Historia natural e cultura: aspetti del dibattito recente sul Nuovo

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Historia natural e cultura: aspetti del dibattito recente sul Nuovo
FERDINANDO ABBRI
Historia natural e cultura: aspetti del dibattito recente
sul Nuovo Mondo
“siccome la virtù di questi [Romani]
venne finalmente corrotta dal lusso asiatico,
così la virtù di quegli Americani è guasta
in gran parte dalla intemperanza europea,
che è entrata fra loro”.
(F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’impero degl’Incas, 1753)1
“… il Messico è felice. Frutto di quella libertà,
che unita alla prudenza, al solo fren soggiace
della legge, ch’io stesso sono il primo ad osservare”.
(FEDERICO II DI PRUSSIA – G. TAGLIAZUCCHI, Montezuma,
1755, Atto I, sc. I)2
Il 6 gennaio 1755 a Berlino, presso il Teatro Reale (Hofoper) voluto da
Federico II di Prussia, venne rappresentata l’opera Montezuma che aveva come
argomento la conquista e distruzione del Messico da parte degli spagnoli. La
musica era di Carl Heinrich Graun (1703/04-1759)3, il Kapellmeister di
Federico, e non solo l’argomento era stato scelto dal re ma lo stesso Federico
aveva scritto in francese il testo che il poeta di corte Giampiero Tagliazucchi
aveva tradotto e adattato in italiano in modo da poter essere intonato da
Graun. L’opera presentava Montezuma come la personificazione del sovrano
illuminato, pacifico, rispettoso delle leggi e dedito completamente al
benessere del proprio popolo mentre Hernan Cortés e gli spagnoli erano
l’espressione di un potere imperialistico e aggressivo. Nel finale dell’opera la
distruzione dell’impero messicano era la conseguenza inevitabile degli inganni
e dell’uso della forza da parte degli spagnoli: Montezuma e Cortés erano il
1 F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’impero degl’Incas, a cura di A. Morino, Sellerio Editore,
Palermo 1987, p. 15.
2 C.H. GRAUN, Montezuma. Oper in drei Akten. Herausgegeben von A. Mayer-Reinach,
Verlag von Breitkopf und Härtel, Leipzig 1904, p. 11.
3 Graun Carl Heinrich, in S. SADIE (ed.), The New Grove Dictionary of Music and Musicians,
Macmillan, London 1980, 7, pp. 644-646.
Bollettino Filosofico 27 (2011-2012): 217-231
ISBN 978-88-548-6064-3
ISSN 1593-7178-00027
DOI 10.4399/978885486064314
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simbolo di due modi opposti di esercitare il potere regale. L’opera costituiva
un nuovo capitolo della polemica antispagnola e anticattolica che alimentava
tanta cultura illuministica ma conteneva anche la rappresentazione esplicita di
un sovrano illuminato, e alcune caratteristiche prestate al sovrano messicano
rimandavano espressamente al Re di Prussia. A metà Settecento la scomparsa
Tenochtitlan veniva evocata sulle rive della Sprea in forma aspramente
polemica, e l’opera in musica si confermava uno strumento efficace di critica
filosofica e propaganda politica.
Due anni prima della rappresentazione del Montezuma Francesco
Algarotti (1712-1764), che era assai legato a Federico di Prussia e alla
corte di Berlino e molto attento alla struttura e al significato dell’opera in
musica4, aveva pubblicato un breve saggio sopra l’impero degli Incas,
ovvero sulla conquista del Perù nel quale aveva espresso una condanna
severa delle pratiche di conquista messe in atto dagli europei dopo la
scoperta dell’America5. Il saggio di Algarotti e l’opera di Graun
costituiscono due esempi significativi del permanere di quelle discussioni e
di quelle polemiche che, a causa della scoperta di una pluralità di mondi
sulla Terra, turbavano la coscienza europea sin dal Cinquecento.
Giova ricordare che nel corso del Settecento i viaggi intorno al mondo,
la presenza dei portoghesi e degli olandesi in Asia e i contatti di questi
ultimi con il Giappone, le scoperte geografiche, etnologiche e culturali nel
Pacifico avevano reso di nuovo attuale tutta quella serie di problemi
(filosofici, teologici, antropologici) che accompagnavano la scoperta di
civiltà altre, e da tre secoli questa scoperta assillava e tormentava l’Europa.
Nel 1778 il pastore e naturalista prussiano Johann Reinhold Forster (17291798) pubblicò a Londra le sue Observations made during a Voyage round the
World che costituivano un resoconto del secondo viaggio (1772-1775) di
James Cook intorno al mondo al quale Forster aveva preso parte col figlio
Georg6. Nel 1776 Georg Forster aveva infatti pubblicato il suo celebre
Voyage around the World, ossia una delle opere più fortunate di letteratura di
viaggio del tardo Settecento7.
Cfr. F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’opera in musica, per Marco Coltellini, Livorno 1763
(ed. or. Venezia 1755).
5 F. ALGAROTTI, Saggio sopra l’Impero, cit.
6 J.R. FORSTER, Observations made during a Voyage round the World on Physical Geography,
Natural History and Ethic Philosophy, Printed for G. Robinson, London 1778. Cfr. M.E.
