Relazione Geologica - Autorità di bacino campania centrale

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Relazione Geologica - Autorità di bacino campania centrale
INDICE
I CONTESTI GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO DELL’AUTORITÀ DI BACINO
REGIONALE DELLA CAMPANIA CENTRALE ........................................................................................... 3
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI CONTINENTALI ..................................................................... 3
1
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE ....................................................................3
2
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA.....................................................................................................6
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI INSULARI: ISCHIA E PROCIDA ............................................ 7
3
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DELL’ISOLA DI ISCHIA ...............................7
4
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DELL’ISOLA DI PROCIDA.........................12
5
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA DELL’ISOLA DI ISCHIA .............................................................14
IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO ........................................................................................ 16
6
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DEL SOMMA-VESUVIO ............................16
7
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA...................................................................................................22
LE DORSALI CARBONATICHE.............................................................................................................................. 25
8
INTRODUZIONE ..............................................................................................................................................................25
9
INQUADRAMENTO
GEOLOGICO
E
GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE
DELLE
DORSALI
CARBONATICHE .............................................................................................................................................................26
10 SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA...................................................................................................43
LA PENISOLA SORRENTINA................................................................................................................................. 45
LA PIANA CAMPANA ............................................................................................................................................. 47
I BACINI IDROGRAFICI.............................................................................................................................. 48
CARTE GEOTEMATICHE DI BASE........................................................................................................... 49
LA PERICOLOSITA’ DA DISSESTO DI VERSANTE: CENNI SULLE METODOLOGIE
APPLICATE NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD-OCCIDENTALE............................................ 50
PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA................................................................................................................... 50
LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE ............................. 51
11 SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI...........................................................................................52
12 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI........................................................................................55
13 LA CARTA DELLA PERICOLOSITÀ RELATIVA (SUSCETTIBILITÀ) DA FRANA NEI DIVERSI CONTESTI
GEOLOGICI .....................................................................................................................................................................60
LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO DEL SARNO .................... 63
14 SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI...........................................................................................64
15 SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI........................................................................................67
16 CLASSI DI PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA NELL’EX AUTORITA’ DI BACINO DEL SARNO.................................69
IL RISCHIO DA FRANA NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD - OCCIDENTALE ....................... 70
DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI RISCHIO NEI PSAI EX ADB SARNO E NORD OCCIDENTALE. .................. 71
LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB NORD OCCIDENTALE....................................................................................................................................... 75
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RELAZIONE GEOLOGICA
LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL PSAI EX ADB SARNO ............................. 76
PROCEDURA DI OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ E RISCHIO DA
FRANA – PSAI CAMPANIA CENTRALE................................................................................................... 78
DESCRIZIONE SINTETICA DEI CRITERI DI OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ.......... 79
MATRICE E CARTA DEL RISCHIO DA FRANA PSAI ADB CAMPANIA CENTRALE .......................................... 83
RISCHIO IDROGEOLOGICO PER FENOMENI DI SINKHOLE. ............................................................... 88
ASPETTI NORMATIVI ............................................................................................................................................. 88
CAVITÀ DI ORIGINE NATURALE ........................................................................................................................... 89
17 IL CASO DELLA CONCA DI FORINO .........................................................................................................................................90
18 INDAGINI E MONITORAGGIO ..................................................................................................................................................91
CAVITÀ DI ORIGINE ANTROPICA ......................................................................................................................... 92
IPOTESI DI NORMATIVA/INDIRIZZI PER LA PIANIFICAZIONE COMUNALE IN AREE CON
NOTEVOLE - PRESENZA DI CAVITÀ ARTIFICIALI.............................................................................. 94
CONCLUSIONI ........................................................................................................................................................ 95
APPENDICE 1 - CARTE GEOTEMATICHE DI BASE
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RELAZIONE GEOLOGICA
I CONTESTI GEOMORFOLOGICI DEL TERRITORIO DELL’AUTORITÀ
DI BACINO REGIONALE DELLA CAMPANIA CENTRALE
Nel territorio dell’Autorità di Bacino della Campania Centrale ricadono i seguenti grandi
contesti geologico-strutturali: le aree vulcaniche del Somma-Vesuvio e dei Campi Flegrei
continentali ed insulari; la Piana Campana; le dorsali carbonatiche appenniniche, la penisola
Sorrentina e l’isola di Capri.
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI CONTINENTALI
1
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Il territorio dei Campi Flegrei continentali è caratterizzato dalla presenza di depositi
prevalentemente vulcanici e solo in piccola parte di depositi continentali (colluvioalluvionali) e
marini. I depositi vulcanici sono nella quasi totalità prodotti dall’attività del sistema magmatico
flegreo e, subordinatamente, da quello vesuviano. Si tratta prevalentemente di depositi
piroclastici; colate e duomi lavici sono state prodotte solo in un numero limitato di eruzioni.
Le piroclastici includono sia depositi da caduta che depositi di vari tipi di flusso piroclastico;
questi ultimi, e in particolare quelli prodotti dalle eruzioni a più alta magnitudo, sono talvolta
litificati per effetto di processi di trasformazione post-deposizionale (zeolitizzazione).
Depositi di mare basso e di spiaggia ricorrono a varie altezze stratigrafiche e si rinvengono
generalmente nel sottosuolo delle piane prossime alla linea di costa e, talora, dislocati a varie
altezze per effetto delle deformazioni indotte dalla attività vulcano-tettonica.
Dal punto di vista strutturale , l’elemento più importante è dato dalla caldera dei Campi Flegrei;
essa costituisce una struttura complessa, risultante da due fasi principali di collasso, connesse
alle eruzioni della Ignimbrite Campana e del Tufo Giallo Napoletano; quella più recente si è
formata nel settore sud-occidentale della precedente ed è stata sede di una intensa attività
vulcanica e vulcano-tettonica più recente.
Le unità litostratigrafiche individuate nella Carta Geolitologica sono state suddivise in funzione
del loro ambiente di deposizione, distinguendo i depositi degli apparati vulcanici da quelli
sedimentatisi in ambiente continentale, marino e di transizione.
In particolare, nella Carta Geolitologica, sono state riportate le seguenti unità litostratigrafiche:
1. Depositi vulcanici di età maggiore di 37.000 anni dal presente. Comprendono le lave
[LVA] che affiorano tra la spiaggia di Acquamorta e Torregaveta, lungo i versanti
occidentale e nordoccidentale di Cuma e a Punta Marmolite e depositi piroclastici [PA]
che affiorano a Monte di Procida (sequenza di Monte Grillo), Soccavo (Tufi di Torre
Franco) e Quarto.
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RELAZIONE GEOLOGICA
2. Formazione dell’Ignimbrite Campana [IC] – età 37.000 y.b.p. - deposito da flusso
piroclastico costituito da una breccia poligenica con blocchi e scorie di dimensioni fino al
metro di diametro [Ica], passante lateralmente e verticalmente a una facies di colore
giallastro, a differente grado di litificazione e contenuto variabile in scorie grigio scure
[Icb]; nella facies tufacea sono presenti talora strutture da degassazione. Alla
formazione dell’Ignimbrite campana sono associati depositi da flusso piroclastico litoidi a
tessitura eutassitica ricchi di scorie nerastre (Piperno – PPa) e depositi di brecce
costituiti da pomici e scorie e, subordinatamente, frammenti di ossidiana e litici [PPb].
3. Depositi vulcanici di età compresa tra 37.000 y.b.p. e 12.000 y.b.p. Comprendono:
depositi da flusso piroclastico (Tufi biancastri stratificati, Tu-fi antichi della città di Napoli)
da incoerenti a se-micoerenti a stratificazione incrociata e lamine a basso angolo
[PFTa]; prodotti piroclastici da caduta [PFTb] e la formazione del Tufo Giallo Napoletano
[TGN], deposito piroclastico di colore giallastro e grigiastro a struttura da massiva a
stratoide, costituito da pomici, frammenti lavici e tufacei immersi in una matrice
cineritica. Nella formazione del TGN vengono distinte una facies litoide [TGNa] e una
facies incoerente [TGNb].
4. Depositi vulcanici di età compresa tra 12.000 y.b.p. e il 1538 d.C. Comprendono: tufi
gialli dell’attività flegrea recente (tufi del Gauro, Ar-chiaverno, Capo Miseno, Punta
Epitaffio, Nisida e La Pietra) da semicoerenti [Tfa] a coerenti [TFb]; prodotti piroclastici
sciolti dell’attività flegrea recente, distinti in depositi delle aree prossimali ai centri eruttivi
[Psa], a struttura prevalentemente stratificata (stratificazione pianoparallela o ondulata) e
depositi delle aree distali [PSb], nei quali prevalgono livelli ben selezionati di cineriti,
pomici e frammenti litici; cupole laviche di Monte Olibano [LVRo] e della Caprara [LVRc];
depositi del terrazzo della Starza, costituiti da una successione di livelli di origine marina
intercalati a depositi subaerei di origine vulcanica [ST]; prodotti dell’eruzione del Monte
Nuovo, costituiti da un deposito basale da flusso piroclasticoda massivo a debolmente
laminato [Mna] con, tetto, un livello di scorie da caduta [MNb] e, a chiudere la sequenza
sul fianco meridionale del cratere, un deposito grossolano da scoria flow.
5. Depositi eluvio-colluviali [PSI1], depositi colluvio-alluvionali [PSI2] e detrito di versante, a
granulometria prevalentemente fine [Dta] o grossolana, con blocchi e massi tufacei o
lavici [Dtb].
6. Depositi sabbiosi, sabbioso-limosi e limo-sabbiosi del sistema costiero-dunare [SPI].
7. Depositi antropici, comprendenti terreni di bonifica, terreni di risulta derivanti da opere di
escavazione e sbancamento, materiali di riempimento di discariche [da].
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
La realizzazione della Carta Geomorfologica, è stata impostata seguendo gli standard proposti
dal G.N.G.F.G. (1993) e dal Servizio Geologico Nazionale, e tenendo altresì conto degli
indirizzi seguiti dal C.U.G.Ri. per le finalità precipue previste dal Piano Straordinario e valide
anche per il Piano Stralcio (vedi peculiarità degli indicatori geomorfologici connessi alle zone
di innesco e di accumulo degli eventi franosi che caratterizzano il territorio). Essa copre larga
parte, ma non la totalità dell’area flegrea, non essendo state considerate le aree non soggette
a condizioni di pericolosità di innesco, transito e invasione da frana.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Lo studio geomorfologico ha permesso il riconoscimento di forme e processi legati a diversi
agenti geomorfici nonchè alla influenza di altri fattori; di essi viene di seguito riportata la
descrizione.
FORME DI ORIGINE VULCANO-TETTONICA E STRUTTURALE
L’aspetto rilevante di interesse morfologico è dato dalla presenza di versanti da
moderatamente a fortemente acclivi di origine strutturale, connessi al verificarsi di fenomeni di
collasso vulcano-tettonico. Tali versanti si impostano in rocce litoidi e in terreni piroclastici
sciolti; in particolare, le creste tufacee che bordano la collina dei Camaldoli e la collina di
Posillipo sono interessate da una intensa fratturazione che contribuisce ad isolare blocchi in
precarie condizioni di equilibrio, spesso soggetti a fenomeni di crollo, i cui effetti sono
testimoniati da numerosi massi presenti nelle aree pedemontane.
Relativamente all’edificio calderico principale, vengono riportati nella carta geomorfologica i
lembi della caldera flegrea.
Altre morfologie strettamente associate alla attività vulcanica flegrea sono rappresentate dai
duomi lavici (Monte Olibano, La Caprara) e dagli edifici vulcanici, in alcuni casi ancora ben
conservati (Astroni, Cigliano, Solfatara, Averno, Fondi di Baia) con versanti interni ripidi e
profilo concavo, e versanti esterni meno acclivi e profilo concavo-rettilineo, in altri casi meno
conservati soprattutto per quanto riguarda gli edifici vulcanici soggetti alla azione erosiva del
mare (vulcano di Miseno, vulcano di Baia ecc.).
FORME, PROCESSI E DEPOSITI LEGATI ALLA AZIONE DELLE ACQUE CORRENTI SUPERFICIALI
Sono stati cartografate le forme di erosione e accumulo quali: solchi da ruscellamento
concentrato, alvei poco incisi, alvei da moderatamente a molto incisi, orli di scarpata, vallecole
a conca, vallecole a fondo piatto, gomiti lungo aste fluviali a forte gradiente, soglie di valle
sospesa, conoidi alluvionale attivo, poco o non reincisi, fascie di raccordo versantefondovalle
di origine alluvio-colluviale o di origine fluvio-denudazionale, e settori di glacis alluvio-colluviale
interessati da diffusi fenomeni di deiezione.
FORME, PROCESSI E DEPOSITI DI VERSANTE DI ORIGINE GRAVITATIVA
I fenomeni franosi riconosciuti nel territorio dei Campi Flegrei sono ascrivibili prevalentemente
a scorrimenti traslativi, colate e frane complesse, quest’ultime rappresentate da crolli o
scorrimenti traslativi evoluti in colate. Gli scorrimenti, gli scorrimenti-colata e le colate sono in
larghissima parte di modesto volume, e si sono attivati lungo versanti ad inclinazione variabile,
per lo più compresa tra 40° e 50° circa. Nel complesso, gli eventi di frana sono distribuiti in
maniera abbastanza omogenea lungo tutte le aree di versante caratterizzate da elevata
acclività e energia di rilievo spesso concentrati in corrispondenza degli orli di scarpata a
controllo strutturale (vedi i versanti legati a fenomeni di collasso vulcano-tettonico).
In corrispondenza delle pareti subverticali impostate in materiali litoidi di natura tufacea e
lavica, sono frequenti fenomeni di crollo s.l.
FORME E DEPOSITI DI ORIGINE MARINA.
Le forme di origine marina maggiormente presenti nel territorio flegreo sono costituite dagli orli
di falesia; vengono distinte, nella Carta Geomorfologica, gli orli di falesia attivi e quelli inattivi
(paleo-falesie) e, ancora, quelli con o senza un controllo di tipo strutturale.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Di particolare interesse, inoltre, ai fini della ricostruzione delle variazioni del livello del suolo, è
l’elemento geomorfologico corrispondente al terrazzo della Starza, limitato verso mare da un
versante acclive soggetto a una vivace dinamica morfologica.
2
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA
La circolazione idrica sotterranea dei Campi Flegrei, pur essendo localizzata nei livelli
piroclastici a granulometria più grossolana, è da considerarsi unica per l’assenza di strati
confinanti realmente continui; la falda di base risulta, pertanto, a grande scala, un solo corpo
idrico, come testimoniato anche dai livelli piezometrici concordanti in pozzi drenanti a diverse
profondità.
Il disegno piezometrico dell’area flegrea s.l. (Ce-lico et al., 1991; CIRAM, 1998) indica che
globalmente il flusso è diretto verso il mare a Sud e ad Ovest (Corniello e Nicotera, 1982) e
verso i depositi della Piana Campana a Nord e a Nord-Est (Bellucci et al., 1990), mentre ad
Est il recapito è verso il fosso di Volla. L’assetto piezometrico non rivela marcate diversità tra
zone interne ed esterne rispetto ala caldera ed indica una scarsa correlazione con
l’andamento della superficie topografica e con la rete idrografica superficiale (tranne locali
direzioni di flusso verso i laghi di Lucrino, Averno e Fusaro). Anche nell’ambito delle piane di
Toiano-Arco Felice, Bagnoli e Napoli Orientale, la piezometria non si dicosta dal disegno
globale, essendo la falda molto prossima al piano campagna, con direzione di flusso
perpendicolare alla linea di costa e i gradienti deboli.
La falda è in gran parte a pelo libero, se si escludono quei settori dove le formazioni tufacee
riescono a operare, per le loro condizioni giaciturali e tessiturali, azione di tamponamento a
tetto (es. zona settentrionale flegrea, area a SE di Napoli). Le quote massime della falda si
rinvengono nella zona di Marano – Calvizzano (circa 25 m s.l.m.); la profondità della falda è
variabile da 0 a 400 metri e le differenziazioni tra i vari territori comunali sono a volte notevoli a
causa dell’articolazione morfologica e in alcuni casi per i gradienti elevati.
Nell’areale flegreo sono presenti solo due sorgenti “in quota”, date dalla sorgente Pisciarelli e
dalla sorgente Calda. Entrambe testimoniano la presenza di una falda sospesa rispetto a
quella di base, sostenuta inferiormente da livelli piroclastici a granulometria più fine o da
piroclastiti rese meno permeabili dai processi di alterazione idrotermale (le due sorgenti sono
ubicate sul versante esterno della Solfatara).
I gradienti idraulici medi registrati per le acque sotterranee sono dell’ordine di alcune unità per
mille, con aumenti fino al 1-2% in alcuni settori (es. a Nord di Pozzuoli – Arco Felice), attribuiti,
sulla base anche di dati idrochimici e di bilancio ad apporti profondi di acque saline (Celico,
1991).
Le acque sotterranee sono connesse a un circuito idrotermale, testimoniato dagli elevati
gradienti geotermici dell’area (7.5° C /10 m nelle acque sotterranee di Rione Toiano: Ducci e
Rippa, 1988) e dalla presenza di numerose sorgenti termominera-li, quali quelle dell’area di
Arco Felice – Pozzuoli (Stufe di Nerone, Averno, Tempio di Se rapide, Terme la Salute, Terme
Puteolane) della conca di Agnano (gruppo Apollo, gruppo Marte, gruppo Strudel, S. Germano)
dell’area di Bagnoli (Cotroneo, Tricarico e Manganella) e dell’area di Napoli (Chiatamone, S.
Lucia, ecc.). Il chimismo di queste acque è quindi influenzato dagli apporti fluidi profondi e, ad
esclusione delle sorgenti di Agnano, dalla ingressione di acque marine.
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RELAZIONE GEOLOGICA
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI INSULARI: ISCHIA E
PROCIDA
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INQUADRAMENTO GEOLOGICO
DELL’ISOLA DI ISCHIA
E
GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE
Il Monte Epomeo rappresenta l’elemento “positivo” di maggior spicco dell’isola che si
contrappone, ad oriente, alla depressione detta “Graben di Ischia” (Rittmann & Gottini, 1980;
Gillot et al., 1982; Vezzoli, 1988), sede dell’attività vulcanica recente (<10.000 anni).
Esso è delimitato da sistemi di faglie con direzioni prevalenti N-S, NW-SE, NE-SW ed E-W
che gli conferiscono una forma poligonale (Vezzoli, 1988; Fusi et al., 1990; Orsi et al., 1991;
Zuppetta et al., 1993). Oltre alle faglie bordiere dell’alto di Monte Epomeo sono da menzionare
i due lineamenti tettonici ad andamento regionale con orientazione NW-SE e NE-SW (Vezzoli,
1988; Orsi et al., 1991; Zuppetta et al., 1993). Il primo, ubicato nel settore sud-occidentale
dell’isola (Citara-S.Angelo), è chiaramente rilevabile da analisi aerofotogrammetriche,
sebbene risulti sepolto da rocce vulcaniche più giovani di 50.000 anni e da accumuli detritici
(Orsi et al., 1991). La seconda faglia regionale, con trend NE-SW, è ubicata nel settore sudorientale, dalla spiaggia di Carta Romana alla Marina dei Maronti, ed è ben definita da una
netta scarpata che interessa rocce vulcaniche non più giovani di 75.000 anni (Orsi et al.,
1991).
L’attività vulcanica dell’isola d’Ischia ha avuto inizio prima di 150.000 anni, come testimoniato
dalle rocce più antiche rilevate, e termina con la colata lavica dell’Arso nel 1302 d.C.
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Il territorio dell’isola d’Ischia è caratterizzato per gran parte della sua estensione dalla
presenza, in affioramento, di depositi detritici (Dfr) che rappresentano gli accumuli di fenomeni
franosi legati a meccanismi del tipo debris flow (Johnson, 1970;
Johnson & Rodine, 1984; Pierson & Costa, 1987; Costa, 1988) connessi all’attività vulcanotettonica associata alle fasi di surrezione di Monte Epomeo.
I terreni attribuiti a questa unità litostratigrafica affiorano in tutto il settore centro-occidentale
dell’isola e sono costituiti da depositi detritici generalmente ben cementati e/o addensati, di
colore variabile dal beige al marrone, dal giallognolo al verdastro, che presentano una matrice
prevalentemente sabbiosa con inclusi eterometrici (da millimetrici a metrici) ed eterogenei (tufi,
lave, pomici, scorie, siltiti e marne). Sebbene in essi si possano riconoscere diverse
associazioni litologiche e sedimentologiche (facies), nel complesso si possono considerare
omogenei dal punto di vista delle caratteristiche litotecniche e comunque tali da poter essere
accorpati in un’unica unità geolitologica. Frequenti sono le intercalazioni di depositi piroclastici
e paleosuoli tra le diverse facies prima menzionate; inoltre, numerosi sono i massi di Tufo
Verde che, con volumetrie fino a circa 8000 m3, si possono rinvenire all'interno di tali accumuli
detritici, particolarmente nelle aree occidentale e settentrionale.
Nella zona orientale del graben di Ischia, nel settore sud-occidentale ed in corrispondenza
delle falesie affiorano, invece, piroclastiti saldate (tufi) ed incoerenti (DP1a,b – DP2a,b – DP3
– TCT - TFV - DPP – DP4) e depositi lavici (CL1 – CL2 – CLP - CLA). Le piroclastiti incoerenti
sono generalmente costituite da brecce pomicee e scoriacee di caduta, con dimensioni da
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RELAZIONE GEOLOGICA
centimetriche a decimetriche. Le pomici sono di colore biancastro o giallognolo e presentano
un grado variabile di porfiricità e vescicolazione; sono associate a blocchi di scorie laviche, di
colore dal grigio nerastro al rossastro, e di ossidiana. In alcuni casi (Formazione di Piano
Liguori affiorante nel settore sud orientale dell’isola) le piroclastiti pomicee si alternano a livelli
cineritici, talora prevalenti.
Alle diverse formazioni piroclastiche si intercalano, a luoghi, paleosuoli che possono
raggiungere il metro di spessore.
In generale, i depositi si presentano in strati e banchi ed i livelli cineritici mostrano laminazione
parallela ed incrociata a basso angolo, con strutture duniformi ed impronte da impatto. La
giacitura è sub-orizzontale o debolmente inclinata (pendenze non superiori ai 35°).
I depositi tufacei, ben litificati, rappresentano i prodotti di base surge e di fall e sono costituiti
da tufo-brecce e tufi a lapilli pomicei, talora con intercalazioni di sottili livelli di scorie saldate.
Essi si presentano in strati, con spessore variabile da pochi centimetri al metro, ed in banchi,
di colore da beige a giallognolo a biancastro, con strutture da laminazione planare, incrociata
a basso angolo e convoluta.
La formazione del Tufo Verde (55.000 ybp; Vezzoli, 1988) rappresenta l’unità litologica più
nota dell’isola d’Ischia e costituisce l’ossatura del rilievo di Monte Epomeo. In particolare, essa
affiora nella sua facies litoide lungo le creste dei versanti settentrionali ed occidentali che si
sviluppano a ridosso dei comuni di Casamicciola, Lacco Ameno, Forio e Serrara Fontana. Le
analisi aerofoto-grammetriche hanno consentito di evidenziare come il deposito risulti
dislocato da lineamenti strutturali con orientazioni prevalenti NE-SW e NW-SE che hanno
causato il ribassamento a gradinata, verso nord-ovest, del pianoro delle Falanghe e del rilievo
di Monte Nuovo.
Il Tufo Verde rappresenta il prodotto di una importante eruzione che ha generato un deposito
ignimbri-tico saldato di natura alcali-trachitica, di colore variabile dal verde smeraldo al verde
grigiastro, con struttura massiva e costituito da abbondanti pomici porfiriche e da cristalli
immersi in una matrice scarsamente vetrosa. La sua messa in posto fu, probabilmente,
accompagnata da un collasso calderico in corrispondenza dell'area che attualmente
rappresenta la parte centrale dell'isola (Chiesa et al., 1987; Barra et al., 1992; Orsi et al.,
1987; 1993; 1996).
I prodotti lavici, quelli affioranti nel settore orientale, oltre a costituire le colate laviche
dell’Arso, di Rio Corbore e di Monte Rotaro, si rilevano lungo la fascia costiera ed in
corrispondenza dei numerosi duomi lavici e centri eruttivi (Monte Trippodi, Costa Sparaina,
Posta Lubrano, Monta-gnone-Maschiatta, Monte Rotaro). In particolare, i vari centri eruttivi
sono associati all’attività più recente dell’isola (<10.000 anni) e si distribuiscono lungo una
fascia che da Costa Sparaina arriva a Monte Rotaro, in corrispondenza di lineamenti tettonici
orientati N-S che hanno condizionato la storia vulcanologica di questo settore.
Nel settore occidentale, le lave affiorano lungo le porzioni basali delle falesie meridionali e del
promontorio di Sant’Angelo e costituiscono il promontorio di Zaro e la parte basale di Monte
Vico, a nord. Un ulteriore piccolo affioramento, inoltre, si trova nella Regione Bocca, dove il
deposito si presenta intensamente fratturato e fumarolizzato.
Nel complesso, tutti i corpi lavici sono costituiti da lave compatte di natura alcalitrachitica, di
colore da grigio chiaro a grigio scuro, con cristalli centi-metrici di sanidino immersi in una
matrice vetrosa. Talora verso l’alto gli “ammassi” presentano struttura scoriacea e, laddove
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RELAZIONE GEOLOGICA
interessati da attività fumarolica o sottoposti ad intensa azione erosiva di tipo eolico,
fortemente alterati.
Nel settore centro settentrionale dell’isola sono presenti anche i depositi (DST) ascrivibili alla
Formazione di Colle Jetto ed alle Tufiti di Monte Epomeo. I principali affioramenti dei terreni
attribuiti alla formazione di Colle Jetto si rilevano nelle località di Cava Leccie, Buceto, Ietto e
Campomanno, in un’area compresa tra l’abitato di Casamicciola, a nord, i rilievi di Monte
Trippodi, ad est, e Monte Epomeo, ad ovest. Tale deposito è costituito da un’alternanza di
siltiti biancastre con ceneri bianche di origine vulcanica ed arenarie giallognole. Ad est di Colle
Jetto il deposito presenta una matrice calcarea con abbondanti fossili.
Le tufiti di Monte Epomeo affiorano a sud-est della cresta di Monte Epomeo e sono costituite
da una matrice siltosa di colore verde e giallastro contenente clasti millimetrici di cristalli di
sanidino, pomici e lave. In letteratura (Vezzoli, 1988) sono state descritte, all’interno del
deposito, strutture sedimentarie tipo laminazioni planari, incrociate e convolute, anche se
notevolmente “disturbate”.
Studi a carattere paleo-biogeografico (Barra et al., 1992) attribuiscono alla Formazione di
Colle Jetto ed alle Tufiti di Monte Epomeo un’origine da sedimentazione in ambiente
sottomarino corrispondente alla depressione calderica post-Tufo Verde formatasi nell’area
centrale dell’isola.
Sono, in ultimo, da ricordare i depositi eluvio-colluviali (PSI1), costituiti dai prodotti del
rimaneggiamento di piroclastiti sciolte ed affioranti nelle aree depresse dei crateri di
Campotese e Panza (nel settore sud occidentale), in quelli di Vateliero e Molara (nel settore
sud orientale), oltre che nella depressione de “I Piani” e nelle aree pianeggianti prossime ai
litorali (Casamicciola – Lacco Ameno – Ischia Porto).
I terreni di riporto (da) sono costituiti, in particolare, da prodotti di discarica attualmente
bonificati osservabili in corrispondenza di Punta Caruso (sul promontorio di Zaro) e nel cratere
di Fondo d’Oglio, mentre in Cava Puzzillo, ad ovest di Monte Rotaro, sono presenti depositi di
una vecchia discarica abbandonata e non bonificata.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
L’assetto geomorfologico dell’isola d’Ischia, nel suo complesso, risulta strettamente connesso
alla sua evoluzione vulcano-tettonica, che ha prodotto un articolato panorama di “forme”.
Un’analisi più puntuale dell’origine di tali forme consente di sottolineare la presenza di:
FORME DI ORIGINE VULCANO-TETTONICA E STRUTTURALE
Le principali morfologie vulcaniche, strettamente associate alla particolare tipologia di attività
eruttiva connessa a sua volta alle caratteristiche composizionali dei suoi prodotti, sono
rappresentate da numerosi duomi lavici tipicamente mammellonari, prevalentemente rilevabili
nel settore orientale del graben di Ischia, sede dell’attività recente (<10.000 anni); tuttavia, non
mancano esempi di colate laviche sia affioranti, come quelle di Zaro (a NW), di Monte Rotaro
(che va a costituire il promontorio del Castiglione, a nord) e dell’Arso (a NE), che sepolte,
come quella di Rio Corbore. Numerose sono anche le forme crateriche come quelle di
Vateliero, Molara e Nocelle, che nel settore sud-orientale si allineano lungo una direttrice NESW e quelle di Campotese e di Panza, nel settore sud-occidentale. Viceversa, a nord il cratere
del Porto di Ischia rappresenta un classico esempio di cratere-lago (maar), di forma subcircolare localizzato in corrispondenza di un piccolo graben orientato NE-SW.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Altro aspetto morfologico di rilevante interesse è la presenza di versanti subverticali a controllo
strutturale strettamente connessi alla distribuzione dei lineamenti tettonici. Tali “pareti” si
impostano sia su rocce lapidee (tufacee e laviche), variamente fratturate, che in terreni
piroclastici sciolti. In particolare, le creste tufacee che bordano il rilievo di Monte Epomeo
verso nord e verso ovest, sono interessate da una intensa fratturazione che contribuisce ad
isolare blocchi in precarie condizioni di equilibrio e da cui si generano fenomeni di crollo s.l. Gli
effetti sono testimoniati da numerosi massi con volumetrie anche di migliaia di metri cubi,
osservabili nelle aree pedemontane sottostanti sino a mare (Mele & Del Prete, 1998).
FORME DI ORIGINE MARINA.
Il perimetro costiero dell’isola d’Ischia si sviluppa per una lunghezza di circa 36 km ed è
costituito per il 70% da alte falesie attive, talora a controllo strutturale ed a luoghi interrotte da
piccole spiagge sabbiose, che si impostano sia in depositi lavici e tufacei che nei depositi di
debris flow.
L’analisi aerofotogrammetrica ed i rilievi di campagna, inoltre, hanno permesso di individuare,
soprattutto nel settore occidentale, la presenza di una paleofalesia (Del Prete & Mele, 1999)
interrotta a luoghi dalle lobature generate dagli accumuli di debris flow che, spingendosi fino a
mare (Mele & Del Prete, 1998), formano promontori collinari con modeste pendenze (10°). La
suddetta paleofalesia, dall’andamento molto articolato, è totalmente sepolta dai depositi
detritici di debris flow nel settore tra Zaro e Punta del Soccorso, mentre nel tratto a sud di
Forio essa si imposta in depositi tufacei coincidendo, in parte, con l’attuale litorale. Altri relitti di
paleofalesia sono presenti lungo il settore settentrionale dell’isola, nei pressi dell’abitato di
Casamicciola, ed a sud della località Testaccio.
Associati alle variazioni del livello di base, nonché alle dislocazioni di carattere tettonico
(Borto-luzzi et al., 1983; Del Prete & Mele, 1999), sono le numerose forme terrazzate presenti
lungo la fascia costiera.
In particolare, si segnalano lungo la fascia costiera meridionale l’ampia superficie terrazzata
della piana di Succhivo alla quota di 65 m s.l.m., che risulta dissecata in cinque lembi da
profondi fossi d’incisione, e diversi ordini di superfici terrazzate tra le quote di 25 e 260m
s.l.m., nell’immediata prossimità della fascia costiera dei Maronti.
Alternate ai tratti di costa alta e/o talora ad essi associate sono presenti, inoltre, spiagge più o
meno estese la cui ampiezza è variabile di anno in anno, per effetto di mareggiate di
particolare intensità, come quelle di S. Francesco e di Citara ad ovest, quella dei Maronti a
sud, quella di Carta Romana e la spiaggia dei Pescatori ad est, quelle degli Inglesi e del
litorale di Casamicciola a nord.
FORME E PROCESSI LEGATI ALLA AZIONE DELLE ACQUE SUPERFICIALI
Il reticolo idrografico a carattere torrentizio dell’isola d’Ischia risulta di tipo dendritico e piuttosto
sviluppato. Infatti, i fossi d’erosione che, in genere, incidono i depositi detritici semi-coerenti
degli accumuli da debris flow, hanno generato forre profonde fino a 200m delimitate da
scarpate sub verticali che arretrano oltre che per erosione fluvio-torrentizia anche per
fenomeni di instabilità delle porzioni sommitali dei versanti.
Sono, tuttavia, presenti anche aree interessate da fossi effimeri generalmente poco incisi e
scarsamente gerarchizzati, che spesso si interrompono senza giungere a mare come nel
Graben di Ischia, ad oriente, e nella piana di Forio, ad occidente.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Il forte grado di antropizzazione ha, tuttavia, trasformato un gran numero di tali incisioni in
“alvei-strada” che hanno completamente modificato il naturale andamento dei corsi d’acqua
originari nelle zone pianeggianti e sub-pianeggianti ed, in alcuni casi, anche nei settori
pedemontani e montani. Tra i bacini di maggior importanza nel settore centro meridionale
dell’isola si individuano quello di Succhivo, ad ovest, e quelli di Cava Petrella, Cava Scura,
Cava Acquara e Cava Terzano che, con andamento dendritico e sfociando sulla spiaggia dei
Maronti, costituiscono nel complesso il “Bacino di Fontana”.
Nel settore settentrionale dell’isola i principali bacini imbriferi individuati sono quello di
Casamicciola (derivante dalla confluenza, in località Piazza Bagni, delle Cave di Buceto,
Ervaniello o Fasaniello, Sinigallia e Celario) e quello de “La Rita”, derivante dalla confluenza,
nella località omonima, di Cava Del Monaco e Cava La Rita.
Tra le forme associate all’azione delle acque superficiali sono da ricordare, infine, valli
sospese riconosciute sia da rilievi diretti che da analisi aerofotogrammetriche. Sede di deflussi
idrici superficiali sono alcune conche endoreiche in corrispondenza dei fondi craterici di
Campotese e Panza, a SW, di Vateliero e Molara, a SE, e di Fondo d’Oglio, a N, oltre alle
depressioni morfologiche di Fiaiano, de I Piani, presso Barano, e di Cimmiento-rosso, in
località Cuotto.
Con riferimento alla idrografia dell’isola d’Ischia, è stata svolta un’analisi geo-morfica relativa
ai bacini idrografici di Cava Petrella e di Cava Acquara, che ricadono nei territori comunali di
Barano d’Ischia e di Serrara Fontana, sul versante meridionale di Monte Epomeo. Lo studio è
stato finalizzato alla valutazione del deflusso torbido unitario medio annuo (Tu) ritenuto
indicatore del grado di erodibilità dei terreni affioranti, oltre alla valutazione di parametri
morfometrici quali densità di drenaggio, rapporti ed indici di biforcazione, indice e densità di
anomalia gerarchica. La metodologia utilizzata è quella proposta dai geomorfologi americani
(Horton, Strahler) e ripresa da Autori italiani (Avena et al., 1967; Ciccacci et al., 1980). Le
risultanze di tale studio evidenziano un maggiore grado di erodibilità per il bacino di Cava
Petrella (Tu = 10.497,49 tonn/kmq/anno) piuttosto che nel caso di Cava Acquara (1.389,72
tonn/kmq/anno).
Altri processi di erosione ad opera prevalentemente delle acque dilavanti e del vento
interessano, in particolar modo, i depositi detritici semi-coerenti degli accumuli da debris flow.
Queste fenomenologie sono osservabili soprattutto lungo i versanti dei fossi d’erosione che
dissecano il prisma.
FORME, PROCESSI E DEPOSITI DI VERSANTE DI ORIGINE GRAVITATIVA
sedimentario affiorante nel Bacino di Fontana, e localmente nell’area del Bacino di Succhivo.
Le morfologie più frequenti sono i calanchi, le piramidi di terra e, talora, le marmitte eoliche.
I fenomeni di instabilità di versante sono ascrivibili ad eventi di scorrimento rotazionale, colata
traslativa, crollo s.l., crollo evolvente a colata, scorrimento rotazionale e traslativo evolvente a
colata (Varnes, 1978; Hutchinson, 1988; Cruden & Varnes, 1996).
In generale, essi si distribuiscono prevalentemente nei settori settentrionale, occidentale e
centrale dell’isola, nonché lungo tutta la fascia costiera e rientrano in stati di attività variabili
dall’attivo allo stabilizzato sia naturalmente che artificialmente. Si osserva una concentrazione
di scorrimenti traslativi nelle porzioni alterate più superficiali dei depositi detritici da debris flow
, in corrispondenza delle acclivi scarpate che delimitano le incisioni fluvio-torrentizie. Analoghe
fenomenologie interessano le scarpate dei versanti planari del settore settentrionale di Monte
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RELAZIONE GEOLOGICA
Epomeo laddove affiorano depositi fumarolizzati ed alterati della Formazione di Colle Jetto,
della Tufite di Monte Epomeo e del Tufo Verde.
Invece, in corrispondenza delle pareti verticali o sub-verticali che si impostano in materiali
lapidei di natura tufacea e lavica (in particolare, i versanti settentrionale ed occidentale di
Monte Epomeo e le falesie costiere) si generano fenomeni di crollo s.l. che producono massi
di dimensioni variabili (Arrigoni et al., 1995; Mele & Del Prete, 1999).
Oltre alle forme appena descritte, sulla carta geomorfologica sono state riportate anche morfologie attribuite a processi di instabilità riconducibili a fenomeni di debris flow (Vezzoli, 1988;
Fusi et al., 1990) corrispondenti a corpi detritici che, sotto forma di più o meno ampie lobature,
si spingono fino alla costa dove talora appaiono bruscamente troncati dall’erosione del mare
(Mele & Del Prete, 1998; Del Prete & Mele, 1999).
Tali eventi hanno interessato i settori settentrionale, occidentale e centro-meridionale dell’isola
durante le fasi di surrezione vulcano-tettonica del Monte Epomeo e, dunque, in concomitanza
di vicende geodinamiche non confrontabili, per gli effetti ad esse connesse, con i processi
morfoevolutivi significativi alla scala dei tempi umani.
Forme da accumulo di detrito sono, infine, state cartografate alla base della Scarrupata di
Barano, lungo la costa sud orientale, nella baia di S. Montano alla base del versante di Monte
Vico e lungo la fascia di raccordo tra il pianoro delle Falanghe e il versante di Pietra dell’Acqua
alimentati dalle retrostanti scarpate.
Oltre ai fenomeni franosi, il territorio dell’isola d’Ischia è stato anche interessato in passato da
alluvionamenti con elevato trasporto solido, come nell’ottobre del 1910 (Donzelli, 1910;
Bordiga, 1914) ma anche più recentemente nel gennaio 1997, nel luglio 1999 e nel settembre
2001. Tali eventi hanno interessato, in particolare, la zona di Piazza Bagni, a Casamicciola, e
di località La Rita, tra i territori comunali di Casamicciola e Lacco Ameno. Altre aree coinvolte
sono quelle di Monterone e di Panza, a Forio, del centro di Fontana e della località Casabona,
a Barano.
