Passione fosca

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Passione fosca
Passione Fosca
I testi che abbiamo scelto di prendere in esame sono stati la “Prefazione all’Amante di Gramigna”
con l’omonima novella, “La Lupa”, “Cavalleria rusticana”, “Amore senza benda” e “Nedda”.
Quello che maggiormente ha colpito la nostra attenzione è stato il modo in cui lo scrittore siciliano
rappresenta i suoi personaggi, infatti Verga pone in risalto soprattutto, almeno per quelli più
significativi, l’aspetto sessuale, carnale, e lo fa utilizzando espressioni e simbologie che riguardano
il mondo animale. Basti pensare alla donna-lupa o alla bestia Gramigna.
Altro elemento che sempre si lega a questo aspetto, è la rappresentazione del popolo. Popolo
giudicante che attraverso i loro giudizi e pregiudizi, condanna senza possibilità di appello i
protagonisti delle opere verghiane. Il nostro lavoro verterà dunque su questi due aspetti: da una
parte la sessualità femminile legata al mondo animale; dall’altra la collettività giudicante.
SVILUPPO
La donna che attira l’attenzione di Verga è caratterizzata da una passione amorosa travolgente,
contrastata, vissuta conflittualmente o comunque con conclusioni quasi sempre drammatiche.
Mentre negli anni Sessanta si apre un dibattito sull’emancipazione della donna, l’immagine
femminile dominante nella narrativa verghiana da “ Una Peccatrice” a “ Eva”, è quello della
donna fatale e dominatrice che emana un fascino distruttivo.
“ (…) e in mezzo ad un nembo di fiori, di luce elettrica, e di applausi apparve una donna splendida
di bellezza e di nudità, corruscante febbrili desideri dal suo sorriso impudico, dagli occhi arditi, dai
veli che gettavano ombre irritanti sulle forme seminude, dai procaci pudori, dagli omeri sparsi dei
biondi capelli (…)” – Eva, Tutti i romanzi, Firenze 1983.
Se la Lupa “spolpa” gli uomini come una fiera avara dell’Inferno, Gramigna non è meno bestia di
lei. Due animali opposti ma affini, accomunati dalle stesse passioni carnali. Due infernali creature,
simboli del peccato, un peccato oscuro e primordiale.
I comportamenti sono quelli di due lupi: affamati, assetati, randagi e tentatori nei confronti degli
altri uomini, a loro volta vittime ma anche carnefici. Sin dall’inizio della novella La lupa, Gnà Pina
è presentata da donna fatale e “cagnaccia”. Viene discriminata per non essere nata uomo, giudicata
dal popolo come una minaccia.
È nella società primitiva di Vita dei campi che Verga riscopre l’autenticità dei sentimenti, scomparsi
nella società borghese. Isolata dalla comunità, la Lupa si integra perfettamente nella natura
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selvaggia e bruciata dei luoghi, manifestazione estrema di sensualità panica e demoniaca; non dea
che incanta e seduce, ma essere maledetto il cui potere terribile ha i caratteri del maleficio da
esorcizzare: “Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare”. Dotata di queste arti, la
donna viene vista dall’uomo come minaccia alla propria integrità psichica e familiare: Nanni,
vittima della Lupa, incarna questo dramma della passione come perdita di sé.
“Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le donne si facevano
la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e
sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio,
con le sue labbra rosse e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi da
satanasso fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina.”
La vicenda di Peppa, la protagonista de l’Amante di Gramigna, è invece diversa ma altrettanto
significativa. “Peppa, una delle più belle ragazze di Licodia, doveva sposare in quel tempo compare
Finu “candela di sego” che aveva terre al sole e una mula baia in stalla, ed era un giovanotto grande
e bello come il sole che portava lo stendardo di Santa Margherita, come fosse un pilastro, senza
piegar le reni” (…). Ma ecco che la passione, la carnalità, si accende nei riguardi di Gramigna “che
ne aveva preso possesso”. La sessualità bestiale viene intesa come possesso e infatti Peppa subisce
la brutalità dell’amore: “pur seguitando a dire che non lo conosceva neanche di vista quel cristiano;
ma che la notte lo vedeva in sogno, e alla mattina si levava colle labbra arse quasi avesse provato
anch’essa tutta la sete ch’ei doveva soffrire”.
