Il mercato mondiale della moda e la Toscana

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Il mercato mondiale della moda e la Toscana
Il mercato mondiale della moda e la Toscana
Marco Ricchetti (*)
Dario Caserta (**)
(*) Hermes Lab
(**) CCIAA Prato
SOMMARIO
IL MERCATO MONDIALE DELLA MODA E LA TOSCANA ............................. 1
1. Sintesi dei risultati e alcune conclusioni. .................................................................. 3
.1.1. La competitività dei prodotti italiani è ancora elevata..................................... 5
.1.2. Una globalizzazione incompiuta. .................................................................... 5
.1.3. La posizione del sistema moda toscano........................................................... 7
2. La geografia del mercato mondiale della moda: una globalizzazione incompiuta 8
.2.1. La pelletteria ................................................................................................. 10
.2.2. Le calzature ................................................................................................... 11
.2.3. I prodotti dell'abbigliamento ......................................................................... 12
.2.4. I filati............................................................................................................. 13
.2.5. I tessuti .......................................................................................................... 15
.2.6. Le pelli .......................................................................................................... 16
3. Le quote dei principali paesi esportatori: l'Italia ancora ai primi posti. ............. 18
.3.1. Il quadro generale.......................................................................................... 18
.3.2. I filati............................................................................................................. 20
.3.3. I tessuti .......................................................................................................... 21
.3.4. I prodotti dell'abbigliamento ......................................................................... 23
.3.5. Le pelli .......................................................................................................... 25
.3.6. La pelletteria ................................................................................................. 26
.3.7. Le calzature ................................................................................................... 26
4. Le quote di mercato dell'Italia dagli anni '70 ad oggi ........................................... 28
.4.1. 30 anni di scambi (1970-1999)..................................................................... 28
.4.2. Una sintesi per prodotto ................................................................................ 28
.4.3. L'analisi per mercato di sbocco ..................................................................... 30
5. Le esportazioni dell'industria toscana della moda (1991-1999)............................ 37
.5.1. Introduzione .................................................................................................. 37
.5.2. L'evoluzione delle esportazioni per prodotto e destinazione ......................... 39
.5.3. Il quadro generale.......................................................................................... 39
.5.4. L'analisi per prodotto..................................................................................... 43
.5.5. L'analisi per destinazione .............................................................................. 50
1. Sintesi dei risultati e alcune conclusioni.
Nel decennio degli anni '90 lo scenario competitivo internazionale dell'industria
1
della moda è tornato a movimentarsi dopo essere rimasto in larga misura
immutato dall'inizio degli anni '70 quando l'affacciarsi sui mercati internazionali
dei Paesi dei paesi a basso costo del lavoro, aveva portato al riassetto delle regole
del commercio internazionale, in particolare per i prodotti tessili con
l'introduzione nel 1974 dell'Accordo MultiFibre (AMF).
I fattori di cambiamento che hanno movimentato gli anni '90 sono stati:
- l'ingresso sulla scena competitiva europea dei paesi dell'Europa
Centro-Orientale e dell'ex blocco sovietico. Molti di questi, si pensi ad
esempio alla Polonia, all'Ungheria, alle Repubbliche Slovena e Ceca,
hanno una lunga tradizione tessile e si presentano con una ampia,
anche se spesso inefficiente, base produttiva nel settore. Per le imprese
italiane, l'apertura del nuovo fronte ha rappresentato un segnale che ha
innescato una vera e propria rincorsa al decentramento, prima con
2
l'utilizzo del regime TPP, poi con significativi investimenti diretti .
- la crescita dirompente della Cina tra i maggiori esportatori mondiali di
tessile-abbigliamento, il cui avvio può essere collocato nei primi anni
'90, nel 1993-'94 giungono infatti a compimento in Cina le principali
riforme economiche (riforma delle imprese di stato, eliminazione del
doppio mercato dei cambi, incentivi agli investimenti esteri) che
alimentano la competitività dei prodotti cinesi a basso costo.
- l'eliminazione con la formazione del mercato unico europeo nel 1993
dii contingenti nazionali all'import , in favore di un contingente unico
europeo, con l'effetto di una sostanziale ed improvvisa maggiore
1
Per industria della moda si intende qui l'insieme di industria della pelle e dei manufatti in
pelle (SITC 61); dei filati, tessuti ed altri manufatti tessili (SITC 65); della pelletteria
(SITC 83 borse e articoli da viaggio), dell'abbigliamento (SITC 84) e delle calzature
(SITC 85)
2
Per analisi approfondite sulla internazionalizzazione delle imprese italiane si vedano:
OECD, Beyond the Miltifibre arrangemente, Third World Competition and Restructuring
Europe's Textiles Industry, G.Barba Navaretti, R.Faini, A Silberston (a cura di) Parigi,
1995; G. Viesti, F.Onida, The Italian Multinationals, Croom Helm, London, 1998;
M.Ricchetti, Il ruolo e le dimensioni del Traffico di Perfezionamento Passivo nelle
politiche dei delocalizzazione del TA italano, Relazione al convegno La rilocalizzazione
dell'industria tessile abbigliamento Università di Modena, dic.1991, A.Forti, Uno studio
di caso: la delocalizzazione nelle strategie di internazionalizzazione delle imprese
italiane del tessile-abbigliamento, in Settimo Rapporto CER-IRS sull'Industria Italiana, il
Mulino, Bologna, (1994); A. Forti, Il traffico di perfezionamento passivo, i paesi dell'Est
e la riorganizzazione dell'industria tessile e dell'abbigliamento, Europa/Europe, 3, anno
III, settembre, (1994),.
-
-
-
apertura dei mercati, soprattutto per l'Italia e gli altri paesi
mediterranei della Comunità.
la sottoscrizione dell'accordo NAFTA nel 1994 tra USA, Canada e
Messico che provoca una impennata nell'interscambio tessile
abbigliamento all'interno della regione nordamericana ed in particolare
tra Usa e Messico. L'accordo permette il libero movimento delle merci
tra i 3 paesi, senza dazi né limitazioni quantitative.
l'entrata in vigore nel 1995 degli accordi sottoscritti a Marrakesh a
conclusione dell'Uruguay Round dei negoziati GATT. Per quanto
riguarda il commercio internazionali dei prodotti tessili e
dell'abbigliamento si adotta la storica decisione di fissare un percorso
definito e rapido per lo smantellamento dell'AMF. In 10 anni
dall'entrata in vigore dell'accordo, entro il 2005 quindi, tutte le
limitazioni quantitative saranno eliminate secondo un percorso
predefinito rigidamente con tappe progressive.
la crisi finanziaria nei paesi asiatici, esplosa nel 1997, che congela per
un triennio la crescita di quei mercati, dove la penetrazione dei
prodotti italiani era affermata rapidamente negli anni precedenti.
la completa eliminazione nel 1998 delle limitazioni all'import tessile
da tutti i paesi dell'ex-europa Centro-Orientale (PECO) e l'avvio dei
negoziati per il nuovo allargamento dell'Unione Europea. Un
ampliamento senza precedenti per numero e dimensione dei paesi
coinvolti- che, con tempi diversi coinvolgerà ben: la Bulgaria, Cypro,
la Reppubblica Ceca, l’Estonia, l’Ungheria, la Latvia, la Lithuania,
Malta, la Polonia, la Romania, la Repubblica Slovacca, la Slovenia e
la Turchia. Nell'insieme dei paesi candidati lavorano nell'industria
della moda oltre 2 milioni di addetti
Tabella 1
L'occupazione nell'industria della moda nei paesi candidati all'ingresso nell'UE
Paese
Anno Tessile Abbigliam.
Pelle
Calzature Tot.Moda
Romania
1994
221
208
98
527
Polonia
1998
196
159
17
59
431
Ungheria
1998
48
73
9
22
152
Rep.Ceca
1997
65
54
11
19
149
Rep.Slovac. 1997
20
28
7
20
75
Bulgaria
1997
46
83
5,7
23
157,7
Slovenia
1998
33
8,4
41,4
Lithuania
1996
27
23
3,4
3,7
57,1
Latvia
1996
12
10
1
2,9
25,9
Estonia
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Nd
Cypro
1998
2
5
0,3
1
8,3
Malta
1998
0,6
3,3
0,3
0,8
5
Turchia
1998
253
136
10
9
408
Totale
1.705,9
331,5
2.037,4
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati UNIDO
Che cosa hanno comportato questi cambiamenti nella struttura del mercato
mondiale della moda ? Come escono da questo periodo di turbolenza la posizione
competitiva dell'Italia ?
L'analisi dei flussi di import ed export tra le principali aree mondiali e delle
esportazioni toscane offre alcuni elementi di riflessione e qualche indicazione per
il futuro.
.1.1.
La competitività dei prodotti italiani è ancora elevata
La prima indicazione che i dati ci offrono (si vedano le sezioni 3 e 4) è che la
posizione dell'industria italiana della moda sui mercati internazionali non è stata
significativamente alterata da un decennio di grandi pressioni competitive. La sua
migrazione verso i paesi a basso costo del lavoro non è avvenuta nelle proporzioni
temute e l'emergere di nuovi e agguerriti concorrenti, come la Cina de i paesi
dell'Europa Centro Orientale, ha sottratto solo in parte quote ai prodotti italiani,
che si mantengono ai primi posti nelle graduatorie internazionali.
A fine anni '90, l'Italia è ancora il primo esportatore mondiale di filati, tessuti
nelle cosiddette fibre nobili (lana, seta, lino), al secondo posto nei tessuti di
cotone, nell'abbigliamento maschile, in quello femminile, nella pelletteria e nelle
calzature. Ciò avviene in un contesto in cui il vantaggio sugli altri Paesi ad elevato
costo del lavoro (Germania, Francia. Regno Unito) è andato ampliandosi, mentre
il principale concorrente emergente (la Cina) sopravanza l'Italia in molti casi ma
con prodotti che occupano fasce di prezzo diverse da quelle italiane.
Nell'insieme dei prodotti tessili, alla fine degli anni '90, le quote italiane sulle
importazioni di prodotti tessili in quasi tutti i principali mercati erano addirittura
più elevate rispetto agli anni '70, anche se, il culmine dell'espansione si è
registrato, soprattutto negli USA e in Giappone prima della metà degli anni '90.
In altri comparti, come la pelletteria e le calzature, le quote italiane si sono
notevolmente ridotte nel corso degli ultimi 30 anni, tuttavia i dati registrano ormai
da qualche anno una stabilizzazione.
La persistenza nel tempo della posizione dell'Italia tra i primi esportatori
mondiali, in un contesto competitivo che ha subito notevoli cambiamenti
nell'ultimo decennio, rende difficilmente accettabili spiegazioni del fenomeno di
natura occasionale (effetto delle svalutazioni) o protezionistiche (i contingenti
dell'Accordo Multifibre) e lascia quindi intravedere nuove opportunità per i
prodotti italiani anche in un mercato senza l'Accordo Multifibre e con la Lira che
ha lasciato il posto all'Euro.
.1.2.
Una globalizzazione incompiuta.
La seconda indicazione che ci viene dai dati (si veda la sez.2) è che malgrado le
trasformazioni avvenute negli ultimi 20 anni, quello della moda è ancora un
mercato a globalizzazione incompiuta. La crisi che ha colpito le regioni Asiatiche
nel '97 non ha fatto altro che rallentare il processo di globalizzazione, lasciando
L'Europa e il Nord America a fare da poli di attrazione delle esportazioni di tutto
il mondo.
Il commercio internazionale di prodotti della filiera tessile in particolare si
caratterizza per una forte regionalizzazione degli scambi.
Nell'abbigliamento, benché i paesi asiatici godano di quote rilevanti sia delle
importazioni americane (oltre la metà) che europee (circa il 40%), la produzione
realizzate nei paesi periferici delle due aree (il NAFTA per gli USA e i paesi
dell'Europa Centro Orientale per l'Unione Europea) continuano a rappresentare
una quota consistente delle importazioni rispettivamente in ciascuna delle due
aree.
Infine l'interscambio tra Europa ed USA è di dimensioni irrilevanti, si pensi, ad
esempio che il solo Honduras esporta verso gli USA più di quanto faccia l'Italia e
che 3 paesi centro americani (Honduras, Guatemala ed El Salvador) più di quanto
facciano i 15 paesi dell'Unione Europea.
Nel caso del tessile, dove la regionalizzzazione è più spinta si pensi ad esempio
che l'85% dei filati esportati dalla Cina è utilizzato in Asia, l'Italia si caratterizza
rispetto ai concorrenti per una maggiore globalizzazione dei propri sbocchi di
mercato, che rappresenta una delle chiavi di lettura della tenuta, già ricordata delle
quote italiane sull'export mondiale.
Nel caso della filiera pelle, benché l'Italia resti il secondo esportatore mondiale,
la maggior globalizzazione degli scambi si è tradotta i un ridimensionamento delle
quote italiane sull'export mondiale a favore della Cina e, sul mercato interno
italiano, in una forte crescita delle importazioni.
Lo scenario di breve medio termine, che le tendenze dell'assetto competitivo
internazionale che hanno dato corpo all'articolazione geografica degli scambi che i
dati disegnano, presenta aspetti sia positivi che negativi per l'industria italiana
della moda.
In primo luogo, la tendenza alla regionalizzazione degli scambi nel tessile e
nell'abbigliamento fa prevedere un'intensificazione degli scambi all'interno
dell'area commerciale europea, che potremmo definire come l'Europa a 28 paesi
disegnata dal processo di allargamento dell'Unione Europea più i Paesi della costa
sud del Mediterraneo, a scapito delle importazioni dai paesi asiatici. Finora questa
tendenza ha visto in un ruolo attivo e non passivo le imprese italiane (e più in
generale europee) che hanno realizzato accordi di subfornitura, joint ventures e
investimenti diretti nei paesi periferici all'Unione Europea. Soprattutto per le fasce
di prodotto medie, la filiera produttiva pare cioè destinata allargarsi su scala
regionale invece che frammentarsi su scala globale.
Nel tessile, l'orizzonte relativamente più globale che caratterizza le imprese
italiane richiede di far leva su quei fattori competitivi quali l'innovazione
tecnologica, un'organizzazione aziendale orientata alla flessibilità e la reputazione
del marchio, che qualificano i prodotti italiani presso i produttori di abbigliamento
che operano su tutti i mercati regionali. Già oggi tessuti e filati Made in Italy di
qualità sono utilizzati da confezionisti asiatici, persino cinesi, per le prime linee
delle collezioni destinate agli affluent consumers della regione. Le opportunità di
espansione internazionale per il tessile sono tuttavia subordinate al realizzarsi di
alcune condizioni: in primo luogo la prosecuzione della tendenza alla
liberalizzazione degli scambi internazionali, che si completerà nel 2005 per quanto
riguarda l'accesso ai mercati dei Paesi avanzati, ma che ancora molta strada deve
fare per quanto riguarda i mercati dei Paesi emergenti; in secondo luogo richiede
che le imprese italiane raggiungano una dimensione aziendale adeguata all'operare
stabilmente su diversi mercati, quello nazionale, quello delle aree periferiche
all'Europa e sui mercati del resto del mondo.
.1.3.
La posizione del sistema moda toscano
Lo scenario delineato indica che la specializzazione nel sistema moda
rappresenti per l'industria toscana, così per l'industria italiana nel suo complesso
più un punto di forza che un punto di debolezza.
Alcune peculiarità del sistema moda toscano tendono ad enfatizzare alcuni dei
rischi che caratterizzano le tendenze dell'interscambio mondiale. (si veda sez.5)
Un primo punto di debolezza riguarda la specializzazione di prodotto. Oltre 1/3
delle esportazioni del sistema moda toscano riguarda prodotti della filiera pelle,
che come si è detto è il comparto in cui le tendenze del commercio internazionale,
in particolare per la pelletteria, stanno maggiormente penalizzando le quote di
mercato italiane, comprimendo la produzione sulle fasce più elevate, ma anche di
minore ampiezza, del mercato.
