tutto puo accedere a Broadway - Parrocchia Santa Maria Segreta

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tutto puo accedere a Broadway - Parrocchia Santa Maria Segreta
INTERVISTA A PETER BOGDANOVICH
Sognava di diventare regista?
Fino a 13 anni per me esisteva solo il cinema. A indirizzarmi verso
altri palcoscenici fu mia madre. “Vai a Broadway, c’è il teatro, è
bellissimo”. Io non volevo saperne. Lei insistette. Mi obbligò. Il teatro
mi colpì moltissimo. Amai a tal punto l’atmosfera che per anni, ogni
fine settimana, tornai regolarmente a Broadway. Mia madre come
sempre aveva avuto ragione.
A vent’anni firmai la regia del mio primo spettacolo. Poi arrivò il
cinema. Conoscevo bene gli attori, avevo qualche rudimento di regia.
Volevo proprio “farli”, i miei film. Pensavo che i miei talenti
bastassero a guidarmi con facilità fino a Hollywood e mi sbagliavo.
Cosa pensa del cinema di oggi?
I film che fanno oggi non mi sembrano poi così interessanti. A me
piacciono quelli sulla gente. Film di volti, emozioni e caratteri che non
poggiano la loro forza sugli effetti speciali. I registi di oggi fanno film
sulle macchine (nda: Bogdanovich dice letteralmente “sulla
carrozzeria”) ed è tutto un inseguimento, un rodeo violento, una fuga
fracassona, una gara all’effetto speciale. Niente che abbia veramente a
vedere con le persone e con la vita vera.
Non le piacciono gli effetti speciali?
Sembra che vogliano dimostrare di poter fare qualunque cosa con gli
effetti speciali, ma io dico: chi se ne frega degli effetti speciali. Voglio
le persone come nei film di Renoir o di John Ford, non L’uomo ragno
o I Fantastici 4. Non so che farmene di tutti questi supereroi.
Ricorda l’esatto momento in cui capì di avercela fatta?
Non lo capisci mai. Il successo arrivò molto in fretta accompagnato da
un’aria strana e indecifrabile. Prima che uscisse L’ultimo spettacolo
avrei dovuto dirigere Steve McQueen in Getaway, poi girato da
Peckinpah. Lavorai molto all’idea e proprio questo progetto
incompiuto accese l’interesse di Barbara Streisand nei miei confronti.
Streisand fu la sua protagonista in “Ma papà ti manda sola?”.
Nell’anno dominato da “Il Padrino”, mi ritrovai con“L’ultimo
spettacolo” e “Ma papà ti manda sola?” nella top ten di Variety.
Cambiò tutto.
TUTTO PUO’ ACCADERE A
BROADWAY
TITOLO ORIGINALE
She's Funny That Way.
REGIA
Peter Bogdanovich
INTERPRETI
Owen Wilson
Jennifer Aniston
Will Forte
Quentin Tarantino
Jennifer Esposito
Imogen Poots
DURATA
93’
ORIGINE
USA 2014
Filmografia
• Directed by (2006)
• Il prezzo del paradiso (1997)
• Rumori fuori scena (1992)
• Texasville (1990)
• Paper moon (1973)
• Dietro la maschera (1985)
• E tutti risero (1981)
• Vecchia America (1976)
• Ma papà ti manda sola (1972)
• Directed by John Ford (1971)
• L’ultimo spettacolo (1971)
IL REGISTA
Alla ricerca del genere che non c'è. Si
potrebbe anche chiosare così la lunga
carriera di Peter Bogdanovich. Un po'
tutto in quella Hollywood sconnessa
dalla quale lui scappa per raccontare
storie di personaggi quotidiani, ritratti
che sembrano appartenere a quella
povera ma giocosa America.