E’ quella di Verga una realtà non solo caratterizzata da pregiudizi ma anche maschilista e misogina.
Nel caso infatti di Gramigna, nonostante sia un ladro e un assassino, per le sue “gesta” viene elevato
al livello di un eroe (“Per duecento miglia all'intorno, correva la leggenda delle sue gesta, del suo
coraggio, della sua forza”). Parole chiavi che raffigurano questi due animi sono: passione, bestialità
e violenza. Il loro vagare nella natura selvaggia, in una sorta di compenetrazione tra l’uomo e la
natura (la Lupa nei campi e Gramigna nei fichidindia di Palagonia, “s'arrampicava sui precipizi,
strisciava fra le messi, correva carponi nel folto dei fichidindia, sgattajolava come un lupo nel letto
asciutto dei torrenti”), è un tipico elemento demoniaco. L’ambiente che Verga offre ai lettori
all’interno di queste novelle recupera l’immagine canicolare e viziosa che Dante attribuisce ai
personaggi infernali. La Lupa e Gramigna, non conosciamo il nome dei due protagonisti, emarginati
dalla comunità ma al tempo stesso si isolano perché il loro spirito cacciatore, o meglio predatore,
non è accettato.
La Lupa non appare solo come proiezione degli aspetti femminili più inquietanti e oscuri, ma come
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donna-demone. La sua passione è ossessione e la sua sensualità aggressiva è simbolo di distruzione.
“Era alta, magra; aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna e pure non era più giovane; era
pallida come se avesse sempre addosso la malaria, e su quel pallore due occhi grandi così, e delle
labbra fresche e rosse che vi mangiavano”. L’insaziabilità fa della Lupa l’incarnazione di una
femminilità primitiva e incontrollabile. È bramosa del corpo di Nanni, quanto Gramigna lo è della
libertà.
La Lupa vuole Nanni e la dimostrazione di questa sua bramosia si realizza non con le parole ma
attraverso la gestualità ancora più esplicita. Nanni, talmente oppresso da questa “tentazione
dell’inferno”, “avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che quando gli
si ficcavano ne' suoi gli facevano perdere l'anima ed il corpo” e “non sapeva più che fare per
svincolarsi dall'incantesimo”.
Le differenze, le più concrete, sono quelle che il popolo Giudice attua nel valutare i due
protagonisti. La Lupa è, senza dubbio, una Donna che ama sedurre, “spolpare” ma è anche una
lavoratrice che sa lottare quanto un uomo ma questo non basta a darle una giusta identificazione.
Tutt’altra immagine ha invece il popolo di Gramigna. In tutto questo non possiamo dimenticare il
contesto in cui queste due novelle sono ambientate: un contesto contadino e rurale, nel senso più
profondo dei termini. Di sicuro alla base di questi pregiudizi non c’è Cultura, non c’è conoscenza e
capacità di comprendere la complessità dell’animo Umano.
Non c’è romanticismo nella narrativa verghiana. L’amore è solo passione e trasgressione, entrambe
possono arrivare ad essere talmente grandi da portare alla follia, come nell’Amante di Gramigna in
cui la contadina segue il bandito.