Un secondo, ma solo potenziale, punto di debolezza discende dalla
caratterizzazione del sistema produttivo, fortemente incentrato sulle piccole e
piccolissime imprese, rende più difficile sia la cooperazione industriale con i
produttori di abbigliamento delle aree periferiche all'Europa. In realtà, finora, i
dati di export indicano che l'industria toscana sembra aver cavalcato senza
difficoltà la crescente importanza dei paesi dell'Europa Centro Orientale nel
panorama del sistema moda europeo. La quota di export verso quest'area è infatti
cresciuta in misura consistente nell'ultimo decennio.
La composizione geografica delle esportazioni pone invece il sistema moda
toscano in una posizione in cui convivono luci ed ombre. Da un lato infatti, in
misura non sostanzialmente differente rispetto alla media nazionale, vale
l'affermazione della
necessità di un'ulteriore diversificazione geografica
dell'export
che
si
concentra
ancora
per
oltre
il
50%
verso l'Unione Europea (sia per l'Italia che per la Toscana). Dall'altro la
consolidata presenza sui mercati del Nord-America che rappresentano oltre il 17%
dell'export di moda toscano contro poco più dell'11% della media nazionale fa da
contraltare ad una minor presenza sui mercati asiatici (12% contro il 14%
nazionale).
In alcuni comparti, inoltre, come ad esempio nei tessuti, (cfr figura 18),
l'Unione Europea rappresenta il 60% dell'export toscano, mentre conta "solo" per
il 54% per l'Italia nel suo insieme, una quota che scende al 51% se si considerano i
soli tessuti lanieri. Nella maglieria l'UE rappresenta il 73% dell'export per la
Toscana e il 66% per l'Italia.
2. La geografia del mercato mondiale della moda: una
globalizzazione incompiuta
Il mercato mondiale della moda è ancora a centrato largamente sui poli di
attrazione europeo ed americano, la crisi che ha colpito le regioni asiatiche nel '97
non ha fatto altro che rallentare, se non sospendere per alcuni anni, il processo di
globalizzazione.
Stati Uniti ed Europa restano, di gran lunga i principali mercati dei prodotti del
sistema moda e contano per quasi il 70% dell'interscambio mondiale (Figura1).
La forza dei poli di attrazione Americano ed Europeo è ancora maggiore se si
considerano le rispettive aree di influenza. Canada (1,8% delle importazioni
mondiali di moda) e Messico (1,9%) sono il 12° e l'11° paese in graduatoria; la
3
Svizzera il 14° (1,4%), i paesi candidati ad entrare nell'Unione Europea contano,
complessivamente per un ulteriore 4,9%, i Paesi mediterranei che hanno in corso o
4
in via di realizzazione accordi di associazione aggiungono l'1,4%.
Le economie asiatiche rappresentano una componente ancora relativamente
5
marginale del mercato . Tra i 14 Paesi che da soli rappresentano l'80% delle
importazioni mondiali compaiono soltanto il Giappone (al 5° posto con il 5,4%
dell'import mondiale e la Cina con il 4,4%), il 3° paese asiatico in graduatoria è la
Corea, 18° in ordine assoluto con una quota di solo l'1%. Il peso di questi 2 paesi,
singolarmente, è paragonabile a quello di un medio Paese dell'UE (l'Italia conta
per il 5% dell'import, il Belgio per il 3,1%).
Differenze significative nel grado di globalizzazione dei mercati e più in
generale nella geografia dei flussi commerciali si riscontrano tra le filiere tessile e
della pelle-calzature, ma soprattutto tra i diversi stadi di produzione: semilavorati
da un lato (filati, tessuti e pelle) e prodotti finiti dall'altro (abbigliamento,
pelletteria calzature).
3
Bulgaria, Rep.Ceca, Ungheria, Polonia, Romania, Rep slovacca Slovenia, Estonia, Latvia,
Lituania, Cipro, Malta, Turchia
4
Israele, Tunisia, Siria, Algeria, Egitto, Giordana, Marocco, Libano, PLO
5
Non sono state considerati i flussi di import di Hong Kong che, come noto, provengono
per la quasi totalità dalla Cina continentale o da altri Paesi limitrofi ed oltrepassano la
dogana di HK solo per essere successivamente riesportati. Questo fenomeno è
particolarmente significativo per i beni finali (calzature, abbigliamento)
Figura 1
IL M E R C AT O M O N D IALE D E L S IS T E M A M O D A
P E R P AE S E D I D E S T IN AZIO N E D E LLE E S P O R T AZIO N I- 1998
ALTR I
USA
SW ITZ
AUSTR IA
C AN
MEX
GER
SPAIN
NETH
BELG
C HINA
UK
ITA
JAP
FRA
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade
Il mercato dei semilavorati è meno polarizzato di quello dei prodotti finiti.
Mentre i primi 5 paesi importatori contano per il 66% del mercato di prodotti
finiti, i primi 5 dei semilavorati pesano per il 40,2% (Tabella 2). Nella graduatoria
dei maggiori compratori di semilavorati si trova al primo posto la Cina con l'11%,
e in quello dei prodotti finiti gli USA con 1/3 delle importazioni mondiali. In ogni
caso i paesi dell'area nordamericana ed europea hanno un peso molto rilevante
anche nelle importazioni di semilavorati, l'unico paese non appartenente a questi
due blocchi, oltre alla Cina, è il Giappone.
Tabella 2. I maggiori importatori di semilavorati e prodotti finiti.
Quote sull'import mondiale - 1998
SEMILAVORATI
CHINA
USA
GERMANY
ITALY
UK
FRANCE
BELGIUM
SPAIN
MEXICO
JAPAN
PRIMI 5
PRIMI 10
PRODOTTI FINITI
11.4%
8.0%
7.8%
7.4%
5.6%
5.4%
3.4%
3.2%
2.6%
2.6%
40.2%
57.4%
USA
GERMANY
UK
JAPAN
FRANCE
ITALY
BELGIUM
NETHERLANDS
SWITZERLAND
MEXICO
PRIMI 5
PRIMI 10
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade
33.3%
12.5%
7.0%
6.8%
6.4%
3.8%
2.9%
2.9%
1.9%
1.9%
66.0%
79.4%
.2.1. La pelletteria
I primi 10 paesi acquirenti della pelletteria contano per oltre l'80% delle
importazioni mondiali. Il Nord America rappresenta 1/3 del mercato mondiale e
gli Usa, il primo Paese importatore, da soli ne rappresentano il 30% (figura 2). Il
secondo compratore è il Giappone (17,1% dell'import mondiale). Il primo mercato
europeo, la Germania si colloca al 3° posto con un forte distacco dai primi due,
con una quota del 7,9%.
L'insieme dei paesi dell'Ue a 15 detiene una quota ancora più rilevante (il 36%),
quasi la metà delle importazioni dei Paesi dell'Ue (il 47,9%) è però traffico intracomunitario. Se consideriamo soltanto le importazioni dall'esterno dell'Unione, il
peso sul totale delle importazioni mondiali è del tutto simile a quello americano
(17,4% del totale)
Figura 2. Pelletteria
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
50%
40%
V ELOCITA '
ITA
DI
30%
UNT
CRESCITA
BEL
20%
CA N
NE T
US A
10%
FRA
0%
-10%
SW I
GE R
-20%
JA P
QUOTA SULL'IMPORT MONDIA LE
-30%
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
25,0%
30,0%
35,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
La polarizzazione compare anche dal punto di vista dei fornitori, con l'Asia (ed
in particolare la Cina) che detiene quote elevatissime sia del mercato americano
(82,3%), che di quello europeo (83,8%).
La crescita delle importazioni mondiali della pelletteria negli ultimi 3 anni è
stata molto modesta. In un contesto di stabilità, tuttavia, le importazioni dei
maggiori acquirenti europei (tra cui, in particolare l'Italia, il Regno Unito e il
Belgio) hanno registrato tassi di crescita sostenuti (+45% in 3 anni per l'Italia, +
31% per il Regno Unito).
Nel complesso le importazioni europee sono cresciute, in dollari, del 12,5%.
Espressa in quantità (tonnellate) la variazione delle importazioni europee è stata
ancora più significativa (+34%). Il protagonista principale della penetrazione dei
mercati europei è stata la Cina da cui ha originato oltre la metà dell''intero
incremento delle importazioni europee (inclusi gli scambi intra-UE), se poi
limitiamo l'osservazione all'aumento delle importazioni provenienti dai paesi
esterni all'UE la Cina conta per 73% dell'incremento del valore dell'import
verificatosi tra il '95 e il '98 (il 93,9% della variazione delle quantità).
.2.2.
Le calzature
Il mercato delle calzature è ancora più concentrato di quello della pelletteria, i
primi 10 paesi acquirenti rappresentano circa l'80% dei flussi commerciali
mondiali). Il peso tra i paesi acquirenti dei 2 principali poli del mercato, USA e
paesi della UE, è solo di poco inferiore a quello descritto per la pelletteria: gli
USA acquistano sui mercati esteri calzature per oltre 1/3 (33,9%) del valore dei
flussi mondiali, mentre i 15 paesi dell'UE arrivano a contare per il 42,8%. In
questo caso, la quota sull'import dei paesi UE rappresentato dagli scambi interni
all'Unione è addirittura preponderante (64%). Gli acquisti europei dal resto del
mondo sono quindi inferiori a quelli degli USA e arrivano a contare per il 15,4%
del mercato mondiale.
Nel commercio internazionale delle calzature il fenomeno della
regionalizzazione degli scambi è nettamente meno pronunciato. Gli USA e l'UE si
riforniscono in larga misura presso gli stessi paesi esportatori asiatici.
Dall'Asia proviene il 72,3% delle importazioni americane e il 68,1% di quelle
europee. Per quanto riguarda l'UE, un certo peso (quasi 1/5 delle importazioni)
mantengono i paesi europei non membri dell'Unione, mentre per gli USA gli altri
paesi del Nord america (incluso il Messico) arrivano soltanto al 2% del complesso
delle importazioni.
La velocità di crescita complessiva è modesta (4% in 3 anni), ma è una media
tra Paesi che hanno subito contrazioni significative (Giappone, e HK in Asia,
Germania in Europa) e paesi che invece hanno significativamente aumentato gli
acquisti (UK, Italia, Belgio) Anche gli Stati Uniti, il paese che rappresenta il
mercato più importante hanno registrato una dinamica degli acquisti brillante
(+14% negli ultimi 3 anni) (figura 3).
Figura 3. Calzature
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
40%
V ELOCITA ' DI CRESCITA
UNT
30%
ITA
20%
10%
BEL
US A
CA N
FRA
0%
NE T
A US
GE R
-10%
-20%
JA P
QUOTA SULL'IMPORT MONDIA LE
-30%
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
25,0%
30,0%
35,0%
40,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
.2.3. I prodotti dell'abbigliamento
In misura non diversa che per le calzature, l'80,4% dei flussi mondiali di
commercio estero di abbigliamento è assorbito dai primi 10 paesi. Ancora una
volta sono gli USA a collocarsi al primo posto come singolo paese con circa 1/3
dell'import mondiale (33,2%), mentre i 15 paesi dell'UE contano
complessivamente per ben il 44%. I flussi europei sono però in grandissima parte
(il 70,9%) scambi tra i Paesi dell'Unione. Gli acquisti europei dal resto del mondo
sono quindi pari soltanto al 12,8% del commercio mondiale.
Nell'abbigliamento la tendenza alla regionalizzazione degli scambi pare più
accentuata per l'UE che per gli USA, anche se per entrambi i mercati quote
significative delle importazioni provengono da paesi vicini.
Le importazioni americane provengono per circa 1/3 (31,7%) dallo stesso
continente americano (il solo Messico pesa per il 12,3%) e l'Honduras esporta
negli USA più di quanto faccia l'Italia (3%) e se all'Honduras si aggiungono El
Salvador e Guatemala (4,3%) si ottiene un flusso di export superiore a quello
realizzato dall'intera Europa (7%). L'Asia è in ogni caso il fornitore di gran lunga
dominante (59% delle importazioni USA) con al primo posto la Cina e Hong
Kong che insieme rappresentano quasi la metà delle importazioni americane
dall'Asia (21,8%).
Spostando l'attenzione sul mercato europeo, Il peso dell'Asia si riduce
leggermente (40,7%) a favore dei paesi europei non membri dell'UE (28,3%) e di
quelli del bacino del mediterraneo (22,8%). Assolutamente marginale è il
contributo dei prodotti americani (1,8% il complesso di Nord, Centro e Sud
America).
Le importazioni mondiali di abbigliamento sono cresciute negli ultimi 3 anni
dell'11%, come effetto del boom del principale mercato, quello americano
(+32%), di un buon andamento in quello europeo (+9,6%) e di un vero crollo dei
flussi verso i paesi asiatici (-32% il Giappone, -16,5% Singapore, -60,7% la
Corea). (figura 4.)
Figura 4. Abbigliamento
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
120,0%
VELOCITA' DI CRESCITA
100,0%
MEX
80,0%
60,0%
UNT
40,0%
USA
ITA
20,0%
BEL
FRA
0,0%
-20,0%
NET
GER
SWI
QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE
JAP
-40,0%
0,0%
5,0%
10,0%
15,0%
20,0%
25,0%
30,0%
35,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
In conseguenza di ciò, la concentrazione del mercato mondiale nei due poli
principali (UE e USA) si è andata ulteriormente accentuando. Il generale ottimo
andamento dell'area nordamericana e, soprattutto, la crescente integrazione
produttiva con gli USA hanno trascinato anche le importazioni verso il Messico
entrato nel gruppo di 10 maggiori importatori, con un peso sull'import mondiale
che è raddoppiato in 3 anni.
.2.4. I filati
Il mercato mondiale dei filati è decisamente meno polarizzato di quello dei
prodotti finiti. I primi 10 paesi acquirenti contano per il 61,9% dei flussi mondiali
di import e nessuno di essi, singolarmente supera il 10%. Il primo compratore è
l'Italia (9,1%). In generale i Paesi dell'UE si trovano nelle prime posizioni della
lista dei compratori, la Germania è al 3° posto (8,3%), la Francia al 4° (6,9%),
Regno Unito, Belgio e Spagna rispettivamente al 6°, 7° e 9°. Tra i Paesi europei si
inseriscono solo la Cina (2° con l'8,8%), gli USA (5° con il 6,7%) e il Giappone
(all'8° posto). Pur in un mercato meno concentrato, i 15 paesi dell'Ue, includendo
anche gli scambi intra-comunitari rappresentano il vero cuore del mercato
mondiale con il 50% del totale. La gran parte degli scambi (il 70.7%) avviene
però, appunto all'interno dei confini dell'Unione, che come compratore dai paesi
extra comunitari conta soltanto per il 14,7% degli scambi mondiali.
Figura 5. Filati
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
40,0%
VELOCITA' DI CRESCITA
USA
30,0%
SPA
20,0%
CHI
10,0%
ITA
BEL
0,0%
GER
FRA
UNT
-10,0%
-20,0%
JAP
-30,0%
KOR
-40,0%
QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE
-50,0%
0,0%
1,0%
2,0%
3,0%
4,0%
5,0%
6,0%
7,0%
8,0%
9,0%
10,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
Nei filati l'approvvigionamento dei due principali mercati mondiali avviene in
misura consistente dalle regioni vicine. Per gli USA la maggior parte delle
importazioni proviene infatti dai paesi confinanti, Canada e Messico contano,
insieme per oltre il 37% delle importazioni americane, l'Asia viene solo al
secondo posto (29,2%) distanziando di poco l'Europa (22,8%).
L'Asia conserva invece la maggior quota sulle importazioni europee (34,2%)
che però vedono una presenza molto consistente di flussi dai paesi mediterranei
(13,4%) e dagli altri paesi europei non membri dell'UE (27,4%).
