quattro condizioni della donna a confronto. donna

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quattro condizioni della donna a confronto. donna
QUATTRO CONDIZIONI DELLA DONNA A CONFRONTO.
DONNA ORIENTALE,DONNA ISLAMICA,DONNA
AFRICANA,DONNA OCCIDENTALE.
LA DONNA NEL TEMPO
La condizione della donna è sempre stata
caratterizzata da una situazione di inferiorità
sia sul piano sociale che giuridico e politico.
Questa discriminazione a danno della donna,
viene giustificata per lo più da una sua pretesa
inferiorità fisica.
Nel mondo miceneo, secondo quanto si può
dedurre dai poemi omerici, la donna, pur
sottoposta all'autorità del marito, era in grande
considerazione e godette di una libertà
impensabile nell'età successiva. Il suo normale destino era il
matrimonio, riceveva dal padre una dote e lo sposo, che non poteva
rifiutare; il contratto matrimoniale prevedeva che lo sposo le facesse
un dono, che ella avrebbe potuto tenere con se nella nuova famiglia. Il
suo precipuo dovere era quello di provvedere al buon andamento della
vita domestica, controllare il lavoro delle schiave, allattare i figli e
provvedere alla loro educazione nei primi anni di vita. Godeva anche
di molta libertà e poteva uscire di casa senza il marito purché
accompagnata da un'ancella.
Della donna greca abbiamo notizia solo di quella ateniese. Essa viveva
praticamente reclusa, se sposata usciva di casa soltanto nelle feste
religiose, in occasione di un matrimonio o di un funerale; ma se in casa
giungeva improvvisamente un uomo qualsiasi a far visita, doveva
subito ritirarsi nel gineceo; se nubile non poteva neanche girare per
casa. La sua capacità giuridica era pressappoco nulla: fino a 14 anni
era sotto la giurisdizione del padre e in seguito doveva avere un tutore,
sia il padre, il fratello o il marito; non poteva fare testamento e solo in
casi sporadici poteva essere citata come testimone in un processo; però
poteva diventare sacerdotessa, e se mamma, allattare e allevare i figli,
proprio come la donna micenea. Diverse erano le etère (termine con
cui venivano indicate le cortigiane), superiori alla media greca per
cultura e raffinatezza del gusto, prive degli scrupoli moralistici che
tenevano le donne relegate in casa intente ai lavori domestici, le etère
avevano una intensa vita di relazioni. Furono famose Aspasia,
compagna di Pericle; Frine ritratta da Prassitele e difesa in un famoso
processo da Iperide; Gliceria, amata da Arpalo che edificò una statua
in suo onore; Leonzio, la compagna di Epicuro e una sua omonima
amata dal poeta Ermesianatte che le dedicò dei versi.
In Etruria, da quanto si conosce dalle effigi di coppie di sposi sulle
tombe, che l'archeologia ci ha tramandato, si può pensare che la
società etrusca tenesse in grande considerazione, la donna e il
matrimonio.
La donna romana godette di maggiore libertà rispetto a quella greca,
essa svolse sempre un ruolo importante nella famiglia, non solo come
mamma e custode della casa, ma spesso anche come confidente e
consigliere del marito, e riceveva inoltre una istruzione regolare. Però
anche qui era sottoposta all'autorità del marito.
L'avvento del cristianesimo, non modifica la condizione giuridica della
donna, pur assegnandole un ruolo fondamentale in seno alla famiglia
che viene a ricostituirsi come nucleo fondamentale della vita associata,
la sottomissione al marito era ancora vigente; ma il cristianesimo
almeno la sottrasse all'umiliazione del ripudio.
Nel IV secolo cominciarono a diffondersi i movimenti spirituali
femminili e si affermava una nuova immagine della donna accanto a
quella tradizionale di madre e di sposa: la donna vergine. Nella prima
età medioevale, questa nuova spiritualità femminile ha portato alla
nascita di moltissime istituzioni monastiche.
Con l'arrivo dei Longobardi diventa oggetto del guerriero, è
sottoposta alla tutela (mundio o mundeburdio) del padre o del fratello,
passando sotto quella del marito dopo le nozze; queste erano
organizzate e decise senza che fosse stato previsto il suo consenso e
assimilate ad un atto di compravendita.
Nell'età cavalleresca, nonostante l'idealità cortese, la posizione
giuridica della donna non subì sostanziali modificazioni. Gli statuti
comunali, poi, ne limitarono i diritti patrimoniali. Bisogna aspettare la
tarda età comunale per vedere che le vengono rese possibili
un'evoluzione intellettuale e sociale, e in questo periodo si hanno
grandi figure femminili: da Chiara di Assisi e Caterina da Siena a
Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga. Ma sotto il profilo giuridico la sua
condizione rimase invariata e s'aggravò nell'età successiva dominata
dal soffocante moralismo controriformistico: venne sottratta alla
cultura e relegata in mansioni domestiche.
Dobbiamo aspettare il XVIII secolo perché comincino a serpeggiare
idee favorevoli alla sua formazione culturale. E la inizia ad avviarsi
anche alle discipline scientifiche. Le grandi rivoluzioni, quella francese
e quella americana, la portano al riconoscimento dei diritti civili, pur
lasciandola ancora senza quelli politici. Il codice napoleonico, assicura
la parità giuridica della donna nubile, all'interno della famiglia,
invece, ripristinava la piena sottomissione al marito. Tuttavia ora
vedeva aprirsi davanti spazi ampi di intervento sociale: campo
preferito è quello dell'educazione, in Francia e in Gran Bretagna
soprattutto, ma anche in Italia si hanno figure femminile che arse
dall'ardore romantico e risorgimentale, hanno svolto opera di
educatrici, fra le tante si ricordano: Matilde Calindri, Amelia Calani e
Anna Ricasoli.
Durante la metà del XIX secolo cominciano a concretizzarsi le prime
vere conquiste sociali. Il codice del 1865 sancisce l'alienabilità della
dote, la reciprocità degli obblighi economici dei coniugi e la
corresponsabilità nei confronti dei figli; ottiene l'accessibilità agli studi
superiori, in Italia la prima donna si è laureata nel 1877. Negli Stati
Uniti una legge del 1840 dava alla donna sposata la piena disponibilità
dei suoi guadagni e dei suoi beni personali. In Italia una legge uguale
venne promulgata solo nel 1919.
Intanto allo scoppio della prima guerra mondiale, in dodici stati della
Confederazione americana veniva riconosciuto alla donna il diritto
politico; poco dopo lo stesso riconoscimento veniva accordato anche
dalla Danimarca, Paesi Bassi, URSS e Islanda; nel 1918 seguirà la
Gran Bretagna, che tuttavia riserva tale diritto solo alla donna che ha
compiuto i trent'anni. Nel periodo fra le due guerre sia in America che
nel resto d'Europa veniva riconosciuto anche il diritto di voto, in Italia
si dovrà aspettare il 1945.
Da questo momento il movimento di emancipazione della donna si fa
più agguerrito anche in Italia, e di conseguenza il processo di
equiparazione si fa più celere. Nel 1956 viene ammessa nelle corti
d'assise e nei tribunali dei minorenni, come giudice popolare; nel 1960
ottiene il libero accesso a tutte le cariche pubbliche, tranne quelle
militari e diplomatiche; la piena parità giuridica nel lavoro viene
ottenuta nel 1962, tuttavia nell'ambito familiare è ancora vigente la
discriminazione del "diritto di famiglia". Solo nel 1977 una riforma
generale ha finalmente abolito ogni discriminazione, mentre risale al
1979 la prima nomina ad ambasciatore e alla presidenza della Camera
dei Deputati.
Più tempo passa e più vediamo la donna prendere possesso di posti di
comando che una volta non si sarebbe mai sognato di poter avere. La
donna schiava e sottomessa all'uomo non esiste più. Essa ha preso e
prende sempre più coscienza di sé e delle sue capacità; rifiuta una vita
che fino a qualche anno fa accettava con naturalezza.
La figura della casalinga come "nostra madre" o "nostra nonna", che
tutto dedicava alla famiglia, che viveva per la famiglia va
scomparendo, il suo posto viene preso da una donna nuova che ha
innumerevoli interessi oltre quelli domestici.
Oggi la donna ha propri contatti sociali che le danno più
consapevolezza delle sue forze e del suo valore.
Il sociologo americano Robert Morison ha posto in evidenza come
nella nostra epoca, la crisi della famiglia, la sconvolgente evoluzione
della società, il progresso tecnico e lo spirito scientifico che dominano
il nostro tempo, hanno spostato l'educazione dalla famiglia alla scuola,
facendole assumere maggiore importanza a detrimento del prestigio
della famiglia. In effetti la famiglia può assolvere benissimo il compito
di istruzione e di educazione in una società statica, ma non è più in
grado di assolvere il proprio compito in una società che cambia
rapidamente. Ma questo processo di emancipazione della donna è
proprio indipendenza? Le apparenze ingannano! Oggi la donna è
schiava del "doppio lavoro", quello casalingo e quello che presta fuori.
Allora che cosa bisognerà fare per renderle giustizia? A mio avviso
bisognerebbe prolungare la permanenza dei bambini a scuola ed
estendere il ruolo di questa; bisognerebbe creare una rete di ristoranti
economici per sgravarla almeno del lavoro della cucina; occorrerebbe
affidare la pulizia degli alloggi a squadre formate appositamente;
creare impianti di lavaggio collettivi, ecc. La situazione non è certo
confortante per le nostre donne! In Russia, ad esempio, il 78% dei
medici sono donne, come lo sono il 70% degli insegnanti e il 32% dei
giudici; e ancora, il 32% del "gentil sesso" esercita la professione di
ingegnere. Da noi, in Italia, le donne che lavorano rappresentano
appena il 5% dei funzionari direttivi e solo il 24% è alle dipendenze
dello stato. L'unico settore in cui la donna italiana domina è la scuola;
ma anche qui non si possono fare considerazioni positive. Molte volte
sono ragioni pratiche che la spingono all'insegnamento perché le
permette di avere più tempo per la famiglia e per la casa. Quindi
parlando di emancipazione della donna non si può affermare che sia
una libera scelta.
Questo cambiamento nella vita della donna, come abbiamo visto, si è
maturato negli anni gradualmente. Quali le cause? Come ha potuto
questa autentica rivoluzione essere portata avanti, senza essere
contrastata? Come ha potuto l'uomo veder sfumare il suo dominio
sulla donna, senza reagire? Si è trattato, a mio avviso, di un processo
sociale che trova le sue origini, le sue cause e i suoi presupposti nella
crisi della famiglia e nella trasformazione della società.
La crisi della famiglia è senza dubbio di origine sociale. Qualche
tempo fa la famiglia aveva solide fondamenta, perché il nucleo
familiare assicurava ai suoi componenti protezione e sicurezza. Oggi
in questo mondo dominato dalla tecnologia, in cui il successo del
singolo dipende dalle sue capacità, dalla sua intelligenza e dalla sua
abilità, i legami con la famiglia vengono privati di ogni significato.
Bisogna anche riconoscere che ieri la base economica della famiglia
era data dalla proprietà, oggi la famiglia vive di reddito di lavoro. La
giovane donna sa che può rendersi indipendente e vivere una propria
vita diventando operaia o impiegata, sa che la industrializzazione della
società le permette di non essere più legata alla condizione domesticoarcaica su cui poggiava il rapporto tradizionale con la famiglia.
Inoltre c'è da ricordare che un tempo la famiglia svolgeva anche una
sua funzione sia nell'istruzione che nell'educazione.
Oggi l'evoluzione della società è sconvolgente. Il progresso tecnico e lo
spirito scientifico dominano il nostro tempo. Una volta la scoperta era
del tutto casuale e la società ne sentiva le conseguenze senza
sconvolgimenti improvvisi. Oggi la ricerca scientifica lavora per
creare nuove condizioni di vita e nella nostra società non solo la
somma delle conoscenze aumenta con rapidità enorme, ma la loro
diffusione è quasi istantanea.
La condizione tradizionale della donna poteva essere sopportata fino a
quando essa era chiusa in famiglia. Quando la moderna
industrializzazione le ha offerto innumerevoli possibilità di lavoro, la
sua condizione, con l'ingresso nel mondo del lavoro, ha visto notevoli e
continui cambiamenti, raggiungendo l'emancipazione voluta. Ma al
momento può parlarsi di emancipazione nel senso vero della parola?
Possiamo dire, se guardiamo alla realtà delle cose, senza farci
fuorviare dalle apparenze a volte ingannevoli che oggi la donna,
almeno per il momento, nella sua lotta, è ben lontana dal poter cantare
vittoria. Oggi è schiava del lavoro, quello casalingo e quello che svolge
nel processo produttivo. La società non ha ancora assunto su di sé i
compiti del lavoro familiare e la cura della casa, la preparazione dei
pasti e tutti i compiti che rientrano nell'economia domestica sono
svolti non come lavoro vero e proprio, ma sempre sotto l'etichetta di
"lavoro casalingo", dizione che ancora adesso ha il significato di
negazione del lavoro.
Ho detto che la donna è ben lontana dal cantare vittoria, ma sempre
guardando alla realtà, si può dire che la donna, oggi, divide col marito
la responsabilità della famiglia, che una volta era comandata da
un'autorità maritale, come abbiamo visto più su, ed ora è guidata da
un'autorità parentale, nel senso che anche la madre partecipa del
potere familiare, quindi, anche se si può riscontrare un primato
maschile nell'esercizio del comando in famiglia, non si può più parlare
di esclusività.
L'accesso alle carriere, che si è visto iniziare nel 1979, ancora oggi,
vede la donna scavalcata dall'uomo, per un incarico importante viene
sempre preferito un uomo di pari grado e magari di capacità più
limitate, e solo perché ha il merito di essere uomo.
Questo stato di cose ha contribuito e contribuisce ad escludere i figli
che non riescono a dare un senso vero alla vita e solo perché sono stati
costretti a crescere senza la vicinanza della mamma, senza impregnare
le narici e i pori dell'odore della donna che li ha messi al mondo;
infatti hanno avuto una "balia" di metallo con figure animate che non
ha fatto niente per la loro educazione; sono cresciuti senza sentire il
calore del fiato materno, non hanno potuto contare sulla loro presenza
attiva, e sono venuti su senza conoscere chi avrebbe dovuto guidarli,
chi avrebbe dovuto insegnar loro il comportamento da tenere, senza il
suono di quella voce che avrebbe dovuto far capire loro che cosa è
bene, che cosa è male, che cosa è amore, che cosa è delusione, che cosa
è gioia e che cosa è dolore; senza quella voce che avrebbe dovuto
consolarli nei momenti di tristezza, che avrebbe dovuto dividere con
loro le prime gioie, le primissime scoperte amorose. Sì non sono stati
soli, ma può la televisione sostituire la mamma o il papà? In questo
modo si sono trovato soli, incapaci di confidarsi con i genitori, e
proprio perché è mancato loro il contatto comunicativo con i propri
genitori, è mancata la confidenza con essi.
La donna sarà veramente libera ed emancipata solo quando avrà
capito che di fronte alla maternità, deve mettere da parte ogni
ambizione carrieristica e dedicarsi interamente al figlio, deve capire
che il figlio deve maturare aiutato dai genitori, soprattutto dalla
madre, dovrà essere guidato quando sta per formare e realizzare la
propria personalità, e poi potrà ricevere quella fiducia che gli è
necessaria e della quale sicuramente non approfitterà.
La più grande ambizione per una donna-madre dovrebbe essere
quella di vedere il figlio ben educato, con una personalità matura e
formata. In una società civile permeata di una sana moralità, merita
più rispetto la donna che sa rinunciare ai suoi sogni per viverli con il
figlio e che sappia risolvere con dignità i suoi problemi, che sappia
responsabilmente affrontare le conseguenze che la rinuncia comporta,
perché solo allora è veramente una donna libera ed emancipata.
Condizione della donna nell'Islam.
Di Manuela Del Papa.
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Donna con hijab in Tunisia
Lo studio della condizione della donna nell'Islam riguarda le attitudini
e le credenze riguardo i ruoli e le responsabilità delle donne all'interno
della religione islamica.
La complessa relazione tra donna e Islam è definita tanto dai testi
islamici quanto dalla storia e cultura del mondo islamico. In base al
Corano, le donne sono uguali agli uomini di fronte a Dio. La Sharia
(legge islamica) include differenze tra i ruoli di genere, i diritti e gli
obblighi della donna e dell'uomo. Gli interpreti dei testi giuridici
islamici hanno diversi giudizi circa l'interpretazione delle norme
religiose sulla condizione della donna. Secondo i più conservatori, le
differenze tra uomo e donna sono dovute ad un diverso status e
responsabilità dei due, mentre il liberalismo musulmano, il
femminismo islamico ed altri gruppi hanno argomentato a favore di
interpretazioni più originali ed aperte.
I paesi a maggioranza musulmana concedono alla donna vari gradi di
diritti riguardo a matrimonio, divorzio, diritti civili, status legale,
abbigliamento ed istruzione, in base a diverse interpretazioni della
dottrina islamica e dei principi di laicità. Tali paesi presentano alcune
donne in alte posizioni politiche, ed hanno prodotto diversi capi di
stato donna.
Condizione sociale
Dal punto di vista religioso non sembrano esserci problemi; per la
legge islamica la donna è ontologicamente uguale all’uomo, ha gli
stessi doveri, non c’è per essa alcuna discriminazione nella vita eterna
che l’attende dopo la morte. I problemi cominciano quando dal campo
religioso si passa a quello sociale.
Infatti il Corano stabilisce: «gli uomini sono preposti alle donne
perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano
dei loro beni per mantenerle.»
Questo significa, in pratica, che la donna, finché rimane in famiglia, è
sottoposta all’autorità del padre e dopo, quando si sposa, passa sotto
l’autorità del marito. Paradossalmente esclusa da questa tutela (
wilāya ) è la nubile non più giovane ( anīs ), che può in tutto e per tutto
gestirsi senza dipendere dall'altrui beneplacito.
Nel mondo islamico le donne non sono ugualmente discriminate in
tutti i Paesi, per cui parlando dei diritti delle donne islamiche occorre
precisare a quale piano ci si riferisca, se teorico-religioso o praticopolitico, ed a che paese si faccia riferimento.