Nella novella Tentazione, diversa sicuramente rispetto a La Lupa, ma simile nell’individuare quelle
che sono le caratteristiche del mondo femminile verghiano, è rappresentata invece la figura di una
fanciulla umile e onesta che impegna la sua vita per guadagnarsi da mangiare, che, tornando dal
faticoso lavoro nei campi, viene avvicinata da tre uomini i quali abusano di essa privandola della
sua dignità e persona fino ad ucciderla. L’immagine della donna in Verga viene svalutata anche in
Nedda, all’interno della quale nasce la figura della contadina siciliana caratterizzata da quel chiuso
e silenzioso volto, da quella desolata rassegnazione, da quella schiva semplicità di espressione e di
gesti. La protagonista vive in un mondo che ha già le sue leggi e la sua fisionomia che la
disprezzerà quando, dopo la morte del fidanzato diventerà madre. Le sembianze della stessa
vengono alterate dagli “sforzi penosi” derivanti dai lavori che l’uomo non riteneva degni di lui e
sempre Nedda come nella contadina in Tentazione rimane, nonostante la visione comune, una
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donna capace di resistere e di avere una propria indipendenza. L’atteggiamento di Nedda nei
confronti della figlia deceduta è quello della donna come madre che rimanda all’immagine
presentata nei Promessi Sposi della madre di Cecilia la quale aspetta l’arrivo dei monatti, dato che
non poteva permettersi una degna sepoltura della sua amata figlia. Una figura di donna simile a
quella di Nedda è presente nel romanzo I Malavoglia: si tratta di Mena, protagonista di un
sentimento amoroso represso e negato che può esprimere solo attraverso silenzi, fughe, allusioni,
gesti e parole carichi di malcelato desiderio.
Altra grande figura della novellistica di Giovanni Verga è Santuzza, protagonista di Cavalleria
rusticana. Come la Lupa, è marchiata dal peccato di aver amato al di fuori del matrimonio in una
società che non permetteva questo alla donna; sono entrambe donne “perdute”, al bando. Se Santa
vive questo dramma con ribellione, cercando in tutti i modi di combattere l’ingiustizia subita e di
riacquistare l’onore perduto, fino alla delazione e a rendersi causa di un omicidio, Pina vi si
abbandona disperatamente fino a perdere le connotazioni umane ed a trasformarsi in una fiera
selvaggia assetata di sesso: “la Lupa” appunto, pronta a divorare qualsiasi uomo sia oggetto delle
sue brame ed a trasgredire qualsiasi norma di una società assolutamente priva di tolleranza. Se per
Pina l’emarginazione è un dato di fatto, una scelta forzata ma comunque già vissuta da anni, per
Santuzza si immagina essere il futuro prossimo e chissà se, condannata al disonore e alla solitudine
e con il rimorso di aver causato la morte di Turiddu, non si trasformerà lei stessa, anni dopo, ne “la
Lupa”. Santa è una donna forte, non abituata a far trapelare i propri sentimenti: “Non son usa a
piangere! Non ho pianto nemmeno quando ho visto con questi occhi Turiddu della Gnà Nunzia
entrare di notte in casa di vostra moglie!”. Forte, vendicativa, una donna del sud matriarcale di una
volta, quando non c’era spazio per sentimentalità romantiche e la donna doveva essere pronta a
sostituire l’uomo nelle decisioni e spesso nel suo stesso lavoro, quando la guerra o qualche duello
rusticano, la rendevano vedova. Santuzza è sin dall’inizio del dramma la peccatrice, come sarà la
Lupa, oggetto di scherno, che non è bene frequentare. Non ama per denaro, ma per rabbia, per fame
autentica di amore e considerazione, sa che non avrà il rispetto neppure di chi condivide con lei
l’alcova. Pina si innamora di quell’amore che è “sentirsene ardere le carni sotto al fustagno del
corpetto e provare, fissandolo negli occhi, la sete che si ha nelle ore calde di giugno” di un giovane
che è appena tornato dal servizio militare svolto in continente, Nanni, e gli sta sempre alle costole:
“Che volete, Gnà Pina?”. E un bel giorno lei glielo dice cosa vuole: “Te voglio! Te che sei bello
come il sole e dolce come il miele. Voglio te!”.
Non è certo una storia edificante, ma è talmente tragica che i personaggi sono autentici eroi, il
prodotto naturale di una realtà di degrado esistenziale, per giunta ammantato di ipocrisia, in una
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società cristiana lontanissima dall’insegnamento cristiano, ridotto a pura esteriorità.