Tali fenomeni, oltre ad essere associati alla presenza di un reticolo a regime torrentizio che
incide litologie ad alto grado di erodibilità, sono ulteriormente amplificati dal forte grado di
antropizzazione del territorio che ha comportato la trasformazione di numerose incisioni in
alvei-strada ed alvei tombati mal dimensionati e mantenuti. (vedi Carta della Pericolosità da
Fenomeni di Esondazione ed Alluvionamento e del Rischio Idraulico).
4
INQUADRAMENTO GEOLOGICO
DELL’ISOLA DI PROCIDA
E
GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE
Le isole vulcaniche di Procida e Vivara appartengono al distretto insulare dei Campi Flegrei e
di Ischia.
L’isola di Procida ha una lunghezza di circa 3Km ed è larga non più di 2Km. Dal punto di vista
morfologico è caratterizzata dalla presenza di una spianata sommitale bordata da ripide
falesie che culmina alla quota di 91 m s.l.m. in corrispondenza di Terra Murata; viceversa,
l’isolotto di Vivara costituisce parte di un cratere che verso NE prosegue lungo il promontorio
di S. Margherita Vecchia. L’assetto stratigrafico dell’isola di Procida si presenta molto
articolato per l’intercalazione dei depositi locali e quelli degli adiacenti Campi Flegrei e
dell’isola d’Ischia.
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RELAZIONE GEOLOGICA
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Data la particolare morfologia dell’isola di Procida il rilevamento dell’assetto litostratigrafico è
possibile soprattutto in corrispondenza delle ripide falesie del perimetro costiero.
La successione basale è costituita dai prodotti associati ai vulcani di Vivara, Terra Murata e
Pozzo Vecchio rappresentati da tufi gialli e grigi generalmente stratificati ed a luoghi fratturati e
zeolitizzati. Nel caso del centro di Pozzo Vecchio la successione è costituita da lave e scorie
di colore grigio scuro di natura alcalitrachitica della omonima formazione.
Nel settore nord occidentale dell’isola affiorano i depositi pomicei e scoriacei della Formazione
di Scotto San Carlo ed i depositi tufacei di colore grigiastro, costituiti da alternanze di livelli fini
e grossolani con bombe e blocchi, della Formazione del Vulcano di Fiumicello.Nel settore nord
orientale la successione affiorante è costituita dai tufi della Formazione di Terra Murata nelle
sue due facies “gialla” e “grigia” su cui poggia la formazione breccioide di Punta della Lingua.
Le successioni in questione sono chiuse verso l’alto dalla Formazione di Solchiaro e dalla
Formazione di Fondi di Baia.
La formazione di Solchiaro è costituita da prodotti emessi da un centro eruttivo il cui bordo
craterico è riconoscibile, in parte, tra Punta Pizzaco e Punta Solchiaro. Essi sono
rappresentati da una facies litoide, costituita da tufi gialli e grigi stratificati e da una facies
incoerente formata da un’alternanza di lapilli scoriacei e ceneri con inclusi lavici e tufacei.
Affiorano su tutta l’isola e si rinvengono anche sull’isolotto di Vivara.
La Formazione di Fondi di Baia è stratigrafica-mente sovrapposta alla Formazione di Solchiaro
ed è costituita da numerosi livelli cineritici e pomicei attribuibili ad eruzioni diverse (Di
Girolamo e Stanzione, 1973; Rosi et al., 1988).
Proprio quest’ultima formazione costituisce la coltre di copertura piroclastica incoerente
poggiante in genere sul substrato tufaceo e che, in corrispondenza dei cigli delle falesie, è
stata spesso coinvolta in fenomeni di crollo o, come nel caso tra Punta Pioppeto e Capo di
Bove, di scorrimento-colata.
Mediamente, gli spessori delle coperture piroclastiche sciolte sull’isola di Procida ricadono
nella classe tra 1-2m e 2-5m; mentre, sull’isolotto di Vivara si riscontrano anche spessori di
copertura ricadenti nella classe 5-20 metri.
Relativamente all’isolotto di Vivara, a mantellare la omonima formazione si rinviene una
successione costituita da alternanze di livelli piroclastico-pomicei e paleosuoli su cui poggiano
la facies sciolta della Formazione di Solchiaro, i depositi di breccia, da surge e da caduta del
Canale di Ischia Superiore, ed infine i depositi incoerenti della Formazione di Fondi di Baia.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
L’isola di Procida è caratterizzata da una superficie spianata bordata da ripide falesie talora a
controllo strutturale. Evidenti sono le forme crateriche nell’area di Pozzo Vecchio a nord, e di
Punta Solchiaro e di Vivara a sud.
Sono presenti spiagge di modesta profondità antistanti le falesie di Ciraccio e Ciracciello ad
ovest, di Chiaia ad est e di Sancio Cattolico a nord. Su dette spiagge insistono le falesie
tufacee interessate da numerosi fenomeni franosi di tipo “crollo” (Ducci & Napolitano, 1991;
1994). Solo lungo la falesia nord occidentale, tra Punta Pioppeto e Capo di Bove, sono stati
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RELAZIONE GEOLOGICA
riconosciuti fenomeni di scorrimento traslativo della coltre piroclastica a copertura del
basamento tufaceo (settembre 2001.
5
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA DELL’ISOLA DI ISCHIA
La complessità dello schema di circolazione idrica sotterranea dell’isola d’Ischia risulta
strettamente connesso alla sua natura vulcanica ed alla complessità dei rapporti geometrici
esistenti tra i diversi depositi. A tal proposito, l’estrema variabilità dei prodotti vulcanici eruttati,
associata alle differenti modalità di messa in posto ed agli eventi vulcano-tettonici che li hanno
interessati, hanno generato una composita sequenza di orizzonti permeabili per fessurazione
e/o porosità intercalati a livelli poco o niente permeabili.
Nel complesso l’isola d’Ischia è caratterizzata dalla presenza di una falda basale di acqua
dolce che giace sull’acqua di mare, nell’ambito della quale, associati all’attività magmatica, si
rinvengono interazioni con risalite di fluidi profondi lungo discontinuità tettoniche, zone con
risalita di acque termali e, soprattutto lungo la fascia costiera, fenomeni di contaminazione
marina (de Gennaro et al., 1984; Carapezza et al., 1988; Panichi et al., 1992; Corniello et al.,
1994; Celico et al., 1999). La falda basale presenta, a grande scala, un andamento radiale il
cui recapito finale è costituito dal mare.
Tuttavia, un esame più dettagliato della morfologia della piezometrica consente di individuare
aree con differente gradiente idraulico dovuto principalmente a variazioni di trasmissività
dell’acquifero; solo in corrispondenza di alcune faglie si verifica una interruzione della
continuità della falda di base. I gradienti idraulici più elevati (1-3%) si riscontrano
generalmente lungo la fascia costiera settentrionale, sud-occidentale e meridionale dell’isola e
sono per lo più associati a bassi valori di trasmissività dell’acquifero costituito,
prevalentemente da depositi detritici da debris flow e tufacei; viceversa, nella zona del graben
di Ischia si rinvengono valori di trasmissività più alti associati alla presenza di lave fratturate e
depositi piroclastici sciolti. In particolare, laddove affiorano elevati spessori di depositi detritici
da debris flow e depositi marini della Formazione di Colle Jetto e della Tufite di Monte Epomeo
a tetto del Tufo Verde, si riscontra anche la presenza di falde superficiali nelle coltri di
copertura a quote molto più alte della falda di base presente nel Tufo Verde. In queste zone,
inoltre, la presenza di lineamenti tettonici interrompendo la continuità morfologica della
piezometrica consente anche l’emergenza di alcune sorgenti come quelle di Piazza Bagni e
La Rita. Sebbene il deflusso della falda avvenga in modo diffuso verso mare, non mancano
sorgenti nell’entroterra anche se con portate limitate (<8 l/s) poste a quote che giungono fina a
450 m s.l.m. Alcune di queste sorgenti sono stagionali, mentre altre sono attive tutto l’anno
con temperature variabili tra 15° e 80°C.
Relativamente alla contaminazione della falda basale da parte dell’acqua marina, le aree
maggiormente interessate corrispondono al graben di Ischia, ed alle aree della fascia costiera.
L’attività vulcanica dell’area flegrea è articolata in cicli compresi nell’intervallo temporale
compreso fra 150.000 (da oggi) all’eruzione del Monte Nuovo nel 1538.
Tra i prodotti più diffusi sono noti quelli di età superiore ai 35.000 (Tufo Verde di Ischia), quello
compreso fra 35.000 e 30.000 anni da oggi (Tufo Grigio Campano), quello compreso fra
18.000 e 10.000 anni da oggi (prodotti di Soccavo, di Solchiaro, Trentaremi e il Tufo Giallo
Napoletano delle colline dei Camaldoli e di Posillipo), quelli compresi fra 10.000 da oggi al
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RELAZIONE GEOLOGICA
1538 (prodotti dei vulcani del Gauro, Miseno, Nisida Mofete e quelli dei più recenti vulcani di
Baia, Fondi di Baia, Montagna Spaccata, San Martino, Agnano, Astroni, Averno, Solfatara).
L’aspetto geomorfologico-strutturale è caratterizzato da forme di collasso vulcano-tettonico
(pareti acclivi dei Camaldoli e di Posillipo) e da quelle riferibile all’attività prevalentemente
esplosiva dei centri vulcanici dell’area centro-occidentale (edifici a forma conica con cratere
centrale spesso acclive e un versante esterno a morfologia più dolce).
Le tipologie di frane più presenti sono i crolli da pareti tufacee di origine strutturale e da
erosione marina (falesie) e gli scorrimenti traslativi evoluti a colata in genere di volume
modesto (rispetto a quelle delle dorsali carbonatiche).
Diffusi sono anche i fenomeni di erosione e di accumulo localmente concentrati in presenza di
un reticolo idrografico più pronunciato (versanti occidentali incombenti sulla Piana di Quarto;
versanti settentrionali e orientali della Conca di Pianura; versanti settentrionali e orientali della
Conca di Agnano).
L’Isola d’Ischia ha una struttura assai complessa legata ad eventi eruttivi e vulcano-tettonici
che si sono succeduti da 150.000 anni (da oggi, con relativi depositi affioranti nel settore SE e
talora SW) al 1301 d.C.. Tra i quali: l’eruzione del Tufo Verde (55.000 anni da oggi) , il
sollevamento del blocco tufaceo dell’Epomeo (33.000 anni da oggi), l’eruzione magatiche del
settore SW (Campotese: 18.000 anni da oggi) e quelle più recenti concentrate ad oriente
dell’Epomeo.
Le forme più strettamente comune a fenomeni di instabilità e/o erosione sono quelle di origine
marina (il perimetro costiero dell’isola, lungo quasi 36 km, è costituito per il 70% da falesie
attive), e quelle di origine strutturale impostate spesso su rocce lapidee (lave e soprattutto tufi
dei versanti settentrionale e occidentale dell’Epomeo). Altrove, e segnatamente nei settori
settentrionale, centrale e occidentale dell’isola si osservano anche scorrimenti rotazionali e/o
traslativi talora evolventi a colata (alcuni dei quali, Monte Vezzi, datati 2006).
Sono da sottolineare infine gli importanti fenomeni di trasporto solido-alluvionamento che
hanno coinvolto porzione degli abitati di Casamicciola, Lacco Ameno, Forio, Fontana, Barano
sottesi a bacini caratterizzati da un reticolo di drenaggio particolarmente denso.
L’Isola di Procida è caratterizzata da frequenti fenomeni di instabilità in corrispondenza dei
costoni prospicienti il mare ove è possibile osservare i prodotti piroclastici e lavici eruttati da
vulcani locali o provenienti dall’Isola d’Ischia e da Campi Flegrei.
Tra i costoni più frequentemente colpiti da dissesti e spesso oggetto di interventi di
sistemazione sono significativi quelli di Pozzo Vecchio, della spiaggia di Ciraccio e della
Chiaia, di Terra Murata.
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RELAZIONE GEOLOGICA
IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO
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INQUADRAMENTO GEOLOGICO E GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE DEL
SOMMA-VESUVIO
STORIA ERUTTIVA DEL SOMMA-VESUVIO
Il vulcanismo nell’area del Somma-Vesuvio è stato attivo a partire da 400.000 anni, come
indicato dalla presenza di lave e tufi intercalati a sedimenti marini, carotati nella porzione sudorientale del vulcano ad una profondità di 1350 m (Santa-croce, 1987; Brocchini et al., 2001). I
dati disponibili non ci consentono di definire se l’attività vulcanica era prodotta da un vulcano
centrale o da attività fissurale. La successione di vulcaniti e sedimenti marini è ricoperta
dall’Ignimbrite Campana (Barberi et al., 1978; Fisher et al., 1993), eruttata dai Campi Flegrei
37.000 anni fa, che determinò la quasi completa emersione della Piana Campana (Di Vito et
al., 1998). L’accrescimento del Monte Somma cominciò subito dopo la deposizione dell’Ignimbrite Campana e fu determinato dal progressivo accumulo di lave e scorie prodotte da
attività effusiva ed esplosiva di bassa energia. Tale attività ebbe luogo prevalentemente da un
vent centrale e determinò l’accrescimento di un grosso apparato conico che raggiunse
un’altezza stimata di circa 2000 m s.l.m. (Cioni et al., 1999).
L’attività avvenne anche da bocche laterali allineate lungo faglie e fratture ed è testimoniata
dalla presenza di dicchi esposti lungo la scarpata calderica e dalla presenza di coni di scorie
lungo i versanti del vulcano e nelle piane circostanti. I depositi prodotti dall’attività del Monte
Somma (LVS in carta geolitologica) sono costituiti da banchi lavici fratturati intercalati a spessi
livelli di scorie a diverso grado di saldatura, attraversati da dicchi. La composizione varia da
basalti a latiti (Santacroce, 1987). Essi affiorano lungo la parete interna settentrionale della
caldera e sul fondo di numerose incisioni vallive del versante settentrionale del Monte Somma.
La più vecchia eruzione pliniana avvenuta al Somma-Vesuvio (Fig. 1) è quella che ha prodotto
le Pomici di Base (Arnò et al., 1987; Andronico et al., 1995; Bertagnini et al., 1998) che
avvenne 18.300 anni fa e determinò l’inizio del collasso vulcano-tettonico del grosso cono del
Monte Somma e la formazione della caldera (Cioni et al., 1999). I depositi di tale eruzione
ricoprono in modo discontinuo le lave del Monte Somma (LVS in carta geolitologica). Dopo
questa eruzione l’attività del vulcano è stata caratterizzata da altre 3 eruzioni pliniane,
avvenute, 8.000 (Pomici di Mercato), 3.800 anni fa (Pomici di Avellino) e nel 79 d.C. (Pomici di
Pompei), rispettivamente, da numerose eruzioni subpliniane, e fasi di attività di bassa energia
a condotto aperto, con eruzioni stromboliane ed effusioni laviche. In particolare dopo
l’eruzione delle Pomici di Base, avvenne una nuova fase effusiva, con lave tefritico-fonolitiche,
afanitiche, e banchi di scorie (LVZ in carta geolito-logica) da attività stromboliana, in gran parte
connessi con l’attività di apparati eccentrici ubicati lungo la linea di frattura del vallone San
Severino-Zennillo (Ottaviano) ed iniziò una lunga fase di quiescenza, cui seguì, circa 16.000
anni fa, l’eru-zione subpliniana delle Pomici Verdoline (Arnò et al., 1987). Durante la lunga
fase di quiescenza che seguì avvennero solo due eruzioni di bassa energia, di probabile
origine vesuviana (VM1 e 2, Androni-co et al., 1995). 8.000 anni fa avvenne l’eruzione pliniana
delle Pomici di Mercato (Arnò et al., 1987; Cioni et al., 1999). Tale eruzione è nota anche
come eruzione di Ottaviano (Rolandi et al., 1993a). All’eruzione di Mercato seguì una nuova
lunga fase di quiescenza interrotta da due eruzioni di bassa energia, che determinò la
formazione dello spesso paleosuolo all’interno del quale sono presenti numerose tracce di
utilizzazione antropica fino al Bronzo Antico, sul quale si deposero i prodotti dell’eruzione
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RELAZIONE GEOLOGICA
pliniana delle Pomici di Avellino (3.800 anni B.P., Arnò et al., 1987; Rolandi et al., 1993b; Di
Vito et al., 1999; Cioni et al., 1999). A questa eruzione seguirono almeno 8 eruzioni da
stromboliane a subpliniane, i cui depositi sono distribuiti prevalentemente nel settore sudorientale del vulcano, alternate a brevi periodi di quiescenza, cui seguì una lunga stasi
nell’attività del vulcano, di almeno sette secoli, che precedette l’eruzione pliniana del 79 d.C.
(Pomici di Pompei – Lirer et al., 1973; 1997; Sigurdsson et al., 1985; Arnò et al., 1987; Cioni et
al., 1999). L’eruzione fu seguita da due eruzioni subpliniane, avvenute nel 472 (Rosi e
Santacroce, 1983) e nel 1631 d.C. (Rolandi et al., 1993c; Rosi et al., 1993) e da periodi di
attività a condotto aperto, con eruzioni effusive ed esplosive di bassa energia (stromboliane). I
periodi di attività a condotto aperto, citati per l’intervallo temporale 79 d.C.-1944, si verificarono
tra il primo ed il terzo secolo d.C., tra il quinto e l’ottavo secolo d.C., tra il decimo ed il
dodicesimo secolo d.C. e tra il 1631 ed il 1944 (Andronico et al., 1995; Cioni et al., 1999;
Arrighi et al., 2001) e determinarono una gran produzione di lave che si sono ampiamente
distribuite nei settori meridionali del vulcano e piroclastiti distribuite prevalentemente sui
versanti orientali del vulcano.
Le eruzioni pliniane sono state tutte generalmente caratterizzate da fasi di apertura freatomagmatica, cui seguirono fasi magmatiche con generazione di colonne eruttive che in alcuni
casi hanno raggiunto l’altezza di 30 km, dalle quali si formarono depositi da caduta ad ampia
distribuzione areale.
Durante e successivamente alle fasi di colonna pliniana si formarono anche flussi e surge
piroclastici, distribuiti sia sui fianchi del vulcano che nelle piane circostanti. In alcuni casi la
distanza raggiunta da tali flussi ha superato 20 km. I volumi dei depositi pliniani da caduta
variò tra 1.5 e 4.4 km3, mentre quello dei depositi da flusso tra 0.25 e 1 km3. Nelle aree
prossimali ai depositi di alcune eruzioni pliniane sono associati spessi depositi di brecce
prodotti durante le fasi di calderizzazione.
Le fasi di quiescenza del vulcano che hanno preceduto le eruzioni pliniane sono durate da
diversi secoli a vari millenni.
Le eruzioni subpliniane del Vesuvio sono poco studiate se si escludono le eruzione del 1631 e
del 472 (Rolandi et al., 1993c; Rosi et al., 1983; 1993). Esse alternarono fasi magmatiche, con
generazione di colonne eruttive di altezza inferiore a 20 km, dalle quali si produssero depositi
da caduta con distribuzione areale inferiore a quella dei depositi pliniani e flussi e surge
piroclastici con distribuzione areale compresa entro 8-10 km dal vent.
I depositi da caduta delle eruzioni pliniane e sub-pliniane sono distribuiti nelle aree ad est del
vulcano con assi di dispersione compresi tra N50° e 150°, rispettivamente per le eruzioni di
Avellino ePompei. Le aree coperte dai depositi da caduta delle eruzioni pliniane, di spessore
superiore a 20 cm, sono comprese tra 2600 km2 e 1150 km2, stimati per le eruzioni delle
Pomici di Base e di Mercato, rispettivamente, e tra 985 e 410 km2, per le eruzioni subpliniane
del 472 e del 1631, rispettivamente.
La deposizione dei prodotti da caduta delle eruzioni pliniane e subpliniane sui versanti
appenninici ha generato spesse sequenze di livelli di ceneri e pomici separate da paleosuoli
che ricoprono, in modo discontinuo le sequenze di rocce che costituiscono i rilievi appenninici.
Le sequenze piroclastiche, nel tempo, sono state interessate da numerosi episodi di
rimobilizzazione ad opera delle acque superficiali, con diffusa generazione di depositi
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RELAZIONE GEOLOGICA
vulcanoclastici derivanti da alluvioni, flussi iper-concentrati e debris flows che hanno formato ai
piedi dei versanti diverse generazioni di fan alluvionali (Sulpizio et al., 2000).
I DEPOSITI DELLE ERUZIONI PLINIANE E SUBPLINIANE
Di seguito si riportano le descrizioni e le caratteristiche principali, dal basso, dei depositi delle
eruzioni pliniane e subpliniane del Somma-Vesuvio.
Pomici di Base - depositi piroclastici da caduta, costituiti da lapilli pomicei da bianchi a grigi,
afirici, cui seguono lapilli scoriacei, poco vescicolati, nerastri. Seguono livelli costituiti in
prevalenza da frammenti lavici arrossati della dimensione dei lapilli. Tali depositi, distribuiti sui
versanti occidentali del vulcano, sono sormontati da depositi cineritici massivi da flusso
piroclastico. Sui versanti NW del vulcano ai depositi di tale eruzione è attribuibile anche una
breccia piroclastica grossolana, il cui spessore osservabile è maggiore di 70 m, immersa in
abbondante matrice cineritica.
Pomici Verdoline - livelli di lapilli pomicei da caduta di colore marroncino-verdastro intercalati a
livelli cineritici. Tali depositi sono distribuiti sui versanti nord-orientali del vulcano. Seguono
depositi cineritici a laminazione incrociata e livelli cineritici massivi, rispettivamente da surge e
flussi piroclastici.
Pomici di Mercato - tre livelli di lapilli pomicei da caduta, bianchi, afirici, separati da depositi
ceneri-tici bianco-rosati. Il terzo livello contiene una abbondante frazione litica nerastra di
natura lavica. Tali depositi sono distribuiti principalmente sui versanti orientali del vulcano e
sono sormontati da una serie di unità cineritiche prevalentemente massive, da flusso
piroclastico, fortemente arricchite in frammenti litici grossolani. Tali depositi sono caratterizzati
da elevata variazione di spessore e riempiono paleovalli.
Pomici di Avellino - livello di lapilli pomicei da caduta bianchi cui seguono, in continuità, lapilli
pomicei di colore grigio, entrambi porfirici per grossi cristalli di sanidino e pirosseno. Nella
parte medio alta del livello si rileva un incremento della frazione litica, prevalentemente di
origine carbonatica. Tale deposito è distribuito verso nord-est, in direzione di Avellino. Esso è
sormontato da livelli e banchi ceneritici a laminazione ondulata ed incrociata e livelli
decimetrici di ceneri pisolitiche coesive. I massimi spessori di tali ceneri si osservano lungo i
versanti occidentali del vulcano.
Pomici di Pompei - livelli di lapilli pomicei da caduta, distribuiti verso sud-est, in direzione di
Pompei e non visibili, quindi sui versanti settentrionali del Monte Somma, ai quali si
intercalano e seguono depositi massivi cineritici da flusso piroclastico e depositi cineritici a
laminazione ondulata ed incrociata da surge piroclastici. I depositi da flusso piroclastico sono
distribuiti in modo discontinuo su tutti i versanti dell’edificio vulcanico e spesso riempiono
paleovalli.
Pomici di Pollena - livelli di lapilli pomicei da caduta di colore grigio-verdastro a basso grado di
vescicolazione, stratificati per contrasto granulometrico e distribuiti verso nord-est, cui
seguono spessi depositi cineritici da massivi a laminati, ricchi di frammenti scoriacei scuri, da
flusso piroclastico.
I depositi dell’eruzione del 1631 - livelli di lapilli pomicei da caduta, poco vescicolati, di colore
da grigio chiaro a scuro, distribuiti verso est, cui seguono depositi cineritici massivi da flusso
piroclastico, ricchi in frammenti juvenili densi e litici, distribuiti preferenzialmente sui versanti
meridionali del vulcano.
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RELAZIONE GEOLOGICA
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Nella carta geolitologica le sequenze piroclastiche eruttate a partire da 18.000 ed affioranti
lungo i versanti del Monte Somma sono state raggruppate in complessi a litologia
relativamente omogenea. In tale elaborato, dal basso, sono stati distinti:
8. LVS Lave del Monte Somma: banchi lavici fratturati, dicchi e livelli di scorie saldate ben
esposti lungo la parete interna della caldera e affioranti lungo alcune incisioni torrentizie
e cave del versante settentrionale del Monte Somma. Composizione da basalti a latiti.
Età > 18.000 anni.
9. LVZ Lave tefritico-fonolitiche, afanitiche, associate a banchi di scorie saldate e sciolte
prodotte da attività stromboliana di apparati eccentrici ubicati lungo la struttura del
Vallone S. Severino-Zennillo. Età 18-16.000 anni.
10. PCV Complesso costituito da alternanze di livelli piroclastici sciolti e paleosuoli: i livelli
piroclastici sono eterometrici e costituiti da frammenti juvenili a vario grado di
vescicolazione ed in minore misura da frammenti litici lavici, tufacei e carbonatici; sono
generalmente ben classati e con scarsa matrice fine. I livelli sono generalmente in
giacitura primaria, da caduta. I paleosuoli sono di spessore e maturità variabili,
generalmente a matrice limoso-argillosa, di colore da marrone chiaro a scuro. Il
complesso comprende i depositi da caduta delle eruzioni del Somma-Vesuvio di età
compresa tra 18.000 anni dal presente al 472 d.C. (dal basso: Pomici di Base – età
18.000 anni dal presente, Pomici Verdoline – età 15.000 anni dal presente, Pomici di
Mercato – età 8.000 anni dal presente, Pomici di Avellino – età 3.800 anni dal presente,
Pomici di Pompei del 79 d.C., Pomici di Pollena del 472 d.C.). Alla sequenza sono
intercalati i depositi da caduta delle eruzioni della caldera dei Campi Flegrei di Pomici
Principali (età 10.370 anni dal presente) e di Agnano- Monte Spina (età 4.100 anni dal
presente). Le differenze di spessore dei singoli livelli da caduta sono connessi alla
differente dispersione dei depositi e, localmente, a fenomeni di erosione. In generale si
osserva un notevole ispessimento sui versanti nord- orientali del vulcano, dove lo
spessore totale dei livelli da caduta del complesso supera 16 m.
11. POV Complesso costituito da alternanze di depositi piroclastici in prevalenza massivi, a
matrice prevalente, da sciolti e semi-coerenti, e subordinatamente laminati. I depositi
contengono frammenti juvenili e litici di dimensioni ed in proporzioni molto variabili. I
depositi sono, generalmente, in giacitura primaria, da flusso piroclastico. La parte
prevalente di tale complesso è costituita dai depositi da flusso piroclastico dell’eruzione
di Mercato (età 8.000 anni dal presente) che raggiungono spessori di 30 m, molto
variabili lateralmente, per l’effetto, sullo scorrimento dei flussi, operato dalle morfologie
preesistenti. Tali depositi, infatti, sono canalizzati in paleovalli e riempiono bassi
morfologici preesistenti. Il complesso raggruppa anche i depositi da surge piroclastico
dell’eruzione di Avellino (età 3.800 anni dal presente), quelli da flusso piroclastico
dell’eruzione delle Pomici di Pompei del 79 d.C ed i depositi di breccia a matrice
prevalente dell’eruzione delle Pomici di Base (età 18.000 anni dal presente). Sequenze
rappresentative si possono osservare nelle cave di Traianello e Lagno Amendolare
(Somma Vesuviana), mentre le brecce affiorano lungo l’alveo Molaro (Pollena).
12. PAV
Complesso costituito da alternanze di depositi piroclastici fini,
generalmente laminati e sciolti. Nelle sequenze prevalgono i depositi da surge
piroclastici dell’eruzione delle Pomici di Avellino (età 3.800 anni dal presente), diffusi in
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RELAZIONE GEOLOGICA
tutta l’area nordoccidentale del vulcano, costituiti da livelli di ceneri fini, pisolitiche, cui
seguono livelli di ceneri da fini a grossolane a stratificazione da ondulata a incrociata.
Questi depositi sui versanti nord-occidentali del vulcano possono raggiungere lo
spessore di 10 m. Il complesso raggruppa anche i depositi cineritici massivi, ricchi in
frammenti lavici, delle fasi finali dell’eruzione delle Pomici di Pompei del 79 d.C.
13. PPV Complesso costituito da alternanze di depositi a matrice cineritica prevalente, sia
massivi che stratificazione incrociata, depositati in prevalenza da flussi e
subordinatamente da surges piroclastici dell’eruzione delle Pomici di Pollena, del 472
d.C. I depositi da flusso piroclastico contendono abbondanti scorie scure da
centimetriche a decimentriche e rari frammenti litici. Tali depositi sono ben esposti lungo
la strada per S. Maria di Castello (Somma Vesuviana). I depositi da surge piroclastici
hanno laminazione incrociata, scarso contenuto di frammenti juvenili e abbondanti litici.
Il complesso è spesso chiuso verso l’alto da depositi di fango vacuolari. Successioni
complete affiorano lungo l’alveo di Pollena Trocchia, dove parte dei depositi descritti
sono parzialmente zeolitizzati.
14. L55, L70, L44
Rispettivamente lave delle eruzioni del 1855, del 1870-72 e del
1944, distribuite sui versanti occidentali del vulcano.
15. CQR e CNR Depositi di conoide detritico-alluvionale poco o non reincisa (CNR) o
quiescente reincisa (CQR), la cui attività è fortemente ridotta dalla presenza di canali
artificiali.
16. DFA Depositi vulcanoclastici dell’apron del Somma-Vesuvio: ghiaie e sabbie costituite
da pomici e ceneri con frammenti lavici, tufacei e calcarei, da massivi a laminati,
depositate da debris e hyperconcentrated flows e alluvioni. Sono intercalati localmente a
paleosuoli e depositi piroclastici in posto sia da caduta che da flusso. Sono
generalmente più giovani dell’eruzione del 1631.
17. da Depositi antropici: terreni di risulta derivanti dalla escavazione e/o dallo
sbancamento di terreni in posto, terreni di riporto per opere stradali, riempimenti di ca;
sono di natura terroso-detritica compattata e sono composti da elementi litoidi
eterodimensionali inglobati in matrice argilloso-sabbiosa.
Sono stati inoltre cartografati con simboli puntuali i depositi da debris e hyperconcentrated
flows, osservati in trincea ed in affioramento, le cave, e con simboli lineari i contatti
stratigrafici, le faglie e l’orlo calderico del Monte Somma.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
Il Somma-Vesuvio è composto da un vecchio cono vulcanico di grosse dimensioni, il Monte
Somma, troncato nella sua parte sommitale da una caldera, e da un cono più recente, il
Vesuvio, cresciuto all’interno dell’area calderizzata durante l’eruzione del 79 d.C. La crescita
del cono del Vesuvio ha avuto luogo durante periodi di attività persistente, di bassa energia,
caratterizzati da condizioni di condotto aperto. Durante tali periodi l’accrescimento del cono è
avvenuto in modo discontinuo ed è stato interrotto da fasi di allargamento del cratere e da
minori collassi sommitali. L’ultimo periodo caratterizzato da tale tipo di attività è compreso tra il
1631 ed il 1944 (Andronico et al., 1995; Cioni t al., 1999; Arrighi et al., 2001).
La caldera. La caldera ha una forma ellittica con asse maggiore, orientato est-ovest, di circa 5
km. Essa è una struttura complessa risultante da diver-si collassi, connessi alle diverse
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RELAZIONE GEOLOGICA
eruzioni pliniane avvenute negli ultimi 20.000 anni, di cui l’ultimo è avvenuto durante l’eruzione
del 79 d.C., che hanno progressivamente modificato ed allargato la struttura precedente. La
porzione settentrionale del bordo della caldera è rappresentata da una scarpata ad alto angolo
alta fino a 300 m, il cui bordo raggiunge la quota di circa 1000 m s.l.m. La porzione
meridionale della caldera è completamente obliterata da lave che fin dall’epoca medievale ne
hanno sormontato il bordo ed hanno coperto quasi completamente i versanti meridionali del
vulcano fino al mare. La massima altezza di questo settore è inferiore a 700 m s.l.m. Il
progressivo accumulo di lave all’interno dell’area calderizzata ha generato l’altopiano che
connette il cono del Vesuvio con i versanti interni della caldera.
I versanti. L’inclinazione dei versanti dell’apparato vulcanico varia progressivamente
all’aumentare dell’altezza del vulcano da 6 a 40°. Un’ampia porzione dei versanti settentrionali
ed orientali sono molto acclivi, mentre i versanti meridionali ed occidentali generalmente sono
meno inclinati di 25°. Ai piedi dei versanti settentrionali è presente un’ampia fascia a debole
pendenza di raccordo con la piana, definita apron (Sbrana et al., 1997) nel senso di Smith
(1991), dove sono prevalenti i fenomeni di accumulo di depositi piroclastici sia primari che
rimaneggiati. In tale area sono riconoscibili diverse generazioni di fans alluvionali, reincisi, la
cui attività è stata fortemente ridotta dalla realizzazione di canali artificiali (Regi Lagni).
I versanti settentrionali ed orientali del Monte Somma sono solcati da un fitto reticolo
idrografico ad andamento esoreico-radiale sviluppato prevalentemente in rocce piroclastiche
sciolte. Il suo andamento è localmente controllato da faglie ad andamento NE-SW e NWSE. Il
sistema di drenaggio del cono del Vesuvio e dei versanti più giovani del vulcano, fino al mare,
è anche di tipo esoreico-radiale, ma molto meno sviluppato. I versanti settentrionali ed
orientali, dal punto di vista morfologico, sono la parte più evoluta del vulcano e, si raccordano
verso valle con l’apron a circa 180-200 m s.l.m. Le numerose valli che li solcano sono
profondamente incise ed articolate, particolarmente in corrispondenza dei depositi piroclastici
sciolti o semicoerenti. Tali valli incise e attualmente spesso percorse da alveistrada, sono
interessate dalla gran parte degli eventi franosi riconosciuti e classificabili come frane da
scorrimento e subordinatamente da crollo.
Versanti regolari a debole pendenza prodotti da prevalente deposizione di flussi piroclastici.
Nell’area di raccordo tra i versanti del Monte Somma e la piana e spesso, allo sbocco degli
assi di drenaggio sono state riconosciute forme simili fans, con pendenze variabili tra 6 e 20°.
Tali corpi sono stati prodotti dalla deposizione di spessi depositi da flusso piroclastico e lahars
di varie eruzioni, canalizzati lungo le aste di drenaggio. Il riempimento da parte dei flussi
piroclastici di preesistenti valli ha più volte generato inversioni del rilievo originario con
conseguente deviazione dell’andamento del reticolo idrografico. Tali corpi risultano incisi e
caratterizzati da un reticolo idrografico localizzato e meno esteso rispetto al reticolo
preesistente. Forme ben visibili sono state prodotte dalla deposizione dei flussi piroclastici
dell’eruzione di Pollena (472 d.C.) in corrispondenza del paese di S. Anastasia, solcate da un
reticolo idrografico decisamente immaturo. Lungo la porzione medio-bassa dei versanti del
Somma sono presenti numerose cave prevalentemente per l’estrazione di rocce piroclastiche.
Alcune di queste sono parzialmente o totalmente riempite da materiali di risulta e RSU. Quasi
tutte hanno modificato profondamente l’andamento degli alvei preesistenti e sono
caratterizzate da elevata instabilità per la presenza di alte pareti subverticali in rocce da sciolte
a semicoerenti.
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RELAZIONE GEOLOGICA
L’apron. La già citata fascia di raccordo tra i versanti del Somma e le piane circostanti del
Sebeto, del Sarno e di Acerra-Nola, definita apron (Sbrana et al., 1997) ha debole pendenza
(<6°) ed andamento grossolanamente circolare. Geneticamente e morfologicamente essa non
ha le caratteristiche di una piana alluvionale in senso stretto, ma è più simile ai sistemi di
conoide alluvionale (Blair e McPhearson, 1994). L’apron presenta una generale morfologia
piatta con morbide ondulazioni che sono in alcuni casi legate alla presenza, nel sottosuolo, di
antiche colate laviche e piccoli coni di scorie, spesso allineati, legati all’attività del Somma. Le
forme più pronunciate si riconoscono tra Ottaviano e Palma Campania, dove sono ricoperte
dai prodotti di caduta delle eruzioni esplosive degli ultimi 18.000 anni del Somma-Vesuvio. Da
un punto di vista genetico questa superficie a bassa pendenza è il risultato della progressiva
deposizione sia di prodotti vulcanici primari (depositi da caduta e/o da flusso piroclastico) sia,
principalmente, dei prodotti di rimaneggiato degli stessi. Questi depositi rimaneggiati, che
risultano dalla erosione e parziale smantellamento della parte sommitale dell’edificio
vulcanico, hanno caratteristiche sedimentologiche che spesso permettono di interpretarli come
trasportati e messi in posto da grosse colate di fango e detriti. La loro espansione a valle
genera una serie di forme a ventaglio (conoidi molto appiattite) la cui sovrapposizione,
migrazione successiva e coalescenza produce l’attuale aspetto dell’apron.
Il reticolo idrografico presente sulla superficie dell’apron, è di tipo radiale esoreico ed è oggi
completamente incanalato artificialmente. Questi canali sono parte del complesso sistema
idraulico dei Regi Lagni. Per quanto oggi la superficie dell’apron sia intensamente coltivata e
soggetta a notevole espansione urbanistica, i dati di superficie e del sottosuolo (trincee),
riportati sulla carta geolitologica, hanno evidenziato una notevole frequenza di depositi
alluvionali molto recenti, intercalati localmente a depositi da colate di fango, flussi
iperconcentrati e debris flows, anche successivi ai depositi dell’eruzione del 1944. Nei fatti la
casistica relativa ad eventi di trasporto solido e dunque, soprattutto di tipo idraulico di varia
intensità, è molto ricca già a partire dal 1600 e fino agli anni ‘50 e ’80 (vedi Vallario, 2001 e
referenze interne). I più recenti hanno interessato anche i comuni dei versanti del Monte
Somma e sono datati 1955 (S. Sebastiano al Vesuvio), 1957 (S. Anastasia), 1956, 1962, 1966
(S. Giuseppe Vesuviano), 1985 (Ottaviano e S. Gennaro Vesuviano).
Applicazioni dei criteri di analisi geomorfica quantitativa sono state fornite dalla Società
vincitrice della gara per l’aggiudicazione delle attività di base relativamente ai bacini idrografici
del Lagno di Trocchia e del Lagno Spirito Santo sul versante settentrionale del M. Somma. Lo
studio è stato finalizzato alla valutazione del deflusso torbido unitario medio annuo (Tu)
ritenuto indicatore del grado di erodibilità dei terreni affioranti, oltre alla valutazione di
parametri morfometrici quali densità di drenaggio, rapporti ed indici di biforcazione, indice e
densità di anomalia gerarchica. La metodologia utilizzata è quella proposta dai geomorfologi
americani e ripresa da Autori italiani (Avena et al., 1967; Ciccacci et al., 1980). Le risultanze di
tale studio hanno evidenziato rispettivamente valori del parametro Tu pari a 4532,17
T/km2/anno e 6785,07 T/km2/ anno.