Figlio di immigrati scappati dal
Nazismo (suo padre era un pittore e
pianista serbo e sua madre la discendente di una ricca
famiglia ebrea austriaca), Bogdanovich inizia la sua carriera
artistica come attore negli anni Cinquanta. Influenzato dalla
critica francese dei Cahiers du Cinema decide di scrivere
anche lui degli articoli sul cinema. Ossessionato dal cinema
(ha visto più di 400 film all'anno), è affascinato dalla figura
di John Ford e Howard Hawks, registi che vede come i
pionieri dimenticati del cinema americano. Nel 1967 riesce a
finanziare la sua prima opera da regista: il documentario su
Howard Hawks. Molto amico di Orson Welles, interpreterà
per lui Vienna (1968) e L'altra faccia del vento (1972),
mentre per Agnès Varda sarà nel cast di Lions Love (1969) e
John Cassavetes lo dirigerà ne La sera della prima (1977).
Nel 1968 dirige il suo primo film: Bersagli. Torna al
giornalismo, realizza molte interviste, dalle quali scaturirà il
libro "Chi diavolo me l'ha fatto fare - Conversazioni con
registi leggendari”, che hanno un valore inestimabile per
nella storia del cinema. A 33 anni Bogdanovich torna sul
grande schermo con il suo capolavoro: L'ultimo spettacolo
(1971) per cui viene nominato all'Oscar per regia e
scenggiatura. Dopo questo successo dirige Barbra Streisand
e Ryan O'Neal in Ma papà ti manda sola?(1972). Entrato di
diritto nella lista dei registi di serie A, fonda con l'amico
Coppola la Directors Company, che si affiancherà alla
Paramount nella produzione cinematografica. Nel 1973,
dirige ancora Ryan O'Neal in Paper Moon. Dopo Daisy
Miller (1974), e Finalmente arrivò l'amore (1975) tenta di
ricatturare i piaceri di pubblico e critica con Vecchia
America (1976) cui farà seguito il più fortunato e apprezzato
Saint Jack (1979).
Torna alla regia solo nel 1984 con Dietro la maschera
(1984), seguito da Texasville (1990). Raccoglitore di
interviste e ritratti di chi nel cinema è stato una leggenda,
Peter Bogdanovich ricorda un po' quei monaci amanuensi
che si ritiravano nelle biblioteche per custodire la letteratura
antica dall'oblio. Ma in un panorama effervescente come
quello di Hollywood è diventato lui stesso un personaggio da
proteggere nella memoria. Chiedetelo a Quentin Tarantino
che lo vede come suo guru.
LA TRAMA
New York. Arnold Albertson (Owen Wilson), un regista di successo
teatrale e televisivo, arriva nella Grande Mela per mettere in scena la
sua ultima produzione di Broadway. La protagonista dello spettacolo
sarà sua moglie (Jennifer Aniston), con lei il divo del cinema Seth
Gilbert. La prima sera che Arnold si trova a New York, chiede la
compagnia di una escort a un servizio apposito, che gli manda una
giovane e affascinante ragazza: Isabella (Imogen Poots). Nel corso
della serata Arnold le regala 20mila dollari; in cambio però Isabella
dovrà lasciare il su o lavoro e intraprendere la carriera dei suoi sogni,
quella di attrice.
Un playboy e una bionda a Broadway
Omaggio al cinema classico
Di Valerio Caprara Il mattino
di Fabio Ferzetti Il messaggero
Aleggia un dubbio esortando il pubblico a non perdere “Tutto può
accadere a Broadway” e cioè che la passione cinefila possa avere
ingigantito il criterio di giudizio. Però anche riconoscendo che il
doppiaggio toglie un pizzico di brio all’originale siamo convinti che il
ritorno alla ‘screwball comedy’ di Bogdanovich non si accontenti di un
pigro ricalco dei capolavori di Lubitsch, Wilder o Preston Sturges, ma
proponga un mix di ritmo, battute e personaggi dettati dal piacere di
sapere sceneggiare e mettere in scena una commedia newyorkese come
il dio del cinema comanda.
Una sensazione che dovrebbe farsi strada non solo tra i nostalgici
dell’autore di “… e tutti risero” e “Ma papà ti manda sola?” tanto è
vero che il vispo settantaseienne è riuscito a girare il film grazie alla
tutela d’amici odierni come Wes Anderson e Quentin Tarantino edi
giovani interpreti-complici come Wilson e Aniston.