HOARE, The Tactless Philosopher. Johann Reinhold Forster (1729-1798), The Hawthorn Press,
Melbourne 1976.
7 J.R. FORSTER, A Voyage Round the World. Bearbeitet von R.L. Kahn, Akademie
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Le Observations di Johann Reinhold non conobbero un grande successo
editoriale ma contengono una autentica miniera di informazioni riguardo alle
esplorazioni del Pacifico8. Quest’opera aveva come oggetto la geografia fisica,
la storia naturale ma anche la “ethic philosophy”, ossia gli usi e costumi dei
polinesiani e degli abitanti del Pacifico in genere. Forster elencava, con
prussiana precisione, i vari argomenti di storia naturale (la terra e i suoi strati,
l’acqua e l’oceano, l’atmosfera e i mutamenti del globo, i corpi organici e la
specie umana) che erano oggetto delle sue Observations e indicava le sue fonti
documentarie: il conte di Buffon e il naturalista svedese Torbern Olof
Bergman per la geografia fisica, Isaak Iselin per la storia filosofica del genere
umano, Johann Friedrich Blumenbach e John Hunter per l’anatomia.
L’oggetto della sua opera era «nature in its greatest extent», terra, mare, aria e
la creazione organica, con particolare attenzione alla classe «of Beings to which
we ourselves belong». Forster faceva altresì notare di essere stato in grado di
offrire un quadro dell’umanità nei diversi stadi perché aveva osservato «the
most wretched savages, removed but in first degree from absolute animality» e
i più civilizzati abitanti delle «Society Islands» (Tahiti)9.
Le Observations non si presentano come sola letteratura di viaggio, mostrano
una impostazione di carattere etnologico tipica dell’Età illuministica ma con
l’insistenza sulla storia naturale e sulla storia culturale richiamano anche quella
ampia letteratura “etnologica” (Oviedo, Acosta) che si era venuta affermando,
nel corso del Cinquecento, in relazione alla scoperta delle Indie occidentali. La
parte “etica” delle Observations risulta di particolare interesse perché svela come
un luterano dovette elaborare schemi interpretativi “nuovi” ma ortodossi per
poter inquadrare e definire le diversità umane che veniva osservando. Forster
aveva indicato nei fatti la base irrinunciabile della sua narrazione ma questi fatti
dovevano essere interpretati ed inseriti in uno schema teorico e ideologico
preciso. Ad esempio, egli nota la marcata diversità antropologica (fisica e
culturale) tra gli abitanti della “Tierra del Fuego” e quelli delle isole del
Pacifico e ipotizza che i primi discendano dai nativi dell’America del Sud,
quindi non sono appartenenti alle “races” degli uomini del “South Sea”, e
immagina molteplici percorsi migratori10.
Verlag, Berlin 1986 («Georg Fosters Werke, Band I»). Cfr. L. UHLIG, Georg Forster,
Vandenhoek & Ruprecht, Göttingen 2004, pp. 85-95.
8 Cfr. F. ABBRI, Un dialogo dimenticato, Franco Angeli, Milano 2007, pp. 29-43.
9 J.R. FORSTER, Observations, cit., pp. I-II. Cfr. H. LIEBERSOHN, The Traveler’s World. Europe to
the Pacific, Harvard University Press, Cambridge (Mass) - London 2006, pp. 1-14.
10 Ivi, p. 244.
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Forster riconosce le numerose varietà della specie umana e segnala due
grandi varietà o razze nei mari del Sud: una più attraente, atletica, bianca e di
“benevolent temper”; una più scura, con i capelli che tendono a essere crespi,
il corpo più sottile e con un temperamento più “brisk”. La prima razza
contiene a sua volta delle varietà, quella più bella è a Tahiti, e in generale nelle
“Society Islands”, con uomini atletici, col corpo ben proporzionato, «but
always blended with a degree of effeminacy»: si tratta di popoli sensuali,
libidinosi, amanti del canto, delle danze, della teatralità («dramatic
performances») e nei loro balli «breathe a spirit of luxury»11. Gli abitanti delle
«Marquesas Islands» sono secondi per bellezza a ragione del carattere
proporzionato dei loro corpi e i giovani sono generalmente «most beautiful» e
«would afford many a fine model for a Ganymede»12. La seconda razza o tribù
è rintracciabile nella New Caledonia e nelle isole vicine e Forster fa notare le
differenze fisiche ragguardevoli tra la prestanza fisica dei «New-Caledonians» e
i nativi di altre isole che sono bassi, minuti, neri, simili ad una tribù di scimmie
e di sicuro un «ill-favoured set of beings»13. È ovvio che Forster mette in
stretto collegamento l’antropologia fisica con il carattere delle popolazioni per
cui alla prestanza fisica corrispondono temperamenti specifici (pacifici o
aggressivi) ma di grado elevato nella scala della civiltà mentre, ad esempio, i
poveri abitanti della Terra del Fuoco risultano amichevoli, di buona natura ma
anche «remarkably stupid», ovvero si tratta di inette e miserevoli creature in
una condizione disgraziata e degradata14.