7
SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA
L’area vesuviana è caratterizzata dalla presenza di almeno due acquiferi, uno superficiale ed
uno profondo (Celico et al., 1998). Il primo, a carattere locale, corrisponde alla struttura
idrogeologica dell’apparato vulcanico, mentre il secondo corrisponde alla strutture
carbonatiche sepolte, dove la circolazione idrica avviene in un settore molto più vasto. Di
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seguito si discuterà solo l’acquifero superficiale. Quest’ultimo, a causa dei tipi di rocce che lo
costituiscono, è caratterizzato da notevole permeabilità complessiva. Inoltre esso è
notevolmente eterogeneo sia verticalmente che orizzontalmente per la presenza di numerose
intercalazioni di lave a vario grado di fratturazione, livelli piroclastici da grossolani a fini e
paleosuoli. La presenza di orizzonti a bassa permeabilità intercalati a quelli a permeabilità
decisamente superiore e con giacitura generalmente concordante con l’andamento dei
versanti del vulcano determina una circolazione idrica per falde sovrapposte che, a causa
della scarsa continuità laterale degli orizzonti a minore permeabilità, convergono in un’unica
falda di base. Tale falda ha un andamento pressoché radiale, modificato dalla presenza di
alcuni spartiacque sotterranei, ed è caratterizzata da assi di deflusso verso il mare nei settori
meridionale ed occidentale del vulcano, e verso le piane circostanti in quelli rimanenti. Le
poche sorgenti perenni, presenti nei dintorni del vulcano, sono caratterizzate da modesti
valori di portata. Quella di più alta quota è la sorgente Olivella, presente nel territorio del
comune di Sant’Anastasia a circa 380 m s.l.m.
Per quanto è stato possibile verificare non esistono significative correlazioni fra l’ubicazione
delle zone di distacco delle varie frane censite e la presenza di pozzi o sorgenti.
Il sistema vulcanico Somma-Vesuvio è compreso in quella che viene definita “provincia
petrografica romano-campana”, costituita da un sistema vulcanico che si sviluppa lungo un
allineamento orientato NO-SE (allineamento tosco-campano) comprendente più complessi e
centri vulcanici. Il vulcanesimo di questa regione viene definito “finale”, perché si è esplicato
durante le fasi tettoniche terminali dell’orogenesi appenninica, in un’area in cui le fasi
compressive si erano già concluse e si era instaurata una tettonica essenzialmente verticale.
Essa ha generato strutture tettoniche ad horst e graben, con faglie orientate prevalentemente
NO-SE (andamento appenninico) e NE-SO (andamento tirrenico). Lo sprofondamento dello
zoccolo tirrenico e le zone di intersezione tra le faglie hanno favorito l’ascesa del magma, che
ha dato luogo ad un’attività vulcanica di tipo potassico.
Ubicato nella conca napoletana, grande area di sprofondamento circondata dai rilievi calcarei
mesozoici, il Somma-Vesuvio è uno strato-vulcano la cui parte più antica è rappresentata dal
vulcano del Somma (1133 metri s.l.m.), nella cui caldera terminale sorge il Gran Cono del
Vesuvio (1281 metri s.l.m.). I due edifici sono divisi da un avvallamento semicircolare noto
come Valle del Gigante, sviluppato per circa 4 km e costituito dalle ripide pareti della caldera
del Somma verso nord e dai fianchi del Vesuvio verso sud.
Il vulcanismo del Somma-Vesuvio ha avuto probabilmente inizio circa 200.000 anni fa. Ancora
prima dell’edificazione dell’attuale complesso vulcanico, nell’area vesuviana si verificarono
varie eruzioni lineari di magmi lungo faglie e fratture, una delle quali diede origine all’Ignimbrite
Campana. Successivamente, numerosi sprofondamenti nell’area dell’attuale Golfo di Napoli
hanno favorito l’intrusione di magmi trachitici e la formazione di numerosi edifici vulcanici, oggi
totalmente sepolti sotto i prodotti più recenti.
Dopo una lunga sosta, l’attività riprese con eruzioni di lave e ceneri che costituirono l’edificio
noto come Paleo Somma. Nel lungo ciclo eruttivo, il magma cambiò composizione (da
trachitico a fonolitico a leucitico), diventando così più fluido. Pertanto, le successive eruzioni
furono caratterizzate da una maggiore emissione di colate laviche, che costituirono un edificio
di quasi 3.000 m di altezza.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Periodi di attività si alternarono a lunghi periodo di stasi, nei quali i magmi acquistarono una
composizione molto ricca in gas. Un nuovo ciclo di attività fu segnato dall’eruzione altamente
esplosiva del 79 d.C., che seppellì Pompei, Ercolano, Stabia ed Oplonti sotto una coltre di
piroclastiti spessa mediamente 7-8 metri, cancellando contemporaneamente ogni traccia della
originaria superficie topografica. Dopo questa eruzione, la parte alta del vulcano sprofondò,
dando origine alla caldera sommitale che raggiunse il diametro di 3.5 km. Si ritiene che il Gran
Cono si sia sviluppato gradatamente dopo l’eruzione pliniana del 79 d.C., i cui prodotti
attualmente ricoprono quelli del Somma in tutta la parte meridionale ed occidentale del
complesso vulcanico.
Dal 200 d.C. al 1347 si hanno notizia di circa 20 eruzioni; successivamente il condotto si ostruì
fino all’eruzione di tipo pliniana del 1631. Da allora, si sono alternati periodi di attività
persistente e periodi di stasi; l’ultima eruzione importante è stata quella del 1944. La quasi
totalità delle lave del Somma è rappresentata da tefriti leucitiche basanitiche, caratterizzate
dalla presenza di abbondante leucite ed augite e solo raramente di plagioclasio. Le lave e le
piroclastiti del Vesuvio, invece, sono costituite da tefriti oliviniche leucitiche.
Il Monte Somma è il “relitto” di un più antico edificio alto circa 2000 m formatosi a partire da
37.000 anni (da oggi) per accumuli successivi di prodotti effusivi (lave) ed esplosivi (ceneri,
scorie, pomici).
Esso è stato interessato da alternanza di fasi esplosive e di collassi calderici che hanno
prodotto la “nascita” e la “crescita” del cono del Vesuvio. I versanti del Somma sono
particolarmente acclivi (al di sopra delle quote 180-200 m.l.m.) e solcati da un fitto reticolo
idrografico sviluppato soprattutto nella potente coltre piroclastica che ricopre corpi lavici più
antichi.
Molte di queste incisioni sono percorsi di alvei strada che talora raccolgono e convogliano i
prodotti di frane da scorrimento-colata provenienti dai versanti.
I suddetti versanti si raccordano con la piana circostante del Sebeto, del Sarno e di AcerraNola mediante una estesa fascia (apron) caratterizzata da deboli pendenze e costituita da
accumuli di prodotti piroclastici da caduta e/o flusso piroclastico (in sede e/o rimaneggiati). Il
reticolo idrografico che solca il versante settentrionale è attualmente incanalato artificialmente
(sistema idraulico dei Regi Lagni) ed è caratterizzato dal ripetersi, già dal 1600, di eventi
alluvionali che hanno interessato in particolare i Comuni di San Sebastiano, Sant’Anastasia,
San Giuseppe Vesuviano, Ottaviano, San Gennaro Vesuviano.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Carta geologica e distribuzione dei principali depositi da caduta del Somma- Vesuvio: 1) Lave e (2)
depositi piroclastici prossimali del distretto del Somma-Vesuvio; 3) depositi piroclastici ed alluvionali; 4)
flysch miocenici della Penisola sorrentina; 5) depositi terrigeni mio-pliocenici; 6) Calcari e dolomie
mesozoici; 7) ubicazione di frana da colata rapida (singola), gruppo di frane (8).
LE DORSALI CARBONATICHE
8
INTRODUZIONE
L’intero settore orientale e parte di quello settentrionale del territorio dell’Autorità di Bacino è
caratterizzato dalla presenza di massicci carbonatici con rilievi che raggiungono quote di circa
1600 m s.l.m. (Monti di Avella); essi sono costituiti da potenti monoclinali calcaree, sollevate
per l’azione di faglie regionali attive durante il Plio-Quaternario che hanno interessato il bordo
orientale della Piana Campana (Brancaccio & Cinque, 1988). Da sud a nord queste strutture
sono rappresentate dalla dorsale di Monte Pizzo d’Alvano (1133 m s.l.m.), dai Monti di Lauro
(M. Pizzone 1108 m s.l.m.), dai Monti di Avella (1598 m s.l.m.), dalla dorsale di Monte Fellino
e dai Monti di Caserta (M. Paraturo 927 m s.l.m.).
Gli alti strutturali calcarei sono separati da strette e lunghe valli tettoniche di importanza
regionale (Valle Caudina, Valle del Clanio) solcate da aste torrentizie (Vallone Palata, Lagno
di Avella, Lagno di Quindici).
L’ossatura dei rilievi è costituita da calcari mesozoici prevalentemente giurassici e cretacici
riferibili all’unità stratigrafico-strutturale dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988). Sui
terreni mesozoici sono conservati solo localmente piccoli lembi di flysch miocenici affioranti
presso Forchia, Arpaia e Taurano. Molto più diffusi sono invece i depositi clastici quaternari,
essenzialmente costituiti da brecce di versante, ghiaie di conoide e depositi alluvionali che
riempiono le valli principali e ricoprono le zone di raccordo tra i versanti calcarei e le piane.
Frequentemente sui versanti calcarei sono conservati alcuni metri di depositi piroclastici da
caduta: essi sono riferibili a cineriti e livelli di pomici di provenienza prevalentemente
vesuviana e di età tardo pleistocenica. La distribuzione delle piroclastiti non è omogenea e
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RELAZIONE GEOLOGICA
segue gli originari assi di dispersione delle varie eruzioni vulcaniche. Generalmente, gli
spessori riscontrati sui rilievi calcarei sono maggiori sui versanti settentrionali rispetto a quelli
meridionali e maggiori sulle dorsali più meridionali rispetto a quelle settentrionali. Gli spessori
maggiori sono stati riscontrati sul versante settentrionale di Monte Pizzo d’Alvano (5-7 m) e
sono praticamente nulli sui versanti meridionali dei monti di Caserta.
L’assetto geomorfologico è caratterizzato da versanti di faglia in genere ad elevata acclività
(3035°) spesso incisi da corsi d’acqua susseguenti che, nelle zone di raccordo con le piane,
hanno costruito più generazioni di conoidi. Le più antiche risultano sospese di pochi metri sugli
attuali fondovalle, mentre quelle recenti ed ancora attive interessano spesso centri abitati
(Avella, Quadrelle, Roccarainola, Quindici, Arpaia, Forchia ecc.).
9
INQUADRAMENTO GEOLOGICO E
DELLE DORSALI CARBONATICHE
GEOMORFOLOGICO-STRUTTURALE
Le dorsali carbonatiche dei Monti di Avella-Monte Fellino e dei Monti di Durazzano e Caserta
delimitano, con i loro spartiacque, il limite settentrionale dell’Autorità di Bacino. Su questi rilievi
si impostano due importanti bacini imbriferi (T. Gaudo e T. Carmignano) che hanno recapito
nell’asta principale dei Regi Lagni. Il bacino del Gaudo si sviluppa in gran parte sui monti di
Avella e sulle propaggini settentrionali dei monti di Visciano; esso si suddivide in sottobacini,
tutti a carattere torrentizio (da sud a nord sono quelli dei torrenti: Acqua-longa, Acquaserta,
Clanio, Roccarainola e Sasso).
Il bacino del Carmignano si imposta nella depressione strutturale di Arpaia e riceve piccole
aste torrentizie che solcano il versante settentrionale dei Monti di Cancello- Monte Fellino e
quello meridionale dei Monti di Durazzano-Moiano.
Il bacino si imposta ai margini della grande depressione tettonica della Piana Campana, dove
una serie di gradinate di faglia hanno sollevato le strutture carbonatiche da pochi metri a più di
1000 m s.l.m. Il suo limite segue lo spartiacque di due monoclinali calcaree allineate in
direzione appenninica (NW-SE). La più meridionale si allunga per circa 12 km verso la Piana
Campana e comprende le cime di M. Faitaldo (1067 m) , Pizzo d’Alvano (1133 m) e Monte S.
Angelo (752 m). Quella settentrionale si estende, sempre in direzione appenninica per circa 15
chilometri e comprende le cime di M. Pizzone (1109 m), Pietra Maula (715 m); Monte Donico
(634 m) e Monte Spraghera (473m). Questi ultimi rilievi separano il bacino dell’alveo di
Quindici da quello dell’Acqualonga più a nord.
Il solo settore sudoccidentale del Bacino è impostato, in piccola parte, sulle falde settentrionali
del M. Somma.
Il reticolo fluviale è costituito da un’asta principale, che nasce alle pendici del M. Faitaldo e da
diverse aste poco gerarchizzate e ad alta pendenza, a carattere torrentizio, che si immettono
nell’alveo di Quindici dopo percorsi molto brevi (dai 2 ai 4 km). Le più significative si trovano in
sinistra orografica del bacino e nascono dalla dorsale di Pizzo d’Alvano, tra esse si ricordano i
Valloni di San Francesco, Colafasulo, Cantarella, Troncito, Fontanella, dello Scarico.
I terreni affioranti, fatta eccezione per il settore del M. Somma, sono prevalentemente costituiti
da calcari mesozoici, da locali affioramenti di flysch, da depositi clastici e alluvionali
prevalentemente di conoide. I depositi quaternari sono costituiti anche da prodotti vulcanici di
origine vesuviana e flegrea.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Dal punto di vista morfologico il bacino può essere diviso in diversi ambiti:
- i versanti calcarei, generalmente ad elevata pendenza, legati ad antichi versanti di faglia
modellati per erosione e carsismo;
- i ripiani sommitali dei massicci calcarei legati ad antiche “paelosuperfici” ed ai piani tettonocarsici come Campo Somma;
- le fasce di raccordo al fondovalle dei massicci carbonatici e del Monte Somma;
- il settore a debole pendenza del medio corso del Lagno di Quindici, tra Lauro e Liveri;
- il settore pianeggiante corrispondente al margine orientale della Piana Campana (area di
Saviano, Scisciano, Nola, ecc.).
L’assetto tettonico generale è caratterizzato da importanti faglie regionali, in gran parte sepolte
dalle coltri alluvionali e piroclastiche che hanno ribassato porzioni della catena appenninica a
gradinata verso il graben Campano. Le principali faglie sono quelle che delimitano il versante
settentrionale di Pizzo d’Alvano ed il versante tra Moschiano e Marzano di Nola. Esse sono a
loro volta “tagliate” da faglie trasversali, spesso con caratteri di trascorrenza, come quelle che
delimitano i versanti strutturali di Palma Campania, di Casamarciano e Liveri. Una
testimonianza dei movimenti tettonici subiti dalle strutture carbonatiche è data dalla
dislocazione a varie quote degli stessi ordini di paleosuperfici e di versanti polifasici come ben
evidente, ad esempio, a sud dell’abitato di Quindici.
Nel complesso, lo studio geologico dell’area dei massicci carbonatici ha evidenziato che i vari
sottobacini presentano caratteristiche talora molto diverse in termini di stratigrafia dei terreni di
copertura e di elementi geomorfologici e frane. Per tale motivo si è preferito descriverli in
paragrafi separati.
BACINO DEL TORRENTE CARMIGNANO
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Il Bacino del T. Carmignano delimita il settore nord-orientale del territorio dell’Autorità di
Bacino, comprendendo gran parte della provincia di Caserta e spingendosi fino alla provincia
di Benevento.
Esso è suddivisibile in due ambiti litostratigrafici principali: le unità mesozoiche, costituenti il
substrato carbonatico, e i depositi quaternari di natura vulcanica e detriticoalluvionale.
Inoltre, localmente, si rinvengono esigui affioramenti di unità terrigene mioceniche (flysch).
Il substrato mesozoico è costituito essenzialmente da calcari e dolomie di età giurassica e
cretacica in contatto tra loro stratigraficamente o mediante linee tettoniche. Essi sono definiti e
descritti nella legenda della Carta Geolitologica come CDO, CDA e CDL e vengono attribuiti in
letteratura all’unità stratigrafica dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988). I calcari
giurassici (Dogger-Malm) del substrato ricoprono, per sovrascorrimento, un limitato lembo
dell’unità litostrati-grafica arenaceo-calcareo-marnosa, indicata con la sigla UCP, rinvenuto
nell’ambito del bacino del Carmignano solo tra gli abitati di Arpaia e Forchia.
I depositi quaternari più antichi, presenti nell’area in oggetto, sono di natura vulcanica e sono
rappresentati dalla Formazione dell’Ignimbrite Campana (IC), presente spesso anche in facies
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RELAZIONE GEOLOGICA
massiva (PSa). Affioramenti di questi depositi si conservano, rispettivamente, in
corrispondenza dell’abitato di Forchia e Maddaloni, dove si ritrovano alla base dei versanti.
Depositi vulcanici di origine piroclastica in giacitura primaria ricoprono, invece, le antiche
superfici sommitali dei rilievi o le piane carsiche (indicati in legenda come PSI 2) e si
rinvengono, ad esempio, lungo il confine comunale tra Arpaia e Paolisi.
I depositi vulcanici che hanno subito rimaneggiamento in ambiente alluvionale (indicati con la
sigla PSI1) colmano essenzialmente la piana alluvionale, che si estende dal fondovalle del
territorio di Arienzo fino alla confluenza con la Piana Campana. Depositi di conca endoreica
(Dce in legenda), costituiti da limi e sabbie fini, colmano i pianori tettono-carsici presenti in
corrispondenza dei confini comunali degli abitati di Roccarainola, Paolisi ed Arpaia.
Tra i sedimenti clastici quaternari (in gran parte sepolti) si segnalano i depositi alluvionali che
affiorano essenzialmente con conoidi presenti allo sbocco dei numerosi valloni che dissecano
trasversalmente la valle principale. Lateralmente a questi corpi, ed interdigitati ad essi, si
ritrovano depositi detritici molto diffusi nell’intero bacino, i quali formano ampie fasce di
raccordo tra i versanti ed il fondovalle e vengono indicati in legenda con la sigla Dta.
A ricoprire i rilievi dell’intero bacino in maniera disomogenea sono le coltri piroclastiche, delle
quali vengono rappresentate la distribuzione areale e la classe di spessore nell’elaborato
cartografico specifico, la “Carta delle Coperture”. Dall’analisi di tale elaborato relativo al bacino
del Carmignano appare evidente la notevole variabilità nelle classi di spessore in relazione
all’esposizione dei versanti. Questa differenza è marcata dal particolare orientamento EstOvest della valle principale, che si esplica in un diverso impatto dei processi erosivi nei
confronti dei versanti esposti a Sud rispetto a quelli più “umidi” e ricchi di vegetazione rivolti a
settentrione. In particolare, analizzando la Carta delle Coperture, appare evidente la
differenza, per i comuni di Arienzo, Arpaia e Forchia, tra i versanti settentrionali rispetto a
quelli meridionali; questi ultimi risultano caratterizzati da una classe di copertura piroclastica
omogenea dallo spessore inferire ai 50 cm, che risulta interrotta da estesi affioramenti del
substrato carbonatico (indicato in legenda con la sigla ca). La classe di spessore compresa tra
0.5 e 2 m si rinviene solo in corrispondenza di alcuni impluvi, come il Vallone delle Traverse
ad Arienzo. Tale situazione si verifica anche per i versanti a monte degli abitati di Cervino e
Santa Maria a Vico, anch’essi esposti a Sud. La classe di spessore compresa tra 0.5 e 2 m
risulta, invece, predominante lungo i versanti settentrionali, dei quali quelli con morfologia più
concava appaiono interessati anche da spessori maggiori (2 - 5 m) come nel comune di San
Felice a Cancello.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
La valle del Carmignano costituisce una depressione a controllo strutturale dettata dai
principali sistemi tettonici che hanno interessato l’area in oggetto. La componente principale,
collegata al regime compressivo, avrebbe originato la valle principale (in direzione Est-Ovest),
mentre i successivi movimenti distensivi con andamento NW-SE avrebbe dettato la
susseguenza di numerose valli tributarie secondo le principali linee tettoniche. Tra queste
molto evidenti appaiono Vallone Tana dell’Orso ad Arienzo, Vallone S. Berardo ad Arpaia, il
Valloncello a Forchia, Fosso Vittoria a Cervino, etc.
Queste valli sono percorse da corsi d’acqua a carattere torrentizio che hanno dissecato i
numerosi versanti di faglia generatisi per azione della tettonica quaternaria. Tali movimenti
tettonici sono stati, inoltre, causa della dislocazione a diverse quote del paesaggio
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RELAZIONE GEOLOGICA
subpianeggiante modellatosi durante le fasi di stasi tettoniche plioceniche (Brancaccio e
Cinque 1988) per erosione carsica e fluviodenudazionale. Relitti di queste paleosuperfici si
rinvengono in corrispondenza dello spartiacque orografico in località Le Traverse, Monte
Burrano, Piana di Airola, che risultano sviluppati tra le quote 710 e 750 m. Alcune di queste
piane orografiche hanno subito poi una evoluzione di tipo carsico (Piano Maggiore e Piano del
Pozzo). Altri lembi di questi relitti morfologici sono ampiamente diffusi nell’ambito del bacino e
rappresentano la testimonianza di movimenti tettonici verticali che li hanno dislocati a quote
diverse con rigetti dell’ordine anche del centinaio di metri.
Queste superfici piane si collegano al fondovalle tramite versanti molto acclivi, i quali risultano
dall’erosione rettilineo-parallela di antichi specchi di faglia, testimoni dell’intensa attività della
tettonica quaternaria. La forte componente tettonica è, inoltre, rappresentata dai numerosi
corsi d’acqua susseguenti, che hanno dato origine a diverse confluenze fluviali a controllo
strutturale (gomiti) derivanti dall’intersezione delle due componenti tettoniche principali,
orientate NW-SE e NE-SW. Vengono riportati a titolo di esempio il Vallone Piano Grande, il
Vallone Puntarelle ed il Vallone Tana dell’Orso.
Questi valloni si raccordano al fondovalle attraverso una serie di conoidi alluvionali recenti,
che rappresentano il risultato degli intensi processi erosivi esplicatisi nell’ambito dei diversi
sottobacini soprattutto durante le fasi glaciali del tardo Quaternario. Molto spesso i conoidi
alluvionali più sviluppati sono sede degli insediamenti urbani lungo il fondovalle, i quali
vengono a trovarsi in situazioni di rischio in relazione alle possibili fasi di alimentazione da
parte dei bacini a monte per fenomeni di alluvionamento. Centri abitati che sorgono su tipici
conoidi alluvionali sono Arpaia, Forchia, Santa Maria a Vico, Arienzo e la frazione di Rosciano.
Alla base dei versanti regolari, lateralmente ai conoidi alluvionali, sono presenti estese fasce
detritiche di raccordo con la piana sviluppatesi per processi di erosione areale lungo i versanti,
che vengono indicati sulla Carta geomorfologica con il simbolo generico di glacis eluviocolluviale.
La presenza di una coltre piroclastica è determinante per l’innesco di frane del tipo colata
rapida; in particolare, il versante settentrionale della Dorsale di Monte Fellino è stata
interessata da numerosi fenomeni franosi in occasione dell’evento pluviometrico verificatosi il
5 maggio 1998. I suddetti fenomeni hanno mobilizzato spessori rilevanti delle coperture
piroclastiche, dell’ordine di alcuni metri, investendo alcuni insediamenti e strutture ubicate
nell’area pedemontana.
Nel territorio di Forchia, le colate hanno mobi-lizzato una copertura più ridotta e pertanto sono
caratterizzate da un minore sviluppo, arrestandosi nel letto degli alvei ove si erano incanalate.
Così come riportato nella Carta geomorfologica,tracce di altri eventi franosi del tipo colata,
verificatesi nei territori di Arienzo e Paolisi, conservano ancora una certa evidenza
morfologica. Lungo i rilievi privi di coperture piroclastiche, in corrispondenza di ripidi salti di
pendenza o di fronti di cave non più attive, sono diffusi i fenomeni di crollo, riportati nella carta
geomorfologica nei comuni di Forchia (S.P. Forchia-Arienzo), Cervino (Messercola).
MONTI DI DURAZZANO E CASERTA
La dorsale dei Monti di Durazzano e Caserta si sviluppa lungo la congiungente le cime di
Monte Serrone (431 m), Monte Calvi (529 m ) e Monte S. Michele (427 m) e, pur essendo
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RELAZIONE GEOLOGICA
adiacente al Bacino del Carmignano, rappresenta un contesto da esso indipendente, legato
dal punto di vista idrografico direttamente alla Piana Campana.
La genesi della dorsale è sicuramente dettata da un controllo strutturale, particolarmente
evidente dall’andamento in direzione appenninica NW-SE dei rilievi che la costituiscono, i quali
sono formati da calcari di età cretacica (indicati in legenda come CDA e CDL) in contatto tra
loro mediante linee di faglia orientate principalmente in direzione NE-SW.
I suoi versanti si presentano particolarmente acclivi e risultano dissecati da impluvi di primo o
secondo ordine gerarchico, che danno origine ad un pattern generale di tipo parallelo. Tali
incisioni hanno un andamento rettilineo a regime effimero, perdendosi molto spesso nei
depositi clastici presenti alla base dei versanti.
I depositi di raccordo tra i versanti e la pianura vera e propria sono costituiti da detrito di
versante di natura calcarea e materiale piroclastico rimaneggiato da processi di erosione che
si esplicano sui versanti. Queste fasce di raccordo vengono riportate nella Carta
geomorfologica con il simbolo di glacis di accumulo alluvio-colluviale. Il materiale clastico, allo
sbocco degli impluvi, lascia il posto a conoidi alluvionali di limitata estensione, che riflettono
l’elevata immaturità morfologica dei bacini che li alimentano. Laddove i processi di erosione
dei corsi d’acqua non hanno consentito lo sviluppo di conoidi alluvionali, il glacis di accumulo è
stato contrassegnato da un simbolo aggiuntivo, che indica possibili fenomeni di deiezione
verificabili lungo le fasce di raccordo versante-fondovalle.
I versanti di questa dorsale risultano quasi completamente privi di coltre piroclastica, la quale
si è conservata essenzialmente in corrispondenza di concavità morfologiche o di linee di
impluvio (valloni di Santa Barbara e di Staturano). Di conseguenza il substrato carbonatico
risulta quasi totalmente affiorante e, per tale motivo, è stato sfruttato dall’uomo per attività
estrattive, le quali costituiscono l’elemento antropico principale che caratterizza la morfologia
generale della dorsale. Le aree di cava sono state rappresentate in Carta Geomorfologica e
Geolitologica.
Esse sono state riportate anche sulle carte di suscettibilità all’innesco di fenomeni franosi, con
una simbologia particolare che fa riferimento alla verifica delle condizioni di stabilità dei fronti.
Gli stessi areali di cava figurano anche nelle carte di suscettibilità all’invasione e nelle carte del
rischio, nelle quali essi vengono definiti come zone in cui il livello di rischio potrà essere
definito in base ad indagini di dettaglio.
La mancanza di una coltre piroclastica spessa e continua si traduce in una diversa
predisposizione del territorio all’innesco di fenomeni franosi. Infatti, lungo la dorsale in oggetto,
la possibilità che si verifichino frane del tipo colata rapida è limitata a zone abbastanza ridotte,
che coincidono spesso con valloni o con settori di versante a morfologia concava. Per tale
motivo le frane maggiormente prevedibili sul territorio sono rappresentate da fenomeni di
crollo riportati, così come le colate rapide, sulla Carta Geomorfologica. Ad incrementare la
suscettibilità di quest’area a frane del tipo crollo in roccia, è la presenza diffusa sul territorio di
fronti di cava, alcuni dei quali anche in stato di abbandono.
Un esempio di situazioni del genere è fornito dalla presenza di crolli in corrispondenza della
località Torre Inferiore nel territorio di Maddaloni, che risulta essere un tipico esempio di area
di cava non più attiva.
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RELAZIONE GEOLOGICA
IL VERSANTE MERIDIONALE DI MONTE FELLINO
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
La dorsale di Monte Fellino si estende con direzione Est – Ovest al margine settentrionale
della Piana Campana, all’incirca compresa tra gli abitati di S. Felice a Cancello, Sasso e
Cancello.
Essa è costituita da una potente successione carbonatica meso-cenozoica appartenente
all’unità stratigrafico-strutturale Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988); di seguito, nella
descrizione stratigrafica della successione, si farà riferimento alle denominazioni adottate nella
legenda della Carta geolitologica.
Pertanto, nell’ambito della successione carbonatica di età meso-cenozoica, che costituisce il
“substrato carbonatico” dell’area, i terreni più antichi affioranti sono costituiti dai Calcari di
Monte Fellino (età: Lias), cioè da calcari micritici, talora oncolitici, calcari dolomitici in strati
medi e spessi, di colore dal grigio all’avana, con intercalate dolomie grigie. Sovente tale
formazione si presenta fortemente fratturata e, localmente, cataclasizzata. I Calcari di Monte
Fellino affiorano nel settore orientale della dorsale; la giacitura degli strati è rivolta, nel
complesso, verso i quadranti orientali.
Verso l’alto della successione stratigrafica, si passa a una successione calcarea e
calcareodolomitica (CDO nella Carta geolitologica), comprendente calcareniti dolomitiche
grigie a elementi olitici, doloareniti bianche e grigie a grana molto fine, calcareniti a grana
medio fine laminate a elementi detritici e scheletrici, di età compresa tra il Dogger e il Malm.
Sui calcari giurassici poggia la formazione dei Calcari di Avella (CDA nella Carta geolitologica)
età: Berrasiano - Aptiano, costituiti da calcari avana chiaro generalmente ben stratificati, ai
quali si intercalano calcari biomicritici.
A tetto dei Calcari di Avella sono presenti i Calcari di Lauro (Aptiano-Santoniano, CDL nella
Carta geolitologica), costituiti da calcari e calcari dolomitici di colore grigio, biancastro o avana,
con frequenti intercalazioni di dolomie grigie.
Lungo il settore inferiore del versante meridionale della dorsale di Monte Fellino sono presenti
depositi sedimentari e vulcanoclastici di età quaternaria, clinostratificati, nell’ambito dei quali
sono stati riconosciuti e descritti in bibliografia:
- brecce di versante di età pleistocenica connesse alla degradazione, erosione e arretramento
del versante di faglia;
- livelli di sabbie litorali e puddinghe ben cementate, di ambiente marino, “sospesi” a quote
comprese tra i 30 ed i 60 m s.l.m., riferite a due distinte fasi altopleistoceniche di
sedimentazione in ambiente marino (risp. 126.000 anni da presente e 55.000 anni dal
presente in Romano et al., 1994) e altrettante fasi di sollevamento della dorsale;
- sequenza di ghiaie alluvionali, colluvioni e livelli piroclastici comprendenti i prodotti
dell’eruzione delle “Pomici basali”(età circa 18.000 anni dal pre-sente), di Mercato (età 8.000
anni circa dal presente), di Avellino (età 3.700 anni dal presente). Nella parte medio alta del
versante i depositi sedimentari si riducono fino ad annullarsi; le coperture vulcanoclastiche si
presentano generalmente con esiguo spessore, inferiore a 0.5 m, fino a annullarsi del tutto nei
settori maggiormente acclivi (cfr. Carta delle Coperture).
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RELAZIONE GEOLOGICA
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
L’assetto morfologico del versante meridionale risulta caratterizzato da versanti
moderatamente acclivi a profilo concavo-rettilineo nel settore più occidentale (prossimo a S.
Felice) dove culmina a 470 m s.l.m., e da versanti da ripidi a molto ripidi a profilo irregolare,
talora convesso, nel settore orientale dove vengono raggiunte le quote più elevate (M.
S.Angelo a Palomba 620 m s.l.m. e M. Fellino 668 m s.l.m.).
Lungo le aree di versante sono diffuse forme connesse ai processi di dissoluzione carsica, tra
le quali è evidente la dolina di sprofondamento ubicata in località Serra Valle.
La continuità del profilo del versante è frequentemente interrotta, nel settore inferiore del
versante, dalla presenza di aree di cava molto estese, con fronti di altezza pari a diverse
decine di metri.
Il settore di piana a ridosso della dorsale presenta un andamento morfologico regolare,
debolmente ondulato, con quote comprese tra 35 e 55 m s.l.m.; il contrasto morfologico tra
l’area di piana e la dorsale carbonatica è reso ancora più evidente dalla presenza di una fascia
di raccordo pedemontana poco sviluppata.
Numerose incisioni solcano le aree di versante; esse presentano sviluppo longitudinale
modesto e risultano maggiormente approfondite quando impostate su lineamenti di origine
strutturale. Una volta raggiunta la piana, le acque superficiali si infiltrano nel sottosuolo senza
raggiungere il lagno di Avella.
L’assetto strutturale si caratterizza per la presenza di:
a) - una struttura a carattere compressivo, con direzione Nord-Sud circa e vergenza
Ovest, interpretata come sovrascorrimento, che determina la sovrapposizione dei
terreni appartenenti alla unità dei Calcari e Calcari dolomitici di età giurassica su
quelli calcarei di età cretacica;
b) - un sistema di faglie bordiere dirette, ad andamento appenninico, responsabili del
sollevamento dell’horst della dorsale, sepolte nella piana da una potente sequenza
di depositi vulcano-sedimentari di età quaternaria, e un sistema di faglie dirette a
direzione prevalente Nord – Sud che determina la disarticolazione delle strutture
suddette.
Le
testimonianze
più
evidenti
delle
vicende
neo-tettoniche
e
climatiche
pleistocenico/oloceniche sono rappresentate da depositi marini “sospesi” sul versante, a una
quota di diverse decine di metri rispetto al livello attuale del mare, e da un glacis
alluviocolluviale post-tirreniano al piede della dorsale, all’interno del quale si sono accumulati
anche i depositi connessi alla attività vulcanica dei centri eruttivi flegrei e vesuviano.
La dinamica morfologica più recente delle aree di versante è stata caratterizzata, nel
complesso, da un’accentuata erosione delle coperture vulcanoclastiche accumulatesi sul
versante meridionale, pertanto esse risultano confinate alle aree relativamente meno acclivi
poste nel settore sommitale e nelle aree esposte verso i quadranti occidentali e orientali. In
effetti le coperture piroclastiche sono oggi presenti in maniera limitata e con spessori inferiori a
50 cm; per tale motivo, non si segnalano lungo il versante meridionale della dorsale di M.
Fellino fenomeni franosi rilevanti anche se l’assetto morfologico è marcato da acclività
accentuate ed elevata energia di rilievo. Le frane verificatesi negli ultimi anni hanno
interessato, in effetti, le coperture presenti nel settore mediano ed inferiore del versante.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Infine, frane da crollo di limitate dimensioni interessano le balze rocciose presenti lungo il
versante.
Lungo il settore inferiore del versante meridionale della dorsale di M. Fellino sono presenti numerose cave in attività.
La coltivazione delle cave avviene mediante abbattimento con esplosivo lungo gradoni, aventi
altezza di 20 – 25 m, separati da “pedane” funzionali al passaggio dei mezzi meccanici larghe
circa 10 m. La pendenza media dei fronti è di circa 60°; al piede del fronte è presente un
ampio piazzale dove viene accumulato il materiale abbattuto, successivamente inviato
all’impianto di frantumazione e classificazione.
Nei confronti della dinamica morfologica, le aree di cava costituiscono un’unità morfologica
con caratteristiche precipue.
Infatti, relativamente alla suscettibilità all’inne-sco di frane da crollo, l’elevata acclività delle
pareti nonché il metodo di coltivazione, possono costituire fattori di incremento della
suscettibilità; per tale motivo le pareti di cava costituiscono settori ove effettuare studi di
dettaglio al fine di verificare le condizioni di stabilità. Relativamente alle frane da colata che
possono verificarsi nelle aree a monte delle cave, e, più in generale a fenomeni di
ruscellamento e trasporto solido, le aree di cava possono costituire settori di possibile
invasione.
IL BACINO DEL LAGNO DI SASSO E IL BACINO DEL LAGNO DI ROCCARAINOLA
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Il bacino del lagno di Sasso e il bacino del lagno di Roccarainola si estendono nel settore
centromeridionale della dorsale Monti di Avella-Monte Fellino, dorsale che delimita a Nord- Est
la PianaCampana.
Essi sono costituiti da una potente successione carbonatica meso-cenozoica appartenente
alla unità stratigrafico-strutturale Monti Picentini-Ta-burno (Bonardi et al., 1988).
Sul substrato carbonatico poggiano in discordanza angolare, i depositi di copertura di età quaternaria. Di essi, i più antichi affiorano in sinistra orografica del lagno di Sasso, e sono costituiti
dai Conglomerati e Brecce del T. Clanio e di Masseria Marchese (Di Vito et al., 1998). Tali
depositi formano una potente sequenza di conglomerati a clasti carbonatici di dimensioni
comprese tra il dm3 e il m3 con scarsa matrice e a cemento calcitico.
Sui Conglomerati del T. Clanio e della Masseria Marchese poggia una articolata sequenza di
depositi sedimentari e vulcanici. I primi comprendono depositi alluvionali antichi, rappresentati
da ghiaie poligeniche in banchi e strati talvolta con matrice sabbioso-limosa, sabbie
poligeniche e limi argillificati in strati di spessore decimetrico, con intercalati livelli di piroclastiti
rimaneggiate, e depositi alluvionali recenti e attuali, rappresentati da sabbie e sabbie limose
grigio chiare, ghiaie poligeniche a matrice sostenuta e con scarso cemento.
I depositi vulcanici, intercalati a quelli alluvionali nelle aree di fondovalle, comprendono i
prodotti delle eruzioni flegree e vesuviane.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Tra essi, il più antico è costituito dalla formazione dell’Ignimbrite Campana, presente nel
territorio del bacino del lagno di Sasso in affioramenti molto limitati (non cartografabili alla
scala di restituzione della carta geolitologica).
A tetto dell’I.C. sono presenti i prodotti delle eruzioni protostoriche del Somma Vesuvio (“Pomici di base” relative alla eruzione di Sarno, avvenuta circa 18.000 anni dal presente; eruzione
delle Pomici Verdoline, avvenuta circa 15.000 anni dal presente; eruzione di Mercato – nota
come eruzione di Ottaviano – età 8.000 anni dal presente; eruzione di Avellino, età 3.700 anni
dal presente). Prodotti più recenti, sono quelli relativi alle eruzioni di Pollena (472 d. C.) e del
1631.
I depositi piroclastici colmano le depressioni tettono-carsiche presenti sulla sommità dei rilievi
e formano coperture pressoché continue sulle aree di versante.
Gli spessori delle coperture vulcanoclastiche riscontrate nelle aree di versante del bacino del
lagno di Sasso e del lagno di Roccarainola (cfr. Carta delle Coperture), sono talora rilevanti
(compresi tra 2 e 5 m), e generalmente compresi tra 0.5 e 2 m.
Soltanto lungo i settori maggiormente acclivi affiora il substrato carbonatico privo di coperture.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
Il disegno del reticolo idrografico superficiale del bacino del lagno di Sasso presenta un
pattern di tipo convergente, dato da corsi d’acqua di modesto sviluppo longitudinale (2-3 km) e
basso ordine gerarchico (2° - 3° ordine) tra cui il Vallone Festola e il Lagno Agnone. Questi
confluiscono in una asta principale, il lagno di Sasso, che prende il nome dal paese omonimo,
a valle del quale il lagno si immette nel lagno di Avella.
Il reticolo idrografico del bacino del lagno di Roccarainola presenta un pattern di tipo sub
parallelo, con aste torrentizie, anche in questo caso, di modesto sviluppo longitudinale e basso
ordine gerarchico, delle quali la principale è il Vallone delle Rane.