Pina ha ormai accettato il proprio destino di emarginazione; sa che non potrà mai essere amata se
non corporalmente e di nascosto, perché è disonorata. È veramente una società cristiana assurda e
senza capacità di perdono quella che ci viene descritta dall’autore. La donna che ha peccato, ha
peccato per sempre e ciò le verrà rinfacciato per tutta la vita, mentre per l’uomo la tolleranza è
pressoché totale. L’intolleranza verso le peccatrici è una prerogativa soprattutto femminile. Sono le
donne stesse le vittime e le carnefici della situazione. Verso questa alienazione va la denuncia
sociale forte e chiara di Verga, in entrambe le vicende.
Incantatrice e seducente, come solo le ballerine sanno essere, Olga di Amore senza benda, aveva
“musino da gatta con tanto di pèsche sotto gli occhi, che non aveva ancora sedici anni”. Per
attitudine e fisicità, potrebbe essere la figlia stessa della Lupa, infatti aveva i suoi stessi occhi, quelli
“che facevano girare il capo”. Anche qui l’allusione sessuale è costantemente presente: “volevano
far sposare a Sandrino una che mostrava le gambe per cinque lire al mese?”. Olga e l’Eros sono un
tutt’uno. Ella non esita a mettersi in mostra con la “vesticciuola sbrindellata”, a “dimenare i fianchi”
e a “tendere il garretto”. È consapevole dell’effetto che ha sugli uomini, da Sandrino al barone, e di
come renda loro la vita un inferno, eppure non può far altro che continuare a farsi desiderare, ma
anche a concedersi (“gli saltò in mutandine sulle ginocchia”), in quanto non può vivere senza amare
carnalmente e ardere di passione.
Queste novelle attraverso i loro personaggi, in modo particolare quelli femminili, rappresentano
appieno la poetica espressa nella prefazione all’Amante di Gramigna. “Il semplice fatto umano” qui
si esprime proprio attraverso i personaggi appena presentati. Le loro “lagrime”, le loro “febbri” e le
loro “sensazioni” hanno qualcosa di universale che non si concludono con l’opera di Verga ma
trovano ancora oggi esempi nell’attualità.
Svariati articoli di cronaca denunciano la condizione degli immigrati che al loro arrivo si ritrovano a
svolgere lavori faticosi, sottopagati e spesso in nero per sopravvivere. Anche la vicenda della
ragazza indiana stuprata e uccisa da sei uomini su un autobus è testimonianza del meccanismo
perverso e folle che permane nel tempo da secoli calpestando senza scrupoli l’essere della donna.
Il popolo giudicante con la sua ignoranza non è soltanto la storia di una Sicilia ottocentesca
dimenticata, ma è una drammatica storia di sempre che spesso investe realtà a noi non così lontane.
Lo stesso Fabrizio de Andrè in una sua ballata di qualche decennio fa, presentava con “Bocca di
rosa” la stessa tematica di Verga. Bocca di rosa è la storia di una prostituta che, solo con la sua
presenza, riesce a scatenare negli altri sentimenti contrastanti quali passione e allegria, fino ad
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arrivare all’invidia e alla gelosia. Al suo interno si elogia chi fa l’amore per passione e si evidenzia
il pregiudizio del popolo che giudica soltanto attraverso uno sguardo: “tutti si accorsero con uno
sguardo che non si trattava di un missionario.” La sua figura è apprezzata da tutti gli uomini del
paese (“tengono il cappello in mano”), perfino dal parroco, che la vorrebbe accanto. Bocca di rosa è
maestra nell’arte di sedurre ed ammaliare e ciò la rende simbolo dell’Amore Profano, contrapposto
alla Vergine, a cui viene paragonata, sebbene ella sia simbolo dell’Amore Sacro.
Attraverso lo studio di Verga ci si rende conto di quanto le sue novelle, nonostante siano scritte
nell‘800, risultino attuali e come con il passare del tempo, la situazione sia rimasta immutata.
Alessia Bernardini
Classe IV G Indirizzo linguistico
Giulia Bocale
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Giorgia Bellotti
Classe IV G Indirizzo linguistico
Alessia Campagna
Classe IV G Indirizzo linguistico
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Classe IV G Indirizzo linguistico
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