Dai dati sembra emergere una regola sulla distribuzione geografica dei fornitori
valida sia per gli USA che per l'UE: se consideriamo l'insieme di paesi confinanti
(Canada più Messico per gli USA e resto d'Europa più mediterraneo per l'UE) si
ottengono cifre quasi identiche (37,4% per i fornitori degli USA, 37,9% per quelli
dell'UE).
I dati dell'evoluzione negli ultimi anni, in un quadro di mercato stagnante
(+1,3% le importazioni mondiali) mostrano tuttavia un certo indebolimento della
quota europea sulle importazioni mondiali, come riflesso dell'avanzare di nuovi
paesi utilizzatori di semilavorati e del recupero del mercato americano. Tra i
grandi importatori sono infatti da un lato i paesi a più basso costo la Cina (+17,5%
in 3 anni) e il Bangladesh (+84,8%), e dall'altro il blocco nordamericano gli USA
(+33,5%) il Canada (+21,1%) e il Messico (+153,4%)a mostrare i tassi di crescita
più elevati. (Figura 5).
Il mercato dei paesi asiatici più industrializzati, al contrario ha sofferto
pesantemente della gelata delle attività produttive seguira alla crisi del 1997: il
mercato giapponese ha visto cadere le importazioni del 26,8% e quello coreano
del 37,9%.
.2.5. I tessuti
Il mercato mondiale dei tessuti è ancora più frammentato, i primi 10 paesi
compratori contano per poco più della metà (55,2%) del totale delle importazioni
mondiali. Ai primi 3 posti tra i principali importatori si trovano la Cina (11,8%),
gli USA (8,6%) e la Germania (7,8%) seguiti da un gruppo di paesi europei
(nell'ordine: Regno Unito, Francia, Italia, Polonia). La quota complessiva dell'UE
arriva al 35,8% di cui il 66,8% formato da commercio intracomunitario.
Il mercato dei tessuti è tra i più globalizzati tra quelli della moda e il peso
dell'Asia torna a farsi sentire sia sulle importazioni americane (53,9%) che su
quelle europee (45,3%).
Per quanto riguarda gli USA in particolare, il grado di regionalizzazione degli
scambi è particolarmente modesta (Canada e Messico contano solo per il 18,4% e
il resto del continente arriva solo al 2,6%), mentre le importazioni dall'Europa
rappresentano circa 1/5 del totale.
Figura 6. Tessuti
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
100,0%
MEX
80,0%
VELOCITA'
DI CRESCITA
60,0%
40,0%
SPA
20,0%
POL
0,0%
BEL
ITA
USA
FRA
CHI
UNT
GER
-20,0%
0,0%
2,0%
4,0%
6,0%
8,0%
QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE
10,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
12,0%
14,0%
La metà non asiatica delle importazioni dell'UE presenta invece un maggior
grado di regionalizzazione: oltre ¼ (26,6%) proviene dagli altri paesi europei e
l'11,1% dai paesi del mediterraneo.
Con l'eccezione degli USA (+8,9%) quasi tutti i principali mercati sono in calo:
la Cina del –5,4% in 3 anni, la Germania del -11,7%, il Regno Unito del –4,3%,
la Francia del –2%, l'Italia del –0,9%. Cosi' come cedente è quasi tutta l'Asia. Sta
invece emergendo una seconda linea di mercati, dinamica e di dimensioni ormai
consistenti composta da paesi non asiatici come la Polonia (7° mercato mondiale
+12,6% in 3 anni), il Messico (8°, +91,3%), la Spagna (9° +32,4%), il Canada(11°
+17,8%, la Tunisia (12°. +12,9%), la Turchia (14° +32,1%), la Romania (15°
+51,8%). L'effetto netto è tuttavia stato un calo del 3,7% delle importazioni
mondiali di tessuti. (Figura 6)
.2.6.
Le pelli
I primi 10 paesi acquirenti contano per 59,9% delle importazioni mondiali, il
primo paese importatore è la Cina, ma l'Italia gli contende il primato con una
quota del 13,7%, gli altri paesi sono molto staccati, gli USA contano per l'8,1%,
la Germania per il 6,2% e la Spagna per il 4,2%. L'insieme dell'UE rappresenta il
40% delle importazioni mondiali, di cui circa la metà (55,5%) è commercio intracomunitario.
La struttura dei flussi commerciali delle pelli si differenzia da quella degli altri
prodotti del sistema moda. Il primo fornitore degli USA è l'Argentina, da cui
proviene circa ¼ delle importazioni (24,9%), il secondo è l'Italia che conta per
oltre 1/5 del totale (21,6%). Del tutto marginale è il ruolo dei fornitori asiatici che
rappresentano soltanto il 5,3% delle importazioni americane.
I produttori asiatici hanno un peso maggiore nell'UE (22,1%), soprattutto grazie
ai flussi di pelli provenienti dall'India (7,6%). Si tratta, in ogni caso di una quota
nettamente inferiore a quelle che si registra per gli altri prodotti del sistema moda.
Dominano le importazioni europee i paesi americani: il Brasile (primo fornitore
con il 16,8%), gli USA (terzo con il 7,1%) e l'Argentina (quarto con il 4,9%), il
primo paese dell'europa extra unione è la Polonia che viene dopo la Nuova
Zelanda ed il Sud Africa.
Il testa a testa tra Cina e Italia come maggior acquirente mondiale di Pelle
avviene a scapito del resto del mondo. Il mercato mondiale è infatti in calo, (-5,7%
in 3 anni), ma le importazioni dell'Italia e calano meno della media (–3,9%), e
quelle della Cina restano stabili (+0,3%).
Figura 7. Pelle
Quota percentuale sul totale delle importazioni mondiali dei principali mercati
(1998) e tasso di crescita 1998-1995 - dati di base in US$
200,0%
VELOCITA' DI CRESCITA
150,0%
MEX
100,0%
50,0%
UNT
CHI
USA
SPA
POR
0,0%
GER
ITA
FRA
-50,0%
KOR
-100,0%
0,0%
2,0%
QUOTA SULL'IMPORT MONDIALE
4,0%
6,0%
8,0%
10,0%
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-COMTRADE
12,0%
14,0%
16,0%
3. Le quote dei principali paesi esportatori: l'Italia
ancora ai primi posti.
.3.1.
Il quadro generale
Malgrado i molti fattori che hanno alterato lo scenario competitivo
internazionale negli ultimi 10 anni, l'Italia è saldamente rimasta i leader mondiali
dell'industria della moda, con quote di mercato ancora elevate anche se
complessivamente declinanti rispetto al decennio degli anni '80.
Il declino non riguarda tutti i prodotti né tutti i mercati di sbocco. Vi sono anzi
importanti mercati e prodotti in cui l'Italia ha incrementato la quota sulle
importazioni mondiali.
Nel complesso dei prodotti dell'industria delle moda l'Italia resta il secondo
esportatore mondiale, dietro la Cina. Dal leader la separano circa 3 punti
percentuali di quota di mercato, una distanza, tuttavia che è destinata a crescere
ancora nell'immediato futuro. La distanza dal 3° esportatore, la Germania è invece
notevole, quasi 5 punti percentuali ed anche questa è destinata nell'immediato
futuro a crescere.
Figura 8
I MAGGIORI ESPORTATORI MONDIALI DI MODA
IN VALORE- 1998
CHINA
ALTRI
NETHERL
PORTUGAL
ITALY
INDONESIA
SPAIN
THAILAND
GERMANY
BELGIUM
TURKEY
KOREA REP.
USA
INDIA
FRANCE
UK
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade
L'Italia è invece il primo esportatore mondiale in alcuni prodotti, soprattutto
beni intermedi, come i filati, i tessuti di fibre nobili (l'insieme di lana, lino e seta),
la pelle, ma anche negli accessori di vestiario.
Il numero di prodotti in cui si trova al secondo posto è numeroso, ed in quasi
tutti i casi è seconda proprio dietro la Cina, come nel caso dei tessuti di cotone,
della pelletteria, dell'abbigliamento maschile e femminile, negli altri articoli non
tessuti di abbigliamento e nelle calzature. Nelle pellicce è invece preceduta dalla
Spagna. Le statistiche disponibili, purtroppo, non permettono una suddivisione
dei prodotti per posizionamento di mercato, oltre che per merceologia. Ciò non
permette quindi di verificare quantitativamente quale sia l'effettiva
sovrapposizione sul mercato mondiale dei prodotti italiani e cinesi. Le analisi
basate sui prezzi medi, di cui si dirà più avanti, avvalorano tuttavia l'ipotesi di
buon senso che gran parte dei prodotti cinesi insistano su mercati diversi da quelli
dei prodotti italiani, sia nei beni finiti che nei semilavorati. Se ne ricava
l'impressione che l'effettiva posizione dell'Italia sui mercati internazionali sia, nei
segmenti di prodotto della sua specializzazione, migliore di quanto già le
statistiche non rivelino.
Nel 1998, sulle, 21 suddivisioni dei prodotti che formano l'insieme dei prodotti
dell'industria della moda l'Italia figura 4 volte al primo posto, 7 al secondo, 4 al
terzo, una ciascuno al 4 e al 5 e solo 4 volte oltre il quinto posto.
Tabella 3.
La posizione dell'Italia nel commercio mondiale di Moda. - 1998
PRODOTTI DEL SISTEMA MODA IN CUI L'ITALIA E':
1°
ESPORTATORE
2°
ESPORTATORE
PELLE
PELLICCE
3°
ESPORTATORE
4°
ESPORTATORE
MAGLIERIA DONNA
TESSUTI F.CHIM. Se si tien conto di
Hong Kong)
5°
ESPORTATORE
TULLI E PIZZI
OLTRE IL 5°
POSTO
BIANCHERIA CASA
FILATI
TESSUTI COTONE
TESSUTI A MAGLIA
PAVIMENTAZIONI
TESSUTI DI LANA-LINO
SETA
ABBIGL. DONNA
FILATI SPECIALI
MAGLIERIA UOMO
ACCESSORI
ABBIGL.UOMO
ALTRI ARTICOLI DI
ABBIGLIAMENTO
CAPPELLI E
ABB.NON TESS.
MAGLIERIA DONNA
(se si esclude
HongKong)
.
MANUFATTI IN
PELLE
PELLETTERIA
CALZATURE
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade
Con la rilevante eccezione del maggior esportatore mondiale, la Cina, i paesi
leader nel commercio internazionale mostrano una spiccata propensione agli
scambi intra-regionali.
Ciò risulta particolarmente evidente nei prodotti semilavorati (pelle, filati ,
tessuti). Nei filati, ad esempio, anche la Cina si trasforma in un esportatore
regionale, con l'85,6% dell'export all'interno dell'Asia. E' pur vero che circa la
metà delle esportazioni cinesi di filati si rivolge ad Hong-Kong. Ma a sua volta il
95,6% delle esportazioni di filati di Hong Kong è rivolto ai mercati asiatici. Un
altro esempio asiatico viene dalla pelle, dove la quasi totalità delle esportazioni
coreane è rivolta ad altri mercati asiatici.
In ambito europeo, la prevalenza delle esportazioni regionali è comune a tutti i
prodotti, con l'eccezione della pelletteria, dove per i principali esportatori europei,
l'Asia rappresenta un mercato significativo. In generale, con ancora l'eccezione
della pelletteria, l'Italia tende ad avere una struttura dell'export più globale rispetto
a Germania e Francia.
.3.2.
I filati
L'Italia è il primo esportatore mondiale di filati e fili continui con una quota
del 9% sul totale, in un mercato che vede una presenza equilibrata di esportatori
europei (la Germania è il secondo Paese con l'8,2%), asiatici (la Cina è il 3° con il
7,2%, l'India il 4° con il 7% e la Corea il 6° con il 5,4%) e americani (gli Usa sono
il 5° esportatore con il 6,5%).
Per Italia e Germania i mercati di sbocco sono principalmente quelli europei
(79,8% per l'Italia, 85,8% per la Germania), la maggior globalizzazione delle
vendite italiane rispetto a quelle tedesche dipende da una maggior presenza
italiana in Asia (11,7% del totale), mentre del tutto marginali sono le vendite nel
continente americano, sia per Italia che per Germania e Cina. La Cina presenta un
grado di specializzazione regionale altrettanto forte, l'85,6% del suo export è
6
rivolto a paesi asiatici .
Differenze si riscontrano anche nella distribuzione per prodotto. La Germania
presenta una forte specializzazione nelle pure fibre chimiche, l'Italia, al contrario è
relativamente specializzata nelle fibre naturali (lana, cotone), mentre la Cina
esporta una quota superiore rispetto a quella di Germania e Italia di filati misti
chimiche e naturali.
La posizione di leader è stata raggiunta dall'Italia nel 1998, superando la
Germania. Le esportazioni italiane e tedesche hanno avuto tra il 1990 e il 1998
dinamiche opposte, quelle italiane sono cresciute, sia in valore che in quantità
ininterrottamente per tutti gli anni '90 (+24,2% in 8 anni) mentre quelle tedesche
hanno marciato a corrente alternata ma lungo un trend discendente(-15,3% in
valore in 8 anni). La perdita di quota dell'export tedesco è avvenuta soprattutto nei
prodotti in cui la Germania è maggiormente specializzata, nei fili e filati di fibre
chimiche (-22,4%) e nei filati di cotone (-12,5%) e si è ulteriormente accentuata
nel 1999. Nei filati di lana, invece anche la l'export ha tenuto (+27,9%) anche se la
performance è modesta se confrontata con quella italiana (+65,7%). Per la
Germania, il calo ha comportato nei soli 4 anni tra il 1995 e il 1999 con una
perdita di esportazioni di ben 1 miliardo di dollari.
6
La valutazione della distribuzione geografica delle esportazioni cinesi è complicata dal
ruolo di centro di distribuzione globale svolto da Hong Kong. Per i prodotti in cui il peso
di Hong Kong sul totale delle esportazioni cinesi è risultato rilevante si è provveduto a
stimarne l'impatto, aggiustando la distribuzione dell'export cinese per quella dell'export
di Hong Kong. Nel caso dei filati ciò non è stato ritenuto necessario per il peso limitato
di Hong Kong sul totale dell'export cinese.
Dal punto di vista dei prezzi medi (vedi graf. in Appendice al capitolo) dei filati
venduti sul mercato americano quelli cinesi sono pari ad ¼ di quelli dei filati
italiani, denotando una differente collocazione sul mercato, mentre quelli tedeschi,
dove prevalgono le fibre chimiche sono pari al 78% di quelli italiani. Una
situazione simile, con un maggior distacco tra i prezzi italiani e quelli degli altri
leader si incontra sul principale mercato asiatico, quello giapponese. In Europa
invece dalla Cina arrivano quasi esclusivamente filati lanieri e fili e filati di seta,
ciò fa levitare i prezzi medi dei prodotti cinesi sopra la media più multifibre dei
prodotti italiani e tedeschi, questi ultimi risultano avere un prezzo medio pari a
circa la metà (50,4%) di quelli dei prodotti italiani.
.3.3.
7
I tessuti
L’Italia è il primo paese esportatore di tessuti con una quota del 13,4%. La
Germania, che ad inizi anni '90 si trovava al secondo posto dietro l'Italia, è stata
superata dai produttori asiatici, la Cina (11,7% del mercato mondiale) e la Corea.
La Germania arriva al 4° posto con il 10,2%. Ben 3,5 punti percentuali separano
poi la Germania dalla Francia che si trova al 5° posto.
Il rimescolamento delle posizioni tra i maggiori importatori ha fatto si che la
distanza dell'Italia del 2° esportatore sia aumentata nel corso degli anni '90. Nel
1992 il volume di export di Italia e Germania era pressoché simile nel 1998 invece
le esportazioni cinesi sono pari all’87% di quelle italiane. La riduzione delle quote
di mercato tedesche nel corso del decennio è stato accompagnato da un calo
dell’export anche in termini assoluti (-10,2%).
