PROMORAMA ::: PRESS

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BAND: WALKMEN
TITLE: A HUNDRED MILES OFF
LABEL: TALITRES
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BAND: WALKMEN
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BAND: WALKMEN
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2006_walkmen.htm
Un solenne omaggio alla Lousiana, alle terre del sud, a Baton Rouge e soprattutto a New Orleans. Non
poteva esserci inizio migliore per il terzo capitolo dei Walkmen. Un doveroso inchino a tutto ciò che ha
influenzato questi ragazzi, ovvero il country-rock a stelle e strisce, infarcito di southern e deviazioni punk,
con tanto di cerimoniali orchestrali da giorno del ringraziamento; è racchiuso proprio in queste ultime righe il
riassunto stilistico del sound proposto dai cinque nostalgici ragazzoni americani. Reduci da alcuni successi
commerciali, "What's In It for Me?" e "Little House of Savages" (singoli utilizzati in seguito dalla Fox per
deliziare i sottofondi di un celebre Serial TV americano), i Walkmen proseguono il loro cammino con la
Record Collection sulla stessa lunghezza d’
onda dei dischi precedenti, differenziandosi da essi nella cura dei
particolari e dei contorni strumentali.
La band di Washington, trapiantata a New York, accolta solo da una parte della critica con grande
entusiasmo, modella le proprie canzoni con strutturazioni sonore inerenti al passato, le stesse che
caratterizzavano, circa trent’
anni fa, la maggior parte delle rock band sulle coste del sud. Chitarre fossilizzate
sugli stessi quattro accordi, melodie orecchiabili, ritmiche popolari e i soliti testi d’
amore e ribellione. Tutto è
eseguito nell’
assoluto rispetto dei canoni folk-rock di un tempo e le iniziali di Bob Dylan sparse su tutto il
disco.
L’
utilizzo del Clangy upright piano diventa, quindi, la palese tentazione di ricreare, con garbo, ricami melodici
estinti da tempo. Hamilton Leithauser, il leader del gruppo, voce e chitarra, canta e suona rifacendosi al Bob
nazionale e al più famoso boss del New Jersey, in particolare l’
acerbo Springsteen degli esordi, nonostante la
sua voce sia molto più simile a quella del Rod Stewart di “
Gasoline Alley”
. Non più un ragazzino, Hamilton
controlla il resto della famiglia con la sicurezza del padre-padrone, alternando vocali pecche di presunzione
ad eleganti manovre stilistiche, con risultati spesso altalenanti; il resto della band è composto da Paul
Maroon (chitarra, piano), Walter Martin (organo), Peter Bauer (basso) e Matt Barrick (batteria).
Si tratta comunque di un ottimo collettivo, capace di incunearsi tra diverse paludi e di uscirne sempre pulito,
senza mai esagerare con distorsioni e feedback , semmai attenendosi alla qualità del suono grezzo, come se
si stesse producendo del whiskey casereccio, adoperando esclusivamente le tecniche centenarie del
Tennessee.
Le canzoni sono sempre contraddistinte da una carica ansiosa, a volte acida ed altre deliziosa, densa di tamtam celebrativi e di tumultuose cavalcate folk-rock. Lo stile dei Walkmen affascina così come affascinerebbe
una Cadillac che attraversa tutto il Nevada, con la coda a formare la celebre scia di terra e polvere; un suono
talvolta fumoso, dove la particolare tonalità vocale di Leithauser non sempre è di facile acquisizione.
Cessati gli elogi alla patria dell’
old-jazz ("Louisiana"), "A Hundred Miles Off" propone una serie di rampanti
scordate rock, "Lost In Boston" e "Don’
t Get Me Down" su tutte, e dylaniane fusioni folk, come nel caso di
"This Job Is Killing Me", senza mai perdere di vista l’
aspetto puramente country, "Brandy Alexander“
,
riuscendo anche ad essere imprevedibile, soprattutto quando ci troviamo, inaspettatamente, ad ascoltare tre
minuti esatti di irish-punk allo stato grezzo ("Tenley-Town"). La cover di Mazarin (Quentin Stolzfus),
"Another One Goes By", è la degna conclusione di un lavoro nel complesso gradevole.
