Toilette e Profumi - assaggio

Transcript

Toilette e Profumi - assaggio
Valentina Fornaciai
Toilette, profumi e belletti
alla corte dei Medici
un itinerario fra i ricettari di corte,
le collezioni fiorentine e
gli ambienti di residenza medicea
Fig. 1
S ommario
Introduzione7
L’igiene
personale e gli ambienti per il bagno
13
L’igiene personale
I rimedi contro le pulci
Il bagno privato e gli ambienti per il bagno nelle residenze medicee
La cessazione della pratica del bagno e la toilette asciutta nel xvii secolo
I bagni termali 36
La
41
profumeria
Gli aromi animali e vegetali e la passione dei Granduchi per la botanica
L’esaltazione barocca del profumo alla corte di Ferdinando ii e Cosimo iii Le spezierie medicee: il Casino di San Marco e la “Real Fonderia”
Preziosi contenitori e profumati contenuti I rimedi contro la peste I suffumigi dei bruciaprofumi
Tessuti e guancialini ripieni di “polveri odorifere”
I “buccheri” La
cosmesi profumata e i belletti
Le “acque odorifere” di bellezza
I belletti
L’acconciatura e i rimedi per i capelli La “polvere di Cipro” Le parrucche
Manoscritti
Bibliografia essenziale
Albero genealogico dei Medici
13
16
18
33
41
48
53
60
67
73
78
81
85
86
92
93
101
104
106
108
111
Fig. 2
I ntroduzione
Tanti illustri studiosi prima di me hanno già affrontato la
storia della prestigiosa famiglia dei Medici sotto il profilo
politico, economico e artistico, ma qui ho voluto proporre
una diversa chiave di lettura, nell’intento di penetrare la
sfera quotidiana di quella famiglia e di riportarne alla luce
gli aspetti meno noti e più curiosi.
Odori penetranti esalanti da bruciaprofumi in oro e
argento, polveri di Cipro bianche e colorate per valorizzare e
profumare il corpo, cuscini di taffettà ripieni di fiori essiccati
e polveri profumate, gioielli e rosari fatti di sandalo o di legno
aloe, bevande ghiacciate al gelsomino, case come perenni
suffumigi di odori in tutte le stagioni dell’anno, stanze da
bagno come grotte sono solo un piccolo accenno per spiegare
un’epoca, dove il senso del gusto, della vista e dell’odorato,
si fondevano insieme, esaltandosi l’un con l’altro. È il mondo
dell’igiene, della profumeria e della cosmesi, che a me piace
far qui riaffiorare attraverso la raffinata corte della Firenze
medicea, dal tempo del granduca Cosimo i (1569-1574) alla
prima metà del xviii secolo, quando con la morte di Gian
Gastone (1737) venne meno la dinastia. Ci incammineremo,
infatti, alla ricerca delle abitudini più personali, cioè le pratiche igieniche e cosmetiche di quella corte, e scopriremo quali
fossero le preparazioni e le ricette più diffuse, in connessione
con gli strumenti e gli oggetti da toilette più usati.
7
Il mio intento è stato non solo quello di fare conoscere
abitudini e pratiche sociali oggi andate dimenticate, ma
anche quello di intraprendere un viaggio all’interno di un
mondo fatto di odori penetranti, unguenti, polveri profumate e belletti, tramite l’ausilio delle stesse ricette redatte
ed esperimentate all’interno dei laboratori farmaceutici, o
meglio spezierie, di cerchia medicea. Siamo in un’epoca, del
resto, quella pre-moderna, in cui scienza, magia, farmacia,
profumeria e cosmesi si fondevano in un tutt’uno, così da
produrre un’infinità di ricette sia complicate da risultarci
incomprensibili e curiose tanto da strapparci una risata, che
così semplici e pratiche da essere ancora attuali.