In tutte e 3 le grandi suddivisioni per fibre (cotone, chimiche e insieme di lana,
lino e seta) l’Italia è tra i leader mondiali: al 2° posto nei tessuti di cotone, al 4°
nei tessuti in fibre chimiche e al 1° nei tessuti di lana, seta o lino. Ancora più
interessante è però il confronto tra la posizione italiana all'inizio e alla fine degli
anni '90.
Nei tessuti di cotone, mercato dominato dai prodotti cinesi (circa 2,7 miliardi di
dollari di export), l’Italia (1,8 miliardi di dollari di export) ha superato la
Germania che la precedeva al secondo posto nel 1992. Francia e Giappone, gli
altri 2 paesi avanzati tra i primi 5 esportatori, hanno invece perso terreno, la
Francia scendendo di un posto e il Giappone uscendo dalla graduatoria dei primi
5. La distanza dell’Italia dal leader, la Cina, si è inoltre ridotta, nel 1992 le
esportazioni italiane erano pari a poco più della metà di quelle cinesi (53%), nel
1998 arrivano al 67%.
Nei tessuti in fibre chimiche la graduatoria è rimasta più stabile, la Corea è al
1° posto come lo era nel 1992 e anche la Germania mantiene la 2a posizione.
Francia e Giappone invece perdono terreno, la prima spiazzata dall’ingresso della
Cina che balza al 3° posto, il Giappone superato dall’Italia, che riesce così a
mantenere il 4° posto, malgrado il boom delle esportazioni cinesi.
7
Sono considerati soltanto i tessuti ortogonali, sono inoltre esclusi i nastri (tessuti stretti) e
la biancheria per la casa.
Nei tessuti di lana, seta e lino la graduatoria dei primi esportatori è rimasta
stabile. Ciò significa che l’Italia mantiene saldamente la leadership, mantenendo
pressoché inalterato anche il distacco dalla Germania. Le esportazioni tedesche
erano pari nel 1992 al 38,2% di quelle italiane, nel 1998 sono il 39,3%.
La tenuta delle quote di mercato italiane avviene però in un quadro di rapida
trasformazione della geografia del mercato. Incrociando quote e dinamica
dell'export nell'ultimo triennio (Figura 9) risulta evidente che nel gruppo dei
maggiori esportatori va rafforzando la propria presenza un gruppo eterogeneo di
paesi emergenti (Pakistan, Belgio, USA), che registrano tassi di crescita
significativi delle esportazioni, mentre i leader (Cina, Italia, Corea, Germania,
Giappone) registrano riduzioni o stabilità (Francia).
Figura 9. Tessuti
Quote di mercato nel 1998 e tassi di crescita dell'Export
dei primi 10 esportatori mondiali
30,0%
V ELOCITA ' DI CRESCITA
20,0%
US A
BEL
10,0%
PAK
0,0%
UNT
FRA
ITA
-10,0%
GE R
CHI
JA P
-20,0%
K OR
-30,0%
-40,0%
0,0%
2,0%
4,0%
6,0%
8,0%
10,0%
12,0%
14,0%
16,0%
QUOTE SULL'EXPORT MONDIALE
Fonte: elaborazioni Hermes Lab su dati ONU-Comtrade
.3.4.
I prodotti dell'abbigliamento
L'Italia è il 2° esportatore mondiale di abbigliamento con una quota pari al
9,7% dietro la Cina che rappresenta circa 1/5 (20,2%) dell'export mondiale.
Seguono al 3° e 4° posto USA e Germania, rispettivamente con il 5,7% e il 5,4%.
Tra i 4 paesi leader la Cina è quello che presenta la composizione dei mercati
di sbocco più globale. Una volta che si sia tenuto conto del ruolo svolto da Hong
8
Kong come intermediario verso i mercati internazionali , la distribuzione
dell'export cinese vede presenti in misura omogenea tutte le grandi aree
geoeconomiche: l'Europa conta per il 29,6%, il nord America per il 33,7% l'Asia
per il 26,2%. L'Italia viene seconda anche dal punto di vista del grado di
globalizzazione dei mercati di sbocco, il mercato europeo è quello prevalente per
l'abbigliamento italiano (&8,4%) un peso non marginale esercitano però anche il
Nord America (11,7%) e l'Asia (16,4%). Molto più orientate ai mercati
continentali sono invece le esportazioni tedesche (il 90,2% trova sbocco in
Europa) e quelle americane che per l'85,3% sono realizzate tra Nord, Centro e Sud
America.
L'analisi della composizione merceologica dell'export fornisce alcune
indicazioni sui fattori di competitività dei paesi leader. I prodotti per
l'abbigliamento femminile sono infatti caratterizzati da tassi di variabilità e di
innovazione stilistica molto maggiori di quelli dei prodotti dell'abbigliamento
maschile. Nell'uomo invece una maggior peso competitivo ha l'efficienza nelle
produzioni di serie più lunga e, nelle fasce di maggior prezzo, la qualità sartoriale
e il contenuto qualitativo dei tessuti. Dalla specializzazione di un grande paese
esportatore nell'abbigliamento maschile o femminile, si possono quindi trarre
indicazioni riguardo all'importanza relativa per quel paese di fattori competitivi
quali flessibilità, innovazione (per i paesi specializzati nell'abbigliamento
femminile) efficienza nella produzione su grande serie e, in misura più incerta
contenuto qualitativo della confezione e della tessitura (per quelli specializzati
nell'abbigliamento maschile.
Cina e USA presentano una minore quota di abbigliamento esterno femminile,
quota che invece risulta elevata per l'Italia e soprattutto per la Germania. Nel
confronto tra Italia e Germania si deve tenere conto della quota particolarmente
elevata della maglieria nelle esportazioni italiane, l'Italia e' infatti, di gran lunga, il
maggior produttore ed esportatore europeo di maglieria. La tipologia delle
produzioni di maglieria esterna dell'Italia è in larga parte assimilabile a quella
dell'abbigliamento femminile(l'Italia è il secondo esportatore mondiale di
maglieria esterna femminile), per varietà della produzione e importanza del
contenuto moda. D'altro canto la relativamente maggiore presenza in Italia rispetto
alla Germania di una consistente produzione di abbigliamento formale da uomo di
8
Si è proceduto in questo modo: si è calcolata la distribuzione per area geografica delle
esportazioni di Hong Kong, depurate dai flussi verso la Cina, Si è poi applicata tale
distribuzione alle esportazioni della Cina verso Hong Kong. Ciò implica l'assunzione
che i flussi di riexport di Hong Kong di prodotti cinesi presentino la stessa distribuzione
per geografica di quelli medi di Hong Kong. Una assunzione plausibile, se non altro per
la quota elevata dei prodotti di origine cinese sulle riesportazioni di Honhg Kong.
nicchia (produzioni sartoriali o quasi sartoriali) giustifica una parte della maggior
quota del vestiario esterno maschile.
Risultati interessanti si ottengono ampliando l'ambito di osservazione ai primi
10 esportatori e focalizzando l'attenzione sull'abbigliamento in tessuto. (vedi
grafico 2). I paesi europei dominano la pattuglia degli specializzati in
abbigliamento femminile, con una graduatoria che va dalla Francia all’Italia
passando per Regno Unito e Germania, quasi a ripercorrere le tappe della storia
del prèt-à-porter.
L’appartenenza a questo gruppo di Turchia e Corea merita qualche riflessione
supplementare. La Turchia, oltre ad essere una importante appendice
dell’industria tessile tedesca, oscilla da quasi un secolo tra l’essere, culturalmente,
politicamente ed economicamente, la frontiera dell’Europa verso l’Asia e l’essere
la frontiere dell’Asia verso l’Europa. La Corea, d’altro canto, indubbiamente
asiatica, è il più avanzato economicamente tra i Paesi di Nuova Industrializzazione
di quel continente, con livelli di reddito pro capite e salari che prima del crack
finanziario del 1997 erano in ritardo rispetto a quelli europei solo di una decina
d’anni.
Tra gli specializzati nell’uomo troviamo i Paesi a basso costo che negli ultimi
20 anni hanno realizzato le politiche di penetrazione delle esportazioni più
aggressive: Cina, Thailandia e Indonesia, nonché, gli Stati Uniti che, anzi risultano
essere i più specializzati nell’uomo.
Figura 10
VALORE COMPLESSIVO DELL'EXPORT
MINORE
DONNA
MAGGIORE
TURKEY
GERMANY
FRANCE
UK
LA SPECIALIZZAZIONE
UOMO/DONNA
DEI PRIMI 10 ESPORTATORI
MONDIALI
DI VESTIARIO
ITALY
KOREA
SPECIALIZZAZIONE
SCALA LOGARITMICA
THAILAND
INDONESIA
UOMO
USA
Fonte: elaborazioni Hermes lab su dati ONU-COMTRADE
CHINA
USA, Cina, Tailandia ed Indonesia condividono una struttura industriale basata
su imprese di grande e grandissima dimensione specializzate prevalentemente in
produzioni di grande serie. L’industria americana ha programmaticamente scelto
di rinunciare alle produzioni in serie produttive piccole, imprevedibili ed a forte
contenuto moda (un perfetto identikit dell’abbigliamento femminile), produzioni
che ha quasi interamente delocalizzato presso le imprese maquilladoras del
centro-america e dei Paesi NAFTA. Ha cioè puntato sulle produzioni per le quali
la standardizzazione e i grandissimi numeri, in imprese organizzate in modo
molto efficiente, permettono di contenere i costi (grazie allo sfruttamento di
economie di scala e di esperienza) e competere con i grandi produttori asiatici.
Tutto il contrario di quanto ha fatto la maggior parte delle imprese del sistema
moda italiano, dove, non solo la struttura produttiva è particolarmente adatta
all’abbigliamento femminile, ma in generale anche nell’abbigliamento maschile
vengono esaltati i fattori propri della piccola impresa, qualità sartoriale,
specializzazione di nicchia ecc.
Sui mercati americano e giapponese, i prezzi medi dei prodotti italiani sono
nettamente più elevati di quelli degli atri grandi paesi esportatori. Sul mercato
giapponese(quello in cui le differenze sono più marcate) in media i prodotti
provenienti dagli USA hanno prezzi pari a 1/5 di quelli italiani, quelli provenienti
dalla Germania pari al 68,9%, quelli cinesi pari a 1/10, manifestazione evidente
del diverso posizionamento dei prodotti italiani. Ben diverso è il quadro risultante
sul mercato europeo, dove i prezzi medi dei prodotti dei principali esportatori
risultano più omogenei. Fatto pari a 100 il prezzo medio dei prodotti italiani,
quelli tedeschi arrivano a 92,1, quelli americani a 102,9 e quelli cinesi a 51,8. In
Asia e negli USA le esportazioni italiane sono confinati in nicchie ben definite, un
ampliamento ulteriore delle quote richiede probabilmente di modificare la gamma
dei prodotti estendendola a fasce di prezzo meno elevate, in Europa la contrario
l'Italia sembra impegnata nella competizione con i concorrenti sia interni che
esterni all'Unione Europea.
.3.5.
Le pelli
L'Italia è il maggior esportatore mondiale di pelli, con una quota pari al 28,1%,
dei flussi mondiali di export seguita a notevole distanza dalla Corea (10,3%), dalla
Germania (8,5%) e dall'Argentina (7,1%).
Il mercato è molto concentrato con i 10 maggiori esportatori che detengono
l'81,2% del totale dei flussi mondiali di export e fortemente regionalizzato.
I mercati di sbocco per Italia e Germania sono soprattutto quelli europei
(rispettivamente il 65% e l'85,8%), anche se per l'Italia un certo peso mantengono
anche i mercati asiatico (20%) ed americano (11,7%). Quasi esclusivamente
asiatici sono invece gli sbocchi dei prodotti coreani (97,8%) e i prodotti
dell'Argentina sono venduti in massima parte nel Nordamerica.
In Europa i prezzi medi dei prodotti italiani sono ampiamente superiori a quelli
dei prodotti Coreani e, soprattutto,di quelli tedeschi, denotando un posizionamento
di mercato del tutto diverso. I prodotti coreani sul mercato asiatico, hanno invece
un prezzo medio superiore sia a quelli italiani che a quelli tedeschi.
Si deve però tenere conto del fatto che i prezzi all'export sul mercato asiatico
sono, in generale, nettamente più bassi di quelli prevalenti sugli altri mercati.
.3.6.
La pelletteria
L'Italia è il 2° esportatore mondiale di pelletteria, con una quota del 13,5%,
dietro la Cina, che da sola detiene oltre 1/3 (33,6%) del totale delle esportazioni
mondiali e davanti alla Francia (11,3%). Seguono, a notevole distanza, entrambi
con una quota del 4,3%, Thailandia e Belgio.
Anche il mercato della Pelletteria si presenta notevolmente concentrato, con i
primi 10 paesi che detengono l'83% di tutti i flussi di export mondiali.
I 3 i maggiori esportatori presentano una geografia dei mercati di sbocco
globale, con una prevalenza dei mercati europei (51,9%) per l'Italia e di quelli
asiatici per Cina e Francia (rispettivamente 43,4% e 57,8%). L'Asia rappresenta
tuttavia un mercato importante anche per l'Italia (29,3%) e, d'altro canto, l'Europa
conta significativamente anche per la Cina (28,1%) e per la Francia (31,1%). Il
mercato americano (che, rappresenta da solo 1/3 delle importazioni mondiali) e'
un mercato di sbocco importante per Cina (22,1%) e Italia (15,5%), meno per la
Francia (9%).
Sul mercato americano, i prezzi medi dei prodotti cinesi ed italiani risultano
abbastanza vicini (quelli cinesi sono pari all'86,4% di quelli italiani) segnalando
una certa sovrapposizione tra le fasce di mercato in cui si posizionano i prodotti
dei due Paesi, più elevati sono quelli francesi (117% di quelli italiani.). La media
dei prezzi dei prodotti italiani si colloca quasi esattamente a metà strada tra quella
cinese e quella francese, segnalando una presenza sia sulle fasce di prezzo elevate,
proprie dei prodotti francesi, sia su quelle più vicine ai prodotti cinesi.
Sul mercato giapponese ed europeo, invece i prodotti italiani e francesi
presentano un posizionamento del tutto diverso da quello dei prodotti cinesi. In
Giappone in particolare, i prodotti francesi sono molto concentrati nell'estremo
superiore della scala dei prezzi.
.3.7.
Le calzature
Il mercato mondiale delle calzature è caratterizzato dalla presenza di 2 grandi
leader che insieme detengono una quota pari al 45% delle esportazioni mondiali:
Cina (23,2%) e Italia (21,4%), il terzo esportatore, la Spagna segue a grandissima
distanza (6%) e, più in generale, il resto dei paesi esportatori detiene quote molto
ridotte (nel complesso solo 13 paesi detengono singolarmente quote superiori al
2% del totale).
I due paesi leader presentano, come ci si può aspettare, specializzazioni di
prodotto e di mercato del tutto complementari. I dati ci forniscono una indicazione
precisa delle diversità tra i due paesi quanto a merceologia, prezzo e mercato di
destinazione dei prodotti esportati.
Le calzature esportate dall'Italia sono quasi esclusivamente (88,1% del valore)
in pelle, mentre quelle cinesi sono per circa metà (59%) in pelle e per oltre 1/3
(37,7%) in gomma e materie plastiche. Il prezzo medio all'export dei prodotti
italiani è di 24,4US$ quello dei prodotti cinesi di 2,6US$. Anche i mercati di
sbocco sono complementari: l'Italia esporta prevalentemente in Europa
(67,2%),area che per le calzature cinesi conta soltanto per il 14,9%. La Cina
esporta prevalentemente negli USA (54,7%) e in Asia (22,8%) mercati che per
l'Italia contano rispettivamente per il 17,5% e il 12,8%.