Conclusi i dodici ascolti non resta che complimentarci con questa piccola orchestra, ringraziandola per averci
riportato, almeno con la mente, tra le distese aride del sud degli Stati Uniti; anche se ci sono stati dei
momenti di nostalgia, dove la voglia di tornare a casa si è fatta davvero sentire, l’
onesto (vintage) rock
proposto dal collettivo di Washington ci è sempre stato vicino, riuscendo a mostrarci, soprattutto in alcuni
passaggi, la naturale bellezza di quei luoghi con un rock classico ed immediato.
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SENTIREASCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Recensioni/2006/recensioni/Walkmen.html
Li aspettavano un po’tutti al varco, i Walkmen. Catapultati in fretta e furia dalla polvere dell’
underground
newyorkese alla brillantezza patinata di Hollywood - leggere: The OC - la band americana ha esportato nel
mondo una versione addomesticata di quello che una volta si chiamava indie rock. Praticamente un cocktail
composto in egual misura da U2, Animal Collective e Johnny Cash. Ingredienti che, elencati così, farebbero
pensare alla band definitiva. Ma non è questo il caso.
A Hundred Miles Off mostra un complesso ancora impantanato nei suoi sogni psichedelici (Good For You’
s
Good For Me), la cui vena creativa è composta da batterie quasi completamente scariche. Vanno avanti di
esperienza, i Walkmen. Ma lasciano per strada la qualità. E tutto il lavoro sembra solo un piedistallo placcato
oro per esaltare le prestazioni vocali di Hamilton Leithauser, un cantante con le corde vocali e il carisma di
Bono Vox e Greg Dulli.
E allora bello senz’
anima, verrebbe da dire. Se non fosse un ossimoro. Perché non c’
è mai bellezza dove
manca l’
anima e la passione. E francamente le dodici canzoni si limitano a graffiare senza far male. Come se
le armi fossero ormai spuntate ed inoffensive.
COOLCLUB
http://www.coolclub.it/recensioni/dettaglio_dischi.asp?menu=6a&submenu=1&Id_Recensione=1229
Con il loro precedente Bows and arrows si erano conquistati a pieno diritto un posto sul podio accanto a The
Strokes e Interpol. Tra le band di New York più cool del momento The Walkmen tornano con un disco
ispirato e maturo. Se Dylan avesse 25 anni oggi, forse suonerebbe questa musica. Sembra suggerircelo in
più momenti la voce tagliente di Hamilton Leithauser (a partire dal brano di apertura Louisiana) che quasi
deraglia a volte, si fa strada rauca tra le chitarre che fanno muro, l’
organo, la batteria dinoccolata. Tra
momenti più folk e quelli post punk (Tenley town) questi ragazzotti di Whashington trasferitisi nella grande
mela riescono a inserire anche brani scala classifica (non per niente la band è anche apparsa nel telefilm per
teen ager O.C.). L’
andamento quasi svogliato di Lost in Boston quasi li avvicina ai cuginetti fighetti Strokes.
Ma The Walkmen hanno qualcosa in più alle spalle e meno lacca sui capelli e la esprimono con un suono non
facile, con strutture che hanno fatto tesoro dei Television. Per alcuni una conferma, per altri una sorpresa
questo A Hundred of miles è la dimostrazione che una volta sbucciata, la grande mela nasconde una polpa
saporitissima.
MUSICCLUB
http://www.musicclub.it/musicclub/jsp/rubriche/default_one.jsp?id_rubrica=71&id_numero=1163064240389
0&id_testo=11630674355780
Non deve essere stata impegnativa la ricerca del nome per i Walkmen, gruppo di stanza in quel di New York,
alfieri di un suono chitarroso fra il roots-indie e certa rock wave riciclata che piace ancora tanto (ma non
finisce mai?). Con queste premesse il cd in questione sarebbe stato cestinato quasi immediatamente se non
fossi incappato nei soliti maledetti ascolti ripetuti. Si fanno ascoltare, non toccano nessuna corda
particolarmente irritante, quindi non mi va di infierire in alcun modo. Sembrano vagamente onesti per quel
che fanno anche se vedo che sono intervenuti ben due volte al David Letterman Show, quindi penso il mio
sia un abbaglio. Insomma indie-rock-pop leggero con tutti i crismi. Disimpegnati, con i contatti giusti e
pseudo-ggiovani. Dategli un ascoltata se vi va, io ho già dato.