A differenza di quanto possano pensare i più, l’igiene, la
profumeria e la cosmesi, anche se strettamente legate alle esigenze futili della moda, hanno a loro modo contribuito a tessere l’intricata maglia della cultura di un’epoca e ne sono state,
quindi, la più diretta testimonianza. Profumi e belletti hanno
costituito una parte preponderante nella vita della società di
corte del passato (l’unica che se li poteva permettere), dopo
l’oblio in cui erano cadute tutte le pratiche legate alla vanità a
seguito delle invasioni barbariche e alla conseguente cancellazione di parte della cultura classica. Fu solo con il ritorno
dei Crociati dall’Oriente e con l’avvento dell’età cavalleresca
che tornarono in voga in Occidente i profumi e l’abitudine al
bagno. Sul finire del Duecento, infatti, lo stimolo della sensualità si fece di nuovo sentire e l’arte cosmetica riapparve inizialmente come vezzo puramente femminile (Di Monaco 1997,
p. 45). Secoli d’oro della cosmesi e della profumeria furono il
xv e il xvi secolo, quando cominciarono ad apparire i primi
trattati a stampa di medicina generale, le farmacopee ufficiali,
che diffondevano a livello internazionale l’arte profumatoria
e l’arte di fare cosmesi. Non solo, apparvero anche tutta una
serie di libretti a stampa o manoscritti, chiamati “ricettari
galanti” o “libri di segreti”, che mettevano in circolazione
un assemblaggio di ricette e di preparati che avevano a che
8
Alla corte dei Medici
fare con l’arte dell’adornarsi, dove scienza, magia e superstizione si fondevano inscindibilmente. All’epoca, incontrastati
manuali dispensatori di consigli di bellezza furono gli Esperimenta (1492-1509) di Caterina Sforza, madre di Giovanni de’
Medici, detto delle Bande Nere, e i Secreti (Venezia 1561) di
Isabella Cortese (Riva 1997, p. 78) e Venezia e Firenze i centri
più rinomati d’arte cosmetica e profumatoria. L’ambiente
mondano fiorentino era, del resto, spesso preso di mira dai
letterati di allora, visto che le donne si ricoprivano di profumi,
si dipingevano il volto tanto da non distinguerne più i tratti
e si circondavano di una moltitudine di speziali e di ortolani
sempre alla ricerca di nuove radici ed erbe. Opera fondamentale nella vita quotidiana delle fiorentine del xvi secolo è stato
sicuramente il Dialogo della Perfetta Bellezza di Una donna
del 1525 circa di Agnolo Firenzuola (Firenze 1493 - Prato
1543). In questo dialogo, indirizzato ad una cerchia di giovani
gentildonne, vi sono infatti teorizzati i massimi canoni della
bellezza del tempo, prendendo in considerazione tutte le parti
del corpo umano dalla testa fino ai piedi. I capelli dovevano
essere biondi e lunghi, con sfumature d’oro brunito (che si
poteva ottenere anche artificialmente e particolarmente esperte
nelle colorazioni dei capelli erano all’epoca le veneziane), la
pelle luminosa come l’avorio, le sopracciglia color d’ebano
folte nel centro, più sottili alle estremità, le ciglia né troppo
lunghe, né troppo spesse, né troppo scure, gli occhi grandi, le
gote rosee, la bocca piccola, le labbra coralline né troppo sottili né troppo grosse, i denti piccoli, uguali, ordinati e bianchi
come l’avorio, le gengive rosse simili al rosso del raso, il collo
bianco e lungo, il petto rosato, ampio e luminoso senza alcun
osso in evidenza e infine le mani bianche e morbide come la
bambagia. Lo scrittore ammetteva che la natura non avesse
donato a tutte le donne la bellezza come da lui teorizzata e
riconosceva che molte si dovessero “affaticare con arte, industria e ingegno” per divenire belle, ma allo stesso tempo le
ammoniva perché si imbellettavano a tal punto da trasformarsi
Introduzione
9
in delle vere e proprie maschere (Guerrini 1886, pp. 263,
266-268, 276-278, 281-282, 287, 290-293, 296, 299, 309-311;
Dubreton 1985, pp. 268-269).
