LE REGOLE DI COMPORTAMENTO A TUTTO CAMPO IN TEMA DI

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LE REGOLE DI COMPORTAMENTO A TUTTO CAMPO IN TEMA DI
LE REGOLE DI COMPORTAMENTO A TUTTO CAMPO IN TEMA DI SPESE DI
MANUTENZIONE DEI BENI STRUMENTALI
Sommario
1. Introduzione
2. Le tipologie di spese di manutenzione
3. Gli aspetti gestionali
4. La disciplina civilistica
5. La disciplina tributaria
6. Conclusioni
1. Introduzione
Le spese di manutenzione dei beni strumentali rientrano nel
novero di quelle particolari voci di costo che necessitano di
essere vagliate con speciale attenzione tanto in sede di
formazione del bilancio d'esercizio quanto nella successiva
redazione della dichiarazione dei redditi.
L'esperienza comune dimostra che frequentemente, nel corso
delle verifiche documentali condotte dall'Amministrazione
Finanziaria, l'attività di contro
llo dei verificatori si
sofferma particolarmente su questa tipologia di spese,
presumibilmente in quanto il legislatore tributario ha ritenuto
di stabilire per le stesse uno speciale regime di deducibilità
che risulta penalizzante per le imprese.
Occorre altresì considerare che, pur dovendo tenere conto
delle possibili implicazioni fiscali, l'estensore del bilancio
è tenuto in primis a fornire una rappresentazione "veritiera e
corretta" dei valori che riepilogano le risultanze aziendali
dell'esercizio a ttenendosi alle prescrizioni del Codice Civile
ed ai principi contabili di riferimento.
Quando si affrontano le implicazioni economiche relative
alle vicende degli immobilizzi strumentali nell'ambito
dell'impresa - siano gli ammortamenti ed i costi di esercizio
di varia natura, siano gli investimenti aggiuntivi atti a
migliorare l'efficienza o comunque ad adeguare le condizioni
operative ad esigenze sopravvenute - viene in evidenza, prima
di ogni altro termine di riferimento, il concetto fondamentale
di "vita utile".
Formulare delle congetture sulla vita utile in senso
economico di un bene materiale significa prendere in esame una
molteplicità di fattori generali e specifici, sia di natura
tecnologica che di mercato. Relativamente meno aleatorie
possono essere le stime intorno alla vita utile in senso
tecnico, in merito a cui giocano un ruolo determinante gli
interventi conservativi che si esperiscono fin dalle prime fasi
di funzionamento dei beni e poi, in crescendo, durante l'intero
arco di tempo pluriennale di utilizzo dei medesimi.
Si ricomprendono comunemente nel termine di "manutenzione"
tutti gli interventi operativi svolti allo scopo di tenere
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efficienti e funzionali i beni materiali. Una definizione tanto
ampia ha originato nella pratica aziendale una serie di
classificazioni, anche controverse, che riverberano i loro
effetti sull'analisi dei costi, sulle valutazioni di bilancio e
sulle determinazioni dei valori ai fini tributari.
Al riguardo nella pratica aziendale ci si imbatte
frequentemente nei seguenti dubbi: quali costi rientrano
necessariamente fra le spese di manutenzione e quali invece
possono essere correttamente contabilizzati sotto altre voci,
non soggette a restrizioni di carattere fiscale ?
E ancora: come è possibile formulare una distinzione tra
tipologie di interventi ricorrenti, riconducibili
all'operatività in senso stretto dei beni, ed attività
manutentive in senso proprio ?
Ed infine: qual'è la linea di demarcazione tra gli interventi
di manutenzione e le attività di
rinnovamento e di
potenziamento della capacità produttiva dei beni strumentali ?
Lo scopo del presente lavoro è quello di rispondere a tali
quesiti e quindi di fornire al lettore alcune indicazioni di
carattere pratico in ordine al corretto trattamento delle spese
di manutenzione, sia dal punto di vista civilistico che sotto
il profilo fiscale.
2. Le tipologie di spese di manutenzione
Secondo vari autori di tecnologia meccanica ed elettrica, la
manutenzione si estende dal controllo del razionale
funzionamento delle macchine e degli impianti all'analisi di
tutte le cause che per svariati motivi li pongono fuori
servizio ed all'adozione dei rimedi più idonei per "rimettere
in marcia" i beni di cui trattasi.