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ROCKLINE
http://www.rockline.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=1377
I The Walkmen probabilmente sono rimasti fermi al successo del 2004, Bows and Arrows, e alle colonne
sonore da telefilm (hanno partecipato alla creazione delle musiche di The O.C.). Così una delle band di
maggior spicco del rock americano compie un flop da manuale, ovvero un album assolutamente monotono,
privo di idee e di conseguenza inconcludente. Non sono pochi i casi di band –a volte si tratta di nomi grossi,
guardasi l’
ultimo The Open Door degli Evanescence –che, in seguito a un lungo tour e al culmine dell’
onda
del successo, cadono in modo piuttosto banale in produzioni di scarso valore e originalità. Le dinamiche che
hanno portato a questo A Hundred Miles Off rientrano in effetti in questa categoria e pertanto le dodici
tracce che compongono questo lavoro non sono per niente all’
altezza di ciò che la band aveva
precedentemente dimostrato. Complici la stanchezza o le sirene, a volte anche sopravvalutate, del successo,
rimane il fatto che il disco si presenta come un canonico rock influenzato nel vocal e nelle distorsioni di
chitarra dalla tradizionale vena country americana.
Niente di nuovo insomma. Ma questa non è una pecca da poco, soprattutto in un disco che tocca i
quarantadue minuti, nei quali in pochi punti si possono apprezzare spunti interessanti. Il brano che secondo
le dichiarazioni dello stesso Leithauser (dichiara lui stesso –forse mettendo le mani avanti –: “
Ti ci vuole un
po’per rientrare nel groove della scrittura dei pezzi”
) avrebbe fatto da principio guida di tutte le canzoni
seguenti, ovvero “
Don’
t Get Me Down (Come On Over Here)", nonostante il valido spunto iniziale di chitarre,
che arieggia un po’la produzione di sonorità wave, finisce con lo svilupparsi anonimamente. L’
album è
oltretutto seriamente appesantito da un vocal roco per niente eclettico, che rimane sostanzialmente sullo
stesso mood, bloccato e inflessibile, per tutta la durata del disco. I brani per il resto scivolano via senza
lasciare emozioni o traccia di sé nella memoria dell’
ascoltatore, che può prendere solo atto di una svogliata
track punkeggiante, Tenley-Town, quasi noise per una registrazione generalmente caotica, decisamente
lontana da un livello di sufficienza.
IL POPOLO DEL BLUES
http://www.ilpopolodelblues.com/rev/giugno06/recensione/The-Walkmen.html
Vi parliamo dei Walkmen perché oltre a produrre musica sublime sono uno dei pochi gruppi giovani ad avere
non soltanto una storia, ma anche un immaginario e persino un contorno di leggende ed eventi che in
qualche modo ne hanno miticizzato lo status. Amatissimi da uno zoccolo duro di fan che ucciderebbero per
averne un disco nuovo, e capaci di vendere per più di mille dollari su Ebay lo sgangheratissimo pianomascotte noto come “
The Piano”
, questi cinque newyorchesi hanno un 2006 impegnato: detto che tutta la
band sta scrivendo un romanzo collettivo (!) e che a fine maggio arriva sugli scaffali questo A Hundred Miles
Off, il vero piatto forte è previsto in autunno con la reinterpretazione del turbolento Pussy Cats, l’
album che
Harry Nilsson volle farsi produrre da John Lennon. Interrogato sulla scelta, il cantante Hamilton Leithauser
ha risposto che è venuta fuori senza pensarci troppo, con un disco ascoltato molto a notte fonda e la voglia
di appropriarsene almeno un po’
, e questa è decisamente un’
attitudine che ci piace.
