posto (29,2%) distanziando di poco l'Europa (22,8%). L'Asia conserva invece la maggior quota sulle importazioni europee (34,2%) che però vedono una presenza molto consistente di flussi dai paesi mediterranei (13,4%) e dagli altri paesi europei non membri dell'UE (27,4%). Dai dati sembra emergere una regola sulla distribuzione geografica dei fornitori valida sia per gli USA che per l'UE: se consideriamo l'insieme di paesi confinanti (Canada più Messico per gli USA e resto d'Europa più mediterraneo per l'UE) si ottengono cifre quasi identiche (37,4% per i fornitori degli USA, 37,9% per quelli dell'UE). I dati dell'evoluzione negli ultimi anni, in un quadro di mercato stagnante (+1,3% le importazioni mondiali) mostrano tuttavia un certo indebolimento della quota europea sulle importazioni mondiali, come riflesso dell'avanzare di nuovi paesi utilizzatori di semilavorati e del recupero del mercato americano. Tra i grandi importatori sono infatti da un lato i paesi a più basso costo la Cina (+17,5% in 3 anni) e il Bangladesh (+84,8%), e dall'altro il blocco nordamericano gli USA (+33,5%) il Canada (+21,1%) e il Messico (+153,4%)a mostrare i tassi di crescita più elevati. (Figura 5). Il mercato dei paesi asiatici più industrializzati, al contrario ha sofferto pesantemente della gelata delle attività produttive seguira alla crisi del 1997: il mercato giapponese ha visto cadere le importazioni del 26,8% e quello coreano del 37,9%. .2.5. I tessuti Il mercato mondiale dei tessuti è ancora più frammentato, i primi 10 paesi compratori contano per poco più della metà (55,2%) del totale delle importazioni mondiali. Ai primi 3 posti tra i principali importatori si trovano la Cina (11,8%), gli USA (8,6%) e la Germania (7,8%) seguiti da un gruppo di paesi europei (nell'ordine: Regno Unito, Francia, Italia, Polonia). La quota complessiva dell'UE arriva al 35,8% di cui il 66,8% formato da commercio intracomunitario. Il mercato dei tessuti è tra i più globalizzati tra quelli della moda e il peso dell'Asia torna a farsi sentire sia sulle importazioni americane (53,9%) che su quelle europee (45,3%). Per quanto riguarda gli USA in particolare, il grado di regionalizzazione degli scambi è particolarmente modesta (Canada e Messico contano solo per il 18,4% e il resto del continente arriva solo al 2,6%), mentre le importazioni dall'Europa rappresentano circa 1/5 del totale. Figura 6. Tessuti Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 100,0% MEX 80,0% VELOCITA' DI CRESCITA 60,0% 40,0% SPA 20,0% POL 0,0% BEL ITA USA FRA CHI UNT GER -20,0% 0,0% 2,0% 4,0% 6,0% 8,0% QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE 10,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE 12,0% 14,0% La metà non asiatica delle importazioni dell'UE presenta invece un maggior grado di regionalizzazione: oltre ¼ (26,6%) proviene dagli altri paesi europei e l'11,1% dai paesi del mediterraneo. Con l'eccezione degli USA (+8,9%) quasi tutti i principali mercati sono in calo: la Cina del –5,4% in 3 anni, la Germania del -11,7%, il Regno Unito del –4,3%, la Francia del –2%, l'Italia del –0,9%. Cosi' come cedente è quasi tutta l'Asia. Sta invece emergendo una seconda linea di mercati, dinamica e di dimensioni ormai consistenti composta da paesi non asiatici come la Polonia (7° mercato mondiale +12,6% in 3 anni), il Messico (8°, +91,3%), la Spagna (9° +32,4%), il Canada(11° +17,8%, la Tunisia (12°. +12,9%), la Turchia (14° +32,1%), la Romania (15° +51,8%). L'effetto netto è tuttavia stato un calo del 3,7% delle importazioni mondiali di tessuti. (Figura 6) .2.6. Le pelli I primi 10 paesi acquirenti contano per 59,9% delle importazioni mondiali, il primo paese importatore è la Cina, ma l'Italia gli contende il primato con una quota del 13,7%, gli altri paesi sono molto staccati, gli USA contano per l'8,1%, la Germania per il 6,2% e la Spagna per il 4,2%. L'insieme dell'UE rappresenta il 40% delle importazioni mondiali, di cui circa la metà (55,5%) è commercio intracomunitario. La struttura dei flussi commerciali delle pelli si differenzia da quella degli altri prodotti del sistema moda. Il primo fornitore degli USA è l'Argentina, da cui proviene circa ¼ delle importazioni (24,9%), il secondo è l'Italia che conta per oltre 1/5 del totale (21,6%). Del tutto marginale è il ruolo dei fornitori asiatici che rappresentano soltanto il 5,3% delle importazioni americane. I produttori asiatici hanno un peso maggiore nell'UE (22,1%), soprattutto grazie ai flussi di pelli provenienti dall'India (7,6%). Si tratta, in ogni caso di una quota nettamente inferiore a quelle che si registra per gli altri prodotti del sistema moda. Dominano le importazioni europee i paesi americani: il Brasile (primo fornitore con il 16,8%), gli USA (terzo con il 7,1%) e l'Argentina (quarto con il 4,9%), il primo paese dell'europa extra unione è la Polonia che viene dopo la Nuova Zelanda ed il Sud Africa. Il testa a testa tra Cina e Italia come maggior acquirente mondiale di Pelle avviene a scapito del resto del mondo. Il mercato mondiale è infatti in calo, (-5,7% in 3 anni), ma le importazioni dell'Italia e calano meno della media (–3,9%), e quelle della Cina restano stabili (+0,3%). Figura 7. Pelle Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati (1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$ 200,0% VELOCITA' DI CRESCITA 150,0% MEX 100,0% 50,0% UNT CHI USA SPA POR 0,0% GER ITA FRA -50,0% KOR -100,0% 0,0% 2,0% QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE 4,0% 6,0% 8,0% 10,0% Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE 12,0% 14,0% 16,0% 3. Le quote dei principali paesi esportatori: l'Italia ancora ai primi posti. .3.1. Il quadro generale Malgrado i molti fattori che hanno alterato lo scenario competitivo internazionale negli ultimi 10 anni, l'Italia è saldamente rimasta i leader mondiali dell'industria della moda, con quote di mercato ancora elevate anche se complessivamente declinanti rispetto al decennio degli anni '80. Il declino non riguarda tutti i prodotti né tutti i mercati di sbocco. Vi sono anzi importanti mercati e prodotti in cui l'Italia ha incrementato la quota sulle importazioni mondiali. Nel complesso dei prodotti dell'industria delle moda l'Italia resta il secondo esportatore mondiale, dietro la Cina. Dal leader la separano circa 3 punti percentuali di quota di mercato, una distanza, tuttavia che è destinata a crescere ancora nell'immediato futuro. La distanza dal 3° esportatore, la Germania è invece notevole, quasi 5 punti percentuali ed anche questa è destinata nell'immediato futuro a crescere. Figura 8 I MAGGIORI ESPORTATORI MONDIALI DI MODA IN VALORE- 1998 CHINA ALTRI NETHERL PORTUGAL ITALY INDONESIA SPAIN THAILAND GERMANY BELGIUM TURKEY KOREA REP. USA INDIA FRANCE UK Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade L'Italia è invece il primo esportatore mondiale in alcuni prodotti, soprattutto beni intermedi, come i filati, i tessuti di fibre nobili (l'insieme di lana, lino e seta), la pelle, ma anche negli accessori di vestiario. Il numero di prodotti in cui si trova al secondo posto è numeroso, ed in quasi tutti i casi è seconda proprio dietro la Cina, come nel caso dei tessuti di cotone, della pelletteria, dell'abbigliamento maschile e femminile, negli altri articoli non tessuti di abbigliamento e nelle calzature. Nelle pellicce è invece preceduta dalla Spagna. Le statistiche disponibili, purtroppo, non permettono una suddivisione dei prodotti per posizionamento di mercato, oltre che per merceologia. Ciò non permette quindi di verificare quantitativamente quale sia l'effettiva sovrapposizione sul mercato mondiale dei prodotti italiani e cinesi. Le analisi basate sui prezzi medi, di cui si dirà più avanti, avvalorano tuttavia l'ipotesi di buon senso che gran parte dei prodotti cinesi insistano su mercati diversi da quelli dei prodotti italiani, sia nei beni finiti che nei semilavorati. Se ne ricava l'impressione che l'effettiva posizione dell'Italia sui mercati internazionali sia, nei segmenti di prodotto della sua specializzazione, migliore di quanto già le statistiche non rivelino. Nel 1998, sulle, 21 suddivisioni dei prodotti che formano l'insieme dei prodotti dell'industria della moda l'Italia figura 4 volte al primo posto, 7 al secondo, 4 al terzo, una ciascuno al 4 e al 5 e solo 4 volte oltre il quinto posto. Tabella 3. La posizione dell'Italia nel commercio mondiale di Moda. - 1998 PRODOTTI DEL SISTEMA MODA IN CUI L'ITALIA E': 1° ESPORTATORE 2° ESPORTATORE PELLE PELLICCE 3° ESPORTATORE 4° ESPORTATORE MAGLIERIA DONNA TESSUTI F.CHIM. Se si tien conto di Hong Kong) 5° ESPORTATORE TULLI E PIZZI OLTRE IL 5° POSTO BIANCHERIA CASA FILATI TESSUTI COTONE TESSUTI A MAGLIA PAVIMENTAZIONI TESSUTI DI LANA-LINO SETA ABBIGL. DONNA FILATI SPECIALI MAGLIERIA UOMO ACCESSORI ABBIGL.UOMO ALTRI ARTICOLI DI ABBIGLIAMENTO CAPPELLI E ABB.NON TESS. MAGLIERIA DONNA (se si esclude HongKong) . MANUFATTI IN PELLE PELLETTERIA CALZATURE Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade Con la rilevante eccezione del maggior esportatore mondiale, la Cina, i paesi leader nel commercio internazionale mostrano una spiccata propensione agli scambi intra-regionali. Ciò risulta particolarmente evidente nei prodotti semilavorati (pelle, filati , tessuti). Nei filati, ad esempio, anche la Cina si trasforma in un esportatore regionale, con l'85,6% dell'export all'interno dell'Asia. E' pur vero che circa la metà delle esportazioni cinesi di filati si rivolge ad Hong-Kong. Ma a sua volta il 95,6% delle esportazioni di filati di Hong Kong è rivolto ai mercati asiatici. Un altro esempio asiatico viene dalla pelle, dove la quasi totalità delle esportazioni coreane è rivolta ad altri mercati asiatici. In ambito europeo, la prevalenza delle esportazioni regionali è comune a tutti i prodotti, con l'eccezione della pelletteria, dove per i principali esportatori europei, l'Asia rappresenta un mercato significativo. In generale, con ancora l'eccezione della pelletteria, l'Italia tende ad avere una struttura dell'export più globale rispetto a Germania e Francia. .3.2. I filati L'Italia è il primo esportatore mondiale di filati e fili continui con una quota del 9% sul totale, in un mercato che vede una presenza equilibrata di esportatori europei (la Germania è il secondo Paese con l'8,2%), asiatici (la Cina è il 3° con il 7,2%, l'India il 4° con il 7% e la Corea il 6° con il 5,4%) e americani (gli Usa sono il 5° esportatore con il 6,5%). Per Italia e