Rientrano quindi nell'attività di manutenzione:
- le operazioni tecniche periodiche per assicurare il regolare
funzionamento;
3
-
la prevenzione dei guasti;
- l'individuazione degli inconvenienti di ogni genere al fine
di
adottare gli opportuni rimedi e, se del caso, effettuare
le
necessarie riparazioni.
Per chiarire meglio il concetto, se consideriamo, ad
esempio, un autoveicolo, tutti possiamo concordare che il
rifornimento di carburante non è manutenzione, mentre lo è
certamente il servizio di tagliando periodico.
Se consideriamo invece un edificio, non è manutenzione
provvedere alla pulizia delle vetrate o all'acquisto del
gasolio per riscaldamento, mentre la tinteggiatura delle scale
rientra tra le operazioni utili per conservare la piena
funzionalità dello stabile, ivi com presi gli aspetti igienici
ed estetici.
Pertanto, come risulta evidente anche al comune osservatore,
ogni manutenzione si concreta schematicamente in una serie più
o meno complessa di fasi:
-
verifica dell'oggetto;
regolazione;
-
eventuale riparazione;
-
eventuale sostituzione di parti componenti.
La regolazione può associarsi a smontaggio, messa a punto,
ecc. anche con l'impiego di materiali di consumo.
In questo caso ciascun costo deve essere correttamente
classificato e rilevato contabil
mente secondo la propria
natura.
Mentre l'intervento di un tecnico per la messa a punto di una
caldaia e la conseguente sostituzione di un cavo elettrico
deteriorato è indubbiamente da considerarsi "manutenzione",
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l'acquisto di una scatola di nastri per stampante, al fine
della successiva sostituzione di quelli esauriti, invece non è
una spesa di manutenzione, ma più propriamente si tratta di
"acquisto materiali di consumo per funzionamento uffici".
La stessa cosa può dirsi per l'acquisto della carta
(cancelleria) e del toner (materiale di consumo) per la
fotocopiatrice, dello spray utilizzato per la pulizia dei
videoterminali, dell'inchiostro della penna stilografica, ecc.
Risulta perciò importante, in sede di imputazione della
registrazione contabile, discernere con attenzione i materiali
di consumo strettamente e direttamente correlati ad un
intervento manutentivo (ad esempio i pneumatici di un
autoveicolo) da quelli che invece non lo sono, in quanto questi
ultimi non sono soggetti a limitazioni di deducibilità fiscale.
Talvolta la riparazione può comportare l'utilizzo di
minuterie e simili per le quali si rende necessario il
preventivo acquisto (ad esempio un trapano, un cacciavite, una
scala, un compressore, ecc.). Anche in tale fattispecie la
rilevazione del costo deve essere correttamente effettuata per
natura: si tratterà perciò propriamente di "attrezzature
inferiori a un milione" il cui ammortamento può essere dedotto
integralmente nell'esercizio di acquisizione.
La sostituzione può essere eff ettuata mediante parti nuove
oppure parti recuperate e previamente riadattate.
Una singola attività di manutenzione può richiedere pochi
secondi oppure settimane intere. Può essere svolta in via
preventiva e programmata od a seguito di avarie improvvise.
L'eventuale sostituzione di parti componenti con altre nuove
può ingenerare l'impressione di attuare un intervento di
rinnovamento anche in termini economici, ma normalmente la
sostituzione ha lo scopo primario di rimettere in pristino una
funzionalità che è venuta a meno.
Tra l'altro, è frequente il fenomeno di "cannibalizzazione",
quando, essendo presenti in azienda più macchine od impianti
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similari, si prendono le parti usate ma efficienti da un'unità
non più in funzione per effettuare le sostituzioni sulle altre.
In relazione ad un determinato bene strumentale, o ad un
complesso di beni tecnicamente omogenei, le operazioni di
manutenzione che sono programmate con frequenza ravvicinata, in
quanto esauriscono la loro efficacia in tempi relativamente
brevi, si denominano ricorrenti, ovvero "ordinarie".
Quanto invece le operazioni sono programmate a scadenze più
lunghe (qui è evidente la relatività del criterio in rapporto
all'impiego effettivo del bene, alla congruità della
programmazione, ad altri fattori anche di natura economica,
quale la maggiore o minore disponibilità di spesa in
determinate fasi congiunturali, ecc.), ovvero dopo che siano
trascorsi uno o più anni, si adotta il termine di
"straordinarie" nel suo significato letterale di "insolito".