In alcuni Stati esse hanno ormai ottenuto parecchi privilegi una volta
destinati quasi esclusivamente agli uomini, ma negli Stati più
tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno titolo
della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate ed applicate
in maniera più rigida e rigorosa, le donne non vivono una situazione
egualitaria in termini di libertà, e sono considerate ad un livello
inferiore rispetto all’uomo.
Fonti coraniche
Il principio della superiorità maschile è enunciato dal Corano nella
sura IV, detta al-Nisā (delle donne), al versetto 34:
« Gli uomini sono preposti alle donne, a causa della preferenza che
Allah concede agli uni rispetto alle altre e perché spendono [per
esse] i loro beni. Le [donne] virtuose sono le devote, che proteggono
nel segreto quello che Allah ha preservato. Ammonite quelle di cui
temete l'insubordinazione, lasciatele sole nei loro letti, battetele. Se
poi vi obbediscono, non fate più nulla contro di esse. Allah è
altissimo, grande »
(Trad. di Alessandro Bausani)
Così, in virtù di questo precetto, le donne sono private persino dei
fondamentali diritti umani e civili: non godono della libertà di
spostamento, della libertà di espressione e di parola; non possono
procedere negli studi né tanto meno fare carriera o ricoprire cariche o
posizioni di responsabilità in campo civile o religioso. Non possono
decidere il proprio destino né quello dei propri figli e sono totalmente
sottomesse all'uomo, da cui possono venire ripudiate (e non viceversa).
Sono eventualmente costrette a convivere con altre mogli scelte
dall'uomo; e sono obbligate a coprire il proprio corpo e spesso anche il
viso.
La poligamia è lecita e prevista dal Corano per gli uomini (Sura "delle
donne", versetto 3) con la limitazione se temete di non essere giusti
con loro sposatene una sola o le ancelle in vostro possesso. Questa
limitazione ha indotto alcuni commentatori modernisti ad affermare
che, poiché è impossibile essere giusti con più di una donna (come è
detto nella stessa sura al versetto 129) la poligamia è virtualmente
illecita.
Al v. 15 della stessa sura si dice se alcune delle vostre donne avranno
commesso atti indecenti portate quattro testimoni contro di loro, e se
questi porteranno testimonianza del fatto, chiudetele in casa fin che
non le coglierà la morte o fin quando Dio apra loro una via. Dai
commentatori questa punizione s'intende abrogata dal v. 2 della sura
"della Luce", in cui si afferma che l'adultera e l'adultero siano puniti
con cento colpi di frusta ciascuno alla presenza di un gruppo di
credenti, ma in questo caso si parla di adulterio mentre nell'altra sura
si parla di atti indecenti e i commentatori non sono d'accordo se per
atti indecenti debba intendersi l'adulterio.
Secondo il Corano l'uomo può ripudiare la moglie e non v'è nessun
accenno che la moglie possa farlo nei confronti del marito. Nella sura
"della Luce". il v. 31 prescrive che le credenti abbassino gli sguardi e
custodiscano le loro vergogne, non mostrino troppo le loro parti belle
ad altri che agli uomini della famiglia e non battano i piedi sì da
mostrare le loro parti nascoste. Secondo un'usanza che è precedente al
Corano questo versetto proibirebbe alla donne di mostrare il volto e
quindi avrebbe giustificato nei tempi passati l'esistenza dei ginecei
(harem) in cui erano rinchiuse le donne, custodite nel caso di
personalità di grande ricchezza, da guardiani evirati, nonché l'uso
oggi in certi Stati islamici di vesti che coprono interamente il viso.
Circa l'obbligo di portare il velo e coprire il volto non c'è alcun
versetto che lo prescriva espressamente e nemmeno il v. 59 della sura
"delle Fazioni alleate" lo afferma, anche se dice: Dì alle tue spose e
alle tue figlie e alle donne dei credenti che si coprano dei loro mantelli,
che sono grandi veli che vanno dalla testa ai piedi. Circa il divieto di
battere i piedi forse ci si riferisce alla non liceità del ballo per le donne
musulmane.
Nella sura "del Misericordioso" si parla del paradiso con le vergini a
disposizione degli uomini ma è pur vero che lo stesso Testo sacro
islamico afferma che esistono anche ghulām (schiavi, paggi). Insensati
i commenti di certi esegeti secondo cui a popolare l'inferno sarebbero
in maggioranza le donne, anche se questo attesta una certa qual
attitudine mentale maschilista, fortemente presente nella cultura
islamica.
Se tutto ciò appare in qualche modo soggetto a interpretazione (
ijtihād ), sì da smentire chi affermi apoditticamente che il velo o la
supremazia dell'uomo sulla donna siano previsti, nella loro accezione
più avvilentemente maschilista, dal Corano, ben diversa è la situazione
legata al diritto ereditario. Nella medesima sura "delle donne", al v.
11, è infatti detto in merito all'eredità ai figli Iddio vi raccomanda di
lasciare al maschio la parte di due femmine e in molti altri punti del
Corano si evidenzia uno stato d'inferiorità della donna rispetto
all'uomo, anche se sono frequenti le raccomandazioni ai mariti di
trattare con gentilezza e giustizia le loro mogli anche nei rapporti
sessuali, in caso di poligamia. Ovviamente alle donne non è concesso
avere più di un marito.
Il principio della superiorità maschile è evidenziato anche nel verso
228 della sura 2:
« “Le donne divorziate osservino un ritiro della durata di tre cicli, e
non è loro permesso nascondere quello che Allah ha creato nei loro
ventri, se credono in Allah e nell'Ultimo Giorno. E i loro sposi
avranno priorità se, volendosi riconciliare, le riprenderanno
durante questo periodo. Esse hanno diritti equivalenti ai loro
doveri, in base alle buone consuetudini, ma gli uomini sono
superiori. Allah è potente, è saggio”. »
( sura 2 verso 228 )
che Hamza Roberto Piccardo scrittore ed ex-segretario dell'UCOII
nella versione del Corano da lui stesso curata per Newton & Compton
commenta così:
« "In un penoso sforzo di omologare l’Islàm alla cultura
occidentale, alcuni commentatori modernisti hanno scritto che la
superiorità riguarda solo il diritto dell’uomo al ripudio della moglie,
facoltà che non gode di reciprocità. In realtà si tratta di qualcosa di
molto più importante e fondamentale per il mantenimento
dell’equilibrio, individuale, famigliare, sociale.
L’uomo e la donna sono due realtà complementari imprescindibili
l’una dall’altra. Se così non fosse, Allah (gloria a Lui l’Altissimo)
non avrebbe formato Eva dalla costola di Adamo, avrebbe fornito
entrambi i generi di apparati riproduttivi completi ecc. ecc.
La struttura fisica dell’uomo è capace di grandi sforzi e di exploit
significativi, quella della donna, di fatica mediamente ripartita e
grande sopportazione del dolore.
La sensibilità maschile è tutta esteriore, proiettata in un ambito
extrafamigliare che tende a diventare pubblico e politico. Quella
femminile è interiore, attenta a sé stessa, tesa alla protezione di
quanto acquisito o all’acquisizione di semplici mezzi di
sostentamento e di sicurezza.
La psicologia maschile è immaginifica, creativa, sperimentale,
amante del rischio, desiderosa di novità, di affermazione dell’io, il
più delle volte ampia e superficiale. Quella femminile è concreta,
tradizionale, nemica dell’azzardo, desiderosa di certezze, di
conservazione del “mio”, il più delle volte profonda e limitata.
Nell’ambito famigliare il rispetto della Legge di Allah e della Sunna
dell’Inviato fa sì che non si creino situazioni tali da esigere
un’affermazione di potere che mortifichi la complementarietà dei
coniugi. Ma oltre alla complementarietà c’è un problema di
leadership, nella famiglia e nella società, che non significa
predominio, oppressione o disconoscimento della prevalenza
femminile in una quantità di settori e corcostanze. Allah (gloria a
Lui l’Altissimo) affida questo ruolo dirigente al maschio. È un
compito gravoso e difficile, di cui l’uomo farebbe spesso volentieri a
meno, e di cui è tenuto a rispondere davanti ad Allah." »
Chador a
Tehran
Donna con niqab negli
Emirati Arabi
Donna in
Marocco
Niqab
Donna in
Yemen
La donna nell’Islam
Diritti delle donne islamiche
Il tema dei diritti delle donne nell’Islam è al centro di accesi dibattiti e
di giudizi estremamente contrastanti. Da un lato, molti osservatori
sostengono che non è facile parlare di "diritti" delle donne islamiche
dal momento che la maggior parte di esse sono private delle più
elementari norme civili : "Dalla minore libertà di spostamento alla
minore libertà d'espressione, di parola, di saluto; minore possibilità di
avanzare negli studi o nella carriera e di rivestire cariche o ruoli di
responsabilità in ambito civile o religioso; quasi nessuna possibilità di
partecipare alla vita politica o di venire eletta; scarsa possibilità di
decidere il proprio destino o quello dei propri figli; sottomissione
all'uomo, da cui può venire ripudiata (e non viceversa); convivenza
con altre mogli scelte dall'uomo; obbligo, in molti paesi, di coprire il
proprio corpo e spesso anche il viso; imposizione, in molti paesi,
dell'infibulazione e dell'escissione; frequenti gravidanze non scelte
liberamente, ma imposte dal marito.
La condizione della donna nell'Islam varia molto da nazione a
nazione. In quegli Stati ove le leggi del Corano sono applicate più
rigidamente, le donne vivono in minori condizioni di libertà rispetto
all'uomo, e spesso sono poste su un gradino inferiore. Esse però non
sempre avvertono come ingiustizia la diversità della loro condizione,
ricevuta come abitudine culturale. Ma anche se l'avvertissero come
ingiustizia, non sempre sono in grado con le proprie forze di
modificare la propria situazione".
Dall’altro, la cultura islamica sostiene che le donne accedono a
specifici diritti sociali: "La donna, come l'uomo, è un entità
indipendente e quindi un soggetto umano pienamente responsabile
delle sue scelte e delle sue azioni. Inoltre i doveri previsti dalla Shari'a,
la legge islamica, sono gli stessi tra gli uomini e le donne.
Inoltre la donna costituisce persona giuridica a sé, a prescindere dal
marito, dal padre o da qualsiasi parente maschio tant'è vero che può
scegliere di diventare musulmana a prescindere dalla fede dei suoi
parenti più prossimi Ma ha anche la possibilità di scegliere
autonomamente se accettare un matrimonio o meno, e se non vi è
l'assenso della donna il matrimonio non può essere considerato valido.
La donna ha diritto ad una sua propria proprietà privata, che non è
tenuta a condividere con nessuno. La dote che l'uomo versa a la donna
viene a far parte proprio di questa sua proprietà va investita nei suoi
bisogni personali e non va investita nelle esigenze della famiglia, che
devono essere sostenute dall'uomo, ma alle quali la donna può
decidere spontaneamente, e in accordo con il marito, di parteciparvi
anche con una sua attività lavorativa fuori dalle mura domestiche".
La donna nel Corano
Nel Corano, testo sacro della religione islamica, molteplici sono i
riferimenti nei confronti della donna nei suoi aspetti spirituali, in
quelli sociali e in quelli economici; secondo l’interpretazione che viene
data da alcuni studiosi del testo sacro del Corano, la donna è
considerata pari all’uomo, gode di molteplici diritti, deve essere
rispettata ed amata. In una sorta di concezione "stilnovistica" è
l’ancella – tramite, attraverso la quale è possibile "elevarsi" a Dio.
" Chiunque - sia esso maschio o femmina - faccia delle opere buone, ed
abbia fede, in verità a costui Noi daremo una nuova vita che sia buona
e pura, ed elargiremo a tali individui la loro ricompensa in base alle
loro azioni. (Corano 16:97, vedere anche 4:124). Il Corano indica
chiaramente che il matrimonio è condivisione tra le due metà della
società, e che i suoi obiettivi, oltre al perpetuarsi della vita umana,
sono il benessere emotivo e l'armonia spirituale. Le sue basi sono
l'amore e la misericordia. "E tra i Suoi segni vi è questo: Che Egli creò
compagne per voi da tra di voi in cui possiate trovare riposo, pace
mentale in esse, ed Egli ordinò tra voi amore e misericordia. Ecco, qui
vi sono invero segni per le persone che riflettono." (Corano 30:21)."
Maggiori approfondimenti sul testo del Corano e sul modo in cui è
venuto e viene interpretato nei confronti della donna si possono
trovare:
La famiglia nell’Islam
Il diritto di famiglia non segue i percorsi della legislazione civile ma
affonda le radici nel diritto sacro dell’Islam, la Shari’a, riformulata in
codici e leggi dai diversi stati Arabi durante l’ultimo secolo.
Per il diritto musulmano il matrimonio è un contratto. L’Islam non
conosce il concetto teologico di sacramento caratteristico del
Cristianesimo.
"Il matrimonio musulmano è essenzialmente un contratto
consensuale. La nozione di sacramento è estranea all’islam, anche se
ciò non significa che il matrimonio sia una realtà esclusivamente
profana. Il matrimonio può essere sciolto per iniziativa di uno dei
coniugi oppure consensualmente e l’analisi delle cause di scioglimento
(ed anche di nullità) evidenza un’attenzione alla effettiva vitalità del
rapporto coniugale in termini che presentano qualche punto di
contatto con i principi sottesi alla disciplina del divorzio attualmente
vigenti in molti Paesi occidentali". (Cfr. per maggiori
approfondimenti: Ferrari Silvio, La pluralità dei matrimoni dal punto
di vista religioso (cristianesimo, ebraismo, islam), in Donati Pierpaolo
(a cura di), Identità e varietà dell’essere famiglia. Il fenomeno della
"pluralizzazione", Settimo rapporto Cisf in Italia, San Paolo, Cinisello
Balsamo (MI), 2001, pp. 309 – 349).
"Come ogni altro contratto, il matrimonio è concluso con il consenso
delle parti contrattanti. Le parti del contratto non coincidono però
necessariamente con gli sposi. Occorre considerare che, secondo la
sharî‘a, ogni persona può essere titolare del rapporto matrimoniale,
anche il bambino appena nato. Se l’individuo, a causa dell’età
immatura, non è in grado di decidere e di concludere il matrimonio,
qualcuno lo farà per lui: il tutore matrimoniale (walî), che
normalmente è il padre. Nei matrimoni precoci la volontà
matrimoniale è del tutore, che quindi esercita il potere di costrizione
matrimoniale (ijbâr). Tale potere cessa quando l’individuo ad esso
sottoposto raggiunge la pubertà. Fa eccezione, secondo i malikiti, la
donna vergine. La verginità, allo stesso modo della giovane età,
implica poca conoscenza della vita, e giustifica il prolungarsi del
potere di costrizione del tutore…Le parti possono apporre al contratto
clausole e stipulazioni dirette a modificarne gli effetti tipici, purché
non contrastanti con i principi irrinunciabili che lo reggono. Tale
opinione, tradizionalmente riferibile alla sola scuola h³anbalita, è oggi
recepita da tutti i legislatori. È quindi possibile che la moglie pretenda
dal marito l’impegno di non trasferire il domicilio coniugale dalla città
di origine, di permetterle di esercitare una professione o di
partecipare alla vita pubblica, di non chiederle di seguirlo nei suoi
viaggi. Il marito può inoltre promettere di non sposare un’altra donna
(clausola di monogamia), o può dare alla donna mandato di
autoripudiarsi. Alcuni suggeriscono che tramite l’apposizione di una
clausola gli sposi possano decidere la comunione degli acquisti, in
deroga al regime patrimoniale normale che è quello della perfetta
separazione dei patrimoni dei coniugi. Nei matrimoni misti, accordi
particolari circa l’educazione religiosa dei figli, in contrasto con il
principio per cui i figli devono essere educati nella religione paterna,
sono destinati a essere considerati nulli…La vita coniugale che trae
vita dal matrimonio è segnata dalla preminenza dell’uomo: la donna
deve mettersi a sua disposizione e prestargli obbedienza. Il
corrispettivo di tale quotidiana sottomissione è il mantenimento che
l’uomo versa alla moglie, indipendentemente dalla condizione di
bisogno di lei: esso comprende il vitto, l’alloggio, il vestiario, le spese
mediche e il servizio. L’insubordinazione ingiustificata della donna
determina la sospensione del mantenimento. Il mantenimento è dovuto
per tutto il tempo che la donna resta nella potestà dell’uomo, cioè fino
alla fine del ritiro legale (‘idda) che segue lo scioglimento del
matrimonio per morte, ripudio o divorzio. Il ritiro legale permette di
accertare l’eventuale gravidanza della donna; esso dura generalmente
tre mesi, dopo i quali il marito non ha più alcun obbligo nei confronti
della moglie. Dopo lo scioglimento del matrimonio, la donna che non
ha redditi propri resta a carico della famiglia di origine o dei figli.
Famiglia e matrimonio nell’Islam
Per quel che concerne l’educazione dei figli vige una netta distinzione
dei ruoli educativi paterni e materni. E’ il padre in prima persona a
prendere le decisioni relative all’educazione della prole: "Al padre
spetta in esclusiva il potere di prendere le decisioni relative
all’educazione del figlio, alla sua istruzione, all’avviamento al lavoro,
al matrimonio e all’amministrazione dei suoi beni. Egli è il
rappresentante legale del minore. Tutti questi sono aspetti particolari
della wila\ya, la potestà paterna. In assenza del padre, il posto è preso
da un agnato o dal tutore nominato nel testamento (was³i\). Se
mancano sia gli agnati sia il tutore testamentario, il giudice provvede
alla nomina di un rappresentante del minore (muqaddam). La madre
deve invece custodire, sorvegliare e curare il figlio: ciò costituisce il
contenuto della h³ad³a\na, o custodia del bambino. La custodia è
considerata un compito squisitamente femminile: in caso di assenza o
incapacità della madre, è una parente femmina, generalmente del lato
materno, a sostituirla".
Il messaggero dell’Islam, La famiglia nell’Islam, in "Donna e società",
n.84, sett.-dic. 1987, pp. 134-138
Donne "senza volto"?