Le differenze di prezzo tra i prodotti italiani e quelli cinesi sono costanti in tutti
i mercati di sbocco e non si sono modificate nel corso di tutti gli anni '90. I prezzi
in dollari sono rimasti sostanzialmente stabili per entrambi i paesi nel corso di
tutto il decennio.
4. Le quote di mercato dell'Italia dagli anni '70 ad oggi
.4.1.
30 anni di scambi (1970-1999)
Nei capitoli precedenti si è osservato come la posizione dell'Italia nel
commercio internazionale della moda, sia rimasta, alla fine degli anni '90, di
primo piano. Uno sguardo di lungo periodo sugli ultimi 30 anni del secolo, quelli
che hanno visto l'emergere sulla scena competitiva internazionale dei paesi asiatici
prima, di quelli mediterranei, dell'Europa orientale e del Centro-America poi, ci
permette invece di apprezzare appieno il pesante ridimensionamento delle quote di
mercato dell'Italia provocato dall'emergere sulla scena internazionale di nuovi
concorrenti e della Cina in particolare.
L'analisi della quota dell'Italia sul valore delle importazioni nei principali
mercati mette in evidenza alcune significative differenze tra prodotti e tra mercati
di sbocco. Il ritardo con cui, all'interno dell'Europa i prodotti italiani hanno
penetrato il mercato inglese, o la sorprendente stabilità della quota italiana sulle
importazioni americane di abbigliamento, o ancora il cambiamento, favorevole del
più che ventennale trend discendente che le quote italiane presentano dalla metà
degli anni '90 in alcuni mercati, forniscono utili spunti di riflessione.
Le quote dell'Italia sulle importazioni sono state calcolate per i 5 principali
Paesi acquirenti di prodotti della moda (USA, Germania, Regno Unito Francia e
Giappone) che da soli rappresentano oltre la metà (54%) degli scambi mondiali. Si
sono presi in considerazione tutti gli anni dal 1970 al 1999 (1998 per USA e
Regno Unito). Rispetto alla disgregazione per prodotto utilizzata nelle analisi
precedenti sono stati fusi in un'unica voce i prodotti tessili (filati e tessuti) per una
maggior facilità di lettura dei risultati.
I dati relativi a questo capitolo sono illustrati nei grafici allegati in appendice.
.4.2.
Una sintesi per prodotto
I prodotti dell'abbigliamento
Nel corso di 30 anni le quote dell'Italia sono diminuite soprattutto nei paesi
europei, dove peraltro erano, ad inizio anni '70 eccezionalmente elevate (46% in
Francia, 35% in Germania). Nel Regno Unito invece, il massimo è stato raggiunto
nel 1986 e nel 1998 la quota italiana era superiore a quella media della prima metà
degli anni '70. Fuori dall'Europa la quota è rimasta stabile in Giappone (con un
mini boom ad inizio anni '90) ed eccezionalmente stabile, anche se bassa, negli
USA.
La riduzione delle quote nei paesi europei riflette la ritirata da alcune fasce di
mercato ed un posizionamento su prodotti dal mercato più ristretto, la cui
dimensioni sembra essere pari a circa l'8%-10% dei prodotti importati da ciascun
paese, valere a cui sembrano convergere le quote italiane sui vari mercati.
Le calzature
In 30 anni le quote italiane si sono ridotte in tutti i mercati. Tuttavia sul mercato
inglese ciò è avvenuto solo dopo il 1986. Su quello giapponese, invece, la discesa
si è esaurita nel 1982, per lasciar posto ad una stabilità, alterata solo da
oscillazioni congiunturali. Anche in Francia la perdita di quote si è
sostanzialmente già interrotta a partire dal 1993.
Le quote restano in ogni caso elevate, soprattutto negli USA e in Germania,
dove però la tendenza alla riduzione delle quote è ripresa dopo un breve arresto
nel 1993-'95.
La pelletteria
Le quote italiane sono rimaste molto elevate in Giappone, Francia e Germania
fino alla metà degli anni '80 e hanno subito una rapida caduta tra il 1985 e il
1994, anno a partire dal quale si sono stabilizzate. Nei paesi anglosassoni (USA,
UK) le quote sono sempre state molto inferiori rispetto agli altri grandi mercati,
ma hanno presentato una maggiore stabilità lungo tutto il trentennio. Stabilità delle
quote nei paesi anglosassoni e discesa negli altri paesi europei e in Giappone,
hanno portato anche nelle pelletteria ad un sostanziale allineamento delle quote,
con l'eccezione del mercato giapponese, in cui l'Italia ha fortemente riguadagnato
posizioni dal 1994.
Le pelli
Tra il 1970 e la fine degli anni '90, le quote italiane sulle importazioni di Pelle
dei principali mercati della moda sono cresciute significativamente. Nel 1999
hanno raggiunto un livello straordinariamente elevato in Germania (35%), in
Francia (30%) e nel Regno Unito (19998, 24%). In Europa, tuttavia, la crescita
delle quote ha raggiunto un tetto e dall'inizio degli anni '90 ha smesso di crescere,
regredendo anzi di qualche punto in Germania. Negli USA e in Giappone la
crescita delle quote è stata più lenta e ha raggiunto livelli meno elevati (14% negli
USA nel 1998 e 10% in Giappone), ma non ha subito la battuta d'arresto dei primi
anni '90. In Giappone i prodotti italiani sono stati particolarmente penalizzati dalla
recessione del 1997.
Il tessile
Tra il 1970 e la fine degli anni '90, le quote italiane sulle importazioni di
prodotti tessili in quasi tutti i principali mercati.
Il trend positivo si è però interrotto all'inizio degli anni '90, a partire dai quali le
quote italiane si sono sostanzialmente stabilizzate in Europa, e hanno invece
iniziato un trend discendente in Giappone e negli USA: Nel caso del Giappone, il
calo è stato ritardato al 1992 fino al 1997 un rientro alla normalità rispetto
all'eccezionale performance degli anni precedenti, e successivamente al '97 è da
mettere in relazione alla particolare sensibilità che i prodotti italiani (posizionati
nelle fasce alte del mercato) hanno mostrato nei confonti della recessione
giapponese. Negli USA, invece il calo è stato anticipato (al 1984) e ha riportato,
già nel 1998, le quote italiane sotto il livello del 1970 e dimostra come le
difficoltà italiane a penetrare il mercato americano siano generalizzate e non
riguardino soltanto l'abbigliamento.
.4.3.
L'analisi per mercato di sbocco
La Germania
Sul mercato tedesco le quote dell'Italia sul complesso delle importazioni sono
in calo pressoché generalizzato, più accentuato per i prodotti finiti.
Abbigliamento e calzature hanno seguito un trend di continuo calo fin dal 1970
anno in cui, peraltro le quote italiane erano eccezionalmente elevate,
nell'Abbigliamento l'Italia contava per il 35% dell'import tedesco e nelle calzature,
addirittura contava per il 61%. Anche nella pelletteria la quota era molto elevata
(38%), ma in questo caso è rimasta stabile per tutti gli anni '70, cominciano,
rapidamente a ridursi solo dal 1980. Il lento declino delle quote ha portato già nel
1985 l'abbigliamento al 20%, mentre le calzature, pur in diminuzione
conservavano ancora una quota di circa la metà delle importazioni tedesche. Per
tutti e 3 i prodotti finiti, il periodo successivo all'ingresso nel sistema Monetario
Europeo è stato particolarmente difficile. Nelle calzature, ad esempio in soli 5 anni
(tra il 1989 il 1993) la quota dell'Italia ha perso ben 11 punti percentuali. A partire
dal 1993, con i riallineamenti della lira la discesa delle quote italiane si è
contenuta restando praticamente stabile intorno fino al 1998 (intorno al 10% per la
pelletteria, al 30% per le calzature e all'11% nell'abbigliamento. Nel 1999 si è
avuta però una nuova riduzione.
Del tutto diversa è stata l'evoluzione nei semilavorati: pelle e tessile. Per questi
due prodotti la quota italiana sulle importazioni tedesche era, nel 1970, simile:
17% per la pelle, 15% per il tessile. In entrambi i casi la quota italiana è cresciuta
fino al 1985, moderatamente per i prodotti tessili (fino al 19%), in misura notevole
per la pelle, fino a raggiungere il 40% delle importazioni tedesche. A partire da
quell'anno si è stabilizzata nel tessile, con piccole oscillazioni congiunturali e si è
ridotta progressivamente nella pelle pur restando su livelli molto elevati, nel 1999
la quota italiana sull'import tedesco era ancora del 30% per la pelle e del 18% per i
prodotti tessili.
Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore della Germania, il principale
concorrente emergente, ma ancora molto distante è il Vietnam.
Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore della Germania, il principale
concorrente emergente, ma ancora molto distante è la Polonia, che ha sottratto
quote anche ad altri fornitori a basso costo come l'India.
Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore della Germania I principali
concorrenti sono europei: la Francia, i Paesi Bassi e il Belgio (tutti però in calo) e
tra gli emergenti Turchia e Repubblica Ceca.
Nell'abbigliamento l'Italia è il 3° fornitore dietro a Turchia (che dal 1995 non
cresce più) e Cina (anch'essa stabile dai primi anni '90), mentre si profila nei
prossimi anni un sorpasso da parte di Polonia e Romania, entrambe in forte
crescita.
Nella pelletteria l'Italia è stata superata nel 1999 dall'India e si trova quindi al
3° posto, mentre il primo fornitore si è confermato la Cina che ha più che
raddoppiato le esportazioni verso la Germania dal 1990.
La Francia
Sul mercato francese le quote dell'Italia sul complesso delle importazioni sono in
calo per i prodotti finiti, ma in discreta crescita per i semilavorati.
Pelletteria, abbigliamento e calzature hanno seguito un trend di continuo calo fin
dal 1970 anno in cui, peraltro le quote italiane erano eccezionalmente elevate,
nell'abbigliamento l'Italia contava per il 46% dell'import francese, nella pelletteria
per il 38% e nelle calzature addirittura per il 64%.
Il declino è stato più contenuto fino al 1985, quando l'Italia pesava ancora per il
61% delle importazioni francesi di calzature, per il 36% di quelle di pelletteria e
per 1/3 di quelle di abbigliamento. Nel periodo successivo al 1985 la perdita di
quote si è fatta più rapida e consistente, mostrando una linearità che non sé stata
scalfita né dalla stabilità del cambio nominale agli inizi degli anni '90 né dalla
successiva fase di svalutazione. A questa tendenza si è in parte sottratta la
pelletteria che ha tratto giovamento dalla svalutazione del 1994-95, per 4 anni le
quote sono infatti rimaste stabili intorno al 15%, salvo poi registrare un nuovo,
lieve slittamento nel '98-'99. Almeno per l'abbigliamento, in ogni caso, i valori di
cambio successivi al 1994 hanno permesso qualche contenimento della perdita di
quote, che invece è proseguita inesorabilmente per le calzature. Va in ogni caso
osservato che la quota italiana nelle calzature pur essendosi, nel giro di 20 anni,
molto più che dimezzata resta pur sempre pari a oltre ¼ del totale dell'import
francese.
Nei semilavorati (pelle e tessile) la posizione dell'Italia sul mercato francese si è
invece significativamente rafforzata nel corso degli anni. Nella pelle i guadagni di
quote sono stati costanti dal 1970 al 1985 periodo in cui l'Italia è passata dal 10%
al 32% delle importazioni francesi. Dopo un periodo di assestamento durato un
quinquennio, la quota ha ricominciato a crescere, raggiungendo nel 1996 il 37%. Il
1997 ha segnato una battuta d'arresto, che però non è proseguita nei 2 anni
successivi. Altrettanto positiva è stata l'evoluzione nel tessile, in cui nel 1970
l'Italia contava per il 15% delle importazioni francesi. Il punto di massimo delle
penetrazione italiana è stato raggiunto nel 1985, quando l'Italia è arrivata a pesare
per oltre 1/5 dell'import francese (21%). Una posizione che l'Italia ha mantenuto
costante negli anni successivi, tornando ad avvicinarsi ai massimi storici dopo la
svalutazione del 1995.
Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore della Francia, il principale
concorrente, con quote (in valore) pari a circa la metà di quelle italiane è la Cina,
che contende, testa a testa, il 2° posto a Portogallo e Spagna. In crescita
rapidissima (tanto che i consuntivi 2000 potrebbero vederlo a 2° posto) è il
Vietnam.
Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore della Francia, con un netto vantaggio
sul gruppo degli altri paesi mediterranei (Spagna, Tunisia, Marocco) che la
seguono e che, anno dopo anno, le hanno sottratto mercato, La riduzione in valore
(espressa in US$) delle esportazioni italiane verso la Francia è infatti stata quasi
esattamente compensata dalla crescita di quelle provenienti dai 3 paesi
mediterranei.
Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore della Francia, in una competizione che
si gioca quasi interamente all'interno dei confini dell'Unione, i 5 paesi che seguono
l'Italia in graduatoria sono infatti la Germania (primo fornitore della Francia fino
al 1997), Belgio, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi. Il primo paese fornitore non
Europeo è peraltro la Turchia, membro dell'Unione doganale e candidato ad
entrare in Europa con il prossimo ampliamento.
Nell'abbigliamento l'Italia è il 2° fornitore dietro la Cina, da cui la divide poca
distanza , ma che solo 5 anni fa esportava in Francia la metà esatta di quanto
facesse l'Italia. I concorrenti più temibili, candidati a superare l'Italia già nei
prossimi anni sono di area mediterranea: Marocco e Tunisia (entrambi in netta
crescita. Portogallo e Turchia dopo anni di crescita hanno invece perso slancio
negli ultimi anni.
Nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina che ha triplicato le
esportazioni in Francia dal 1990 mentre l'Italia le ha ridotte (in US$) del 7%, il 3°
fornitore è la Spagna con volumi di export pari alla metà di quelli italiani.
Il Regno Unito
Pur presentando tratti di fondo non dissimili da quelli del mercato Francese e
Tedesco, le peculiarità del mercato inglese per i prodotti italiani sono notevoli.
In primo luogo la presenza dei prodotti italiani nel Regno Unito sembra essersi
affermata in ritardo rispetto agli altri paesi europei.
Le quote dell'Italia sulle importazioni inglesi nel 1970 sono molto inferiori a
quelle di cui i prodotti italiani godono negli altri grandi mercati europei:
l'abbigliamento e la pelle sono sotto il 5%, soglia superata di poco dal tessile ed
anche la pelletteria e le calzature italiane che, come abbiamo visto, in Francia e
Germania rappresentano oltre 1/3 (la pelletteria) e oltre la ½ (le calzature) delle
importazioni, nel Regno Unito contano soltanto, rispettivamente, per il 15% e il
24%.
Diversamente che in Francia e Germania, però le quote di mercato italiane sono
cresciute rapidamente nel corso degli anni '70 (fino al 1977 per la pelletteria) e per
buona parte degli anni '80. La pelletteria italiana nel 1977 sfiora il 20% dell'import
francese. Nel 1986 le calzature arrivano al 44%, la pelle al 25%, tessile ed
abbigliamento al 12%. Nel frattempo, la pelletteria dopo il massimo del 1977 era
ridiscesa anch'essa al 12%.
A partire dagli ultimi anni '80 i trends della posizione italiana sul mercato
inglese si adeguano a quelli degli altri grandi mercati europei, puntando verso il
basso nei prodotti finiti (abbigliamento, calzature e pelletteria) e mostrando invece
più vivacità nei semilavorati (pelle e tessile). Restano però alcune particolarità.