Nel corso delle sue descrizioni Forster usa in maniera libera termini
come razze, varietà, tribù ma dopo la sezione descrittiva allorché deve
affrontare le cause delle differenze etniche tra gli abitanti dei mari del Sud
la premessa indiscutibile della spiegazione proposta è che tutta l’Umanità
deriva da un’unica coppia e le varietà sono accidentali. Forster nota che il
suo è un tempo, una «age of refinement and in fidelity» che vede gli
scrittori moderni usare tutti i mezzi possibili per invalidare l’autorità della
religione rivelata per cui anche le varietà umane sono utilizzate a tal scopo
ma il ricorso al buon senso e alla ragione dimostra che per quanto gli
uomini siano diversi nella «scale of beings» non formano razze separate15.
A menti prive di pregiudizi o di rancore contro la religione risulta sempre
Ivi, pp. 230-231.
Ivi, p. 233.
13 Ivi, pp. 238-243.
14 Ivi p. 251.
15 Ivi, pp. 252-253.
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più evidente che «all mankind, though ever so much varied, are, however,
but of one species» e la discendenza da un’unica coppia è confermata16.
Forster ricorre ad una teoria climatica per spiegare le differenze tra le
due distinte razze o varietà di uomini da lui individuate nelle isole dei mari
del sud per cui le differenze di colore derivano dall’esposizione all’aria,
dall’influenza del sole – i Tahitiani sono quasi sempre vestiti e coperti
mentre gli abitanti della Nuova Caledonia sono sempre nudi, pertanto sono
più scuri – e da circostanze specifiche nel modo di vita.
Non intendo entrare qui nelle spiegazioni offerte da Forster perché
questo non è lo scopo del presente saggio ma voglio sottolineare elementi
di continuità e di discontinuità nella letteratura etnologica moderna.
Forster ci presenta una vera e propria storia naturale e morale delle Isole
dei mari del Sud nella quale la descrizione geografica dei luoghi, del
paesaggio naturale si unisce alla descrizione degli uomini e delle donne e
Forster utilizza considerazioni di antropologia fisica e di antropologia
culturale e, riguardo agli abitanti di queste isole, pone il fisico e il morale
in stretta connessione. A livello descrittivo Forster è assai attento a notare
le differenze, le diversità fisiche e culturali costruendo così un capitolo
della scoperta empirica di diversità impressionanti nell’Umanità come
genere. Le sue Observations sono un momento settecentesco, di innegabile
rilievo storico, filosofico e scientifico, della scoperta di una pluralità di
“mondi umani” nel nostro pianeta che formano insieme un affresco assai
composito. Il livello esplicativo si nutre invece di parametri tradizionali.
Come luterano Forster non ha la preoccupazione di conservare validità
all’idea tomistica di legge naturale, tornata di grande attualità con la
scoperta dell’America, ma è pienamente consapevole che le scoperte da lui
descritte possono costituire uno strumento di polemica antireligiosa, da
qui il suo ricorso ad una teoria climatica per mantenere validità al
monogenismo come spiegazione delle origini della Umanità17. Si può
affermare che Forster si ritrovò davanti i medesimi problemi che la
nascente etnologia rinascimentale si era trovata a affrontare dopo la
scoperta della Mesoamerica18.
Ivi, pp. 256-257.
Cfr. G. GLIOZZI, Le teorie della razza nell’età moderna, Loescher,Torino 1986; ID.,
Differenze e uguaglianza nella cultura europea moderna, Vivarium, Napoli 1993.
18 J.-P. RUBIÉS, “New Worlds and Renaissance Ethnology”, History and Anthropology 6
(1993), pp. 157-197, ora in ID., Travellers and Cosmographers. Studies in the History of Early
Modern Travel and Ethnology, Ashgate, Aldershot 2007.
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Forster racconta che gli abitanti di Mallicollo (nel gruppo di isole di
Vanuatu) sono fisicamente pelosi, instancabili, vivaci e alcuni di loro «illnatured and mischievous», tuttavia sembrano gioiosi e amanti del canto e
della danza. Nota che loro frecce avvelenate «had no effects on our dogs»,
anche se non è in grado di dire la ragione di ciò e non è convinto che le
frecce siano innocue, altrimenti non si spiegherebbe la cura dei nativi nel
proteggere le punte con una particolare resina19.
Il riferimento ai cani delle navi di Cook richiama altre specie canine
europee che due secoli e mezzo prima avevano fatto il loro ingresso in
un’altra terra da poco scoperta. Nel marzo del 1519 Hernán Cortés,
proveniente da Cuba, arrivò sulle spiagge del Messico e fece sbarcare i suoi
uomini, gli armamenti, schiavi africani e cubani come portatori ma anche
sedici cavalli spagnoli e un gruppo di cani da guerra, ossia mastini e cani
lupo. I cavalli e i cani di Cortés non solo erano specie naturali ignote nel
Nuovo Mondo ma erano anche prodotti di una definita civiltà guerriera
perché si trattava di animali addestrati alla guerra e alla lotta20. L’esempio dei
cani europei resistenti alle frecce avvelenate dei “selvaggi” di Vanuatu e dei
cani addestrati alla guerra degli Spagnoli intenti a scoprire, conquistare e
distruggere l’Impero di Moteuczoma Xocoyotl21 dimostrano che nello
scontro e nella conquista dei Nuovi mondi entrarono in gioco sia la cultura
intesa come insieme di modelli e di risorse (tecniche, scientifiche e di sapere)
sia la natura (specie animali, malattie) ma entrambe erano costruzioni sociali,
e uno scambio dialettico tra natura e civiltà era all’opera sia nei nuovi mondi
sia nei mondi vecchi che si appropriarono di quelli nuovi.