Anche per quel che riguarda l’usanza di coprirsi il volto, tipica dei
Paesi musulmani si riscontrano diversi punti di vista tra loro anche
contraddittori. Da un lato il volto coperto è legato alla tradizione,
un’antica usanza che viene mantenuta e che si è consolidata in
numerosi paesi orientali; dall’altro è visto quale ulteriore limitazione
alla liberà femminile, simbolo di repressione da parte di un mondo e
di un tipo di cultura prettamente maschilista.
Il recente film "Viaggio a Kandahar" opera del regista iraniano
Mohsen Makhamlbaf, con maestria e poesia ha indagato questo
aspetto della cultura e della società afgana attraverso il racconto del
viaggio che la protagonista compie ritornando in Afghanistan, sua
terra d’origine.
Secondo la studiosa Leila Ahmedfu nell'era degli Abbasidi inizia, in
Medio Oriente, la compravendita delle donne come merce e oggetti
d'uso sessuale. Da allora le donne sono considerate esclusivamente
come esseri sessuati. Qualsiasi cosa facciano sono in primo luogo e
soprattutto corpi seducenti.
Il volto nascosto
Il velo, con tutte le sue forme diffuse nel mondo musulmano (haïk
nella tradizione algerina, chador in quella iraniana, burqa in quella
del subcontinente indiano) non è stato introdotto dall'islam, ma
ripreso dalla tradizione bizantina, per diventare il simbolo della
condizione economica del padrone di casa che poteva tenere moglie e
figlie a casa, proteggendo l'onore della famiglia. È soltanto nel corso
del 1900 che il velo diventa centrale nella questione della condizione
femminile nell'islam: nel 1923 Huda Shaarawi, la prima femminista
egiziana, in un atto audace, si toglie il velo nella stazione ferroviaria
del Cairo; nel 1936 Reza Khan, padre dell'ultimo shah di Persia, vieta
il velo nel tentativo di modernizzare ed occidentalizzare il paese; nel
1947 il sultano Muhammad V invita sua figlia a togliersi il velo in
pubblico. Negli anni della guerra di liberazione in Algeria le donne
rivendicano l'uso del velo come affermazione della loro identità araba
e musulmana. I movimenti integralisti vedono nel velo una questione
di importanza ideologica e di ordine pubblico, garantito soltanto se le
donne sono nascoste, invisibili e intoccabili e di questo le donne afgane
sono diventate un tragico emblema.
Un problema aperto: mutilazioni genitali femminili
Si tratta di una pratica tradizionale tipica di alcune popolazioni
africane che impone di asportare (escissione) o mutilare
(infibulazione) parte dei genitali delle bambine in tenera età.
Il fenomeno non è recente, è un rito di antica tradizione per garantire
alla donna "purezza" e "fedeltà", tuttavia i rischi e le conseguenze
sono gravissimi: infezioni emorragiche anche mortali e danni
permanenti che in gravidanza e nel parto possono avere pesanti
conseguenze per il neonato. Per l’Organizzazione Mondiale della
Sanità sono oltre 120 milioni le donne vittime di "mutilazioni
genitali". I Paesi più interessati sono quelli del Corno d’Africa
(Somalia, Eritrea, Gibuti ed Etiopia), ma anche in altri paesi come
Egitto, Kenia, Burkina Faso, Senegal questi rituali sono ancora diffusi
e anche fuori da questi territori questa pratica riguarda donne e
bambine anche quando emigrano o nascono in altri paesi. Molteplici
sono le segnalazioni di operatori sanitari, anche in Italia, che
dichiarano di non sapere come comportarsi quando viene loro
richiesto di praticare rescissioni o infibulazioni. In un’intervista (vedi:
Mutilazioni femminili: difendere i diritti e la salute delle donne, in
"Sir", n. 29, aprile 1999), Graziella Sacchetti, ginecologa dell’ospedale
S. Paolo di Milano ha asserito: "Serve una maggiore collaborazione
tra medici e mediatori culturali per un lavoro di informazione nelle
comunità etniche di appartenenza delle donne, rispettandone le
tradizioni. Va fatto capire che le mutilazioni femminili non sono
previste dal Corano e che provocano gravi conseguenze fisiche e
psicologiche".
Voci di donne
Alcune donne, rappresentanti della cultura islamica, attraverso
testimonianze scritte, hanno dato voce alla loro realtà. La voce di un
passato e di un presente raccontato in prima persona. Testimoni
dirette della loro identità di donna e di persona in una società e in una
cultura così diverse dalla nostra.
Assia Djebar, algerina, è una scrittrice, storica e cineasta è
rappresenta una tra le figure più complesse e ricche operanti sulla
scena contemporanea internazionale. Attraverso la lettura dei suoi
testi è possibile avere la testimonianza diretta della condizione
femminile nel mondo mussulmano. Il suo è un viaggio nella storia , un
viaggio che la conduce a imbattersi in una immagine, quella
dell'Algeria che ora le appare come una donna, che non ha (avuto)
diritto di parola, che non ha (avuto) accesso alla scrittura, perché a
coprire il suo sapere e la sua lingua, ricacciate indietro e forzatamente
dimenticate, i conquistatori hanno imposto la propria lingua, la
propria cultura, la propria legge. L'identità del presente si è costruita
in questo impasto inconsapevole, privo di prospettiva storica, che ha
aderito alla pelle come una maschera troppo a lungo indossata e che ci
si è ormai dimenticati di portare, finendo per scambiarla per il
proprio volto.
Come donna e femminista, Assia Djebar è mossa dal bisogno di
scrivere la sua storia e la memoria delle sue antenate, dall'urgenza di
portare alla luce la vita dentro le case, dietro le file di persiane chiuse
che danno sulla strada, dentro ai reticoli dei cortili interni, nei bagni
turchi, dietro il velo. Ha bisogno, per trovare un senso alla sua
sofferenza e lenire il dolore provocato dalla consapevolezza, che non
l'abbandona mai, dell'esistenza di schiere di donne imprigionate, di
portare alla superficie della parola scritta quel non detto, le emozioni,
la sofferenza, il rimosso della storia. Questo viaggio nella non-visibilità
delle donne incontra alla fine la stessa immagine del viaggio nella
storia, quella della donna/Algeria.
Ragazze a Cairo
Una letteratura al femminile: Assia Djebar
Io, donna dell’Islam senza veli
Un’altra "voce" di donna islamica è quella di Shashikumar
Mehmooda appartenente al movimetno RAWA (Revolutinary
Association of The Women of Afghanistan). Parla della misoginia
patologica dei talebani e della lotta di RAWA per sopravvivere.
"La vita delle donne sotto i regimi fondamentalisti come quello dei
talebani è terribile. I fondamentalisti non accettano il fatto che le
donne facciano parte della società. Ora l'Afghanistan è un paese
spettrale e a causa dei continui combattimenti e dell'aumentato livello
di criminalità, le donne del paese non sono molto di più che zombi. A
loro non è permesso farsi curare, istruirsi o divertirsi. Vengono legate
per strada a causa delle più strane ragioni e le loro mani vengono
tagliate se rubano un pezzo di pane.
"I talebani non accettano il fatto che le donne facciano parte della
società"
Donne afghane in lotta
Alessandra Garusi (giornalista e scrittrice) riporta un’intervista fatta
ad una donna afghana descrivendo le sensazioni e la particolare
situazione di quel momento:
Nascosta sotto ampissime vesti di colore blu, una donna esce
dall'ombra e sussurra con un filo di voce, in un inglese fortemente
accentato: "Sono un'educatrice. Avresti un lavoro per me, non a
Kabul, in provincia?" L'odore rancido delle fogne all'aperto impregna
l'aria di questo caldo pomeriggio e il latrare dei cani randagi in
lontananza fa sì che la domanda della donna sia poco più che un
bisbiglio. Un'altra donna fuori da una moschea guarda di sfuggita uno
straniero, poi china di colpo la testa quasi a volersi seppellire
all'interno del suo burqa1 e si fa avanti con la mano tesa: "Non sono
una che fa l'elemosina, ma non ho scelta. Ho bisogno di cibo per la mia
famiglia", dice una voce da dentro.
La donna musulmana e l’Occidente
Di Alessia Cappella
di Patrizia Khadija dal Monte
Questo titolo sembra dare per scontato che le due realtà, donna
musulmana e Occidente, siano separate, invece questo incontro è già
avvenuto, è nella realtà dei fatti, e io ne sono testimone nel mio stesso
nome, che dice anche la mia prospettiva e cioè quella di credere nella
possibilità di un connubio fecondo tra islam e Occidente, senza che
un’istanza debba annientare l’altra. Questo incontro, questa esigenza
di conciliazione tra mondi diversi, questo lasciarsi contaminare è
dunque la mia situazione esistenziale e quotidiana.
Certo non tutti sono chiamati a vivere così da vicino l’incontro tra le
due realtà ma tutti, musulmani, musulmane e italiani, italiane non
possono eluderlo completamente, perché la convivenza di culture
diverse è ormai parte della realtà e quotidianità, la nuova normalità
delle nostre città in questa fase storica.
Se nei fatti l’incontro tra islam e l’Occidente è già consumato, la
qualità di questo incontro è ancora aperta, da definire… Specie per
l’Italia, in cui l’incontro con l’islam è piuttosto recente, legato al
fenomeno dell’immigrazione che è cominciata da circa 20 anni fa nel
nostro paese.
“In pochi anni l’Italia si è trasformato da Paese di emigrazione in
Paese di immigrazione. Secondo gli ultimi dati sono 3 milioni e 35mila
gli stranieri regolarmente soggiornanti nel nostro Paese, quasi il
doppio rispetto a cinque anni fa. (di cui un milione e duecentomila più
o meno, di religione musulmana).L’incidenza sulla popolazione totale
è cresciuta al 5,2% e si è allineata alla media europea, pur restando
lontana dai picchi dell’8-9% che si registrano in Paesi come la Spagna
e la Germania… E’ un cambiamento epocale, che pone problemi, ma
offre anche importanti opportunità…”
“Ben poche persone avrebbero potuto prevedere, prima della seconda
guerra mondiale, ciò che sarebbe accaduto durante la seconda metà
del XX secolo. Di fatto, abbiamo assistito ad un grande
sconvolgimento in Europa ed il paesaggio sociale, politico, economico e
culturale non è più lo stesso. La ricostruzione dell’Europa, distrutta
da anni di lunghe guerre, necessitò un’ingente quantità di
manodopera a buon mercato. Ciò portò all’arrivo delle prime ondate
di migrazione nella “vecchia Europa”, in particolare in Gran
Bretagna , Francia e poi in Germania (dopo il 1950) e in altri paesi.
Queste ondate e quelle successive, andavano a costruire la maggior
parte delle popolazioni immigrate nei paesi occidentali. Se è vero che
c’era un gran numero di lavoratori italiani e spagnoli, la proporzione
dei musulmani originari dell’Asia (nel caso della Gran Bretagna), del
Nord Africa (in Francia) o della Turchia (in Germania) era altrettanto
importante, e in meno di quindici anni (1945-1960) si può dire che
gruppi di musulmani o di comunità musulmane avevano già fatto la
loro comparsa, almeno nei tre paesi europei menzionati. Ciò che viene
chiamato “l’immigrazione economica” non cessò fino al 1970, visto che
il bisogno di lavoratori si attenuò e l’economia come il tessuto sociale
europeo mostrarono i primi segni di scompiglio e di disfunzione
strutturale.
Tra il 1950 ed il 1970 il numero dei musulmani residenti nei paesi
europei era diverse volte raddoppiato. Così non si trattava più di
poche migliaia di musulmani: ormai i paesi di accoglienza dovevano
fare i conti con diverse centinaia di migliaia di musulmani che
vivevano all’interno delle loro frontiere. Furono fondate molte
famiglie, nacquero molti bambini e la vecchia intenzione di “tornare a
casa propria” aveva cominciato a dissiparsi o a diventare una
speranza lontana.
Durante gli 1970 e 1980 ci fu un’evoluzione, nella mentalità dei
musulmani: era ormai chiaro che l’avvenire doveva essere pensato e
costruito in Occidente. Coscienti della nuova situazione, e animati
dalla volontà di progettare la loro identità, certi musulmani
cominciarono ad organizzarsi costruendo moschee e fondando
organizzazioni islamiche con lo scopo di fornire alle persone comuni
luoghi dove pregare, riunirsi, imparare, partecipare a diverse attività.
Negli anni novanta appare finalmente una situazione originale che
difficilmente si poteva prevedere. Circa 15-17 milioni di musulmani
vivevano nell’Europa occidentale e facevano parte della società- molti
di loro avevano preso la nazionalità del paese europeo in cui vivono- e
sono, di conseguenza, più visibili a causa dell’imperativo del culto???e
della pratica islamica e delle diverse attività delle loro organizzazioni.
A tutto ciò si aggiunge il fatto che si contano molti convertiti all’islam
che, così come i musulmani delle nuove generazioni divenuti europei,
sono a casa propria in Europa: sono cittadini europei; europei e
musulmani.
Si possono quindi mettere in evidenza almeno cinque dati di fatto
obiettivi che riguardano la realtà dei musulmani in Europa:
1. presso un gran numero di giovani musulmani nati e che vivono in
Europa esiste una rinascita della spiritualità e della pratica islamica,
così come un sentimento d’appartenenza ad una comunità religiosa.
2. il numero dei musulmani europei autoctoni è in aumento, grazie alla
conversione all’islam e più in generale, grazie all’arrivo delle nuove
generazioni, seconda, terza, quarta e quinta, in diversi paesi.
3. il numero dei luoghi di culto si è moltiplicato di quattro o persino
cinque volte, ma resta ancora insufficiente e certe moschee sono di
fatto garage o magazzini.
4. il numero di organizzazioni islamiche in Europa è in costante
crescita. Molti paesi hanno già registrato più di 1000 organizzazioni
dichiarate ufficialmente (moschee o diversi istituti islamici). Questo
fenomeno si osserva dovunque in Europa…”
Dunque da poco in Italia, alle spalle nostre una società monoculturale,
in cui valori e disvalori avevano un profilo ben definito e comunque il
loro cambiamento avveniva sotto la spinta di forze interne, come è
stato ad esempio per il ‘68. Da qui uno dei motivi che rendono ragione
della difficoltà di accettare usi e costumi diversi da quelli propri, e
particolarmente il modo di essere delle donne musulmane di cui
vogliamo parlare stasera. Paure dalle due parti perché si è costretti a
porsi in confronto con i valori degli altri e ripensare ai propri… E
tante volte anche il linguaggio con cui uno dice le proprie ragioni
diventa inadeguato: si vuol dire una cosa e gli altri ne capiscono
un’altra.
Si mischiano poi anche le paure della stasi economica, per non dire
recessione che facilmente trova dei capri espiatori negli immigrati (e la
religione musulmana è associata inevitabilmente all’immigrazione) e
con la falsa idea che questi rubino il lavoro ai cittadini italiani…
“In un Paese a bassa natalità come l’Italia l’immigrazione garantisce
la necessaria vitalità demografica e contribuisce alla sostenibilità del
sistema pensionistico… I lavoratori immigrati sono una risorsa
fondamentale per le nostre imprese e le nostre famiglie… Tutte le
analisi economiche concordano sul fatto che l’immigrazione produce
sviluppo e non toglie lavoro ai residenti.• L’immigrazione di alto
livello professionale, in particolare, è uno strumento essenziale di
competitività…
Quando poi parliamo di islam e musulmani si addensano ulteriori
nubi: antiche e moderne, di cui dobbiamo prendere coscienza, affinché
la nostra comprensione sia onesta.
L’incontro tra islam e Occidente, salvo rare eccezioni non è mai stato
facile e si è consumato nella storia, più in chiave negativa che positiva,
perché accompagnato da fatti politico-religiosi che vedeva le due
comunità come antagoniste…
“Con l’inarrestabile espansione che, dopo la morte del Profeta, aveva
portato l’islam a conquistare in poco tempo un’immensa area che si
estendeva dall’Andalusia all’Asia Centrale, si formò un’entità politicoculturale che l’Europa cristiana non poteva che considerare
antagonista o almeno concorrenziale. Una nuova religione
monoteistica e universalista si andava diffondendo nei territori del
Nordafrica e del Medio Oriente affiancando e progressivamente
rimpiazzando il cristianesimo locale, con grave preoccupazione da
parte degli uomini di chiesa. Fu inevitabile che essi usassero, nei
confronti dell’islam, gli stessi strumenti che avevano impiegato nella
lotta contro le eresie: Muhammad divenne così ai loro occhi una specie
di scismatico e qualcuno lo dipinse addirittura come un vescovo
ambizioso il quale, non avendo ottenuto la carica di Papa, avrebbe
dato vita per ripicca a una propria religione di cui si pretendeva
profeta. I numerosi punti in comune tra l’islam e la precedente
rivelazione giudaico-cristiana erano tali da giustificare in parte questo
errore di prospettiva, mentre molto meno accettabile è il fatto che
tante energie fossero spese nel tentativo di contrastare e confutare una
fede della quale ben poco si conosceva. Il Corano restò infatti a lungo
inaccessibile ai suoi stessi detrattori fino al XII secolo quando, su
iniziativa dell’abate Pietro di Cluny (1092-1156), se ne ebbe finalmente
la prima versione latina ad opera del dotto arcidiacono di origine
inglese Roberto di Chester, detto anche di Ketton o di Retz (da Ketene
nel Rutlandshire), coadiuvato da Hermann di Dalmazia, noto pure
come di Carinzia o lo Slavo, e probabilmente da un ebreo di Spagna
convertito all’islam… Benché lacunosa e arbitrariamente riformulata
nella sequenza, tale traduzione delle sure coraniche rappresenta
comunque un primo tentativo di accedere direttamente al testo che
stava alla base del fenomeno islamico, senza più accontentarsi delle
notizie incerte e frammentarie che circolavano in proposito. Qualcosa
di analogo fu del resto promosso dallo stesso abate anche riguardo al
Talmud.