Ma torniano ad Hundred Miles Off, terzo album a firma The Walkmen e forse il loro più riuscito. Se Bows +
Arrows viveva su un’
irrequietezza che riportava ai primi gruppi post-punk e Everyone Who Pretended to Like
Me Is Gone si poneva come il debutto di un gruppo chitarristico che non voleva veramente fare rock, A
Hundred Miles Off si dimostra la perfetta quadratura del cerchio. Dentro ci potete ascoltare America ed
Europa, la ricchezza di suono dei Basement Tapes e dei primi Pogues, la sguaiatezza dei Clash e la dolcezza
della tradizione folk americana. Una sintesi che non nasconde mai le proprie influenze, cosa oggigiorno
impossibile, ma che nondimeno riesce a produrre uno stile riconoscibile. E sono tanti i pezzi che funzionano,
fra tutti l’
urlaccio punk This Job Is Killing Me, la tensione di Danny’
s At The Wedding, la deragliante
Tenleytown e l’
organo allucinato di All Hands and the Cook.
Forse non sarà facile trovarlo, così come non è semplice trovare i suoi splendidi predecessori, dato che in
Italia il gruppo non gode di una vera e propria distribuzione. Al momento la possibilità che A Hundred Miles
Off sia disponibile nei negozi è soltanto una speranza, probabilmente legata al suo destino commerciale in
patria. Se si piazza bene nelle classifiche di Billboard, potremmo ritrovarlo anche in questi lidi, altrimenti
toccherà reperirlo tramite importazione o internet. Comunque vada, non fatevelo sfuggire.
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BAND: WALKMEN
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MESCALINA
http://www.mescalina.it/musica/recensioni/recensioni-musica.php?id=1718
Nonostante non abbiano ancora ottenuto un forte riscontro nel nostro paese, in molti avranno già potuto
apprezzare le doti musicali dei newyorkesi Walkmen durante una loro apparizione ad una fortunata serie
televisiva come “
The O. C.”
. Un’
apparizione breve ma intensa da non lasciare indifferente nemmeno chi sta
scrivendo.
Forti di un’
amicizia che li lega da tantissimi anni, ad esempio Leithauser e Martin sono cugini di primo grado
cresciuti nella medesima strada, i Walkmen si formano nel 2000, anche se affondano le loro radici musicali
nel decennio precedente militando in altre formazioni della scena indipendente americana. Che renda le cose
più facili o difficili, come per loro stessa ammissione, questa fraterna amicizia si è comunque rivelata un
punto di forza sotto l’
aspetto produttivo, tanto da portare la band americana alla pubblicazione del terzo
album sulla lunga distanza, “
A hundred miles off”
.
Curiosità basilare: in questo nuovo lavoro il quintetto si è liberamente divertito in un’
alternanza reciproca sui
diversi strumenti, giungendo così ad una modificazione sostanziale del loro assetto anche durante i live.
Affidato alle mani competenti di un ingegnere del suono esperto come può essere Don Zientara che ne ha
curato mixaggio e registrazione, l’
album presenta melodie che possiedono un’
architettura sonora tipicamente
rock contaminata nei suoi lineamenti da accenni noise e da distorsioni al punto giusto, e che non disdegna
certamente inclinazioni verso il pop.
I Walkmen partoriscono una dozzina di brani nei quali vengono innalzate ritmiche dal sapore piacevole
decorate dalla caratteristica voce rauca del cantante Leithauser. In apertura troviamo, “
Louisiana”
, deliziosa
ballata memore di una voce “
dylaniana”dei tempi migliori con una tromba sul finale ad arricchirne l’
impasto
sonoro. Un brano, ci tengono a precisare, che non parla della sciagura causata dall’
uragano Katrina in
quanto scritto tempo prima di quel tragico evento.
“
Danny’
s at the wedding”
,“
Good for you’
s good for me”e “
Always after your (‘
til your starter after me)”
mettono in risalto il giusto apporto esercitato da una possente sezione ritmica. Altri elementi consistenti
riscontrabili sono i ritmi percussivi di “
Emma, get me a lemon”
, le ritmiche veloci di “
Don’
t get me down
(come on over here)”e “
Tenley-Town”(con una vigorosa batteria ad impadronirsi della scena) e gli
autorevoli feedback di “
Lost in Boston”
. A chiudere il tutto, una ballata malinconica come “
Another goes by”
cover di un pezzo scritto da un loro amico, Quentin Stoltzfus dei Mazarin.