Quand'anche tutte le problematiche tecniche legate alla
programmazione degli interventi in esame fossero risolvibili in
modo univoco, il che nella pratica non si verifica sia per
l'enorme varietà dei beni strumentali che per l'ampia
variabilità delle condizioni di esercizio dei medesimi beni in
realtà aziendali diverse, una traslazione dei concetti di
ordinario e straordinario ai fini della determinazione dei
valori di bilancio delle immobilizzazioni tecniche può
risultare poco significativa e talvolta nettamente fuorviante.
Tra le cause agenti che possono richiedere a cadenze
ravvicinate lavori di manutenzione considerati normalmente come
non ricorrenti, vanno annoverati tanto l'intensificazione dei
ritmi operativi di macchinari ed impianti (aumento della
velocita, dei carichi, ecc.), quanto l'impiego protratto nel
tempo (in termini di turni giornalieri, di eliminazione delle
fermate settimanali, ecc.).
E' proprio considerando tali particolari condizioni che
l'analisi gestionale può evidenziare come sussistano, anche per
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l'attività di manutenzione, costi riconducibili alla classe dei
"fissi" e costi da trattare come "proporzionali" ai volumi di
produzione.
Tale distinzione può riverberare, in tutti i casi nei quali
siano individuabili parametri di produzione fisica di beni o di
servizi, utilità informativa di gran lunga maggiore di quella
ritraibile della classica contrapposizione ragionieristica tra
costi di ordinaria e di straordinaria manutenzione.
Appare infatti quanto mai valida l'osserva zione che ogni bene
strumentale subisce un insieme di cause usuranti delle quali
alcune sono connaturate alla sua struttura intrinseca mentre
altre sono conseguenti alle modalità del suo impiego nei
concreti processi tecnici.
L'individuazione dei due ordini di cause e dei costi ad esse
conseguenti può contribuire ad una migliore messa a fuoco dei
fenomeni sotto il profilo economico e gestionale.
Secondo la migliore dottrina, nell'ampia casistica degli
interventi "straordinari" si ritrovano lavori che g
enerano
aumenti di produttività e/o prolungamento della vita utile dei
beni e pertanto una quota non indifferente dei relativi costi
sarebbe suscettibile di essere portata ad incremento del valore
originario.
Altri invece, più semplicisticamente, ritengono che i costi
di manutenzione straordinaria debbano sempre essere
capitalizzati, imputandoli a maggiorazione del costo
originario, indipendentemente dal fatto che comportino o meno
un aumento significativo e tangibile di produttività o di vita
utile del cespite.
E' opportuno evidenziare con forza che questa seconda tesi
non è supportata da alcun fondamento logico, si pone in netto
contrasto con i principi contabili italiani e può portare alla
formulazione di valori di bilancio assolutamente distorti e
privi di significatività.
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Essa è probabilmente ascrivibile alla superficialità con cui,
anzichè adeguare le rilevazioni contabili ai fenomeni reali, si
tenta talvolta di ridurre la variabilità di questi a categorie
preconfezionate, mediante un processo
di dogmatismo a buon
mercato che alla fine non genera benefici per alcuno.
3. Gli aspetti gestionali
Si è già accennato all'importanza della distinzione tra
costi "fissi" e costi "proporzionali".
Quanto alla dinamica dei costi nel tempo, pare essenziale
considerare due fenomeni che si riscontrano, sia pure con
intensità variegata, nella gestione delle imprese
caratterizzate da rilevanti immobilizzi tecnici:
- Il primo conferma la tradizionale osservazione che i costi
per
mantenere in efficienza
un bene strumentale in genere
crescono,
a parità di condizioni, con l'età del medesimo,
sino ad un punto
limite oltre il quale detti costi possono
eccedere l'utilità
economica ritraibile dall'impiego del
bene stesso divenuto
senescente, o comunque affetto da
elementi di precarietà.
Si noti che in questa fattispecie non rileva l'obsolescenza
tecnologica, fattore diversamente incidente e comunque
indipendente dal livello di manutenzione prestata al bene.