Fin da allora gli spiriti più acuti avevano percepito alcuni aspetti del
problema che lo rendevano complesso e non riconducibile facilmente
alle consuete categorie impiegate nei confronti delle sette cristiane:
negli stessi scritti di Pietro di Cluny è chiara la coscienza della
peculiare e irriducibile originalità dell’Islam (”Questo errore non è
uscito da noi. . . “) e la sua sostanziale diversità rispetto ai vari
movimenti in dissenso con l’autorità ecclesiastica (”non si può
chiamare eresia se non ciò che esce dalla Chiesa e va contro di
essa”)… Persino fonti francescane del 1200 riportano gli stessi
stereotipi: “Maometto fu lussurioso, omicida, goloso, ladrone, e
predicò che il destino beato dell’uomo nell’Aldilà consisterebbe nel
mangiare, godere i piaceri della carne e indossare vesti preziose in
deliziosi giardini. Egli ammette inoltre la poligamia e il commercio
carnale non solo con mogli, ma anche con ancelle e concubine. Egli
volle infatti semplificare la religione espungendone quanto era arduo a
credersi o difficile ad attuarsi, e rese lecito al contrario tutto ciò a cui
gli uomini viziosi e soprattutto gli Arabi erano proclivi – la lussuria, la
gola e gli altri vizi – mentre non parlò neppure né dell’umiltà, né della
carità, né delle altre virtù. E poiché capiva che in queste cose la sua
falsità avrebbe potuto essere dimostrata facilmente, comandò che non
si credesse niente di contraddittorio rispetto alla sua legge e che tutti
coloro che vi si opponessero fossero uccisi… Si dovrà attendere però la
fine del XVII secolo per avere una nuova versione latina del Corano,
condotta con rigore e precisione, benché ancora funzionale alla
confutazione del Testo sacro dell’islam, la quale è però tenuta
separata dalla traduzione. Quest’opera monumentale e di grande
valore è dovuta a padre Ludovico Marracci (m. 1700) e ad essa si sono
rifatti i maggiori traduttori del Corano in lingue europee moderne i
quali attinsero nello stesso tempo ad altri studi prodotti dallo sviluppo
delle scienze orientalistiche che rivoluzionarono l’intero campo delle
conoscenze relative alle civiltà dell’Africa e dell’Asia. I profondi
mutamenti culturali verificatisi dal XVII secolo in poi portarono
infatti allo sviluppo di varie discipline in forma sempre più aderente a
nuovi criteri metodologici e ciò contribuì al superamento di molti
pregiudizi e falsità ancora in larga misura diffusi intorno alla figura
del fondatore dell’islam, al contenuto del suo messaggio e ai costumi
dei suoi seguaci, in uno spirito radicalmente nuovo. E’ bene ricordare
che tale passaggio non avvenne subito in forma completa e definitiva e
che la stessa età dei Lumi ha talvolta confermato le distorsioni
correnti a proposito dell’islam, anche se con finalità diverse da quelle
degli eresiografi e dei teologi dei secoli precedenti, come nel caso di
Voltaire che attaccò l’islam col chiaro intento di parlar male più della
Chiesa che non dei musulmani… Nel Settecento l’interesse per il
mondo islamico, da parte tanto dei poteri politici quanto delle autorità
ecclesiastiche, fu molto rilevante. Né poteva essere altrimenti:
l’Impero Ottomano restava comunque una delle maggiori potenze
mondiali (nel 1683 aveva minacciato direttamente per la seconda volta
la stessa Vienna) e i sintomi della sua decadenza, piuttosto che
sostituire gli antichi timori, andavano sommandosi a essi e
contribuivano a mantenere viva l’attenzione e a incrementare le
conoscenze… Ciò non toglie che, contemporaneamente, la diffusione a
più ampio raggio di notizie relative a questo Oriente potesse talvolta
ridursi a una sorta di “ricostruzione” funzionale agli interessi e alle
attese dei suoi osservatori esterni, come avvenne per le Mille e una
notte.
La stessa età dei Lumi ha talvolta confermato le distorsioni correnti a
proposito dell’islam, anche se con finalità diverse da quelle degli
eresiografi e dei teologi dei secoli precedenti: “in alcuni scrittori del
XVIII secolo, in verità, c’era una tendenza a utilizzare le vicende e la
missione di Maometto come un modo indiretto per criticare il
cristianesimo, almeno nella forma in cui le chiese lo avevano
insegnato. Maometto poteva essere presentato come un esempio degli
eccessi del fanatismo e dell’ambizione e i suoi seguaci come esempi
dell’umana crudeltà; in alternativa, poteva essere visto come uno che
predicava una religione più razionale, o più vicina ad una fede
puramente naturale, di quanto non fosse il cristianesimo”
“…ma è con il secolo XIX, lo sviluppo della storiografia e l’espansione
coloniale europea che si approfondiscono le conoscenze della religione
islamica. Con esse venne rivalutata quindi in senso storico- critico la
figura del profeta Muhammad e tutta la cultura islamica… fino ad un
certo punto, poiché i militari, i politici, i missionari e gli studiosi
dell’Oriente europei hanno spesso collaborato e la sopravvalutazione
della civiltà europea comparve insieme alla sottovalutazione di quella
araba.”
Il frutto più maturo di una nuova tendenza può essere rintracciato
nella dichiarazione conciliare Nostra Aetate: “La Chiesa guarda anche
con stima i musulmani che adorano l’unico Dio, vivente e sussistente,
misericordioso e onnipotente, creatore del cielo e della terra, che ha
parlato agli uomini. Essi cercano di sottomettersi con tutto il cuore ai
decreti di Dio anche nascosti, come vi si è sottomesso anche Abramo, a
cui la fede islamica volentieri si riferisce. Benché essi non riconoscano
Gesù come Dio, lo venerano tuttavia come profeta; onorano sua
madre, la vergine Maria, e talvolta pure la invocano con devozione.
Inoltre attendono il giorno del giudizio, quando Dio retribuirà tutti gli
uomini risuscitati. Così pure hanno in stima la vita morale e rendono
culto a Dio, soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno. Se,
nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra
cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il
passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a
difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia
sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (n.3).
E tuttavia, questo sforzo di maggiore obiettività verso l’islam è
inficiato dal clima politico che si è venuto a creare dopo l’11 settembre
e le successive guerre. Lo sguardo verso la religione musulmana è oggi
compromesso dalla situazione politica…. Per capire ciò citerò soltanto
il rapporto di Doudou Diene del 18 settembre 2007, in cui si parla di
“legittimazione intellettuale dell’islamofobia”. Quindi oggi si è passati
da un atteggiamento spontaneo di difesa verso il diverso a giustificare
concettualmente la propria avversione. Nelle venti pagine del suo
rapporto presentato a metà settembre, Doudou Diene,rapporteur
special dell’Onu, denuncia questa pratica culturale non solo nei
governanti, politici e intellettuali, ma anche nei giornalisti, decisivi per
il ruolo che hanno nella stereotipizzazione dell’altro. Soprattutto se
l’altro è musulmano. “i media spesso rafforzano queste tendenze con
la ripetizione selettiva di notizie che collegano l’islam alla violenza e
omettendo di riferire le attività positive e le buone pratiche
sponsorizzate dalle comunità musulmane. Mettono l’accento su leader
che legittimano la violenza politica attraverso citazioni selettive
dell’islam. Stereotipizzano le donne musulmane come di fondo
discriminate, senza alcun riguardo per la diversità della loro
situazione nei paesi musulmani”.
Come denunciato da Doudou Diene, la figura della donna musulmana
rappresenta uno dei luoghi preferiti per legittimare un atteggiamento
anti-islamico. Spesso si contrappone il modello « universale » della
donna occidentale liberata a quello della donna musulmana oppressa e
quindi da liberare…
Se nel secolo passato, specie nel periodo colonialista prevaleva una
raffigurazione della donna musulmana, folkloristica, sensuale e
intrigante… oggi si insiste continuamente sull’immagine di una donna
maltrattata, privata di ogni diritto all’interno della propria società e
della propria famiglia, schiava in tutto, anche nel modo di vestire…
In realtà non si può parlare in senso univoco della condizione della
donna musulmana sul terreno pratico, poiché esistono diversi paesi
musulmani con diverse legislazioni, e spesso le situazioni
discriminatorie sono collegabili più a variabili economiche, politiche,
che non religiose. Molti dei problemi delle donne musulmane sono
simili a quelli di altre donne in paesi in cui “…laddove vigono precise
situazioni che accomunano questi paesi a tutti gli altri che si trovano
nella cosiddetta periferia del mondo. Mancanza di risorse, instabilità
politica, problemi di sviluppo, interferenze e diktat posti sul piano
delle riforme “strutturali” dalla banca mondiale e dal fondo
monetario internazionale per accedervi; tutto ciò si traduce in una
sottrazione di fondi ai settori del sociale, dell’assistenza, della sanità e
dell’educazione. Penalizzazioni gravi che colpiscono in primo luogo e
soprattutto la fascia femminile della popolazione, la vincolano prima
ancora dei retaggi culturali, poiché la costringono a concentrarsi sul
ruolo riproduttivo, sulle cure filiali e domestiche. Ricordiamo che
questi ultimi rappresentano fra l’altro ruoli e funzioni cruciali per la
sopravvivenza di una società, e che qualora non sorretti da una forte
politica sociale, ricadono principalmente sulla donna, soprattutto in
un sistema organizzato in termini tradizionali, fondato su
un’economia estremamente povera, caratterizzato da elevato e diffuso
analfabetismo.” (Abdel Jabbar)
All’interno delle comunità islamiche, ci sono almeno tre atteggiamenti
diversi sulla questione femminile:
uno che sottintende che il vero femminismo nel mondo musulmano
non potrà affermarsi se non con l’accettazione del modello della donna
occidentale. Questo è forse quello più visibile ed ascoltato, anche se
rappresenta solo l’ 1% della popolazione…..
Un altro di tipo conservatore, che si struttura come reazione alla
paura dell’occidentalizzazione veicolata dal discorso femminista e ha
alla base una lettura del Corano e della Sunna molto letteralista…
E il terzo che si situa nell’ambito del riformismo legalitario, che
continua a ritenere fondante il riferimento religioso, ma esercita la sua
critica anche verso l’interno, ed è tesa a recuperare il modello genuino
di femminilità della Rivelazione, sfrondandolo dalle aggiunte culturali,
per incarnarlo nei lineamenti del tempo attuale.
Si tratta del movimento femminista islamico. Il termine femminismo
islamico, comincia ad apparire in opere di scrittrici musulmane a
partire dalla metà anni novanta… “l’osservazione sul terreno, negli
Stati-Uniti come in Europa, come pure nel mondo musulmano,
dall’Africa all’Asia, passando per il Medio Oriente e l’Iran, mostra
che un movimento è in cammino, il quale esprime chiaramente il
rinnovamento del posto della donna nelle società islamiche e una
liberazione, che rivendica la sua totale fedeltà ai principi dell’islam.”
La donna è per almeno due importanti motivi luogo privilegiato di
riflessione e di incontro tra islam e occidente. Il primo, nel senso che
esiste una vicinanza naturale tra donne, che si muovono, lavorano,
agiscono su terreni comuni, perché comuni sono gli spazi frequentati
(scuole, mercati, ecc.) e comuni sono i sentimenti che animano le
esperienze fondamentali dell’essere femminile. Ci sono esperienze
fondamentali che uniscono le donne sotto ogni cielo: “Essere donna
rimanda al corpo. A quello degli altri, anzitutto. E’ la donna che pensa
alla necessità del corpo dei membri della famiglia: nutre, pulisce, veste
i bambini; accudisce i vecchi; cura i malati. Tutte le necessità fisiche
sono legate tacitamente alla donna, in particolare all’interno del
nucleo familiare.”
Il secondo motivo nel senso che l’essere donna obbliga la comunità
islamica ad un ripensamento e purificazione dalle tradizioni culturali,
perché la coscienza e i ruoli attuali della donna in Occidente sono uno
dei luoghi di più forte cambiamento rispetto alle società tradizionali.
Il riconoscere qual è il principio religioso e quale l’influenza culturale
è uno dei temi più dibattuti all’interno dell’islam attuale e soprattutto
uno dei compiti principali che si propone l’esegesi islamica femminile.
Femminismo occidentale e femminismo islamico
A differenza del mondo occidentale in cui il femminismo
si sviluppa al di fuori dell’ambito religioso, spesso in opposizione ai
suoi dettami, quello islamico non sente il bisogni di staccarsi dalla
religione, anzi si propone di ritornare al modello di donna della
rivelazione, attraverso una rilettura dei testi che mette in evidenza
l’idea dell’uguaglianza, più volta affermata nel Corano tra essere
maschile e femminile, e dimostrando come le culture successive hanno
spesso esagerato la portata di certi testi e ignorato altri.
Il Corano infatti dice chiaramente che se esiste una superiorità tra
esseri umani, questa è solo sulla base della fede:
“Oh umani, vi abbiamo creato da un’unica coppia di uomo e donna,
abbiamo fatto di voi poi tribù e nazioni in modo che possiate
conoscervi l’un l’altro [non disprezzarvi l'un l'altro]. Il più grande fra
di voi agli occhi di Dio è colui che è più giusto [colui che maggiormente
pratica taqwa, devozione”.
Mentre quindi nel femminismo occidentale si tende a vedere la storia
passata come un qualcosa da superare, di negativo per la donna, le
donne islamiche riconoscono nella rivelazione islamica, correttamente
intesa le radici dei loro diritti. Che queste riflessioni, tra cui la
necessità di mettere in luce prima di tutto il discorso dell’uguaglianza,
siano state recepite dalla comunità musulmana lo possiamo vedere ad
esempio nella carta dei musulmani d’Europa presentata pochi giorni a
Bruxelles, che recita così a proposito dell’uguaglianza:
“L’islam invita alla perfetta uguaglianza tra uomo e donna in quanto
esseri umani, nel reciproco rispetto. Considera che la vita equilibrata
si basa sulla complementarità e l’armonia tra l’uomo e la donna.
Rinnega ogni idea o comportamento che sottovaluta la donna o che la
priva dei suoi diritti, anche se purtroppo abitudini errate sono
presenti in certi ambienti musulmani. L’islam rifiuta ogni forma di
sfruttamento della donna o che sia trattata come oggetto di piacere.”
Accanto al tema dell’uguaglianza compare spesso nella riflessione
islamica il concetto di complementarietà. Se l’occidente può dare
all’islam una spinta a ritrovare quel senso profondo di uguaglianza
fondamentale dell’uomo e della donna presente nei testi, la comunità
islamica può offrire all’Occidente il recupero della nozione di
complementarietà…. Se infatti il discorso sull’uguaglianza, è forte e
chiaro in Occidente, appare molto più debole il concetto di
complementarietà e quindi si tende ad interpretare ogni differenza tra
uomo e donna come discriminazione.
Una delle difficoltà del pensiero occidentale nel concepire la diversità
uomo- donna in senso positivo è collegato al rifiuto del concetto di
natura… “la ‘natura della donna’, identificata con la sua biologia, è
invocata per difendere e giustificare le disuguaglianze di status tra
uomo e donna. Ci si riferisce ad una ‘natura ‘ predeterminata e fissata
una volta per tutte, che la donna tradirebbe ogni qualvolta si discosta
da modelli tradizionali di essere madre, moglie, figlia e sorella… Oggi
però la moda ideologica di spiegare le differenze – e ancor più i
preconcetti su di esse – mediante il comodo sistema di interpretazione
fornito dalla ‘natura femminile’, ha ceduto alla moda di riferire tutto
alla società, o alla cultura. Questa riduzione è una visione semplicistica
delle cose: non tutto è genetico, non tutto è ormonale, non tutto è
ambientale..”
«Oggi si tende a sostenere che l’intelligenza non ha sesso, come i
mestieri. Io penso che ogni differenza sia un arricchimento. In realtà
oggi non si promuove l’uguaglianza, ma un modello, quello maschile
(cui anche le donne dovrebbero conformarsi), fondato sul successo
sociale. L’idea di una “ neutralità” naturale è falsa e generatrice di
conflitti e ineguaglianze. Il campo in cui l’uomo e la donna realizzano
meglio la loro differenza, il tesoro di senso contenuti nella bipolarità
sessuale, resta ancor oggi la paternità e la maternità».
Nell’islam assieme all’idea dell’uguaglianza troviamo anche quello del
valore della diversità tra femminile e maschile, della diversità come
elemento essenziale alla completezza, e quindi di un equilibrio fra
esseri differenti che si completano a vicenda, grazie ad un’idea forte di
natura che è collegata al concetto di creazione.
L’essere coppia non è casuale, è il modo profondo in cui Dio crea la
vita: “Di ogni cosa noi abbiamo creato uno zawj, una coppia” ( LI,49).
Dio ha voluto che l’unità si compia attraverso la diversità:
“Egli Colui che ha creato i due generi, il maschio e la femmina.” (
Corano LIII/45) .
La distinzione tra maschile e femminile non è dunque un accidente
biologico, che si deve tentare di oscurare il più possibile, ma si tratta
in realtà di un elemento profondo e sano della natura umana…
Uguali e complementari, nell’origine:
«O gente! Temete il vostro Signore che vi creò da un’unica nafs. Ne
creò il (la) suo (sua) zawj e trasse da quei due, uomini e donne in gran
numero…» (IV,1)
e anche nell’amore:
“Fa parte dei Suoi segni l’aver creato da voi, per voi , delle zawjat
(compagne) affinché riposiate(sakina) presso di loro, e ha stabilito tra
voi amore (wadda) e (rahma) tenerezza…” (XXX,21)
…esse sono come una veste per voi e voi siete una veste per loro…
(1I,87)
Proprio l’amore, le relazioni di coppia sono l’ambito in cui possiamo
meglio capire come una diversità sia sana, necessaria e
complementare… Necessaria per il proseguire della vita, per
l’assunzione dell’identità sessuale…
Un’ ulteriore ricchezza che l’Occidente può offrire alla donna
musulmana è la molteplicità dei ruoli che essa può rivestire,
realizzando così in essa altre caratteristiche della sua persona che
venivano sacrificati in società di tipo tradizionale. Il dispiegarsi
dell’essere femminile non si limita all’ambito familiare, tuttavia non
possiamo non ricordare ancora una volta come esso, per la donna
musulmana, (e anche per l’uomo) rimanga una priorità: la famiglia è
il luogo in cui i rapporti sociali si fanno più intensi in assoluto e in essa
germina la nuova vita. Vita che ha bisogno di tempo e di cure assidue
per crescere bene, relazioni fondamentali come quelle con i genitori e
con i figli che non possono essere trascurate. Il problema del rispetto
degli anziani e della cura dei bambini, della disponibilità per gli
ammalati che hanno sempre visto le donne in prima linea,
difficilmente troveranno soluzioni adeguate senza di loro. La coppia
certo può escogitare nuove soluzioni di partecipazione ai compiti
interni ad essa, oggi la divisione dei ruoli va vissuta in modo più
elastico, ma rimane il problema della cura della vita che esige molte
energie e molta dedizione e che nella donna trova il miglior interprete
possibile.