Fragranti spezie esotiche e profumi derivati da secrezioni di ghiandole animali giungevano ora nei mercati italiani
dall’Oriente, principalmente attraverso Venezia; l’utilizzo del
profumo acquistò sempre nuova importanza così da divenire
un compagno di vita indispensabile per le donne e per gli
uomini, sia per scacciare i cattivi odori causati dalla sporcizia
nelle strade, che per coprire gli odori sgradevoli derivati da una
scarsa pulizia, conseguentemente all’abbandono dell’acqua in
fatto di igiene. La pratica del bagno termale pubblico era caduta
in disuso con il dilagare delle malattie pestilenziali. Si pensava,
infatti, che i bagni d’acqua calda e di vapore, dilatando i pori
della pelle col calore, lasciassero entrare più facilmente l’aria
appestata. Dalla seconda metà del xvi secolo e per tutto il
secolo seguente, l’idea di un corpo permeabile, sostenuta dai
più autorevoli medici, fece sì che difficilmente si pensasse al
bagno. Così anche all’interno dei palazzi signorili, dove non
mancavano le cosiddette “stufe”, stanze per il bagno caldo,
venne meno la pratica del bagno privato, eccezionalmente
consigliato dai medici solo per motivi terapeutici. Il lavaggio
con acqua si focalizzava solo sulle parti a vista del corpo, viso
e mani, e per eliminare i cattivi odori si ricorreva, più che a
qualsiasi tipo di lavaggio, a strofinamenti e profumi con salviette e spugne profumate. L’attenzione alla pulizia del corpo era
legata all’apparenza immediata e passava attraverso lo sguardo
e l’odorato. Si insisteva sul candore della pelle e sulla pulizia
della biancheria: la camicia era parte integrante dell’abito e si
cambiava quotidianamente. Si può quindi parlare di toilette
asciutta, che nel xvii secolo divenne una norma codificata.
Nel Seicento il momento della toilette assunse il valore di
un vero e proprio rito dal quale nessuna gentildonna o gentiluomo poteva esimersi e belletti e profumi ne erano gli strumenti indispensabili (Vigarello 1987, pp. 15-35). Profumo,
10
Alla corte dei Medici
trucco e acconciatura costituivano il simbolo di distinzione di
classe di una società di corte sempre più complicata e volta
allo sfarzo e all’apparenza. Ai profumi forti e penetranti derivati dalle secrezioni delle ghiandole animali si erano ormai
aggiunti quelli più freschi derivati dalla distillazione di piante
e fiori, soprattutto dei gelsomini, rose e fiori d’arancio, in concomitanza con l’evoluzione dello studio in fatto di botanica.
È in questo contesto che si inserisce la Firenze medicea,
centro all’avanguardia non solo in fatto di committenza artistica ma in tutti i campi del sociale. I Medici, a partire dal
tempo di Lorenzo il Magnifico, contribuirono infatti con le
loro iniziative a promuovere gli esperimenti nel campo della
medicina e della botanica, tanto da rendere Firenze il primo
centro d’arte profumatoria e cosmetica. Fu Caterina de’ Medici (1519-1589), andando sposa nel 1533 a re Enrico di Valois,
ad esportare in Francia quest’arte. Nel 1600, il trasferimento
in Francia di Maria, figlia del Granduca Francesco i (15731642), futura sposa di re Enrico vi, con un seguito di ben 300
persone, contribuì ad affermare maggiormente l’arte italiana
della profumeria e cosmesi nella Parigi dell’epoca (Ferrarese-Manno 1985, pp. 8-9).