- Il secondo fenomeno riguarda la crescita tendenziale delle
attività di manutenzione nei riguardi dei beni che, proprio a
motivo dell'innovazione tecnologica, si presentano di
complessità crescente per offrire incrementi di prestazioni e
di
affidabilità, contenimento di consumi energetici e di
immissioni
nocive nell'ambiente, ecc.
Conseguentemente, ad ogni ciclo di sostituzione si
acquisiscono
beni più evoluti, ma altresì abbisognevoli di
manutenzioni più
sofisticate ed accurate.
Da quanto sopra deriva che l'analisi gestionale non può fare
confusione tra costi di natura diversa, sottovalutando l'entità
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delle spese di manutenzione a scapito dei costi operativi
correttamente intesi, oppure portandole inopportunamente ad
incremento del valore originario dei beni, o comunque
rinviandole al futuro.
L'esigenza di individuare nell'ambito della manutenzione
straordinaria le attività con eventuali requisiti
incrementativi va attentamente approfondita, atteso che la
pratica consente di osservare come la manutenzione
straordinaria sia connessa, alternativamente e talvolta
congiuntamente, a:
- operazioni programmate o programmabili che si effettuano,
data
la natura e le caratteristiche degli immobilizzi, con
ciclicità
ultrannuale o comunque al compiersi di determinate
fasi
caratteristiche della vita dei medesimi;
- operazioni poste in essere in conseguenza di eventi
accidentali
(connaturati alle condizioni di funzionamento
dei beni oppure di
origine estranea) che possono
pregiudicare in modo grave la
normale funzionalità dei beni,
ancorchè siano stati rispettati
nel tempo i programmi di
manutenzione sia ricorrente che a lunga
scadenza;
- interventi che si rendono necessari in conseguenza
all'insufficiente o trascurata manutenzione ricorrente: in
effetti, quando gli interventi usuali non vengono predisposti
in
modi e tempi adeguati, per ragioni economiche o per
imperizia
tecnica, è inevitabile il sopraggiungere di
elementi di precoce
degrado che comportano il blocco
dell'utilizzo del bene, a
fronte dei quali si interviene in
via "straordinaria".
Nella prima delle classi elencate sono frequentemente
ricompresi lavori di ristrutturazione, rinnovamento ed
ampliamento, in merito ai quali è necessario valutare
l'effettiva utilità pluriennale, e conseguentemente la natura
incrementativa o meno dei costi sostenuti, mentre nella seconda
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e nella terza non si ravvisano generalmente degli elementi
validi a sostegno della capitalizzazione dei relativi costi.
Si consideri il seguent e esempio: un impianto in normali
condizioni di utilizzo ha efficienza pari a 100. Nel corso
della sua vita utile però fa rilevare, a causa di inadeguate
e/o omesse manutenzioni periodiche ordinarie, una flessione del
rendimento fino ad 80.
Si provvede quindi di effettuare degli interventi straordinari,
in conseguenza dei quali l'efficienza risale a 98.
Appare decisamente discutibile la tesi di chi sostiene che i
costi di tali interventi abbiano natura incrementativa, poichè
con essi in realtà sono state
soltanto ripristinate le
condizioni operative che erano venute a meno a seguito delle
lacune nella manutenzione ricorrente.
In questo caso nessuna capitalizzazione dovrebbe essere
effettuata.
Più in generale, come è indubitabile che una manutenzione
puntuale ed adeguata abbia pur sempre l'effetto di rallentare
l'usura dei beni rispetto al normale decorso o in carenza di
cure, è altresì vero che il reintegro di condizioni di
efficienza e produttività è solo apparentemente
"incrementativo".
Emergono d unque serie motivazioni di carattere gestionale
per seguire la prassi prudenziale di accantonare
preventivamente nei vari esercizi, in un apposito fondo, degli
ammontari idonei a fronteggiare gli oneri futuri, specie nei
casi in cui l'azienda disponga di pochi beni ad alto valore
unitario ciascuno dei quali comporti costi di manutenzione
fortemente incidenti sul risultato complessivo.
Nei casi opposti, vale a dire quanto l'azienda opera con una
molteplicità di beni materiali di valore unitario contenuto
rispetto all'insieme e rinnovabili a cicli pluriennali brevi,
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si può ritenere operante un meccanismo compensativo che faccia
da volano per i costi di manutenzione dei vari esercizi.