Il tempo che viviamo, sfida la nostra capacità di mantenere la priorità
e l’attenzione verso la famiglia e nello stesso tempo inventare equilibri
nuovi perché sia uomini che donne possano esprimersi nella società
più ampia e portare il loro contributo. La femminilità ha una sua
visione particolare delle cose, meno competitiva e aggressiva, più
conciliante e i tempi permettono che essa possa influire anche in quegli
ambiti che tradizionalmente erano riservati agli uomini.
In ultimo voglio ricordare come donna musulmana, significhi donna
che si abbandona a Dio, donna credente, ed è un ricordo così della
Trascendenza, di Chi è Colui che è il centro del mondo:
“ In verità i musulmani e le musulmane, i credenti e le credenti, i
devoti e le devote, i leali e le leali, i perseveranti e le perseveranti, i
timorati e le timorate, quelli che fanno l’elemosina e quelle che fanno
l’elemosina, i digiunatori e le digiunatrici, i casti e le caste, quelli che
spesso ricordano Allah e quelle che spesso ricordano Allah sono coloro
per i quali Allah ha disposto perdono ed enorme ricompensa.”
(XXXIII,35).
Di questo ricordo ha bisogno l’Occidente che è andato
progressivamente riducendo il posto della religione ed il ricordo della
divinità, a favore di un’immagine sproporzionata dell’uomo e della
sua coscienza… L’islam possiede la capacità intrinseca di distinguere
senza separare, c’è in esso un equilibrio tra vita terrena e vita eterna,
e rappresenta la possibilità di superamento di quella frattura
profonda nella cultura occidentale che è stata definita con “la morte di
Dio”. Uomini e donne debbono però sforzarsi di testimoniare la loro
fede nell’Altissimo, anche con la giustezza delle loro relazioni,
condannando la violenza e la strumentalizzazione della donna. Oggi
molta della credibilità del messaggio islamico si gioca proprio sulla
capacità di coloro che si dicono credenti di rinnovare e incarnare in
categorie proprie, ma consone all’oggi, la realtà e la posizione della
donna, guidati dalle parole del Profeta, pace e benedizione su di lui,
che ha tracciato il cammino dicendo:
“I migliori tra voi sono coloro che trattano meglio le loro spose, ed io
sono (in questo) il migliore tra voi.”
LA DONNA AFRICANA
Di Veronica Giliberto
DONNE DIMENTICATE.LE
MILLE MANI INVISIBILI
DELL’AFRICA.
CONDIZIONE
DELLA DONNA E
LAVORO DELLA
DONNA .
Il tema di cui ci occupiamo riguarda le trasformazioni in atto nella
condizione femminile e nella vita famigliare nel contesto della realta’
africana.
E’un discorso di portata generale perche’ la “questione donna” e’
all’ordine del giorno in tutto il continente africano visto che la figura
femminile e’coinvolta in tutti i piu’cruciali problemi che travagliano
questa terra.
Dire “famiglia”in Africa significa parlare di donna,perche ’su di essa
si addensano le maggiori responsabilita’ della conduzione famigliare
sotto molti e diversi aspetti.
Condizione della donna e lavoro della donna:in questo caso le due cose
non possono esser prese separatamente;se in occidente “lavoro”indica
emancipazione,realizzazione personale e autonomia della donna,in
Africa la questione diventata vitale,parlare di lavoro infatti porta il
discorso sulla vita stessa delle donne,il loro valore, e la loro
sopravvivenza. A questo proposito infatti si e’ parlato si mani invisibili
che silenziosamente ,da sempre, costruiscono l’Africa.
Donna lavoratrice dunque,sempre e comunque; non esiste in Africa
donna che non lavori,infatti viene definita donna-nutrice e donnaproduttrice. La donna africana e’ dunque la responsabile della casa,
della famiglia e dell’educazione dei figli e non solo;ad esempio ha il
compito pesantissimo di andare a procurare la legna da
ardere,prendere l acqua dal pozzo(solitamente lontano diversi
chilometri dal vilaggio.Le donne che vivono nelle zone rurali iniziano
la loro giornata lavorativa all alba e non termina fino a quando ogni
membro della famiglia e’ stato nutrito e curato.
Nei paesi africani le donne rappresentano circa 80%della forza
lavoro,soprattutto nel settore della produzione alimentare,ma non
bisogna dimenticare che nonostante il loro impegno esse non possono
ne’ possedere ne’controllare le terre che lavorano(salvo eccezioni in
qualche paese).
La situazione nelle citta’ e’ ancor piu peggiore,causata anche dalla
mancanza di formazione che porta ad aumentare il lavoro nero e di
conseguenza la crisi e la miseria,per non parlare poi della spudorata
concorrenza degli uomini nei confronti delle piccole donne
commercianti,ma in diversi casi hanno dimostrato grande coraggio e
grande capacita’di organizzazione,lo dimostrarono trent’anni fa le
“nanas-benz”un gruppo di donne ,in togo,hanno preso accordi in
esclusiva con le grandi imprese europee di import-export per la
vendita di accessori nel settore tessile per poi svilupparsi in altri
settori(hanno iniziato la loro attivita’ commerciando parei).
Anche nel settore dell’agricoltura le donne sono molto presenti;in
Senegal ad esempio alcune donne commercianti trattano direttamente
con i produttori alimentari o addirittura possiedono loro delle terre;in
Burkina creano campi collettivi;a Lome’i grandi commercianti di
pesce sono donne e possiedono due terzi dei pescherecci dei porti.
L ‘unione fa la forza,e’ vero. A Ibadan le donne si sono unite in
un’associazione,la Cowad (Committee on women and
development,Comitato sulle donne e sullo sviluppo) per raggruppare i
loro acquisti e ottenere prezzi vantaggiosi.
A poco a poco la resistenza si organizza anche se in modo
informale,avanzando molto lentamente.
La strada da percorrere e’ molto lunga e difficile,e gli ostacoli
numerosi. Infatti sono ancora tantissime le donne soffocate e rese
quasi invisibili da una societa’di impronta maschile.
La donna che viene data in sposa ad un uomo deve assicurare:
LAVORO
FERTILITA’
Anche se con le dure condizioni di vita e lo stress fisico a cui sono
sottoposte le donne di questi paesi,quest ‘ultima dote viene messa a
rischio. Le donne che abitano le campagne(ma non solo) sono date in
sposa in eta’giovanissima e cominciano a fare figli quando sono poco
piu’ che delle bambine che solitamente lavorano fino a due settimane
prima del parto;la salute delle donne quindi e’ minacciata dal duro
lavoro in tenera eta’,dal duro lavoro in periodo di gravidanza,e dalle
pratiche dell’infibulazione e dell’escissione,tutto cio’porta ad un tasso
altissimo di mortalita’.Una cifra fornita dall’Unicef 2007 ci dice che
oltre 160.000 di donne africane muoiono durante la gravidanza ,nel
parto,o nel periodo post-parto a causa di infezioni( nell’Africa subsahariana 1 donna su 16 muore durante la gravidanza o durante il
parto).
E’ evidente che le cause di questo dramma sono da attribuirsi sia alla
scadente copertura sanitaria sia alle loro tradizioni e religioni che
mettono la donna in secondo piano rispetto alla sua funzione di
genitrice.
Diritti umani violati.
Diritti umani,pace e sicurezza sono obiettivi universali.La legislazione
internazionale vieta ogni forma di discriminazione nei confronti delle
donne e delle bambine.
I principi sanciti dalla Dichiarazione Universale sono stati ripresi da
tutta una articolata documentazione
internazionale(convenzione,carte,dichiarazioni etc.)
Secondo molti attivisti,impegnati in programmi internazionali e
regionali ritengono che non
basti una migliore legislazione per porre fine a questo fenomeno
poiche’ la cultura rappresenta
un ostacolo enorme che fa si che certe usanze ,tradizioni si
mantengano ancora oggi.
E’ molto diffusa nei paesi africani l’idea che la donna sia “proprieta’”
dell’uomo ,quest’idea rappresenta infatti una norma culturale,ma non
e’ l’unica.
Mutilazione genitale femminile
Violenze sessuali
Matrimonio tra minori
Delitti d’onore
Disuguaglianza di genere
Eredita’ sulla moglie
ASPETTO SOCIOLOGICO-ANTROPOLOGICO.Queste pratiche
sono considerate illegali,ma persistono perche sono profondamente
radicate nella cultura di questi popoli,tanto da poter dire che le
tradizioni culturali e le credenze hanno piu’ potere delle leggi.Il potere
culturale opera attraverso la coercizione che puo’ essere
visibile,nascosta all’interno delle strutture di governo e delle leggi
oppure radicata nella percezione che gli individui hanno di se’.
• Si verifica spesso che in alcune societa’ si attribuisca un forte
significato alle mete culturali verso cui gli individui,a tal punto
socializzati ai fini culturali condivisi dalla struttura sociale di
appartenenza,si dedicano con un forte e intenso investimento
emotivo a discapito del rispetto delle norme istituzionali sancite
dallo stesso sistema sociale e culturale
dominante(Iadanza,Consumi edonistici,pag.18)
MGF (MUTILAZIONI GENITALI FEMMINILI)
Questa cartina dell’Africa ci indica le zone in cui ancora oggi,vengono
effettuate le pratiche MGF
La mutilazione rituale e l’alterazione dei genitali delle bambine e
delle donne e’ una tradizione antica;l’origine di questa pratica e’ pero’
sconosciuta.
La MGF insieme all’ escissione e’ considerata una vera convenzione
sociale con radici profonde,conferisce rispetto e prestigio alle bambine
o ragazze che la subiscono e alle loro famiglie;non aver effettuato
l’operazione e’ motivo di disonore e vergogna.
Chi effettua le mutilazioni genitali femminili
Le MGF sono una pratica diffusa principalmente in alcuni Paesi
dell’Africa. Nei villaggi dei
Paesi interessati vi sono donne, generalmente anziane e autorevoli, che
con rudimentali strumenti,
in condizioni igieniche precarie, con anestetici e disinfettanti naturali,
intervengono sulle bambine,
traendo da questa attività un reddito. Crescente è la tendenza alla
medicalizzazione di questo rito,
e quindi alla pratica di MGF all’interno di strutture sanitarie ad
opera di operatori sanitari. Si fa
notare che, essendo una pratica che menoma la funzionalità di parti
vitali di una persona,
prevalentemente di minore età, senza alcuna finalità terapeutica, è
proibita dalle leggi della maggior
parte dei Paesi occidentali e africani, oltre che dalla comunità
scientifica.
La escissione/mutilazione genitale femminile (E/MGF) ha una
diffusione molto maggiore di quanto si sia pensato finora. Nel solo
continente africano (Africa subsahariana, Egitto e Sudan), tre milioni
di bambine e di donne all'anno subiscono una escissione/mutilazione
genitale femminile.
La E/MGF è un problema di portata mondiale. E' praticata non solo
in Africa e nel Medio Oriente, ma anche presso le comunità di
immigrati in tutti i paesi del mondo. L'Europa occidentale, l'America
settentrionale (Canada e Stati Uniti), e l'Oceania (Australia e Nuova
Zelanda), ospitano donne e bambine che sono state sottoposte alla
E/MGF ed altre che corrono il rischio di subirla.
La E/MGF è una convenzione sociale con radici profonde: conferisce
prestigio e rispetto sociale alle bambine che la subiscono e alle loro
famiglie. Non avere effettuato l'operazione, invece, è motivo di
vergogna ed esclusione. Le aspettative sociali che circondano la
E/MGF costituiscono un enorme ostacolo per quelle famiglie che
altrimenti potrebbero volervi rinunciare.
Nonostante il fatto che spesso siano addotti motivi religiosi per
giustificare l'usanza, la E/MGF non è prescritta da alcuna religione.
La E/MGF è un problema che riguarda i diritti umani. Viola i diritti
umani fondamentali delle bambine e delle donne, privandole
dell'integrità mentale e fisica, del diritto alla libertà dalla violenza e
dalla discriminazione e, in casi estremi, anche della vita stessa. La
pratica è anche una violazione del diritto del bambino allo sviluppo,
alla protezione e alla partecipazione.
Modificare le mentalità, le credenze e i comportamenti
Capire la natura di convenzione sociale della E/MGF, che genera una
forte pressione sociale sulle famiglie spingendole a sottoporre le figlie
all'intervento, consente di capire perché famiglie che si rendono conto
dei danni causati dalla pratica siano favorevoli alla sua continuazione.
Essendo una condizione del prestigio sociale della bambina e delle sue
possibilità di trovare un marito, se una famiglia da sola decide di
rinunciare all'usanza, la figlia sarà stigmatizzata dalla sua comunità e
non potrà sposarsi. La scelta di rinunciare alla pratica deve quindi
essere collettiva. Se un numero sufficiente di singole persone è disposto
a rinunciare alla E/MGF, le altre famiglie non hanno incentivi a
proseguirla e vi rinunciano spontaneamente e rapidamente. Questa
teoria sulle convenzioni sociali, che si è dimostrata valida nel caso di
varie comunità, consente di capire come i comportamenti possano
modificarsi.
Il dialogo nella comunità è un aspetto essenziale per l'abolizione della
E/MGF. La creazione di adeguati spazi e occasioni di dibattito
pubblico e privo di giudizi sul fenomeno consente anche a coloro che
di solito non hanno modo di far sentire la propria voce di esprimere la
propria opinione. Nel caso della E/MGF, spesso si tratta delle donne e
delle bambine, ma anche di uomini che non sempre hanno modo di
parlare della questione.
Le strategie più promettenti per aiutare le comunità ad abolire la
E/MGF sono quelle che integrano la teoria accademica con le concrete
esperienze sul terreno.
Sono stati identificati sei elementi necessari ad avviare un processo di
trasformazione sociale e incoraggiare un rapido e massiccio
abbandono della pratica:
1)E' necessario che le comunità siano consapevoli dei danni causati
dalla pratica.
2)Le comunità i cui membri si sposano fra di loro o hanno stretti
rapporti in altro modo devono rinunciare collettivamente alla pratica.
Questo consente loro di non trovarsi davanti alla difficile scelta di
andare contro una tradizione consolidata.
3)E' necessario che le comunità dichiarino pubblicamente il loro
impegno a rinunciare alla E/MGF.
4)E' necessario che le comunità coinvolgano i villaggi vicini, in modo
che la loro decisione di rinunciare alla E/MGF possa essere diffusa e
mantenuta.
5)Bisogna evitare che le comunità si sentano costrette o giudicate. Esse
devono prendere coscienza dei diritti umani e rendersi conto di come
questi diritti si applichino nella vita quotidiana.
6)Le comunità hanno bisogno di un ambiente di sostegno, con misure
legislative e politiche, sedi di discussione pubblica, sostegno da parte
dei capi religiosi e di altri creatori di opinione, e messaggi da parte dei
mezzi di informazione che sappiano rispettare la loro sensibilità
culturale
Politiche e leggi nazionali
In Africa e in Medio Oriente, molti paesi si sono dotati di leggi che
mettono al bando la E/MGF. Leggi contro la E/MGF sono state
adottate anche in altri paesi, come l'Australia, il Canada, la Nuova
Zelanda, gli Stati Uniti e in vari paesi dell'Europa occidentale, dove la
questione della E/MGF si è manifestata in seguito alla presenza di
comunità di immigrati.
Il personale delle strutture sanitarie ha un ruolo importante nella
gestione delle complicazioni prodotte dalla E/MGF e nel promuoverne
l'abbandono. In Svezia, gli operatori sanitari svolgono presso i
genitori un'opera di consulenza sui rischi della E/MGF per la salute,
informandoli del fatto che la pratica è proibita dalla legge svedese. In
molti paesi, come il Canada, la Danimarca, la Germania, l'Italia, la
Svizzera e il Regno Unito, le associazioni dei medici hanno proibito
qualsiasi coinvolgimento dei dottori nella pratica della E/MGF, con il
motivo che costituisce una violazione del loro codice deontologico.
Gli insegnanti, che operino in un contesto di istruzione formale oppure
no, possono ricevere sostegno per imparare a riconoscere le bambine a
rischio e per trattare i problemi relativi alla E/MGF nelle loro lezioni
di scienze, biologia e igiene, come anche nelle lezioni sull'educazione
personale, sociale, di genere oppure religiosa.
Fornire ai mezzi di comunicazione di massa informazioni accurate ed
aggiornate sul fenomeno e migliorare la capacità dei giornalisti di
diffondere queste informazioni può essere fondamentale per "rompere
la cortina di silenzio" intorno alla E/MGF e portare la questione alla
pubblica attenzione.
Le tendenze di sviluppo del fenomeno
La E/MGF è fisicamente e psicologicamente dannosa e, in alcuni casi,
letale. Le sue conseguenze immediate e a lungo termine sulla salute
variano a seconda del tipo e dell'estensione dell'intervento praticato,
dell'abilità di chi lo esegue, della pulizia degli strumenti e
dell'ambiente, e delle condizioni fisiche della ragazza o donna che lo
subisce. Per fortuna le statistiche dimostrano che:
In alcuni paesi, i tassi di prevalenza sembrano essere in declino
(Benin, Burkina Faso, Repubblica Centroafricana, Eritrea, Etiopia,
Kenya, Nigeria, Tanzania e Yemen). In altri paesi (Costa d'Avorio,
Egitto, Guinea, Mali, Mauritania, Niger e Sudan) i tassi si sono invece
mantenuti relativamente stabili negli ultimi decenni.