La globalizzazione attuale, i difficili rapporti a livello planetario tra le
varie civiltà hanno fatto assumere un’importanza cruciale al problema
dell’altro, soprattutto in Occidente. Gli storici si sono occupati da tempo
di questi temi che sono oggetto di ricostruzioni di rilievo ma gli eventi
contemporanei hanno proiettato alcune tematiche fuori da circoli scientifici
ed accademici. Ad esempio, la dissoluzione della Iugoslavia e la nascita di
una Repubblica di Macedonia con Skopje come capitale non solo ha
sollevato le dure proteste di Atene che rivendica nel suo territorio
J.R. FORSTER, Observations, cit., p. 243.
B. LEVY, Conquistador. Hernán Cortés, King Montezuma, and the Last Stand of the Aztecs,
Bantam Books, New York 2009, p. 1.
21 Questo è il nome più corretto, rispetto alla lingua Nahuatl, usato dagli storici
moderni di oggi per designare Montezuma.
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l’esistenza dell’unica e autentica Macedonia22, ma ha anche reso di
un’attualità impensabile e di impatto pubblico, con manifestazioni talora
preoccupanti, la discussione tra storici, archeologi e storici dell’arte sul
carattere “greco” degli Antichi macedoni, cioè della dinastia dei Temenidi,
alla quale appartenevano Filippo II e Alessandro Magno. Fino a non molto
tempo fa se uno storico affrontava questo tema, sollevando interrogativi e
questioni del tutto legittime, rischiava subito di venir etichettato dai
nazionalisti greci come spia al soldo di Skopje23.
Nell’immagine collettiva le storiche e gli storici antichi sono percepiti
come una comunità a sé stante, un po’ appartata ma la nuova geografia
politica europea li ha proiettati sulla scena contemporanea e ha reso di
piena attualità la questione etnica nell’Antichità. Negli ultimi anni sono
infatti usciti pregevoli lavori storici che affrontano il problema etnico nel
mondo antico. Nel 1997 Jonathan M. Hall ha scritto un libro importante
su Ethnic Identity in Greek Antiquity24, nel 2001 Phiroze Vasunia ha
pubblicato una monografia sulla storia dell’Egitto ellenistico che indaga il
difficile rapporto tra cultura locale e cultura greca25 – il tema etnico è
diventato dominante in lavori recenti su Cleopatra VII Filopatore, ultimo
Faraone d’Egitto26 – mentre Erich S. Gruen, che è un celebre classicista,
ha dedicato le “Martin Classic Lectures” del 2006 al tema dell’alterità e ha
pubblicato queste lectures col titolo di Rethinking the Other in Antiquity27.
22 L.M. DANFORTH, Ancient Macedonia, Alexander the Great and the Star or Sun of Vergina:
National Symbols and the Conflict between Greece and the Republic of Macedonia, in J. Roisman,
I. Worthington (eds.), A Companion to Ancient Macedonia, Wiley-Blackwell, Malden –
Oxford 2010, pp. 572-598.
23 Daniel Ogden ha raccontato che nell’ottobre 2002, durante il settimo simposio
internazionale on Ancient Macedonia a Tessalonica, vi furono contestazioni e manifestazioni
pubbliche contro di lui, Ernst Badian (il decano degli studiosi di Macedonia antica) e Kate
Mortensen a ragione dei titoli dei loro interventi, ritenuti offensivi della reputazione degli
antichi macedoni. Cfr. D. OGDEN, Alexander the Great, University of Exeter Press, Exeter
2011, pp. 2-3. Sulla questione etnica: A. KARAKASIDOU, Fields of Wheat, Hills of Blood:
Passages to Nationhood in Greek Macedonia, University of Chicago Press, Chicago 2007.
24 J.M. HALL, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge University Press, Cambridge
1997.
25 P. VAZUNIA, The Gift of the Nile. Hellenizing Egypt from Aeschylus to Alexander,
University of California Press, Berkeley – Los Angeles – London 2001.
26 F. ABBRI, Icona della Contemporaneità: Cleopatra VII d’Egitto, in M. Baioni, P. Gabrielli
(a cura di), Non solo storia, Società Editrice il Ponte Vecchio, Cesena 2012, pp. 9-18.
27 E.S. GRUEN, Rethinking the Other in Antiquity, Princeton University Press, Princeton Oxford 2011.
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Filoni stabiliti, canonici di indagine storica e eventi contemporanei
contribuiscono alla fioritura degli studi sulla scoperta dei mondi altri, sul
viaggio in contesti diversi ed è del tutto logico che la tradizione degli studi
sul Nuovo Mondo continui a rappresentare un capitolo macroscopico delle
ricerche di storia moderna.