In ogni caso, l'impostazione non sarebbe orientata al rinvio
di costi al futuro, ma piuttosto alla precostituzione di
accantonamenti in fase antecedente, e comunque di imputazione
completa nell'esercizio che viene gravato di costi provocati
dalle eventuali carenze del passato o da eventi inconsueti ed
imprevisti, se non cop
erti da specifiche polizze di
assicurazione.
In conclusione è bene ricordare che l'analisi gestionale non
può che interpretare i fatti aziendali, in aderenza alla loro
sostanza tecnica, per individuarne gli andamenti significativi
e supportare decisioni consapevoli da parte del management.
Ogni diverso approccio ne stravolgerebbe il significato,
conducendo a risultati fuorvianti, o quanto meno privi di
utilità.
4. La disciplina civilistica
La migliore dottrina contabile insegna che i costi di
manutenzione, che sono sempre ordinari, sono componenti
economici negativi di competenza dell'esercizio di
sostenimento.
L'incremento del costo originario delle immobilizzazioni
tecniche è invece consentito unicamente per quei costi
correttamente definibili "per migliorie, modifiche,
ampliamenti, ristrutturazioni o rinnovamenti" - che comportano
sostanziali aumenti della vita utile dei beni, ovvero
sostanziali miglioramenti della produttività, della qualità
dei prodotti o di altre significative utilità.
Il requisito incrementativo non può essere semplicemente
desunto dal raffronto tra situazione ante e post intervento,
poichè altrimenti potrebbe essere ravvisato anche nei
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ripristini di condizioni operative normali che derivino da
qualsivoglia intervento manutentivo.
Il raffronto va dunque effettuato tra condizioni di utilizzo
(in senso lato) originarie e strutturali del bene strumentale e
condizioni emergenti al termine della realizzazione di
specifici progetti migliorativi che come tali vanno
indubbiamente oltre l'attività di manutenzione, ricorrente o
straordinaria che sia.
Il documento n. 4 dei principi contabili statuiti dai
Consigli Nazionali dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri
al paragrafo D.VI) disciplina analiticamente la materia in
trattazione.
La prima distinzione che viene evidenziata a livello
civilistico è fra i costi di "manutenzione" e quelli di
"riparazione".
I primi vengono sostenuti per mantenere in efficienza le
immobilizzazioni tecniche al fine di garantire la loro vi
ta
utile prevista, nonchè la capacità e la produttività
originarie.
I secondi invece vengono sostenuti per porre riparo a guasti e
rotture.
Le manutenzioni possono essere programmate in relazione alla
prevista utilizzazione delle immobilizzazioni, mentre le
riparazioni non possono essere programmate, ma entro certi
limiti possono essere ragionevolmente previste.
Da un punto di vista pratico le "manutenzioni" e le
"riparazioni" costituiscono un'unica classe di costi afferenti
alle immobilizzazioni e, so tto il profilo civilistico, sono
entrambe dei componenti economici negativi dell'esercizio di
sostenimento.
Esse quindi possono essere accorpate in un unico conto, ma è
opportuno che vengano tenute distinte dai costi sostenuti per
l'acquisto di "beni di consumo", "beni strumentali inferiori a
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un milione", ecc., che, come abbiamo visto all'inizio, hanno
invece natura diversa.
Quest'ultima distinzione peraltro, oltre a fornire nel
bilancio d'esercizio una rappresentazione più veritiera e
corretta degli a ccadimenti aziendali, si rivela utile anche ai
fini fiscali consentendo una più corretta ed appropriata
deduzione dei componenti negativi di reddito di competenza
dell'esercizio.
I principi contabili specificano che è opportuno utilizzare
il termine "manutenzione" per riferirsi ai soli interventi che
esauriscono la loro utilità economica nell'arco dell'esercizio,
mentre per i costi capitalizzabili, che comportano un aumento
significativo e tangibile di produttività o di vita utile del
cespite, in luogo
del termine improprio "manutenzione
straordinaria", si deve impiegare una locuzione adeguata al
lavoro svolto: "ampliamento", "modifiche", "migliorie", ecc.
Risulta in tal modo superata la pretestuosa distinzione fra
"manutenzioni ordinarie" e "manutenzioni straordinarie" di cui
si è fatto cenno in precedenza e che tanta confusione ha
ingenerato
e talora continua ad ingenerare.