In alcuni paesi le bambine subiscono l'escissione in età più precoce.
L'età mediana al momento dell'intervento è diminuita sensibilmente in
Burkina Faso, Costa d'Avorio, Egitto, Kenya e Mali. Ciò può essere
dovuto al tentativo dei genitori di nascondere la pratica alle autorità
dello Stato e/o al desiderio di ridurre al minimo la resistenza da parte
delle stesse ragazze.
In alcuni paesi, tra i quali Egitto, Guinea e Mali, è in aumento la
"medicalizzazione" della E/MGF, che è effettuata da personale
medico in strutture sanitarie invece che da praticanti tradizionali.
L'importanza degli aspetti cerimoniali associati alla E/MGF è in
declino in molte comunità. Questa tendenza può anche essere in parte
collegata all'esistenza di leggi che la proibiscono scoraggiando le
celebrazioni pubbliche dell'evento.
VIOLENZE SESSUALI
La violenza alle donne, in qualunque forma si presenti, ma in
particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare, è uno dei
fenomeni sociali più nascosti, è considerato come punta dell'iceberg
dell'esercizio di potere e controllo dell'uomo sulla donna e si mostra in
diverse forme come violenza fisica, psicologica e sessuale, fuori e
dentro la famiglia. La violenza di genere è la violenza perpetrata
contro donne e minori, basata sul genere, ed è ritenuta una violazione
dei diritti umani.
Parlare di violenza di genere in relazione alla diffusa violenza su
donne e minori significa mettere in luce la dimensione “sessuata” del
fenomeno in quanto manifestazione di un rapporto tra uomini e donne
storicamente diseguali che ha condotto gli uomini a prevaricare e
discriminare le donne e quindi come “ uno dei meccanismi sociali
decisivi che costringono le donne a una posizione subordinata agli
uomini”.
La violenza sessuale nei conflitti.
La violenza sessuale nell’ambito di un conflitto è ritenuta da tempo un
danno collaterale degli scontri, praticato e accettato dai diversi attori
coinvolti.In una
società destabilizzata dove la violenza è diffusa, si crea un ambiente in
cui gli
stupri dilagano. L’aumento di sfollati e di nuclei familiari guidati da
donne,
fenomeno frequente in una situazione di conflitto, espone i civili a
varie forme di
violenza sessuale. A volte, la violenza è consumata da coloro i quali
detengono
un mandato per proteggere la popolazione. La violenza sessuale può
anche
essere usata come arma di guerra, parte di una strategia militare tesa
a umiliare il
nemico e a distruggere le comunità.
Due stupri di massa da ricordare
-Secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite(UN), durante il genocidio
commesso in Ruanda nel 1994, furono stuprate tra le 250.000 e le
500.000 donne.
-Il massacro di Hassi Messaoud è un grave episodio di violenza contro
le donne perpetrato nella bidonville di El-Haïcha, nella località
algerina di Hassi Messaoud, il 17 luglio 2001.
Quel giorno una banda di circa 300 scalmanati, eccitati da
un'infuocata predica contro le donne sole, considerate una minaccia
per la pubblica moralità, uscì dalla moschea e si diresse verso ElHaïcha, il quartiere-bidonville noto per ospitare numerose donne sole,
lo assalirono picchiando, violentando, torturando e sottoponendo ad
ogni sorta di sevizie e mutilazioni tutte coloro che trovarono.
Hassi Messaoud è una località che vive dello sfruttamento dei pozzi di
petrolio. Vi risiedono molti tecnici algerini e stranieri, e presso le loro
famiglie hanno trovato un impiego molte donne come personale di
servizio, addette alle pulizie ecc. Si tratta per lo più di donne in
difficoltà economiche, giovani di famiglie povere, oppure vedove o
ripudiate, che non hanno altro mezzo di sostentamento.
Il selvaggio stupro di massa andò avanti per cinque ore prima che la
polizia intervenisse. Le baracche vennero saccheggiate, molte donne
vennero gettate in strada nude. Molte si ridestarono all'ospedale.
Il processo ai responsabili, svoltosi davanti al tribunale criminale di
Ouargla nel mese di giugno del 2002, si concluse con una manciata di
lievi condanne. Le pressioni dei notabili locali e le minacce rivolte alle
vittime impedirono un equo processo ed un'equa sentenza. Solo tre
accusati vennero condannati a pene da uno a tre mesi di prigione, con
le imputazioni di incitamento alla sommossa e furto. Su di una
quarantina di vittime dell'aggressione solo tre hanno resistito in
tribunale fino in fondo (una di esse era viva per miracolo essendo stata
sepolta viva dopo essere stata violentata e torturata).
Dopo le vibranti proteste di gruppi femministi e di difensori dei diritti
umani in Algeria, il processo di appello, apertosi a Biskra il 16
dicembre 2004, ha ribaltato il giudizio di primo grado: la sentenza,
emessa il 3 gennaio 2005, ha inflitto pesanti condanne a quasi tutti gli
accusati. Una ventina di imputati (peraltro tutti contumaci) sono stati
condannati a 20 anni, mentre altri tre, presenti al processo,
sconteranno pene da tre a otto anni di prigione.
DANNI PERMANENTI
Le donne che subiscono violenze sessuali portano con se’ diverse
problematiche per tutta la vita.
Danni fisici
Un episodio violento di aggressione sessuale può provocare danni fisici
temporanei ,ma anche permanenti,dovuti dalla brutalita’ e dalla
violenza con le quali gli uomini violentano le donne.
HIV e altre malattie sessualmente trasmissibili
Le malattie sessualmente trasmissibili(MTS), tra cui l’HIV/AIDS
costituiscono un grave
problema di salute per le vittime di violenza sessuale. È più probabile
che una
donna contragga l’HIV/AIDS durante uno stupro per via delle ferite
che possono insorgere nei genitali durante la violenza.
Sebbene alcune di queste malattie siano asintomatiche nelle donne, se
non curate possono portare a danni permanenti come la fertilita’.
Gravidanze indesiderate
Uno stupro può portare a una gravidanza indesiderata. Laddove non
esistono
servizi medici per l’aborto o quando questi sono troppo costosi, le
donne che non
si sentono di dare alla luce un bambino concepito durante uno stupro
sono
esposte ai rischi di un aborto clandestino che a volte si concludono con
la morte della madre.
Traumi psicologici
L’impatto psicologico di uno stupro può essere devastante. Secondo
l’OMS, il
trauma psicologico permane molto più a lungo di quello fisico. Anche
se assistite
con una terapia di sostegno psicologico, il 50% delle donne continua a
soffrire di depressione e di sindrome da stress post-traumatico(molti
tentano il suicidio o assumono droghe e alcol per alleviare lo stress)
Stigma e ripudio
Idanni causati da una violenza sessuale vanno ben oltre la sfera fisica e
mentale.
Le vittime di uno stupro sono spesso ripudiate dai loro partner e dalle
famiglie.
Sono cacciate di casa, restando senza un posto dove stare e senza
aiuto. In molti
paesi, una donna abbandonata dal marito non è ammessa nella
società. vittime di uno stupro sono spesso stigmatizzate e umiliate
all’interno delle loro
comunità e sono spesso incolpate per la violenza subita. Nei casi in cui
l’aggressore è colui il quale mantiene la famiglia, la vittima si sente
obbligata a
restare in silenzio e sopportare altre violenze per garantire la
sopravvivenza della
famiglia. In alcune culture, dove la verginità è associata all’onore,
l’aggressore
può essere obbligato a sposare la vittima, o un uomo della famiglia
può uccidere
la vittima nel tentativo di ristabilire l’onore della famiglia.
Per tutti questi motivi, denunciare uno stupro richiede un coraggio
enorme.
Quando possono accedere alle cure, le vittime di uno stupro devono
affrontare
una scelta straziante:
-FARSI CURARE, significa rivelare informazioni e subire il ripudio e
la stigmatizzazione
-MANTENERE IL SEGRETO, può comportare problemi di salute e
in certi casi addirittura la morte.
l'Oms Organizzazione mondiale della sanita’ ha voluto dare ai Paesi
delle raccomandazioni per mettere a punto sistemi e strategie di
prevenzione:
integrazione dei programmi di prevenzione della violenza con quelli di
formazione e informazione sanitaria rivolti ai bambini e ai ragazzi
formazione degli operatori sanitari a riconoscere i sintomi di violenza
nelle donne e a intraprendere azioni mirate a proteggerle e a
supportarle
attuazione di programmi di informazione e di supporto alle donne che
denunciano violenze
diffusione di iniziative volte a rendere la società in generale
consapevole del problema della violenza domestica e a indurre una
denuncia sociale nei confronti delle persone violente.
Sud Africa/ Sondaggio choc: un uomo su quattro ammette di aver
commesso violenze a sfondo sessuale
Sondaggio choc in Su Africa: un uomo su quattro ammette di aver
compiuto stupri, mentre molti confessano di aver attaccato più di una
vittima. Lo studio mostra l’endemica cultura della violenza sessuale
del Paese.
Tre uomini su quattro rivelano che le prime violenze le hanno
commesse da adolescenti; uno su venti ha commesso l’ultimo stupro
nell’ultimo anno. Il Sud Africa ha il triste primato di essere uno dei
paesi con il più alto tasso di violenza sulle donne a scopo sessuale: solo
una parte di queste viene segnalata alle autorità e di queste solo alcune
conducono a un giudizio.
La professoressa Rachel Jewkes del Medical Research Council che ha
condotto il sondaggio – le risposte sono garantite dall’anonimato –
sostiene che la prevalenza della violenza sessuale è epressione di
un’idea di mascolinità basata su una gerarchia di genere e sul diritto
naturale dell’uomo a praticarla. È radicata in un ideale africano di
virilita’
TRASFORMAZIONI IN ATTO
PREMIO NOBEL PER LA PACE 2010 PER LE DONNE
AFRICANE
La proposta nasce a partire dalla constatazione del ruolo crescente che
le donne africane hanno acquisito nella vita quotidiana dell’Africa. Le
donne sono protagoniste e trainanti sia nei settori della vita quotidiana
che nell’attività politica e sociale. Sono le donne in Africa che reggono
l’economia familiare nello svolgimento di quell’attività, soprattutto di
economia informale, che permette ogni giorno, anche in situazioni di
emergenza, il riprodursi del miracolo della sopravvivenza.
ECONOMIA da decenni sono protagoniste nella microfinanza: dalle
storiche tontine dell’Africa occidentale, fino alle forme più elaborate
di microcredito in tutte le parti dell’Africa. Microcredito che ha
permesso la nascita di migliaia di piccole imprese. Le donne africane
sono capaci nell’organizzazione della gestione dell’economia: esistono
in Africa migliaia di cooperative che mettono insieme donne
impegnate nell’agricoltura, nel commercio, nella formazione, nella
lavorazione di prodotti agricoli. Le donne africane stanno svolgendo
un ruolo sempre crescente nella definizione e nella ricerca di forme
autoctone di sviluppo economico e sociale, attraverso l’organizzazione
capillare delle attività economiche e sociali nei villaggi.
SOCIALE-SANITARIOa stanno svolgendo un ruolo sempre crescente
nella difesa della salute, soprattutto contro il morbo dell’HIV e della
malaria. Sono loro che svolgono spesso formazione sanitaria nei
villaggi. Sono i gruppi organizzati di donne che si stanno impegnando
contro pratiche tradizionali dell’infibulazione e della mutilazione
genitale.
Sono le donne africane, infine, che riescono a organizzarsi per lottare
per la pace e a mantenere la vita anche nelle situazioni più tragiche, in
un impegno politico spesso capillare e non riconosciuto. Molto spesso
con il rischio di subire violenza e sopraffazione. L’Africa oggi può
sperare nel proprio futuro soprattutto a partire dalle donne comuni,
quelle che vivono nei villaggi o nelle grandi città, in situazioni spesso
di emergenza, e di cui le donne che sono emerse, sia nella politica, sia
nella cultura, sia nell’attività imprenditoriale, non sono che
un’espressione visibile.
L’Africa è rosa: mogli, madri, figlie, ma non solo. Le donne restano il
cardine della società africana, soprattutto nelle comunità rurali. Ma al
loro tradizionale ruolo di madri e di mogli sono sempre di più le donne
che affiancano la lotta per i propri diritti o l’impegno in politica.
Le donne africane si stanno organizzando: si incontrano, discutono, si
confrontano. Come è successo a Bamako, in Mali, durante la
conferenza nel Forum “Le donne protagoniste” , o al primo Forum
Internazionale delle Donne Imprenditrici, che si è appena chiuso a
Milano. Tra loro, anche donne dalla Libia, dall’Algeria, dall’Egitto,
dal Marocco, dalla Tunisia.
I risultati concreti dell’impegno femminile in Africa si vedono: oltre
al successo elettorale in Liberia di Ellen Johnson Shirleaf, primo
presidente africano donna, attualmente in Africa ci sono 3 donne
vicepresidenti, in Sudafrica, in Zimbabwe e in Burundi. Due invece i
presidenti del consiglio, in Mozambico, e a São Tomé e Principe. Il
Ruanda è in assoluto il Paese con la più alta percentuale di
parlamentari donne (39 su 80). Nell’Unione Africana, metà dei
membri della commissione sono donne, e donna è la presidente del
parlamento pan africano, parlamento che ha iniziato un discussione
sulla proprietà femminile della terra in Africa. Il futuro dell’Africa e
quello della donna africana restano pieni di sfide, come denunciano
anche i rapporti delle agenzie umanitarie, per esempio quello di
dicembre 2006 dell’UNDP sulla situazione della donna nei paesi arabi,
ma se l’Africa può guardare avanti con ottimismo è anche perché le
donne africane si stanno facendo carico di un nuovo ruolo: essere
parte del motore del cambiamento.
ministero degli affari esteri..cooperazione italiana
COOPERAZIONE ITALIANA
Indirizzi strategici
La programmazione ordinaria della Direzione Generale per la
Cooperazione allo Sviluppo ha tenuto conto della necessità di
valorizzare la dimensione di genere all’interno delle politiche generali
stabilite dalle istituzioni italiane e, nello stesso tempo, di incrociare
questi aspetti peculiari con gli standard stabiliti a livello
internazionale per la pari dignità tra uomini e donne nei meccanismi
dello sviluppo.
Si sono pertanto definite le seguenti priorità d’azione:
1. Empowerment delle donne
Attraverso la promozione dell’imprenditorialità femminile e la loro
partecipazione ai negoziati per le decisioni di interesse collettivo:
questo obiettivo tiene in particolare conto la crescita della
decisionalità delle donne non soltanto con il loro inserimento nelle
istituzioni di rappresentanza politica, ma piuttosto attraverso una
costante valorizzazione del loro contributo all’economia, in particolare
a livello locale;
2. Salute riproduttiva
La lunga tradizione di assistenza sociale e sanitaria, dell’Aiuto
Pubblico Italiano, si è consolidata, anche attraverso la collaborazione
con le Ong e con le associazioni delle donne, dando vita ad un
approccio che tiene conto del diritto alla salute delle donne e dei loro
figli, utilizzato anche nella formazione degli operatori del settore
sanitario, nella lotta all’Aids e nei programmi dei consultori,
soprattutto nelle area di cultura islamica;
3. Conflitti
L’impegno della società civile e dell’associazionismo femminile italiani
nel corso degli ultimi vent’anni ha fatto sì che il ruolo delle donne nelle
situazioni di conflitto divenisse una priorità dell’operato della Dgcs e
si sono intensificate le azioni pilota nel settore dell’emergenza;
4. Lotta alla tratta delle donne, anche minori
Su questo punto l’impegno delle istituzioni nazionali di parità e della
società civile italiana è stato di grande risonanza internazionale
soprattutto a seguito dell’inserimento di questi atti come reati nel
trattato istitutivo della Corte Penale Internazionale;
5. Lotta alla violenza sessuale contro le donne
E' stata molto favorita dall’impegno diretto della Cooperazione
Decentrata nella creazione di consultori, anche in luoghi di particolare
difficoltà, in particolare nel Bacino Mediterraneo; la Campagna
contro le Mutilazioni Genitali Femminili fa parte di questa azione
complessiva.
Nello specifico, sono attivi interventi della Cooperazione italiana in
Cambogia, nei Territori Palestinesi e in America Centrale.
DONNA AFRICANA E DONNA OCCIDENTALE A CONFRONTO
Oggi le donne occidentali hanno una personalità giuridica pienamente
indipendente. Non sono più soggette alla tutela maschile. La proprietà
di una donna sposata rimane sua, invece di divenire legalmente
proprietà di suo marito, come avveniva fino a non molto tempo fa. La
donna è libera di scegliere tra una varietà di carriere professionali che
in precedenza erano aperte soltanto agli uomini e la gamma di
carriere che una donna può scegliere è in crescita. Inoltre, non deve
più necessariamente abbandonare la sua professione se decide di
sposarsi. Di fatto, una donna occidentale di oggi è molto meno
drasticamente penalizzata a causa del suo sesso di quanto lo era sua
nonna.
La donna occidentale ha più possibilità di ricevere un istruzione
adeguata,mentre in Africa il tasso di analfabetizzazione femminile
rimane alto.
La donna nel mondo occidentale non è solo uno strumento di
riproduzione, la donna può lavorare, esprimere la propria opinione,
non è solo madre, ma anche una lavoratrice, un elemento utile al paese
per l'economia, la politica, ecc.
La donna occidentale ha libertà anche nel modo di vestirsi.
Nella cultura occidentale la donna non accetta la poligamia e ha la
possibilità di separarsi dal marito senza essere stigmatizzata dalla
società.
La donna occidentale detiene la parità dei sessi.