Germania i mercati di sbocco sono principalmente quelli europei (79,8% per l'Italia, 85,8% per la Germania), la maggior globalizzazione delle vendite italiane rispetto a quelle tedesche dipende da una maggior presenza italiana in Asia (11,7% del totale), mentre del tutto marginali sono le vendite nel continente americano, sia per Italia che per Germania e Cina. La Cina presenta un grado di specializzazione regionale altrettanto forte, l'85,6% del suo export è 6 rivolto a paesi asiatici . Differenze si riscontrano anche nella distribuzione per prodotto. La Germania presenta una forte specializzazione nelle pure fibre chimiche, l'Italia, al contrario è relativamente specializzata nelle fibre naturali (lana, cotone), mentre la Cina esporta una quota superiore rispetto a quella di Germania e Italia di filati misti chimiche e naturali. La posizione di leader è stata raggiunta dall'Italia nel 1998, superando la Germania. Le esportazioni italiane e tedesche hanno avuto tra il 1990 e il 1998 dinamiche opposte, quelle italiane sono cresciute, sia in valore che in quantità ininterrottamente per tutti gli anni '90 (+24,2% in 8 anni) mentre quelle tedesche hanno marciato a corrente alternata ma lungo un trend discendente(-15,3% in valore in 8 anni). La perdita di quota dell'export tedesco è avvenuta soprattutto nei prodotti in cui la Germania è maggiormente specializzata, nei fili e filati di fibre chimiche (-22,4%) e nei filati di cotone (-12,5%) e si è ulteriormente accentuata nel 1999. Nei filati di lana, invece anche la l'export ha tenuto (+27,9%) anche se la performance è modesta se confrontata con quella italiana (+65,7%). Per la Germania, il calo ha comportato nei soli 4 anni tra il 1995 e il 1999 con una perdita di esportazioni di ben 1 miliardo di dollari. 6 La valutazione della distribuzione geografica delle esportazioni cinesi è complicata dal ruolo di centro di distribuzione globale svolto da Hong Kong. Per i prodotti in cui il peso di Hong Kong sul totale delle esportazioni cinesi è risultato rilevante si è provveduto a stimarne l'impatto, aggiustando la distribuzione dell'export cinese per quella dell'export di Hong Kong. Nel caso dei filati ciò non è stato ritenuto necessario per il peso limitato di Hong Kong sul totale dell'export cinese. Dal punto di vista dei prezzi medi (vedi graf. in Appendice al capitolo) dei filati venduti sul mercato americano quelli cinesi sono pari ad ¼ di quelli dei filati italiani, denotando una differente collocazione sul mercato, mentre quelli tedeschi, dove prevalgono le fibre chimiche sono pari al 78% di quelli italiani. Una situazione simile, con un maggior distacco tra i prezzi italiani e quelli degli altri leader si incontra sul principale mercato asiatico, quello giapponese. In Europa invece dalla Cina arrivano quasi esclusivamente filati lanieri e fili e filati di seta, ciò fa levitare i prezzi medi dei prodotti cinesi sopra la media più multifibre dei prodotti italiani e tedeschi, questi ultimi risultano avere un prezzo medio pari a circa la metà (50,4%) di quelli dei prodotti italiani. .3.3. 7 I tessuti L’Italia è il primo paese esportatore di tessuti con una quota del 13,4%. La Germania, che ad inizi anni '90 si trovava al secondo posto dietro l'Italia, è stata superata dai produttori asiatici, la Cina (11,7% del mercato mondiale) e la Corea. La Germania arriva al 4° posto con il 10,2%. Ben 3,5 punti percentuali separano poi la Germania dalla Francia che si trova al 5° posto. Il rimescolamento delle posizioni tra i maggiori importatori ha fatto si che la distanza dell'Italia del 2° esportatore sia aumentata nel corso degli anni '90. Nel 1992 il volume di export di Italia e Germania era pressoché simile nel 1998 invece le esportazioni cinesi sono pari all’87% di quelle italiane. La riduzione delle quote di mercato tedesche nel corso del decennio è stato accompagnato da un calo dell’export anche in termini assoluti (-10,2%). In tutte e 3 le grandi suddivisioni per fibre (cotone, chimiche e insieme di lana, lino e seta) l’Italia è tra i leader mondiali: al 2° posto nei tessuti di cotone, al 4° nei tessuti in fibre chimiche e al 1° nei tessuti di lana, seta o lino. Ancora più interessante è però il confronto tra la posizione italiana all'inizio e alla fine degli anni '90. Nei tessuti di cotone, mercato dominato dai prodotti cinesi (circa 2,7 miliardi di dollari di export), l’Italia (1,8 miliardi di dollari di export) ha superato la Germania che la precedeva al secondo posto nel 1992. Francia e Giappone, gli altri 2 paesi avanzati tra i primi 5 esportatori, hanno invece perso terreno, la Francia scendendo di un posto e il Giappone uscendo dalla graduatoria dei primi 5. La distanza dell’Italia dal leader, la Cina, si è inoltre ridotta, nel 1992 le esportazioni italiane erano pari a poco più della metà di quelle cinesi (53%), nel 1998 arrivano al 67%. Nei tessuti in fibre chimiche la graduatoria è rimasta più stabile, la Corea è al 1° posto come lo era nel 1992 e anche la Germania mantiene la 2a posizione. Francia e Giappone invece perdono terreno, la prima spiazzata dall’ingresso della Cina che balza al 3° posto, il Giappone superato dall’Italia, che riesce così a mantenere il 4° posto, malgrado il boom delle esportazioni cinesi. 7 Sono considerati soltanto i tessuti ortogonali, sono inoltre esclusi i nastri (tessuti stretti) e la biancheria per la casa. Nei tessuti di lana, seta e lino la graduatoria dei primi esportatori è rimasta stabile. Ciò significa che l’Italia mantiene saldamente la leadership, mantenendo pressoché inalterato anche il distacco dalla Germania. Le esportazioni tedesche erano pari nel 1992 al 38,2% di quelle italiane, nel 1998 sono il 39,3%. La tenuta delle quote di mercato italiane avviene però in un quadro di rapida trasformazione della geografia del mercato. Incrociando quote e dinamica dell'export nell'ultimo triennio (Figura 9) risulta evidente che nel gruppo dei maggiori esportatori va rafforzando la propria presenza un gruppo eterogeneo di paesi emergenti (Pakistan, Belgio, USA), che registrano tassi di crescita significativi delle esportazioni, mentre i leader (Cina, Italia, Corea, Germania, Giappone) registrano riduzioni o stabilità (Francia). Figura 9. Tessuti Quote di mercato nel 1998 e tassi di crescita dell'Export dei primi 10 esportatori mondiali 30,0% V ELOCITA ' DI CRESCITA 20,0% US A BEL 10,0% PAK 0,0% UNT FRA ITA -10,0% GE R CHI JA P -20,0% K OR -30,0% -40,0% 0,0% 2,0% 4,0% 6,0% 8,0% 10,0% 12,0% 14,0% 16,0% QUOTE SULL'EXPORT MONDIALE Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade .3.4. I prodotti dell'abbigliamento L'Italia è il 2° esportatore mondiale di abbigliamento con una quota pari al 9,7% dietro la Cina che rappresenta circa 1/5 (20,2%) dell'export mondiale. Seguono al 3° e 4° posto USA e Germania, rispettivamente con il 5,7% e il 5,4%. Tra i 4 paesi leader la Cina è quello che presenta la composizione dei mercati di sbocco più globale. Una volta che si sia tenuto conto del ruolo svolto da Hong 8 Kong come intermediario verso i mercati internazionali , la distribuzione dell'export cinese vede presenti in misura omogenea tutte le grandi aree geoeconomiche: l'Europa conta per il 29,6%, il nord America per il 33,7% l'Asia per il 26,2%. L'Italia viene seconda anche dal punto di vista del grado di globalizzazione dei mercati di sbocco, il mercato europeo è quello prevalente per l'abbigliamento italiano (&8,4%) un peso non marginale esercitano però anche il Nord America (11,7%) e l'Asia (16,4%). Molto più orientate ai mercati continentali sono invece le esportazioni tedesche (il 90,2% trova sbocco in Europa) e quelle americane che per l'85,3% sono realizzate tra Nord, Centro e Sud America. L'analisi della composizione merceologica dell'export fornisce alcune indicazioni sui fattori di competitività dei paesi leader. I prodotti per l'abbigliamento femminile sono infatti caratterizzati da tassi di variabilità e di innovazione stilistica molto maggiori di quelli dei prodotti dell'abbigliamento maschile. Nell'uomo invece una maggior peso competitivo ha l'efficienza nelle produzioni di serie più lunga e, nelle fasce di maggior prezzo, la qualità sartoriale e il contenuto qualitativo dei tessuti. Dalla specializzazione di un grande paese esportatore nell'abbigliamento maschile o femminile, si possono quindi trarre indicazioni riguardo all'importanza relativa per quel paese di fattori competitivi quali flessibilità, innovazione (per i paesi specializzati nell'abbigliamento femminile) efficienza nella produzione su grande serie e, in misura più incerta contenuto qualitativo della confezione e della tessitura (per quelli specializzati nell'abbigliamento maschile. Cina e USA presentano una minore quota di abbigliamento esterno femminile, quota che invece risulta elevata per l'Italia e soprattutto per la Germania. Nel confronto tra Italia e Germania si deve tenere conto della quota particolarmente elevata della maglieria nelle esportazioni italiane, l'Italia e' infatti, di gran lunga, il maggior produttore ed esportatore europeo di maglieria. La tipologia delle produzioni di maglieria esterna dell'Italia è in larga parte assimilabile a quella dell'abbigliamento femminile(l'Italia è il secondo esportatore mondiale di maglieria esterna femminile), per varietà della produzione e importanza del contenuto moda. D'altro canto la relativamente maggiore presenza in Italia rispetto alla Germania di una consistente produzione di abbigliamento formale da uomo di 8 Si è proceduto in questo modo: si è calcolata la distribuzione per area geografica delle esportazioni di Hong Kong, depurate dai flussi verso la Cina, Si è poi applicata tale distribuzione alle esportazioni della Cina verso Hong Kong. Ciò implica l'assunzione che i flussi di riexport di Hong Kong di prodotti cinesi presentino la stessa distribuzione per geografica di quelli medi di Hong Kong. Una assunzione plausibile, se non altro per la quota elevata dei prodotti di origine cinese sulle riesportazioni di Honhg Kong. nicchia (produzioni sartoriali o quasi sartoriali) giustifica una parte della maggior quota del vestiario esterno maschile. Risultati interessanti si ottengono ampliando l'ambito di osservazione ai primi 10 esportatori e focalizzando l'attenzione sull'abbigliamento in tessuto. (vedi grafico 2). I paesi europei dominano la pattuglia degli specializzati in abbigliamento femminile, con una graduatoria che va dalla Francia all’Italia passando per Regno Unito e Germania, quasi