L’utilizzo delle fonti iconografiche ci aiuterà ad illustrare
questo percorso insieme ai manufatti conservati nelle prestigiose collezioni fiorentine, restituendo loro un valore sociale, oltre
a quello, innegabile, storico-artistico. Inoltre, renderemo giustizia a oggetti di arte applicata che, per il loro carattere d’uso,
sono stati a volte dimenticati, decontestualizzati nei musei
o andati distrutti per il cambiamento delle mode. Purtroppo
molto è andato perduto con il passare dei secoli e l’avvicendarsi
delle varie dinastie regnanti nelle diverse residenze medicee ha
contribuito alla distruzione delle testimonianze materiali. Per
questo motivo, invito il lettore moderno ad abbandonare i propri punti di vista e intraprendere, scevro di preconcetti, questa
lettura, che spero stimoli la curiosità dei più e che costituisca un
buon punto di partenza per ulteriori approfondimenti.
Introduzione
11
Fig. 3
Preziosi contenitori e profumati contenuti
Esaminando gli inventari medicei non possiamo che rimanere piacevolmente sorpresi dalla vasta quantità di oggetti
per esalare, per spruzzare e per conservare i profumi e
dalla ricchezza dei materiali con cui venivano realizzati.
I Medici amavano circondarsi di effluvi e suffumigi e del
resto contenitori e involucri si dovevano adeguare nelle
forme e nei materiali all’uso del profumo, da conservare
o consumare. I profumi potevano essere solidi, in polvere,
liquidi. Quelli solidi erano costituiti da paste profumate
dalle varie forme, a palla o a pezzetti o a forma di “uccelletti” che generalmente venivano bruciati in modo tale che
il loro effluvio profumasse l’ambiente.
Con paste profumate, terre mescolate a polveri odorifere
quali lo zibetto, l’ambra e il muschio, successivamente cotte
ed essiccate, si potevano realizzare un’infinità di oggetti
fra cui ciotole, tazze, gioielli, rosari o galanterie da arredo,
come figurine di genere, mitologiche e religiose. L’abitudine
di portare accessori profumati o palle odorifere da tenere in
mano, di modo che il calore facesse esalare il loro profumo,
nacque in tempi di peste per proteggere il portatore dall’aria
appestata, ma questi accorgimenti non furono abbandonati
fino al xviii secolo, quando il pericolo del contagio era stato
ormai scongiurato. I rosari erano costituiti da pallottoline
di paste profumate o anche in legno aloe bucate e infilate;
una volta tenuti in mano, il calore permetteva alle essenze
odorose di emanare il profumo. Per impreziosirli, gioielli
e “uccelletti” potevano essere racchiusi all’interno di una
specie di ingabbiatura preziosa, così da costituire un nucleo
“arrettato” in oro o in argento.
Varie sono le voci che riportano gioielli profumati
negli inventari dei membri della famiglia Medici a partire
dal xvi secolo, in particolare bottoni da attaccare, vasetti
60
Alla corte dei Medici
foggiati all’antica come orecchini o pendenti da appendere alla cintura tutti ripieni di pasta odorifera. Alla fine del
Cinquecento e per tutto il secolo seguente, frequenti sulle
vesti femminili erano anche preziosi bottoni decorati con
diamanti, riempiti con pasta odorifera, foggiati a forma di
rosetta o di stella. Al tempo di Cosimo i era di gran moda
la cinta costituita da elementi odoriferi: l’Inventario
delle gioie di Cosimo i (1566-1573) (ASF; M.P. 643, cc.