Nel settore inferiore del tratto montano, il lagno di Roccarainola attraversa un’area di cava,
all’interno della quale l’alveo è in parte confinato da argini in muratura, e in parte soggetto a
frequenti modifiche e alterazioni per effetto delle attività in corso.
L’assetto tettonico generale è caratterizzato dalla presenza di più sistemi di faglie dirette, tra i
quali prevalgono quelli ad andamento “appenninico” e “antiappenninico” che determinano la
disarticolazione del substrato carbonatico in blocchi, oltre che il generale ribassamento verso
la piana, secondo un sistema a “gradinata”.
Le fasi neotettoniche pleistoceniche hanno determinato, successivamente, lo smembramento
di paleosuperfici e la creazione di versanti di faglia caratterizzati da rigetti di molte centinaia di
metri, inclinazioni medie di 30° – 35°, il rinvigorirsi dei fenomeni di erosione, con conseguente
accumulo di potenti depositi costituiti da brecce e conglomerati (unità di Masseria Marchese e
T. Clanio) e l’ap-profondimento del reticolo fluviale.
La dinamica morfologica attuale comprende fenomeni di erosione, trasporto e accumulo, le cui
evidenze geomorfologiche sono date da alcuni conoidi alluvionali presenti in particolare in
sinistra orografica del Lagno di Sasso, in località Materno; in questo settore fenomeni di
rilevante intensità si sono avuti in concomitanza dell’evento pluviometrico della prima decade
del mese di ottobre 2000.
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RELAZIONE GEOLOGICA
La presenza di livelli di piroclastiti rimaneggiate all’interno dei depositi alluvionali costituisce
indizio della età olocenica dei conoidi su alcuni dei quali sorgono centri abitati, come quelli di
Sasso e Roccarainola.
In corrispondenza del conoide di Sasso l’asta torrentizia risulta soggetta, in occasione degli
eventi meteorici più intensi e/o prolungati, ad una dinamica fluviale ad alta energia, elevato
trasporto solido e conseguenti fenomeni di esondazione dagli argini, mentre l’alimentazione
del conoide di Roccarainola risulta in parte limitata per effetto dell’ampliamento della attività
estrattiva presente a monte dell’abitato.
Nella suddetta area di cava, l’elevata acclività delle pareti e il metodo di coltivazione possono
costituire fattori di incremento della suscettibilità all’innesco di crolli. Per tale motivo le pareti di
cava vengono definite come un settore ove effettuare studi di dettaglio al fine di verificare le
condizioni di stabilità.
Le frane da colata rapida presenti nel territorio del bacino del lagno di Sasso sono poco
numerose; esse sono caratterizzate da dimensioni e spessori mobilizzati modesti, ad
eccezione di quella attiva-tasi in località Costarelle (bacino del Lagno di Roccarainola),
caratterizzata da un notevole sviluppo lineare (circa 2 Km), ancorchè da volumi mobilizzati
ridotti. Relativamente alle frane da colata che possono verificarsi nelle aree a monte delle aree
di cava, quest’ultime costituiscono settori di possibile invasione.
I SOTTOBACINI DEI TORRENTI ACQUALONGA, ACQUASERTA E CLANIO
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Il territorio corrispondente ai sottobacini dell’Acqualonga e dell’Acquaserta, che confluiscono
nell’area pianeggiante nel torrente Sciminaro, è delimitato da rilievi collinari e montuosi le cui
quote variano tra i circa 500 m s.l.m. di cima “Il Serrone”, nel territorio comunale di Sperone, ai
circa 1100 m s.l.m. di Monte Cucuruzzo, nel comune di Mugnano del Cardinale, fino ai circa
1365 m s.l.m. di Toppola Grande, al confine tra Avella e Quadrelle. Viceversa, la valle del
torrente Clanio è delimitata verso sud dai rilievi di Toppola Grande (1365 m s.l.m.) e Monte
Campimma (670 m s.l.m.) e verso nord dalla dorsale carbonatica dei Monti di Avella che, con
le cime di Croce Puntone (1490 m s.l.m.), Monte Ciesco Alto (1360 m s.l.m.), Monti di Avella
(1599m s.l.m.), Tuppo Tuotolo (1220 m s.l.m.) e Monte Vallatrone (1515 m s.l.m.), corrisponde
anche al confine nord-orientale del territorio di pertinenza dell’Autorità di Bacino.
I rilievi si impostano nella successione carbonatica meso-cenozoica di piattaforma attribuita
all’Unità litostratigrafia dei Monti Picentini-Taburno (Bonardi et al., 1988) e risultano
attualmente interessati da una tettonica disgiuntiva (Patacca & Scandone, 1989). I terreni più
alti stratigraficamente sono costituiti da calcari grigi, biancastri o avana, affioranti in strati e
banchi nella gran parte dell’area di interesse. Questi terreni corrispondono ai “Calcari e calcari
dolomitici di Lauro”della legenda della carta geolitologica ed hanno età Aptiano-Santoniano.
Lungo i versanti che insistono sul bacino dell’Acquaserta e del Clanio, viceversa, affiorano
anche depositi carbonatici denominati “Calcari di Avella”, di età Aptiano pp.-Berriasiano pp.,
costituiti da calcari di colore avana chiaro, ben stratificati. Tale successione litostratigrafica
prosegue, verso il basso, con un’alternanza di dolomie cristalline grigie, calcari micritici e
biomicritici.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Infine, lungo il versante orientale di Campo Maggiore, nel comune di Mercogliano, e lungo i
versanti ricadenti nel bacino del torrente Clanio affiorano i termini più bassi della successione
carbonatica costituiti da calcareniti dolomitiche di colore grigio ad elementi oolitici di ambiente
da intertidale a sublittorale del Dogger-Malm.
A luoghi, lungo i versanti della valle del torrente Clanio affiorano depositi di età Pleistocene
medio-inferiore costituiti da conglomerati e brecce, talora stratificati, ad elementi calcarei
eterometrici immersi in una matrice calcareo-marnosa, con cemento calcitico, che
rappresentano antichi glacis sollevati alle attuali quote da fasi tettoniche sin o postdeposizionali.
Viceversa, nella zona sub pianeggiante compresa tra il torrente Clanio ed il centro abitato di
Avella, affiorano depositi alluvionali terrazzati del Pleistocene superiore e depositi di conoide
costituiti da ghiaie poligeniche, a luoghi con matrice sabbioso-limosa, sabbie limose e limi
argillificati, da brecce calcaree, argille e piroclastiti rimaneggiate.
Sovrapposti stratigraficamente all’unità carbonatica di piattaforma, su tutto il territorio dei
sottobacini in esame, poggiano con contatti discordanti terreni di età Pleistocene superioreOlocene rappresentati da depositi detritici di versante, da depositi di conca endoreica (campi
carsici di Campo Maggiore, Valle del Conte e Campo di Summonte-San Giovanni) e da
depositi piroclastici indifferenziati e differenziati. I primi sono distinti in depositi prevalentemente rimaneggiati (PSI1), affioranti nelle piane alluvionali e nelle zone di fondovalle, e in
depositi in giacitura primaria (PSI2), stratificati o massivi, costituiti da ceneri, pomici e lapilli
affioranti soprattutto in corrispondenza delle spianate sospese e/o sommitali dei versanti,
come l’esteso affioramento presente sul piano carsico di Visciano.
I depositi piroclastici differenziati, non cartografati sulla carta geolitologica, sono rappresentati
da sequenze piroclastiche attribuibili agli eventi vulcanici dell’attività del Somma-Vesuvio, e
riferibili, in particolare, alle eruzioni di Mercato (8.000 anni fa) ed Avellino (3.700 anni fa), cui si
intercalano paleo-suoli ben sviluppati e maturi. Tali successioni, nel lo-ro complesso, sono
cartografate in dettaglio sulla carta delle coperture nell’ambito della quale sono state
individuate quattro distinte classi di spessore, oltre ad aree con calcare affiorante (ca) e zone
di denudamento per frana (ADF). Nello specifico, la coltre piroclastica fa registrare spessori
ricadenti prevalentemente nella classe 2-5m, nel caso dei versanti relativi al bacino
dell’Acqualonga, e nella classe 0,5-2m per i versanti relativi al sottobacino dell’Acquaserta;
mentre, con riferimento all’area del torrente Clanio la coltre piroclastica fa registrare spessori
ricadenti prevalentemente nella classe 0,5-2m e, subordinatamente, nella classe 2-5m.
Sono da segnalare anche affioramenti della formazione dell’Ignimbrite Campana rilevabili, tra
l’altro, lungo l’incisione dell’Acqualonga con spessori di circa 20-30 metri. A luoghi, sovrapposti
alla formazione del Tufo Grigio Campano, affiorano spessori di pochi decimetri di depositi
cineritici massivi, generalmente alterati, noti localmente come “Cretone” e “Durece” (PSa).
Infine, tra i depositi olocenici si ricordano quelli alluvionali recenti ed attuali, costituiti da
sabbie, sabbie limose e ghiaie poligeniche affioranti nelle aree di piana del torrente Sciminaro,
derivato dalla confluenza tra il torrente Acqualonga ed il torrente Acquaserta, nonché depositi
di conoide costituiti da sabbie, sabbie limose e ghiaie poligeniche affioranti nelle aree di piana
corrispondenti, in particolare, agli abitati di Avella, Quadrelle e Mugnano del Cardinale.
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RELAZIONE GEOLOGICA
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI DEL SOTTO-BACINO DEI TORRENTI ACQUALONGA
E ACQUASERTA
Le incisioni in cui si impostano i torrenti Acqualonga ed Acquaserta sono impostate lungo
lineamenti tettonici orientati in direzione SW-NE prevalente ed in cui confluiscono numerose
incisioni laterali, le più significative delle quali sono rappresentate dal lagno di Trulo o
Cantarelli e dal Vallone S. Michele, anch’essi a controllo strutturale ed orientati N-S ed E-W.
L’attuale assetto morfostrutturale dell’area è il risultato delle vicende tettoniche plioquaternarie
che hanno smembrato gli originari rilievi attraverso sistemi di faglie con direzioni preferenziali
NW-SE e NE-SW. Relitti delle originarie morfologie sono rappresentati da lembi di
paleosuperfici rilevabili sui versanti. Oltre alle paleosuperfici sommitali, risultato delle fasi di
spianamento di origine carsica che hanno agito durante le fasi di surrezione della catena, sono
presenti anche importanti campi carsici come quelli di Campo Maggiore, di Valle del Conte e
di Visciano.
I versanti fanno registrare pendenze mediamente di 30° e la loro evoluzione geomorfologica è
avvenuta secondo meccanismi di “slope replace-ment”. Le zone di raccordo pedemontane
sono caratterizzate dalla presenza di una fascia di glacis di accumulo di origine alluviocolluviale prodotta da processi denudazionali che hanno coinvolto i depositi della coltre
piroclastica affiorante sui massicci carbonatici. Allo sbocco dei valloni a regime torrentizio nelle
aree di piana sono evidenti morfologie e depositi associabili ad eventi alluvionali (conoidi)
distinti in almeno due generazioni:
- conoidi di prima generazione sono quelli più antichi, attualmente non più attivi e
generalmente reincisi da eventi successivi. Sono costituiti da ghiaie ad elementi calcarei a
spigoli sub-arrotondati a luoghi cementate, e le loro morfologie hanno pendenze del 10-15%;
- conoidi di seconda generazione sono quelli recenti, ancora oggi attivabili da eventi alluvionali
e generalmente costituiti da depositi sabbiosi e sabbioso limosi, tranne che nelle zone apicali
dei corpi di conoide di maggiori dimensioni (come quelli in corrispondenza dell’abitato di
Quadrelle, per il Vallone Acquaserta, ed in corrispondenza di Mugnano del Cardinale, allo
sbocco del Vallone S. Michele) ove si rilevano soprattutto livelli grossolani (ghiaie calcaree con
blocchi di dimensioni decimetriche).
Inoltre, si sottolinea che in alcuni casi, (vedi il conoide cartografato allo sbocco del vallone di
Fontana di Sperone), seppur considerati attivi in senso geologico, i corpi alluvionali sono da
ritenere attualmente inattivi per le mutate condizioni di alimentazione, a seguito di
modificazioni antropiche del territorio. In particolare, l’apertura di aree di cava in prossimità
dello sbocco in piana dei valloni che li hanno alimentati, ha comportato l’intercet-tazione delle
acque defluenti lungo le aste torrentizie, che risultano così raccolte nelle cave stesse.
Sulla carta geomorfologica sono state ubicate anche le frane, sia come corpi cartografabili che
come eventi non cartografabili. Esse sono state classificate secondo quanto riportato dalla
letteratura ufficiale (Varnes, 1978; Cruden e Varnes 1996), sia per le tipologie che per lo stato
di attività. Nell’area in esame le tipologie ricorrenti sono quelle delle colate rapide di fango e
delle frane complesse del tipo scorrimento-colata. In entrambi i casi sono coinvolti i depositi
delle coltri piroclastiche con spessori mobilitati generalmente inferiori al metro.
Inoltre, le zone di distacco fanno mediamente registrare pendenze di 32°. Gli eventi franosi si
innscano generalmente lungo i versanti che insistono sulle incisioni torrentizie che dissecano i
rilievi carbonatici e lungo le quali si incanalano percorrendo anche distanze elevate. Laddove
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RELAZIONE GEOLOGICA
invece sono presenti scarpate sub-verticali impostate nelle rocce calcaree sono state rilevate
poche decine di frane da crollo che hanno coinvolto volumi limitati di roccia.
Gran parte dei fenomeni franosi da colata rapida riconosciuti sono connessi principalmente
agli eventi piovosi del maggio 1998 e del dicembre 1999. Si sottolinea, inoltre, che le frane
cartografate come “da segnalazione”, ad esempio quelle presenti lungo i versanti di Bosco di
Arciano e quelli settentrionali di Monte Faggeto, corrispondono a “tracce di eventi franosi”
segnalate da Enti e come tali riprese in questo studio di dettaglio.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI DEL SOTTO-BACINO DEL TORRENTE CLANIO
La Valle del torrente Clanio si sviluppa in una depressione profondamente incisa, a controllo
strutturale, con andamento E-W. I versanti che la bordano sono costituiti da versanti di faglia,
evoluti secondo il modello di “slope replacement”, reincisi trasversalmente da numerosi impluvi
torrentizi, in alcuni casi anche molto incisi, con basso grado di gerarchizzazione e da testate di
ventaglio poco sviluppate. Sono state osservate, inoltre, anomalie del reticolo idrografico in
corrispondenza delle quali il materiale di frana potrebbe abbandonare l’alveo (punti di crisi).
I versanti in roccia hanno acclività medie di 3Ø°, ma anche pareti sub-verticali a controllo
strutturale e/o dovute a morfoselezione sulla cui sommità, o sospesi a mezza costa, sono
presenti lembi relitti di antiche superfici di erosione a debole pendenza. Di rilievo la
depressione carsica aperta di Campo di Summonte-San Giovanni in corrispondenza della
quale si individua anche l’area di testata del torrente Clanio.
Nelle zone di raccordo tra i versanti e la sottostante piana è presente una fascia di depositi
eluvio-colluviali a costituire il glacis di accumulo. In particolare, nel settore pedemontano ad
ovest del gomito del torrente Clanio, corrispondente alla località Cerreto-Campopiano, come
conseguenza degli intensi eventi erosionali che hanno interessato i versanti è stata individuata
una estesa fascia detritico-colluviale. Essa è costituita da materiale prevalentemente ghiaioso
di varia granulometria, proveniente dalla disgregazione del complesso calcareo, e da una
doppia generazione di conoidi, di età tardo Pleistocene – Olocene, di origine detriticopiroclastica ed alluvionale, incastrate tra loro (Di Vito et al., 1998). Una prima generazione di
conoidi è costituita da ghiaie e blocchi carbonatici immersi in matrice piroclastica
rimaneggiata, incisi nella zona apicale e sormontati da una seconda generazione di conoidi,
tuttora attivi. Questi sono caratterizzati dalla netta prevalenza di materiale vulcanoclastico
rispetto al materiale clastico carbonatico, il quale può raggiungere anche dimensioni
decimetriche.
Tuttavia, il principale e più esteso conoide attivo del sottobacino in questione è quello su cui si
sviluppa l’abitato di Avella, in corrispondenza della confluenza del torrente Clanio nella
antistante piana alluvionale.
Marginalmente alle aree di conoide, inoltre, sono stati cartografati anche “settori di glacis
alluvio-colluviali interessati da diffusi fenomeni di deiezione” testimonianti la presenza di
fenomeni di trasporto solido da alluvionamento di moderata intensità.
Le tipologie di frana individuate per l’area in esame, innescatesi prevalentemente in occasione
degli eventi piovosi del maggio 1998 e del dicembre 1999, sono rappresentate da colate
rapide di fango che hanno mobilizzato, per spessori inferiori al metro, le coltri piroclastiche
affioranti sui versanti carbonatici, con pendenze nelle zone di distacco mediamente di 38°. Si
tratta di eventi prevalentemente incanalati che, nel tratto montano del bacino trovano recapito
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RELAZIONE GEOLOGICA
nella forra del torrente, mentre ad occidente del gomito del Clanio percorrono maggiori
distanze favorite dalla presenza di una ampia zona pedemontana. Altre tipologie di frana sono
rappresentate da crolli di blocchi di roccia calcarea da scarpate subverticali.
Oltre ai fenomeni franosi, l’area del sottobacino del Clanio è stata anche interessata in
passato da alluvionamenti con elevato trasporto solido. Come l’intero territorio della valle
munianense, anche la porzione settentrionale dell’abita-to di Avella e la fascia pedemontana di
località Cerreto-Campopiano subirono, infatti, gravi danni a causa delle intense piogge che
riattivarono tutte le incisioni torrentizie. L’analisi della documentazione disponibile ha
permesso di perimetrare le aree maggiormente colpite tanto che, con riferimento all’esteso
conoide su cui si sviluppa l’abitato di Avella, è stato possibile isolare, come zona ancora
suscettibile ad eventi alluvionali, solo la porzione settentrionale del corpo alluvionale, che si
sviluppa in prossimità dell’alveo arginato del torrente Clanio; viceversa, la restante parte, che
corrisponde alla quasi totalità del centro abitato, è da ritenersi non più attualmente riattivabile
a causa delle modificazioni apportate dall’urbanizzato sugli originari assetti geomorfologici,
così come evidenziato dalla Carta della Pericolosità da Fenomeni di Esondazione ed
Alluvionamento (vedi cartografia del “Rischio Idraulico”).
IL BACINO DEL VALLO DI LAURO
LE UNITÀ LITOSTRATIGRAFICHE
Le unità dei substrati “antichi” che affiorano prevalentemente nell’area del bacino di Quindici
sono rappresentati in gran parte da calcari cretacici, generalmente ben stratificati (definiti in
legenda come calcari di Lauro e appartenenti all’unità stratigraficostrutturale dei Monti
Picentini Taburno - Bonardi et al., 1988). Si presentano di colore grigio avana, sono ricchi in
Rudiste, localmente hanno intercalazioni di dolomie grigie.
Tutti i principali rilievi sono costituiti da questi terreni il cui spessore (in affioramento) supera gli
800 m (M. Pizzo d’Alvano). Sui calcari, solo localmente, come nei pressi di Taurano, si
conservano piccoli lembi di terreni miocenici, trasgressivi sul substrato mesozoico e costituiti
da arenarie, peliti e calcari marnosi.
Tra i terreni quaternari quelli più antichi sono rappresentati dal Tufo Grigio Campano,
localmente affiorante presso Moschiano e Taurano, e da diffusi affioramenti di cineriti
compatte, spesso associate all’Ignimbrite Campana, localmente definite “Cretone” e “Durece”.
Tali depositi si presentano con spessori modesti e si ritrovano prevalentemente nelle zone di
raccordo tra i massicci calcarei ed il fondovalle; inoltre essi sono di frequente reincisi da corsi
d’acqua che alimentano conoidi recenti.
I conoidi alluvionali sono presenti di più generazioni (almeno due) e, così come i depositi
detritici di versante, affiorano diffusamente nella media e alta valle del Lagno di Quindici.
In tutta l’area affiorano diffusamente depositi piroclastici di cui non si è potuto definire con la
necessaria continuità e precisione (soprattutto per il limitato tempo a disposizione dei
rilevatori) la specifica attribuzione vulcano-stratigrafica. Pertanto, i depositi sono stati sovente
indicati come “piroclastiti indifferenziate” (PSI1 e PSI2). Nel primo caso, ci si è riferiti a deposti
piroclastici prevalentemente rimaneggiati in ambiente alluvionale, che colmano i fondovalle e
spesso le zone di raccordo con i versanti calcarei. Il complesso contrassegnato dalla sigla
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RELAZIONE GEOLOGICA
PSI2 identifica invece depositi prevalentemente in giacitura primaria che hanno colmato piccoli
bacini endoreici o ricoperto antiche paleosuperfici.
Estesi affioramenti di PSI2 si segnalano sui piani carsici di Vallefredda, tra Moschiano e
Bracigliano, e di Visciano, dove gli spessori superano i 10-15 m.
Per quanto attiene ai depositi piroclastici in appoggio sui versanti carbonatici (vedi Carta delle
coperture) può dirsi che questi identificano gli ambiti morfologici potenzialmente suscettibili a
frane da colata rapida di fango.
La legenda prevede quattro diverse classi di spessore (< 0.5m; tra 0.5 e 2 m; tra 2 e 5 m; tra 5
e 20 m); sono inoltre distinte le aree di affioramento del substrato calcareo (CA) e quelle in cui
le coperture sono state mobilizzate da eventi franosi (ADF = area di denudamento per frane).
Nell’ambito delle diverse classi di spessore sono stati evidenziati in corrispondenza di locali
affioramenti diversi tipi di coperture (A, B, C, D, A-B, B-C, C-D), localmente caratterizzate dalla
presenza di uno o più livelli di tefr pomicei.
I depositi, in giacitura primaria o, come nelle zone di fondovalle, più spesso rimaneggiati, si
riferiscono prevalentemente alle eruzioni dell’apparato del Somma- Vesuvio; si tratta, in
particolare, delle seguenti eruzioni: “Pomici di Base” (eruzione di Sarno) avvenuta circa 18.000
anni fa; “Pomici Verdoline”, avvenuta circa 15.000 anni fa; “Mercato” (nota anche come
eruzione di Ottaviano) avvenuta circa 8.000 anni fa, “Avellino” avvenuta circa 3.700 anni fa. I
prodotti più recenti sono quelli delle eruzioni di Pollena (472 d.C.) e del 1631.
I depositi che più frequentemente costituiscono le successioni piroclastiche a tetto del
substrato sono relativi alle eruzioni di Mercato ed Avellino, con spessori che superano il metro
per la prima e alcune decine di centimetri per i depositi di Avellino. I prodotti riferibili alle altre
eruzioni affiorano con minore continuità soprattutto per effetto dei processi erosionali che li
hanno interessati o a causa dell’originario esiguo spessore.
I vari livelli attribuibili alle singole eruzioni sono di norma separati da paleosuoli generalmente
ben sviluppati e maturi che a loro volta sfumano in depositi più grossolani in cui il
rimaneggiamento e la rideposi-zione è prevalente rispetto alla sola umificazione. I depositi
piroclastici primari sono costituiti da pomici e litici in diverse percentuali e con granulo-metria
variabile verticalmente.
La redazione della carta delle coperture in appoggio ai versanti carbonatici deriva
dall’interpola-zione sia dei dati osservazionali sia di quelli desunti dalle prove penetrometriche
e, talora, da scavi esplorativi.
ASPETTI GEOMORFOLOGICI E STRUTTURALI
Il Vallo di Lauro è una valle a controllo strutturale, allineata in direzione NW-SE, successivamente colmata da depositi alluvionali e piroclastici. Essa, nel settore nordoccidentale,
confluisce nella Piana di Nola, mentre nel settore orientale si restringe e si biforca costituendo
il recapito finale del sottobacino di Quindici e Moschiano.
La sua genesi è legata a fasi tettoniche plio-qua-ternarie che hanno attivato faglie con
direzione NW-SE ed E-W. Le scarpate di faglia e le incisioni susseguenti presenti lungo i
versanti sottesi al Vallo hanno dato luogo, in taluni casi, a versanti che si raccordano con
antiche superfici di spianamento (paleosuperfici) sospese di alcune centinaia di metri sopra gli
attuali livelli di base. Tali paleosuperfici sono il risultato di più fasi di spianamento, proba40 di 96
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RELAZIONE GEOLOGICA
bilmente di origine carsica e fluvio-carsica, che hanno agito con livelli di base via via più bassi
durante le fasi della surrezione della catena.
Quelle poste ad una quota di circa 850 m s.l.m. sono meglio conservate ed arealmente più
diffuse.
I versanti di faglia inscritti tra le paleosuperfici hanno pendenze che si tengono per lo più al di
sotto dei 30° circa. L’erosione lineare attiva lungo questi versanti si manifesta quindi per lo più
sotto forma di vallecole (gullies).
Gli intensi ritmi di subsidenza nell’area del graben della Piana Campana avutisi durante il
Pleisto-cene inferiore hanno generato, oltre alle scarpate di faglia bordiere allineate in senso
appenninico (NW-SE), una locale riattivazione di faglie E-W. Ciò ha indotto un diffuso
“ringiovanimento” dei versanti emergenti dalla Piana che furono intensamente dissecati dalle
acque dilavanti dando vita ad impluvi molto incisi (valloni) talora a controllo strutturale
(incisioni susseguenti). Tali processi morfoevolutivi hanno interessato anche i versanti sottesi
al Vallo di Lauro in seguito alle già citate variazioni del livello di base (fasi neotettoniche e/o
eustatiche). Questi processi, per lo più ancora attivi, sono ancora ben evidenti grazie ai
depositi (conoidi alluvionali) ed alle forme (valloni) che essi hanno prodotto.
L’evoluzione morfologica dei versanti, avvenuta secondo il noto meccanismo dell’arretramento
rettilineo-parallelo di Lehmann, ha prodotto versanti di faglia con pendenze di circa 35° i quali
risultano peraltro incisi da aste torrentizie (valloni) su cui incombono versanti con pendenze
elevate. Nell’ambito delle pareti acclivi di origine strutturale o di morfoselezione sono state
evidenziate quelle nelle quali sono presenti testimonianze di crolli.
Contestualmente agli eventi erosionali che hanno interessato i versanti si è generata una
estesa fascia di raccordo con il fondovalle (glacis deposizionale) costituita da depositi di
conoidi la cui alimentazione è stata particolarmente intensa in corrispondenza dei valloni posti
in sinistra orografica del Vallo di Lauro. Difatti l’aggradazione del Vallo deriva essenzialmente
da tali apporti detritici e dalla loro ridistribuzione ad opera delle acque incanalate nel Vallo oltre
che dall’accumulo dei prodotti piroclastici provenienti dal distretto vulcanico del SommaVesuvio.
Le conoidi identificate e cartografate sono almeno di due generazioni:
c) quelle più antiche (ad esempio la conoide di San Francesco, Pietra della Valle, nel
comune di Quindici, ecc), accresciute durante il Pleistocene superiore (Würm),
sono attualmente inattive come testimoniato dalla loro reincisione e, occasionalmente, spianamento. Esse sono costituite da corpi stratoidi di ghiaia calcarea a
spigoli sub-arrotondati e talora cementata e presentano pendenze di circa 10-15
%. I settori apicali sono reincisi dai torrenti alimentatori. In tali reincisioni si
incastrano gli apici delle conoidi di seconda generazione.
d) quelle di II generazione (ad esempio Vallone Co-lafasulo, Vallone della Cantarella,
Vallone di Pignano, in comuni di Quindici e Lauro) presentano pendenze più
modeste e sono solo localmente incise, peraltro in misura limitata. Esse possono
essere attribuite all’Olocene, come testimoniato dalla presenza di depositi
piroclastici rimaneggiati ascrivibili alle eruzioni di Mercato ed Avellino.
Mentre i conoidi di I generazione si sono accresciuti essenzialmente per fenomeni di
debrisflow e debris avalanches, nei conoidi di II generazione la osservata scarsa presenza di
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RELAZIONE GEOLOGICA
componente ghiaiosa induce a ritenere che essi si siano accresciuti per fenomeni di mud flow
e debris flow, come peraltro evidenziato dalle risultanze delle indagini in sito (scavi esplorativi
e/o sondaggi).
La gran parte dei conoidi attivi interessa settori di centri abitati (Quindici, Moschiano,
Domicella, Carbonara di Nola, Lauro, Pago del Vallo).
Nella carta geomorfologica sono state altresì evidenziate le aree marginali ai conoidi definite
come “settori di glacis alluvio-colluviali interessati da diffusi fenomeni di deiezione” i quali
possono essere considerati testimonianze di fenomeni di trasporto solido da alluvionamento di
moderata intensità. Nello specifico, con il termine “glacis” si devono intendere le aree a debole
acclività sede di accumulo alluvionale e/o colluviale.
Per quanto attiene alle frane, la cui ubicazione è riportata sulla carta geomorfologica, esse
sono state distinte per tipologia e per stato di attività. Inoltre è stata fatta distinzione tra frane
cartografabili e non, e per ognuna è stato indicato un numero di riferimento che rinvia
all’apposito database.
E’ il caso di ribadire (cap. I) che l’utilizzazione del termine “frana quiescente” deriva dalla
definizione fornita dalla comunità scientifica (cfr. Canuti & Esu, 1995) e pertanto è stata
applicata a tutte le frane che non hanno dato testimonianza di movimento nell’ultimo ciclo
stagionale (all’incirca corrispondente all’ultimo anno). Dunque, anche gli importanti fenomeni
verificatisi negli ultimi anni (ad esempio le frane di Quindici del 1996-1997 e maggio 1998)
rientrano a pieno titolo nella categoria delle frane quiescenti e come tali sono riportati in carta.
Le frane da crollo censite sono poche decine ed in genere hanno interessato volumetrie
limitate (un esempio per tutte è dato del costone di Petra Maula in Comune di Taurano).
Le frane da colata rapida di fango hanno interessato i versanti calcarei di tutto il territorio
(Domicella, Pago, Marzano, Taurano e Palma Campania) con maggiori effetti nel Maggio 1998
soprattutto a Quindici e Moschiano, comuni peraltro coinvolti da analoghi fenomeni, pur se di
“magnitudo” inferiore nel corso del 1997 (gennaio e novembre). Nel Vallo di Lauro l’evento del
5 maggio, descritto in diversi lavori scientifici (Del Prete et al., 1998; Calcaterra et al., 1999,
2000a, 2000b, de Riso et al., 1999) ha interessato soprattutto i comuni di Quindici e Lauro,
nell’ambito dei quali sono stati censite oltre 300 frane del tipo scorrimento – colata rapida. Le
frane hanno interessato quasi sempre spessori limitati di copertura piroclastica, nell’ordine del
metro o anche inferiori. Anche se caratterizzato da spessori limitati nelle zone di distacco, il
materiale franato è stato comunque in grado, nel suo movimento verso valle, di esercitare
profonda erosione, asportando e trascinando, oltre ad ulteriori depositi piroclastici, blocchi rocciosi di alcuni metri cubi, quali quelli visibili sul conoide di S. Francesco, nei pressi dei resti
della chiesa di S. Lucia. I volumi mobilizzati nel complesso sono stati stimati in circa 1.500.000
m3.
La maggior parte dei fenomeni franosi si è verificata nel bacino idrografico del Vallone della
Canta-rella, sui versanti del Lagno di Quindici e nel Vallone Colafasulo. Numerose frane sono
inoltre avvenute nel Vallone Cisierno e nei rami idrografici di Pietre della Valle e del Vallone
della Connola. Infine, ulte-riori eventi risultano distribuiti negli altri bacini idrografici del
versante settentrionale di Pizzo d’Alvano.
La quota massima di distacco dei fenomeni franosi varia tra i 1050 m s.l.m. ed i 250 m s.l.m.
Gran parte delle frane (oltre il 70%) ha avuto innesco nella fascia altimetrica compresa tra i
550 e gli 850 m s.l.m. Per quanto concerne l’esposizione dei versanti su cui si sono sviluppate
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RELAZIONE GEOLOGICA
le frane, si nota una netta concentrazione verso i quadranti settentrionali, che
complessivamente racchiudono circa il 65% degli eventi.
La forma planimetrica delle zone di distacco delle frane di Quindici è prevalentemente ad
andamento allungato, di tipo lineare o, nel caso si sia verificato un allargamento nei limiti della
frana verso valle, tendente ad una forma triangolare più o meno svasata.
Nell’ambito delle frane di Quindici, i valori di acclività delle zone di distacco sono risultati
compresi tra 56° e 13°. La massima concentrazione (oltre l’80%) si è verificata in un intervallo
che va dai 31° ai 43° di acclività, con punte di circa il 30% tra i 37° ed i 39°.
Altra nota d’interesse è data dalla sostanziale costanza dei valori di acclività pre e post-frana
nelle zone di distacco, il che conferma che la coltre piroclastica ha per lo più assunto una
giacitura “ereditata” dal substrato carbonatico.
Più della metà delle zone di distacco ha avuto origine nei pressi di strade e sentieri montani: il
distacco è per lo più avvenuto subito a valle del sentiero, o immediatamente a monte di
questo. Minore è stato invece il ruolo svolto dalla presenza di cornici litologiche di
morfoselezione (banconi calcarei, orli di terrazzi morfologici).
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SCHEMA DI CIRCOLAZIONE IDRICA SOTTERRANEA
I monti di Avella, Durazzano e Pizzo d’Alvano (in gran parte ricadenti nel territorio dell’Autorità
di Bacino Nord Occidentale) si inseriscono in un articolato sistema orografico esteso dalla
valle Caudina, a nord, fino alla depressione morfologica che accoglie il T. Solofrana a sud
(Budetta et al., 1994 e annessa bibliografia).
Si tratta di rilievi a litologia prevalentemente calcarea dotati di elevata permeabilità secondaria:
l’infiltrazione efficace di origine meteorica è pertanto assai significativa (dell’ordine dei 290
milioni di m3/a) anche in ragione dell’elevato modulo pluviometrico medio locale (stimato in
1447 mm/a).
L’assenza di significativi impermeabili intercalari fa sì che l’infiltrazione non si frazioni in senso
verticale ad alimentare molte sorgenti distribuite a quote diverse lungo i versanti, ma concorra
ad alimentare, in maniera prevalente, cospicue falde di base.
Il recapito principale di queste ultime è rappresentato dalle sorgenti di Cancello e di Sarno,
tutte affioranti alla quota di 30 m s.l.m. ed ubicate al piede dei rilievi verso la Piana Campana
s.l. (Civita et al., 1970; Figg. 2-3). Tale situazione si deve all’azio-ne di soglia di permeabilità
operata, rispetto ai rilievi, proprio dai depositi piroclastici ed alluvionali della Piana; il
tamponamento non è tuttavia totale in quanto nell’ambito della sequenza detritico-piroclastica
esistono, a più altezze, vari orizzonti che consentono una certa filtrazione e quindi
un’alimentazione, da parte dell’acquifero carbonatico, del sottosuolo della Piana. Di qui
l’accertata presenza, in quest’ultima, di falde idriche che tendono a livellarsi alla stessa quota
della falda dei calcari.
A differenza di quanto accade in corrispondenza della Piana, verso nord (zona della valle
Caudina) le falde di base sono invece più efficacemente tamponate per la presenza di una
tettonica compressiva (Civita et al., 1970; Budetta et al., 1994); lo stesso accade ad ovest,
dove i rilievi carbonatici e le falde in essi accolte sono a contatto laterale con depositi
arenaceo-argillosi assai poco permeabili.
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RELAZIONE GEOLOGICA
In corrispondenza del T. Solofrana è presente una complessa situazione idrogeologica per la
quale le sorgenti S. Marina di Lavorate e S. Mauro ricevono alimentazione non solo dai rilievi
ma anche dalle contermini alluvioni del torrente, (Celico, 1983, Celico et al., 1991; de Riso &
Ducci, 1992). L’alimentazione del gruppo sorgivo Labso e Lauro (più alto in quota) è infine
legato anche all’inghiot-titoio della conca endoreica di Forino (Celico, 1983; Santo et al.,
1998).
ZONA CENTRO-OCCIDENTALE (PALMA CAMPANIA E COMUNI LIMITROF I- VERSO NORD)
In questo settore la falda di base non dà origine a sorgenti (che sono invece più a sud-est
nella zona di Sarno), ma attiva un travaso sotterraneo verso i depositi detritico - piroclastici
della Piana Campana. I dati piezometrici rilevati nei pozzi in essa distribuiti indicano, in
prossimità dei rilievi, valori dell’ordine di 30 m s.l.m. (quindi coerenti con le quote delle
scaturigini di Sarno e Cancello; Figg. 2-3). E’verosimile poi (non si dispone infatti di misure
dirette) che all’interno dei rilievi la piezometrica non sia molto più alta (s.l.m.) in relazione
all’elevata permeabilità dei materiali carbonatici che formano l’ossatura di tali rilievi.
Mancano nella zona di Palma Campania sorgenti a quote superiori rispetto alla falda di base;
alcune sono invece presenti immediatamente ad ovest dell’abitato di Taurano. Si tratta di più
scaturigini di ridotta portata (< 2 l/s) che effluiscono, in corrispondenza di incisioni sui versanti,
in una fascia altimetrica tra i 200 ed i 270 m s.l.m. La sorgente più alta è alla base del pendio
carbonatico al contatto calcari-piroclastiti, le altre vengono a giorno nell'ambito
dell’affioramento piroclastico (laddove questo presenta spessori tra 2 e 5 m). La loro origine è
verosimilmente da ricondurre a locali variazioni di permeabilità verticale nell’ambito dei carbonati del rilievo ed all’azione di tamponamento, più o meno efficace, esercitata dalla coltre
piroclastica giustapposta ai versanti.
Altre scaturigini di alta quota sono segnalate nel bacino dell’Acquaserta.
ZONA CENTRO-ORIENTALE (MONTEFORTE IRPINO E COMUNI LIMITROFI - VERSO NORD)
Anche qui la falda di base è molto profonda rispetto alla superficie topografica: i pochi dati disponibili (M.ti Isca e Faliesi a SW di Avellino) indicano infatti che essa non è stata rinvenuta
fino alle profondità investigate (corrispondenti alla quota di circa 260 m s.l.m.).
Sono poche le sorgenti presenti a quote maggiori e di portata comunque ridotta; appaiono
quasi sempre localizzate in corrispondenza di alvei particolarmente incisi sulle pendici
carbonatiche e la loro origine può ricondursi alle cause sopra riportate.
Piccole sorgenti si osservano invece, numerose, alla base dei versanti carbonatici, laddove,
marcato da una netta discontinuità morfologica, si ha il passaggio da questi terreni a forti
spessori di più recenti materiali piroclastici. Anche in questo caso la venuta a giorno delle
acque sotterranee è dovuta alla presenza di variazioni di permeabilità (non definibili o sorrette
da limiti fisici) che consentono l'individuazione di modeste falde sospese nella verticale dei
versanti. Ferme restando queste caratteristiche, a seconda del locale assetto geometrico tra i
diversi materiali a contatto, le sorgenti possono ricadere nella classe delle sorgenti per limite di
permeabilità od in quelle per soglia.