La Historia General de las Indias (1552) di Francisco López de Gómara è una
ricostruzione classica della conquista del Messico da parte degli spagnoli che si
ricorda anche per l’affermazione che «el descubrimiento de Indias» era
l’evento, fatta eccezione per l’Incarnazione di Gesù Cristo, più importante
dalla «creación del mundo» e per la definizione di Mundo Nuevo perché
grande come il vecchio (Europa, Africa, Asia) e «tanbién se puede llamar
nuevo por ser todas sus cosas diferentisimas de las del nuestro»28. Gómara, un
prete che non mise mai piede nel Nuovo Mondo, afferma che qui gli animali
sono di specie limitate e gli uomini, a parte il colore della pelle, sono
discendenti di Adamo, quindi né mostri né animali ma semplicemente uomini.
Gómara non sembra avere molto interesse per il mondo naturale anche se la
prima parte della sua opera è dedicata alla descrizione geografica delle varie
regioni americane insieme alla storia delle conquiste spagnole. La sua Historia è
in verità una celebrazione di Cortés come conquistatore del Messico.
Ho accennato sopra ai nomi di Oviedo e Acosta perché in questo caso si
tratta di autori di due storie delle Indie che mettono insieme l’aspetto della
storia naturale e quello della storia civile e culturale fornendo così un
fortunato modello letterario i cui echi si ritrovano in molte relazioni di viaggi
del Sei e del Settecento: l’unione tra la “descrizione” naturale e la
“descrizione” etnografica diventa centrale e rivela le modalità utilizzate dalla
cultura europea nella costruzione del mondo naturale e delle civiltà “nuove”.
Miguel de Asúa e Roger French hanno giustamente sottolineato che Oviedo
e Acosta inventarono un nuovo genere di scrittura storica: «storia naturale e
morale» o «storia naturale e generale»29. Nonostante l’esistenza di
precedenti classici l’idea di unificare queste due dimensioni grazie a un solo
sguardo è da mettere in relazione alla scoperta dell’America. Si trattò di
unificare la storia naturale (Aristotele e Plinio) e la storia “civile” nel senso
ciceroniano e delle res gestae di matrice medievale.
La Primera parte della Historia general y natural de las Indias di Francisco
Fernández de Oviedo (1478-1557) fu pubblicata nel 1535 e aveva come
F.L. DE GÓMARA, Historia General de Las Indias, Calpe, Madrid 1922, tomo I, p. 4.
M. DE ASÚA, R. FRENCH, A New World of Animals. Early Modern Europeans on the
Creatures of Iberian America, Ashgate, Aldershot 2005, pp. 53-54.
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modello principale e dichiarato la Naturalis Historia di Plinio, anche se solo
una parte era dedicata alla storia naturale in senso stretto. Il senso forte
dell’importanza della natura del Nuovo Mondo è attestato dalle domande
retoriche che Oviedo si pone:
¿Quál ingenio mortal sabrá comprehender tanta diversidad de lenguas, de
hábito, de costumbres en los hombres destas Indias? Tanta variedad de
animales, assi domésticos como salvajes y fieros? Tánta multitud innarrable
de árboles, copiosos de diversos géneros de fructas, y otros estériles, assi
de aquellos que los indios cultivan, come delos que la natura de su proprio
ofiçio produçe, sin ayuda de manos mortales?30
Il rilievo della dimensione naturalistica nel lavoro di Oviedo è confermato
da una recente edizione inglese delle sezioni di storia naturale a cura di
Kathleen Ann Myers che conferma l’impatto storico-scientifico della
Historia31. In verità, il progetto di Oviedo era ambizioso perché cercava di
unire la storia naturale pliniana ad una storia generale e questa unificazione
tematica sfociava in un sostanziale contributo ideologico alla celebrazione
dell’Impero e delle conquiste spagnole.
A Siviglia nel 1590 il gesuita José de Acosta (1540-1600) pubblicò la
Historia natural y moral de las Indias che era destinata a grande fortuna,
popolarità e a costituire un vero e proprio modello. Il titolo completo
chiariva il contenuto perché nella Historia delle Indie «se tratan las cosas
notables del cielo, y elementos, metales, plantas, y animales dellas: y los
ritos, y cerimonias, leyes, y governo, y guerras de los Indios», dunque storia
della natura – i primi libri trattano del cielo (cosmologia), della temperatura
e del popolamento della terra – e storia culturale degli Indiani32. È evidente
che la prima parte del testo di Acosta ha per riferimento non il modello
pliniano ma la filosofia aristotelica perché si possono individuare
corrispondenze precise col De caelo e i Metereologica dello Stagirita.
Nella vasta e importante letteratura storica sul Nuovo Mondo e il suo
impatto sulla coscienza europea le opere di Oviedo e di Acosta, nelle loro
30 G.F. DE OVIEDO Y VALDÉS, Historia general y natural de las Indias, Islas y Tierra-Firme
del Mar Océano, Primera Parte, Imprenta de la Real Accademia de la Historia, Madrid
1851, p. 2.
31 K.A. MYERS, Fernández de Oviedo’s Chronicle of America. A New History for a New World,
University of Texas Press, Austin 2007.
32 J. DE ACOSTA, Historia Natural y Moral de las Indias, en casa de Iuan de Leon, Sevilla
1590.
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similitudini di genere letterario e nelle loro innegabili differenze filosofiche,
rappresentano fonti essenziali per le discussioni in merito alle origini
dell’Umanità. Non intendo ritornare su questi temi sui quali esistono libri di
assoluto valore sul piano storiografico ma il richiamo a Oviedo e Acosta mi
serviva per segnalare il ruolo che il loro modello di storia – naturale e
morale – ha svolto nella cultura moderna sino all’Illuminismo, ovvero esiste
un filo tematico che lega la Historia di Acosta e le Observations di Forster.