1r-xxxvv) ne menziona una realizzata con più di cento
bottoni d’oro riempiti di pasta odorifera e un pendente a
forma di grossa pera tutta ripieno di muschio e ambra. La
cintura era abbinata ad un bracciale o “maniglia” dello
stesso tipo. L’amalgama profumato poteva essere anche
inserito all’interno di vasetti che potevano fare parte di
una cintura, come quella che Cosimo i regalò alla Serenissima Principessa. Grande amante dei gioielli profumati doveva essere Camilla Martelli (1547-1627) (tav. 16),
seconda moglie di Cosimo i che sposò nel 1570, poiché
nell’Inventario di gioie di Camilla Martelli steso il 21
aprile 1574 (ASF, M.M., filza 12, inserto 1, c. 20r) non
solo vengono enumerate ben 3 cinte di pasta odorifera,
una composta da 33 vasetti e 34 bottoni arretati d’oro,
coperta di rete di filo d’oro con un pendente d’oro smaltato e perlinato e le altre due d’oro smaltato, ma anche vari
fili di bottoni d’oro smaltato ripieni di pasta odorifera e
una corona di pasta odorifera arretata d’oro. Le donne
Martelli possedevano diversi gioielli di questo tipo perché cinte di profumo si ritrovano anche nell’Inventario
delle gioie donate da Camilla Martelli alla figlia Virginia
de’ Medici, probabilmente in occasione del suo matrimonio (ASF, M.M., filza 12, inserto, 1, c. 16r) (Sframeli-Contu 2003, pp. 27, 46-48). I vasetti portaprofumo
formati a foggia di urna antica, dorati o d’oro smaltato,
potevano essere agganciati alla cintura come pendenti, o
fare parte di orecchini, come nel ritratto fatto dall’Allori
La profumeria
61
alla granduchessa Giovanna d’Austria (1547-1578) (tav.
17), prima moglie poco amata di Francesco i, poiché il
Granduca la tradiva già dal 1568, dopo solo 3 anni di
matrimonio, con la veneta Bianca Cappello. La Granduchessa porta degli orecchini foggiati a urna, realizzati in
3 pezzi di smeraldo o in oro smaltato di verde, sorretti
da una campanella dorata. Orecchini simili si ritrovano
descritti sia nel succitato Inventario di Cosimo i, sia in
quello di Ferdinando i, che in quello di Ferdinando ii,
suoi successori. Potrebbe essere un vasetto portaprofumo
anche quello raffigurato, come pendente di una cinta
d’oro, nel ritratto di Bianca Cappello (1548-1587), seconda moglie del Granduca Francesco i, oggi conservato al
Museo Nazionale di Palazzo Mansi di Lucca (le donne
entrate a far parte della famiglia potevano usufruire dei
gioielli del tesoro dei Medici, che però poi dovevano
rientrare nelle casse dello Stato ed essere trasmesse per
via maschile di padre in figlio) (tav. 18).
Generalmente paste e polveri odorifere si conservavano all’interno di preziosi scatolini in piastra d’argento o
argento dorato e in oro smaltato o all’interno di cassettini
realizzati in legni pregiati, come l’ebano e le pietre dure
– le botteghe granducali del tempo erano particolarmente
specializzate in questo tipo di produzione – e anche in
metallo prezioso e cristallo. I cassettini erano contenitori
dalle modeste dimensioni, muniti di coperchio a cerniera,
a volte di maniglie e piedini, con all’interno vari “spartimenti” o divisori per accogliere le diverse essenze,
indispensabili oggetti di arredo per scaffali e scrittoi delle
case signorili. Gli scatolini invece potevano assumere le
forme più varie, tonda, quadrata, a uovo. Potevano aprirsi
a cerniera o svitarsi al centro per contenere al loro interno ampolline di odore in miniatura. Il granduca Cosimo
iii teneva uno scatolino tondo in argento con coperchio
contenente odori sul suo scrittoio al mezzanino dell’ala
62
Alla corte dei Medici
sinistra del secondo piano di Palazzo Pitti: “uno di detti
per S.A.S. propria per tenerlo nella sua segreteria dove
scrive per tenervi odori” (ASF, G.M. 871, c. 6r ).