Eccoci immersi nel gioco del caso, delle coincidenze asincrone e delle
sliding doors dei sentimenti, nell’occasione capeggiato dall’Escort
Isabella che s’imbatte una sera in una camera del Barclay in un
playboy col vezzo del pigmalione che si fa chiamare Derek. Ricevuti
un mucchietto di dollari in cambio della promessa di abbandonare il
mestiere e dedicarsi al genuino amore per la recitazione, la bionda
pluri-concupita interpretata dalla graziosa e brava Poots si reca a
sostenere un provino a Broadway scatenando una girandola
debitamente illogica di quiproquo e siparietti.
Contribuiscono, infatti, a ingarbugliare la matassa delle reazioni a
catena una moglie cornificata e cornificante, una psicanalista gelosa e
scatenata, un detective ingaggiato da un vetusto magistrato col debole
per le giovincelle e altri ancora che passano freneticamente da un hotel
a un ristorante a un taxi in una New York assimilata ancora una volta
alla Shangri-la della pochade.
Il tocco di Bogdanovich non si limita a praticare la profondità
dissimulata tipica del migliore Woody Allen, ma sembra davvero
credere con ingenuità vintage che in fondo all’animo dello spettatore
tutto possa accadere come sullo schermo luminoso di una buia sala
cinematografica.
Una commedia romantica sul desiderio e i suoi labirinti, in cui perdersi
può essere bello quanto pericoloso. Un omaggio assolutamente
irresistibile al miglior cinema di una volta. Una pochade moderna,
dunque sfacciata. Ma soprattutto la rinascita di un grande sfortunato, e
troppo spesso dimenticato, come Peter Bogdanovich. Il sofisticato
regista-critico-cinefilo che dopo aver intervistato tutti i miti del cinema
classico (Welles, Ford, Hawks...) ha diretto film pensosi come L'ultimo
spettacolo e commedie irresistibili e malinconiche come Ma papà ti
manda sola?, Paper Moon, E tutti risero, per poi finire ai margini del
sistema.
Dove sono andati a recuperarlo due campioni del cinema di oggi, Wes
Anderson e Noah Baumbach, producendogli il film forse più
apprezzato di Venezia 2014: She's Funny That Way, ribattezzato Tutto
può accadere a Broadway. Un “veicolo” perfetto per la grazia, il
talento e il sex appeal dell'inglese Imogen Poots, qui nei panni di una
call girl di che ricorda molto la Hepburn di Colazione da Tiffany.
Anche se l'invenzione più esilarante è quella del suo benefattore Owen
Wilson, un regista teatrale e collezionista benefico di escort («sono,
come dire... femminista?»). Un piccolo vizio innocente, anzi per molti
versi encomiabile che però provoca conseguenze imprevedibili quando
Wilson arriva a New York per provare uno spettacolo con sua moglie e
il vanesio divo inglese Rhys Ifans (assolutamente superlativo). Perché
la migliore candidata al ruolo della protagonista, naturalmente una
escort, si rivela essere proprio la ragazza con cui ha appena passato la
notte.
Ed è solo l'inizio di una baraonda di equivoci e coincidenze diretta con
gusto e tempismo perfetti in cui entreranno una psicoterapeuta
irritabile (Jennifer Aniston), uno sceneggiatore ingenuo (Will Forte),
un giudice innamorato (il veterano Austin Pendleton), un vecchio
detective imbranato, e un paio di cani di taglia assai diversa, come
nelle grandi commedie svitate di Hawks e compagni.
Tutto reso con una leggerezza e una gratuità che sfiorano
l'inconsistenza ma rendono ancora più irresistibile il gioco dei dialoghi
e delle gag cesellate da regista e interpreti con una complicità che
scalda davvero il cuore. Charles Boyer, Jennifer Jones e il sommo
Lubitsch sentitamente ringraziano. Ma per scoprire perché bisogna
vedere il film.
Si piange, ma per il troppo ridere
di Chiara Ugolini Repubblica
Venezia ride, ride ancora ma di una risata piena, leggera e liberatoria.