Nella parte restante di questo saggio voglio indicare due argomenti di
storia natural y moral che hanno richiamato di recente l’attenzione degli
storici e che dimostrano che la conquista del Nuovo Mondo è, nell’agenda
degli storici, un tema capace di catalizzare ricerche secondo le prospettive
più diverse. Si tratta, in questo caso, di una serie di semplici segnalazioni di
studi, non una rassegna sistematica, ma ritengo che possano rivestire un
qualche interesse dal punto di vista storico-filosofico.
La letteratura storica sulla scoperta del nuovo Mondo affronta le molteplici
dimensioni degli eventi che portarono alle conquiste spagnole in Mesoamerica
e spagnole e portoghesi in Sudamerica. Nel 1998 Grant D. Jones ha pubblicato
una magnifica storia della conquista, alla fine del Seicento, dell’ultimo regno
Maya che serve a confermare la costanza e la continuità plurisecolare
dell’espansionismo spagnolo nel Nuovo Mondo33. La questione della
cosmologia con i suoi risvolti religiosi, la sua influenza sulle pratiche cultuali,
ossia il tema dei sacrifici umani continua a produrre innumerevoli lavori. Nel
2008 Caroline Dodds Pennock ha pubblicato una monografia dal titolo Bonds of
Blood dedicata a argomenti relativi al gender, agli stili di vita e al sacrificio nella
cultura atzeca e si tratta di un buon contributo di storia sociale34. Nel 2001
Elizabeth P. Benson e Anita G. Cook avevano invece curato una raccolta di
saggi su Ritual Sacrifice in Ancient Peru, che confermava la centralità del tema
religioso nella storia delle civiltà precolombiane35.
Ross Hassig è un celebre storico antropologo della conquista spagnola
del Messico, autore di alcuni preziosi volumi sulla Mesoamerica antica e sul
Messico atzeco e coloniale. Nel 2006 è stata pubblicata la seconda edizione
del suo Mexico and the Spanish Conquest che contiene una eccellente
33 G.D. JONES, The Conquest of the Last Maya Kingdom, Stanford University Press,
Stanford 1998.
34 C. DODDS PENNOCK, Bonds of Blood. Gender, Lifecycle and Sacrifice in Aztec Culture,
Palgrave Macmillan, Basingstoke 2008.
35 E.P. BENSON, A.G. COOK (eds.), Ritual Sacrifice in Ancient Peru, University of Texas
Press, Austin 2001.
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ricostruzione delle vicende comprese tra il febbraio 1517 – l’inizio
dell’esplorazione dello Yucatan da parte di F.H. de Córdoba – e l’agosto
1521, data che segna la resa definitiva degli Aztechi36. In un bel saggio del
2007 Hassig ha chiarito il significato di pace, riconciliazione e alleanza nel
Messico azteco che consente in verità di definire l’importanza della guerra,
della conquista e delle modalità di costruzione dell’Impero da parte degli
aztechi. Hassig indica che gli aztechi non esercitavano forme di
imperialismo culturale e usavano strategie di integrazione fondate non
sull’imposizione della religione ma su quella del calendario. Nel Messico
venivano infatti utilizzati due calendari: uno solare di 365 giorni e di
diciotto mesi unito ad un calendario sacro di 260 giorni e questi due
calendari erano in uso contemporaneamente per calcolare un ciclo di 52
anni, al termine del quale con una cerimonia del fuoco si dava inizio ad un
nuovo ciclo di uguale durata37. Si può dedurre che la questione del
calendario rivestiva una grande importanza nella Valle del Messico.
In un volume del 2001 Hassig si era infatti occupato proprio del
problema della concezione della temporalità, quindi dei calendari in uso e
il suo libro, dal titolo Time, History and Belief in Aztec and Colonial Mexico, è
un contributo di indubbio valore da un punto di vista sia storico sia
metodologico38. La questione del calendario risulta essere al centro di una
serie di discorsi che hanno a che fare con la scienza, la religione, la politica,
l’idea di impero, e così via.
Tradizionalmente si ritiene che la civiltà azteca e le altre società
mesoamericane avessero una concezione ciclica del tempo e della storia
che fu in larga misura sostituita, dopo la conquista, dalla concezione lineare
tipica dell’Occidente, introdotta in America dagli spagnoli. Hassig cerca di
dimostrare che questa visione non è confermata dai dati, perché erano
all’opera nozioni diverse di tempo e di storia, non una sola e paradigmatica
nozione, e che gli aztechi erano abili manipolatori dei calendari.
Nel suo volume su Il passato, la memoria, l’oblio del 1991 Paolo Rossi ha
pubblicato un saggio dal titolo Vicissitudo rerum nel quale mostra in maniera
R. HASSIG, Mexico and the Spanish Conquest. Second Edition, University of Oklahoma
Press, Norman 2006.
37 ID., Peace, Reconciliation, and Alliance in Aztec Mexico, in K.A. Raaflaub (ed.), War and
Peace in Ancient World, Blackwell Publishing, Malden Mas. – Oxford 2007, pp. 312-328.
