1. Abbigliamento dei monaci
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1. Abbigliamento dei monaci
1. Abbigliamento dei monaci Regola di San Benedetto Abiti e calzature dei confratelli ( Reg.Cap.55). “I fratelli siano vestiti secondo l’esigenza dei luoghi e delle stagioni in cui abitano… Da parte nostra, comunque, riteniamo che nelle zone temperate sia sufficiente a ciascun monaco avere una cocolla e una tonaca …. La cocolla sia di pelo per l’inverno e di stoffa liscia d’estate Oltre a uno scapolare per il lavoro e sandali e scarpe per coprirsi i piedi I monaci non si preoccupino del colore e della qualità che saranno quali si possono trovare nella regione in cui abitano o acquistare a minor prezzo. L’abate faccia attenzione alla misura, perché le vesti non siano troppo corte a chi le usa…” I fratelli inviati in viaggio ricevano dal guardaroba un paio di brache che al loro ritorno restituiranno lavate. come si veste il monaco secondo la regola I monaci che si coricano in camicia, prima di alzarsi si affrettano ad indossare la cocolla: essa è una specie di tunica senza maniche la quale: • deve essere abbastanza larga da farci entrare comodamente i gomiti; • abbastanza lunga da scendere fin quasi ai talloni. • ha un cappuccio che deve da ogni parte avere la misura quadrata di un intero piede, l’apertura di un cubito, etc …….. In buona sostanza non è molto chiaro di cosa si tratti. Si può immaginare che la cocolla sia una specie di pianeta lunga ricadente sulle braccia. Quale ne sia la forma è di tessuto grezzo, spesso di lana ed in questo caso ha il colore grigiastro brunastro naturale della lana oppure tinta con colori che nascondano lo sporco: marrone, nero, blu ( il blu nei secoli intorno al mille è considerato una variante del nero ). In seguito i monaci infilano le scarpe, riattaccano il coltello alla cintura che avevano tolto la sera prima salendo in dormitorio. Cosa non deve indossare un monaco. Adalberone, arcivescovo di Reims, negli anni tra il 977 e il 983, ritenne necessario ed urgente riformare i costumi dei monaci della sua provincia. Decise, così, che gli abati delle varie abbazie si sarebbero dovuti riunire per studiare i modi più efficaci per contrastare il lassismo che si era diffuso tra i monaci. Tra le varie “ mancanze “ ( vita sregolata, desiderio di ammassare peculio, depravazione dei costumi ) molte riguardano la foggia degli abiti. L’Abate che relaziona, infatti, afferma: “ vi sono alcuni monaci del nostro ordine ai quali piace coprirsi in pubblico il capo con cappelli a larghe tese, od ornare il copricapo con pelli esotiche ed indossare invece di umili vesti abiti sontuosi ( ……… ) Queste sono, evidentemente, le caratteristiche degli abiti indossati dai laici ricchi. Ora l’abate, ormai ben lanciato, descriverà tali abiti nel dettaglio. Seguiamolo: ” ricercano, questi monaci, soprattutto le tonache più costose, che stringono ai fianchi, lasciandovi pendere maniche e risvolti in maniera che, grazie alla taglia ridotta e alle natiche sporgenti, sembrerebbero da dietro più puttane che non monaci.” Disse proprio così. Ed aggiunge “ Questi strani monaci ricercano anche i colori. Non hanno voglia di portare tonache nere, né quelle in cui il fabbricante ha mischiato lana bianca e lana nera, anche il color rossiccio viene respinto; quello che va bene per loro sono le stoffe tinte con succo di corteccia ( ……. ) “ L’abate Rodolfo che ci tramanda questo brano di eloquenza arriva a parlare delle scarpe, poi della biancheria, che mette insieme al mantello, alla pelliccia e le brache. “ Le brache sono larghe sei piedi ( 12 metri ! ) e la trasparenza del tessuto non protegge minimamente dagli sguardi le pudende; le fanno fare in modo che non bastino per uno, mentre potrebbero abbondantemente bastare per due ( ….. ) Sopra questo ridicolo abbigliamento quei monaci indossano un mantello “ I nostri predecessori consentirono che ci si coprisse di pelli comuni ( …. La cocolla sia di pelo per l’inverno…. Reg.Cap.55 ) anziché di lana; di qui è sorta la peste del lusso. Ora mettono risvolti di due palmi – 45 cm circa – tutt’intorno a mantelli di stoffa esotica ( …….. ) “ Largo spazio lascia la requisitoria alle scarpe: ” In queste eccedono talmente da perdere ogni comodità. Le portano così strette che possono camminarci a malapena, chiusi in tale prigione ( …. ) le allungano ai due lati con delle orecchie, stanno attentissimi a non piegarle e ordinano a servi esperti di tirarle a lustro.” Erano dunque di cuoio. Per inciso monaci descritti con questa potente reprimenda da Rodolfo e dall’abate relatore sono i medesimi contro cui si scagliò, con pensieri, parole ed opere Guglielmo da Volpiano alcuni decenni dopo. 2. Abbigliamento dei potenti ( c.d. Nobili ) Abbigliamento maschile Sull’abbigliamento maschile dei frequentatori