Il profumo in polvere era usato come componente da
mescolare a terre per costituire paste di profumo solide, o per
conciare le pelli, soprattutto per realizzare guanti che costituivano il completamento indispensabile dell’eleganza maschile
e femminile. Venivano confezionati con pelli scelte e pregiate
e poi profumati tramite polveri o acque odorifere, spesso per
coprire l’odore cattivo che emanava la concia. Firenze era
specializzata fin dal xvi secolo nella concia delle pelli e nella
produzione di guanti profumati, ma fu nel secolo seguente che
si affermò maggiormente questa moda, tanto che Cosimo iii
de’ Medici era solito donarli insieme a profumi e vini ai vari
regnanti italiani e stranieri. I guanti potevano essere riposti
nella cosiddetta “guantiera” di profumo un vassoio di pasta
profumata, talvolta munito di piccoli piedi, di forma ovale o
rotonda, lavorato a bassorilievo e decorato con applicazioni
in argento, a sua volta custodito da una preziosa casetta in
legno (Mancini 1995, p. 198; Acton 1962, p. 100; Cantini
Guidotti 1994, vol. i, p. 213). Sicuramente ‘amante’ nel vero
senso della parola, dei guanti profumati doveva essere stato
il duca Alessandro de’ Medici (1511-1537) che per prepararsi
all’incontro con la sua innamorata, una Ginori, indossò dei
guanti profumati, ma l’incontro galante gli fu purtroppo fatale
(Arbib Lelio 2003, vol. iii, p. 255).
Il profumo in polvere poteva essere altrimenti racchiuso
all’interno di piccoli sacchetti e cuscini e poi collocato entro
bauli e cassette per profumare corredi e biancheria. Inoltre,
tovaglie e coperte per letti e tavolini da toilette erano ugualmente profumate con le stesse polveri.
I profumi liquidi, o meglio le “acque odorifere” sono
state le vere protagoniste dal xvi secolo in poi. Acque profumate alle essenze di fiori come la ricetta per Acqua di
gelsomini di Don Anton Medici (BNCF, Pal. 983, p. 83),
La profumeria
63
o con ambra e zibetto venivano utilizzate sia in cucina,
che in cosmesi e ancora come deodoranti da aspergere
negli ambienti tramite siringhe, o i cosiddetti “schizzatoi”
o annaffiatoi d’argento, d’oro, o avorio o fatte esalare
nei bruciaprofumi. Lo “schizzatoio” è uno degli oggetti
più curiosi fra gli strumenti di profumeria antichi da me
rintracciati. È una specie di regale antenato dei nostri
moderni deodoranti a spray, che tramite dei piccoli fori
irrorava il profumo liquido contenutovi all’interno nell’ambiente esterno. A volte poteva assumere le forme più
curiose, come quella del limone (ASF, G.M. 749, c. 22r;
G.M. 1301bis, c. 829r), del popone o melone (ASF, G.M.
959, c. 12r) e anche del coccodrillo (ASF, G.M. 959, c.
12r), esemplari appartenuti tutti a Cosimo iii. Quella di
“schizzettare” le stanze e i tessuti con distillati di fiori e
di aceto doveva essere un’abitudine assai diffusa a corte,
perché più volte è segnalata dal conte Lorenzo Magalotti:
“Con dei siringoni d’argento alla mano, e uno d’aceto, e
gl’altri d’acque alterate si profumavano le tele alle finestre, l’aria; […] una sera di questi tempi in casa mia a
conto di cert’acqua che era stata spruzzata per le camere
[…]; con ambra e con muschio per spruzzare l’aria, per
annaffiare i pavimenti” (Magalotti 1695, cc. 77v, 92v;
Magalotti 1967, p. 34).
Fondamentale documento sugli usi delle essenze
liquide nel xvii secolo, è un documento facente parte del
gruppo delle lettere circa alcune ricette del segretario
Jacopo Guiducci all’Elettrice Palatina, ultima Medici,
conservato nel fondo della Miscellanea Medicea all’Archivio di Stato (ASF, Miscellanea Medicea n. 1, inserto
n. 2, c. 168). È qui interessante riportarlo per intero, data
la sua precisione nel descrivere tutte quelle essenze alla
moda alla corte di Firenze della seconda metà del xvii
secolo e le loro proprietà:
64
Alla corte dei Medici
Dell’uso delle Essenze:
“L’Essenze, che la Serenissima Elettrice Palatina ha
mandate alle Serenissime Principesse di Sultzbach, sono
di due specie e tutte sane: ve ne sono di Agrumi, cioè di
Cedrato, di Bergamotte, di Arance di Portogallo e le altre
di Erbe. Quelle di Agrumi, e quelle di fiori d’Arancio,
servono per dar l’odore alle Acque dolci da bevere al
Rosolio, all’Acqua di Barbade e simili, parimente per i
Dolci che si fanno dal credenziere.