a ripercorrere le tappe della storia del prèt-à-porter. L’appartenenza a questo gruppo di Turchia e Corea merita qualche riflessione supplementare. La Turchia, oltre ad essere una importante appendice dell’industria tessile tedesca, oscilla da quasi un secolo tra l’essere, culturalmente, politicamente ed economicamente, la frontiera dell’Europa verso l’Asia e l’essere la frontiere dell’Asia verso l’Europa. La Corea, d’altro canto, indubbiamente asiatica, è il più avanzato economicamente tra i Paesi di Nuova Industrializzazione di quel continente, con livelli di reddito pro capite e salari che prima del crack finanziario del 1997 erano in ritardo rispetto a quelli europei solo di una decina d’anni. Tra gli specializzati nell’uomo troviamo i Paesi a basso costo che negli ultimi 20 anni hanno realizzato le politiche di penetrazione delle esportazioni più aggressive: Cina, Thailandia e Indonesia, nonché, gli Stati Uniti che, anzi risultano essere i più specializzati nell’uomo. Figura 10 VALORE COMPLESSIVO DELL'EXPORT MINORE DONNA MAGGIORE TURKEY GERMANY FRANCE UK LA SPECIALIZZAZIONE UOMO/DONNA DEI PRIMI 10 ESPORTATORI MONDIALI DI VESTIARIO ITALY KOREA SPECIALIZZAZIONE SCALA LOGARITMICA THAILAND INDONESIA UOMO USA Fonte: elaborazioni Hermes lab su dati ONU-COMTRADE CHINA USA, Cina, Tailandia ed Indonesia condividono una struttura industriale basata su imprese di grande e grandissima dimensione specializzate prevalentemente in produzioni di grande serie. L’industria americana ha programmaticamente scelto di rinunciare alle produzioni in serie produttive piccole, imprevedibili ed a forte contenuto moda (un perfetto identikit dell’abbigliamento femminile), produzioni che ha quasi interamente delocalizzato presso le imprese maquilladoras del centro-america e dei Paesi NAFTA. Ha cioè puntato sulle produzioni per le quali la standardizzazione e i grandissimi numeri, in imprese organizzate in modo molto efficiente, permettono di contenere i costi (grazie allo sfruttamento di economie di scala e di esperienza) e competere con i grandi produttori asiatici. Tutto il contrario di quanto ha fatto la maggior parte delle imprese del sistema moda italiano, dove, non solo la struttura produttiva è particolarmente adatta all’abbigliamento femminile, ma in generale anche nell’abbigliamento maschile vengono esaltati i fattori propri della piccola impresa, qualità sartoriale, specializzazione di nicchia ecc. Sui mercati americano e giapponese, i prezzi medi dei prodotti italiani sono nettamente più elevati di quelli degli atri grandi paesi esportatori. Sul mercato giapponese(quello in cui le differenze sono più marcate) in media i prodotti provenienti dagli USA hanno prezzi pari a 1/5 di quelli italiani, quelli provenienti dalla Germania pari al 68,9%, quelli cinesi pari a 1/10, manifestazione evidente del diverso posizionamento dei prodotti italiani. Ben diverso è il quadro risultante sul mercato europeo, dove i prezzi medi dei prodotti dei principali esportatori risultano più omogenei. Fatto pari a 100 il prezzo medio dei prodotti italiani, quelli tedeschi arrivano a 92,1, quelli americani a 102,9 e quelli cinesi a 51,8. In Asia e negli USA le esportazioni italiane sono confinati in nicchie ben definite, un ampliamento ulteriore delle quote richiede probabilmente di modificare la gamma dei prodotti estendendola a fasce di prezzo meno elevate, in Europa la contrario l'Italia sembra impegnata nella competizione con i concorrenti sia interni che esterni all'Unione Europea. .3.5. Le pelli L'Italia è il maggior esportatore mondiale di pelli, con una quota pari al 28,1%, dei flussi mondiali di export seguita a notevole distanza dalla Corea (10,3%), dalla Germania (8,5%) e dall'Argentina (7,1%). Il mercato è molto concentrato con i 10 maggiori esportatori che detengono l'81,2% del totale dei flussi mondiali di export e fortemente regionalizzato. I mercati di sbocco per Italia e Germania sono soprattutto quelli europei (rispettivamente il 65% e l'85,8%), anche se per l'Italia un certo peso mantengono anche i mercati asiatico (20%) ed americano (11,7%). Quasi esclusivamente asiatici sono invece gli sbocchi dei prodotti coreani (97,8%) e i prodotti dell'Argentina sono venduti in massima parte nel Nordamerica. In Europa i prezzi medi dei prodotti italiani sono ampiamente superiori a quelli dei prodotti Coreani e, soprattutto,di quelli tedeschi, denotando un posizionamento di mercato del tutto diverso. I prodotti coreani sul mercato asiatico, hanno invece un prezzo medio superiore sia a quelli italiani che a quelli tedeschi. Si deve però tenere conto del fatto che i prezzi all'export sul mercato asiatico sono, in generale, nettamente più bassi di quelli prevalenti sugli altri mercati. .3.6. La pelletteria L'Italia è il 2° esportatore mondiale di pelletteria, con una quota del 13,5%, dietro la Cina, che da sola detiene oltre 1/3 (33,6%) del totale delle esportazioni mondiali e davanti alla Francia (11,3%). Seguono, a notevole distanza, entrambi con una quota del 4,3%, Thailandia e Belgio. Anche il mercato della Pelletteria si presenta notevolmente concentrato, con i primi 10 paesi che detengono l'83% di tutti i flussi di export mondiali. I 3 i maggiori esportatori presentano una geografia dei mercati di sbocco globale, con una prevalenza dei mercati europei (51,9%) per l'Italia e di quelli asiatici per Cina e Francia (rispettivamente 43,4% e 57,8%). L'Asia rappresenta tuttavia un mercato importante anche per l'Italia (29,3%) e, d'altro canto, l'Europa conta significativamente anche per la Cina (28,1%) e per la Francia (31,1%). Il mercato americano (che, rappresenta da solo 1/3 delle importazioni mondiali) e' un mercato di sbocco importante per Cina (22,1%) e Italia (15,5%), meno per la Francia (9%). Sul mercato americano, i prezzi medi dei prodotti cinesi ed italiani risultano abbastanza vicini (quelli cinesi sono pari all'86,4% di quelli italiani) segnalando una certa sovrapposizione tra le fasce di mercato in cui si posizionano i prodotti dei due Paesi, più elevati sono quelli francesi (117% di quelli italiani.). La media dei prezzi dei prodotti italiani si colloca quasi esattamente a metà strada tra quella cinese e quella francese, segnalando una presenza sia sulle fasce di prezzo elevate, proprie dei prodotti francesi, sia su quelle più vicine ai prodotti cinesi. Sul mercato giapponese ed europeo, invece i prodotti italiani e francesi presentano un posizionamento del tutto diverso da quello dei prodotti cinesi. In Giappone in particolare, i prodotti francesi sono molto concentrati nell'estremo superiore della scala dei prezzi. .3.7. Le calzature Il mercato mondiale delle calzature è caratterizzato dalla presenza di 2 grandi leader che insieme detengono una quota pari al 45% delle esportazioni mondiali: Cina (23,2%) e Italia (21,4%), il terzo esportatore, la Spagna segue a grandissima distanza (6%) e, più in generale, il resto dei paesi esportatori detiene quote molto ridotte (nel complesso solo 13 paesi detengono singolarmente quote superiori al 2% del totale). I due paesi leader presentano, come ci si può aspettare, specializzazioni di prodotto e di mercato del tutto complementari. I dati ci forniscono una indicazione precisa delle diversità tra i due paesi quanto a merceologia, prezzo e mercato di destinazione dei prodotti esportati. Le calzature esportate dall'Italia sono quasi esclusivamente (88,1% del valore) in pelle, mentre quelle cinesi sono per circa metà (59%) in pelle e per oltre 1/3 (37,7%) in gomma e materie plastiche. Il prezzo medio all'export dei prodotti italiani è di 24,4US$ quello dei prodotti cinesi di 2,6US$. Anche i mercati di sbocco sono complementari: l'Italia esporta prevalentemente in Europa (67,2%),area che per le calzature cinesi conta soltanto per il 14,9%. La Cina esporta prevalentemente negli USA (54,7%) e in Asia (22,8%) mercati che per l'Italia contano rispettivamente per il 17,5% e il 12,8%. Le differenze di prezzo tra i prodotti italiani e quelli cinesi sono costanti in tutti i mercati di sbocco e non si sono modificate nel corso di tutti gli anni '90. I prezzi in dollari sono rimasti sostanzialmente stabili per entrambi i paesi nel corso di tutto il decennio. 4. Le quote di mercato dell'Italia dagli anni '70 ad oggi .4.1. 30 anni di scambi (1970-1999) Nei capitoli precedenti si è osservato come la posizione dell'Italia nel commercio internazionale della moda, sia rimasta, alla fine degli anni '90, di primo piano. Uno sguardo di lungo periodo sugli ultimi 30 anni del secolo, quelli che hanno visto l'emergere sulla scena competitiva internazionale dei paesi asiatici prima, di quelli mediterranei, dell'Europa orientale e del Centro-America poi, ci permette invece di apprezzare appieno il pesante ridimensionamento delle quote di mercato dell'Italia provocato dall'emergere sulla scena internazionale di nuovi concorrenti e della Cina in particolare. L'analisi della quota dell'Italia sul valore delle importazioni nei principali mercati mette in evidenza alcune significative differenze tra prodotti e tra mercati di sbocco. Il ritardo con cui, all'interno dell'Europa i prodotti italiani hanno penetrato il mercato inglese, o la sorprendente stabilità della quota italiana sulle importazioni americane di abbigliamento, o ancora il cambiamento, favorevole del più che ventennale trend discendente che le quote italiane presentano dalla metà degli anni '90 in alcuni mercati, forniscono utili spunti di riflessione. Le quote dell'Italia sulle importazioni sono state calcolate per i 5 principali Paesi acquirenti di prodotti della moda (USA, Germania, Regno Unito Francia e Giappone) che da soli rappresentano oltre la metà (54%) degli scambi mondiali. Si sono presi in considerazione tutti gli anni dal 1970 al 1999 (1998 per USA e Regno Unito). Rispetto alla disgregazione per prodotto utilizzata nelle analisi precedenti sono stati fusi in un'unica voce i prodotti tessili (filati e tessuti) per una maggior facilità di lettura dei risultati. I dati relativi a questo capitolo sono illustrati nei grafici allegati in appendice. .4.2. Una sintesi per prodotto I prodotti dell'abbigliamento Nel corso di 30 anni le quote dell'Italia sono diminuite soprattutto nei paesi europei, dove peraltro erano, ad inizio anni '70 eccezionalmente elevate (46% in Francia, 35% in Germania). Nel Regno Unito invece, il massimo è stato raggiunto nel 1986 e nel 1998 la quota italiana era superiore a quella media della prima metà degli anni '70. Fuori dall'Europa la quota è rimasta stabile in Giappone (con un mini boom ad inizio anni '90) ed eccezionalmente stabile, anche se bassa, negli USA. La riduzione delle quote nei paesi europei riflette la ritirata da alcune fasce di mercato ed un posizionamento su prodotti dal mercato più ristretto, la cui dimensioni sembra essere pari a circa l'8%-10% dei prodotti importati da ciascun paese, valere a cui sembrano convergere le quote italiane sui vari mercati. Le calzature In 30 anni le quote italiane si sono ridotte in tutti i mercati. Tuttavia sul mercato inglese ciò è avvenuto solo dopo il 1986. Su quello giapponese, invece, la discesa si è esaurita nel 1982, per lasciar posto ad una stabilità, alterata solo da oscillazioni congiunturali. Anche in Francia la perdita di quote si è sostanzialmente già interrotta a partire dal 1993. Le quote restano in ogni caso elevate, soprattutto negli USA e in Germania, dove però la tendenza alla riduzione delle quote è ripresa dopo un breve arresto nel 1993-'95. La pelletteria Le quote italiane sono rimaste molto elevate in Giappone, Francia e Germania fino alla metà degli anni '80 e hanno subito una rapida caduta tra il 1985 e il 1994, anno a partire dal quale si sono stabilizzate. Nei paesi anglosassoni (USA, UK) le quote sono sempre state molto inferiori rispetto agli altri grandi mercati, ma hanno presentato una maggiore stabilità lungo tutto il trentennio. Stabilità delle quote nei paesi anglosassoni e discesa negli altri paesi europei e in Giappone, hanno portato anche nelle pelletteria ad un sostanziale allineamento delle quote, con l'eccezione del mercato giapponese, in cui l'Italia ha fortemente riguadagnato posizioni dal 1994. Le pelli Tra il 1970 e la fine degli anni '90, le quote italiane sulle importazioni di Pelle dei principali mercati della moda sono cresciute significativamente. Nel 1999 hanno raggiunto un livello straordinariamente elevato in Germania (35%), in Francia (30%) e nel Regno Unito (19998, 24%). In Europa, tuttavia, la crescita delle quote ha raggiunto un tetto e dall'inizio degli anni '90 ha smesso di crescere, regredendo anzi di qualche punto in Germania. Negli USA e in Giappone la crescita delle quote è stata più lenta e ha raggiunto livelli meno elevati (14% negli USA nel 1998 e 10% in Giappone), ma non ha subito la battuta d'arresto dei primi anni '90. In Giappone i prodotti italiani sono stati particolarmente penalizzati dalla recessione del 1997. Il tessile Tra il 1970 e la fine degli anni '90, le quote italiane sulle importazioni di prodotti tessili in quasi tutti i principali mercati. Il trend positivo si è però interrotto all'inizio degli anni '90, a partire dai quali le quote italiane si sono sostanzialmente stabilizzate in Europa, e hanno invece iniziato un trend discendente in Giappone e negli USA: Nel caso del Giappone, il calo è stato ritardato al 1992 fino al 1997 un rientro alla normalità rispetto all'eccezionale performance degli anni precedenti, e successivamente al '97 è da mettere in relazione alla particolare sensibilità che i prodotti italiani (posizionati nelle fasce alte del mercato) hanno mostrato nei confonti della recessione giapponese. Negli USA, invece il calo è stato anticipato (al 1984) e ha riportato, già nel 1998, le quote italiane sotto il livello del 1970 e dimostra come le difficoltà italiane a penetrare il mercato americano siano generalizzate e non riguardino soltanto l'abbigliamento. .4.3. L'analisi per mercato di sbocco La Germania Sul mercato tedesco le quote dell'Italia sul complesso delle importazioni sono in calo pressoché generalizzato, più accentuato per i prodotti finiti. Abbigliamento e calzature hanno seguito un trend di continuo calo fin dal 1970 anno in cui, peraltro le quote italiane erano eccezionalmente elevate, nell'Abbigliamento l'Italia contava per il 35% dell'import tedesco e nelle calzature, addirittura contava per il 61%. Anche nella pelletteria la quota era molto elevata (38%), ma in questo caso è rimasta stabile per tutti gli anni '70, cominciano, rapidamente a ridursi solo dal 1980. Il lento declino delle quote ha portato già nel 1985 l'abbigliamento al 20%, mentre le calzature, pur in diminuzione conservavano ancora una quota di circa la metà delle importazioni tedesche. Per tutti e 3 i prodotti finiti, il periodo successivo all'ingresso nel sistema Monetario Europeo è stato particolarmente difficile. Nelle calzature, ad esempio in soli 5 anni (tra il 1989 il 1993) la quota dell'Italia ha perso ben 11 punti percentuali. A partire dal 1993, con i riallineamenti della lira la discesa delle quote italiane si è contenuta restando praticamente stabile intorno fino al 1998 (intorno al 10% per la pelletteria, al 30% per le calzature e all'11% nell'abbigliamento. Nel 1999 si è avuta però una nuova riduzione. Del tutto diversa è stata l'evoluzione nei semilavorati: pelle e tessile. Per questi due prodotti la quota italiana sulle importazioni tedesche era, nel 1970, simile: 17% per la pelle, 15% per il tessile. In entrambi i casi la quota italiana è cresciuta fino al 1985, moderatamente per i prodotti tessili (fino al 19%), in misura notevole per la pelle, fino a raggiungere il 40% delle importazioni tedesche. A partire da quell'anno si è stabilizzata nel tessile, con piccole oscillazioni congiunturali e si è ridotta progressivamente nella pelle pur restando su livelli molto elevati, nel 1999 la quota italiana sull'import tedesco era ancora del 30% per la pelle e del 18% per i prodotti tessili. Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore della Germania, il principale concorrente emergente, ma ancora molto distante è il Vietnam. Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore della Germania, il principale concorrente emergente, ma ancora molto distante è la Polonia, che ha sottratto quote anche ad altri fornitori a basso costo come l'India. Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore della Germania I principali concorrenti sono europei: la Francia, i Paesi Bassi e il Belgio (tutti però in calo) e tra gli emergenti Turchia e Repubblica Ceca. Nell'abbigliamento l'Italia è il 3° fornitore dietro a Turchia (che dal 1995 non cresce più) e Cina (anch'essa stabile dai primi anni '90), mentre si profila nei prossimi anni un sorpasso da parte di Polonia e Romania, entrambe in forte crescita. Nella pelletteria l'Italia è stata superata nel 1999 dall'India e si trova quindi al 3° posto, mentre il primo fornitore si è confermato la Cina che ha più che raddoppiato le esportazioni verso la Germania dal 1990. La Francia Sul mercato francese le quote dell'Italia sul complesso delle importazioni sono in calo per i prodotti finiti, ma in discreta crescita per i semilavorati. Pelletteria, abbigliamento e calzature hanno seguito un trend di continuo calo fin dal 1970 anno in cui, peraltro le quote italiane erano eccezionalmente elevate, nell'abbigliamento l'Italia contava per il 46% dell'import francese, nella pelletteria per il 38% e nelle calzature addirittura per il 64%. Il declino è stato più contenuto fino al 1985, quando l'Italia pesava ancora per il 61% delle importazioni francesi di calzature, per il 36% di quelle di pelletteria e per 1/3 di quelle di abbigliamento. Nel periodo successivo al 1985 la perdita di quote si è fatta più rapida e consistente, mostrando una linearità che non sé stata scalfita né dalla stabilità del cambio nominale agli inizi degli anni '90 né dalla successiva fase di svalutazione. A questa tendenza si è in parte sottratta la pelletteria che ha tratto giovamento dalla svalutazione del 1994-95, per 4 anni le quote sono infatti rimaste stabili intorno al 15%, salvo poi registrare un nuovo, lieve slittamento nel '98-'99. Almeno per l'abbigliamento, in ogni caso, i valori di cambio successivi al 1994 hanno permesso qualche contenimento della perdita di quote, che invece è proseguita inesorabilmente per le calzature. Va in ogni caso osservato che la quota italiana nelle calzature pur essendosi, nel giro di 20 anni, molto più che dimezzata resta pur sempre pari a oltre ¼ del totale dell'import francese. Nei semilavorati (pelle e tessile) la posizione dell'Italia sul mercato francese si è invece significativamente rafforzata nel corso degli anni. Nella pelle i guadagni di quote sono stati costanti dal 1970 al 1985 periodo in cui l'Italia è passata dal 10% al 32% delle importazioni francesi. Dopo un periodo di assestamento durato un quinquennio, la quota ha ricominciato a crescere, raggiungendo nel 1996 il 37%. Il 1997 ha segnato una battuta d'arresto, che però non è proseguita nei 2 anni successivi. Altrettanto positiva è stata l'evoluzione nel tessile, in cui nel 1970 l'Italia contava per il 15% delle importazioni francesi. Il punto di massimo delle penetrazione italiana è stato raggiunto nel 1985, quando l'Italia è arrivata a pesare per oltre 1/5 dell'import francese (21%). Una posizione che l'Italia ha mantenuto costante negli anni successivi, tornando ad avvicinarsi ai massimi storici dopo la svalutazione del 1995. Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore della Francia, il principale concorrente, con quote (in valore) pari a circa la metà di quelle italiane è la Cina, che contende, testa a testa, il 2° posto a Portogallo e Spagna. In crescita rapidissima (tanto che i consuntivi 2000 potrebbero vederlo a 2° posto) è il Vietnam. Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore della Francia, con un netto vantaggio sul gruppo degli altri paesi mediterranei (Spagna, Tunisia, Marocco) che la seguono e che, anno dopo anno, le hanno sottratto mercato, La riduzione in valore (espressa in US$) delle esportazioni italiane verso la Francia è infatti stata quasi esattamente compensata dalla crescita di quelle provenienti dai 3 paesi mediterranei. Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore della Francia, in una competizione che si gioca quasi interamente all'interno dei confini dell'Unione, i 5 paesi che seguono l'Italia in graduatoria sono infatti la Germania (primo fornitore della Francia fino al 1997), Belgio, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi. Il primo paese fornitore non Europeo è peraltro la Turchia, membro dell'Unione doganale e candidato ad entrare in Europa con il prossimo ampliamento. Nell'abbigliamento l'Italia è il 2° fornitore dietro la Cina, da cui la divide poca distanza , ma che solo 5 anni fa esportava in Francia la metà esatta di quanto facesse l'Italia. I concorrenti più temibili, candidati a superare l'Italia già nei prossimi anni sono di area mediterranea: Marocco e Tunisia (entrambi in netta crescita. Portogallo e Turchia dopo anni di crescita hanno invece perso slancio negli ultimi anni. Nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina che ha triplicato le esportazioni in Francia dal 1990 mentre l'Italia le ha ridotte (in US$) del 7%, il 3° fornitore è la Spagna con volumi di export pari alla metà di quelli italiani. Il Regno Unito Pur presentando tratti di fondo non dissimili da quelli del mercato Francese e Tedesco, le peculiarità del mercato inglese per i prodotti italiani sono notevoli. In primo luogo la presenza dei prodotti italiani nel Regno Unito sembra essersi affermata in ritardo rispetto agli altri paesi europei. Le quote dell'Italia sulle importazioni inglesi nel 1970 sono molto inferiori a quelle di cui i prodotti italiani godono negli altri grandi mercati europei: l'abbigliamento e la pelle sono sotto il 5%, soglia superata di poco dal tessile ed anche la pelletteria e le calzature italiane che, come abbiamo visto, in Francia e Germania rappresentano oltre 1/3 (la pelletteria) e oltre la ½ (le calzature) delle importazioni, nel Regno Unito contano soltanto, rispettivamente, per il 15% e il 24%. Diversamente che in Francia e Germania, però le quote di mercato italiane sono cresciute rapidamente nel corso degli anni '70 (fino al 1977 per la pelletteria) e per buona parte degli anni '80. La pelletteria italiana nel 1977 sfiora il 20% dell'import francese. Nel 1986 le calzature arrivano al 44%, la pelle al 25%, tessile ed abbigliamento al 12%. Nel frattempo, la pelletteria dopo il massimo del 1977 era ridiscesa anch'essa al 12%. A partire dagli ultimi anni '80 i trends della posizione italiana sul mercato inglese si adeguano a quelli degli altri grandi mercati europei, puntando verso il basso nei prodotti finiti (abbigliamento, calzature e pelletteria) e mostrando invece più vivacità nei semilavorati (pelle e tessile). Restano però alcune particolarità. Nella pelletteria la stabilizzazione e una certa ripresa delle quote avviene prima della crisi del Sistema Monetario Europeo che ha causato la svalutazione sia della Lira italiana che della Sterlina inglese, negli anni '90 Anche il tessile ha interrotto una fase di lento deterioramento delle quote nel 1991, in anticipo sulla crisi del sistema monetario europeo. Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore del Regno Unito, con flussi di esportazione (in US$) crescenti. Alle spalle dell'Italia, in rapida crescita, ma ancora abbastanza distanti vengono Portogallo e Cina. Che hanno superato la Spagna ferma sui volumi di esportazione del 1990. Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore con flussi di export (espressi in US$) moderatamente crescenti (anche se il massimo è stato raggiunto nel 1996). Nettamente distanziati e con tassi di crescita non preoccupanti al 2° e3° posto vengono Thailandia e India. Per trovare un altro paese europeo si deve scendere fino al 6° posto della Germania, che però esporta nel Regno Unito pelli per un valore inferiore ad 1/6 di quello italiano. Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore del Regno Unito, seguito molto da vicino dal Belgio rispetto al quale, tuttavia presenta una specializzazione di prodotto del tutto differente. Al 3° e 4° posto si trovano Germania e Francia con andamenti difformi, la Germania, primo fornitore fino al 1995 è in continua scivolata, mentre la Francia ha tenuto e, moderatamente accresciuto i livello di export di indizio decennio. Nell'abbigliamento l'Itali, già dal 1992, è stata superata dalla Cina contendendo di anno in anno il 2° posto ad Hong Kong, trovandosi, in sostanza schiacciato tra le importazioni dirette dalla Cina degli operatori della grande distribuzione inglese e quelle, sempre cinesi, ma che passano dalle trading companies di Hong Kong. Dal 1995 fino al 1998 le esportazioni italiane nel regno unito hanno in ogni caso, ripreso un passo brillante. Anche nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina, in questo caso co volumi di export pari a solo 1/10 di quelli del Paese leader che gode di una quota elevatissima (56%) sul totale delle importazioni di pelletteria del Regno Unito, flussi di export quantitativamente simili a quelli italiani provengono dall'Indis e dalla Francia. Gli USA La caratteristica più evidente delle quote italiane sull'import americano è quella di essere state, fin dal 1970 basse e di esserlo sostanzialmente rimaste fino ad oggi. Nel 1970, calzature e pelletteria facevano parzialmente eccezione a questa caratteristica, le quote italiane erano infatti simili a quelle del Regno Unito, anzi nelle calzature erano anche più elevate. Nessuno degli altri comparti della moda, invece superava il 10%. Solo pochi anni dopo il 1970 nelle calzature e nella pelletteria le quote italiane erano però già scese a livelli molto più basse rispetto a quelle detenute negli altri grandi mercati della moda. Nel 1976 le calzature italiane erano al 20% e la pelletteria al 7%. Da questi livelli la pelletteria non si è più mossa fino ad oggi tranne che per cicli congiunturali di qualche anno. Le calzature hanno continuato la discesa fino al 7% del 1993 per poi stabilizzarsi intorno all'8%. La quota italiana sulle importazioni di abbigliamento è stata, straordinariamente stabile nel tempo, su livelli bassi, malgrado le tumultuose correnti che hanno attraversato il mercato internazionale delle moda nel corso di 30 anni, e soprattutto malgrado lo straordinario successo di immagine del Made in Italy nelle grandi 9 città e nella cultura popolare americane Dal 9% del 1970, la quota italiana è subito scesa al 4% nel 1975 e li è rimasta inchiodata per 27 anni, con lievi oscillazioni verso il basso, come nel'81-82, quando è scesa al 2%, e verso l'alto, come negli anni del superdollaro quando, però, non si è spinta oltre il 5%. In tutti questi anni l'abbigliamento italiano non è riuscito a superare le barriere di una nicchia, quella dei prodotti di fascia elevata, in resta inesorabilmente confinato. Una nicchia, appunto che vale, al massimo il 5% delle importazioni americane. Simile nella sostanza, anche se con un profilo leggermente diverso è stato l'andamento nel tessile. Le oscillazioni sono state modeste: stabile intorno al 5% negli anni '70, stabilità anche se ad un livello di penetrazione un po' più elevato (tra il 7% e il 9%) per tutti gli anni '80, e una lenta ridiscesa vero quota 5% negli anni '90. L'unico prodotto che, a partire dal 1985, ha mostrato una certa vivacità è la pelle, che dopo 15 anni di oscillazioni intorno al 5%, è decollata nella seconda metà degli anni '80 fino ad arrivare, nel 1998 vicina al 15% delle importazioni americane. Malgrado la quota ridotta, nelle calzature l'Italia resta il 2° fornitore degli USA dietro la Cina che detiene una quota di mercato enorme (il 59%)la crescita delle quote cinesi è stata travolgente, nel 1990 deteneva soltanto il 15%, nel corso degli anni '90 a fronte di un incremento complessivo dell'import americano di calzature di 4,3 miliardi di US$, quelle cinesi sono cresciute di ben 6,7 miliardi di dollari, assorbendo quindi l'intero incremento del mercato e spiazzando fortemente gli altri concorrenti a basso costo. A subirne maggiormente le conseguenze sono state le importazioni dalla Corea che si sono ridotte d 2,5 miliardi di US$ e da Taiwan (-1,4 miliardi di US$). I prodotti italiano, posizionati su mercati del tutto differenti da quelli su cui si è sono consumati i maggiori cambiamenti, hanno mantenuto un volume di export stabile ed il moderata crescita (misurato in US$),non insidiati dalla crescita (modesta) dell'export spagnolo, e di quello inglese. Anche nella Pelle l'Italia è il 2° paese fornitore degli USA, dietro l'Argentina, storico fornitore del mercato americano che già nel 1972 aveva sostituito Regno Unito e Francia come principale esportatore di pelli negli USA. La geografia dei fornitori è però in rapida evoluzione con Repubblica Dominicana e Messico in rapida crescita che potrebbero già nel 2000 aver raggiunto l'Italia. Unico paese non asiatico tra i primi 6 fornitori degli USA, l'Italia si colloca al 3° posto nelle importazioni americane di pelletteria. Anche in questo caso la Cina domina il mercato con la metà di tutte le importazioni americane, ma anche Thailandia (2° fornitore) e Filippine (4 fornitore) hanno registrato tassi di crescita molto elevati, mentre in calo sono Taiwan (5°) e la Corea (6°). Per trovare l'Italia nella graduatoria dei principali paesi fornitori degli USA nell'abbigliamento bisogna scendere fino al 13° posto. La crescita della Cina e lo sviluppo dei flussi di importazione dai paesi del Centro-America e del Nafta hanno accompagnato l'esplosione delle importazioni di abbigliamento americane e un rimescolamento delle posizioni dei fornitori. La battaglia si è svolta soprattutto 9 Si veda a questo proposito G. Malossi (a cura di), Volare, l'icona italiana nella cultura globale, Edizioni Bolis, Bergamo, 1999. su prodotti dal posizionamento molto lontano da quello italiano e hanno coinvolto la Cina (1° fornitore), in forte crescita, il Messico (2°) e la Republica Dominicana (4°) entrambi con tassi di crescita esplosivi, Taiwan (5°) e Corea (6°), in netto declino. Le esportazioni Italiane hanno ristagnato fino al '95 ed hanno mostrato una maggior vivacità dopo la svalutazione della lira, insufficiente in ogni caso a generare incrementi di quote. L'Italia si trova all'8° posto tra i fornitori di prodotti tessili, in un mercato fortemente regionalizzato che vede al 1° posto il Canada e al 3° il Messico. Tra di essi la Cina, insidiata dalla forte crescita messicana (i dati 2000 potrebbero far scalare di un posto le importazioni cinesi). Il Giappone Il mercato giapponese si è fatto difficile negli ultimi anni per i prodotti della moda italiana, dopo il loro momento migliore tra il 1989 e il 1991. Nelle calzature la quota italiana sull'import giapponese è decresciuta rapidamente nei primi anni '70 stabilizzandosi, con oscillazioni congiunturali tra l'11% e il 15% per tutti gli anni '80, Nello stesso decennio si è verificato un notevole successo della pelletteria italiana che è arrivata a contare nel 1983 per oltre il 50% delle importazioni giapponesi. Per quanto riguarda gli altri settori il mercato giapponese non è stato privo di soddisfazioni per i prodotti italiani, almeno fino alla metà degli anni'90. Tessile, abbigliamento