Per quanto concerne infine la deprecabile prassi,
estremamente diffusa nella pratica aziendale, di capitalizzare
le spese di ma
nutenzione eccedenti la quota fiscalmente
deducibile ammortizzandole in quote costanti nei cinque
esercizi successivi a quello di sostenimento, è bene osservare
anzitutto che le disposizioni tributarie non possono nè devono
inquinare i principi civilistici di corretta redazione del
bilancio d'esercizio.
Il suddetto comportamento, nel tentativo di avvicinare
l'utile di bilancio al reddito fiscalmente imponibile,
determina sostanzialmente un differimento dei costi di
competenza, evidenziando nell'esercizi o di sostenimento delle
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spese di manutenzione indebitamente capitalizzate un risultato
economico superiore a quello effettivo.
Al contrario, nei cinque esercizi seguenti, verranno esposti
dei risultati economici inferiori a quelli realmente conseguiti
dall'impresa.
Oltre all'evidente mancanza di trasparenza e di significatività
del bilancio, quanto sopra può comportare evidenti effetti
distorsivi nel caso di distribuzione di dividendi (a cui
potrebbero non corrispondere degli utili realmente conseguiti)
e di mutamenti nella compagine sociale (i vecchi soci
potrebbero beneficiare di maggiori utili a discapito dei nuovi
soci entrati successivamente).
Da quanto sopra deriva che la citata prassi è certamente da
evitare. Il bilancio infatti deve essere redatto correttamente
per ciascun esercizio e le rettifiche di natura fiscale vanno
gestite extracontabilmente in sede di dichiarazione dei redditi
mediante opportune variazioni da apportare al risultato
civilistico (in aumento nell'esercizio di sostenimento de
i
costi eccedenti ed in diminuzione nei cinque successivi).
5. La disciplina tributaria
Come si indicava in precedenza il legislatore tributario ha
previsto per le spese di manutenzione un regime di deducibilità
alquanto restrittivo.
L'art. 67, comma 7, del DPR 917/86 infatti così recita: "Le
spese di manutenzione, riparazione, ammodernamento e
trasformazione, che dal bilancio non risultino imputate ad
incremento del costo dei beni ai quali si riferiscono, sono
deducibili nel limite del 5 per cento del costo complessivo di
tutti i beni materiali ammortizzabili quale risulta all'inizio
dell'esercizio dal registro dei beni ammortizzabili; ...
(omissis)
L'eccedenza è deducibile per quote costanti nei cinque esercizi
successivi. ... (omissis)
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Resta ferma la deducibilità nell'esercizio di competenza dei
compensi periodici dovuti contrattualmente a terzi per la
manutenzione di determinati beni, del cui costo non si tiene
conto nella determinazione del limite percentuale sopra
indicato".
L'effetto combinato della norma in esame con i principi
civilistici precedentemente esaminati è il seguente:
a) Le spese di manutenzione che generano aumenti di
produttività e/o prolungamento della vita utile dei beni
strumentali devono essere contabilizzate ad incremento del
valore originario del cespite ed assoggettate al processo di
ammortamento.
b) Le spese di manutenzione che esauriscono la loro utilità
economica nell'arco dell'esercizio, per il solo ammontare che
rientra nel limite del 5 per cento del costo complessiv
o di
tutti i beni materiali ammortizzabili presenti all'inizio
dell'esercizio, sono deducibili per competenza.
Per l'ammontare eccedente tale limite, che pure
civilisticamente costituisce un costo di competenza
dell'esercizio, la deducibilità è ammessa solamente per quote
costanti nei cinque esercizi successivi mediante variazioni da
effettuarsi nelle dichiarazioni dei redditi.
c) Fanno eccezione i compensi periodici relativi alle
manutenzioni regolamentate da uno specifico contratto (ad
esempio "l'abbona mento" annuale per la manutenzione della
fotocopiatrice, dell'impianto di allarme, dei computers, ecc.),
i quali, pur essendo classificabili civilisticamente come
"spese di manutenzione", non sono soggetti alla restrizione di
cui al punto precedente.