Servono ancora per mescolarne qualche gocciola nell’Acqua per lavarsi le mani, per annaffiare le camere,
per dar odore a i fazzoletti, e a tutt’altro, che si voglia,
inoltre a dar odore alla Polvere, che serve per i capelli.
L’Essenze d’Erbe, che qui ordinariamente non si pratica impiegare nelle cose, che si mangiano, o nelle
bevande, benché non pregiudichino alla salute, servono
per dare odore alla biancheria, mescolandone qualche
gocciola nell’Acqua, e per annaffiare le stanze, e anche
per dare odore al potpourris, che si tiene ne i vasi di
porcellana, per odorare le camere, e in questo vi se
ne mettono alcune gocciole d’Essenza schietta, senza
mescolare coll’Acqua.
L’Essenze essendo di qualità oleaginosa, non si mescolano subito coll’Acqua, però quando vi sono messe alcune
gocciole, conviene dibatterle molto con un cucchiajo,
acciò l’Essenza possa unirsi meglio coll’Acqua.
Si avvertisce, che l’Essenze contenendo lo Spirito raffinato dell’Agrume, del Fiore, o dell’Erba da cui sono estratte,
poche gocciole di esse servono per dare odore e buona
quantità d’Acqua, e l’uso ne potrà dare la regola.”
Il liquido profumato veniva conservato all’interno di
flaconcini o vasetti dalle mille fogge, i cosiddetti “vasetti
La profumeria
65
o fiaschette per acque odorifere”, con tappo a vite, che
generalmente riproponevano in miniatura la forma delle
bottiglie da vino. La stessa creatività riguardava i tappi che
potevano riprodurre la forma della pigna e del mazzetto di
fiori. Erano realizzati in metalli nobili (tav. 19), in vetro,
in cristallo, in pasta vitrea e in porcellana (gli esemplari
settecenteschi); alcuni esemplari potevano essere avvolti
con drappi ricamati con i quali veniva realizzato anche il
turacciolo. Potevano esser muniti più o meno di catena che
aveva la funzione di collegare il turacciolo al vasetto, o
altrimenti, o con una diversa catena potevano anche essere
attaccati alla cintura che completava l’abito (tav. 20). I più
curiosi erano quelli che riproducevano figure di animali
in argento a rilievo come il leone, il cappone, un canino,
appartenuti al cardinale Carlo e poi ereditati da Cosimo  iii.
Infatti, queste boccette o vasetti per profumi potevano
essere non solo dei raffinati soprammobili, ma anche dei
rari oggetti da collezione, dei veri e propri gioielli, tale
era a volte la ricchezza dei materiali pregiati usati, come
le “galanterie gioiellate” appartenute all’Elettrice Palatina,
secondogenita di Cosimo iii e ultima Medici. Si vedano i
due curiosi portaprofumi a forma di mulattiera (tav. 21) e
il prezioso cofanetto trilobato in avorio dipinto di rosso.
Quest’ultimo, di manifattura tedesca, è munito di coperchio a cerniera, sormontato da tre teste di uccello guarnito
di diamanti, con al suo interno tre bottigliette di cristallo
intagliato con tappi e imbuto ottagonale in oro all’interno (tav. 22) (Firenze 1988, pp. 140, 150, nn. 57-35). Il
gruppo figurato delle mulattiere in avorio è costituito da
un mulo cavalcato da una scimmia, guidato da un uomo e
poggia su di una base. Se osserviamo bene, notiamo che al
fianco della sella si trovano dei contenitori con ampolline
di profumo in miniatura dai tappi a vite, una coppa e un
imbuto, tutti in oro, forse più da collezione che oggetti
d’uso quotidiano.
66
Alla corte dei Medici