e pelle hanno visto crescere costantemente le quote italiane, che nel 1970 andavano da un minimo del 5% (pelle) ad un massimo dell'8% (abbigliamento). Nel 1986 il tessile era arrivato al 10%, ma i risultati migliori si sono avuti all'inizio degli anni '90 quando l'abbigliamento e il tessile sono arrivati al 14% e la pelle al 9%. Il periodo favorevole ai prodotti italiani sembra tuttavia essersi esaurito, lasciando spazio ad un trend negativo. La quota italiana sulle importazioni giapponesi si è dimezzata nel corso degli anni '90 sia nel tessile che nell'abbigliamento scendendo nel 1999 al 6% (dal 14% del 1990), le calzature hanno fatto meglio solo di poco fermandosi al 10% nel '99 (rispetto al 15% del 1990) solo la pelle e la pelletteria hanno tenuto nella seconda metà degli anni '90 le stesse quote realizzate nella prima metà. Nelle calzature l'Italia si trova al 2° posto tra i fornitori del Giappone, a notevole distanza dal leader che è la Cina per la quale valgono le considerazioni già svolte riguardo agli USA: posizionamento lontanissimo da quello italiano, quota elevatissima (62%) sul totale dell'import giapponese, crescita travolgente negli anni '90 (i flussi sono decuplicati tra il '90 e il 99). Al terzo posto dietro l'Itale e in declino a causa della concorrenza cinese si trova la Corea, fino al 1991 maggior fornitore e superata anche dall'Italia nel 1997. La Corea si trova invece davanti all'Italia che è relegata al 3° posto nella pelle. Anche in questo mercato la Cina ha conquistato la leadership in un contesto, peraltro di scarsa dinamica complessiva del mercato e lo ha fatto a spese degli altri produttori asiatici. I flussi di export italiani sono invece piuttosto dinamici e il testa a testa con la Corea potrebbe vedere nei prossimi anni (come è già peraltro accaduto a metà anni '90) prevalere l'Italia. L'evoluzione negativa degli anni '90 ha fatto scivolare l'Italia al 6° posto tra i fornitori di tessile del Giappone con una contrazione accentuata dal 1997.Pur in contrazione, Una maggiore tenuta rispetto a quelle italiane hanno mostrato le esportazioni taiwanesi (al 5° posto) americane (gli Usa sono al 3° posto) e Coreane (2°), in crescita sono invece i produttori a basso costo cinesi (1° con export raddoppiato rispetto al 1990) e indonesiani (4° con export '99 pari a 7 volte quello del 1990). Nell'abbigliamento l'Italia è il 3° fornitore dietro la Cina, che ha registrato anche in questo caso una straordinaria performance negli anni '90 (export quintuplicato dal '90 al '99) e la Corea che invece pare in declino ed è stata penalizzata nella fase di crisi finanziaria che ha colpito l'Asia del far-east nel 1997. Nel 1999 l'Italia ha ormai raggiunto la Corea (che nel 1991 era il maggior fornitore del Giappone) e con ogni probabilità la supererà nei prossimi anni. Nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina che ha sofferto più dell'Italia la gelata del 1997 che ha sostanzialmente arrestato la crescita del mercato giapponese. Al 3° posto dietro l'Italia si trova la Francia che nel periodo pre-1997 ha perso quote rispetto ai prodotti italiani nel segmento alto del mercato. 5. Le esportazioni dell'industria toscana della moda (1991-1999) .5.1. Introduzione L'industria toscana della moda è un universo eterogeneo composto da 22.300 aziende (39,2% sul totale manifatturiero), in prevalenza di piccola media dimensione, per un'occupazione complessiva che sfiora i 145.000 addetti 10 (38,1%) . Praticamente tutti i comparti della filiera sono rappresentati: su scala nazionale con punte di rilievo nel tessile, nell'abbigliamento e nelle calzature mentre, pur se sicuramente non trascurabili almeno dal punto di vista qualitativo, hanno un peso minore le produzioni conciari e della pelletteria. Uno degli elementi che lo caratterizza maggiormente è la forte concentrazione territoriale: • per quanto concerne l'abbigliamento e accessori nel distretto pratese (tessile e maglieria), nella dorsale Firenze – Prato – Pistoia, nell'aretino e nell'empolese; • per quanto riguarda il conciario e le calzature a Santa Croce sull'Arno e, nelle aree di Monsummano Terme e Capannori. La particolare struttura imprenditoriale, incentrata su una fitta rete di micro aziende, spesso a conduzione familiare e legata da un complesso intreccio di rapporti di sub-fornitura, non impedisce all'industria toscana della moda di essere fortemente votata all'export tanto da far ritenere che proprio la moda sia il cuore 11 della proiezione internazionale del sistema produttivo regionale . Con circa 12.800 miliardi (1999), il comparto T.A.C. rappresenta una quota che oscilla (a seconda degli anni) tra il 40 e il 45 per cento del totale delle vendite all'estero della regione, percentuale che sale al 50% se si considerano anche le esportazioni di macchinari in qualche modo riferibili al sistema moda. Rapportate al corrispondente aggregato nazionale (65.600 miliardi nel 1999) le produzioni toscane del settore contribuiscono per quasi il 20%. 10 I dati dell'ultimo Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi (ISTAT 1997) confermano l'esistenza di una struttura imprenditoriale largamente incentrata su piccole o addirittura micro imprese. Mentre infatti il sistema moda toscano è al primo posto in termini di unità locali esso è soltanto terzo (dietro a Lombardia e Veneto) in termini di numero di addetti. Per dare un'idea delle distanze è sufficiente osservare che, ad esempio, la Lombardia ha circa 1.100 unità locali in meno (21.200 contro le 22.300 della Toscana) e quasi 72.000 addetti in più (216.000 contro 144.500). 11 Cfr. A. CAVALIERI – Lettera Irpet, n. 14 (1999) e A. CAPORALE – Le Caratteristiche del Sistema Economico-Produttivo della Toscana in G. MUSETTI (a cura di)– Sistemi Economici Locali e Cluster di Imprese, BIC Toscana (2000). Dal punto di vista della composizione merceologica, vi è una sostanziale equivalenza tra prodotti finiti e prodotti intermedi anche se esistono differenze talvolta considerevoli in termini di performance e di mercati di sbocco. Il settore più rilevante in termini relativi è quello della pelletteria e calzature (4.700 Mld.). In esso sono comprese la filiera conciaria (1.000 Mld.), la fabbricazione di articoli in pelle (850 Mld.) e la produzione di calzature (2.800 Mld.). Si tratta di un settore che, malgrado la posizione di assoluto rilievo nel complesso delle esportazioni toscane - e contribuisca per circa il 25% al totale nazionale delle esportazioni della categoria - è probabilmente quello che ha sofferto di più in particolare nel settore della pelletteria. Figura 11 Regione Toscana Composizione delle esportazioni del sistema moda per settore (1999) Filati 4,6% Pelletteria e calzature 36,7% Tessuti 23,8% Abbigliamento ed affini 15,1% .1.1.1. Altri prodotti tessili 4,5% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Maglieria 15,3% Un altro 15% del totale delle esportazioni, poco meno di 2.000 Mld., è composto da articoli di abbigliamento e affini. Le vendite all'estero di questo comparto sono destinate per oltre il 40% ai mercati extraeuropei ed il loro peso sul totale nazionale è di circa l'11,8%. La filiera tessile copre il rimanente 48,2% delle esportazioni del comparto. La categoria in assoluto più rilevante è quella dei tessuti con 3.000 Mld che salgono a 3.265 Mld se si considerano anche i cosiddetti Tessuti Speciali che le statistiche ufficiali sono solite includere nella voce Altri Prodotti Tessili. In questa sede, come era lecito attendersi, gioca un ruolo determinante il distretto pratese che contribuisce, da solo, al 96,5% del totale delle esportazioni regionali e a circa il 12 25% di quelle nazionali . Seguono la maglieria (1.960 Mld.) e i filati (591 Mld.). L'ultimo 4,5% è da catalogare nella categoria residuale Altri Prodotti Tessili (574 Mld.) che comprende materie prime (cascami e fibre), alcune tipologie di prodotti finiti (passamanerie, nastri, corde) e, come accennato in precedenza, la voce tessuti speciali (260 Mld.). .5.2. L'evoluzione delle esportazioni per prodotto e destinazione .5.3. Il quadro generale Nel corso degli anni '90 la quota della moda sul totale delle esportazioni regionali è andata progressivamente assottigliandosi passando dal 43,9% (1991) al 37,9% (1999). Il principale mercato di riferimento resta quello dell'Unione Europea ed europeo in generale che assorbe circa i due terzi dei prodotti esportati. Il mercato europeo ha avuto nel decennio trascorso un andamento molto sfavorevole: i flussi di esportazioni in lire costanti del sistema moda toscano verso la Germania, storicamente il maggiore acquirente di prodotti della moda, dal '91 ad oggi sono diminuiti di circa 13 punti e mezzo, la quota, sul totale delle esportazioni di moda, è scesa dal 27,1% al 17,4%. 12 Per un'analisi dettagliata riferita all'andamento del commercio estero del distretto industriale pratese nel 1999, cfr. A. BALESTRI (a cura di) – Prato sui mercati mondiali – 1999, U.I.P. – ed. La Spola (2000). Tabella 4 Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda (Valori assoluti e variazioni su anno precedente (1998-99) 1998 Quantità (tonn.) Filati Tessuti Maglieria Altri tessili Totale tessili Valore (Mln.) Var. anno prec. Val. ass. 1999 Val. ass. Quantità (tonn.) Var. anno prec. Valore (Mln.) Var. anno prec. Val. ass. Val. ass. Var. anno prec. 33.418 100.943 42.156 46.939 223.457 -5,0% -11,0% -0,8% 5,2% -5,2% 557.374 3.352.328 1.953.045 616.649 6.479.395 -4,1% -6,6% 2,2% 11,4% -2,3% 35.605 93.739 41.830 47.370 218.544 6,5% -7,1% -0,8% 0,9% -2,2% 590.740 3.040.879 1.960.030 573.807 6.165.456 6,0% -9,3% 0,4% -6,9% -4,8% 67.901 -3,8% 1.927.566 2,6% 60.819 -10,4% 1.925.701 -0,1% Pelli conciate Articoli in pelle Calzature Totale pellett. e calzature 71.616 7.349 52.568 131.533 -9,7% -18,4% -5,2% -8,5% 1.199.394 935.448 2.801.997 4.936.839 -5,3% -19,7% -3,0% -7,2% 70.522 6.419 51.015 127.956 -1,5% -12,7% -3,0% -2,7% 1.075.515 854.121 2.767.912 4.697.549 -10,3% -8,7% -1,2% -4,8% Totale Moda 422.890 -6,0% 13.343.801 -3,5% 407.319 -3,7% 12.788.705 -4,2% -- -- 33.990.875 0,3% -- -- 33.752.490 -0,7% Abbigliamento TOTALE GENERALE FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Tabella 5 Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda (1991-1999) (Valori in Lire correnti) 1991 PAESE Mln. di Lire Europa 5.292.937 1992 % su Totale 71,4 Mln. di Lire 5.780.879 1993 % su Totale 72,7 Mln. di Lire 6.551.290 1994 % su Totale 70,5 Mln. di Lire 7.200.233 1995 % su Totale 