Nella pelletteria la stabilizzazione e una certa ripresa delle quote avviene prima
della crisi del Sistema Monetario Europeo che ha causato la svalutazione sia della
Lira italiana che della Sterlina inglese, negli anni '90 Anche il tessile ha interrotto
una fase di lento deterioramento delle quote nel 1991, in anticipo sulla crisi del
sistema monetario europeo.
Nelle calzature l'Italia resta il primo fornitore del Regno Unito, con flussi di
esportazione (in US$) crescenti. Alle spalle dell'Italia, in rapida crescita, ma
ancora abbastanza distanti vengono Portogallo e Cina. Che hanno superato la
Spagna ferma sui volumi di esportazione del 1990.
Nella pelle l'Italia resta il primo fornitore con flussi di export (espressi in US$)
moderatamente crescenti (anche se il massimo è stato raggiunto nel 1996).
Nettamente distanziati e con tassi di crescita non preoccupanti al 2° e3° posto
vengono Thailandia e India. Per trovare un altro paese europeo si deve scendere
fino al 6° posto della Germania, che però esporta nel Regno Unito pelli per un
valore inferiore ad 1/6 di quello italiano.
Nel tessile l'Italia resta il primo fornitore del Regno Unito, seguito molto da
vicino dal Belgio rispetto al quale, tuttavia presenta una specializzazione di
prodotto del tutto differente. Al 3° e 4° posto si trovano Germania e Francia con
andamenti difformi, la Germania, primo fornitore fino al 1995 è in continua
scivolata, mentre la Francia ha tenuto e, moderatamente accresciuto i livello di
export di indizio decennio.
Nell'abbigliamento l'Itali, già dal 1992, è stata superata dalla Cina contendendo
di anno in anno il 2° posto ad Hong Kong, trovandosi, in sostanza schiacciato tra
le importazioni dirette dalla Cina degli operatori della grande distribuzione inglese
e quelle, sempre cinesi, ma che passano dalle trading companies di Hong Kong.
Dal 1995 fino al 1998 le esportazioni italiane nel regno unito hanno in ogni caso,
ripreso un passo brillante.
Anche nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina, in questo caso co
volumi di export pari a solo 1/10 di quelli del Paese leader che gode di una quota
elevatissima (56%) sul totale delle importazioni di pelletteria del Regno Unito,
flussi di export quantitativamente simili a quelli italiani provengono dall'Indis e
dalla Francia.
Gli USA
La caratteristica più evidente delle quote italiane sull'import americano è quella
di essere state, fin dal 1970 basse e di esserlo sostanzialmente rimaste fino ad
oggi.
Nel 1970, calzature e pelletteria facevano parzialmente eccezione a questa
caratteristica, le quote italiane erano infatti simili a quelle del Regno Unito, anzi
nelle calzature erano anche più elevate. Nessuno degli altri comparti della moda,
invece superava il 10%.
Solo pochi anni dopo il 1970 nelle calzature e nella pelletteria le quote italiane
erano però già scese a livelli molto più basse rispetto a quelle detenute negli altri
grandi mercati della moda. Nel 1976 le calzature italiane erano al 20% e la
pelletteria al 7%. Da questi livelli la pelletteria non si è più mossa fino ad oggi
tranne che per cicli congiunturali di qualche anno. Le calzature hanno continuato
la discesa fino al 7% del 1993 per poi stabilizzarsi intorno all'8%.
La quota italiana sulle importazioni di abbigliamento è stata, straordinariamente
stabile nel tempo, su livelli bassi, malgrado le tumultuose correnti che hanno
attraversato il mercato internazionale delle moda nel corso di 30 anni, e soprattutto
malgrado lo straordinario successo di immagine del Made in Italy nelle grandi
9
città e nella cultura popolare americane
Dal 9% del 1970, la quota italiana è subito scesa al 4% nel 1975 e li è rimasta
inchiodata per 27 anni, con lievi oscillazioni verso il basso, come nel'81-82,
quando è scesa al 2%, e verso l'alto, come negli anni del superdollaro quando,
però, non si è spinta oltre il 5%. In tutti questi anni l'abbigliamento italiano non è
riuscito a superare le barriere di una nicchia, quella dei prodotti di fascia elevata,
in resta inesorabilmente confinato. Una nicchia, appunto che vale, al massimo il
5% delle importazioni americane.
Simile nella sostanza, anche se con un profilo leggermente diverso è stato
l'andamento nel tessile. Le oscillazioni sono state modeste: stabile intorno al 5%
negli anni '70, stabilità anche se ad un livello di penetrazione un po' più elevato
(tra il 7% e il 9%) per tutti gli anni '80, e una lenta ridiscesa vero quota 5% negli
anni '90.
L'unico prodotto che, a partire dal 1985, ha mostrato una certa vivacità è la
pelle, che dopo 15 anni di oscillazioni intorno al 5%, è decollata nella seconda
metà degli anni '80 fino ad arrivare, nel 1998 vicina al 15% delle importazioni
americane.
Malgrado la quota ridotta, nelle calzature l'Italia resta il 2° fornitore degli USA
dietro la Cina che detiene una quota di mercato enorme (il 59%)la crescita delle
quote cinesi è stata travolgente, nel 1990 deteneva soltanto il 15%, nel corso degli
anni '90 a fronte di un incremento complessivo dell'import americano di calzature
di 4,3 miliardi di US$, quelle cinesi sono cresciute di ben 6,7 miliardi di dollari,
assorbendo quindi l'intero incremento del mercato e spiazzando fortemente gli
altri concorrenti a basso costo. A subirne maggiormente le conseguenze sono state
le importazioni dalla Corea che si sono ridotte d 2,5 miliardi di US$ e da Taiwan
(-1,4 miliardi di US$). I prodotti italiano, posizionati su mercati del tutto differenti
da quelli su cui si è sono consumati i maggiori cambiamenti, hanno mantenuto un
volume di export stabile ed il moderata crescita (misurato in US$),non insidiati
dalla crescita (modesta) dell'export spagnolo, e di quello inglese.
Anche nella Pelle l'Italia è il 2° paese fornitore degli USA, dietro l'Argentina,
storico fornitore del mercato americano che già nel 1972 aveva sostituito Regno
Unito e Francia come principale esportatore di pelli negli USA. La geografia dei
fornitori è però in rapida evoluzione con Repubblica Dominicana e Messico in
rapida crescita che potrebbero già nel 2000 aver raggiunto l'Italia.
Unico paese non asiatico tra i primi 6 fornitori degli USA, l'Italia si colloca al
3° posto nelle importazioni americane di pelletteria. Anche in questo caso la Cina
domina il mercato con la metà di tutte le importazioni americane, ma anche
Thailandia (2° fornitore) e Filippine (4 fornitore) hanno registrato tassi di crescita
molto elevati, mentre in calo sono Taiwan (5°) e la Corea (6°).
Per trovare l'Italia nella graduatoria dei principali paesi fornitori degli USA
nell'abbigliamento bisogna scendere fino al 13° posto. La crescita della Cina e lo
sviluppo dei flussi di importazione dai paesi del Centro-America e del Nafta
hanno accompagnato l'esplosione delle importazioni di abbigliamento americane e
un rimescolamento delle posizioni dei fornitori. La battaglia si è svolta soprattutto
9
Si veda a questo proposito G. Malossi (a cura di), Volare, l'icona italiana nella cultura
globale, Edizioni Bolis, Bergamo, 1999.
su prodotti dal posizionamento molto lontano da quello italiano e hanno coinvolto
la Cina (1° fornitore), in forte crescita, il Messico (2°) e la Republica Dominicana
(4°) entrambi con tassi di crescita esplosivi, Taiwan (5°) e Corea (6°), in netto
declino. Le esportazioni Italiane hanno ristagnato fino al '95 ed hanno mostrato
una maggior vivacità dopo la svalutazione della lira, insufficiente in ogni caso a
generare incrementi di quote.
L'Italia si trova all'8° posto tra i fornitori di prodotti tessili, in un mercato
fortemente regionalizzato che vede al 1° posto il Canada e al 3° il Messico. Tra di
essi la Cina, insidiata dalla forte crescita messicana (i dati 2000 potrebbero far
scalare di un posto le importazioni cinesi).
Il Giappone
Il mercato giapponese si è fatto difficile negli ultimi anni per i prodotti della
moda italiana, dopo il loro momento migliore tra il 1989 e il 1991.
Nelle calzature la quota italiana sull'import giapponese è decresciuta
rapidamente nei primi anni '70 stabilizzandosi, con oscillazioni congiunturali tra
l'11% e il 15% per tutti gli anni '80, Nello stesso decennio si è verificato un
notevole successo della pelletteria italiana che è arrivata a contare nel 1983 per
oltre il 50% delle importazioni giapponesi.
Per quanto riguarda gli altri settori il mercato giapponese non è stato privo di
soddisfazioni per i prodotti italiani, almeno fino alla metà degli anni'90.
Tessile, abbigliamento e pelle hanno visto crescere costantemente le quote
italiane, che nel 1970 andavano da un minimo del 5% (pelle) ad un massimo
dell'8% (abbigliamento). Nel 1986 il tessile era arrivato al 10%, ma i risultati
migliori si sono avuti all'inizio degli anni '90 quando l'abbigliamento e il tessile
sono arrivati al 14% e la pelle al 9%.
Il periodo favorevole ai prodotti italiani sembra tuttavia essersi esaurito,
lasciando spazio ad un trend negativo. La quota italiana sulle importazioni
giapponesi si è dimezzata nel corso degli anni '90 sia nel tessile che
nell'abbigliamento scendendo nel 1999 al 6% (dal 14% del 1990), le calzature
hanno fatto meglio solo di poco fermandosi al 10% nel '99 (rispetto al 15% del
1990) solo la pelle e la pelletteria hanno tenuto nella seconda metà degli anni '90
le stesse quote realizzate nella prima metà.
Nelle calzature l'Italia si trova al 2° posto tra i fornitori del Giappone, a
notevole distanza dal leader che è la Cina per la quale valgono le considerazioni
già svolte riguardo agli USA: posizionamento lontanissimo da quello italiano,
quota elevatissima (62%) sul totale dell'import giapponese, crescita travolgente
negli anni '90 (i flussi sono decuplicati tra il '90 e il 99). Al terzo posto dietro
l'Itale e in declino a causa della concorrenza cinese si trova la Corea, fino al 1991
maggior fornitore e superata anche dall'Italia nel 1997.
La Corea si trova invece davanti all'Italia che è relegata al 3° posto nella pelle.
Anche in questo mercato la Cina ha conquistato la leadership in un contesto,
peraltro di scarsa dinamica complessiva del mercato e lo ha fatto a spese degli altri
produttori asiatici. I flussi di export italiani sono invece piuttosto dinamici e il
testa a testa con la Corea potrebbe vedere nei prossimi anni (come è già peraltro
accaduto a metà anni '90) prevalere l'Italia.
L'evoluzione negativa degli anni '90 ha fatto scivolare l'Italia al 6° posto tra i
fornitori di tessile del Giappone con una contrazione accentuata dal 1997.Pur in
contrazione, Una maggiore tenuta rispetto a quelle italiane hanno mostrato le
esportazioni taiwanesi (al 5° posto) americane (gli Usa sono al 3° posto) e
Coreane (2°), in crescita sono invece i produttori a basso costo cinesi (1° con
export raddoppiato rispetto al 1990) e indonesiani (4° con export '99 pari a 7 volte
quello del 1990).
Nell'abbigliamento l'Italia è il 3° fornitore dietro la Cina, che ha registrato
anche in questo caso una straordinaria performance negli anni '90 (export
quintuplicato dal '90 al '99) e la Corea che invece pare in declino ed è stata
penalizzata nella fase di crisi finanziaria che ha colpito l'Asia del far-east nel
1997. Nel 1999 l'Italia ha ormai raggiunto la Corea (che nel 1991 era il maggior
fornitore del Giappone) e con ogni probabilità la supererà nei prossimi anni.
Nella pelletteria l'Italia è al 2° posto dietro la Cina che ha sofferto più dell'Italia
la gelata del 1997 che ha sostanzialmente arrestato la crescita del mercato
giapponese. Al 3° posto dietro l'Italia si trova la Francia che nel periodo pre-1997
ha perso quote rispetto ai prodotti italiani nel segmento alto del mercato.
5. Le esportazioni dell'industria toscana della moda
(1991-1999)
.5.1.
Introduzione
L'industria toscana della moda è un universo eterogeneo composto da 22.300
aziende (39,2% sul totale manifatturiero), in prevalenza di piccola media
dimensione, per un'occupazione complessiva che sfiora i 145.000 addetti
10
(38,1%) .
Praticamente tutti i comparti della filiera sono rappresentati: su scala nazionale
con punte di rilievo nel tessile, nell'abbigliamento e nelle calzature mentre, pur se
sicuramente non trascurabili almeno dal punto di vista qualitativo, hanno un peso
minore le produzioni conciari e della pelletteria.
Uno degli elementi che lo caratterizza maggiormente è la forte concentrazione
territoriale:
• per quanto concerne l'abbigliamento e accessori nel distretto pratese (tessile e
maglieria), nella dorsale Firenze – Prato – Pistoia, nell'aretino e nell'empolese;
• per quanto riguarda il conciario e le calzature a Santa Croce sull'Arno e, nelle
aree di Monsummano Terme e Capannori.
La particolare struttura imprenditoriale, incentrata su una fitta rete di micro
aziende, spesso a conduzione familiare e legata da un complesso intreccio di
rapporti di sub-fornitura, non impedisce all'industria toscana della moda di essere
fortemente votata all'export tanto da far ritenere che proprio la moda sia il cuore
11
della proiezione internazionale del sistema produttivo regionale .
Con circa 12.800 miliardi (1999), il comparto T.A.C. rappresenta una quota che
oscilla (a seconda degli anni) tra il 40 e il 45 per cento del totale delle vendite
all'estero della regione, percentuale che sale al 50% se si considerano anche le
esportazioni di macchinari in qualche modo riferibili al sistema moda. Rapportate
al corrispondente aggregato nazionale (65.600 miliardi nel 1999) le produzioni
toscane del settore contribuiscono per quasi il 20%.
10
I dati dell'ultimo Censimento Intermedio dell'Industria e dei Servizi (ISTAT 1997)
confermano l'esistenza di una struttura imprenditoriale largamente incentrata su piccole o
addirittura micro imprese. Mentre infatti il sistema moda toscano è al primo posto in
termini di unità locali esso è soltanto terzo (dietro a Lombardia e Veneto) in termini di
numero di addetti. Per dare un'idea delle distanze è sufficiente osservare che, ad esempio,
la Lombardia ha circa 1.100 unità locali in meno (21.200 contro le 22.300 della Toscana)
e quasi 72.000 addetti in più (216.000 contro 144.500).
11
Cfr. A. CAVALIERI – Lettera Irpet, n. 14 (1999) e A. CAPORALE – Le Caratteristiche
del Sistema Economico-Produttivo della Toscana in G. MUSETTI (a cura di)– Sistemi
Economici Locali e Cluster di Imprese, BIC Toscana (2000).
Dal punto di vista della composizione merceologica, vi è una sostanziale
equivalenza tra prodotti finiti e prodotti intermedi anche se esistono differenze
talvolta considerevoli in termini di performance e di mercati di sbocco.
Il settore più rilevante in termini relativi è quello della pelletteria e calzature
(4.700 Mld.). In esso sono comprese la filiera conciaria (1.000 Mld.), la
fabbricazione di articoli in pelle (850 Mld.) e la produzione di calzature (2.800
Mld.).
Si tratta di un settore che, malgrado la posizione di assoluto rilievo nel
complesso delle esportazioni toscane - e contribuisca per circa il 25% al totale
nazionale delle esportazioni della categoria - è probabilmente quello che ha
sofferto di più in particolare nel settore della pelletteria.
Figura 11
Regione Toscana
Composizione delle esportazioni del sistema moda per settore (1999)
Filati
4,6%
Pelletteria e
calzature
36,7%
Tessuti
23,8%
Abbigliamento ed
affini
15,1%
.1.1.1.