38 ID., Time, History, and Belief in Aztec and Colonial Mexico, University of Texas Press,
Austin 2001. Cfr. J. BRODA, Calendrics and Ritual Landscape at Teotihuacan. Themes of
continuity in Mesoamerican “Cosmovision”, in D. CARRASCO, L. JONES, S. SESSION (eds.),
Mesoamerica’s Classic Heritage, University Press of Colorado, Boulder 2000, pp. 397-432.
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228
Ferdinando Abbri
indiscutibile il carattere mitico di una rigida contrapposizione tra il tempo
ciclico (visione antica, classica) e il tempo lineare e progressivo della
modernità. Scrive Rossi:
Non credo affatto che la modernità possa essere collocata sotto la categoria
del tempo lineare. Credo alla compresenza e alla difficile coesistenza, nella
nostra tradizione, di una concezione lineare e di una concezione ciclica del
tempo39.
Facendo ricorso a autori come Bruno, Bacone e Newton Rossi dava conto,
con precisi riferimenti a testi cruciali della modernità, di questa
compresenza. In Naufragi senza spettatore del 1995 Rossi confermava che
nella filosofia di Bacone, il filosofo del progresso scientifico, convivevano
una concezione ciclica della storia e del tempo e una salda fede nel
progresso40. Il concetto di una convivenza tra ciclo e freccia nell’Età
moderna si è ormai radicato tanto da indurre un musicologo come Karol
Berger a definire la modernità musicale in termini di contrasto tra ciclicità
bachiana e linearità mozartiana41. L’idea che la modernità europea fosse
portatrice esclusiva di una visione lineare del tempo appare del tutto
mitica, dunque è da ritenere che nella ideologia dei conquistatori spagnoli
convivessero concezioni diverse del tempo.
Hassig contesta la visione tradizionale – aztechi = ciclicità; spagnoli =
linearità – e dimostra che gli aztechi non sostenevano principalmente una
concezione ciclica del tempo e della storia, ma attuavano, a scopo politico,
una deliberata manipolazione del tempo attraverso il calendario42. L’uso
del calendario divenne uno strumento politico fondamentale nella pratica
di espansione dell’Impero azteco. Non è necessario riassumere qui le sottili
e puntuali ricostruzioni di Hassig ma è sufficiente sottolineare che la
questione del calendario nel Mexico pre e postcoloniale conferma che nei
rapporti tra nativi e conquistatori europei erano all’opera una serie di
parametri assai diversificati non riconducibili a dualismi rigidi.
Nel 2002 ho pubblicato un saggio su storia e antropologia nel quale
consideravo alcuni studi sui nativi americani con particolare attenzione alla
P. ROSSI, Il passato, la memoria, l’oblio, Il Mulino, Bologna 1991, p. 96.
ID., Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Il Mulino, Bologna 1995, pp. 35-38.
41 K. BERGER, Bach’s cycle, Mozart’s arrow: an essay on the origins of musical modernity,
University of California Press, Berkeley – Los Angeles – London 2008.
42 R. HASSIG, Time, cit., p. XIII.
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Historia natural e cultura
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questione dell’organizzazione della sessualità nel Nuovo Mondo, mettendo
in luce il dibattito intorno alla figura del cosiddetto “berdache” (un
individuo di sesso maschile che assumeva un ruolo di genere femminile)43.
Questo dibattito è tutt’ora in corso tra gli storici, non mancano polemiche
vivaci e talora aspre a riprova del rilievo, in ambito angloamericano, della
storia delle sessualità e delle relazioni di gender. Nel 2007 Thomas A.
Foster ha curato una raccolta di saggi dal titolo Long Before Stonewall.
Histories of Same-Sex Sexuality in Early America che si apre con un saggio di
Ramón A. Gutiérrez44, che è autore di un celebre libro sulla storia sociale
della sessualità nel New Mexico45. Gutiérrez riconsidera la questione del
berdache – termine derivato da bradaje, in origine un termine arabo per
designare un prostituto maschio – e sulla base delle fonti classiche per la
storia dell’America pre-colombiana giunge ad una conclusione netta:
quello del berdache non era un ruolo scelto ma un ruolo imposto. La
descrizione dei berdache come uomini “big and strong” conferma che si
trattava di prigionieri di guerra costretti a servire sessualmente il capo
guerriero che li aveva sconfitti, e potevano essere prestati dal capo ad altri
dignitari come segno della sua generosità o usati come prostituti da
chiunque potesse pagare, e per questo erano chiamati putos dagli spagnoli46.
Gutiérrez si schiera a favore dell’interpretazione proposta diversi anni
fa da Richard C. Trexler in merito alle relazioni di gender nelle civiltà
precolombiane, nelle civiltà europee e attive nello scontro tra nativi e
43 F. ABBRI, Il silenzio interrotto: antropologia e storia in alcuni studi recenti sui nativi
americani, in M.L. MEONI (a cura di), Culture e mutamento sociale, Le Balze, Montepulciano
2002, pp. 105-120.
44 R.A. GUTIÉRREZ, Warfare, Homosexuality, and Gender Status Among American Indian Men
in Southwest, in T.A. FOSTER (ed.), Long Before Stonewall. Histories of Same-Sex Sexuality in
Early America, New York University Press, New York - London 2007, pp. 19-31.