ZONA DEI MONTI DI DURAZZANO
Comprendono un sistema di limitata estensione (circa 60 km2) e quota max di poco inferiore
agli 800 m s.l.m. contiguo alla struttura del Taburno (situato a NE), al gruppo Avella-Partenio
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RELAZIONE GEOLOGICA
(ubicato a S) e ai M.ti di Caserta (posti a W). I dati litologi-co-strutturali, idrogeologici e
idrochimici salienti sono descritti come di seguito riportati, in Budetta et al. 1994:
faglie inverse sul bordo nord e nord-est ove i calcari mesozoici molto carsifìcati vengono a
contatto con i terreni argilloso-arenacei delle Unità Irpine;
situazioni analoghe lungo il bordo settentrionale della contigua e meridionale struttura di Avella
da cui il gruppo Durazzano è separato dalla vallata di Arpaia-Cancello;
gruppi sorgivi di un qualche rilievo sullo «spigolo» settentrionale della struttura (sorgenti di
Razza-no-Viparelli a ridosso dell'alveo del F. Isclero con portate di alcune decine di litri/s);
apprezzabili incrementi di portata lungo l'alveo del F. Isclero nel settore sotteso dalle citate
sorgenti;
falda cospicua nel substrato calcareo profondo della piana di Cancello-Arpaia (piezometrica a
quota 35 m s.l.m.) ove è presente una importante batteria di pozzi pescanti nei calcari (loc.
Ponte Tavano) e dalla quale si attinge una notevole portata;
presumibile discontinuità idraulica fra la struttura del Taburno alimentante le sorgenti Fizzo e il
substrato calcareo più meridionale rinvenuto nel sottosuolo profondo del F. Isclero a ovest di
Pa-storano (ove non è stata individuata circolazione idrica fino ad una quota inferiore a quella
del fronte delle Fizzo);
caratteristiche chimiche e isotopiche delle acque della batteria di Ponte Tavano che indicano
circuiti idrici poco profondi e quote del bacino di alimentazione congruenti con quelle della
struttura (e comunque più basse di quelle delle strutture contigue).
I dati di cui sopra hanno suggerito l'esistenza di un sufficiente isolamento della struttura da
quelle contigue; il bilancio eseguito sulla estensione utile di 60 km2 ha condotto alla
valutazione di una disponibilità potenziale di circa 30 milioni di m3/a (circa 1m3/s). Tale risorsa
verrebbe preferenzialmente drenata dalla valle meridionale (batteria di ponte Tavano) e in
misura più modesta dal settore settentrionale (sorgenti Viparelli-Razzano).
LA PENISOLA SORRENTINA
La Penisola Sorrentina è ubicata sul fianco occidentale della catena appenninica
meridionale; essa costituisce una zona di alto strutturale, orientata ENE-OSO e quindi
trasversale rispetto alla catena, che separa le depressioni del golfo di Napoli-Piana
Campana e del golfo di Salerno-Piana Sele.
Essa è costituita per la maggior parte da successioni sedimentarie marine di età
mesozoico-cenozoica con localizzate e limitate coperture quaternarie in prevalenza
continentali.
Il substrato delle successioni mioceniche è formato da terreni del Cretacico superiore,
costituiti prevalentemente da calcilutiti chiare in tipica facies di retroscogliera. Le
successioni marine mesozoiche comprendono depositi calcareo-dolomitici di
piattaforma carbonatica, prevalenti nel settore orientale della penisola, oltre che
successioni terrigene mioceniche prevalenti nel settore occidentale.
Nel complesso, la Penisola Sorrentina è rappresentabile come una estesa monoclinale
immergente verso NO, ribassata verso SE da grandi faglie dirette.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Le strutture tettoniche sono costituite da faglie inverse e sovrascorrimenti che
coinvolgono la successione di avanfossa di età Miocenica. In una fase successiva, si
imposta una tettonica trascorrente con prevalente direzione NO.
Sulla base dello studio di Milia & Torrente (1999), si descrive sinteticamente l’assetto
strutturale della Penisola Sorrentina.
Le principali morfostrutture, estese per una lunghezza massima di circa 15 km,
corrispondono a faglie trasversali ad alto angolo con rigetti stratigrafici dell’ordine di varie
centinaia di metri. Il sistema di faglie più importante è orientato N120° ed esercita un
controllo fondamentale sulla morfologia del rilievo, formando una successione di horst e
graben con spaziatura pari a 1–2 km. Queste faglie sono responsabili anche della formazione
della depressione di Sorrento e dell’alto strutturale Monte Faito-Monte San Michele; inoltre
sono responsabili del controllo strutturale dei corsi d’acqua, che si impostano lungo
direttrici NE-SO.
Le faglie longitudinali alla penisola condizionano fortemente lo sviluppo della costa,
determinando una evidente asimmetria del rilievo, con un versante amalfitano breve e
ripido ed un versante sorrentino più esteso e meno angolato. Anche in questo caso, i
sistemi di faglie condizionano fortemente lo sviluppo del reticolato idrografico. I corsi d’acqua
ad andamento NO-SE che sfociano nel golfo di Napoli sono più lunghi e a minore
pendenza, viceversa quelli che sfociano nel golfo di Salerno sono più brevi e più ripidi. Il
principale lineamento longitudinale corrisponde alla faglia Schiazzano-Colli San Pietro, che
attraversa l’intera penisola dal golfo di Napoli al golfo di Salerno, dislocando anche i depositi
vulcanici tardo-quaternari.
Gli studi strutturali della Penisola Sorrentina hanno permesso di riconoscere cinque fasi
deformative responsabili dell’edificazione della penisola stessa.
Una prima fase, di età Tortoniano-Pliocene inferiore, corrisponde ad una fase
complessiva che ha generato una serie di pieghe, faglie e sovrascorrimenti nord-vergenti.
Le successive tre fasi hanno tutte carattere distensivo. La prima di queste fasi,
meccanicamente compatibile con un raccorciamento meridiano (N-S), causa la
dislocazione delle successioni sovrascorse mediante una serie di faglie dirette.
La seconda fase estensionale si sviluppa lungo faglie a direzione NO-SE, determinando la
formazione di una serie di horst e graben trasversali alla penisola; tra questi, è compresa
anche la Piana Campana.
L’ultima fase estensionale si genera lungo strutture orientate NE-SO, che dislocano le
faglie dirette della precedente fase originando depressioni trasversali rispetto alla catena
(tra le quali il semi-graben del golfo di Napoli).
Infine, l’ultima fase deformativa riconosciuta è di tipo trascorrente ed è riconducibile
all’impostarsi di una zona di taglio semplice sinistro, orientata E-O (faglia Schiazzano-Colli
San Pietro). Data la presenza di faglie sinistre recenti nel golfo di Napoli, è possibile
ipotizzare che questa fase deformativa si sia sviluppata fino a tempi molto recenti.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Colonne stratigrafiche e posizione del piano di rottura delle zona di innesco delle frane della
Penisola Sorrentina-Monti Lattari.
LA PIANA CAMPANA
La Piana Campana costituisce la più ampia delle pianure costiere campane e occupa il fondo
di una depressione strutturale delimitata da dorsali costituite da potenti successioni
carbonatiche di età mesozoica sulle quali poggiano lembi della originaria copertura di
sedimenti terrigeni miocenici. Questa depressione rappresenta la prosecuzione in terra del
bacino marino del golfo di Napoli. Essa è allungata in direzione appenninica per circa 70 km
ed è riempita di sedimenti epiclastici e vulcanici di età quaternaria che raggiungono spessori
massimi perforati di 3000 metri. Si estende su una superficie di circa 1350 km2 con quote
variabili dallo zero assoluto nei settori costieri ai 40/50 m s.l.m. delle fasce pedemontane dei
rilievi carbonatici che la contornano (M.te Massico a Nord, M.ti Tifatini a Nord-Est, M.ti di
Durazzano e di Avella-Partenio, M.ti di Sarno a Est, M.ti Lattari a Sud).
La Piana corrisponde ad una depressione tettonica impostata su un originario piastrone
carbonatico i cui margini affioranti sono i rilievi che attualmente la bordano (M. Massico, M.
Maggiore, i Tifatini etc.). Lungo le fratture che hanno prodotto la depressione si è avuta, nel
tempo, un’intensa attività
vulcanica e si sono sviluppati importanti edifici vulcanici
(Roccamonfina, Somma-Vesuvio); lungo le stesse fratture sono inoltre presenti sorgenti
mineralizzate con alti tenori in CO2 (Sorg. di Triflisco e di Cancello al margine NE della Piana)
e si rinvengono spesso acque termali (M. Massico al margine NW).
I bordi della Piana sono delimitati da linee tettoniche di importanza regionale, orientate
prevalentemente NO-SE e NE-SO, che danno origine a ripidi versanti di faglia alti fino a 1500
metri. Nella parte centrale del graben, i depositi mesozoici sono ribassati a gradinate lungo
faglie dirette fino a profondità di circa 5.000 m. Lungo alcuni di questi sistemi di faglia si sono
innescati il vulcanismo ischitano, flegreo e vesuviano i cui prodotti costituiscono il riempimento
della depressione campana insieme alle coltri di sedimenti marini ed alluvionali.
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RELAZIONE GEOLOGICA
I BACINI IDROGRAFICI
Nel territorio dell’Autorità del Bacino della Campania Centrale si possono distinguere i
seguenti bacini idrografici:
e) il bacino del fiume Sarno, comprendente i sottobacini idrografici dei torrenti
Solofrana, Cavaiola. Il fiume Sarno nasce alla base del massiccio calcareo
omonimo, situato tra i monti Picentini, i monti Lattari ed il gruppo del Partenio, ad
una quota di m 30 s.l.m.. Il corso principale, di circa 22 km di lunghezza, raccoglie
le acque di un bacino imbrifero esteso per circa 440 kmq che interessa le province
di Avellino, Napoli e Salerno. La rete idrografica del fiume Sarno si completa con i
suoi affluenti principali che raccolgono il contributo della parte più interna del
bacino: i torrenti Solofrana e Cavaiola, confluenti nell’Alveo Comune Nocerino in
corrispondenza del comune di Nocera Inferiore; l’Alveo Comune Nocerino,
affluente nel fiume Sarno nel comune di S. Marzano; i rii di Sarno, dalla cui
confluenza si origina il corso principale del fiume Sarno (Rio Foce, Rio Palazzo,
Rio S. Marino). Il torrente Solofrana sottende un bacino imbrifero di circa 130 kmq
e si origina nella conca di Solofra dalla confluenza di una serie di valloni secondari.
Le sue sorgenti sono completamente esaurite; attualmente, il torrente Solofrana è
quasi interamente canalizzato, alimentato dagli scarichi delle concerie di Solofra. Il
torrente Cavaiola, lungo circa 8 km, nasce dalla conca di Cava dei Tirreni e
descrive un piccolo bacino di circa 86,60 kmq. Ormai quasi interamente
cementificato, è quasi esclusivamente alimentato da scarichi urbani ed industriali.
Oltre ai corsi d’acqua principali su descritti, il Bacino del fiume Sarno è interessato
dalla presenza di una serie di fossi e valloni a regime prevalentemente torrentizio,
numerosissimi caratterizzati da pendenze alquanto elevate;
f) il bacino dei Regi Lagni è delimitato a nord dall’argine sinistro del fiume Volturno
e dai monti Tifatini, a sud dai Campi Flegrei e dal massiccio Somma-Vesuvio e ad
est dalle pendici dei monti Avella, sottende una superficie di circa 1300 kmq che,
dal punto di vista morfologico, può essere suddivisa in un’area montana e
pedemontana, dell’estensione di circa 550 kmq, caratterizzata da pendici piuttosto
acclivi (i sottobacini di maggiore interesse sono quelli del torrente Boscofangone,
del Gaudo, del Quindici, del lagno di Somma, di Spirito Santo, di Avella), e da una
zona di pianura, estesa circa 750 kmq, caratterizzata dalla presenza del canale dei
Regi Lagni, di lunghezza di circa 55 km, che costituisce in pratica l’unico recapito
delle acque meteoriche provenienti dalle campagne attraversate e dalla maggior
parte dei comuni presenti nell’area;
g) il lago Patria: il lago, che ha un’estensione di circa 200 ha e profondità modesta
(non superiore all’incirca a 1.50 m), sottende un bacino di circa 120 kmq. Gli
afflussi al lago provengono essenzialmente dallo scarico della centrale idrovora
Patria, dai canali Vico Patra - Cavone Amore, dal Canale Vessa e da alcune
sorgenti;
h) l’Alveo Camaldoli attraversa i territori comunali di Mugnano, Calvizzano e
Qualiano, indi si affaccia sulla strada provinciale Ripuaria fino al ponte di Ferro, a
partire dal quale lascia il vecchio tracciato che sfociava nell’emissario del lago
Patria e, seguendo la strada provinciale di S. Maria al Pantano, attraversa con
alveo pensile la zona di Licola fino al mare. La superficie complessiva del bacino è
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
di circa 70 kmq. L’alveo dei Camaldoli è ormai ad uso promiscuo, in gravi
condizioni d’inquinamento, a causa d’immissioni di acque reflue civili ed industriali
e dello sversamento incontrollato di rifiuti solidi e materiali di risulta, che talvolta
determinano localmente pericolose situazioni di restringimento dell’alveo;
i) i Campi Flegrei;
j) il bacino di Volla: La piana di Volla, situata nella zona orientale di Napoli, era
originariamente interessata da una copiosa circolazione idrica superficiale in gran
parte alimentata da antiche sorgenti ormai prosciugate. L’antico F. Sebeto
costituiva il recapito principale di tali deflussi. Gli interventi antropici degli ultimi
decenni hanno determinato un grave stato di dissesto idrogeologico, cancellando
di fatto la rete idrografica superficiale che risulta, oggi, praticamente irriconoscibile
per le numerose deviazioni e gli interrimenti realizzati. Il bacino (esteso circa 20
kmq) è oggi attraversato ad ovest dal canale Sbauzone e, nell’area industriale
orientale, dai fossi Volla, Cozzone e Reale che, parzialmente interrati e deviati,
sversano nell’area portuale di Napoli (l’ex area dei Granili), ove un tempo sfociava
l’alveo del Pollena. La piana di Volla, attualmente priva di una rete idrografica
superficiale efficiente per lo smaltimento delle acque meteoriche, risulta soggetta a
fenomeni d’allagamento, divenuti di recente più gravosi anche a seguito del
cessato emungimento e della conseguente risalita della falda freatica, in
precedenza utilizzata per scopi acquedottistici;
k) i torrenti Vesuviani;
l) la Penisola Sorrentina e l’Isola di Capri;
m) I Bacini delle Isole Ischia e Procida.
CARTE GEOTEMATICHE DI BASE
Le carte geotematiche di base, utilizzate per il lavoro di omogeneizzazione dei due PSAI ex
AdB sarno ed ex AdB nord occidentale, sono quelle redatte per i Piani previgenti, aggiornate
tra il 2009-2011, in particolare:
Carta geolitologica;
Carta degli spessori della copertura piroclastica;
Carta geomorfologica;
Carta delle frane.
In Appendice si riportano gli stralci descrittivi delle predette carte, ripresi dai suddetti Piani1
1
AdB NO della Campania – Aggiornamento PSAI adottato con Del. CI. n. 384 del 29/11/2010approvato dal C.R. il 24/11/2011( B.U.R.C. n. 74 del 5/12/2011), comprensivo revisione dei tematismi
relativi al rischio idraulico ed al rischio frane.
AdB Sarno – Aggiornamento PSAI adottato con Del. CI. n. 4 del 28/07/2011-approvato dal C.R. il
24/11/2011( B.U.R.C. n. 74 del 5/12/2011), comprensivo revisione ed implementazione relativi ai
tematismi relativi al rischio frane con particolare riferimento all’uso del suolo come difesa” ed
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
Per quanto riguarda il bacino del Sarno , occorre precisare che le carte geotematiche di base
sono quelle mutuate dal precedente aggiornamento PSAI 2009-2011 realizzate in due fasi di
lavoro:
n) la prima riguardante le aree del salernitano e dell’ avellinese comprese nel
territorio dell’ AdB Sarno, dove, dopo il 2002 , si sono verificati nuovi eventi franosi
particolarmente significativi (cfr. la frana del marzo 2005 a Nocera Inferiore);
o) la seconda, avviata successivamente, per la parte di territorio ricadente nel
napoletano, a meno del cono del Vesuvio.
Pertanto le carte di base vengono illustrate separatamente per i due ambiti territoriali,
compresi nel territorio dell’ex AdB Sarno.
LA PERICOLOSITA’ DA DISSESTO DI VERSANTE: CENNI SULLE
METODOLOGIE APPLICATE NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E
NORD-OCCIDENTALE
PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA
Le tipologie di instabilità di versante proposte nel Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico si
possono ricondurre a:
Rimobilizzazione, per trasporto in massa, di depositi superficiali, in genere di natura
piroclastica, presenti sui versanti di rilievi montuosi. Questi franamenti evolvono in colate
fangose rapide che si incanalano negli avvallamenti dei versanti e raggiungono i fondovalle
con elevata capacità distruttiva.
Frane in roccia e crolli che interessano in prevalenza le aree di affioramento di formazioni
carbonatiche (calcari, dolomie, calcareniti, ecc.) e tufacee nelle zone fratturate e acclivi. Si
tratta di frane meno prevedibili delle precedenti in quanto caratterizzate da delicatissimi
equilibri che evolvono nel tempo, sia per fattori naturali (erosione costiera, alterazione,
clastesi, bioturbazioni, incendi, ecc.) che antropici. In queste aree sono possibili anche
trasporti in massa di detriti grossolani che hanno una mobilità minore rispetto alle colate di
fango.
Frane di scivolamento lento e deformazioni gravitative di versante che interessano in genere
le aree con presenza di rocce terrigene e marnose fittamente stratificate. Benché meno
pericolose delle precedenti possono provocare danni ingenti alle infrastrutture.
La stabilità di suoli sciolti poggianti su una superficie inclinata di consistenza litoide è funzione
principalmente dell’inclinazione della superficie, dello spessore dell’accumulo e delle
caratteristiche meccaniche (angolo di attrito, coesione) della massa detritica.
aggiornamento limitato ad alcune aree a valle di opere di mitigazione realizzate per il rischio idraulico.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Lo spessore dell’accumulo è un parametro variabile nel tempo. In primo luogo per effetto dei
fenomeni vulcanici eruttivi, con le successive deposizioni di strati di materiale piroclastico che
ha coperto i rilievi che circondano il Vesuvio; l’episodio più noto è ovviamente quello del 79 d.
C., ma sono numerosi i fenomeni eruttivi in era moderna e contemporanea e l’Ottocento, con
ben 23 eruzioni, è stato tra i periodi di più intensa attività vulcanica. In secondo luogo per
effetto dell’azione erosiva delle acque e del trasporto solido, che produce un impercettibile, ma
continuo spostamento di masse terrose lungo le linee di massima pendenza dei rilievi, dai
displuvi verso gli avvallamenti.
Le caratteristiche meccaniche del terreno di copertura sono invece variabili con la presenza
dell’acqua, che in condizioni di saturazione delle porosità del suolo riduce drasticamente
coesione e attriti interni. E infatti tutti i fenomeni gravitativi violenti si verificano in
concomitanza di precipitazioni intense o durature.
Le colate rapide di fango sono fenomeni improvvisi e alla fase di primo distacco fa seguito una
evoluzione in colata rapida che spesso si incanala, con elevate velocità, nei solchi vallivi o
torrentizi. La massa in movimento tende ad aumentare di volume per l'assunzione, lungo il suo
percorso, di materiali erosi dal letto e/o dai bordi dell’alveo.
L'accumulo dei materiali di frana assume spesso l’aspetto di un conoide e si colloca nei solchi
vallivi di maggior ordine gerarchico, ovvero al bordo dei rilievi nelle aree pedemontane, con
sovrapposizione dei depositi di frana ai materiali alluvionali.
Per le colate attuali di maggiore dimensione può in molti casi essere distinta la posizione
topografica, mediante raccordo delle zone di distacco, di flusso (canale), di recapito o di
accumulo dei materiali.
La scarsa resistenza all'erosione dei materiali sabbioso-limosi delle coltri piroclastiche rende,
viceversa, complesso il riconoscimento sui versanti degli eventi avvenuti nel passato. Da
sottolineare, a tale riguardo, che l’elevato periodo di ritorno di tali fenomeni e la generale
tendenza a rimuovere dalla memoria gli eventi del passato hanno favorito la intensa
urbanizzazione delle aree di conoide obliterandone, talora, le evidenze morfologiche.
In assenza di tracce o di “evidenze morfologiche dirette” il riferimento morfologico della
franosità pregressa può, in genere, individuarsi nei depositi di conoidi detritico-fangose
riconoscibili in affioramento nel tratto terminale delle aste torrentizie lungo la valle principale o
nel tratto terminale dei valloni. Da osservare, infine, che in numerosi casi la possibilità di
risalire a danni o eventi che hanno interessato alcune aree è affidata unicamente alla
registrazione storica dell'evento.
LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ – PSAI EX AUTORITÀ DI BACINO
NORD-OCCIDENTALE
La valutazione della pericolosità di un evento calamitoso è possibile solo a seguito di accurate
indagini di rilevante impegno economico, che pongano in relazione l’intensità dell’evento con
la sua periodicità. In altre parole, alla pericolosità può attribuirsi un valore numerico se è nota
la relazione che intercorre tra il tempo di ritorno (T) dell’evento e l’intensità del fenomeno
(funzione della velocità, del volume mobilitato, dell’energia, del tirante idrico ecc.).
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RELAZIONE GEOLOGICA
Per quanto attiene alla componente collegata agli aspetti geologici (in generale) è da
evidenziare che si è sostituito il concetto di Pericolosità P (inteso come probabilità, in senso
temporale e spaziale, di accadimento dell’evento) con quello di Suscettibilità o Pericolosità
Relativa (intesa come previsione solo “spaziale”, tipologica, dell’intensità ed evoluzione del
fenomeno franoso: Hartlèn & Viberg, 1988). Di fatto, i tipi di frana presenti sul territorio (di
elevata intensità e soggetti per vari motivi a rapida cancellazione delle forme) rende oltremodo
problematica la ricostruzione della franosità storica (e, quindi, la definizione dei tempi di
ritorno).
Il confronto incrociato, mediante GIS, dei vari “strati” di informazione corrispondenti alle carte
di base (geologica, geomorfologia, delle coperture, dell’acclività, dell’uso del suolo) ha
comportato la produzione di alcune centinaia di elaborati in scala 1:5.000, che a loro volta
hanno condotto alla redazione di Carte di Suscettibilità all’innesco ed all’invasione da
frana riferite ai contesti geologici rappresentativi del territorio (dorsali carbonatiche; area
flegrea continentale ed insulare, area vesuviana).
L’iter metodologico seguito viene sintetizzato nei paragrafi che seguono.
11
SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI
Per la realizzazione della carta della suscettibilità all’innesco di frane da scorrimento-colata
rapida nel territorio dell’Autorità si è partiti dall’esperienza condotta dal Servizio Geologico
Nazionale all’indomani dell’evento del 5 maggio 1998 in Campania (Amanti et al., 1998)
modificato in funzione dei diversi contesti geologici e geomorfologici considerati. Per quanto
concerne la suscettibilità per frane in roccia (crolli e/o ribaltamenti), in considerazione
dell’estensione dei fronti potenzialmente instabili e della difficoltà di procedere, come da
metodologie consolidate, ad analisi strutturali puntuali, si è dato un peso prevalente all’assetto
geostrutturale “in grande”, evidenziando le forme più significative (scarpate di origine
erosionale e/o tettonica, falesie, fronti di cava) ed in particolare le balze rocciose ad elevata
acclività, peraltro oggetto di rilevamenti singolari.
Il metodo relativo agli scorrimenti-colate nei depositi piroclastici si basa sul calcolo della
frequenza degli eventi franosi noti riguardo ad alcuni fattori territoriali che possono svolgere un
ruolo di “controllo” nell’innesco di tali fenomeni. Nella formulazione proposta da Amanti et al.
(1998), i parametri ritenuti significativi sono i seguenti:
 1  T  D  
I  S 
 L B


,
con:
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RELAZIONE GEOLOGICA
I = suscettibilità all’innesco
S = acclività dei versanti,
T = spessore della coltre piroclastica
D = distanza dalla linea di scorrimento delle acque superficiali
L = uso del suolo
B = ordine di bacino
Le grandezze S, T e D sono frequenze percentuali e probabilità, mentre L e B sono state
utilizzate come fattori peggiorativi (e quindi con valore uguale o superiore all’unità).
Partendo dalla suddetta formulazione, si è proceduto alla verifica dell’effettiva incidenza dei
parametri considerati da Amanti et al. (1998) come potenziali fattori predisponesti all’innesco
di frane da scorrimento-colata, attraverso l’analisi statistica dei dati inizialmente disponibili per
alcune aree particolarmente significative (dorsale di Avella e territorio di Quindici - Lauro per
l’area dei massicci carbonatici; collina dei Camaldoli e versante settentrionale di Monte
Epomeo per il distretto vulcanico flegreo). Sulla scorta di tali test, si è in un primo momento
pervenuti alla seguente espressione:
 1  T  D  
I  S 
LR


,
con:
S = acclività dei versanti
T = spessore della coltre piroclastica
D = distanza da sentieri e strade montane
L = uso del suolo
R = distanza dagli orli di scarpate
Per tali dati, che si riferiscono unicamente alle aree di coronamento delle colate, sono stati
calcolati i dati statistici elementari (valore minimo, massimo, medio; deviazione standard),
necessari alle successive elaborazioni. Per ciascun parametro si è altresì allestita la relativa
carta tematica, da incrociare con quella recante l’ubicazione delle aree di coronamento delle
frane.
La carta delle pendenze e la carta di ubicazione delle scarpate sono state ricavate da un
Modello Digitale del Terreno (DTM), con struttura matriciale con passo di 20 m. Nelle zone in
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RELAZIONE GEOLOGICA
cui per motivi connessi alla risoluzione del DTM non si riuscivano ad estrarre in modo
automatico le rotture di pendenza è stato necessario ricavarle da un’analisi geomorfologia,
riportarle sulla cartografia di base e successivamente digitalizzarle.
La carta-inventario delle aree di coronamento di frana e la carta delle pendenze sono state
utilizzate per definire la pendenza nelle zone di distacco delle frane attraverso un’operazione
di Map Algebra. Definita per ciascun coronamento la relativa pendenza, è stato elaborato un
grafico che evidenziasse la loro distribuzione di frequenza. Questa, in analogia con quanto già
rilevato in diversi contributi scientifici (tra cui quello già citato di Amanti et al., 1998), ben si
approssima ad una distribuzione di tipo gaussiano. E’ stato pertanto possibile valutare
l’incidenza del fattore pendenza sul potenziale innesco delle frane da scorrimento-colata
attraverso la funzione di densità di probabilità
1
 x 
1
S
e 2
 2
2/2
.
Avendo verificato che, almeno da un punto di vista statistico, la posizione delle scarpate non
determinava sensibili modifiche nella zonazione delle aree suscettibili a franare, in quanto i
dati di riferimento, essenzialmente di tipo geomorfologico, incidono in modo pressoché
uniforme negli areali considerati, si è ritenuto di non includere tale fattore nella formulazione
definitiva, che è risultata quindi così composta:
 1  T  D  
I  S 
L


Nelle aree vulcaniche l’espressione sopra indicata è stata modificata in relazione al diverso
ruolo esercitato dai fattori T, D ed L
A chiusura dell’iter come sopra descritto, si è operata la suddivisione della suscettibilità
all’innesco (I) in tre classi, rispettivamente definite molto elevata, elevata e medio-moderata,
prendendo in considerazione particolari valori di S, T, L. Per quanto riguarda il fattore S, sono
stati assunti i valori corrispondenti a  ± 3 (tra suscettibilità bassa e media) e  ±  (tra
suscettibilità media ed elevata), con  = valore medio e  = deviazione standard; per il
parametro T stato invece considerato il valore minimo, mentre per il parametro L è stato
assunto il valore massimo.
L’influenza della sismicità è stata valutata preliminarmente adottando un metodo suggerito
dalla Comunità scientifica (curve di Keefer). I risultati ottenuti, che peraltro evidenziano
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RELAZIONE GEOLOGICA
soprattutto l’incidenza degli eventi sismici sulle frane da crollo in roccia (non esiste infatti una
casistica relativa alle frane per colata rapida), non forniscono un sostanziale contributo
aggiuntivo alle indicazioni fornite dalla Legge sismica nazionale.
Nel caso del territorio dell’Autorità la gran parte dei Comuni ricade nella 2a categoria sismica.
Pertanto, la sismicità non costituisce un fattore discriminante ai fini della definizione del grado
di suscettibilità. Dunque non se n’è tenuto conto.
12
SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI
La suscettibilità all’invasione per frane come quelle tipiche del territorio dell’AdB può
ragionevolmente identificarsi nei due aspetti elementari della previsione della distanza di
propagazione e dell’espansione areale del fenomeno franoso (Hartlèn & Viberg, 1988),
essendo l’eventuale tendenza retrogressiva in qualche modo contemplata nell’analisi della
suscettibilità all’innesco.
In particolare, la previsione della distanza di propagazione è di fondamentale importanza per
frane di crollo o di colate detritico-fangose, le quali possono, come noto, coprire grandi
distanze. Le colate rapide del maggio ’98 anche in questo senso rappresentano un riferimento
imprescindibile, essendosi raggiunte in quell’occasione distanze massime nell’ordine dei
3.500-4.000 m dal coronamento di alcune frane.
Sia per i crolli che per le colate rapide esistono diversi metodi analitici adatti alla “simulazione”
dei possibili percorsi dei corpi di frana. Nel caso dei crolli, la procedura più comunemente
seguita è quella, di norma basata sull’osservazione della posizione di blocchi già franati,
dell’analisi cinematica o dinamica delle possibili traiettorie dei blocchi, in funzione della loro
forma e dimensione e delle caratteristiche morfologiche del pendio.
Nel caso delle colate rapide un metodo già applicato in diversi contesti è quello delle linee di
energia (noto anche come modello a slitta), originariamente proposto da Heim (1932) e
successivamente ripreso da altri autori, ed in particolare da Sassa (1988). Tale metodo,
basato sull’assunzione che tutta l’energia persa nel movimento è dissipata per attrito, richiede
la stima dell’angolo di attrito apparente (funzione dell’angolo d’attrito dinamico del materiale) e
delle pressioni neutre durante il moto.
Altrettanto complessa è la previsione dell’espansione areale di un fenomeno franoso,
importante nel caso di colate viscose di terra o di fenomeni di liquefazione (Canuti & Casagli,
1996). Tale previsione dipende infatti da un elevato numero di fattori (morfologia del versante,
granulometria e contenuto d’acqua del materiale, parametri di resistenza al taglio, pressioni
interstiziali, ecc.). Esistono al riguardo approcci analitici propri dell’ingegneria sia geotecnica
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RELAZIONE GEOLOGICA
(Sassa, 1988) che idraulica (Takahashi, 1991), ed in entrambi i casi è indispensabile la
conoscenza di parametri specifici dei materiali suscettibili di franare.
La pericolosità di frane a cinematica rapida come crolli e colate detritico-fangose può essere
stimata, in assenza di specifici ed affidabili dati geotecnici ed idraulici, su base
geomorfologica, mediante la determinazione di alcuni parametri morfometrici elementari.
Questo approccio fu per la prima volta introdotto nel 1932 da Heim che, analizzando alcune
frane catastrofiche avvenute nell’Arco Alpino (stürzstroms o rock avalanches), definì il
cosiddetto fahrböschung o angle of reach (traducibile come “angolo di portata o distanza”),
ovvero l’angolo formato (rispetto all’orizzontale) dalla congiungente il punto posto a quota più
alta della zona di distacco con il punto estremo raggiunto dalla massa franata. In seguito
(Shrieve, 1968, Scheidegger, 1975) questo angolo è stato definito anche “coefficiente
equivalente di attrito”.
Nel corso degli anni, attraverso un numero ingente di studi, l’angolo di distanza è stato
utilizzato per stimare la mobilità di numerosi tipi di frana (scorrimenti, colate di detrito e di
terra, crolli, rock avalanches), inizialmente di volume imponente (milioni o decine di milioni di
m3), in seguito anche di più modesta dimensione. Il volume mobilizzato è il parametro
morfometrico più di frequente utilizzato in relazione con l’angolo di distanza, essendosi
constatata, su un’ampia casistica, l’esistenza di una relazione di proporzionalità inversa
(l’angolo diminuisce al crescere del volume). La relazione tra massima altezza verticale di
caduta ed angolo di distanza è stato invece oggetto di studi controversi (es.: Skermer, 1985;
Corominas, 1996).
Le varie relazioni sperimentali sono state testate su un’ampia serie di contesti geologici e
geomorfologici (Alpi, Pirenei, Montagne Rocciose, Cordigliera andina, estremo Oriente, ecc.),
costituendo in molti casi un primo criterio di valutazione del potenziale d’invasione e quindi di
pericolosità di frane rapide. Alcuni autori, tuttavia, suggeriscono di utilizzare un parametro
differente, derivato dall’angolo di distanza: l’eccesso di distanza percorsa (Hsü, 1975) o
l’eccesso relativo di distanza percorsa (Corominas, 1996). In entrambi i casi, si tratta di una
stima dell’anomala mobilità di frane veloci, in relazione ad un dato standard, costituito, nei due
casi, dal prodotto dell’altezza massima di caduta (H) per tan32°, dove quest’ultimo valore
rappresenta l’angolo d’attrito “normale” per molti tipi di materiali.
L’adozione di questo approccio non può però prescindere dall’evidenziare alcuni limiti, ad
esempio insiti nel valutare il ruolo di ostacoli e deviazioni sulla mobilità delle frane (soprattutto
le colate). E’ altresì il caso di ricordare gli altri fattori che condizionano la stessa mobilità,
ovvero l’altezza della caduta, la regolarità del percorso, la dimensione della massa in
movimento.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Per quanto attiene specificamente l’iter seguito per il territorio dell’Autorità di Bacino, la
procedura di elaborazione adottata parte dalla Carta di suscettibilità all’innesco, già trattata nel
paragrafo precedente. Tale Carta viene utilizzata, in questa fase, per il tracciamento di sezioni
topografiche, passanti per i principali valloni dei vari contesti, nonché per un numero
significativo di versanti “planari”, ovvero privi di incisioni torrentizie di un certo rilievo, e per lo
più coincidenti con le “faccette triangolari” della Carta geomorfologica.
Contestualmente, si è proceduto alla determinazione dell’angolo di portata specifico per i vari
contesti geologico-geomorfologici. In tal senso, si è operato tenendo conto della letteratura più
recente disponibile sull’argomento, sui territori d’interesse, tra cui, in particolare Calcaterra et
al. (1999), de Riso et al. (1999), Di Crescenzo & Santo (1999). La valutazione del suddetto
angolo è stata condotta considerando esclusivamente i valori di H ed L, non potendo disporre
dei valori di volumi mobilizzati per l’intera area di studio, scegliendo i più idonei valori
rispettivamente per frane generate a monte di impluvi e/o valloni (e quindi passibili di
incanalamento) e per frane lungo versanti planari. Tali valori sono stati utilizzati, in prima
approssimazione, a partire dal punto di “Suscettibilità molto elevata all’innesco”, posto a quota
più alta lungo le prescelte sezioni di calcolo. In presenza di settori di versante posti a monte
del suddetto punto e classificati a “Suscettibilità elevata o media-moderata”, il primo calcolo è
stato reiterato, al fine di determinare le corrispondenti aree di possibile invasione. In caso di
pronunciate anomalie morfologiche lungo la sezione (concavo-convessità, tratti di versante
planari che si raccordano ad incisioni, ecc.), i calcoli sono stati ulteriormente replicati.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Al termine di tale fase, si sono quindi uniti i punti di massima invasione, corrispondenti ai
diversi livelli di suscettibilità, ottenendo quindi degli areali “preliminari”. Questi ultimi sono stati
successivamente controllati con una serie di dati, derivati dalla Carta geomorfologica, quali
frane (e loro effettiva “impronta”), conoidi, glacis d’accumulo pedemontani, elementi antropici
significativi (cave, vasche, rilevati), ecc. L’iniziale delimitazione è stata quindi ridefinita in modo
da pervenire alla versione definitiva della Carta di suscettibilità all’invasione per frane da
scorrimento-colata rapida.
L’esplicitazione dell’intero iter metodologico seguito per la redazione della carta di pericolosità
relativa (suscettibilità) da frana (innesco-transito-invasione) è visualizzata nelle tre figure
seguenti (la distribuzione dei valori di acclività delle aree di distacco si riferisce al Vallo di
Lauro).
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RELAZIONE GEOLOGICA
Per quanto attiene alle frane da crollo in rocce lapidee, la definizione del limite di massima
invasione è affetto da margini di approssimazione connessi alla complessità oggettiva del
tema, ma anche alla vastità dei fronti lapidei considerati. L’elemento di riferimento, di tipo
areale, è mutuato essenzialmente dal rilevamento gemorfologico e riguarda in particolare la
presenza o meno di blocchi franati, nei tratti a valle delle balze rocciose considerate (vedi
zona di Taurano; collina dei Camaldoli e Monte Barbaro; versanti dell’Epomeo). In un’area
singolare, rappresentativa del contesto carbonatico, il dato geomorfologico è stato confrontato
con le risultanze di analisi di dettaglio relativa sia all’assetto strutturale del fronte, sia alle
traiettorie percorse da un blocco di riferimento. Le risultanze dei dati acquisiti, con i limiti di
approssimazione sopra riportati, sembrano indicare (tenuto conto delle dimensioni prevalenti
dei blocchi e della lunghezza dei percorsi) che il limite massimo ricade, in un buon numero di
casi, all’interno o al piede delle aree di versante. In tali casi, esso viene a coincidere, nelle
condizioni più sfavorevoli, con la zona apicale delle aree a suscettibilità molto elevata
all’invasione per frane da colata rapida.
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RELAZIONE GEOLOGICA
LA CARTA DELLA PERICOLOSITÀ RELATIVA (SUSCETTIBILITÀ) DA FRANA
NEI DIVERSI CONTESTI GEOLOGICI
LE DORSALI CARBONATICHE
MONTI DEL CASERTANO – VALLE SUESSOLA
Per la definizione delle aree di invasione, i valori degli angoli di estensione adottati sono stati pari a
18°, per le frane incanalate, ed a 28° per le frane su versanti planari. Solo per il versante
settentrionale della collina di San Felice a Cancello, conformemente a quanto già messo in atto
nella precedente edizione del PAI, è stato adottato un valore pari a 21° per le frane su versante
planare, in considerazione del particolare contesto geologico-geomorfologico e delle evidenze
connesse a precedenti fenomeni franosi.
L’utilizzo di un elevato numero di sezioni per l’applicazione dell’angle of reach ha permesso di
ridefinire l’inviluppo dell’area di massima invasione. Grazie anche ad un congruo numero di
sopralluoghi nelle aree pedemontane, l’aggiornamento ha comportato una riduzione delle aree
di massima invasione soprattutto al piede del versante del Monte Tairano, nel Comune di
Arpaia, e sulla collina del Castellotto nella frazione di Talanico a San Felice a Cancello.
VALLO DI LAURO
Al fine dell’individuazione delle aree di invasione, è stato incrementato in misura significativa il
numero di sezioni lungo le quali è stato applicato il metodo dell’angle of reach. Ciò ha
consentito di ottenere un inviluppo aggiornato delle aree di massima invasione, risultato al
quale si è pervenuti adottando il valore di 28° per le frane su versanti planari, mentre per le
frane incanalate si sono utilizzati il valore di 13°, per i versanti che insistono sul margine
meridionale del Vallo di Lauro, e di 18° per quelli che insistono sul margine settentrionale.