Altri prodotti
tessili
4,5%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su
dati ISTAT
Maglieria
15,3%
Un altro 15% del totale delle esportazioni, poco meno di 2.000 Mld., è
composto da articoli di abbigliamento e affini. Le vendite all'estero di questo
comparto sono destinate per oltre il 40% ai mercati extraeuropei ed il loro peso sul
totale nazionale è di circa l'11,8%.
La filiera tessile copre il rimanente 48,2% delle esportazioni del comparto. La
categoria in assoluto più rilevante è quella dei tessuti con 3.000 Mld che salgono a
3.265 Mld se si considerano anche i cosiddetti Tessuti Speciali che le statistiche
ufficiali sono solite includere nella voce Altri Prodotti Tessili. In questa sede,
come era lecito attendersi, gioca un ruolo determinante il distretto pratese che
contribuisce, da solo, al 96,5% del totale delle esportazioni regionali e a circa il
12
25% di quelle nazionali .
Seguono la maglieria (1.960 Mld.) e i filati (591 Mld.). L'ultimo 4,5% è da
catalogare nella categoria residuale Altri Prodotti Tessili (574 Mld.) che
comprende materie prime (cascami e fibre), alcune tipologie di prodotti finiti
(passamanerie, nastri, corde) e, come accennato in precedenza, la voce tessuti
speciali (260 Mld.).
.5.2.
L'evoluzione delle esportazioni per prodotto e destinazione
.5.3.
Il quadro generale
Nel corso degli anni '90 la quota della moda sul totale delle esportazioni
regionali è andata progressivamente assottigliandosi passando dal 43,9% (1991) al
37,9% (1999). Il principale mercato di riferimento resta quello dell'Unione
Europea ed europeo in generale che assorbe circa i due terzi dei prodotti esportati.
Il mercato europeo ha avuto nel decennio trascorso un andamento molto
sfavorevole: i flussi di esportazioni in lire costanti del sistema moda toscano
verso la Germania, storicamente il maggiore acquirente di prodotti della moda, dal
'91 ad oggi sono diminuiti di circa 13 punti e mezzo, la quota, sul totale delle
esportazioni di moda, è scesa dal 27,1% al 17,4%.
12
Per un'analisi dettagliata riferita all'andamento del commercio estero del distretto
industriale pratese nel 1999, cfr. A. BALESTRI (a cura di) – Prato sui mercati mondiali
– 1999, U.I.P. – ed. La Spola (2000).
Tabella 4
Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda
(Valori assoluti e variazioni su anno precedente (1998-99)
1998
Quantità (tonn.)
Filati
Tessuti
Maglieria
Altri tessili
Totale tessili
Valore (Mln.)
Var. anno
prec.
Val. ass.
1999
Val. ass.
Quantità (tonn.)
Var. anno
prec.
Valore (Mln.)
Var. anno
prec.
Val. ass.
Val. ass.
Var. anno
prec.
33.418
100.943
42.156
46.939
223.457
-5,0%
-11,0%
-0,8%
5,2%
-5,2%
557.374
3.352.328
1.953.045
616.649
6.479.395
-4,1%
-6,6%
2,2%
11,4%
-2,3%
35.605
93.739
41.830
47.370
218.544
6,5%
-7,1%
-0,8%
0,9%
-2,2%
590.740
3.040.879
1.960.030
573.807
6.165.456
6,0%
-9,3%
0,4%
-6,9%
-4,8%
67.901
-3,8%
1.927.566
2,6%
60.819
-10,4%
1.925.701
-0,1%
Pelli conciate
Articoli in pelle
Calzature
Totale pellett. e calzature
71.616
7.349
52.568
131.533
-9,7%
-18,4%
-5,2%
-8,5%
1.199.394
935.448
2.801.997
4.936.839
-5,3%
-19,7%
-3,0%
-7,2%
70.522
6.419
51.015
127.956
-1,5%
-12,7%
-3,0%
-2,7%
1.075.515
854.121
2.767.912
4.697.549
-10,3%
-8,7%
-1,2%
-4,8%
Totale Moda
422.890
-6,0%
13.343.801
-3,5%
407.319
-3,7%
12.788.705
-4,2%
--
--
33.990.875
0,3%
--
--
33.752.490
-0,7%
Abbigliamento
TOTALE GENERALE
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Tabella 5
Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda (1991-1999)
(Valori in Lire correnti)
1991
PAESE
Mln. di Lire
Europa
5.292.937
1992
% su
Totale
71,4
Mln. di Lire
5.780.879
1993
% su
Totale
72,7
Mln. di Lire
6.551.290
1994
% su
Totale
70,5
Mln. di Lire
7.200.233
1995
% su
Totale
65,9
Mln. di Lire
7.932.312
1996
% su
Totale
62,8
Mln. di Lire
7.901.690
1997
% su
Totale
59,8
Mln. di Lire
8.777.073
1998
% su
Totale
63,5
Mln. di Lire
8.786.045
1999
% su
Totale
65,8
Mln. di Lire
8.460.137
% su
Totale
66,2
di cui:
Austria
209.541
2,8
206.905
2,6
224.552
2,4
239.500
2,2
256.253
2,0
244.195
1,8
234.277
1,7
220.181
1,7
191.933
1,5
Belgio e Lux
204.810
2,8
215.984
2,7
233.713
2,5
255.143
2,3
267.831
2,1
248.889
1,9
260.723
1,9
273.697
2,1
272.009
2,1
Danimarca
56.679
0,8
73.463
0,9
83.332
0,9
94.871
0,9
106.330
0,8
115.622
0,9
130.352
0,9
148.647
1,1
145.518
1,1
Finlandia
45.491
0,6
36.111
0,5
33.810
0,4
44.495
0,4
55.532
0,4
48.468
0,4
47.611
0,3
49.766
0,4
42.355
0,3
945.158
12,7
1.014.489
12,8
1.187.773
12,8
1.287.301
11,8
1.372.801
10,9
1.315.936
10,0
1.291.381
9,3
1.261.021
9,5
1.277.558
10,0
2.008.043
27,1
2.089.374
26,3
2.425.415
26,1
2.530.221
23,2
2.738.864
21,7
2.447.283
18,5
2.419.703
17,5
2.339.446
17,5
2.231.613
17,4
150.860
2,0
169.819
2,1
198.066
2,1
230.265
2,1
261.656
2,1
273.150
2,1
276.479
2,0
254.570
1,9
231.975
1,8
Francia
Germania Unita
Grecia
Irlanda
Paesi Bassi
37.724
0,5
40.403
0,5
28.859
0,3
33.013
0,3
37.610
0,3
35.975
0,3
37.639
0,3
38.103
0,3
33.229
0,3
253.924
3,4
265.170
3,3
309.957
3,3
343.894
3,1
364.608
2,9
372.368
2,8
402.987
2,9
372.795
2,8
352.221
2,8
Portogallo
176.457
2,4
208.876
2,6
213.380
2,3
246.075
2,3
251.841
2,0
237.143
1,8
256.222
1,9
277.585
2,1
295.916
2,3
Regno Unito
447.371
6,0
498.079
6,3
577.481
6,2
704.417
6,4
785.546
6,2
843.395
6,4
1.008.148
7,3
1.037.409
7,8
993.207
7,8
Spagna
239.748
3,2
299.218
3,8
312.762
3,4
395.026
3,6
438.485
3,5
487.635
3,7
525.209
3,8
628.692
4,7
703.221
5,5
Svezia
72.106
1,0
74.626
0,9
66.569
0,7
70.764
0,6
84.846
0,7
89.007
0,7
79.964
0,6
86.117
0,6
73.799
0,6
Africa
82.745
1,1
91.471
1,2
124.927
1,3
175.557
1,6
240.703
1,9
271.267
2,1
298.647
2,2
311.950
2,3
300.125
2,3
231.298
3,1
293.956
3,7
405.130
4,4
594.071
5,4
713.558
5,6
811.279
6,1
788.527
5,7
622.820
4,7
605.271
4,7
Australia ed altri
49.690
0,7
55.210
0,7
55.231
0,6
98.617
0,9
152.286
1,2
189.144
1,4
149.841
1,1
144.806
1,1
108.830
0,9
Centro e Sud America
55.238
0,7
86.823
1,1
131.270
1,4
161.572
1,5
169.853
1,3
179.074
1,4
232.498
1,7
230.019
1,7
170.161
1,3
294.993
4,0
245.588
3,1
292.336
3,1
448.045
4,1
680.063
5,4
827.607
6,3
620.744
4,5
477.615
3,6
416.891
3,3
Altri Estremo Oriente
Giappone
Medio Oriente
90.879
1,2
118.101
1,5
182.723
2,0
201.063
1,8
229.626
1,8
210.898
1,6
203.087
1,5
187.646
1,4
144.630
1,1
140.459
1,9
166.265
2,1
217.192
2,3
348.255
3,2
524.275
4,1
706.304
5,3
579.142
4,2
348.279
2,6
337.894
2,6
Nord America
1.177.700
15,9
1.111.173
14,0
1.328.623
14,3
1.696.771
15,5
1.994.216
15,8
2.110.880
16,0
2.182.860
15,8
2.234.622
16,7
2.244.767
17,6
TOTALE MODA
7.415.940 100,0
NICS
TOTALE GENERALE
16.882.852
--
7.949.468 100,0
17.795.234
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
--
9.288.721 100,0
22.058.957
--
10.924.184 100,0
12.636.892 100,0
13.208.143 100,0
13.832.419 100,0
13.343.801 100,0
12.788.705 100,0
25.735.678
30.871.726
32.352.851
33.905.924
33.990.875
33.752.490
--
--
--
--
--
--
Tabella 6
Regione Toscana: Esportazioni del settore filati (1998-1999)
(Valori assoluti e variazioni percentuali)
1998
1999
Quantità (tonn.)
Val. ass.
Filati di cotone
Filati di lana
Filati di vegetali (escl. cotone)
Filati fibre tess. artific. o sint.
Seta trattata, filati casc. seta
Filati da cucire
Totale Filati
4.098
8.131
950
19.922
18
300
33.418
Var. anno
prec.
Valore (Mld.)
Val. ass.
5,3%
-13,9%
-5,1%
-2,2%
-43,5%
-31,6%
-5,0%
60.352
203.612
9.856
275.798
1.480
6.277
557.374
Var. anno
prec.
-3,0%
-8,4%
46,2%
-1,7%
-24,0%
-17,8%
-4,1%
Quantità (tonn.)
Val. ass.
4.989
8.529
811
20.898
33
345
35.605
Var. anno
prec.
Valore (Mld.)
Val. ass.
21,7%
4,9%
-14,6%
4,9%
85,6%
15,2%
6,5%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
.5.4.
L'analisi per prodotto
Per quanto riguarda i filati (Figura 12) gli effetti benefici della svalutazione
conseguente alla crisi del Sistema Monetario Europeo si sono esauriti già con il
1996 ma, a partire dall'anno successivo, il settore ha palesato quei segnali di
ripresa che oggi lo pongono ai vertici della ideale graduatoria per tassi di crescita.
Nel corso del 1999 il settore (+6,0%) è quello che si è comportato meglio
all'interno della filiera grazie soprattutto all'exploit dei filati di lana (+10%) e alla
sostanziale tenuta dei filati sintetici. Particolarmente bene sono andate le vendite
sul mercato europeo, tornato sui livelli 1995, e la tendenza sembrerebbe
confermata anche dai primi dati relativi al 2000 che vedono, accanto al nome
Europa, un buon +25%. Sul fronte dei prezzi, infine, la politica dei produttori
toscani appare orientata ad una sostanziale stabilità probabilmente agevolata dalla
generale diminuzione dei prezzi delle materie prime.
Revisione del 09/10/02 - pag 43
74.532
224.027
7.166
275.198
2.822
6.995
590.740
Var. anno
prec.
23,5%
10,0%
-27,3%
-0,2%
90,8%
11,4%
6,0%
Figura 12
Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - FILATI
(Dati deflazionati – Indice 1991 = 100)
210,0
190,0
170,0
150,0
130,0
110,0
90,0
70,0
50,0
1991
1992
1993
1994
1995
Europa
1996
1997
1998
1999
Mondo
Rimanendo sempre nell'ambito della filiera tessile è possibile osservare un
andamento in complesso positivo anche per quanto concerne la maglieria (Figura
13) che, dopo anni difficili, ha ritrovato vigore. Anche per la maglieria i mercati
europei presentano ancora difficoltà e i volumi di export faticano a recuperare i
livelli di inizio decennio. All'andamento negativo degli articoli in lana ha però
corrisposto una crescita dei prodotti sintetici che negli ultimi due anni (+10,5% in
totale) hanno ampiamente recuperato le posizioni perse in precedenza.
Figura 13
Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - MAGLIERIA
(Dati deflazionati – Indice 1991 = 100)
130,0
110,0
90,0
70,0
50,0
1991
1992
1993
1994
1995
Europa
1996
1997
1998
1999
Mondo
Revisione del 09/10/02 - pag 44
Per quanto riguarda infine i tessuti (Figura 14) la svalutazione di metà
decennio ha avuto effetti positivi, ma che si sono esauriti nel 1996 lasciando il
posto ad una stabilità verso l'Europa e ad un calo complessivo. In calo sono
risultate praticamente tutte le tipologie di prodotto e, a soffrire di più, sono proprio
i prodotti (lane e sintetici) che hanno un peso maggiore nell'economia del settore.
Negli ultimi due anni tutto ciò si traduce in un –9,6% (1999) che si somma al –
5,5% dell'anno precedente.
Figura 14
Regione Toscana: Andamento delle esportazioni - TESSUTI
(Dati deflazionati – Indice 1991 = 100)
150,0
130,0
110,0
90,0
70,0
50,0
1991
1992
1993
1994
1995
Europa
1996
1997
1998
1999
Mondo
Nei tessuti si avverte, più che per altri prodotti la forte concorrenza sia da parte
di concorrenti più antichi (su tutti la Francia), sia da quelli di seconda generazione,
ma ormai consolidati (Cina, Tailandia, Taiwan, Malaysia) e soprattutto dall'Ultima
generazione dell'Est Europeo (Romania, Repubblica Ceca, Paesi Baltici).
I produttori toscani e pratesi in particolare faticano a controbilanciare dal lato
dei prezzi le flessioni registrate sul versante delle quantità e, in qualche caso, la
riduzione in termini di valore è addirittura superiore alla corrispondente
diminuzione dei volumi esportati (Tabella 7 in appendice).
Revisione del 09/10/02 - pag 45
Sul versante dei prodotti finiti (abbigliamento, pelletteria, calzature), i dati
sembrerebbe confermano in linea generale gli andamenti
registrati nei
semilavorati tessili. Anche in questo caso andamenti positivi (ad esempio
nell'abbigliamento) si alternano con andamenti negativi (cuoio e calzaturiero).
Per quanto riguarda l'abbigliamento (Figura 15) il settore ha retto nel
complesso abbastanza bene riuscendo ad acquisire stabilmente quote di mercato di
un certo rilievo specialmente verso l'Estremo Oriente, Giappone in testa.
Figura 15
Regione
Toscana:
ABBIGLIAMENTO
(D i d fl i
i I di
170,0
Andamento
1991
100)
1994
1995
delle
esportazioni
-
150,0
130,0
110,0
90,0
70,0
50,0
1991
1992
1993
Europa
1996
1997
1998
1999
Mondo
Anche le esportazioni verso l'Europa sono andate meglio rispetto ad altri settori
e a fronte della diminuzione (per la verità piuttosto marcata) sul mercato tedesco si
registra un consolidamento delle vendite in Francia, Spagna e Regno Unito.
Dall'analisi delle singole voci nel biennio 1998-99 (Tabella 8) emerge una
migliore performance degli articoli di vestiario rispetto alla categoria accessori
che però ha un peso relativo decisamente minore.