45 ID., When Jesus Came the Corn Mothers Went Away. Marriage, Sexuality and Power in New
Mexico, 1500-1846, Stanford University Press, Stanford 1991.
46 ID., Warfare, cit., pp. 28-29. Il racconto (1542) di Alvar Nuñez Cabeza de Vaca
(1488/90-1559) contiene molti riferimenti ai berdache e alle attitudini sessuali degli
indigeni della costa del nordest del Texas. Il celebre racconto di Cabeza de Vaca è relativo
agli eventi del 1528-1536, ossia al fallito tentativo spagnolo di conquistare la Florida, al
viaggio in Louisiana, Texas, New Mexico, Arizona e nordest del Messico. Si veda:
Naufragio de Alvar Nuñez Cabeza de Vaca, y Relacion de la jornarda que hizo a la Florida, in
Biblioteca de Autores Españoles desde la formacion del lenguaje hasta nuestros dias. Historiadores
primitivos de Indias, Tomo Primero, Atlas, Madrid 1946, pp. 517-548. A.D. KRIEGER, We
came naked and barefoot. The Journey of Cabeza de Vaca across North America, University of
Texas Press, Austin 2002.
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Ferdinando Abbri
spagnoli, che è fondata sull’idea dell’esistenza di rapporti gerarchici di
potere47. Contro ogni visione romantica di terzo genere nelle società dei
nativi americani Trexler afferma che il berdache doveva servire
sessualmente capi e nobili di modo che i nobili non molestassero
sessualmente le donne, svolgeva quindi un ruolo obbligato di equilibrio
politico e sessuale48.
La rilevanza di questo tema e di temi ricompresi nelle questioni di
gender nel Vecchio e nel Nuovo Mondo è confermata da molti lavori. Nel
2003 Pete Sigal ha curato un’antologia dal titolo Infamous Desire. Male
Homosexuality in Colonial Latin America che contiene un ampio e
documentato saggio di Trexler sulla gerarchia di genere e sulla
subordinazione sessuale nell’America pre-ispanica nel quale ribadisce, con
una forte vena polemica, le sue tesi contro il canone interpretativo in
termini di un terzo genere49. Questa antologia contiene anche un saggio
sulla «same-sex sexuality and third-gender sexuality» nel mondo andino
pre-coloniale di Michael J. Horswell50. Nel 2005 Horswell ha pubblicato
un volume di indubbio rilievo dal titolo Decolonizing the Sodomite dedicato a
questioni di storia della sessualità nella «colonial Andean culture»51 e nel
quale sono proposte interpretazioni diverse rispetto alla dialettica di potere
individuata da Trexler come parametro fondamentale per comprendere le
sessualità nelle culture dei nativi americani.
Non posso entrare nel merito delle interpretazioni e delle controversie
tra storici sociali ma ritengo che questi sommari riferimenti siano
sufficienti a far comprendere che la storia sociale delle sessualità ha
conosciuto uno sviluppo ragguardevole e rappresenta un capitolo non
trascurabile delle vicende dell’America prima e dopo la colonizzazione.
Le prime grandi storie del Nuovo Mondo si sono strutturate nel duplice
aspetto di storia naturale e di storia generale o culturale e questo modello
47 R.C. TREXLER, Sex and Conquest. Gendered Violence, Political Order, and the European
Conquest of the Americas, Polity Press, Oxford 1995.
48 Ivi, pp. 166-167.
49 ID., Gender Subordination and Political Hierarchy in Pre-Hispanic America, in P. SIGAL
(ed.), Infamous Desire. Male Homosexuality in Colonial Latin America, The University of
Chicago Press, Chicago 2003, pp. 70-101.
50 M.J. HORSWELL, Toward and Andean Theory of Ritual Same-Sex Sexuality and ThirdGender Subjectivity, in Infamous Desire, cit., pp. 25-69.
51 ID., Decolonizing the Sodomite. Queer Tropes of Sexuality in Colonial Andean Culture,
University of Texas Press, Austin 2005.
Historia natural e cultura
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rinascimentale è stato assai influente per tutta l’Età moderna. Le nuove
informazioni sui mondi altri si inserivano in questo modello che entrò
inevitabilmente in tensione a ragione della ricchezza e problematicità delle
scoperte realizzate grazie a viaggi su scala planetaria. Nella ricerca storica
attuale sulle scoperte geografiche i temi relativi alla natura, al paesaggio
sono indagati da una storia della scienza molto attenta alla dimensione
“coloniale” nelle vicende della scienza occidentale. In questa ricerca i temi
“etici”, di storia “morale” riguardo ai costumi si sono arricchiti grazie ad un
settore più nuovo che è quello della storia sociale delle sessualità che ha
consentito di guardare ad aspetti un tempo trascurati o ignorati. Sacrifici
umani, cannibalismo e sodomia erano visti dai conquistatori spagnoli come
pratiche comuni ai vari popoli del Nuovo Mondo, è pertanto essenziale
tentare di comprendere i contenuti di queste pratiche e i significati ad esse
attribuiti da nativi e da colonizzatori52.
52 P. SIGAL, (Homo) Sexual Desire and Masculine Power in Colonial Latin America: Notes
toward an Integrated Analysis, in ID (eds.), Infamous Desire, cit., pp. 1-24.