65,9 Mln. di Lire 7.932.312 1996 % su Totale 62,8 Mln. di Lire 7.901.690 1997 % su Totale 59,8 Mln. di Lire 8.777.073 1998 % su Totale 63,5 Mln. di Lire 8.786.045 1999 % su Totale 65,8 Mln. di Lire 8.460.137 % su Totale 66,2 di cui: Austria 209.541 2,8 206.905 2,6 224.552 2,4 239.500 2,2 256.253 2,0 244.195 1,8 234.277 1,7 220.181 1,7 191.933 1,5 Belgio e Lux 204.810 2,8 215.984 2,7 233.713 2,5 255.143 2,3 267.831 2,1 248.889 1,9 260.723 1,9 273.697 2,1 272.009 2,1 Danimarca 56.679 0,8 73.463 0,9 83.332 0,9 94.871 0,9 106.330 0,8 115.622 0,9 130.352 0,9 148.647 1,1 145.518 1,1 Finlandia 45.491 0,6 36.111 0,5 33.810 0,4 44.495 0,4 55.532 0,4 48.468 0,4 47.611 0,3 49.766 0,4 42.355 0,3 945.158 12,7 1.014.489 12,8 1.187.773 12,8 1.287.301 11,8 1.372.801 10,9 1.315.936 10,0 1.291.381 9,3 1.261.021 9,5 1.277.558 10,0 2.008.043 27,1 2.089.374 26,3 2.425.415 26,1 2.530.221 23,2 2.738.864 21,7 2.447.283 18,5 2.419.703 17,5 2.339.446 17,5 2.231.613 17,4 150.860 2,0 169.819 2,1 198.066 2,1 230.265 2,1 261.656 2,1 273.150 2,1 276.479 2,0 254.570 1,9 231.975 1,8 Francia Germania Unita Grecia Irlanda Paesi Bassi 37.724 0,5 40.403 0,5 28.859 0,3 33.013 0,3 37.610 0,3 35.975 0,3 37.639 0,3 38.103 0,3 33.229 0,3 253.924 3,4 265.170 3,3 309.957 3,3 343.894 3,1 364.608 2,9 372.368 2,8 402.987 2,9 372.795 2,8 352.221 2,8 Portogallo 176.457 2,4 208.876 2,6 213.380 2,3 246.075 2,3 251.841 2,0 237.143 1,8 256.222 1,9 277.585 2,1 295.916 2,3 Regno Unito 447.371 6,0 498.079 6,3 577.481 6,2 704.417 6,4 785.546 6,2 843.395 6,4 1.008.148 7,3 1.037.409 7,8 993.207 7,8 Spagna 239.748 3,2 299.218 3,8 312.762 3,4 395.026 3,6 438.485 3,5 487.635 3,7 525.209 3,8 628.692 4,7 703.221 5,5 Svezia 72.106 1,0 74.626 0,9 66.569 0,7 70.764 0,6 84.846 0,7 89.007 0,7 79.964 0,6 86.117 0,6 73.799 0,6 Africa 82.745 1,1 91.471 1,2 124.927 1,3 175.557 1,6 240.703 1,9 271.267 2,1 298.647 2,2 311.950 2,3 300.125 2,3 231.298 3,1 293.956 3,7 405.130 4,4 594.071 5,4 713.558 5,6 811.279 6,1 788.527 5,7 622.820 4,7 605.271 4,7 Australia ed altri 49.690 0,7 55.210 0,7 55.231 0,6 98.617 0,9 152.286 1,2 189.144 1,4 149.841 1,1 144.806 1,1 108.830 0,9 Centro e Sud America 55.238 0,7 86.823 1,1 131.270 1,4 161.572 1,5 169.853 1,3 179.074 1,4 232.498 1,7 230.019 1,7 170.161 1,3 294.993 4,0 245.588 3,1 292.336 3,1 448.045 4,1 680.063 5,4 827.607 6,3 620.744 4,5 477.615 3,6 416.891 3,3 Altri Estremo Oriente Giappone Medio Oriente 90.879 1,2 118.101 1,5 182.723 2,0 201.063 1,8 229.626 1,8 210.898 1,6 203.087 1,5 187.646 1,4 144.630 1,1 140.459 1,9 166.265 2,1 217.192 2,3 348.255 3,2 524.275 4,1 706.304 5,3 579.142 4,2 348.279 2,6 337.894 2,6 Nord America 1.177.700 15,9 1.111.173 14,0 1.328.623 14,3 1.696.771 15,5 1.994.216 15,8 2.110.880 16,0 2.182.860 15,8 2.234.622 16,7 2.244.767 17,6 TOTALE MODA 7.415.940 100,0 NICS TOTALE GENERALE 16.882.852 -- 7.949.468 100,0 17.795.234 FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT -- 9.288.721 100,0 22.058.957 -- 10.924.184 100,0 12.636.892 100,0 13.208.143 100,0 13.832.419 100,0 13.343.801 100,0 12.788.705 100,0 25.735.678 30.871.726 32.352.851 33.905.924 33.990.875 33.752.490 -- -- -- -- -- -- Tabella 6 Regione Toscana: Esportazioni del settore filati (1998-1999) (Valori assoluti e variazioni percentuali) 1998 1999 Quantità (tonn.) Val. ass. Filati di cotone Filati di lana Filati di vegetali (escl. cotone) Filati fibre tess. artific. o sint. Seta trattata, filati casc. seta Filati da cucire Totale Filati 4.098 8.131 950 19.922 18 300 33.418 Var. anno prec. Valore (Mld.) Val. ass. 5,3% -13,9% -5,1% -2,2% -43,5% -31,6% -5,0% 60.352 203.612 9.856 275.798 1.480 6.277 557.374 Var. anno prec. -3,0% -8,4% 46,2% -1,7% -24,0% -17,8% -4,1% Quantità (tonn.) Val. ass. 4.989 8.529 811 20.898 33 345 35.605 Var. anno prec. Valore (Mld.) Val. ass. 21,7% 4,9% -14,6% 4,9% 85,6% 15,2% 6,5% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT .5.4. L'analisi per prodotto Per quanto riguarda i filati (Figura 12) gli effetti benefici della svalutazione conseguente alla crisi del Sistema Monetario Europeo si sono esauriti già con il 1996 ma, a partire dall'anno successivo, il settore ha palesato quei segnali di ripresa che oggi lo pongono ai vertici della ideale graduatoria per tassi di crescita. Nel corso del 1999 il settore (+6,0%) è quello che si è comportato meglio all'interno della filiera grazie soprattutto all'exploit dei filati di lana (+10%) e alla sostanziale tenuta dei filati sintetici. Particolarmente bene sono andate le vendite sul mercato europeo, tornato sui livelli 1995, e la tendenza sembrerebbe confermata anche dai primi dati relativi al 2000 che vedono, accanto al nome Europa, un buon +25%. Sul fronte dei prezzi, infine, la politica dei produttori toscani appare orientata ad una sostanziale stabilità probabilmente agevolata dalla generale diminuzione dei prezzi delle materie prime. Revisione del 09/10/02 - pag 43 74.532 224.027 7.166 275.198 2.822 6.995 590.740 Var. anno prec. 23,5% 10,0% -27,3% -0,2% 90,8% 11,4% 6,0% Figura 12 Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - FILATI (Dati deflazionati – Indice 1991 = 100) 210,0 190,0 170,0 150,0 130,0 110,0 90,0 70,0 50,0 1991 1992 1993 1994 1995 Europa 1996 1997 1998 1999 Mondo Rimanendo sempre nell'ambito della filiera tessile è possibile osservare un andamento in complesso positivo anche per quanto concerne la maglieria (Figura 13) che, dopo anni difficili, ha ritrovato vigore. Anche per la maglieria i mercati europei presentano ancora difficoltà e i volumi di export faticano a recuperare i livelli di inizio decennio. All'andamento negativo degli articoli in lana ha però corrisposto una crescita dei prodotti sintetici che negli ultimi due anni (+10,5% in totale) hanno ampiamente recuperato le posizioni perse in precedenza. Figura 13 Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - MAGLIERIA (Dati deflazionati – Indice 1991 = 100) 130,0 110,0 90,0 70,0 50,0 1991 1992 1993 1994 1995 Europa 1996 1997 1998 1999 Mondo Revisione del 09/10/02 - pag 44 Per quanto riguarda infine i tessuti (Figura 14) la svalutazione di metà decennio ha avuto effetti positivi, ma che si sono esauriti nel 1996 lasciando il posto ad una stabilità verso l'Europa e ad un calo complessivo. In calo sono risultate praticamente tutte le tipologie di prodotto e, a soffrire di più, sono proprio i prodotti (lane e sintetici) che hanno un peso maggiore nell'economia del settore. Negli ultimi due anni tutto ciò si traduce in un –9,6% (1999) che si somma al – 5,5% dell'anno precedente. Figura 14 Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - TESSUTI (Dati deflazionati – Indice 1991 = 100) 150,0 130,0 110,0 90,0 70,0 50,0 1991 1992 1993 1994 1995 Europa 1996 1997 1998 1999 Mondo Nei tessuti si avverte, più che per altri prodotti la forte concorrenza sia da parte di concorrenti più antichi (su tutti la Francia), sia da quelli di seconda generazione, ma ormai consolidati (Cina, Tailandia, Taiwan, Malaysia) e soprattutto dall'Ultima generazione dell'Est Europeo (Romania, Repubblica Ceca, Paesi Baltici). I produttori toscani e pratesi in particolare faticano a controbilanciare dal lato dei prezzi le flessioni registrate sul versante delle quantità e, in qualche caso, la riduzione in termini di valore è addirittura superiore alla corrispondente diminuzione dei volumi esportati (Tabella 7 in appendice). Revisione del 09/10/02 - pag 45 Sul versante dei prodotti finiti (abbigliamento, pelletteria, calzature), i dati sembrerebbe confermano in linea generale gli andamenti registrati nei semilavorati tessili. Anche in questo caso andamenti positivi (ad esempio nell'abbigliamento) si alternano con andamenti negativi (cuoio e calzaturiero). Per quanto riguarda l'abbigliamento (Figura 15) il settore ha retto nel complesso abbastanza bene riuscendo ad acquisire stabilmente quote di mercato di un certo rilievo specialmente verso l'Estremo Oriente, Giappone in testa. Figura 15 Regione Toscana: ABBIGLIAMENTO (D i d fl i i I di 170,0 Andamento 1991 100) 1994 1995 delle esportazioni - 150,0 130,0 110,0 90,0 70,0 50,0 1991 1992 1993 Europa 1996 1997 1998 1999 Mondo Anche le esportazioni verso l'Europa sono andate meglio rispetto ad altri settori e a fronte della diminuzione (per la verità piuttosto marcata) sul mercato tedesco si registra un consolidamento delle vendite in Francia, Spagna e Regno Unito. Dall'analisi delle singole voci nel biennio 1998-99 (Tabella 8) emerge una migliore performance degli articoli di vestiario rispetto alla categoria accessori che però ha un peso relativo decisamente minore. Contrariamente a quanto avviene nel tessile, inoltre, sembrerebbe che i produttori di articoli di abbigliamento toscani siano maggiormente in grado di agire sulla leva dei prezzi, giocando quindi più sul differenziale in termini di valore aggiunto che sui volumi. Revisione del 09/10/02 - pag 46 Tabella 8 Regione Toscana: Esportazioni del settore abbigliamento (199899) ( l l d ) 1998 1999 Quantità (tonn.) Val. ass. Oggetti cuciti di lana Oggetti cuciti di seta Ogg. cuc. fibre artif.li o sint. Ogg. cuc. fibre tess. vegetali Lavori da pellicciaio Altri prod. Vestiario Totale Vestiario Bottoni Cappelli di feltro e altro Guanti di pelle Ombrelli Totale Accessori Var. anno prec. Valore (Mld.) Val. ass. Quantità (tonn.) Var. anno prec. Val. ass. Var. anno prec. Valore (Mld.) Val. ass. Var. anno prec. 2.810 164 6.470 46.393 375 9.060 65.272 5,3% -19,5% 19,7% -7,6% 21,2% -0,8% -3,9% 324.539 67.232 309.441 690.748 44.617 351.017 1.787.594 7,6% -14,8% 16,8% 5,2% 2,9% -8,3% 3,4% 2.913 162 7.872 38.162 272 9.185 58.566 3,7% -1,3% 21,7% -17,7% -27,4% 1,4% -10,3% 350.015 69.352 338.476 617.747 34.733 385.456 1.795.778 7,8% 3,2% 9,4% -10,6% -22,2% 9,8% 0,5% 70 1.696 12 850 2.628 -28,3% -7,6% -29,2% 13,2% -2,7% 4.424 122.034 3.887 9.628 139.973 -11,6% -4,9% -15,2% 4,5% -4,9% 51 1.593 13 596 2.252 -27,5% -6,1% 8,1% -29,9% -14,3% 2.783 116.247 3.110 7.783 129.922 -37,1% -4,7% -20,0% -19,2% -7,2% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Revisione del 09/10/02 - pag 47 Per quanto riguarda il settore cuoio, pelli e calzature, dopo una prima parte di decennio nel complesso abbastanza positiva, il settore ha incontrato notevoli difficoltà. La situazione appare oggi piuttosto grave tanto che, per gli ultimi tre anni, è possibile stimare una flessione media delle vendite all'estero nell'ordine di oltre venti punti percentuali in termini reali. Gli articoli della pelletteria sono quelli che hanno sofferto di più: in