LETTURA CONSIGLIATA:LA MASAI BIANCA. STORIA VERA
DI UNA PASSIONE AFRICANA-CORINNE HOFMANN-
DONNA ORIENTALE
Di Anna Barresi
DUE FIGURE IMPORTANTI NELLA STORIA ORIENTALE:
LA GEISHA GIAPPONESE
LA DONNA CINESE COI PIEDI DI LOTO
LA GEISHA
"Geisha", è un termine giapponese composto da due termini (gei) che
significa "arte" e (sha) che vuol dire "persona"; la traduzione
letterale, quindi, del termine geisha in italiano potrebbe essere
"artista", o "La persona d'arte".
geisha ieri
Tradizionalmente le geisha cominciavano il loro apprendimento in
tenerissima età. Le fanciulle dovevano attraversare varie fasi, prima
di diventare maiko e poi geisha vere e proprie, tutto questo sotto la
supervisione della "oka-san", la proprietaria della casa di geisha. Le
ragazze nella prima fase di apprendimento, ossia non appena arrivano
nell'okiya, sono chiamate "shikomi", e venivano subito messe a lavoro
come domestiche. Il duro lavoro al quale sono sottoposte era pensato
per forgiarne il carattere; alla più piccola shikomi della casa spettava
il compito di attendere che tutte le geisha fossero tornate, alla sera, dai
loro appuntamenti, talvolta attendendo persino le due o le tre di notte.
Durante questo periodo di apprendistato, la shikomi poteva
cominciare, se la oka-san lo riteneva opportuno, a frequentare le classi
della scuola per geisha dell'hanamachi. Qui l'apprendista cominciava
ad imparare le abilità di cui, diventata geisha, sarebbe dovuta essere
maestra: suonare lo shamisen, lo shakuhachi (un flauto di bambù), o
le percussioni, cantare le canzoni tipiche, eseguire la danza
tradizionale, l'adeguata maniera di servire il tè e le bevande alcoliche,
come il sake, come creare composizioni floreali e la calligrafia, oltre
che imparare nozioni di poesia e di letteratura ed intrattenere i clienti
nei ryotei. Il rapporto tra onee-san e imoto-san (che vuol dire "sorella
minore") era estremamente stretto: l'insegnamento della onee-san,
infatti, era molto importante per il futuro lavoro dell'apprendista,
poiché la maiko doveva apprendere abilità rilevanti, come l'arte della
conversazione, che a scuola non le erano state insegnate. Arrivate a
questo punto, le geisha solitamente cambiavano il proprio nome con
un "nome d'arte", e la onee-san spesso aiutava la sua maiko a
sceglierne uno che,secondo la tradizione deve contenere la parte
iniziale del suo nomee che secondo lei, si sarebbe adattato alla
protetta. La lunghezza del periodo di apprendistato delle maiko
poteva durare fino a cinque anni, dopo i quali la maiko veniva
promossa al grado di geisha, grado che manteneva fino al suo ritiro.
Sotto questa veste, adesso, la geisha poteva cominciare a ripagare il
debito che, fino ad allora, aveva contratto con l'okiya;
l'addestramento per diventare geisha, infatti, era molto oneroso, e la
casa si accollava le spese delle sue ragazze a patto che queste,
lavorando, ripagassero il loro debito. Queste somme erano spesso
molto ingenti, e a volte le geisha non riuscivano mai a ripagare gli
okiya.
La geisha oggi
Ai giorni nostri, il rituale di formazione ed educazione della geisha
non è molto diverso da quello di cento anni fa. Le discipline in cui ogni
geisha si deve specializzare sono le medesime, e la serietà con cui
vengono offerte è sancita dal kenban , kenban?, una sorta di albo
professionale che obbliga coloro che vi sono iscritte al rispetto di
regole morali ed estetiche molto severe, dall'abbigliamento, al trucco,
allo stile di vita. Il loro salario, inoltre, è fissato da organi statali
appositamente adibiti; Come si è detto precedentemente, le geisha
stanno man mano scomparendo. La ragione principale, infatti, del
successo delle geisha in passato va trovata nella passata posizione
sociale della donna, soprattutto nel periodo Kamakura; essa doveva,
infatti, rimanere confinata in casa, e riceveva un'educazione molto
approssimativa, che non permetteva loro di conversare e di interessare
adeguatamente i loro uomini. La geisha, perciò, compensava una
figura femminile poco attraente, assolutamente sottomessa all'uomo e
totalmente priva di una propria personalità, fornendo all'uomo
quell'interesse che egli non riusciva a trovare tra le mura della
propria abitazione. Ed è proprio la mutata condizione sociale della
donna dei giorni nostri che sta facendo scomparire la figura della
geisha. Le scuole stanno chiudendo una dietro l'altra e le ragazze
iscritte sono in numero sempre minore, poiché il duro tirocinio a cui
devono sottostare non è più gradito alle nuove generazioni.
Nel 1920, infatti, c'erano più di 80.000 geisha in tutto il Giappone, ma
oggi sono molte meno di un paio di migliaia
Come già accennato in precedenza, esiste oggi molta confusione,
specialmente fuori dal Giappone, riguardo la natura della professione
della geisha; nella cultura popolare occidentale, le geisha sono
frequentemente scambiate con prostitute di lusso. L'equivoco, che ha
cominciato a diffondersi dal periodo dell'occupazione americana del
Giappone, nella cultura cinese è, se possibile, ancor più marcato; in
cinese, infatti, la parola geisha è tradotta con il termine yì jì dove jì
ha il significato, appunto, di "prostituta
Le geisha sono donne nubili, e possono decidere di sposarsi solo
ritirandosi dalla professione. Se anche gli impegni di una geisha
possono includere anche intrattenimenti di tipo amoroso, questo non è
previsto nella sua professione. Una vera geisha non viene pagata per
fare sesso, anche se può scegliere di avere relazioni con uomini
incontrati durante il suo lavoro, sebbene mantenute al di fuori del
contesto del suo lavoro come geisha.
Era uso nel passato che una geisha, per stabilirsi, prendesse un danna,
o patrono. Tradizionalmente il danna era un uomo ricco, talvolta
sposato, che aveva i mezzi per accollarsi le enormi spese di cui il
lavoro di geisha abbisognava; anche oggi la tradizione del danna è
viva, in Giappone, ma solo qualche geisha ne sceglie uno.
Anche se succedeva spesso che una geisha ed il suo danna si
innamorassero, il sesso non era richiesto come pagamento per il
supporto finanziario che il danna elargiva. Le convenzioni e i valori
che si celavano dietro questo particolare rapporto sono molto
intricate, sconosciute ed incomprensibili agli occidentali, come a molti
giapponesi stessi.
donna giapponese: tra tradizione e innovazione
La scuola : tra infantilizzazione ed emancipazione
La scuola impone ai ragazzi un ritmo molto severo, il sistema è basato
su una forte competizione tra gli allievi. I ragazzi sono così molto
stressati ed incitati a raggiungere certi obiettivi. Il risultato di questo
sistema molto rigido e severo è che spesso infantilizza il giovane
ponendolo in una situazione di inferiorità rispetto all'adulto e alla
struttura educativa e sociale nella quale cresce.
D'altra parte, la scuola è anche il luogo dove si incontrano altri
ragazze/i, dove nasce un dialogo tra coetanee e dove si mettono in
discussioni le regole sociali e la struttura famigliare.
La scuola è molto importante nella vita di una giovane ragazza per il
semplice fatto che gli dedica gran parte del suo tempo, ed è in quel
luogo che definirà così il suo stile, la sua personalità , la sua
immagine...
La famiglia : serenità e tradizione
In famiglia, in casa, si ritrovano strutture sociali tradizionali con una
forte autorità paterna ed un ruolo legato alla cura del focolare
associato alla figura materna. La ragazza si appropria del suo statuto
di figlia e si sottomette ai riti e alle regole acquisite e vissute in quel
universo.
Anche la famiglia è un gruppo di appartenenza per la giovane donna,
ma è spesso un gruppo in cui essa non esprime sua vera personalità
come quando è con le amiche.
La casa è per lei un luogo di riposo dove il ruolo che le viene assegnato
è quello della "figlia"; è anche il luogo dove si tramandano le
tradizioni.
Il fidanzato : una relazione importante più conformista che
provocatrice
Ascoltando le ragazze giapponesi si resta sorpresi del modo naturale
con cui parlano del loro ragazzo, nessun sentimento di vergogna o di
disagio, la grande maggioranza delle ragazze giapponesi hanno un
fidanzato.
Stranamente la relazione col sesso opposto non è espressa in termini di
rottura, di provocazione, ma bensì in termini di conformismo. La
struttura famigliare è molto importante in Giappone, è a questo
proposito un paese molto marcato dal confucianesimo. Il ruolo della
donna si definisce nelle sue responsabilità nei confronti dei propri
parenti , dei sui figli (in particolar modo) e di suo marito. E' per
questo importante avere anche molto presto un fidanzato, un
compagno che potrebbe poi diventare un marito. Anche le ragazze le
più stravaganti esprimono una certa serenità, appagamento e una
qualche sottomissione quando parlano del loro fidanzato.
Già da molto giovani definiscono il modo in cui si relazioneranno al
proprio marito e come decideranno di vivere il loro status di
moglie/madre.
Come abbiamo visto, la ragazza giapponese è esposta a vari ambienti
nei quali si adatta in modo diverso appropriandosi dei ruoli che le
sono stati predefiniti o lasciandosi andare ed esprimendo la sua
personalità, le sue aspirazioni. Questa fascia di età è particolarmente
interessante perché è quella in cui si definisce l'identità della ragazza ,
il rapporto con la propria femminilità e lo status che poi deciderà di
assumere in società.
DIFFERENZE TRA PRATICHE DI ALLEVAMENTO TRA LE
FAMIGLIE CINESI E QUELLE GIAPPONESI:
nelle famiglie giapponesi le pratiche di allevamento sono caratterizzate
da un elevato controllo genitoriale, da una disciplina rigida, dal
rispetto per i più anziani e per le tradizioni e dal mantenimento
dell’armonia.
Nelle famiglie giapponesi, dove i bambini sono considerati estensioni
delle madri, il valore che più di ogni altro viene veicolato è quello
dell’interdipendenza, che si concretizza anche nell’utilizzo di pratiche,
come il dormire insieme o fare il bagno insieme, che permettono la
continua vicinanza fisica della madre al bambino. Un’altra
caratteristica delle modalità d’allevamento dei genitori giapponesi
consiste nel proteggere il bambino da ogni forma di stress.
DONNA CINESE
Loto d’oro
Con Loto d'oro o Gigli d'oro si indicano i piedi artificialmente
deformati delle donne cinesi. Il nome è dovuto all'andatura precaria e
oscillante che assumevano le donne sottoposte a questa pratica, in
auge dall'inizio della dinastia Song e durante le dinastie Ming e Qing e
gradualmente scomparsa durante la prima metà del XX secolo. La
pianta dei piedi veniva piegata e mantenuta di una lunghezza tra i 7 e i
12 centimetri. Nelle famiglie più ricche ed influenti le bambine
venivano fasciate quando erano molto piccole, in base al loro sviluppo,
in genere tra i 2 e gli 8 anni; questo rendeva la pratica meno dolorosa
e meno traumatica psicologicamente. Nelle classi contadine la
fasciatura cominciava più tardi perché le bambine dovevano essere
abili al lavoro fino a che non si concordava loro un matrimonio, o fino
a che non erano in età da matrimonio, comunque prima dei 15 anni,
finché le ossa erano ancora malleabili.
Per deformare i piedi nella loro forma definitiva erano necessari
almeno 3 anni, talvolta anche 5 o 10. Per tutta la vita, i piedi
necessitavano di continue attenzioni e di scarpine rigide che fossero
sufficientemente resistenti da sorreggere il peso della donna. Le
scarpette andavano indossate anche di notte affinché la deformazione
non regredisse. Dopo la fasciatura il piede assumeva una forma a
mezzaluna.
Prima di essere fasciati, i piedi erano lavati e puliti dai residui organici
(pelle morta e ulcere), quindi erano cosparsi di allume, avente
funzione anti-emorragica e coagulante. La benda era larga cinque cm
e lunga fino a tre metri.
La deformazione consisteva in due operazioni distinte:
1. piegare le quattro dita più piccole (ad esclusione dell'alluce) al di
sotto della pianta del piede
2. avvicinare l'alluce ed il tallone inarcando il collo del piede. Le
articolazioni del tarso e le ossa metatarsali venivano
progressivamente deformate.
3. In questo modo i talloni diventano l'unico punto di appoggio,
causando l'andatura fluttuante della donna, come il loto che si
piega al vento.
4. Nelle famiglie povere, in cui le ragazze dovevano conservare la
capacità di camminare per lavorare, era praticata una fasciatura
leggera consistente solo nella prima delle due operazioni (il
ripiegamento delle dita). Il piede rimaneva più grande e
precludeva il matrimonio con un uomo di ceto elevato. Nella
Cina meridionale, era praticato un terzo tipo di fasciatura in cui,
invece delle due suddette operazioni, l'alluce veniva piegato
all'indietro e verso l'alto.
La pratica era molto dolorosa, perché il piede non smetteva di
crescere ma cresceva deformato: le ossa conseguentemente si
frastagliavano per poi saldarsi irregolarmente. Spesso le ossa dei
metatarsi si rompevano, o venivano appositamente rotte, così come le
articolazioni. Le unghie andavano sempre tagliate molto corte per
evitare infezioni, ma nonostante tutti gli accorgimenti una fasciatura
poteva portare a infezioni, setticemia, cancrena anche con perdita
delle dita. I piedi così deformati erano coperti da minuscole scarpine
lavorate, fabbricate dalla donna per esaltare la forma del piede e per
mostrare le sue doti artigianali; erano accuratamente disegnate per
evidenziare la forma arcuata ed appuntita del piede. Ogni scarpina
era una forma d'arte ed un passaporto della donna. La dimensione del
piede, e la struttura della scarpa dicevano tutto ciò che era necessario
su di una donna: la sua capacità di sopportare il dolore, le sue abilità
casalinghe.
Anche in Occidente il piede piccolo è considerato bello, basta pensare
alle ballerine o alle scarpe con i tacchi a spillo, che causano
un'andatura oscillante ed hanno la punta. Si consideri anche la fiaba
di Cenerentola, originaria della Cina.
L'usanza si diffuse inizialmente fra le classi più facoltose della
popolazione, per motivi estetici. Ma presto cambiò significato,
diventando simbolo di status sociale: una donna con i piedi fasciati,
impossibilitata a svolgere lavori pesanti o rurali, aveva un marito
facoltoso. Per questo stesso motivo, la pratica cominciò a diffondersi
nelle classi meno abbienti che potevano dare in sposa una figlia ad una
famiglia facoltosa, stabilendo legami interfamiliari che aumentavano il
prestigio della propria famiglia. Le ragazze povere venivano anche
vendute come concubine e il prezzo era legato alle dimensioni e alla
perfezione dei piedi. L'usanza era tramandata da madre in figlia,
La pratica fu incoraggiata dal Confucianesimo, che vedeva nel Loto
d'oro una dimostrazione perfetta di sottomissione della donna
all'uomo, che legava le donne molto più delle pratiche di menomazione
sessuale diffuse in altre zone del mondo. Le donne con i piedi fasciati
erano fisicamente dipendenti dal loro uomo, ed era estremamente
difficile allontanarsi dalla propria casa a causa della difficoltà di
equilibrio.
Una pratica di combattimento derivante da una donna:
LEGGENDA DI UNA PRATICA DI LOTTA CON
PROTAGONISTA UNA GIAPPONESE
Yim Wing Chun
Ng Mui conobbe Yim Yee, proprietario del negozio dove
lei comprava il dau fu e la figlia di costui Yim Wing Chun (traduzione
letterale: Radiosa Primavera).
La bellezza della ragazza attirò l’attenzione di un malvivente locale di
nome Wong (traduzione letterale: Tigre), che voleva ad ogni costo
sposare la fanciulla, terrorizzando sia lei che il padre.
I due ne parlarono a Ng Mui,. La monaca decise quindi di insegnare
alla giovane le sue tecniche di
affinché fosse in grado di difendersi.
lotta,
Yim Wing Chun si allenò duramente nel Gung Fu, giorno e notte, fino
a quando non si sentì pronta ad affrontare Wong in un
combattimento, dal successo del quale sarebbe dipesa la sua libertà.
Yim Wing Chun vinse con semplicità il combattimento, mettendo in
fuga il malvivente.
In seguito Yim Wing Chun fu sfidata da molti Maestri, ma nessuno
mai riuscì a sconfiggerla, al punto che lei stessa giurò che avrebbe
sposato solo chi sarebbe stato capace di batterla.
Un giorno si presentò a lei Leung Bok Chau, che aveva appreso il
Gung Fu dall’Abate Chi Sim, lei si innamorò di lui e in un
combattimento finse di essere sconfitta, cosi da poterlo sposare.
Dopo il matrimonio, Yim Wing Chun rivelò la verità al marito ed in
un
nuovo
combattimento
lo
sconfisse
facilmente,
dimostrandogli così la funzionalità dello stile di Ng
Mui.
Leung Bok Chau fu sorpreso dalla grandezza dello stile, volle che la
moglie gli insegnasse i vari principi che animavano quest'Arte ed
insieme li perfezionarono ed ampliarono.
Fu Leung Bok Chan a dare allo stile il nome Wing Chun (pronuncia:
Wihng Cheùn, traduzione letterale: Radiosa Primavera) in onore della
moglie.
Le leggende si sono sviluppate proprio con il fine di nascondere questa
realtà.
Il fatto di asserire che il Wing Tsun sia stato concepito da una donna è
un chiaro simbolo della radice taoista dello stile. Infatti, il punto di
vista taoista tende a privilegiare l'elemento femminile ed è
significativo, a questo proposito, il passo del VI capitolo del Tao Te
Ching (Il Libro dei Mutamenti) in cui all'origine di tutto è situata la
figura enigmatica della Misteriosa Femmina (“La porta della
misteriosa femmina è la scaturigine del Cielo e della Terra”).
LE RELIGIONI IN CINA:
La Repubblica Popolare di Cina è ufficialmente atea. La popolazione
religiosa si suddivide però in:
•
•
Confuciana, Taoista e Buddhista 95%
Cristiana 3,5%
•
Islamica 1,5% (non quantificata con certezza)
•
•
Il confucianesimo è una delle maggiori scuole filosofiche,
morali, politiche e, in qualche misura, religiose della Cina. Si è
sviluppato nel corso di due millenni a partire dagli insegnamenti
del filosofo Kǒngfūzǐ, il «Maestro Kong» (551-479 a.C.),
conosciuto in occidente col nome latinizzato di Confucio.