FREAKOUT
http://www.freakout-online.com/album.aspx?idalbum=1082
L’
odore pungente delle strade di New York, il suono malato dei Velvet Underground, ombre new wave e
’
”
appannamento”etilico, chitarre melodiose, chitarre graffianti, melodie disperate, folk rock allucinato e una
voce intensa, inconfondibile (quella di Hamilton Leithauser).
Sono tornati i Walkmen, con un disco di canzoni belle ed instabili, aspre e dannate.
Diverse per umori e orientamenti sonori: l’
andamento barcollante e i fiati dal sapore sudamericano di
“
Louisiana”
; la tensione sottile - alimentata da uno struggente dialogo tra chitarre e organo - di “
All hands
and the cook”
; l’
ottima “
Good for you’
s good for me”–che richiama candidamente il Dylan elettrico; lo
struggente, emo-zionante crescendo di “
Emma, get me a lemon”
; il punk rock adrenalinico di “
Tenley-town”
;
la melodia irresistibile di “
Another one goes by”(una delle più belle ballad dell’
anno, a mio avviso)…diversi
tasselli di un lavoro difficilmente trascurabile e altrettanto difficilmente “
collocabile”
.“
A hundred miles offӏ
“
semplicemente”un ottimo disco rock, e scusate se è poco.
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KRONIC
http://www.kronic.it/artGet.aspx?aID=2&sID=14269
Ah, I Walkmen. Quando uscì nel 2002 il debutto “
Everyone who pretends”ne rimasi stregato: cantato da
attore drammatico, chitarre che si contorcono lungo atmosfere appositamente sfocate e melodie mai
semplici e sempre in bilico tra il folk d’
autore e l’
indie. Tuttavia già due anni dopo sembrava che il sortilegio
si fosse spezzato. In “
Bows+Arrows”
, ad eccezione di un paio di canzoni (su tutte la poppeggiante The Rat),
tutto quello che rendeva affascinante il suono della band originaria di Washington sembrava quasi svanito.
Eccoci quindi arrivati al terzo capitolo della storia e ciò che erano sospetti si sono trasformati in certezze: i
Walkmen sono solamente l’
ombra di quella band destinata a fare sfaceli nel campo rock (o almeno così
sembrava). Più semplicemente hanno perso quella magia, quel tocco fatato che rendeva i loro brani così
speciali. Alcune caratteristiche sono rimaste immutate, come ad esempio il tono di voce di Leithauser o le
atmosfere lo-fi: nonostante ci siano tutti gli ingredienti per un cocktail davvero piacevole, il risultato è
purtroppo noia mortale. I dodici brani presenti non riescono ad attirare alcuna attenzione, il piacere estatico
fatto di ritmi asincroni e lacune rumorose all’
interno di canzoni dal sapore spesso southern rock è
completamente scomparso. Le note impantanate del pianoforte non ci sono più per far posto a melodie che
ben presto finiscono nel dimenticatoio anche per colpa di una produzione per nulla ottimale. Ci pensano
alcune tracce (l’
introduttoria “
Lousiana”e il mix ben riuscito di trombe e pianoforte in “
Tenley Town”
)a
salvare un disco che altrimenti a più riprese sfiora l’
imbarazzante e il disastroso.
La delusione è grande per chi sperava in un ritorno alle origini di una band che per il momento sembra
procedere solo per inerzia. Come recita l’
album “
A Hundred Miles Off”dalla gloria passata.