Consideriamo ora il seguente esempio:
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* beni materiali ammortizzabili al 1/1/2000
milioni
* spese di manutenzione sostenute
nell'esercizio 2000
milioni
di cui:
capitalizzate ad incremento dei ce spiti
milioni
periodiche per manutenzioni contrattuali
milioni
ordinarie di competenza dell'esercizio
milioni
Lit. 1.000
Lit.
200
Lit.
80
Lit.
30
Lit.
90
Il calcolo della parte di costo deducibile in quote costanti
negli esercizi 2001
come segue:
1.000 X 5% =
- 2002
- 2003
- 2004
- 2005 si effettua
50 (limite ammesso in deduzione nel 2000)
(200 - 80) = 120 (costo civilistico dell'esercizio 2000)
(120 - 30) =
fiscali)
( 90 - 50) =
90 (quota di costo soggetta a limitazioni
40 (quota di costo a deducibilità differita)
Appare opportuno sottolineare che il costo dei beni
materiali esistenti all'inizio del periodo d'imposta su cui
calcolare il 5% ammesso in deduzione si intende "complessivo",
come espressamente specificato dalla norma richiamata e non
invece "per categoria di cespiti", come erroneamente ritengono
taluni.
Tale infondata interpretazione peraltro può comportare delle
restrittive limitazioni di deducibilità (ad esempio
"manutenzione automezzi" calcolata sul 5% del valore degli
automezzi all'inizio dell'esercizio) che in realtà non sono
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affatto imposte dalla normativa fiscale, qualora correttamente
applicata.
Analogo ragionamento vale per i compensi periodici relativi
alle manutenzioni contrattuali, per le quali le vigenti
disposizioni tributarie non prevedono alcun limite di
deducibilità.
Risulta pertanto opportuno che i suddetti costi vengano
contabilizzati in un apposito conto di bilancio, delle cui
risultanze non si dovrà conseguentemente tener conto ai fini
del calcolo d ella quota eccedente il limite fiscalmente
deducibile.
Alla luce di quanto sopra è evidente che una accorta
pianificazione fiscale dell'impresa dovrà tenere in
considerazione tale particolare normativa, suggerendo agli
organi aziendali preposti di stipulare degli opportuni
contratti di manutenzione per tutte le fattispecie in cui la
fattibilità tecnica possa coniugarsi con il citato vantaggio
fiscale.
6. Conclusioni
In considerazione delle osservazioni che precedono è
possibile formulare le seguenti riflessioni conclusive:
a) In sede di registrazione dei documenti contabili è opportuno
effettuare una prima discriminazione fra acquisti di materiale
di consumo connaturati al funzionamento dei beni strumentali,
non soggetti a limitazioni di carattere fiscale, beni
strumentali inferiori a un milione, integralmente deducibili
nell'esercizio di acquisizione, e spese di manutenzione in
senso proprio.
b) Un'oculata attività contrattuale preventiva può consentire
la libera deducibilità delle manutenzioni a c
arattere
ricorrente, nel rispetto della vigente disciplina tributaria.
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c) Secondo corretti principi contabili le spese di manutenzione
che comportano degli effettivi aumenti della produttività,
ovvero prolungano la vita utile dei cespiti, devono essere
necessariamente contabilizzate ad incremento del valore
originario degli stessi.
Tale comportamento peraltro è consentito dalla normativa
fiscale.
Si noti che, in taluni casi (tipicamente per le attrezzature,
gli automezzi ed in genere per tutti i beni strum entali il cui
ammortamento si conclude nell'arco di pochi anni), il processo
di ammortamento a cui detti costi capitalizzati vengono
assoggettati può consentire una più rapida deduzione fiscale
degli stessi rispetto a quanto previsto dalla disciplina di
deducibilità stabilita per la quota eccedente il limite fiscale
consentito (nessuna deduzione nel primo esercizio ed il 20% nei
cinque esercizi successivi).
d) La diffusa prassi di capitalizzare in bilancio le spese di
manutenzione eccedenti l'ammontare ded ucibile, ammortizzandole
in quote costanti nei cinque esercizi successivi a quello di
sostenimento, non risulta corretta sotto il profilo
civilistico.
Ciò infatti determina il differimento di costi di competenza,
alterando il risultato d'esercizio.
Si suggerisce pertanto di gestire extracontabilmente tali
variazioni di natura fiscale direttamente nella dichiarazione
dei redditi.
LB = Dott. Luca Bisceglie
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