BAIANESE
Per la determinazione delle aree di invasione sono stati confermati ed applicati, sulla base dei
dati riferiti a frane storiche disponibili per l’area Baianese, gli stessi valori dell’angolo di
estensione, e precisamente 18° per frane incanalate e 28° per frane attivabili lungo versanti
planari.
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE
Per la definizione delle aree di invasione, secondo il metodo dell’angle of reach, è stato
adottato un unico valore, pari a 38°, valido sia per le frane incanalate che per quelle attivabili
lungo versanti planari. Tale valore è diverso da quello utilizzato nella edizione del PAI 2002
(pari a 30°), in conseguenza della nuova Carta delle acclività e dell’introduzione dei nuovi
fenomeni franosi occorsi a partire dal 2002. L’analisi statistica da cui è stato derivato il valore
utilizzato è stata effettuata, infatti, su un numero molto più consistente di frane da scorrimento
e scorrimento-colata (circa 500) distribuite, peraltro, su tutto il contesto geologicogeomorfologico dei Campi Flegrei.
Al pari di quanto svolto per gli altri contesti, anche per i Campi Flegrei, ai fini della definizione
dei punti di massima invasione, ci si è avvalsi di un elevato numero di sezioni di calcolo. La
linea di inviluppo che ne è scaturita risulta più articolata e precisa oltre che più rispondente alla
complessità geomorfologica del territorio flegreo.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Anche per questo elaborato la fascia costiera è stata zonata facendo riferimento al lavoro nel
frattempo già svolto in sede di Piano per la Difesa delle Coste. La metodologia adottata è
strettamente correlata al diverso approccio utilizzato per realizzare, in tale ambito, la Carta
della suscettibilità all’innesco. In particolare, l’area di possibile invasione è stata individuata
mediante un approccio geomorfologico basato su osservazioni dirette di campo e su analisi di
aerofotografie e di ortofoto di dettaglio.
Al riguardo è da sottolineare che il potenziale di massima invasione da frana di norma supera
la linea di costa, ricadendo in mare; ciò in virtù della limitata presenza di spiagge, peraltro di
modesta ampiezza, al piede delle falesie. Queste ultime, inoltre, si presentano con altezze
notevoli a tergo e dotate di caratteristiche litotecniche molto disomogenee. Si riscontrano
infatti passaggi stratigrafici, spesso complessi ed alternati, di rocce da semicoerenti a sciolte.
Tutto ciò rende suscettibili a frane anche e soprattutto quei settori posti in prossimità del ciglio
superiore delle falesie, con l’aggravante di rendere più elevata la propensione all’invasione
degli arenili. L’eventuale attivazione di frane in prossimità del ciglio delle falesie, inoltre,
comporta una tendenza retrogressiva, esaltata dalla modesta resistenza che i depositi
vulcanoclastici oppongono all’erosione.
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: LE ISOLE DI ISCHIA E PROCIDA
ISCHIA
Al fine di ottenere un inviluppo aggiornato delle aree di massima invasione, anche per il
territorio dell’isola d’Ischia sono state costruite numerosissime sezioni alle quali è stato
applicato il metodo dell’angle of reach.
Sulla base delle nuove informazioni disponibili è stata fatta una verifica del valore dell’angolo
da applicare. In tal senso, hanno avuto un ruolo fondamentale i dati relativi alle citate frane di
Monte di Vezzi del 2006 (23°; 23°; 24°; 26°), valori più bassi dei pochi precedentemente
disponibili ad Ischia per frane della stessa tipologia (scorrimento-colata).
Gli eventi di Monte di Vezzi rappresentano certamente una casistica ridotta rispetto alle oltre
200 frane note per l’isola d’Ischia, ma un’attenta analisi dell'assetto geologico-stratigrafico
dell'Isola d'Ischia mostra una profonda differenza tra la porzione del settore orientale nota
come Graben di Ischia ed il restante territorio isolano. Infatti, il versante settentrionale di
Monte di Vezzi è caratterizzato da un substrato litoide (lave) ricoperto da depositi piroclastici
sciolti. Tale assetto litostratigrafico si ritrova in numerose altre località all'interno del Graben di
Ischia. Pertanto, sulla base di tale diffusa peculiarità litostratigrafica e dell'evento di Monte di
Vezzi, si è ritenuto opportuno utilizzare un angolo di estensione pari a 25° per il Graben di
Ischia, mantenendo invece inalterato il valore (32°) da utilizzare per il restante territorio
isolano, congruente sia con i dati del PAI 2002, sia con gli eventi successivi, cartografati per la
redazione del presente aggiornamento.
PROCIDA
La particolare conformazione dell’isola di Procida, che è sintetizzabile come un’ampia spianata
sommitale bordata da ripide falesie in genere di modesta altezza (poche decine di metri),
rende poco significativa l’elaborazione di Carte della suscettibilità mediante metodi
standardizzati con l’ausilio di supporti informatici.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Gli studi ed i rilievi svolti hanno evidenziato che le problematiche legate a fenomeni franosi per
le isole di Procida e di Vivara sono confinate esclusivamente al perimetro costiero, salvo un
piccolo e limitato settore a monte della strada litoranea in località Centane. Per tali
motivazioni, la redazione della Carta della suscettibilità all’Innesco si è basata su una
metodologia tesa all’individuazione delle caratteristiche geolitologiche e di tutti i fattori
geomorfologici predisponenti all’innesco di frane. Sulla base dei numerosi dati di campagna
(rilievi eseguiti su base cartografica in scala 1:2000 del Comune di Procida, messa a
disposizione dall’AdB), sono stati individuati alcuni fattori, a loro volta utilizzati per la redazione
della Carta della suscettibilità all’innesco: litologia, acclività, frane, stato di attività delle falesie,
fenomeni erosivi e presenza di cavità al piede delle falesie, presenza di opere di sistemazione
antropiche.
In particolare, per quanto riguarda la litologia si è fatta distinzione tra versanti costituiti in
prevalenza da formazioni litoidi (es.: depositi tufacei) e da terreni da sciolti ad addensati (es.:
piroclastiti incoerenti).
Per quanto riguarda l’acclività, si è individuato un valore discriminante rispetto all’innesco dei
fenomeni franosi. Si è deciso di adottare un valore di 40°, in quanto la maggior parte delle
frane rilevate si sono innescate da settori con acclività maggiore di 40°. Questo dato è stato
determinato sovrapponendo la Carta-inventario dei fenomeni franosi alla Carta delle acclività,
quest’ultima appositamente redatta in ambiente GIS.
Le classi di suscettibilità sono state definite tenendo conto della presenza/assenza di frane sui
versanti, della velocità/intensità delle frane, della litologia del versante e, più in generale, delle
indicazioni sui processi geomorfologici attivi.
L’esame congiunto della franosità storica ed attuale ha permesso di individuare tutti i settori
che presentano problematiche connesse all’innesco di frane. Successivamente sono stati
riconosciuti quei settori che, pur non caratterizzati da fenomeni in atto o pregressi,
presentavano caratteristiche litologiche e geomorfologiche confrontabili con quelli interessati
da frane.
L’analisi geomorfologica dell’isola ha evidenziato che lunghi tratti dei cigli delle falesie
mostrano segni di arretramento per fenomeni gravitativi, il che, a sua volta, potrebbe
rappresentare una seria minaccia per infrastrutture ed insediamenti ubicati in prossimità dei
cigli stessi.
La suddetta circostanza ha reso necessario approfondimenti tesi alla valutazione del
potenziale arretramento dei cigli delle falesie impostate nei diversi litotipi (depositi
vulcanoclastici da semilitoidi a litoidi e da sciolti ad addensati). L’analisi di numerose frane che
hanno interessato sia depositi tufacei che piroclastiti sciolte, nonché l’osservazione di foto
aeree storiche, ha permesso di riconoscere, in molti casi, arretramenti recenti legati all’innesco
di frane dell’ordine di 5-6 m per i tufi ed anche di 10 m nel caso di piroclastiti sciolte.
Sulla base di tali evidenze ed adottando un criterio doverosamente cautelativo, si è ritenuto di
inglobare nelle aree suscettibili a franare un buffer di 10 m a monte del ciglio di falesie in rocce
lapidee e di 20 m nel caso di falesie in rocce sciolte, per le quali gli arretramenti devono
ritenersi caratterizzati da velocità maggiori.
Pertanto, come si evince dalla Carta della suscettibilità da frana, sono state cartografate come
aree suscettibili all’innesco anche quelle poste a ridosso del ciglio delle falesie o di versanti
molto acclivi (acclività maggiore di 40°).
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RELAZIONE GEOLOGICA
Questa procedura ha portato all’individuazione di tre classi di suscettibilità, delle quali la
classe “a suscettibilità alta all’innesco di frana” comprende i settori territoriali che presentano
fattori morfodinamici attivi quali: frane, fenomeni di arretramento del ciglio ed aree soggette a
scalzamento al piede ad opera del mare. Sono stati cartografati in questa classe, inoltre, tutti
gli ambiti geomorfologici che presentano acclività maggiore di 40° in rocce sia tenere che
lapidee. In questi ambiti, infatti, è stata accertata la presenza di numerose frane, storiche e
recenti, dotate di elevata velocità/intensità, costituite per lo più da crolli e scorrimenti-colate
rapide. Le “aree a suscettibilità media all’innesco di frana” comprendono tutti i settori di falesia
con acclività minore di 40° sia in materiali litoidi che sciolti, per i quali si sono rilevati i segni e
gli indizi di dissesti potenziali riconducibili per lo più a frane da scorrimento e/o scorrimentocolata, non necessariamente veloci e, per tale motivo, dotate di minore intensità.
La classe “a suscettibilità bassa all’innesco di frana” comprende quei settori ad acclività
contenuta (15°-25°) che si rinvengono a monte del ciglio delle falesie con acclività maggiore di
40°, sia in materiali prevalentemente litoidi che in materiali sciolti o addensati.
Bisogna infine precisare che, constatata l’ottima corrispondenza tra la base cartografica in
scala 1:2000 e la situazione reale rilevata in campagna, allo scopo di non perdere la qualità ed
il dettaglio dei rilievi eseguiti, le elaborazioni in ambiente GIS (Carta delle Acclività, overlay
cartografici, Carta della suscettibilità all’innesco da frana) sono state realizzate utilizzando la
suddetta Carta in scala 1:2000, del Comune di Procida, adattando il risultato finale alla CTR in
scala 1:5000.
IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA VESUVIO
Per la definizione delle aree di invasione, secondo il metodo dell’angle of reach, il valore
adottato è stato quello relativo alle frane incanalate, pari a 18°.
L’utilizzo delle nuove sezioni per l’applicazione dell’angle of reach ha permesso di ottenere un
inviluppo aggiornato per la definizione dell’area di massima invasione.
Al termine di tale fase, l’inviluppo ottenuto è stato incrociato con una serie di informazioni quali
frane e loro effettiva impronta, elementi antropici significativi (cave, vasche, rilevati stradali,
ecc.), il che ha consentito, a sua volta, di ridefinire al meglio i limiti delle aree di invasione e di
pervenire alla stesura finale della Carta della pericolosità relativa.
Per effetto della riduzione della suscettibilità all’innesco, anche nell’elaborato conclusivo si è
potuto notare un decremento degli areali classificati con pericolosità elevata. Tali areali sono
per lo più concentrati nelle aree di displuvio tra le principali incisioni.
LE CARTE DI SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO – PSAI EX AUTORITÀ
DI BACINO DEL SARNO
Nel PSAI della ex Autorità di Bacino del Sarno sono state applicate due diverse metodologie di
analisi per la determinazione della pericolosità (o suscettibilità) da frana, rispettivamente per i
territori ricadenti in provincia di Napoli e per i territori ricadenti in provincia di Salerno e
Avellino, in quanto i rispettivi studi sono stati sviluppati da due diverse strutture universitarie
(portatrici di diverse scuole di pensiero nell’analisi dei fenomeni di colata rapida), entrambe
operanti nell’ambito dello stesso soggetto (il CUGRI) affidatario dell’incarico di consulenza
scientifica per la redazione del PSAI.
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RELAZIONE GEOLOGICA
SUSCETTIBILITÀ ALL’INNESCO DEI FENOMENI FRANOSI
La metodologia per la determinazione della suscettibilità all’innesco, nella porzione di territorio
dell’Autorità ricadente in provincia di Napoli, è analoga a quella applicata per la ex AdB Nord
Occidentale, ovvero derivata dall’incrocio in ambiente GIS delle stesse carte tematiche, con
alcune modifiche alla relazione matematica che definisce l’indice di suscettibilità, apportate
alla luce di una quantità maggiore di dati inerenti un territorio che comprende buona parte dei
massicci carbonatici campani.
La scelta dei fattori utili è scaturita dall’analisi geomorfologica di dettaglio compiuta su 172
fenomeni franosi avvenuti nell’ultimo decennio in Campania e per i quali si sono potuti
misurare con buon precisione i parametri morfometrici più significativi (Di Crescenzo & Santo,
2005). Ai fini dell’analisi della predisposizione all’innesco di frane di colata rapida Sono stati
considerati i seguenti parametri:
p) S = acclività del versante
q) T = spessore delle coperture piroclastiche
r) C = sentieri e/o strade ubicati nei settori medio-alti dei versanti
s) Sp = sorgenti o aree con sorgenti per lo più di orgine carsica
t) Lme = impronte di antiche frane riconosciute anche da fotografie aeree
u) Rc = cornici morfologiche in roccia
v) L = impronte di frane censite
L’acclività e lo spessore della coltre piroclastica sono stati calcolati mediante i metodi statistici
di frequenza, così come buona parte degli altri parametri considerati come fattori peggiorativi
per la stabilità. In particolare per quanto riguarda la pendenza si sottolinea l’appartenenza
della maggior parte delle nicchie di distacco a classi di acclività comprese tra 35° e 45° .
L’influenza delle cornici litologiche e dei sentieri è evidenziata da diversi Autori (Calcaterra et
al, 1997; Brancaccio et al, 1999; Celico & Guadagno, 1998; Di Crescenzo & Santo, 1999;
Guadagno et al, 2000; Ayalew L. & Yamagishi H., 2005). In particolare Di Crescenzo & Santo
(2005 evidenziano che più di un centinaio di frane, sull’intero campione censito, si manifestano
ad una distanza dai sentieri e dalle balze inferiore a 10 m.
Un altro fattore molto importante è la presenza sul versante di antiche frane o tracce di frane.
Infatti è noto che in alcune aree (M. Pendolo a Gragnano, Collina di S. Pantaleone, Tramonti,
Vico Equense etc.) si assiste ad una ciclicità degli eventi franosi con periodi di ritorno in alcuni
casi di pochi decenni (Migale & Milone, 1998; Del Prete & Mele, 1999; de Riso et al, 2004;
Cascini et al., 2000).
Per quanto riguarda le sorgenti è il caso di ricordare che durante i periodi di intense
precipitazioni, si sono attivate sorgenti carsiche di alta quota impostate nei settori più
fratturati dei calcari (Celico & Guadagno, 1998). Esse possono indurre travasi nella coltre
piroclastica con effetti sfavorevoli sulla stabilità della coltre a causa dei forti gradienti in gioco e
dei contrasti di permeabilità degli orizzonti eruttivi.
La suscettibilità all’innesco (I) delle colate rapide di fango viene calcolata con una funzione
che mette in relazione i fattori descritti precedentemente, tramite un Gis (Di Crescenzo et al.,
2008):
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RELAZIONE GEOLOGICA
I = S (2T + 1) (C+Sp+Lme+Rc+L+1)
L’espressione, rispetto a quelle proposte da altri Autori (Amanti et al, 1998; Calcaterra et al,
2003), presenta alcune differenze che possono così essere sintetizzate:
i fattori utilizzati sono stati incrementati con l’inserimento di altri ritenuti più significativi quali ad
esempio la presenza di tagli antropici (sentieri e strade) e naturali (cornici litoidi), sorgenti e
presenza di frane pregresse;
la relazione matematica è stata rivista alla luce di una quantità ben maggiore di dati inerenti un
territorio molto vasto (buona parte dei massicci carbonatici campani);
Rispetto ai parametri contemplati nella relazione di Amanti et al., (1998) non è stato
considerato quello relativo all’uso del suolo (L) tenendo conto di nostre precedenti esperienze
scientifiche. Infatti si è constatato che gli inneschi avvengono sia in presenza di vegetazione di
“alto fusto” che di “basso fusto” (macchia). Se si fa riferimento agli studi condotti per la
redazione del PSAI dell’Autorità di Bacino Nord Occidentale (in particolare nei contesti dei
massicci calcarei della zona di Lauro e dei Monti di Avella,) si può infatti osservare che le
frane hanno interessato soprattutto versanti caratterizzati dalla presenza di boschi di latifoglie
o di macchia mediterranea.
Anche l’ordine gerarchico del bacino di appartenenza è sembrato poco significativo in quanto
l’analisi dei bacini idrografici interessati dalle frane ha evidenziato che la maggior parte dei
canali in cui esse si sono sviluppate presentano un ordine gerarchico che va da 1 a 2 (Cascini
et al, 2000).
Suscettibilità
Classi di suscettibilità
nulla
I<1
basso
1<I<50
medio
50<I<150
alto
150<I<600
molto alto
I>600
L’algoritmo proposto è stato testato in più aree campione (Di Crescenzo et al., 2008) e si è
potuto constatare la corrispondenza fra l’ubicazione delle frane osservate e le aree
classificate ad alta suscettibilità. Allo scopo di rendere la carta più leggibile, il valore dell’indice
di suscettibilità è stato normalizzato, moltiplicato per 1000 e diviso in 5 differenti classi.
Nei territori della ex AdB Sarno ricadenti in provincia di Salerno e Avellino, la suscettibilità
all’innesco è stata determinata mediante l’applicazione del modello di stabilità distribuita
Shalstab (Dietrich et al, 1992, 1994), che utilizza un modello idrologico per stimare l'altezza
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RELAZIONE GEOLOGICA
relativa della falda sospesa, insieme ai parametri geotecnici e morfometrici nella formula del
pendio indefinito.
Secondo tale formulazione la condizione di innesco di un fenomeno franoso e' controllata da 6
parametri:
w) parametri geomeccanici del terreno: coesione c, angolo di attrito φ’ e densita'
relativa s
x) inclinazione  della superficie di rottura (che si assume coincida con la pendenza
topografica e la direzione delle linee di deflusso ipodermico)
y) altezza h della falda sospesa, e spessore di suolo z.
Il modello idrologico stima in ogni punto del versante l'altezza relativa della falda (h/z),
assumendo che tutta la "precipitazione efficace" q (risultato della precipitazione P),
proveniente da monte, raggiunga il punto dato, e che la quantità d'acqua in ingresso sia
equilibrata dalla quantità d'acqua in uscita (condizione di stato stazionario).
Date queste condizioni di partenza, in ogni punto del versante l'altezza relativa della falda (h/z)
è stimabile con la seguente espressione
h/z = (q/T) (a/b) / sin 
dove q = tasso di alimentazione verticale alla falda, T = trasmissività del terreno, a/b = area di
drenaggio unitaria.
Questa relazione formalizza due concetti:
la quota della falda e' tanto più elevata quanto maggiore è l'area sottesa a monte
la quota della falda e' inversamente correlata al gradiente topografico
Nell’ipotesi di coesione nulla, applicando la falda così definita al modello del pendio indefinito
si ottiene la formula del modello Shalstab:
q
b

s
T=
∙ A ∙sen 
w
 tan  
1 

 tan 
dove:
z) q = precipitazione efficace [mm/giorno]
aa)
T = trasmissività del terreno [m2/giorno]
bb)
s = densità del suolo saturo [kg/m3]
cc)
w = densità dell’acqua [1 x 10-3 kg/m3]
dd)
 = inclinazione del pendio
ee)
φ’ = angolo di attrito interno del suolo saturo
ff) b = larghezza della cella elementare [m]
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gg)
RELAZIONE GEOLOGICA
A = area del bacino contribuente a monte della cella [m2]
L'equazione esprime la suscettività al dissesto in termini di un indice, il q/T critico, che e' il
rapporto fra la "precipitazione efficace" q e la trasmissività T del terreno in un dato punto,
necessario (a parita' di parametri geomeccanici) per innescare una frana.
Un valore di q/T critico basso, significa che e' sufficiente una pioggia (q) modesta per
innescare la frana, pertanto risulta piu' elevata la suscettivita' al dissesto. Al contrario, un
valore di q/T critico elevato, significa che e' necessaria una pioggia (q) di intensita' superiore
per innescare rottura; di conseguenza la suscettivita' al dissesto risulta piu' bassa.
La suscettività all’innesco può essere definita con SHALSTAB per diversi valori della piovosità
giornaliera. Ai fini della determinazione della pericolosità da frana nel PSAI, si è fatto
riferimento ad un’altezza di pioggia corrispondente a 100 mm/giorno.
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SUSCETTIBILITÀ ALL’INVASIONE DEI FENOMENI FRANOSI
La metodologia per la determinazione della suscettibilità all’invasione, nella porzione di
territorio ricadente in provincia di Napoli, è analoga a quella applicata per la ex AdB Nord
Occidentale, ovvero utilizzando il metodo semi-quantitativo del reach angle (o angolo di
estensione, originariamente fahrboschung; Heim, 1882; 1938), dato dal rapporto tra due
grandezze:
hh)
H:
dislivello misurato dalla quota di impostazione della nicchia di frana
(qn) e la quota assoluta dell’unghia del cumulo di frana (qfc);
ii) L:
distanza orizzontale misurata a partire dal coronamento della nicchia di
distacco fino all’unghia del cumulo di frana.
In pratica quindi:
Angolo di Estensione (y) = arctg H/L = arctg (qn-qfc)/L
Il valore dell’angolo di estensione fu successivamente correlato da Shreve (1968) e da
Scheidegger (1973) ai volumi delle frane analizzate, in particolare Hsù (1975; 1978) dimostra,
sulla base di numerosi esperimenti, che esso diminuisce con l’aumentare del volume al di
sopra del valore di 100.000 m3 mentre si mantiene costante per valori più bassi.
Studi di dettaglio sui fattori che condizionano il runout hanno mostrato una correlazione lineare
tra il volume e l’angolo di estensione per tutte la varie tipologie di frane già per volumi di 10 m 3
(Corominas,1997; Legros, 2002; Finlay et al., 1999). In particolare Corominas (1997)
evidenzia come gli earth flows hanno una maggiore mobilità rispetto ai rock falls.
Eisbacher (1979) conferma il legame esistente tra l’angle of reach e il volume del materiale
franato e sottolinea al contempo il forte condizionamento dovuto all’altezza di caduta (Dai &
Lee, 2002), alle anomalie topografiche, alla forma delle particelle costituenti la massa franata
e alla presenza di vegetazione (Skermer 1983).
Tra i ricercatori che hanno lavorato nei contesti appenninici campani si possono ricordare
Aleotti et al. (2001) che evidenziano la correlazione esistente per le frane di Sarno tra la
distanza di transito e il grado di evoluzione del bacino (o la sua struttura gerarchica) e
calcolano l’equazione della linea di energia che individua la posizione della fascia altimetrica
critica di innesco e quella di runout.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Rolandi et al. (2001) assegnano, sulla base della distribuzione del rapporto H/L di alcune
decine di frane dei vari contesti carbonatici campani, un valore del reach angle pari a circa 22°
per le frane del tipo debris flows (assenza o subordinata presenza di acqua) e a 11° per quelle
del tipo hyperconcentrated-flood flow (significativa presenza di acqua).
Calcaterra et al., 2003 perimetrano le aree di invasione da frana per alcuni massicci
carbonatici campani applicando i valori di angolo di reach calcolati su frane pregresse che
avevano interessato i rilievi. Gli angoli risultavano più bassi per frane incanalate (mediamente
compresi tra i 13°-20°) e più alti per frane su versanti regolari (25°- 30°) come evidenziato in
de Riso et al., (2007).
Infine, un’analisi statistica del rapporto H/L delle numerose frane verificatesi nei diversi
contesti carbonatici della Campania (area flegrea, Penisola sorrentina, M.ti di Avella, Pizzo
D’Alvano, ha evidenziato che in ambito flegreo e nella Penisola Sorrentina si riscontrano valori
di angolo di reach più alti rispetto, ad esempio, alla zona di Pizzo d’Alvano, dove esiste
un’ampia fascia di raccordo altimetrico tra il versante e la piana che ha favorito la
propagazione delle colate.
La suscettibilità da invasione nel PSAI della ex AdB Sarno, per i territori in provincia di Napoli,
è stata valutata adottando valori del reach angle di 18° per le frane incanalate e di 28° per le
frane su versanti regolari.
Nei territori ricadenti in provincia di Salerno e Avellino la suscettibilità all’invasione è stata
determinata su base geomorfologica, individuando la zona di invasione come la parte valliva di
un ambito morfologico nel quale viene ricostruito uno scenario di franosità, ovvero localizzare
uno o più eventi franosi per tutto il loro processo di sviluppo (innesco, transito e accumulo),
prevedendo l’evoluzione futura sulla base dell’osservazione e dell’interpretazione di fenomeni
già avvenuti.
L’ambito morfologico è dunque inteso come “un tratto di pendio compreso tra la zona
sommitale del rilievo (ad evoluzione morfologica completa) o crinale sommitale ed il fondovalle
più prossimo a valle della frana considerata, limitato dai crinali morfologici secondari che
delimitano i bordi del tratto di propagazione dalla frana, dove esistono e si esauriscono tutti i
fattori che hanno concorso alle fenomenologie passate, che contribuiscono alla dinamica
franosa degli eventi attivi ed attuali e in cui possono ritenersi altamente probabili ulteriori
fenomeni”.
Nel caso delle colate rapide di fango sono state considerate le aree di monte, sede di
accumuli di materiali detritico-colluviali, che possono determinare ulteriori distacchi significativi
ai fini della pericolosità; tali aree sono state completate verso valle dalla posizione della frana
avvenuta, dalla segnalazione della zona di accumulo della frana e dell’area di probabile
invasione interpretata sulla base dei depositi di cumulo di frana, ovvero di conoide detriticofangosa, con migliori evidenze morfologiche.
Il grado di suscettibilità (e dunque il grado di pericolosità) da invasione viene definito secondo
uno schema evolutivo di flusso che può sintetizzarsi nel modo seguente: partendo dalle aree
di innesco con grado di suscettibilità S4 o S3 vengono collegati progressivamente, nel
percorso da monte verso valle, gli elementi geomorfologici intercettati all’interno di un
determinato ambito morfologico, trasmettendo a tali forme lo stesso grado di suscettibilità per
transito ed invasione.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Il risultato di questa procedura viene poi verificato e tarato in base alla stratigrafia dei depositi
di fondovalle (ove riconoscibile), delimitando l’area di possibile invasione in una fascia
compresa tra le aree di arrivo dei depositi di conoide detritico-alluvionale riconosciuti di età
recente, storica e/o attuale ed un limite situato più a valle del precedente laddove sono
presenti zone di invasione di conoidi detritico-alluvionali antiche e conoidi alluvionali recenti. Ai
depositi di composizione prevalentemente detritico-alluvionale viene assegnata la classe di
suscettibilità S4 (e dunque di pericolosità P4), mentre ai depositi di composizione
prevalentemente alluvionale viene assegnata la classe di suscettibilità S3 (e dunque di
pericolosità P3).
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CLASSI DI PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA NELL’EX AUTORITA’ DI
BACINO DEL SARNO
Il Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico del Sarno fornisce la “Carta della Pericolosità”
sviluppata attraverso i seguenti passi:
Redazione dei tematismi di base, ossia topografia, geomorfologia, geologia e assetto
strutturale, depositi di copertura sciolti, idrogeologia, uso del suolo e frane;
Attribuzione di pesi a ciascuna classe rappresentata nei tematismi di base;
Definizione delle classi di Suscettività;
Redazione della Carta delle aree di possibile invasione da parte di colate rapide (o di crolli).
Dalla sovrapposizione tra la Carta della suscettività a frana e dalla Carta delle aree di possibile
invasione si è ottenuta la Carta della Pericolosità ove sono stati riconosciuti quattro livelli di
pericolosità, così definiti:
P1: Pericolosità bassa o trascurabile: Aree di ambito sub-pianeggiante, collinare o
montuoso in cui si rilevano scarse o nulle evidenze di dissesto in atto o potenziali e scarsa o
nulla dipendenza dagli effetti di fenomeni di dissesto presenti nelle aree adiacenti e nelle quali
non si rilevano significativi fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei
depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche
e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo);
P2: Pericolosità media: Aree caratterizzate da scarse evidenze di dissesto potenziale e dalla
scarsa presenza di fattori predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi
sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e
contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo) o dalla prossimità di aree
interessate da dissesto;
P3: Pericolosità elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti quiescenti e/o inattivi,
da limitate evidenze di fenomeni di dissesto potenziale o dalla concomitanza di fattori
predisponenti al dissesto (acclività, spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture,
caratteristiche strutturali del substrato roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità,
condizioni attuali di uso del suolo) o dalla prossimità di aree interessate da dissesti attivi o
potenzialmente riattivabili;
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RELAZIONE GEOLOGICA
P4: Pericolosità molto elevata: Aree caratterizzate dalla presenza di dissesti attivi, da
fenomeni di dissesto attualmente quiescenti, ma con elevata probabilità di riattivazione, a
seguito della presenza di evidenze manifeste di fenomeni di dissesto potenziali o dalla
concomitanza di più fattori con caratteristiche fortemente predisponenti al dissesto (acclività,
spessori consistenti dei depositi sciolti delle coperture, caratteristiche strutturali del substrato
roccioso, caratteristiche e contrasti di permeabilità, condizioni attuali di uso del suolo).
Comprendono, inoltre, settori di territorio prossimi ad aree interessate da dissesti attivi o
potenzialmente riattivabili, aree di possibile transito o accumulo di flussi detritico - fangosi
provenienti da dissesti innescatisi a monte e incanalati lungo direttrici delimitate dalla
morfologia, oltre ad aree di possibile transito e/o recapito di materiali provenienti da dissesti di
diversa tipologia, innescatisi a monte e anche non convogliati lungo direttrici delimitate dalla
morfologia.
IL RISCHIO DA FRANA NEI PSAI DELLE EX ADB SARNO E NORD OCCIDENTALE
Il rischio idrogeologico è un termine sempre più diffuso a causa del crescente aumento di
danni (e di vittime) che i fenomeni franosi e alluvionali stanno producendo nel mondo ed in
particolare in Italia.
Tale aumento è per lo più causato dall’aumento del “valore esposto” e non tanto da un reale
incremento del numero e dell’intensità degli eventi.
In seguito ai numerosi disastri verificatesi negli ultimi anni ed al riconoscimento della natura
sociale di tali eventi, sono stati intrapresi programmi di ricerca, sia a livello nazionale che
internazionale, mirati ad affrontare tali fenomeni con opportune opere di previsione e
prevenzione.
Uno dei temi più trattati dalla letteratura, e sul quale non c’è ancora una soluzione condivisa, è
quello della metodologia per l’individuazione del “rischio” idrogeologico e delle sue
componenti.
In Italia, una punta avanzata nella ricerca in questo campo è il Gruppo Nazionale per la Difesa
dalle Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI), nel quale è attiva una linea di ricerca denominata
“Previsione e Prevenzione di eventi Franosi a Grande Rischio”.
In Francia si registrano forse i migliori risultati nel campo della previsione e prevenzione dei
rischi.
L’ultimo decennio del secolo (1990-2000) è stato designato dalla 42a Assemblea Generale
delle Nazioni Unite come Decennio Internazionale per la Riduzione dei Disastri Naturali ed è
stata istituita una Commissione per il censimento mondiale dei fenomeni franosi.
Il Working Party on World Landslide Inventory (WP/WLI) dell’UNESCO è nata per creare una
banca dati mondiale che dovrà costituire la base di riferimento per l’analisi della distribuzione
delle frane. Tale gruppo ha quindi predisposto “metodi raccomandati” per la descrizione delle
frane, schede per la rilevazione e glossari finalizzati ad uniformare la terminologia scientifica
relativa.
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RELAZIONE GEOLOGICA
In Italia , attraverso il Progetto AVI, commissionato dal Dipartimento della Protezione Civile al
GNDCI del CNR, sono stati censiti tutti i territori del paese colpiti da frane e da inondazioni per
il periodo 1918-1990. Gli eventi sono stati catalogati, mediante apposite schede, per ambiti
regionali, aggiornati fino all’anno 2000.
Permane, nonostante questi sforzi, una non condivisone ed incertezza relativa al significato di
pericolosità, vulnerabilità e rischio, nonché alla valutazione dei parametri con cui tali valori
possano essere quantificati.
La protezione idrogeologica, così come affrontata con il Piano Straordinario ex lege 226/99,
sembra contenere una certa rigidità e staticità ed evocare un atteggiamento vincolistico, fatto
perlopiù di “divieti”, che è, in definitiva, l’atteggiamento comune alle numerose leggi, in tema di
tutela e salvaguardia ambientale, attualmente vigenti nel nostro Paese.
L’origine di questo tipo di approccio può essere ricercata in un uso sconsiderato delle risorse
e, dunque, nel confronto tra lo stato attuale delle diverse utilizzazioni territoriali e la loro
compatibilità con il carattere fisico dell’ambiente naturale. Tale confronto chiarisce, ma certo
non giustifica, una politica ambientale permeata sostanzialmente da passività e scarsa
flessibilità, che si è tradotta, nel corso degli ultimi anni, in sterili perimetrazione di aree
rigidamente vincolate. Lo sforzo necessario da compiere dovrebbe concretizzarsi nel
superamento di un atteggiamento vincolistico, che il più delle volte finisce per creare situazioni
di stallo e di immobilità altrettanto pericolose di quelle di uso indiscriminato delle risorse, per
adottare, invece, un approccio “attivo” di mitigazione e prevenzione del rischio legato alle
dinamiche ambientali naturali/antropiche.
Una riflessione sulla sostanza delle azioni di protezione idrogeologica conduce così a ritenere
che queste oggi debbano essere orientate prevalentemente alla elaborazione di proposte che
contengano, insieme alla ovvia identificazione delle cause e degli effetti del dissesto
idrogeologico e alla perimetrazione delle aree effettivamente e/o potenzialmente soggette a
tale dissesto, anche e soprattutto gli elementi necessari per la previsione e prevenzione degli
eventi calamitosi. Lo strumento, se pur complesso, per quest’analisi si identifica nella
valutazione del rischio, la cui assunzione presuppone una confluenza disciplinare di opinioni,
criteri e consapevolezze, che consenta di progettare il “piano” non come “modello”, bensì
come “processo”.
La “processualità” è una scelta difficile perché parte dal presupposto che i fenomeni oggetto di
studio non siano riconducibili a schemi predefiniti capaci di spiegarli in modo completo ed
esaustivo, ma al contrario, siano interrelati ad una serie complessa di fattori che con la loro
peculiarità caratterizzano contesti specifici e ogni volta differenziati. Quando si fa riferimento
alla necessità di un piano “pertinente”, si intende sottolineare proprio l’esigenza di un modus
pianificatorio che sia capace di relazionarsi alla peculiarità dei diversi contesti.
DEFINIZIONE DEL CONCETTO DI RISCHIO NEI PSAI EX ADB SARNO
E NORD OCCIDENTALE.
Le considerazioni di carattere generale su riportate, così come la definizione del concetto di
rischio sono comuni alle pianificazioni delle due ex Autorità di bacino.
Il rischio (R) è definito come l’entità del danno atteso in una data area e in un certo intervallo di
tempo in seguito al verificarsi di un particolare evento calamitoso.
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RELAZIONE GEOLOGICA
Per un dato elemento a rischio l’entità dei danni attesi è correlata a2:
jj) • la pericolosità (P) ovvero la probabilità di occorrenza dell’evento calamitoso entro
un certo intervallo di tempo ed in una zona tale da influenzare l’elemento a rischio;
kk)
• la vulnerabilità (V) ovvero il grado di perdita prodotto su un certo elemento
o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi dell’evento
calamitoso temuto;
ll) • il valore esposto (E) ovvero il valore (che può essere espresso in termini
monetari o di numero o quantità di unità esposte) della popolazione, delle proprietà
e delle attività economiche, inclusi i servizi pubblici, a rischio in una data area;
mm)
Il danno (D) è definito come il grado previsto di perdita, di persone e/o beni,
a seguito di un particolare evento calamitoso, funzione sia del valore esposto che
della vulnerabilità.
Di conseguenza:
R=P×E×V
ovvero
R=P×D
dove
D=E×V
Dalle relazioni riportate discende che il rischio da associare ad un determinato evento
calamitoso dipende dalla intensità e dalla probabilità di accadimento dell’evento, dal valore
esposto degli elementi che con l’evento interagiscono e dalla loro vulnerabilità.
2
Nel rapporto UNESCO di VARNES & IAEG (1984) vengono date precise definizioni relative alle
diverse componenti che concorrono nella determinazione del rischio di frana:
a) Pericolosità (hazard H): probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo si
verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area.
b) Elementi a rischio (element at risk E): popolazione, proprietà, attività
economiche, inclusi i servizi pubblici etc., a rischio in una data area.
c) Vulnerabilità (vulnerability V): grado di perdita prodotto su un certo elemento o
gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno
naturale di una data intensità. E espressa in una scala da O (nessuna perdita) a i
(perdita totale).
d) Rischio specifico (specifìc Risk Rs): grado di perdita atteso quale conseguenza
di un particolare fenomeno naturale. Può essere espresso dal prodotto di Hper V
e) Rischio totale (total Risk R): atteso numero di perdite umane, feriti, danni alla
proprietà, interruzione di attività economiche, in conseguenza di un particolare
fenomeno naturale; il rischio totale è pertanto espresso dal prodotto:
R=HVE=Rs E
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RELAZIONE GEOLOGICA
La valutazione del rischio comporta non poche difficoltà per la complessità e l’articolazione
delle azioni da svolgere ai fini di una adeguata quantificazione dei fattori che lo definiscono. E’,
infatti, assai complicato giungere ad una parametrizzazione, in termini probabilistici, della
pericolosità e della vulnerabilità e, in termini monetari, del valore esposto.
Per lo stesso motivo, anche la mitigazione del rischio - che può essere attuata, a seconda dei
casi, agendo su uno o più elementi tra quelli sopra riportati – risulta essere un’operazione
molto complessa.
In un ottica di semplificazione delle procedure, attesa la reale difficoltà di attribuire ad ogni
singolo elemento e/o categoria di uso del suolo un valore specifico “numerico” i P.S.A.I hanno
quindi definito delle “classi di danno”, accorpando categorie d’uso del territorio individuate
nelle carte degli insediamenti e delle infrastrutture in “classi omogenee” per ciascuna delle
quali si ipotizza un “livello di danno”.
La perimetrazione delle aree a rischio è redatta sulla base delle conoscenze finora acquisite
dalle Autorità di bacino.
Al fine di mantenere aggiornato il quadro delle conoscenze sulle condizioni di rischio, i
contenuti dei Piani sono aggiornati a cura delle Autorità di bacino, mediante specifiche
procedure in base alle quali gli Enti locali interessati sono tenuti a comunicare all’Autorità di
bacino i dati e le variazioni, sia in relazione allo stato di realizzazione delle opere
programmate, sia in relazione al variare dei rischi del territorio.