Confucio creò un sistema rituale e una dottrina morale e sociale,
che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della
Cina, in un'epoca di profonda corruzione e di gravi
sconvolgimenti politici[1]. Confucio non volle mai, invece,
trattare questioni soprannaturali e che trascendessero
l'esperienza umana. Nel confucianesimo non c'è alcuno spunto
soteriologico e questo rende difficile considerarlo una religione,
se non in senso sociologico, come lo ha considerato Max
Weber[2].
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Il "fare" confuciano si estrinseca per mezzo dei riti (li) che sono
un complesso di norme che regolano i rapporti umani, indicando
la strada giusta da seguire, in ogni occasione. ogni rapporto
umano e sociale è stabilito da riti. In particolare vengono prese
in considerazione cinque tipi di relazioni sociali, alle quali
possono essere ricondotte per analogia tutte le altre. Esse sono
quelle tra principe e suddito, tra padre e figlio, tra fratello
maggiore e fratello minore, tra marito e moglie e tra amico e
amico. Non si tratta mai di un rapporto di parità: anche nella
relazione tra amico e amico si distingue l'amico più anziano da
quello più giovane. Per ciascuna di queste relazioni Confucio, e
più di lui la sua scuola, codificò regole di comportamento assai
rigide, limitative della libertà e dell'autonomia dell'individuo.
Nel sistema confuciano, infatti, l'unica libertà per l'uomo è
quella di migliorarsi in vista della piena adesione del suo
comportamento al modello propostogli dal complesso dei riti.
Questo miglioramento può giungere fino alla perfezione totale
TAOISMO:
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Yin e yang sono, nel Taoismo, i due aspetti del Tao e principi del
cosmo. Lo yang è l'aspetto positivo di tutte le cose. Yang è la
luce, il pieno, il sesso maschile; in contrapposizione a yin che
rappresenta il vuoto, il buio e il sesso femminile. Le due
componenti dell'essenza primordiale dell'universo sono
intrinseche in ogni cosa, e questo fa sì che la dottrina taoista sia
dualistica solo all'apparenza. È infatti dalla combinazione e
fusione delle due manifestazioni dell'essere che germina la vita.
La donna, che è il vuoto in quanto questo è il simbolo del
grembo materno, partorisce la vita solo dopo che l'uomo si è
unito a lei riempiendola. Il panteismo del Taoismo sta proprio
nell'affermare che dietro alla necessaria bipolarità di ogni cosa
sta l'unità infinita, il Tao, che Laozi descrive come la misteriosa
femmina, la madre delle diecimila creature. Ogni cosa esiste
perché esiste anche il suo opposto, con il quale essa si può
combinare generando la vita. La luce non esisterebbe se non
esistesse il buio, il freddo non esisterebbe se non esistesse il
caldo, la vita non esisterebbe se non esistesse il trapasso. Nel
concetto di yin e yang sta anche la valorizzazione della donna
radicata nella dottrina taoista. Il vuoto, lo spazio fecondo, è la
vera essenza dell'universo. Lo spazio vuoto tra gli stipiti è ciò
che veramente conta in una finestra, poiché è ciò che da senso
all'intero sistema, che permette di guardare oltre.
Secondo queste dottrine, confucianesimo e taoismo, il mondo
avrebbe origine dalla lotta reciproca e dall'unione di due
principi fondamentali, yang e yin, rispettivamente principio
maschile e principio femminile. Da questa unione dialettica
deriva tutto il mondo sensibile il cui manifestarsi, risultato della
lotta tra due opposti, segue una via ideale, il dao, nella quale
tende immancabilmente a costituirsi, venire a mancare e
ricostituirsi un equilibrio che, di per sé, è continuamente
instabile. Yang, principio positivo, maschile, è il principio della
forza, della luce e di tutto ciò che può esservi ricondotto; yin è il
suo contrario, principio femminile, negativo, dell'oscurità e della
debolezza in genere. L'un principio, però, non può fare a meno
dell'altro né esserne completamente separato: il primo
presuppone il secondo e viceversa, senza che mai uno dei due
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possa ottenere una vittoria definitiva o prevalere escludendo il
suo contrario dialettico.
BUDDHISMO:
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Buddhismo è una religione, una filosofia e una via di vita nata nel VI
secolo a.C. a partire dagli insegnamenti di Siddhartha Gautama,
comunemente conosciuto come il Buddha ovvero l'Illuminato. Il
Buddhismo si fonda sull'idea secondo la quale tutti possono
ripercorrere la via spirituale codificata da Siddhartha, divenendo a
loro volta dei buddha come ce ne furono in passato e ce ne saranno in
futuro. La pratica della dottrina buddhista ha lo scopo di risvegliare
spiritualmente il genere umano, con il quale ogni singolo può giungere
al Nirvana, ovvero all'Illuminazione o liberazione dalle sofferenze. Il
Buddhismo si è sviluppato nel corso dei secoli ed è oggi suddiviso in
tre grandi confessioni, il Buddhismo Theravāda, il Mahāyāna e il
Mahāyāna Vajrayāna.
Il clero buddhista, detto anche sangha (letteralmente "associazione" o
"assemblea"), consiste in tutti gli ordini di monaci e monache
direttamente o indirettamente discesi dall'ordine originariamente
fondato da Siddhartha Gautama nel V secolo avanti Cristo. Secondo
le testimonianze riportate da antiche scritture i primi ordini erano
fortemente monastici; i membri conducevano una vita austera e
meditativa. Nel corso del tempo, con la diffusione del Buddhismo,
l'approccio alla vita clericale è divenuto più variegato e si differenzia
oggi di tradizione in tradizione
RELIGIONE GIAPPONESE:
Lo Shintoismo , o semplicemente Shinto , , è una religione nativa del
Giappone e nel passato è stata la sua religione di Stato (oggi no).
Prevede l'adorazione dei Kami, un termine che si può tradurre come
divinità, spiriti naturali o semplicemente presenze spirituali. Alcuni
kami sono locali e possono essere considerati come gli spiriti guardiani
di un luogo particolare, ma altri possono rappresentare uno specifico
oggetto o un evento naturale, come per esempio Amaterasu, la dea del
Sole. Il Dio dei cristiani in giapponese viene tradotto come "kami".
Anche le persone illustri, gli eroi e gli avi divengono oggetto di
venerazione dopo la morte e vengono a loro volta annoverati tra i
kami. La parola Shinto nasce dall'unione dei due kanji: 神 shin che
significa "divinità", "spirito"(il carattere può essere anche letto come
kami in giapponese ed è a sua volta formato dall'unione di altri due
ideogrammi 示 "altare" e 申 "parlare , riferire"; letteralmente ciò che
parla, si manifesta dall'altare. 申 ne determina anche la lettura) e 道
tō in cinese Tao ("via", "sentiero" e per estensione; in senso filosofico
rende il significato di pratica o disciplina come in Jyudo o Karatedo o
ancora Aikido). Quindi, Shinto significa letteralmente "pratica degli
Dèi", "via degli Dèi".
Dopo la seconda guerra mondiale lo Shintoismo perse la sua
condizione di religione di stato. L'introduzione della scrittura nel V
secolo e del Buddhismo nel VI secolo ebbero un profondo impatto
nello sviluppo di un sistema unificato di credenze shintoiste. Nel giro
di un breve periodo di tempo all'inizio del periodo Nara, il Kojiki
(Memorie degli eventi antichi, 712) ed il Nihonshoki (Annali del
Giappone, 720 circa) furono scritti compilando miti e leggende
esistenti in un resoconto unificato. Questi resoconti avevano un
duplice scopo: innanzitutto favorire l'introduzione di temi taoisti,
confuciani e buddhisti nella narrativa, mirati a impressionare i cinesi
dimostrando che la cultura giapponese non era inferiore alla loro; in
secondo luogo queste narrazioni erano volte a legittimare la casa
imperiale, facendola discendere dalla dea del Sole Amaterasu. La
maggior parte del territorio del Giappone moderno era sotto un
controllo frammentario da parte della famiglia imperiale, e gruppi
etnici rivali confinanti continuavano ad essere ostili.
DONNA INDIANA
Di Giuseppina Elia
Donne indiane, vittime da sempre
di Nirmala Carvalho
Una cultura che relega la donna in una condizione di totale
inferiorità all'origine dei 10 milioni di bambine non nate. La nascita di
una figlia problema economico ed anche di reputazione sociale.
Mumbai (AsiaNews) – I dati sui 10 milioni di bambine mai nate in
India, resi noti ieri dalla rivista medica Lancet, hanno riportato
l'attenzione sulla condizione femminile in questo Paese, dove l'aborto
selettivo è solo la punta di un iceberg fatto di matrimoni forzati,
sfruttamento sessuale, umiliazioni e suicidi legati all'alto costo della
dote matrimoniale. Le donne indiane, al di là della classe sociale, dello
stato economico e della religione rimangono soggetti vulnerabili in una
società che ancora distingue gli essere umani tra toccabili e intoccabili.
Di fronte a disuguaglianze che hanno radici culturali e storiche
neppure la Chiesa cattolica riesce a trovare un efficace modo per
contrastarle.
Alcune tribù nomadi costringevano in passato le donne alla schiavitù
sessuale e a volte alla poliandria. Come in alcune zone del Punjab,
dove una ragazza doveva sposare tutti gli uomini di una famiglia al
fine di evitare la frammentazione delle proprietà terriere di questa.
L'aborto selettivo e l'uso dell'amniocentesi per conoscere il sesso del
feto possono considerarsi una versione "più civilizzata" degli
infanticidi di bambine che si praticavano con regolarità prima degli
ultimi 20 anni dal nord al sud del paese. Le modalità con cui
avvenivano questi omicidi erano più o meno le stesse: soffocamento,
assunzione forzata di grandi dosi di oppio, strozzamento tramite
l'immissione di molto riso nella bocca. Quest'ultimo più diffuso nel
sud.
In India dal 1994 è illegale determinare il sesso del feto e abortire sulle
base di questo. L'amniocentesi è però molto richiesta per questo scopo
da donne di ogni classe sociale e numerose cliniche e ospedali la
praticano in segreto. Purtroppo su uno che viene preso 10, o forse più,
riescono a scampare ai controlli. Lo squilibrio nel rapporto
maschio/femmina in Stati come l'Haryana e il Punjab, nel nord, è solo
un indice del problema. In queste zone una figlia è un peso a causa del
suo sesso e per questo grava anche sulla reputazione della famiglia.
Nel sud del Paese, invece, una donna è soprattutto un problema
economico a causa dell'alto costo della dote matrimoniale, che
ammonta a milioni di rupie. In Kerala il problema tocca anche la
comunità cristiana, dove molte ragazze si suicidano perché i genitori
non possono permettersi la loro dote. Il Kerala detiene infatti il
primato dei suicidi tra adolescenti e adulte. Altre giovani invece
scelgono di sposarsi in un altro Stato, lontano dalla loro comunità e
religione solo per evitare la dote. Le Chiese cristiane, al di là della
denominazione, non sono state finora in grado di arginare il fenomeno
e spesso le donne le ritengono sostenitrici dei diritti degli uomini. Per
questo da più parti si chiede alla Chiesa di prendere in modo più
deciso la difesa delle donne indiane non solo opponendosi all'aborto,
ma anche lanciando una campagna contro il sistema delle doti
matrimoniali e la limitazione solo agli uomini dei diritti di proprietà
sulle terre.
Tra le donne in India cresce la rabbia e la voglia di protesta. Ma
queste rimangono spesso represse per la mancanza di
preparazione culturale ad opporsi e presentarsi come valido
interlocutore all'interno della società civile
India, scuola superiore gratuita per le figlie femmine per evitare
aborti selettivi
Il governo mira a controllare la crescita della popolazione, a sradicare
la pratica dell'aborto selettivo e migliorare la condizione delle donne
nella società.
New Delhi (AsiaNews/Agenzie) – L'India renderà gratuita l'istruzione
superiore e universitaria alle ragazze, uniche figlie femmine della
famiglia. Con il provvedimento il governo mira a contenere la crescita
della popolazione e soprattutto a sradicare la pratica degli aborti
selettivi.
Il piano prevede oltre all'esenzione dalle tasse, una borsa di studio
mensile di 800 rupie (pari a 14,9 euro) per le scuole superiori, mille
per l'università e 2 mila rupie per studi post laurea. Le famiglie con
solo 2 figlie donne usufruiranno di un taglio del 50% sulle tasse
scolastiche, ma non riceveranno sussidi. In India l'istruzione è gratuita
per tutti solo fino alle scuole elementari. Il tasso di analfabetismo tra
le donne è del 60%.
Con queste scelte New Delhi intende migliorare le condizioni delle
donne in una società, dove di tradizione i genitori preferiscono figli
maschi. "Il nostro schema – spiega un funzionario del ministero
federale per lo Sviluppo delle risorse umane – aiuterà in modo
notevole a controllare la popolazione: esso è diretto soprattutto quelle
famiglie che generano più figli nella speranza di un maschio".
Attivisti per l'alfabetizzazione e i diritti civili hanno ben accolto il
progetto delle autorità: annunciato la settimana scorsa, esso verrà
applicato a partire dal prossimo semestre accademico (maggio) in
tutte le scuole, college e università, private e statali.
Alcuni esperti, però, avvertono che il progetto avrà un impatto
limitato. Narayan Banerjee – direttore del Centro per gli studi dello
sviluppo delle donne – sottolinea che "gli aborti selettivi sono molto
diffusi tra la popolazione ricca dei centri urbani, che può permettersi
di pagare gli studi alle figlie; il piano del governo non influenzerà
questo tipo di realtà".
Nella maggior parte del mondo, vi sono più femmine che maschi, in
base al normale andamento demografico e alla maggiore resistenza
delle femmine alla nascita. A causa di aborti selettivi e di infanticidi,
l'India, insieme alla Cina, è tra i paesi che presentano una tendenza
contraria. Secondo il più recente censimento governativo, risalente al
2001, in India vi sono 927 ragazze su mille maschi, cifra in calo
rispetto alle 945 del 1991 e alle 962 del 1981. In alcune parti del paese
il rapporto tra giovani donne e maschi è di 800 ogni mille.
L'India è sempre stato tra i più grandi laboratori di aggressive
politiche per il controllo delle nascite attraverso aborti,
contraccezione, sterilizzazione. Di recente il governo sembra orientato
verso nuove forme di pianificazione familiare. Tra queste rientra la
promozione di una campagna a livello nazionale per la promozione di
metodi naturali nelle coppie.
Le donne in India si sposano giovaniQuasi la meta’ delle donne in
India si sposano prima di aver compiuto 18 anni nonostante che da 80
anni esistano leggi che proibiscono questa pratica. E’ quanto emerge
da una ricerca pubblicata sul giornale scientifico The Lancet e
rilanciata oggi dal quotidiano The Times of India. Una equipe di
ricercatori indiani e statunitensi ha elaborato dati riguardanti oltre
22.000 donne indiane di eta’ fra i 20 ed i 24 anni, rilevando appunto
che il 44,5% di loro si e’ sposata prima di raggiungere la maggiore
eta’. La responsabile indiana della ricerca, Anita Raj, ha aggiunto che
un aspetto ancora piu’ preoccupante e’ che un quinto di queste donne
(il 22,6%) si e’ sposata prima dei 16 e un 2,6% prima dei 13. Lo studio
evidenzia inoltre che oltre la meta’ delle spose adolescenti (48,4%) ha
avuto un bambino prima di raggiungere la maggiore eta’. ”Questi
risultati – ha concluso Raj – suggeriscono che ne’ i recenti sviluppi in
campo economico e nell’emancipazione delle donne, ne’ gli specifici
programmi rivolti a prevenire le gravidanze nelle adolescenti, hanno
ottenuto l’effetto di arginare questo inquietante fenomeno delle sposebambine
L'India e l' emancipazione della donna
INDIA: SUOCERA PUO' PICCHIARE NUORA, LA EDUCA NEW
DELHI - Una suocera che prende a calci la nuora non è passibile di
pena da un tribunale con l'accusa di crudeltà. Lo ha deciso la suprema
corte indiana, rispondendo ad una serie di appelli di nuore, mariti e
suocere. In particolare il più alto tribunale indiano ha detto che la
suocera può rimproverare la nuora, darle vestiti usati, eventualmente
schiaffeggiarla o prenderla a calci e riprendersi i regali fatti durante le
nozze. La decisione della corte, riportata dall'agenzia PTI, è arrivata a
seguito del ricorso di una donna indiana che, già alla sua seconda
esperienza matrimoniale, ha accusato la suocera di crudeltà ed il
marito di complicità con la madre. I giudici le hanno dato torto,
ribadendo la vena educativa delle azioni della suocera ed il suo ruolo
di madre. In India, dopo il matrimonio, la sposa va a vivere con il
marito a casa dei genitori di quest'ultimo dove, il più delle volte, viene
in realtà schiavizzata dalla suocera. Gli stipendi vengono consegnati
tutti al padre dello sposo che distribuisce i soldi tra i componenti della
famiglia, mentre alla sposa resta l'obbligo delle pulizie e di badare alla
casa. Nel caso in cui la coppia non riesca ad avere figli o abbia una
figlia femmina, i suoceri incolpano della cosa la nuora. Anche la dote
di quest'ultima viene totalmente incamerata dai suoceri. Non a caso ci
sono parecchi casi di suicidi tra le spose e denunce di maltrattamenti
nei confronti delle suocere. La sentenza della suprema corte è
destinata a scatenare le proteste dei movimenti femministi che stanno
aumentando nel paese.
CONCLUSIONI
La strada da percorrere è ancora molto lunga e difficile e gli
ostacoli sono numerosi,ma pian piano le donne stanno
opponendo resistenza per ottenere un ruolo all’interno della
società,e per ottenere le pari opportunita’per entrambi i sessi
nella sfera privata,nel mondo politico ed economico.