Con "She's funny that way" il grande maestro della commedia
americana Peter Bogdanovich (Ma papà ti manda sola?, L'ultimo
spettacolo) ci consegna invece un film dove si piange sì ma per il
troppo ridere, un meccanismo perfetto di battute, situazioni, equivoci,
gag nella grande tradizione della "sophisticated comedy". Che
Bogdanovich cita in un gioco a carte scoperte: i litigi scoppiettanti stile
Katherine Hepburn e Spencer Tracy, il girovagare per New York della
Holly Golightly di "Colazione da Tiffany", fino alla sequenza finale
tratta da "Fra le tue braccia" (Cluny Brown, 1946) di Ernest Lubitsch
che è il vero colpo di scena del film con una guest star che non deve
essere svelata per non rovinare il finale allo spettatore. "Il periodo
d'oro di Hollywood, quello dei film di John Ford, Ernest Lubitsch,
Howard Hawks è finito. Non voglio mordere la mano che non mi dà da
mangiare - scherza Bogdanovich- ma il cinema americano vive un
periodo di decadenza, dove si fanno solo prequel, sequel, remake,
fumettoni e cartoni animati. L'unica domanda che ci si fa è come fare
300 milioni di dollari il primo weekend".
La storia del film è quella di Izzy, giovane squillo che sogna di
diventare attrice di Broadway. Quando incontra il regista Arnold
Albertson che ha la mania di "salvare" giovani ragazze di strada
consegnandole 30.000 dollari per realizzare i propri sogni, la sua vita
sembra avere una svolta. La strada dell'ex squillo si intreccia con
quella di tanti altri personaggi; da lì una girandola di situazioni
comiche ed equivoche fino al liberatorio finale.
Nel regista Arnold si possono vedere gli echi di un altro ruolo
importante per Owen Wilson, lo sceneggiatore sognatore e romantico
di "Midnight in Paris" di Woody Allen. " Ci sono sicuramente delle
affinità tra i due personaggi e in entrambi c'è qualcosa di me - dice
Wilson in conferenza stampa - la sensazione sul set a New York è stata
simile a quella di Parigi. È il regista a creare l'atmosfera del film ed
entrambi, Allen e Bogdanovich, sono due gentiluomini del cinema.
Sanno dare sostegno all'attore in modo tale che senti sempre tutto sotto
controllo, con qualcuno che sa guidarti".
Altro ruolo importante nel film è quello di New York. "New York è
sempre stata una grande fonte di ispirazione per me - conclude
Bogdanovich - fin da quando ci ho girato ...E tutti risero, il mio film
preferito. Dicono che sia cambiata ma per me non è così. Certo, tirano
su e giù grattacieli tutti i giorni, ma la sua magia è immutata".
Commedia degli equivoci di oggi
di Maurizio Porro Corriere della Sera
Peter Bogdanovich ritorna con una commedia irresistibile e
divertentissima che richiama i classici di Lubitsch (citato con una
battuta tormentone da 'Fra le tue braccia') Wilder, Sturges e molto
Woody Allen, nella fotografia, nella musica, nello stile yiddish. Sono i
padri padroni di commedie sofisticate e di rotolanti screwball che
l'autore aveva già miscelato genialmente in 'Ma papà ti manda sola?',
quasi remake di 'Susanna': è guerra dei sessi.
Un gioco di equivoci nella commedia delle star di Hollywood dici,
taxisti, finti rabbini, detective; e divi, mogli, amanti, con una citazione
d'obbligo da 'Colazione da Tiffany'. La riuscita dello scatenato film che
non ammette una pausa ma moltiplica ritmo e risate, storia «bigger
than life», più grande della vita, è nella scintilla elettrica del magnifico
complice cast: Owen Wilson e Jennifer Aniston
(«barbrastreisandeggiante»), Kathryn Hahn e Imogen Poots, Rhys
Ifans e Will Forte, coppie che si prendono e si lasciano. E tutti risero,
per citare Bogdanovich, ma dietro c'è una totale sfiducia per la
costanza degli affetti, la vita di famiglia. Tra incontri scontri in hotel,
teatri, ristoranti, grandi magazzini, New York diventa il set ideale di un
regista che fa rivivere (scrivendola con Louise Stratten, l'ex moglie)
l'età d'oro di un cinema da rimpiangere (è sempre 'L'ultimo
spettacolo'), ma finendo con l'apparizione di un mito d'oggi. Super
segreta sorpresa e questa non è vintage.