Sono individuate le seguenti classi di rischio idogeologico3:

R1 – moderato, per il quale sono possibili danni sociali ed
economici marginali;

R2 – medio, per il quale sono possibili danni minori agli edifici e alle
infrastrutture che non pregiudicano l’incolumità delle persone,
l’agibilità degli edifici e lo svolgimento delle attività socioeconomiche;

R3 – elevato, per il quale sono possibili problemi per l’incolumità
delle persone, danni funzionali agli edifici e alle infrastrutture
con conseguente inagibilità degli stessi e l’interruzione delle
attività socio - economiche, danni al patrimonio culturale;

R4 –
molto elevato, per il quale sono possibili la perdita di vite
umane e lesioni gravi alle persone, danni gravi agli edifici e
alle infrastrutture, danni al patrimonio culturale, la distruzione
di attività socio - economiche.
I Piani individuano all’interno dell’ambito territoriale di riferimento, le aree interessate da
fenomeni di dissesto idraulico e idrogeologico. Le aree sono distinte in relazione alle seguenti
tipologie di fenomeni prevalenti, rispetto ai quali sono stati definiti i differenti livelli di
pericolosità:

3
frane;
D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180.
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
RELAZIONE GEOLOGICA
esondazione e dissesti morfologici di carattere torrentizio lungo le
aste dei corsi d’acqua.
Il valore del rischio sui territori di competenza delle due ex AdB Sarno e N.O. è stato desunto
da una combinazione matriciale della pericolosità (da frana o idraulica) e del danno.
Le matrici utilizzate per la definizione del rischio frana nei due PSAI costituiscono l’elemento
che maggiormente li diversifica tra loro, unitamente al numero delle classi di pericolosità frana 4
e, in parte, alle metodologie di definizione della pericolosità.
Il lavoro di omogeneizzazione ed aggiornamento dei due PSAI, finalizzato alla realizzazione di
un'unica cartografia di pericolosità e rischio da frana per il territorio della Campania Centrale, è
stato incentrato proprio sulla risoluzione delle problematiche scaturite dalle diverse
combinazioni matriciali assunte per la definizione del rischio.
Nel successivo Capitolo vengono illustrati i criteri adottati nel processo di omogeneizzazione,
mentre di seguito si riportano le matrici utilizzate per la definizione del rischio nei PSAI relativi
ai territori delle due ex AdB.
4
Approfondimenti sulla metodologia di definizione delle classi di pericolosità di frana nei PSAI ex AdB
Sarno e N.O, sono riportati nel precedente paragrafo “Valutazione della pericolosità dei fenomeni
franosi”.
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RELAZIONE GEOLOGICA
LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL
PSAI EX ADB NORD - OCCIDENTALE
Il PSAI – agg. 2011 per il territorio dell’ ex AdB Nord Occidentale, incrocia tre classi di
pericolosità (relativa) da frana – P3-Elevata, P2-Media, P1-Bassa, con quattro classi di danno
decrescente, da D4 – altissimo a D1 – basso.
Il danno (D = E x V), funzione sia del valore esposto che della vulnerabilità, è stato definito
assumendo in via cautelativa V = 1 , ovvero vulnerabilità massima, per ogni tipologia di bene
esposto. In tale ipotesi, il danno D coincide con la classe di valore esposto E assegnata agli
elementi potenzialmente interessati dai fenomeni franosi.
I valori delle classi di rischio frana si ottengono dalla matrice riportata di seguito:
Pn
Rk = Pn × Dm
P3
pericolosità
elevata
P2
Pericolosità
media
P1
Pericolosità
bassa
D4 – danno altissimo
R4
R4
R3
D3- danno alto
R4
R3
R2
D2- danno medio
R3
R2
R1
D1- danno basso
R2
R1
R1
Dm
L’assegnazione della classe di valore esposto e, quindi , del danno, è stata fatta secondo gli
indirizzi del D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180; in proposito è opportuno evidenziare che a tutte
le aree protette (Parchi , SIC, ZPS etc..) è stato associato sempre un livello di danno alto o
altissimo, a prescindere dalla presenza di insediamenti antropici.
Un ulteriore aspetto distintivo del PSAI ex AdB N.O., significativo ai fini del processo di
omogeneizzazione adottato, è costituito dalla combinazione matriciale tra la pericolosità frana
denominata P1-Bassa e il Danno altissimo D4, che produce comunque un Rischio Elevato –
R3, ovvero un rischio superiore a quello ritenuto “accettabile” secondo la definizione assunta
nel Piano, comune anche al PSAI ex AdB Sarno.
Le Norme di attuazione definiscono infatti come “Rischio accettabile” il “livello di rischio
conseguente alla nuova realizzazione di opere e/o attività che non superi il valore di R2,
secondo la definizione di cui al D.P.C.M. 29 settembre 1998, e tale che i costi che gravano
sulla collettività per lo stato di rischio che si andrà a determinare siano minori dei benefici
socioeconomici conseguiti dall’opera o dall’attività”.
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RELAZIONE GEOLOGICA
La Carta del Rischio frana, risultato dell’applicazione della matrice riportata, è stata realizzata
mediante l’intersezione della “pericolosità” con la “carta del danno”, quest’ultima elaborata a
partire dalla cartografia CTR 2004 e dal mosaico degli strumenti urbanistici comunali.
I criteri e le metodologie adottati hanno condotto ad una carta del rischio frana PSAI – agg.
2011 coincidente per buona parte del territorio con quella della pericolosità relativa
(suscettibilità) da frana.
LA MATRICE E LA CARTOGRAFIA DEL RISCHIO DA FRANA NEL
PSAI EX ADB SARNO
Il PSAI – agg. 2011 per il territorio dell’ ex AdB Sarno, incrocia quattro classi di pericolosità da
frana P4 Molto elevata– P3-Elevata, P2-Media, P1-Bassa o trascurabile, con quattro classi di
valore esposto , ovvero di danno decrescente, denominate ER1-Altissimo, ER3-alto, ER2medio, ER1-basso.
Elementi a rischio
Classe
ER1
Elementi
nn)
Zone A (centri storici)
oo)
Zone B (zone di completamento)
pp)
Zone C (zone di espansione)
qq)
Zone D (produttive e commerciali)
rr) Zone F1 e F2 (istruzione, attrezzature di
interesse collettivo)
ss)
Edifici
non
precedenti aree
compresi
tt) Infrastrutture
di
trasporto
autostrade e strade)
nelle
(ferrovie,
ER2
uu)
Elementi di infrastrutture a rete di
interesse primario
ER3
vv)
Zone F3 (sport e tempo libero)
ER4
ww)
Zone E1, E2, E3 (zone agricole)
PSAI ex AdB Sarno – agg. 2011:Tabella 4: Definizione degli elementi a rischio in ambito frane in cui:
ER1 = danno altissimo, ER2 = danno alto, ER3 = danno medio, ER4 = danno basso.
Il danno (D = E x V), anche in tal caso, è stato definito assumendo in via cautelativa V = 1 ,
ovvero vulnerabilità massima, per ogni tipologia di bene esposto. In tale ipotesi, il danno D
coincide con la classe di valore esposto E assegnata agli elementi potenzialmente interessati
dai fenomeni franosi.
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RELAZIONE GEOLOGICA
La classificazione delle categorie di elementi a rischio adottata con il relativo Valore Esposto
= Danno , è sintetizzata nella tabella sopra riportata.
L’assegnazione della classe di valore esposto e, quindi , del danno è stata fatta secondo gli
indirizzi del D.P.C.M. 11 giugno 1998 n°180; in proposito è opportuno evidenziare che, nel
caso del PSAI ex AdB Sarno, le aree protette (Parchi , SIC, ZPS etc..) , dove non presenti
insediamenti antropici, non sono state considerate esposte al danno massimo ma sono state
equiparate alle Zone E – agricole.
Tale diverso approccio nell’assegnazione di danno atteso rispetto al PSAI ex AdB N.O., ha
determinato uno dei significativi temi di discussione in sede di omogeneizzazione.
I valori delle classi di rischio frana si ottengono dalla matrice riportata nel seguito.
P.S.A.I. ex AdB Sarno ( agg. 2011) – ALLEGATO H - Matrice per la determinazione del rischio da frana
Il confronto con la matrice del rischio frana del PSAI ex AdB N.O., fa emergere con chiarezza
una delle differenze principali tra i due Piani: le classi di pericolosità P2 - media e P1 - bassa,
perimetrate per il bacino del Sarno , non danno mai luogo ad un rischio superiore a R2 ,
ovvero al livello massimo di rischio ritenuto “accettabile” secondo la definizione condivisa dai
due PSAI5.
5
Si assume come “rischio accettabile” quel livello di rischio che verifica contemporaneamente
le seguenti condizioni:
f) il rischio determinato dall’intervento da eseguire sia non superiore al valore R2,
secondo la definizione del D.P.C.M. 29 settembre 1998;
g) l’opera o l’attività prevista abbiano prevalente interesse pubblico o sociale;
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RELAZIONE GEOLOGICA
La Carta del Rischio frana-agg. 2011, risultato dell’applicazione della matrice riportata, è stata
realizzata mediante l’intersezione della “pericolosità” con gli elementi soggetti a rischio estratti
dalla cartografia CTR 2004, dalla carta degli insediamenti-ovvero del danno - PSAI 2002,
integrati con i principali sistemi infrastrutturali (strade ferrovie, reti di servizio principali). In
proposito è opportuno evidenziare che, nella procedura di intersezione non sono stati
considerati “gli areali“ delle zone omogenee a diversa destinazione urbanistica presenti nella
carta degli insediamenti redatta nel 2002, ma solo i singoli elementi (edifici, strade, etc…); tale
criterio, è stato determinato sia dalla volontà di evidenziare con chiarezza le principali sedi di
attività antropica esposti al rischio da frana – soprattutto R3 ed R4 – per i quali è necessaria
l’attivazione di specifiche misure di protezione civile, sia da criticità di carattere tecnico legate
alle diverse basi cartografiche utilizzate rispetto all’ originario PSAI 2002, non risolvibili in
sede di aggiornamento PSAI 2011.
Il programma delle attività infatti, in detta sede, prevedeva sostanzialmente solo un
aggiornamento ed approfondimento della pericolosità da frana nelle aree soggette ai fenomeni
di colate di fango, a partire dai nuovi eventi verificatisi dopo il 2002 fra cui la frana di Nocera
Inferiore del marzo 2005. Il lavoro di totale sostituzione e rifazione delle carte degli
insediamenti e del conseguente danno, ora realizzato in sede di omogeneizzazione, oltre a
non essere compatibile con il programma di lavoro del 2009-2010, avrebbe comportato fra l’
altro la modifica delle carte del rischio idraulico, allora non oggetto di aggiornamento se non in
aree limitate a seguito di studi specifici.
Dai diversi approcci utilizzati ne è scaturito, fra l’altro, che i “dati numerici” relativi alle
“superfici” esposte al rischio frana nei PSAI dei due territori delle ex AdB Sarno e N.O., non
sono immediatamente comparabili.
PROCEDURA DI
PERICOLOSITÀ E
CENTRALE
OMOGENEIZZAZIONE DELLE CARTE DI
RISCHIO DA FRANA – PSAI CAMPANIA
Come si può evincere dalla descrizione dei paragrafi precedenti, le scelte strategiche di
pianificazione e le metodologie applicate per la redazione delle carte di pericolosità nelle due
ex Autorità di Bacino regionali presentano differenze a volte sostanziali, anche nell’ambito
dell’Autorità del Sarno.
Compito del gruppo di lavoro della S.T.O. dell’Autorità di Bacino della Campania Centrale è
stato dunque quello di redigere una carta della pericolosità omogenea negli elementi
h) i costi che gravano sulla collettività per lo stato di rischio che si andrà a
determinare siano minori dei benefici conseguiti dall’intervento.
Gli studi e le indagini necessari alle verifiche di cui al comma 1 sono riportati negli studi di
compatibilità idraulica e idrogeologica di cui agli articoli 40 e 48, prendendo a riferimento le
tabelle per la determinazione del rischio di cui all’Allegato H.
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
rappresentati e nella legenda interpretativa, cercando di uniformare i criteri anche in relazione
alla strategia scelta per adeguare le Norme di Attuazione.
La differenza più evidente tra le carte di pericolosità da frana delle due ex Autorità di Bacino è
costituita dalla diversa articolazione delle classi di pericolosità.
Il PSAI dell’ex AdB Nord Occidentale individua 3 classi di pericolosità: bassa (P1), media (P2)
ed elevata (P3); il PSAI dell’ex AdB Sarno distingue 4 classi: bassa (P1), media (P2), elevata
(P3) e molto elevata (P4).
Al fine di uniformarsi anche alle altre Autorità operanti sul territorio della regione Campania,
direttamente confinanti l’AdB Campania Centrale (Autorità regionale ed interregionale
Campania Sud e Autorità nazionale Liri, Volturno-Garigliano), si è scelto di rappresentare tutta
la carta di pericolosità su 4 livelli, ritenendo che, in base alle metodologie applicate, sarebbe
stato coerente scalare di un livello verso l’alto le classi di pericolosità rappresentate nel PSAI
della ex AdB Nord Occidentale.
Contestualmente all’operazione di omogeneizzare le due cartografie, in alcuni casi le
perimetrazioni sono state riviste in funzione dei criteri descritti nel paragrafo seguente.
L’omogeneizzazione delle cartografie è stata condotta in parallelo con l’adeguamento delle
norme di attuazione tra i PSAI delle due ex Autorità di Bacino, che presentano alcuni aspetti
profondamente diversi, soprattutto per quanto concerne la determinazione del rischio indotto
dall’incrocio della pericolosità con il valore esposto.
Infatti la difficoltà principale, che ha condizionato la scelta dei criteri di equiparazione, consiste
nella differente normativa di attuazione che disciplina gli interventi antropici sul territorio per le
diverse classi di pericolosità, in relazione al livello di rischio indotto secondo le diverse matrici
applicate nei due Piani.
Fermo restando, il concetto di “rischio accettabile” fino al livello R2 – comune ad entrambi i
PSAI – la combinazione matriciale per la determinazione del livello di rischio in base alla
pericolosità è, come illustrato in dettaglio al precedente capitolo, profondamente diversa:
nel PSAI ex AdB Sarno la trasformazione antropica di aree a pericolosità P1 e P2 dà
luogo, rispettivamente, a livelli di rischio R1-moderato e R2-medio , contenuti entro la
soglia di rischio accettabile;
nel PSAI ex AdB Nord-Occidentale l’edificazione su aree P1-definite a pericolosità bassagià determina un rischio R3, superiore alla soglia di rischio ritenuta accettabile e quindi
non consentita dalle norme di attuazione del Piano.
DESCRIZIONE SINTETICA DEI CRITERI DI OMOGENEIZZAZIONE
DELLE CARTE DI PERICOLOSITÀ
È stato necessario pertanto individuare dei criteri che fossero coerenti con le impostazioni
metodologiche finora applicate, e che consentissero di costruire una carta valida per tutto il
territorio dell’AdB Campania Centrale, dove ad ogni classe di pericolosità corrispondesse
univocamente uno stesso livello qualitativo di rischio a parità di classe di Valore Esposto e
Danno e una specifica disciplina normativa.
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
Nel corso della elaborazione del progetto di Piano, sono state quindi considerate e verificate
molteplici ipotesi per ottimizzare l’omogeneizzazione finale degli aspetti legati alla pericolosità
ed al rischio frana, anche attraverso l’applicazione dei diversi criteri prospettati ad ambiti
significativi del territorio di bacino. Il lavoro di progressivo affinamento delle metodologie ha
condotto alla procedura di seguito sintetizzata:
Suddivisione in 4 classi di pericolosità anche per il territorio ex Nord-Occidentale, secondo il
seguente prospetto sintetico:
PSAI Nord-Occidentale
PSAI
Centrale
P3
P4
P2
P3
P1
P3
P0
Campania
P0/P1/P2
(aree non classificate)
Lasciando sostanzialmente inalterate le perimetrazioni delle aree con pericolosità superiore
alla soglia di trasformabilità (P3, P4 per il Sarno, P1, P2, P3 per il Nord-Occidentale), le sole
aree con pericolosità inferiore vengono modificate sulla base di soglie di pendenza così
individuate, tenendo conto della litologia affiorante e del fenomeno atteso:
angolo
pendio
di
Piroclastiti
Rocce
Flysch
0° < i ≤ 10°
P0
P0
P0
10° > i ≤ 18°
P1
P1
P1
18° < i ≤ 23°
P2
P1
P1
23° < i ≤ 28°
P3
P2
P2
28° < i ≤ 45°
P4
P3
P3
i > 45°
P4
P4
P4
Per le sole aree della ex AdB Sarno ricadenti in provincia di Salerno e Avellino, verifica della
perimetrazione delle aree di invasione mediante l’applicazione del metodo del reach angle
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
(18° per le frane incanalate e 28° per le frane su versanti regolari), partendo dai punti di
innesco già forniti dai consulenti scientifici in fase di redazione del PSAI.
Eliminazione di piccole aree anomale, generatesi in alcuni casi nei PSAI previgenti con
l’applicazione della procedura automatica di determinazione degli indici di suscettività,
mediante verifiche puntuali basate su criteri cautelativi che tenessero contestualmente conto
delle trasformazioni antropiche presenti.
Acquisizione, in qualità di contributi conoscitivi, di puntuali studi di dettaglio, prodotti a
supporto sia di proposte di riperimetrazione ai due vigenti PSAI, che di osservazioni al
Progetto di Piano Stralcio dell’AdB Campania Centrale nell’ambito della Conferenza
Programmatica ex art. 68 del D.Lgs. 152/2006.
Relativamente al punto 2, nella procedura di omogeneizzazione semplificata è stato scelto
l’indicatore pendenza in quanto, anche nei modelli applicati sui Piani attualmente vigenti, è il
parametro che influisce in misura più significativa sul grado di pericolosità da frana.
La soglia minima dei 28° per la classe di pericolosità P4 è stata scelta in coerenza con quanto
già considerato, insieme ai consulenti scientifici durante la redazione del PSAI, al fine di
meglio articolare i livelli di pericolosità nei territori posti a monte della “linea rossa” individuata
dal Commissariato Emergenza Idrogeologica per i comuni colpiti dagli eventi del maggio 1998.
Ai fini della determinazione del rischio indotto, viene applicata una matrice di intersezione tra
pericolosità e danno analoga a quella dell’AdB Sarno riportata al successivo paragrafo .
I risultati delle procedure descritte consistono essenzialmente in:
xx)
la sostanziale conferma delle perimetrazioni della pericolosità da frana per
l’area Nord-Occidentale e dei relativi vincoli di trasformazione, con integrazione
delle nuove aree P1- pericolosità bassa o trascurabile e P2-pericolosità media a
partire dalle aree non classificate nel vigente PSAI, prevalentemente in
corrispondenza di aree di versante intercluse in zone a maggiore pericolosità e/o
di aree pedemontane;
yy)
la sostanziale conferma, nel bacino del Sarno, delle perimetrazioni delle
aree a pericolosità più elevata (P4 e P3), con verifiche ed eventuali modifiche che
hanno interessato prevalentemente i territori in provincia di Salerno e Avellino,
finalizzate ad una maggiore uniformità dei criteri per la stima delle aree di
invasione sull’intero territorio dell’AdB Campania Centrale;
zz)
la trasformazione parziale, per il solo bacino del Sarno delle attuali aree
P2- pericolosità media e P1-pericolosità bassa o trascurabile, con alcuni
incrementi di pericolosità sui versanti acclivi poco antropizzati ed alcune
riclassificazioni delle aree pedemontane - prevalentemente da P2 a P1;
aaa)
la riduzione delle aree a pericolosità P1 nelle zone di fondovalle dei
principali corsi d’acqua del bacino con conseguente individuazione di aree a
pericolosità nulla in relazione ai fenomeni gravitativi di versante.
La ricalibratura delle aree a minore pericolosità P1-P2 nel Bacino del Sarno, oltre ai criteri
legati al modello delle pendenze, alla litologia e ai fenomeni attesi ha tenuto conto - con
particolari approfondimenti nelle zone pedemontane e di fondo valle più intensamente
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
antropizzate - della franosità storica, dello astato di attività dei fenomeni e, infine, della
presenza di elementi antropici topograficamente significativi.
Stralci planimetrici della pericolosità da frana nel PSAI dell’ex AdB Sarno e del PSAI dell’AdB Regionale
della Campania Centrale
Stralci planimetrici della pericolosità frane nel PSAI dell’ex AdB Nord-Occidentale (1:10.000) e del PSAI
dell’AdB Regionale della Campania Centrale (1:5000)
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PSAI AdB Campania Centrale
RELAZIONE GEOLOGICA
Quadro di unione della carta della pericolosità del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale
MATRICE E CARTA DEL RISCHIO DA FRANA PSAI ADB CAMPANIA
CENTRALE
L’individuazione delle aree a rischio da dissesto di versante del PSAI dell’ AdB Campania
Centrale fa riferimento ai al concetto generale di rischio sintetizzato al precedente capitolo.
La combinazione matriciale assunta è analoga a quella del vigente PSAI dell’ ex AdB Sarno,
mentre la classificazione dei valori esposti , della vulnerabilità( sempore pari ad 1- vulnerabilità
massima) e del conseguente danno potenziale è analoga a quella utilizzata nel previgente
PSAI dell’ ex AdB Nord-occidentale e nell’ambito delle attività inerenti Piano di Gestione per il
Rischio di Alluvioni – PGRA richiesto dalla c.d. Direttiva Alluvioni in base alle Linee Guida
ISPRA (mappe di pericolosità e rischio da alluvioni di cui all'art. 6 del D.Lgs.49/2010, redatte a
partire dai vigenti PSAI con i criteri di omogeneizzazione stabiliti in accordo tra tutte le Autorità
di Bacino – nazionali – interregionali e regionali con il coordinamento dell’ AdB Liri-Volturno –
Garigliano).
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RELAZIONE GEOLOGICA
PSAI AdB Campania Centrale - Determinazione del rischio da frana
I risultati dell’applicazione della nuova, comune matrice del rischio, hanno sostanzialmente
confermato i livelli di rischio Molto Elevati ed Elevati di entrambi i Piani relativamente alle aree
antropizzate e parzialmente ridefinito le aree a rischio medio e moderato R1 ed R2.
Occorre evidenziare che, assumendo i valori di danno elevati anche per tutte le aree protette
presenti sul territorio dell’ ex AdB Sarno che interessano le dorsali carbonatiche ed i Monti
Lattari, il livello di rischio associato ai versanti non antropizzati appare in generale
incrementato e sostanzialmente coincide la pericolosità.
A corredo del Piano, al fine di focalizzare l’attenzione sugli insediamenti ed infrastrutture
antropiche esposte a rischi a carattere idrogeologico più elevato, è stata elaborata, oltre le
cartografie a rischio frana ed a rischio idraulico articolate nei quattro livelli di rischio, una carta
di sintesi dei rischio molto elevato ed elevato da dissesto di versante e di quello derivante da
fenomeni idraulici.
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RELAZIONE GEOLOGICA
PSAI AdB Campania Centrale – Definizione degli elementi esposti, della vulnerabilità e del danno
atteso in relazione ai fenomeni franosi
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RELAZIONE GEOLOGICA
Stralci planimetrici del rischio da frana nel PSAI dell’ex AdB Sarno e del PSAI dell’AdB Regionale della
Campania Centrale
Rischio da frana PSAI 2015 - Stralci planimetrici del rischio frane nel PSAI dell’ex AdB NordOccidentale e del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale
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RELAZIONE GEOLOGICA
Quadro di unione della carta del rischio del PSAI dell’AdB Regionale della Campania Centrale
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
RISCHIO IDROGEOLOGICO PER FENOMENI DI SINKHOLE.
ASPETTI NORMATIVI
Nell’ambito dei fenomeni di dissesto idrogeologico che interessano alcune aree del territorio
dell’AdB Campania Centrale si ritiene quanto mai opportuno segnalare, al fine di approfondirne
la conoscenza, il rischio connesso ai cosiddetti “sinkhole”: fenomeni rappresentati da
sprofondamenti improvvisi della superficie topografica, con apertura di voragini di forma
generalmente circolare profonde anche decine di metri, che possono verificarsi anche in aree
pianeggianti, senza evidenze morfologiche in superficie.
Il panorama legislativo italiano  sia a livello nazionale che regionale  pur essendo abbastanza
articolato ed approfondito in materia di prevenzione del rischio idrogeologico, anche
relativamente a fenomeni di dissesto correlati principalmente a crisi sismiche, non comprende
ancora uno strumento normativo specifico di riferimento in materia di rischio da sinkhole.
In Campania, per esempio, a tutt’oggi non esiste una perimetrazione delle aree a rischio
sinkhole, nonostante sia quelli di origine naturale che quelli di origine antropica siano
alquanto frequenti soprattutto nelle aree più urbanizzate del territorio regionale. In questo
contesto, quindi, la mitigazione viene sempre demandata a provvedimenti emergenziali a
livello locale (ordinanze sindacali).
Esiste, in effetti, una legge regionale (n. 38 del 26 maggio 1975) recante interventi
straordinari in favore di alcuni comuni della provincia di Napoli interessati da ricorrenti
fenomeni di dissesto del suolo. Questa legge, dettata principalmente da emergenze in
territori interessati dalla presenza di cavità di origine antropica, enunciava già, seppur in
maniera solo indicativa, un programma di interventi da attuare in quelle aree e l'obbligo di
un approfondito studio geologico. Oltre a fornire indicazioni sulle diverse tipologie di
indagine e intervento (dall'ispezione e rilievo topografico della cavità, al consolidamento, al
riempimento, alla sistemazione delle reti di sottoservizi, etc.) la legge forniva anche alcune
prescrizioni di carattere urbanistico, purtroppo spesso disattese.
A seguito degli eventi di Forino del 2005 l'Autorità di Bacino del Sarno, nell'ambito
dell'aggiornamento all'anno 2011 del PSAI, già segnalava la necessità di un
approfondimento della problematica connessa ai sinkhole. A tal proposito, rifacendosi a
quanto già noto in letteratura, individua le aree a rischio del suo territorio riportandone una
prima zonazione. Si descrivono le principali cause predisponenti ed innescanti dei
fenomeni presenti sul territorio evidenziando i diversi meccanismi di innesco a seconda
dei diversi contesti geologici e si forniscono, infine, indicazioni sulle opportune campagne
di indagine da realizzare nelle aree interessate dai fenomeni, quantomeno in fase di
progettazione di opere di urbanizzazione.
Nel PSAI dell’AdB Campania Centrale, l’articolo 17 delle Norme di attuazione richiama tali
prescrizioni, facendo riferimento anche ad una “Carta dei sinkholes di origine naturale” ricavata
dai dati del Settore Difesa del Suolo della Regione Campania.
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
CAVITÀ DI ORIGINE NATURALE
La letteratura sull’argomento indica che tali fenomeni sono dovuti ad una serie di cause, dove
un ruolo importante assumono i processi di erosione dal basso, assimilati agli effetti meccanici
che si realizzano quando il passaggio dell’acqua, abbondante e con pressione elevata, provoca
l’erosione di materiale e la formazione di canalicoli e condotti tubolari lungo le linee di flusso.
Questo fenomeno viene indicato nella letteratura anglosassone con il termine piping, con la
conseguente definizione di piping sinkhole per gli sprofondamenti connessi ad una genesi di
questo tipo.
Per effetto del piping si determina, controllata da discontinuità presenti nel substrato roccioso, la
genesi e la propagazione di una cavità all’interno del materiale di copertura. A partire dal tetto
del substrato, il fenomeno procede verso l’alto fino a quando la copertura collassa dando luogo
ad una voragine in superficie. Il collasso finale avviene solitamente ad una profondità di circa
una trentina di metri dal piano campagna.
I processi di piping avvengono solitamente in materiali che presentano una classe
granulometrica corrispondente alle sabbie, anche se stratigraficamente alternate a terreni
argillosi coesivi.
La caratteristica morfologica dei piping sinkhole è data dalla planimetria sub-circolare e dalle
pareti perfettamente verticali, con diametro e profondità che raggiungono le decine di metri.
Nel territorio dell’AdB Campania Centrale le aree più esposte al rischio per fenomeni di
sinkhole, come risulta dal censimento realizzato dal Settore Difesa del Suolo della Regione
Campania nell’ambito della convenzione con il Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica
e Ambientale dell’Università di Napoli Federico II, sono:
 la conca endoreica di Forino, dove nel giugno 2005 si è verificato uno
sprofondamento circolare di diametro 15 metri e profondità 25 metri che ha
interessato zone parzialmente urbanizzate, fortunatamente senza causare vittime
umane;
 la zona pedemontana di Sarno (località Acqua Rossa-Lavorate), dove in un sinkhole
del diametro di circa 200 m è stata realizzata una vasca per la laminazione delle
piene alluvionali montane;
 la Penisola Sorrentina, in particolare la struttura di Monte Faito attraversata da
importanti infrastrutture stradali e ferroviarie con lunghi percorsi in galleria, alcuni già
in esercizio, altri oggetto di possibili interventi futuri;
 la dorsale dei monti di Avella e S. Felice a Cancello, dove sono presenti anche
fenomeni carsici ipogei (complesso delle Grotte di San Michele) utilizzati dalle
Amministrazioni locali a scopo turistico-ricreativo e per funzioni religiose.
Le diverse aree interessate dalla presenza di fenomeni di sinkhole coinvolgono contesti
geologici anche molto diversi fra loro, caratterizzati da peculiari aspetti geologico-stratigrafici ed
idrogeologici, schematicamente riassunti nella tabella seguente:
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CONTESTO
GEOLOGICO
BACINI
INTERMONTANI
PIANE
ALLUVIONALI
VERSANTI
CARBONATICI
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FATTORI
PREDISPONENTI
Depositi incoerenti
in strati a differente
permeabilità.
Depositi sabbiosi
soggetti a fenomeni
di erosione
sotterranea a causa
della circolazione di
acqua in pressione
nel sottosuolo
(suffosione)
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
FATTORI DI
INNESCO
Incremento del
gradiente
idraulico,
circolazione
idrica
sotterranea in
pressione,
variazioni del
livello di falda.
Terremoti.
Coperture di
depositi alluvionali
molto potenti (da
decine a centinaia
di metri) costituiti da
sabbie, ghiaie e silt.
Depositi incoerenti
soggetti a
liquefazione.
Falda multlstrato
spesso in
pressione.
Terremoti.
Variazioni del
livello della falda.
Ammassi calcarei
fortemente
microcarsiflcati e/o
con coalescenza di
molte cavità
carsiche di piccole
dimensioni.
Presenza di falde
mineralizzate e/o
sulfuree
Qualità
dell'ammasso da
scadente e molto
scadente
Sviluppo di
carsismo
ipogenico per
risalite di fluidi o
per mixing tra
acque dolci e
acque marine.
Terremoti.
DIMENSIONI
ESEMPI NEL
TERRITORIO
DELL’ADB
CAMPANIA
diametro
massimo: 20 m;
Conca di Forino
profondità
massima: 25 m
diametro
massimo: 200 m;
Piana di Sarno
profondità
massima: 50 m
diametro massimo
400 m
profondità
Penisola
Sorrentina
Monti di Avella –
S. Felice a
Cancello
massima: 150 m
IL CASO DELLA CONCA DI FORINO
A seguito dell’evento di Forino del giugno 2005 è stato eseguito, dal Dipartimento di Ingegneria
Geotecnica dell’Università Federico II di Napoli, uno studio con indagini in sito che hanno
permesso di ricostruire la stratigrafia di sottosuolo (primi 50 metri di profondità), caratterizzata
dalla presenza di un riempimento alluvionale di natura limosa-sabbiosa, poggiante su di un
substrato poco permeabile (Ignimbrite Campana e flysch miocenici). È stata quindi esclusa la
presenza di calcari e di vuoti carsici per almeno i primi 50 m di profondità.
Nella conca di Forino sono stati censiti 8 sinkhole, alcuni recenti, altri più antichi e ormai
completamente riempiti da materiale di riporto. Le perforazioni effettuate in asse ad alcuni di
essi e l’osservazione diretta superficiale hanno evidenziato che i vuoti si sono formati a partire
da circa 25 m di profondità e che hanno interessato i terreni sabbioso-limosi alluvionali.
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
I sinkhole risultano allineati lungo la direzione di drenaggio preferenziale della falda presente
nel corpo alluvionale e sono concentrati alla base del versante settentrionale di M. Romola che
costituisce, quindi, il settore della piana più suscettibile a questi fenomeni.
Il modello interpretativo risultato dallo studio dimostra che i vuoti si sono generati per fenomeni
di erosione causati da una circolazione idrica sotterranea, attiva in concomitanza di periodi
molto piovosi e caratterizzata, probabilmente, da moti turbolenti. Tale circolazione si instaura al
contatto tra il materiale sabbioso-limoso ed i sottostanti strati poco permeabili (Ignimbrite
Campana e flysch miocenici). È molto probabile che la circolazione idrica sotterranea sia
alimentata anche da falde sospese ed in rete carsica presenti nei massicci carbonatici che
circondano la piana.
Per quanto riguarda l’erosione dei notevoli volumi asportati (alcune migliaia di metri cubi) è
ipotizzabile che essi siano stati smaltiti da inghiottitoi sepolti, presenti lungo il margine orientale
della conca endoreica e probabilmente collegati alle emergenze sorgive nella sottostante piana
di Montoro.
I risultati di questo studio rappresentano un primo importante contributo per successive ricerche
mirate all’identificazione di altri vuoti sotterranei che potrebbero essere molto prossimi alla
superficie topografica e creare, quindi, situazioni di alto rischio.
Non si esclude pertanto che nel sottosuolo della piana di Forino siano presenti altri vuoti, non
ancora noti perché profondi o perché non hanno ancora raggiunto la superficie topografica.
In prima approssimazione, sulla scorta del censimento dei sinkhole effettuato e dell’assetto
stratigrafico ed idrogeologico della piana di Forino, la fascia di territorio che è da ritenere più
suscettibile all’innesco di nuovi sprofondamenti si allinea in corrispondenza della zona di
drenaggio preferenziale della falda dell’acquifero piroclastico alluvionale.
Tuttavia una zonazione più precisa non potrà che essere realizzata a valle di ulteriori indagini e
soprattutto attraverso la definizione dello schema idrogeologico locale ed il monitoraggio della
falda nell’acquifero alluvionale.
È da sottolineare, infine, che il modello proposto per la conca di Forino rappresenta solo uno dei
possibili meccanismi di innesco di sinkhole in aree alluvionali, in altri contesti ed in condizioni
stratigrafiche ed idrogeologiche diverse non si escludono effetti della carsificazione in rocce
solubili e, soprattutto, fenomeni di improvvisa liquefazione di corpi limoso-sabbiosi saturi il cui
studio non può prescindere da un approccio anche di tipo geotecnico.
L’eventualità del verificarsi di un sinkhole rappresenta dunque un problema da non
sottovalutare nella gestione del rischio per la popolazione e per le infrastrutture presenti sul
territorio, a causa della difficile localizzazione e previsione del fenomeno, di cui spesso non
sono visibili in superficie evidenze morfologiche dei fattori predisponenti,
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INDAGINI E MONITORAGGIO
Al fine di dotare gli strumenti di pianificazione urbanistica del territorio del necessario supporto
tecnico conoscitivo, è auspicabile che nei territori indiziati della formazione di sinkhole vengano
programmate indagini specifiche volte alla ricostruzione del modello geologico del sottosuolo,
che consentano di determinare l'idoneità o meno di un'area alle previsioni di piano.
L’analisi del sottosuolo dovrebbe essere articolata attraverso le seguenti indagini conoscitive:
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
sondaggi a carotaggio continuo, per la caratterizzazione stratigrafica e geotecnica del
sottosuolo e individuazione di cavità sotterranee;
indagini geofisiche (geoelettrica, tomografica e microgravimetrica) per l'individuazione di
eventuali anomalie riconducibili alla presenza di vuoti sotterranei;
immissione in falda di traccianti (studio dell’idrodinamica sotterranea);
eventualmente indagini speleologiche, per il dimensionamento diretto dei vuoti
sotterranei e la valutazione delle caratteristiche geomeccaniche in profondità.
Una volta individuate le aree a rischio di sinkhole, si dovrebbe eseguire un’attività di
monitoraggio consistente in:
misure topografiche di precisione con l'installazione di mire ottiche. Queste ultime dovrebbero
essere posizionate sui bordi del sinkhole, possibilmente in settori non interessati da altri
fenomeni gravitativi in atto quali frane o detensionamenti, nelle aree immediatamente circostanti
e nel fondo del sinkhole;
monitoraggio costante dei livelli piezometrici;
per le rocce lapidee si può prevedere l'installazione di fessurimetri o estensimetri a cavallo di
fratture beanti, anche per il monitoraggio di microsismi che si potrebbero registrare durante le
fasi evolutive dei sinkhole.
Infine, oltre al monitoraggio sarebbe molto importante istruire la popolazione attraverso
dei corsi di formazione. Gli abitanti, infatti, senza creare falsi allarmismi, dovrebbero
essere in grado di riconoscere deformazioni del suolo, fratturazioní o altre evidenze che
potrebbero verificarsi prima di uno sprofondamento e segnalarle alle Autorità
competenti.
Tali attività potrebbero costituire oggetto di uno specifico Piano Stralcio, realizzato direttamente
dall’Autorità di Bacino o, quantomeno ed in previsione di ciò, potrebbero costituire oggetto di
integrazioni progettuali per interventi puntuali di urbanizzazione ed infrastrutturazione.
CAVITÀ DI ORIGINE ANTROPICA
La presenza di cavità sotterranee di origine antropica rappresenta un grave rischio che
interessa molti centri urbani nel territorio dell’AdB Campania Centrale, soprattutto in provincia di
Napoli ed in particolare nei comuni dell’hinterland napoletano. La stabilità delle strutture urbane
può essere infatti compromessa dalla presenza di vuoti sotterranei, assumendo tale fenomeno
una gravità particolare in alcune aree del territorio dove il sottosuolo tufaceo è sede di una rete
di cavità, eccezionalmente sviluppata, prodotta da secoli di attività estrattiva e di scavo.
Ai fini della prevenzione dei rischi connessi, lo stato delle conoscenze è attualmente più
dettagliato rispetto alle cavità di origine naturale. Il riferimento più significativo è costituito dagli
studi eseguiti dal Centro Interdipartimentale di Ricerca Ambientale (C.I.R.AM.) dell’Università di
Napoli Federico II, a partire dal 1998, nell’ambito di un progetto finanziato dalla Provincia di
Napoli che ha portato alla costituzione di una banca dati di circa 2000 cavità presenti nel
sottosuolo dei comuni del territorio provinciale.
Con tale progetto, l'Amministrazione Provinciale ha inteso fornire un supporto all'adeguamento
dello strumento urbanistico in quei comuni interessati dalla presenza di cavità sotterranee.
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
Queste infatti, costituendo spesso causa o concausa di fenomeni di instabilità e di dissesto
soprattutto nei centri abitati, vanno individuate e studiate preventivamente in sede di
pianificazione territoriale prevedendo opportune misure all'edificazione e al recupero del
patrimonio edilizio sovrastante.
La maggior parte di queste cavità sono localizzate nei territori di quei comuni il cui sottosuolo è
caratterizzato dalla presenza di potenti banchi tufacei. Il tufo infatti, per le sue proprietà fisiche
e meccaniche, è stato nei secoli molto utilizzato per la costruzione di opere murarie,
soprattutto murature portanti degli edifici ma anche con funzioni puramente di sostegno.