LIVEROCK
http://www.liverock.it/tuttarec.php?chiave=738&chiave2=The%5EWalkmen
Ti accorgi che stai diventando un cinico quando un disco come “
A hundred miles off”non ti colpisce subito,
quando, addirittura, lo ascolti con sufficienza le prime volte e non riesci ad apprezzarlo nemmeno dopo
averci messo tutta la buona volontà di cui disponi. Sei cinico perché credi che le ennesime dodici canzoni con
la voce storta che stai ascoltando siano solo le ennesime dodici canzoni con la voce storta e le chitarre
sporche, ma senza esagerare. Sei cinico perché ti dimentichi di quanto delle canzoni ci sia sempre un po’
bisogno: un po’di immediatezza, un po’di sano e semplice susseguirsi di accordi. Spesso, quando poi capisci
che il dischetto che, implorante, cerca di farsi apprezzare non sia, in realtà, una cosa piccola piccola è troppo
tardi. Stavolta, però, no. Il nuovo –e terzo- album dei Walkmen avrà altro destino: perché le sue ennesime
dodici canzoni con la voce storta e le chitarre sporche –perché è di questo che, effettivamente, si sta
trattando- sono belle canzoni, perché la voce di Hamilton Leithauser ha qualcosa di particolare. “
A hundred
miles offӏ uno di quei dischi che cresce con gli ascolti, prima attende di essere compreso, poi si apre al suo
fruitore, e, alla fine, si lascia apprezzare: è immediatezza, certo, ma di quella che non lascia troppo presto
spazio allo scontato. Da Danny’
s at the wedding a Emma get me a lemon, dove Dylan sembra incontrare un
qual certo cantautorato indipendente, a Don’
t get me down (Come on over here) e Always after you (‘
Till
your started after me, episodi più r’
n’
r, i cinque Walkmen ci regalano una quarantina di musica coinvolgente
e concreta, di canzoni semplicemente da ascoltare: consigliato applicarcisi più spesso.
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BAND: WALKMEN
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KDCOBAIN
http://www.kdcobain.it/pagine/recensioni/walkmen.htm
Come è convenzione da parte della critica, il terzo album è sempre considerato quello della conferma o
quello della caduta nel baratro. I Walkmen, formazione newyorkese sempre in bilico tra folk e indie-rock ha
superato la prova a pieni voti, confezionando forse l'album più bello della carriera della sua carriera.
Inconfondibile la voce di Hamilton Lithauser, sempre roca e cantilenante, ma diventata ormai un marchio di
fabbrica che fa riconoscere un brano dei Walkmen tra mille. Il pop e il rock danzano sinuosi insieme dove
talvolta conduce l'uno e talvolta l'altro. Per chi già conosce questa formazione, le sorprese che ci si possono
aspettare sono tante, questa volta sembra che la band si sia lasciata andare ad una ricerca delle origini,
ricerca che pone le fondamenta nel folk.
Quale allora il modo migliore di iniziare un album di questo tipo se non con un brano bucolico come
"Louisiana"? La voce di Hamilton ricorda quella di Bob Dylan in maniera impressionante soprattutto nel pezzo
"Good for you's good for me" così come in "Emma, get me a lemon" dove la batteria e le chitarre si fondono
in una unica ritmica molto frenetica ma aperta anche a cambi di fronte. I pezzi che fanno sognare paesaggi
nordamericani sono tanti come "Lost in Boston" e "Tenley-town", e il talento di questi artisti fa capolino in
ogni scelta stilistica che rende "A hundred miles off" un album da ascoltare e riascoltare.
VELVET GOLDMINE
http://velvetgoldmine.iobloggo.com/archive.php?eid=282
I Walkman si presentano bene come press stampa, hanno una cover gradevole e qualche comparsa nella
serie televisiva The O.C.; mi raccomando, tralasciate questo ultimo particolare o vi travolgerà (in bene o
male).
Hanno ascoltato tanto Bob Dylan ("This Job Is Killing Me"), spaziano dal rock grezzo diluito ad organo ("Lost
in Boston") ad un punk solitario, quasi fastidioso nell'insieme ("Tenley Town"); con il loro folk rock in salsa
("Louisiana") e tutte le belle parole sulle loro spalle, mi sembra un po' pochino.
La voce di Hamilton Leithauser è roca, e questo può appassionare i fan del genere Greg Dulli oppure
trattiene le mani del potenziale ascoltatore nel prendere il portafogli ed acquistare il disco in questione. Con
il periodo che corre per la vendita dei dischi è meglio aspettare se si vuole fare un disco.
Li aspetteremo al prossimo acuto spezzato inciso, ma vorrei essere chiaro: "A Hundred Miles Off" non si fa
prendere ascolto dopo ascolto, è solo un disco per pochi ascolti.