Europa, e ragionando sempre in termini reali, le vendite di borse, cinture ed altri articoli simili prodotti in Toscana sono addirittura diminuite di circa 8 punti rispetto al 1991. La crisi della pelletteria sembra comunque generalizzata ed il settore ha sicuramente accusato più di altri i colpi inferti dal tracollo finanziario dei paesi del Far-East. E' sufficiente infatti un rapido sguardo ai dati per rendersi conto che, se a fine 1996 il settore esportava verso l'Asia merci per un valore complessivo superiore ai 530 miliardi (circa il 40% del totale), tre anni dopo le vendite sul mercato Orientale apparivano praticamente dimezzate (275 Mld.). Tabella 9 Regione Toscana: Esportazioni del settore cuoio, pelletteria e calzature (1998-99) (Valori assoluti e variazioni su anno precedente) 1998 1999 Quantità (tonn.) Val. ass. Pelli conciate col pelo Pelli conciate senza pelo Casc.lavor.ne pelli e cuoio Totale Concerie Lavori in pelle e cuoio Calzature di pelli Calzature non pelle Totale Calzature Var. anno prec. Valore (Mln.) Val. ass. Quantità (tonn.) Var. anno prec. Val. ass. Var. anno prec. Valore (Mln.) Val. ass. Var. anno prec. 218 57.388 14.010 71.616 -31,1% -10,3% -7,0% -9,7% 24.369 1.168.904 6.122 1.199.394 -8,2% -5,4% 3,9% -5,5% 177 58.247 12.098 70.522 -19,0% 1,5% -13,6% -1,5% 22.597 1.048.443 4.475 1.075.515 -7,3% -10,3% -26,9% -10,3% 7.349 -18,4% 935.448 -19,3% 6.419 -12,7% 854.121 -8,7% 42.585 9.983 52.568 -9,2% 16,7% -5,2% 2.534.063 267.934 2.801.997 -5,4% 27,1% -3,0% 39.912 11.103 51.015 -6,3% 11,2% -3,0% 2.448.987 318.925 2.767.912 -3,4% 19,0% -1,2% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Considerazioni abbastanza simili, anche se con toni forse più smorzati, possono essere condotte anche per le altre categorie della filiera. Per quanto riguarda i prodotti della concia e del cuoio le difficoltà degli ultimi tempi si sono concretizzate soprattutto sul versante dei prezzi probabilmente quale logica conseguenza del tentativo di esplorare nuovi mercati. Revisione del 09/10/02 - pag 48 Almeno per il momento, tuttavia, le perdite subite (anche se consistenti) non sembrano tali da compromettere i buoni risultati del passato. Sul fronte delle calzature, infine, si registra, tranne qualche eccezione, una sostanziale tenuta dei principali mercati di riferimento. In effetti, contrariamente a quanto avvenuto per la pelletteria, il mercato asiatico ha cominciato a manifestare i primi cenni di ripresa già a partire dalla seconda metà del 1999 (+3,8%) e la situazione in Europa appare nel complesso sufficientemente stabile. Tre anni consecutivi di segni meno sia in termini di valore che di quantità non consentono tuttavia di abbassare la guardia considerando anche i campanelli di allarme che si stanno accendendo sui mercati Giapponese e, soprattutto, Nord Americano (rispettivamente –6,3% e –22,9% nel 1999). Figura 16 Regione Toscana: Andamento delle esportazioni – CUOIO - CALZATURE (Dati deflazionati – Indice 1991 = 100) 170,0 150,0 130,0 110,0 90,0 70,0 50,0 1991 1992 1993 1994 1995 Europa 1996 1997 1998 1999 Mondo Revisione del 09/10/02 - pag 49 .5.5. L'analisi per destinazione Il principale mercato di riferimento soprattutto per i prodotti della filiera tessile resta quello dell'Unione Europea. In valore due terzi delle esportazioni di tessuti e circa tre quarti di quelle di maglieria e altri tessili sono destinate al mercato U.E. Per i filati la percentuale scende a poco più del 50 percento e si assesta sui livelli degli altri prodotti del comparto. Figura 17 Regione Toscana: Composizione delle esportazioni del sistema moda per area geografica (1999) Altri 4,5% Altri Europa 12,6% Nord America 17,6% Asia 11,8% U.E. 53,5% In un decennio, la struttura dei mercati di sbocco si è trasformata significativamente. Dal 1991 la quota delle esportazioni del sistema moda toscano sul mercato europeo si è ridotta sensibilmente passando dal 65,4% all'attuale 53,5%.. La flessione (in termini relativi) ha investito praticamente tutti i settori compresi i prodotti della filiera tessile: filati –21%, tessuti –13%, maglieria –12% (Figura 18). Revisione del 09/10/02 - pag 50 Figura 18 Regione Toscana: Percentuale di export del sistema moda verso il mercato U.E (1991/1999) 100,0% 80,0% 60,0% 40,0% 43% 60% 52% 73% Pelletteria e Calzature Tessuti 20,0% 73% 49% 70% 85% 67% 77% 46% 59% 0,0% Filati 1991 Maglieria Altri tessili Abbigliamento 1999 Attualmente, un altro 17,6% del totale delle esportazioni (circa 2.250 miliardi) è destinato al mercato Nord Americano. Come era logico attendersi gli Stati Uniti (poco meno di 2.100 miliardi) sono di gran lunga il maggior polo di attrazione dell'area. Diversamente da quanto avviene per l'Europa sul mercato statunitense hanno un peso decisamente maggiore le vendite di articoli finiti: il cuoio-calzaturiero toscano fattura in America Settentrionale circa 1.330 miliardi (pari al 28% del totale delle esportazioni del settore) mentre per l'abbigliamento (450 miliardi) le vendite nell'area rappresentano una quota che si aggira attorno al 23%. A livello aggregato, rispetto al 1991, la quota destinata al Nordamerica sul totale delle esportazioni del comparto è cresciuta di appena l'1,7%, decisamente poco se si tiene conto dell'elevato tasso di crescita sostenuto dagli Stati Uniti nel corso degli anni novanta. Al 3° posto nella graduatoria delle aree di destinazione dell'export toscano di prodotti T.A.C. troviamo gli altri paesi Europei che, a fine 1999, sopravanzavano l'intera Asia di quasi un punto percentuale. Ad eccezion fatta dei filati (82 miliardi contro 150) e degli articoli di abbigliamento (230 contro 250) i Paesi non aderenti all'Unione (su tutti Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria) hanno ormai un peso, in termini di mercato di sbocco, superiore al continente asiatico per tutti i prodotti della filiera. La crisi finanziaria che a partire dal 1997 ha investito il Sud-Est Asiatico ha costretto i produttori toscani ha rivedere le proprie strategie di penetrazione Revisione del 09/10/02 - pag 51 commerciale e a sperimentare nuovi mercati. Rispetto al 1996 le vendite dirette a Oriente si sono praticamente dimezzate e la quota sul totale delle esportazioni del comparto moda regionale è scesa dal 17,8% al 10,6% (Figura 19). Sul solo Giappone si registra una riduzione di export di oltre 400 miliardi L'apertura dei mercati dell'ex blocco Sovietico avvenuta in coincidenza con la caduta del Muro di Berlino ha comportato una crescita delle esportazioni verso quell'area nel corso degli anni novanta soprattutto per quel che concerne i semilavorati. Oggi il sistema moda toscano esport nell'area dell'Europa Centro Orientale europeo una cifra che si aggira intorno ai 1.600 miliardi. Di questi circa 500 provengono dalla vendita di tessuti, una somma che ormai rappresenta il 16% del totale delle vendite all'estero del settore. Ma anche per gli altri prodotti del comparto si registrano percentuali di una certa consistenza, dal 27% (230 miliardi) nella pelletteria al 14-15% nei prodotti della concia, nei filati e negli altri tessili. FIGURA 9 Regione Toscana: Percentuale di export del sistema moda sui mercati extra U.E. (1991/1999) 20,0% 15,0% 10,0% 5,0% 17,6% 12,6% 6,0% 10,6% 16,0% 8,7% 17,8% 15,9% 9,0% 0,0% Altri Europa Nord America Estremo Oriente 5,0% 4,0% 3,0% 2,0% 1,0% 3,2% 1,1% 1,2% 1,6% 0,7% 0,0% Medio Oriente 1,4% 1,3% Centro e Sud America 1991 1996 1,8% 3,5% Altri 1999 Revisione del 09/10/02 - pag 52 Appendice al capitolo tabelle La fonte per tutti i grafici e: elaborazioni Hermes lab su dati ISTAT Revisione del 09/10/02 - pag 53 TABELLA 4 Regione Toscana: Esportazioni del settore maglieria (1998-1999) (Valori assoluti e variazioni su anno precedente) 1998 1999 Quantità (tonn.) Val. ass. Maglieria e calze di lana Maglieria e calze di seta Magl. e calze fibre artif. Magl. e calze fibre veg.li Totale Maglieria 8.380 1.077 28.865 3.835 42.156 Var. anno prec. -13,5% 7,6% 2,9% 1,6% -0,8% Valore (Mld.) Val. ass. 610.388 66.524 1.008.199 267.933 1.953.045 Quantità (tonn.) Var. anno prec. -5,8% 7,6% 7,5% 2,6% 2,3% Val. ass. 8.205 1.296 28.835 3.494 41.830 Var. anno prec. -2,1% 20,4% -0,1% -8,9% -0,8% Valore (Mld.) Val. ass. 585.381 79.719 1.036.213 258.717 1.960.030 Var. anno prec. -4,1% 19,8% 2,8% -3,4% 0,4% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Revisione del 09/10/02 - pag 54 TABELLA 5 Regione Toscana: Esportazioni del settore tessuti (1998-99) (Valori assoluti e variazioni su anno precedente) 1998 1999 Quantità (tonn.) Val. ass. Tessuti di cotone Tessuti di lana Tessuti di seta Tessuti di fibre vegetali Tessuti fibre artif. o sint. Tessuti speciali Totale Tessuti 12.172 49.617 178 3.932 35.044 10.666 111.610 Var. anno prec. -4,5% -12,6% -10,3% 9,7% -12,7% 2,4% -9,9% Valore (Mld.) Val. ass. 399.749 1.567.304 18.369 219.380 1.147.526 258.759 3.611.087 Var. anno prec. 3,5% -11,0% 7,1% 17,9% -7,2% 10,9% -5,5% Quantità (tonn.) Val. ass. 12.193 47.716 133 3.436 30.261 8.573 102.312 Var. anno prec. 0,2% -3,8% -25,1% -12,6% -13,6% -19,6% -8,3% Valore (Mld.) Val. ass. 401.891 1.444.093 13.981 187.087 993.826 224.257 3.265.136 Var. anno prec. 0,5% -7,9% -23,9% -14,7% -13,4% -13,3% -9,6% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Revisione del 09/10/02 - pag 55 TABELLA 10 Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda per prodotto e destinazione (1999) (Valori in milioni di Lire) Pelletteria e Calzature M.ni Lire Nord America Tessuti % su totale paese M.ni Lire Filati % su totale paese M.ni Lire Altri tessili Maglieria % su totale paese M.ni Lire % su totale paese M.ni Lire Abbigliamento % su totale paese M.ni Lire TOTALE % su totale paese M.ni Lire % su totale mondo 1.334.193 59,4% 158.170 7,0% 28.128 1,3% 241.587 10,8% 33.254 1,5% 449.434 20,0% 2.244.767 17,6% Asia 578.545 38,4% 393.462 26,1% 148.204 9,8% 93.339 6,2% 40.763 2,7% 250.373 16,6% 1.504.686 11,8% U.E. 2.020.828 29,5% 1.837.901 26,9% 290.776 4,2% 1.426.131 20,8% 382.310 5,6% 886.607 13,0% 6.844.553 53,5% Altri Europa 594.822 36,8% 490.304 30,3% 81.798 5,1% 129.624 8,0% 87.699 5,4% 231.338 14,3% 1.615.583 12,6% Altri 169.160 29,2% 161.043 27,8% 41.834 7,2% 69.349 12,0% 29.781 5,1% 107.949 18,6% 579.116 4,5% 4.697.549 -- 3.040.879 -- 590.740 -- 1.960.030 -- 573.807 -- 1.925.701 -12.788.705 -- TOTALE SETTORE % Settore su totale mondo 36,7% 23,8% 4,6% 15,3% 4,5% 15,1% FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT Revisione del 09/10/02 - pag 56 Revisione del 09/10/02 - pag 57