delle corti si dispone di una descrizione attribuita a Rodolfo il Glabro. Scrive Rodolfo il Glabro “ Intorno all’anno mille, poiché Re Roberto si era appena sposato con la Regina Costanza, venuta dall’Aquitania, si videro affluire al suo seguito in Francia ed in Borgogna uomini venuti dall’Alvernia e dall’Aquitania, pieni di fatuità e vanità, dai modi non meno affettati dei loro abiti, che ostentavano un lusso sfrenato nelle armi, nelle bardature dei cavalli, con i capelli tagliati a metà del capo – per intenderci a scodella - la barba rasata nella foggia degli istrioni e saltimbanchi, con scarpe con cotanto di celebrate orecchie e gambali ( calze – brache ) indecenti. Rodolfo aggiunge che “ tutti i franchi ed i borgognoni “ seguirono avidamente quelle mode Egli inveisce, in più occasioni, contro quegli uomini dagli “abiti corti”. Se ne deduce chiaramente che quei “ meridionali” distolsero i signori del Nord dall’usanza di portare i capelli lunghi, la barba non rasata e tuniche che gli arrivavano fino alle ginocchia ed oltre. E scarpe senza le vituperate orecchie. Insomma la “ mise “ sarebbe piuttosto indecente: tuniche corte con ampie maniche pendenti, gli orli sicuramente ricamati, la cintura così stretta da accentuare in modo ambiguo le rotondità posteriori. Se i Baroni della corte di Roberto si agghindavano in quel modo si capisce come l’austero Guglielmo da Volpiano abbia rivolto loro la minaccia che non sarebbero andati in Paradiso in un simile abbigliamento, poiché a sua detta era quello del diavolo. Ovviamente esistono delle “mise” di compromesso. Nei disegni del Calendario di Chartres si vede un cavaliere la cui tunica scende fino al ginocchio, con gli stivali ai piedi, a capo scoperto, rasato, coi capelli piuttosto corti. Impegnato in una caccia alla corsa suona un corno reggendolo con la sinistra e a destra impugna un frustino a tre corde. In un’altra miniatura del Calendario è rappresentato un signorotto con la barba ed i capelli tagliati in tondo intorno al capo, con le orecchie in vista. E’ avvolto in un ampio mantello, un semplice rettangolo di stoffa appeso alla spalla destra con una fibbia ornata di pietre preziose, il cui drappeggio lascia scorgere la tunica, blu, che scende a metà polpaccio e le brache, rosse, non strette, come si vede spesso in epoca carolingia, da stringhe incrociate. Ha scarpe nere orlate da una fascia dorata, che continua sopra il piede fino alla punta. Abbigliamento femminile Le donne rappresentate nelle miniature del Calendario di Chartres e non solo, portano un gran velo bianco che dalla testa scende fino ai piedi ed è fermato sotto il collo da un vistoso gioiello. Detto “ pallio “ è a volte orlato da ricami preziosi. E’ abbastanza aperto sul davanti da lasciare scorgere la tunica lunga, con ampie maniche ornate sui bordi o in prossimità dei gomiti, là dove inizia la spampanatura delle maniche, e lunga fino a nascondere i piedi. In una miniatura, grazie ad una donna che alza la mano, si può vedere la manica aderente di una sotto tunica o camicia. 3. Abbigliamento dei rustici o popolo. Grazie ancora al calendario di Chartres si possono ricostruire gli abiti dei rustici o contadini. I contadini. La foggia dei loro abiti non è cambiata dai tempi dei Carolingi, per meglio dire non è cambiata e non cambierà per secoli. Sempre le stesse “ brache” e la stessa “ tunica” che già indossavano i Galli. Cambia il nome ( braie e saie e poi chausse e bliaut o robe ) A titolo di esempio nei disegni del Calendario l’uomo che, in giugno, rastrella il fieno ha le brache strette da lacci incrociati e la tunica gli scende a metà gamba. Sembra avere un cappuccio e non ha barba. I due personaggi che rappresentano il segno dei Gemelli sono vestiti allo stesso modo. Entrambi calzano scarpine a punta che si ritrovano pure ai piedi del giardiniere del mese di aprile. Domanda: la gente dei campi portava davvero le scarpe a punta raffigurate nel Calendario di Chartres? Certo, ce li si immagina meglio in zoccoli. Eppure questo tipo di calzatura è assente in tutta l’iconografia del Medioevo. Le contadine. Le contadine indossano un vestito semplicissimo. Forse, però, non era lungo come quello delle nobili. Sempre rigorosamente a capo coperto, come tutte le donne sposate, usano per coprire i capelli fazzoletti piuttosto ampi ed indossati con fogge diverse. I tessuti potevano essere lana – che cardavano le donne – meno spesso il lino, più lussuoso e perciò riservato ai signori e la tela di canapa grezza anch’essa prodotta in casa. N.B.:La foggia degli abiti trova conferme in diverse iconografie locali: il salterio del Vescovo Warmondo di Ivrea, gli affreschi della Novalesa, Susa ed altri Fonte: Edmund Pognon – La vita quotidiana nell’anno mille – Fabbri editori, 1998 ( titolo originale. La vie quotidienne en l’an mille )