Contrariamente a quanto avviene nel tessile, inoltre, sembrerebbe che i
produttori di articoli di abbigliamento toscani siano maggiormente in grado di
agire sulla leva dei prezzi, giocando quindi più sul differenziale in termini di
valore aggiunto che sui volumi.
Revisione del 09/10/02 - pag 46
Tabella 8
Regione Toscana: Esportazioni del settore abbigliamento (199899)
( l
l
d
)
1998
1999
Quantità (tonn.)
Val. ass.
Oggetti cuciti di lana
Oggetti cuciti di seta
Ogg. cuc. fibre artif.li o sint.
Ogg. cuc. fibre tess. vegetali
Lavori da pellicciaio
Altri prod. Vestiario
Totale Vestiario
Bottoni
Cappelli di feltro e altro
Guanti di pelle
Ombrelli
Totale Accessori
Var. anno
prec.
Valore (Mld.)
Val. ass.
Quantità (tonn.)
Var. anno
prec.
Val. ass.
Var. anno
prec.
Valore (Mld.)
Val. ass.
Var. anno
prec.
2.810
164
6.470
46.393
375
9.060
65.272
5,3%
-19,5%
19,7%
-7,6%
21,2%
-0,8%
-3,9%
324.539
67.232
309.441
690.748
44.617
351.017
1.787.594
7,6%
-14,8%
16,8%
5,2%
2,9%
-8,3%
3,4%
2.913
162
7.872
38.162
272
9.185
58.566
3,7%
-1,3%
21,7%
-17,7%
-27,4%
1,4%
-10,3%
350.015
69.352
338.476
617.747
34.733
385.456
1.795.778
7,8%
3,2%
9,4%
-10,6%
-22,2%
9,8%
0,5%
70
1.696
12
850
2.628
-28,3%
-7,6%
-29,2%
13,2%
-2,7%
4.424
122.034
3.887
9.628
139.973
-11,6%
-4,9%
-15,2%
4,5%
-4,9%
51
1.593
13
596
2.252
-27,5%
-6,1%
8,1%
-29,9%
-14,3%
2.783
116.247
3.110
7.783
129.922
-37,1%
-4,7%
-20,0%
-19,2%
-7,2%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Revisione del 09/10/02 - pag 47
Per quanto riguarda il settore cuoio, pelli e calzature, dopo una prima parte di
decennio nel complesso abbastanza positiva, il settore ha incontrato notevoli
difficoltà. La situazione appare oggi piuttosto grave tanto che, per gli ultimi tre
anni, è possibile stimare una flessione media delle vendite all'estero nell'ordine di
oltre venti punti percentuali in termini reali.
Gli articoli della pelletteria sono quelli che hanno sofferto di più: in Europa, e
ragionando sempre in termini reali, le vendite di borse, cinture ed altri articoli
simili prodotti in Toscana sono addirittura diminuite di circa 8 punti rispetto al
1991. La crisi della pelletteria sembra comunque generalizzata ed il settore ha
sicuramente accusato più di altri i colpi inferti dal tracollo finanziario dei paesi del
Far-East. E' sufficiente infatti un rapido sguardo ai dati per rendersi conto che, se
a fine 1996 il settore esportava verso l'Asia merci per un valore complessivo
superiore ai 530 miliardi (circa il 40% del totale), tre anni dopo le vendite sul
mercato Orientale apparivano praticamente dimezzate (275 Mld.).
Tabella 9
Regione Toscana: Esportazioni del settore cuoio, pelletteria e calzature (1998-99)
(Valori assoluti e variazioni su anno precedente)
1998
1999
Quantità (tonn.)
Val. ass.
Pelli conciate col pelo
Pelli conciate senza pelo
Casc.lavor.ne pelli e cuoio
Totale Concerie
Lavori in pelle e cuoio
Calzature di pelli
Calzature non pelle
Totale Calzature
Var. anno
prec.
Valore (Mln.)
Val. ass.
Quantità (tonn.)
Var. anno
prec.
Val. ass.
Var. anno
prec.
Valore (Mln.)
Val. ass.
Var. anno
prec.
218
57.388
14.010
71.616
-31,1%
-10,3%
-7,0%
-9,7%
24.369
1.168.904
6.122
1.199.394
-8,2%
-5,4%
3,9%
-5,5%
177
58.247
12.098
70.522
-19,0%
1,5%
-13,6%
-1,5%
22.597
1.048.443
4.475
1.075.515
-7,3%
-10,3%
-26,9%
-10,3%
7.349
-18,4%
935.448
-19,3%
6.419
-12,7%
854.121
-8,7%
42.585
9.983
52.568
-9,2%
16,7%
-5,2%
2.534.063
267.934
2.801.997
-5,4%
27,1%
-3,0%
39.912
11.103
51.015
-6,3%
11,2%
-3,0%
2.448.987
318.925
2.767.912
-3,4%
19,0%
-1,2%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Considerazioni abbastanza simili, anche se con toni forse più smorzati, possono
essere condotte anche per le altre categorie della filiera. Per quanto riguarda i
prodotti della concia e del cuoio le difficoltà degli ultimi tempi si sono
concretizzate soprattutto sul versante dei prezzi probabilmente quale logica
conseguenza del tentativo di esplorare nuovi mercati.
Revisione del 09/10/02 - pag 48
Almeno per il momento, tuttavia, le perdite subite (anche se consistenti) non
sembrano tali da compromettere i buoni risultati del passato.
Sul fronte delle calzature, infine, si registra, tranne qualche eccezione, una
sostanziale tenuta dei principali mercati di riferimento. In effetti, contrariamente a
quanto avvenuto per la pelletteria, il mercato asiatico ha cominciato a manifestare
i primi cenni di ripresa già a partire dalla seconda metà del 1999 (+3,8%) e la
situazione in Europa appare nel complesso sufficientemente stabile. Tre anni
consecutivi di segni meno sia in termini di valore che di quantità non consentono
tuttavia di abbassare la guardia considerando anche i campanelli di allarme che si
stanno accendendo sui mercati Giapponese e, soprattutto, Nord Americano
(rispettivamente –6,3% e –22,9% nel 1999).
Figura 16
Regione Toscana: Andamento delle esportazioni – CUOIO - CALZATURE
(Dati deflazionati – Indice 1991 = 100)
170,0
150,0
130,0
110,0
90,0
70,0
50,0
1991
1992
1993
1994
1995
Europa
1996
1997
1998
1999
Mondo
Revisione del 09/10/02 - pag 49
.5.5.
L'analisi per destinazione
Il principale mercato di riferimento soprattutto per i prodotti della filiera tessile
resta quello dell'Unione Europea. In valore due terzi delle esportazioni di tessuti e
circa tre quarti di quelle di maglieria e altri tessili sono destinate al mercato U.E.
Per i filati la percentuale scende a poco più del 50 percento e si assesta sui livelli
degli altri prodotti del comparto.
Figura 17
Regione Toscana: Composizione delle esportazioni
del sistema moda per area geografica (1999)
Altri
4,5%
Altri Europa
12,6%
Nord America
17,6%
Asia
11,8%
U.E.
53,5%
In un decennio, la struttura dei mercati di sbocco si è trasformata
significativamente.
Dal 1991 la quota delle esportazioni del sistema moda toscano sul mercato
europeo si è ridotta sensibilmente passando dal 65,4% all'attuale 53,5%..
La flessione (in termini relativi) ha investito praticamente tutti i settori
compresi i prodotti della filiera tessile: filati –21%, tessuti –13%, maglieria –12%
(Figura 18).
Revisione del 09/10/02 - pag 50
Figura 18
Regione Toscana: Percentuale di export del sistema moda
verso il mercato U.E (1991/1999)
100,0%
80,0%
60,0%
40,0%
43%
60%
52%
73%
Pelletteria e
Calzature
Tessuti
20,0%
73%
49%
70%
85%
67%
77%
46%
59%
0,0%
Filati
1991
Maglieria
Altri tessili
Abbigliamento
1999
Attualmente, un altro 17,6% del totale delle esportazioni (circa 2.250 miliardi)
è destinato al mercato Nord Americano. Come era logico attendersi gli Stati Uniti
(poco meno di 2.100 miliardi) sono di gran lunga il maggior polo di attrazione
dell'area.
Diversamente da quanto avviene per l'Europa sul mercato statunitense hanno un
peso decisamente maggiore le vendite di articoli finiti: il cuoio-calzaturiero
toscano fattura in America Settentrionale circa 1.330 miliardi (pari al 28% del
totale delle esportazioni del settore) mentre per l'abbigliamento (450 miliardi) le
vendite nell'area rappresentano una quota che si aggira attorno al 23%. A livello
aggregato, rispetto al 1991, la quota destinata al Nordamerica sul totale delle
esportazioni del comparto è cresciuta di appena l'1,7%, decisamente poco se si
tiene conto dell'elevato tasso di crescita sostenuto dagli Stati Uniti nel corso degli
anni novanta.
Al 3° posto nella graduatoria delle aree di destinazione dell'export toscano di
prodotti T.A.C. troviamo gli altri paesi Europei che, a fine 1999, sopravanzavano
l'intera Asia di quasi un punto percentuale. Ad eccezion fatta dei filati (82 miliardi
contro 150) e degli articoli di abbigliamento (230 contro 250) i Paesi non aderenti
all'Unione (su tutti Romania, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria) hanno ormai
un peso, in termini di mercato di sbocco, superiore al continente asiatico per tutti i
prodotti della filiera.
La crisi finanziaria che a partire dal 1997 ha investito il Sud-Est Asiatico ha
costretto i produttori toscani ha rivedere le proprie strategie di penetrazione
Revisione del 09/10/02 - pag 51
commerciale e a sperimentare nuovi mercati. Rispetto al 1996 le vendite dirette a
Oriente si sono praticamente dimezzate e la quota sul totale delle esportazioni del
comparto moda regionale è scesa dal 17,8% al 10,6% (Figura 19). Sul solo
Giappone si registra una riduzione di export di oltre 400 miliardi
L'apertura dei mercati dell'ex blocco Sovietico avvenuta in coincidenza con la
caduta del Muro di Berlino ha comportato una crescita delle esportazioni verso
quell'area nel corso degli anni novanta soprattutto per quel che concerne i
semilavorati. Oggi il sistema moda toscano esport nell'area dell'Europa Centro
Orientale europeo una cifra che si aggira intorno ai 1.600 miliardi.
Di questi circa 500 provengono dalla vendita di tessuti, una somma che ormai
rappresenta il 16% del totale delle vendite all'estero del settore. Ma anche per gli
altri prodotti del comparto si registrano percentuali di una certa consistenza, dal
27% (230 miliardi) nella pelletteria al 14-15% nei prodotti della concia, nei filati e
negli altri tessili.
FIGURA 9
Regione Toscana: Percentuale di export del sistema
moda sui mercati extra U.E. (1991/1999)
20,0%
15,0%
10,0%
5,0%
17,6%
12,6%
6,0%
10,6%
16,0%
8,7%
17,8%
15,9%
9,0%
0,0%
Altri Europa
Nord America
Estremo Oriente
5,0%
4,0%
3,0%
2,0%
1,0%
3,2%
1,1%
1,2% 1,6%
0,7%
0,0%
Medio Oriente
1,4%
1,3%
Centro e Sud America
1991
1996
1,8% 3,5%
Altri
1999
Revisione del 09/10/02 - pag 52
Appendice al capitolo
tabelle
La fonte per tutti i grafici e:
elaborazioni Hermes lab su dati ISTAT
Revisione del 09/10/02 - pag 53
TABELLA 4
Regione Toscana: Esportazioni del settore maglieria (1998-1999)
(Valori assoluti e variazioni su anno precedente)
1998
1999
Quantità (tonn.)
Val. ass.
Maglieria e calze di lana
Maglieria e calze di seta
Magl. e calze fibre artif.
Magl. e calze fibre veg.li
Totale Maglieria
8.380
1.077
28.865
3.835
42.156
Var. anno
prec.
-13,5%
7,6%
2,9%
1,6%
-0,8%
Valore (Mld.)
Val. ass.
610.388
66.524
1.008.199
267.933
1.953.045
Quantità (tonn.)
Var. anno
prec.
-5,8%
7,6%
7,5%
2,6%
2,3%
Val. ass.
8.205
1.296
28.835
3.494
41.830
Var. anno
prec.
-2,1%
20,4%
-0,1%
-8,9%
-0,8%
Valore (Mld.)
Val. ass.
585.381
79.719
1.036.213
258.717
1.960.030
Var. anno
prec.
-4,1%
19,8%
2,8%
-3,4%
0,4%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Revisione del 09/10/02 - pag 54
TABELLA 5
Regione Toscana: Esportazioni del settore tessuti (1998-99)
(Valori assoluti e variazioni su anno precedente)
1998
1999
Quantità (tonn.)
Val. ass.
Tessuti di cotone
Tessuti di lana
Tessuti di seta
Tessuti di fibre vegetali
Tessuti fibre artif. o sint.
Tessuti speciali
Totale Tessuti
12.172
49.617
178
3.932
35.044
10.666
111.610
Var. anno
prec.
-4,5%
-12,6%
-10,3%
9,7%
-12,7%
2,4%
-9,9%
Valore (Mld.)
Val. ass.
399.749
1.567.304
18.369
219.380
1.147.526
258.759
3.611.087
Var. anno
prec.
3,5%
-11,0%
7,1%
17,9%
-7,2%
10,9%
-5,5%
Quantità (tonn.)
Val. ass.
12.193
47.716
133
3.436
30.261
8.573
102.312
Var. anno
prec.
0,2%
-3,8%
-25,1%
-12,6%
-13,6%
-19,6%
-8,3%
Valore (Mld.)
Val. ass.
401.891
1.444.093
13.981
187.087
993.826
224.257
3.265.136
Var. anno
prec.
0,5%
-7,9%
-23,9%
-14,7%
-13,4%
-13,3%
-9,6%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Revisione del 09/10/02 - pag 55
TABELLA 10
Regione Toscana: Esportazioni del sistema moda per prodotto e destinazione (1999)
(Valori in milioni di Lire)
Pelletteria e
Calzature
M.ni Lire
Nord America
Tessuti
% su
totale
paese
M.ni Lire
Filati
% su
totale
paese
M.ni Lire
Altri tessili
Maglieria
% su
totale
paese
M.ni Lire
% su
totale
paese
M.ni Lire
Abbigliamento
% su
totale
paese
M.ni Lire
TOTALE
% su
totale
paese
M.ni Lire
% su
totale
mondo
1.334.193
59,4%
158.170
7,0%
28.128
1,3%
241.587
10,8%
33.254
1,5%
449.434
20,0%
2.244.767
17,6%
Asia
578.545
38,4%
393.462
26,1%
148.204
9,8%
93.339
6,2%
40.763
2,7%
250.373
16,6%
1.504.686
11,8%
U.E.
2.020.828
29,5%
1.837.901
26,9%
290.776
4,2%
1.426.131
20,8%
382.310
5,6%
886.607
13,0%
6.844.553
53,5%
Altri Europa
594.822
36,8%
490.304
30,3%
81.798
5,1%
129.624
8,0%
87.699
5,4%
231.338
14,3%
1.615.583
12,6%
Altri
169.160
29,2%
161.043
27,8%
41.834
7,2%
69.349
12,0%
29.781
5,1%
107.949
18,6%
579.116
4,5%
4.697.549
--
3.040.879
--
590.740
--
1.960.030
--
573.807
--
1.925.701
-12.788.705
--
TOTALE SETTORE
% Settore su
totale mondo
36,7%
23,8%
4,6%
15,3%
4,5%
15,1%
FONTE: Elaborazioni Hermes Lab su dati ISTAT
Revisione del 09/10/02 - pag 56
Revisione del 09/10/02 - pag 57