La zona con il maggior numero di cavità censite è senz’altro la cerchia dei comuni a nord di
Napoli. Qui il rischio connesso alle cavità artificiali è diffuso soprattutto perché la maggior parte
delle cavità in questione sono sottoposte a centinaia di manufatti edilizi costruiti nel secolo
scorso o addirittura di nuova edilizia conservativa o di neocostruzione, insistente sulla stessa
superficie. Era solito infatti, soprattutto fino alla fine del 19° secolo, reperire in loco il materiale
da costruzione per le murature portanti e gli inerti per la malta cementizia (lapilli e pozzolane). I
proprietari di terreni per concessioni edilizie estraevano quindi dal "loro" sottosuolo tali
materiali per costruirvi sopra, usandone successivamente le cavità come deposito e attività
commerciali.
Il bacino dei Regi Lagni è il settore del territorio provinciale più ricco in cavità sotterranee dopo
quello ubicato a nord della città di Napoli. Nel sottosuolo tra i comuni di Nola e Cimitile sono
presenti cunicoli di collegamento di epoca paleocristiana. Cavità sotterranee si ritrovano, quasi
sempre legate all’attività estrattiva del tufo grigio, anche in tutti gli altri comuni di questo ambito
territoriale.
Nelle isole del golfo di Napoli, a causa della carenza di acque sorgive e di falde acquifere
utilizzabili, le cavità note sono costituite soprattutto da cisterne utilizzate in passato per la
raccolta dell'acqua piovana; nella maggior parte dei casi sono ubicate sotto le costruzioni da cui
veniva prelevata l'acqua tramite un unico pozzo di accesso. Attualmente molte cisterne non
sono più utilizzate per la raccolta dell'acqua ma costituiscono depositi, abitazioni e, dove la
morfologia del territorio lo consente, sono utilizzate come garage per auto.
Nell’area flegrea le cavità sono presenti solo nei comuni di Villaricca e Qualiano, dove sono
utilizzate come cisterne, ed è stata riscontrata l'esistenza di molti pozzi di cui si è persa la
memoria storica. I comuni di Pozzuoli e Bacoli, anche se caratterizzati da un centro storico con
costruzioni in muratura di tufo, non presentano cavità nel sottosuolo poiché il tufo utilizzato per
le costruzioni veniva prelevato dalle aree circostanti lungo i versanti dei rilievi vulcanici. In tali
comuni sono presenti cisterne di epoca romana, colombaie ed ambienti abitativi posti al di sotto
delle costruzioni attuali. La presenza di tali cavità "archeologiche" costituisce comunque un
pericolo per la stabilità delle strutture su cui si poggiano le nuove costruzioni.
Nella zona vesuviana, il comune di Torre del Greco è caratterizzato dalla presenza di cavità, in
genere realizzate dai contadini per l'estrazione delle piroclastiti sciolte utilizzate per il ripristino
del terreno vegetale ricoperto dalla lava nel corso delle eruzioni. Nel comune di Portici è stato
ritrovato un cunicolo che unisce la Reggia con le vie del mare, utilizzato in passato come via di
fuga dai regnanti. Nei comuni di Sant'Anastasia e Somma Vesuviana sono presenti tane di
lapillo.
Nei comuni della Penisola Sorrentina le cavità sono presenti in quei comuni dove i depositi
vulcanici legati all'attività flegrea ed a quella vesuviana affiorano con spessori considerevoli. I
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
comuni di Sorrento, Piano di Sorrento e Vico Equense sono caratterizzati da cavità in tufo
realizzate nella falesia tufacea ed attualmente utilizzate come ricovero per le barche.
Nelle zone di raccordo tra i rilievi dei monti Lattari e la Piana Campana (Gragnano, Lettere,
Casola di Napoli) la presenza di cavità è legata all’attività estrattiva dei prodotti dell' attività
vesuviana recente, come i depositi piroclastici da caduta dell'eruzione di Pompei del 79 d.C. e
le sottostanti rocce tufacee dell'Ignimbrite Campana.
IPOTESI DI NORMATIVA/INDIRIZZI PER LA PIANIFICAZIONE
COMUNALE IN AREE CON NOTEVOLE - PRESENZA DI CAVITÀ
ARTIFICIALI
Tra i diversi soggetti, individualmente o contestualmente interessati, che a vario titolo hanno a
che fare con le problematiche connesse al sottosuolo (Enti gestori di reti tecnologiche,
Pubbliche amministrazioni, privati, etc..), ognuno ha un interesse diverso (tutela della pubblica
incolumità, corretto funzionamento delle reti tecnologiche, utilizzazione di un bene di cui si è
proprietari, etc.) ma nessuno di loro ha una esatta conoscenza del sottosuolo e delle relative
interferenze circa la sua utilizzazione. Gli aspetti gestionali e manutentivi, quindi, risultano
affrontati in maniera parziale e settoriale, lasciando ampi margini all'abbandono, al degrado e, di
conseguenza, al potenziale rischio che potrebbe generarsi sia al soprassuolo che alle stesse
reti allocate nelle cavità stesse.
L'evoluzione della ricerca nel campo dello studio delle cavità artificiali, se negli ultimi anni ha
portato a significativi risultati in merito alle metodologie di analisi, rilievo e catalogazione delle
cavità, non ha ancora consentito, la costruzione di norme e regolamenti da inserire nella prassi
ordinaria di pianificazione e gestione del territorio.
Ai fini della predisposizione di indirizzi da fornire ai Comuni per la pianificazione in aree con
notevole presenza di cavità (le cavità sono soprattutto concentrate nelle parti di più antica
formazione dei centri abitati), si ritiene pertanto indispensabile che questi enti possano dotarsi
di:
 un catasto completo delle cavità artificiali presenti nel sottosuolo del proprio
territorio, in particolare di quello urbanizzato;
 una mappa completa e dettagliata delle reti tecnologiche, con la specificazione
dell'epoca di realizzazione, dei materiali utilizzati, della quota del piano di posa,
dello stato di manutenzione etc., al fine di valutarne il grado efficienza e di eventuale
interferenza con le cavità artificiali;
 una normativa d'uso che contempli sia il corretto uso delle attività al soprassuolo,
laddove risulta la presenza di cavità sotterranee, sia delle cavità stesse, in funzione
della loro tipologia, accessibilità, interesse;
 un piano di manutenzione del sottosuolo urbano, finalizzato, ciclicamente, a
verificarne la tenuta e/o la eventuale necessità di interventi più consistenti.
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
CONCLUSIONI
Gli studi condotti dalla Regione Campania e dalla Provincia di Napoli, rispettivamente per
le cavità di origine naturale e di origine antropica, ha permesso di realizzare un primo
inventario delle fenomenologie presenti sul territorio, portando all'identificazione di casi
variamente distribuiti in differenti contesti geologici, geomorfologici e antropici.
Il contributo derivato da questi primi censimenti ha comunque permesso di individuare
alcune "macroaree", in cui i fenomeni risultano più diffusi e concentrati, ed aree di
"attenzione" che risultano particolarmente suscettibili all'accadimento di questo tipo di
eventi. Si tratta di aree abbastanza ben definite, caratterizzate da una numerosa
presenza di fenomeni che in alcuni casi si sono ripetuti anche in tempi recenti con una
certa frequenza (es. Forino), richiamate dall’AdB Campania Centrale in un apposito
elaborato del PSAI denominato “Carta dei sinkholes di origine naturale”.
La frequenza di accadimento in alcune aree pone seri problemi di pianificazione per le
autorità locali in termini di rischio e suggerisce di includere, in aggiunta alla valutazione
del rischio per altri fenomeni naturali, anche la valutazione del "rischio sinkhole" nei piani
di Protezione Civile, attraverso appositi Piani Stralcio di bacino in relazione alla migliore
conoscenza dei fenomeni per la mitigazione del rischio correlato, sia per i sinkholes di
origine naturale che per quelli di origine antropica.
Infatti, anche solo la presenza e l'identificazione di aree con fenomeni di sinkhole dovrebbe
essere tenuta in considerazione in termini di pianificazione territoriale.
Ad esempio, nel caso dei versanti carbonatici, la presenza di aree fortemente fratturate e
carsificate può avere serie ripercussioni sulla costruzione di infrastrutture come strade o
gallerie o anche sulla presenza di insediamenti abitativi. A tal proposito, peraltro, risulta di
notevole supporto anche la correlazione alla banca dati del Catasto Grotte della Campania
(Federazione Speleologica Campana, 2007) che, grazie al continuo aggiornamento legato
alle attività di ricerca speleologica sul territorio, fornisce un prezioso patrimonio di
informazioni sulla geografia dei vuoti nel sottosuolo e sugli assetti geologico strutturali ed
idrogeologici dei contesti in cui si sviluppano.
Analogamente, nel caso di quelle aree interessate da sinkhole in depositi incoerenti,
come la conca endoreica di Forino, sono da prevedersi approfondimenti di maggiore
dettaglio alla scala comunale soprattutto in previsione di una futura espansione
urbanistica o in previsione di un’eventuale realizzazione di opere in sotterraneo.
Particolare attenzione dovrà essere rivolta, infine, ai territori classificati ad alta sismicità
dove in passato si sono già generati sinkhole di grandi dimensioni.
_____________________
Bibliografia
SANTO A., DEL PRETE S. (2010) e bibliografia correlata – “I sinkholes di origine naturale nel
territorio campano”. Lavoro svolto nell’ambito della convenzione tra il Settore Difesa del Suolo
della Regione Campania e il Dipartimento di Ingegneria Idraulica, Geotecnica e Ambientale
dell’Università di Napoli Federico II: Censimento e catalogazione degli sprofondamenti legati a
cause naturali (sinkholes) della Campania.
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PSAI AdB Campania Centrale
Appendice alla RELAZIONE GEOLOGICA
DEL PRETE S., GIULIVO I., SANTO A. (2008) e bibliografia correlata – “Nuove ipotesi sulla
formazione dei piping sinkhole in a<ree alluvionali: il caso della piana di Forino”.
C.I.R.AM., Università degli Studi di Napoli Federico II (1998-2001) e bibliografia correlata –
“Realizzazione di un database e indirizzi per la pianificazione nei comuni con elevata presenza
di cavità artificiali nel sottosuolo”.
Lavoro svolto nell’ambito della convenzione tra il C.I.R.AM. e la Provincia di Napoli: Analisi
dell'ambiente fisico ed antropizzato, individuazione e definizione dei rischi naturali.
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APPENDICE 1 - CARTE GEOTEMATICHE DI BASE
Sommario
1.1
EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO – AMBITO TERRITORIALE DEI COMUNI DI GRAGNANO, CASTELLAMMARE, CASOLA DI NAPOLI,
PIMONTE, PALMA CAMPANIA, VICO EQUENSE, META, SORRENTO, MASSALUBRENSE, S. ANTONIO ABATE, LETTERE, S. AGNELLO,
PIANO DI SORRENTO- ................................................................................................................................................... 3
1.2
EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO-AMBITO TERRITORIALE DELLE PROVINCE DI AVELLINO E SALERNO ........................ 5
1.2.1
Substrato ...................................................................................................................................................5
1.2.2
Depositi di copertura ..................................................................................................................................8
1.2.3
Geomorfologia .........................................................................................................................................10
1.2.4
Franosità..................................................................................................................................................13
1.2.5
Pedologia.................................................................................................................................................18
1.3
EX AUTORITÀ DI BACINO NORD OCCIDENTALE- LE DORSALI CARBONATICHE -I MONTI DEL CASERTANO – VALLE SUESSOLA
21
1.3.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................21
1.3.2
Carta delle coperture ...............................................................................................................................21
1.3.3
Carta geomorfologica...............................................................................................................................21
1.3.4
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................22
1.4
EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE - IL BACINO DEL VALLO DI LAURO ................................................... 22
1.4.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................23
1.4.2
Carta delle coperture ...............................................................................................................................23
1.4.3
Carta geomorfologica...............................................................................................................................23
1.4.4
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................23
1.5
I RILIEVI DEL BAIANESE ................................................................................................................................. 23
1.5.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................24
1.5.2
Carta delle coperture ...............................................................................................................................24
1.5.3
Carta geomorfologica...............................................................................................................................24
Avella .....................................................................................................................................................................24
Mugnano del Cardinale ..........................................................................................................................................24
Quadrelle................................................................................................................................................................24
Roccarainola ..........................................................................................................................................................25
1.5.4
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................25
1.6
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE ......................................................... 25
1.6.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................25
1.6.2
Carta geomorfologica...............................................................................................................................25
1.6.3
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................26
1.7
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI ISCHIA ...................................................................... 26
1.7.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................26
1.7.2
Carta geomorfologica...............................................................................................................................26
1.7.3
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................26
1.8
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI PROCIDA .................................................................. 27
1.8.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................27
1.8.2
Carta delle coperture ...............................................................................................................................27
1.8.3
Carta geomorfologica...............................................................................................................................28
1.8.4
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................28
1.9
IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO ............................................................................................ 28
1.9.1
Carta geolitologica ...................................................................................................................................28
1.9.2
Carta delle coperture ...............................................................................................................................28
1.9.3
Carta geomorfologica...............................................................................................................................29
1.9.4
Carta-inventario dei fenomeni franosi ......................................................................................................29
1.1 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO – AMBITO TERRITORIALE DEI COMUNI DI GRAGNANO,
CASTELLAMMARE, CASOLA DI NAPOLI, PIMONTE, PALMA CAMPANIA, VICO EQUENSE, META,
SORRENTO, MASSALUBRENSE, S. ANTONIO ABATE, LETTERE, S. AGNELLO, PIANO DI SORRENTOI rilievi di campo sono stati effettuati su carte topografiche in scala 1:5000 e integrati da analisi
accurate di foto aeree e ortofoto recenti. Ciò ha consentito di allestire 4 carte tematiche (carta
geologica, carta geomorfologica, carta delle frane e carta degli spessori delle coperture
piroclastiche) i cui elementi fondamentali sono stati poi opportunamente digitalizzati e
georeferenziati in modo da poter essere trattati facilmente in ambito GIS (Arcgis 8.3).
La carta geolitologica è stata realizzata tenendo conto della Cartografia Geologica dell'A.d.B.
Sarno - Progetto CARG – 2003 rivisitato alla luce di un rilevamento geologico di campo (scala
1:5000) supportato sia dalla interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e ortofoto (1998) che
dalle risultanze di pubblicazioni recenti.
La carta geomorfologica è stata elaborata prendendo come riferimento la legenda ad indirizzo
applicativo proposta dal Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologica (1993).
L’allestimento di tale carta ha tenuto conto dell’interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e
ortofoto (1998) e dei contributi scientifici (Migale e Milone, 1998; Del Prete & Mele, 1999; de Riso
et alii, 2004).
Nella carta delle frane sono stati rappresentati gli eventi di età accertata e quelli storici (nel
secondo caso i limiti dell’area in frana ovviamente sono meno attendibili). Sono stati cartografati,
infine, alcune tracce di frane la cui età non è nota e, con simbolo unico, vari piccoli dissesti non
delimitabili alla scala della carta.
La Carta degli spessori della copertura piroclastica è stata realizzata ex novo rispetto alla
precedente elaborazione del 2002, effettuando un rilevamento geologico di base (scala 1:5000)
supportato dalla interpretazione di foto aeree (IGM volo 1998) e di ortofoto (1998) nonché
dall’analisi di pubblicazioni scientifiche (de Riso et alii, 2004). In questo modo nel territorio sono
state distinte cinque classi di spessore delle coperture.
Tutte le carte tematiche sono state digitalizzate mediante l’utilizzo dei programmi CAD per ottenere
mappe con dati vettoriali.
3 di 29
Legenda della carta geomorfologica
4 di 29
Legenda della carta degli spessori
E’ stata redatta inoltre, la Carta delle acclività mediante l’ausilio di un software (Arcgis) dotato di
un apposito modulo per il calcolo della pendenza partendo dai valori altimetrici e da una
rappresentazione digitale della morfologia del territorio (DTM).
1.2 EX AUTORITÀ DI BACINO SARNO-AMBITO TERRITORIALE DELLE PROVINCE DI AVELLINO E SALERNO
1.2.1 Substrato
La cartografia del substrato geologico (Carta Geologica del Substrato, scala 1:5000) è stata
derivata principalmente dagli elaborati più recenti e di maggior dettaglio disponibili al 2008
(Cartografia Geologica dell'AdB Sarno, scala 1:10.000 - Progetto CARG ed.2003), confrontati
inoltre con la cartografia originale del SGN in scala 1:25.000.
La rielaborazione è stata mirata alla distinzione e separazione tra i terreni del substrato e la coltre
di copertura, ricostruendo, dove possibile, l’andamento dei limiti geologici e degli elementi
strutturali “nascosti”, nella cartografia di riferimento, dai depositi di copertura.
In alcuni casi i sopralluoghi di verifica, effettuati per “tarare” le rielaborazioni operate, hanno
consentito di integrare gli elaborati di riferimento.
Sono state riportate inoltre le principali sorgenti la cui ubicazione è stata derivata dalla cartografia
topografica I.G.M. scala 1:25.000.
La seguente descrizione di dettaglio delle litologie affioranti nell’area di studio fa riferimento alla
Cartografia Geologica dell'AdB Sarno - Progetto CARG ed. 2003, messa a disposizione dalla STO
AdB Sarno.
DEPOSITI CONTINENTALI E VULCANICI QUATERNARI
A) COMPLESSO ALLUVIONALE DI FONDOVALLE
Alternanza di depositi continentali di natura sia vulcanica che alluvionale. I primi sono rappresentati
essenzialmente da piroclastiti tardo quaternarie derivanti dall’attività degli apparati vulcanici del
Somma Vesuvio, alterate, pedogenizzate e, a luoghi, rimaneggiate dalle acque correnti superficiali;
5 di 29
i secondi sono rappresentati da ghiaie, sabbie e limi derivanti dalla deposizione, ad opera delle
acque correnti, dei sedimenti erosi dai bacini imbriferi di alimentazione. OLOCENE - PLEISTOCENE
SUPERIORE.
B) DEPOSITI DI CONCA ENDOREICA
Limi e sabbie fini in strati lentiformi, gradati, con intercalati livelli detritici calcarei o pomicei in
matrice limoso-siltosa di natura piroclastica e livelli piroclastici in giacitura primaria. OLOCENE PLEISTOCENE SUPERIORE;
C) COMPLESSO DETRITICO - ALLUVIONALE DI PIEDIMONTE E PENDICE COLLINARE
Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di ghiaie sabbiose addensate,
a elementi carbonatici subangolari, in matrice sabbioso limosa, con livelli di materiale piroclastico.
OLOCENE - PLEISTOCENE SUPERIORE;
D) FORMAZIONE DELL’IGNIMBRITE CAMPANA
Piroclastiti costituite alla base da pomici da caduta di colore grigio chiaro di spessore variabile tra
20 e 70 cm e successivamente da depositi da flusso piroclastico di colore grigio scuro, talora
giallastro, con fessurazione colonnare, a diverso grado di saldatura e litificazione, con contenuto
variabile in pomici grigio scure di dimensioni da centimetriche a decimetriche. Lo spessore varia da
pochi metri ad alcune decine di metri; l’età radiometrica è di circa 37.000 anni. PLEISTOCENE
SUPERIORE;
E) BRECCE DI VERSANTE E CONGLOMERATI ANTICHI
Brecce e conglomerati a vario grado di cementazione, a clasti carbonatici, con subordinata
matrice; affioranti localmente in discordanza sulla successione carbonatica e sottostanti ai depositi
piroclastici post-ignimbrite Campana. PLEISTOCENE SUPERIORE (?);
F) CONGLOMERATI DI AGEROLA
Depositi di conoide alluvionale e falde detritiche: conglomerati a clasti carbonatici subarrotondati di
dimensioni comprese tra un centimetro e 15 cm, con scarsa matrice e con cemento calcitico.
Brecce a clasti esclusivamente carbonatici di dimensioni variabili da pochi centimetri a circa un
metro, con scarsa matrice, ben cementati e clinostratificati con pendenze di circa 35°. Questi
depositi sono interessati da discontinuità di natura tettonica e non presentano livelli di materiale
piroclastico. PLEISTOCENE SUPERIORE (?) - PLEISTOCENE INFERIORE.
SUBSTRATO PRE-QUATERNARIO
I) UNITÀ ARENACEO-CONGLOMERATICA DI CASTELLUCCIO
Arenarie quarzoso-feldspatiche con frammenti litici a grana medio-grossolana, di colore marrone
chiaro, talvolta decementate, di colore grigio scuro al taglio fresco, arenarie quarzoso micacee a
grana fine. Paraconglomerati massivi e disorganizzati di colore marrone chiaro, mediamente
cementati, ad elementi ciottolosi poligenici eterometrici, con abbondante matrice
microconglomeratica ed arenitica; marne e calcari marnosi di colore grigio e avana in strati di
spessore medio e di forma tabulare, pervasi da fratture con riempimento di calcite spatica, gradate,
laminate. Talvolta è evidente l’amalgamazione degli strati. Tale successione poggia con contatto
discordante sui calcari del Cretaceo superiore mediante brecce e conglomerati in matrice argilloso
marnosa arrossata con elementi di natura arenacea e calcarea. TORTONIANO INFERIORE (?);
II) FORMAZIONE DI CORLETO PERTICARA
Marne, calcari marnosi, argille siltose e calcareniti di Serrone (Avellino). Marne da calcaree ad
argillose e calcari marnosi di colore grigio, calcilutiti e rare calcareniti torbiditiche e calciruditi
bioclastiche con alveoline e nummuliti, con frequenti intercalazioni sottili di argilliti policrome e
arenarie grossolane litiche, arenarie micacee ed argille siltose. Argille marnose grigie, rossastre o
verdognole, talora straterellate, con subordinate intercalazioni di calcareniti e calcilutiti torbiditiche
in strati medi e sottili, calcari marnosi, marne silicifere di colore giallastro, bruno o verdognolo.
MIOCENE INFERIORE (?) – PALEOGENE
6 di 29
1) CALCARI DI META
Calcari e calcari dolomitici, ricchi di rudiste, di colore grigio biancastro o avana, in strati da spessi a
medi, con frequenti intercalazioni di dolomie grigie. SANTONIANO – TURONIANO;
Alternanza dl dolomie cristalline grigie, calcari micritici e biomicritici avana, grigi e marroni con rare
intercalazioni di conglomerati con matrice marnosa verdastra. CENOMANIANO – APTIANO;
2) MARNE AD ORBITOLINE DEL FAITO
Conglomerati a clasti calcarei e matrice marnosa verdastra passanti, sia lateralmente che
verticalmente, a marne verdi e a calcari nodulari con tasche e spalmature marnose verdastre.
Nella parte bassa: livello marnoso e a luoghi conglomeratico, di 2-3 metri di spessore, ricchissimo
di orbitoline (“Livello ad orbitoline” Auct.). APTIANO;
3) CALCARI DI MOIANO
Calcari avana chiaro a Requienidae, Ostreidae e resti di echinodermi, ben stratificati con strati da
medi a spessi, ai quali si intercalano calcari biomicritici ricchi di Miliolidae. Localmente (Capo
d’Orlando) calcilutiti sottilmente stratificate con resti di pesci, intercalate nella parte alta della
successione. Verso il basso si passa ad un’alternanza di dolomie cristalline grigie, fetide, spesso
laminate, calcari micritici grigi o marroni frequentemente laminati e con strutture tipo fenestrae,
allineate parallelamente alla stratificazione; calcari biomicritici grigi o marroni. APTIANO –
BERRIASIANO;
4) CALCARI OOLITITICI E DOLOMIE DI PIAZZA DI PANDOLA
Calcareniti dolomitiche grigie ad elementi oolitici. Dolo-areniti bianche e grigie, a grana medio - fine
in strati da spessi a molto spessi e con superfici di base piane; calcareniti a grana fine laminate ad
elementi detritici e scheletrici (gasteropodi, spugne e briozoi) in strati tabulari da medi a spessi;
calciruditi bianche, nodulari, ad oncoliti; calcilutiti bianche con nerinee, gasteropodi turriculati e
frammenti di coralli; Le calcareniti sono segnate verso l’alto da lamine stromatolitiche, strutture di
microcarsismo tipo fenestrae. MALM – DOGGER;
5) CALCARI A CLADOCOROPSIS
Calcari e calcari dolomitici stratificati di colore variabile dal grigio al nero, raramente avana, fetidi,
con abbondanti resti di Cladocoropsis mirabilis. In tutta l’unità sono presenti intercalazioni di
dolomie fetide grigie grigio-scure. KIMMERIDGIANO – CALLOVIANO;
6) CALCARI OOLITICI
Calcari e calcari dolomitici stratificati, di colore grigio, raramente avana o nocciola, frequentemente
oolitici nelle parti inferiore e media, con intercalazioni di dolomie cristalline grigie. Nella parte
basale sono presenti sottili intercalazioni di marne argillose grigio-verdastre. CALLOVIANO –
TOARCIANO;
7) CALCARI A PALAEODASYCLADUS
Calcari biomicritici, talora oncolitici, spesso dolomitici, a Palaeodasycladus mediterraneus,
stratificati, di colore grigio, più raramente grigio scuro, avana o biancastro, spesso nerastro nella
porzione sommitale, ai quali si intercalano frequentemente dolomie cristalline grigie. La parte più
alta della successione presenta sottili intercalazioni di marne argillose grigio verdastre, in
corrispondenza delle quali gli strati carbonatici, e talora anche le marne, si presentano ricchi di
resti di molluschi di grandi dimensioni, frequentemente spatizzati (Facies a Lithyotis Auct.).
TOARCIANO – HETTANGIANO;
8) CALCARI A LITHIOTIS
Calcari di colore grigio con intercalazione di calcari dolomitici nerastri; calcari e calcari dolomitici in
banchi distinti con bivalvi della “Facies a Lithiotis” di dimensioni fino e 40 cm. TOARCIANO;
9) DOLOMIE DI MAIORI
Dolomie macrocristalline chiare, massive o mal stratificate. Nella parte bassa si presentano
frequentemente conglomeratiche, con strutture microbialitiche, oncoliti, serpulidi, dasicladali e
piccoli bivalvi. La parte alta, stratificata, presenta banchi separati da orizzonti stromatolitici
7 di 29
decimetrici, pisoidi rimaneggiati e livelli lenticolari ocracei-rossi marnosi. Le ultime decine di metri
sono calcaree o calcareo-dolomitiche. HETTANGIANO NORICO;
10) DOLOMIE MASSIVE DI QUARANI
Dolomie e dolomie calcaree (tipo tessiturale grainstone - packstone) grigio chiare di aspetto
massivo. Nella porzione bassa dell’intervallo si presentano mal stratificate e con frammenti di
selce. LIAS - TRIAS SUPERIORE;
11) CALCARI LISTATI
Calcari dolomitici di colore grigio in strati da 3 a 30 cm spesso laminati, con livelli silicizzati
localmente interessati da slump-breccia. LIAS - TRIAS SUPERIORE;
12) CALCARI LAMINATI DELLA SERRA DEL CAPELLO
Calcari e subordinatamente calcari dolomitici di colore grigio scuro in strati da 5 a 30 cm con
regolari livelli centimetrici e millimetrici di calcari marnosi e siltosi di colore chiaro. LIAS - TRIAS
SUPERIORE;
13) DOLOMIE BIOCLASTICHE
Dolomie con abbondanti resti spatizzati di gasteropodi, lamellibranchi e concrezioni algali di varie
dimensioni. Dolomie laminate con occasionali livelli a serpulidi e livelli di brecce dolomitiche. TRIAS
SUPERIORE;
14) DOLOMIE LAMINATE
Dolomie e subordinatamente dolomie calcaree laminate di colore grigio scuro. Nella porzione
medio alta della successione sono presenti rari livelli contenenti abbondanti resti di lamellibranchi e
gasteropodi spatizzati. TRIAS SUPERIORE;
15) DOLOMIE NERE BITUMINOSE
Dolomie e calcari dolomitici di colore dal nero al grigio chiaro, pravalentemente laminati, e in strati
sottili (da 1 a 10 cm). Intercalazioni di argille fogliettate, ricche di materiale organico;
subordinatamente marne giallastre ed argille grigie, rossastre, nere e giallastre. TRIAS SUPERIORE;
16) DOLOMIE A BANDE
Dolomie e dolomie calcaree spesso stromatolitiche di colore dal grigio chiaro al grigio scuro
organizzate in strati da pochi centimetri a oltre un metro talvolta con strutture di tipo tepee. TRIAS
SUPERIORE;
1.2.2 Depositi di copertura
Tali depositi costituiscono i sedimenti più superficiali di natura residuale, colluviale, piroclastica,
detritica o alluvionale. Essi sono stati distinti, ai fini applicativi, in base alle loro caratteristiche
litotecniche e genetiche (tipologia) valutando inoltre l’andamento degli spessori con le modalità
illustrate nella Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle Procedure adottate, alla quale si fa
riferimento.
Data la mancanza di uno standard di riferimento consolidato nella letteratura scientifica, per la
redazione della Carta delle Coperture piroclastiche (tipologia), è stata sviluppata la seguente
specifica legenda relativa alle tipologie dei depositi di copertura:
COPERTURE RESIDUALI
SUOLO
Suoli sabbioso limosi e limoso sabbiosi più o meno argillosi sviluppati, con spessori significativi, su
depositi detritici di fondovalle e di piana alluvionale; conservati su superfici stabili subpianeggianti
quali ripiani intermedi, glacis pedemontani, piane alluvionali, ecc.
COPERTURE PIROCLASTICHE DI VERSANTE
8 di 29
Deposito vulcanico costituito da ceneri e sabbie con, in subordine, pomici e scorie. La parte
superficiale presenta spesso argille di neoformazione da pedogenesi (Allofane e Imogolite). Il
deposito è differenziabile per areali morfologici di deposizione:
SU CRINALE E RIPIANO – Deposito da caduta in giacitura primaria, con livelli superficiali di suolo
ben sviluppati.
SU VERSANTE – Depositi generalmente in giacitura secondaria interessati da processi di tipo
colluviale e dilavamento superficiale, particolarmente rimaneggiati nelle concavità morfologiche
(PZB).
SU BASE VERSANTE – Depositi in giacitura secondaria, con inclusi clasti carbonatici, derivanti
dal progressivo accumulo, talora in concavità morfologiche (PBC), di materiale proveniente dal
versante anche per fenomeni di colata rapida.
ALTRE COPERTURE DI VERSANTE
ALLUVIONI E DETRITI DI VALLECOLA MONTANA
Depositi eterometrici sciolti, costituiti da ghiaie e ciottoli angolari e subangolari, di natura
carbonatica con presenza, a luoghi, di matrice fine di natura piroclastica.
COPERTURE DI PIEDIMONTE
DETRITO DI FALDA.
Depositi clastici eterometrici sciolti, costituiti prevalentemente da ciottoli e blocchi angolari, di
natura carbonatica e con abbondante matrice ghiaioso sabbiosa.
ALLUVIONI TORRENTIZIE.
Depositi eterometrici sciolti, costituiti da ghiaie e ciottoli carbonatici subangolari e/o arrotondati,
con scarsa matrice sabbiosa e presenza di blocchi, a luoghi fino al mezzo metro cubo.
ALLUVIONI E DETRITI DI CONOIDE.
Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di ghiaie sabbiose a elementi
subangolari, sabbie limoso ghiaiose più o meno addensate e limi argilloso ghiaiosi.
COPERTURE ALLUVIONALI
ALLUVIONI FLUVIALI.
Depositi a granulometria da grossolana a media costituiti prevalentemente da ghiaie più o meno
sabbiose con lenti e orizzonti di sabbie limose e, a luoghi, di limi e argille.
ALLUVIONI DI CONOIDE.
Depositi stratoidi eterometrici costituiti da alternanze di lenti e strati di sabbie ghiaiose, limi
sabbiosi debolmente ghiaiosi più o meno addensati e limi argillosi.
COPERTURE ANTROPICHE
MATERIALE DI RIPORTO
Accumuli artificiali di materiali sciolti eterogenei ed eterometrici.
La ricostruzione della distribuzione degli spessori dei depositi di copertura è stata elaborata a
partire dalla raccolta dei dati disponibili dalla letteratura scientifica relativi alla diffusione dei
depositi piroclastici da caduta derivanti dagli eventi eruttivi più significativi ai fini dello studio in
oggetto. Tali dati sono stati trattati e aggregati per definire in via preliminare delle macroaree
finalizzate alla stima degli spessori attesi (cfr. Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle
Procedure adottate).
Tale zonazione preliminare è stata derivata dalla sovrapposizione delle aree racchiuse dalle
isopache dei 10 o dei 20 cm (in base ai dati disponibili) relative ai principali eventi eruttivi vesuviani
(post 17.000 ybp).
Lo sviluppo in contemporanea delle attività di rilevamento geomorfologico e delle coperture ha
consentito inoltre di evidenziare una buona corrispondenza tra gli ambiti geomorfologici e le
9 di 29
tipologie e spessori delle coperture rilevate. Sulla base di tale correlazione è stato possibile
procedere ad una spazializzazione dei dati di campagna supportata inoltre dalle risultanze degli
studi e dei rilievi pedologici a campione, i quali hanno confermato tale modello (cfr. paragrafo 6).
Per la redazione della Carta delle Coperture piroclastiche (spessore) sono state utilizzate le
seguenti classi di spessore:
- da 0.0 a 0.5 m
- da 0.5 a 1.0 m
Tali classi comprendono le seguenti condizioni giaciturali: Substrato affiorante o subaffiorante con
depositi di copertura in lembi discontinui conservati in tasche e piccole concavità morfologiche (cfr.
Fig. 4); Depositi arealmente continui e con spessori condizionati dalla morfologia sepolta del
substrato che affiora solo puntualmente (cfr. Fig. 5).
- da 1.0 a 2.0 m
- da 2.0 a 3.0 m
Tali classi comprendono depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto
morfologico del substrato che affiora solo lungo superfici esposte naturali e/o antropiche.
- da 3.0 a 4.0 m
- da 4.0 a 5.0 m
Tali classi comprendono depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto
morfologico del substrato che affiora raramente e solo in piccoli lembi lungo superfici esposte
naturali e/o antropiche.
- da 5.0 a 10.0 m
- >10.0 m
Tali classi comprendono sia depositi arealmente continui con spessori condizionati dall'assetto
morfologico del substrato non affiorante, sia i depositi delle zone pianeggianti o subpianeggianti di
fondovalle e con substrato individuabile solo tramite indagini geognostiche in sito
1.2.3 Geomorfologia
Gli elementi geomorfologici significativi dell’area sono stati indagati sia direttamente in fase di
rilevamento che attraverso lo studio di aerofotografie.
I parametri morfologici di base (elevazione, esposizione e pendenza) sono stati elaborati a partire
da un DEM specificamente realizzato sulla base della Carta Tecnica Numerica Regione Campania
in scala 1:5.000 (cfr. Carta dei parametri morfologici da DEM).
L’elaborazione dei dati geomorfologici rilevati è stata espressa nella Carta geomorfologica
finalizzata allo studio della franosità territoriale. Tale elaborato rappresenta le forme
denudazionali e deposizionali legate alla evoluzione più o meno recente del territorio ed i processi
che ne determinano il modellamento attuale.
Le forme sono state distinte in base all’agente morfogenetico prevalente che le ha prodotte e/o le
produce; in base ai meccanismi attraverso i quali lo stesso agente ha svolto la sua azione ed,
infine, in base al loro stato di attività.
Tale cartografia è stata realizzata a campitura areale completa, in modo da suddividere l’intero
territorio in aree omogenee in base ai criteri suddetti.
Esse sono state rappresentate secondo una legenda di dettaglio che tiene conto sia della
letteratura consolidata esistente (Servizo Geologico Nazionale Quaderni Serie III volume IV "Carta
geomorfologica d'Italia - 1:50.000 Guida al rilevamento" 1994, a cura del Gruppo di Lavoro per la
Cartografia Geomorfologica), sia dei caratteri peculiari del territorio studiato.
Le modalità di studio qui riassunte sono illustrate nella Relazione Tecnica sulle Metodologie e sulle
Procedure adottate, alla quale si fa riferimento.
I vari morfotipi sono stati raggruppati come segue:
▪ Unità morfologiche e forme associate di genesi complessa
▪ Forme a controllo lito-strutturale
▪ Forme di versante dovute alla gravita'
▪ Forme fluviali e di versante dovute al dilavamento
10 di 29
▪ Forme antropiche
Si riporta di seguito la legenda e relativa codifica informatica dei morfotipi rilevati:
Codic
Denominazione
e
AL
Alveo fluviale o torrentizio
Alveo fluviale o torrentizio in
ALV
approfondimento
Codic
e
IGAL
LEV
Versante litostrutturale
ALVS
LPD
Lembo di paleosuperficie deposizionale
dislocato dalla tettonica
MEV
Versante di faglia evoluto
PAL
Piana alluvionale
PCV
Piazzale di cava
PEV
Versante di faglia poco evoluto
RIC
Ripiano intermedio collinare
RIM
Ripiano intermedio montuoso
RIS
Rilievo isolato
RLV
SCA
SDP
SFG
Rilevato stradale o ferroviario
Scarpata antropica
Superficie a debole pendenza
Scarpata di faglia
SLL
Sella
SME
SPE
TCL
TFA
Scarpata morfologica evoluta
Scarpata morfologica poco evoluta
Scarpata di terrazzo o di erosione
fluviale quiescente
Talus detritico colluviale
Terrazzo fluviale antico
TFR
Terrazzo fluviale recente.
VCL
VFCS
Vallecola colluviale
Vallecola a fondo concavo sospesa
VFDC
Versante
fluvio_denudazionale
bacino imbrifero collinare
di
VFDM
Versante
fluvio_denudazionale
bacino imbrifero montano
di
VLP
Vallecola a fondo piatto
VLU
Vallecola a U
Alveo strada
CV
CVF
Area
rimodellata
antropicamente
Conoide alluvionale inattivo
Conoide
alluvionale
quiescente
Conoide colluviale
Conoide detritico alluvionale
attivo
Conoide detritico alluvionale
inattivo
Conoide detritico alluvionale
quiescente
Cono detritico quiescente
Crinale collinare
Crinale montuoso
Cresta o crinale molto serrato
Canalone in roccia con
scariche di detrito
Cava
Fossa di cava
DIRP
Discarica_riporto
ARA
CAI
CAQ
CCL
CDA
A
CDAI
CDA
Q
CDQ
CRC
CRM
CRST
CSD
FCV
FEV
Fronte di cava
Faccetta di scarpata tettonica
Faccetta di erosione fluviale
FFL
antica
FLDA Falda detritica attiva
FLDQ Falda detritica quiescente
Fianco di reincisione di
FRCD conoide detritico alluvionale
inattivo
Frana (cumulo) o traccia di
FRNC
zona di invasione _ accumulo
Frana (nicchia) o traccia di
FRNN
zona di distacco
Frana (transito) o traccia di
FRNT
zona di transito
STFQ
Denominazione
Imbocco di galleria
11 di 29
FS
Forra o valle fluviale molto
incisa
Fosso
FSS
Fosso in approfondimento
VSCF
GLC
A
Glacis d'accumulo
ZOB
FRR
VLV
Vallecola a V
VSC
Vasca
Versante o scarpata di degradazione
soggetti a crolli e_o flussi detritici
Zero Order Basin
Di seguito si riporta il significato e la genesi dei principali morfotipi riconosciuti e cartografati:
UNITÀ MORFOLOGICHE E FORME ASSOCIATE DI GENESI COMPLESSA
Sono entità geomorfologiche di ordine “gerarchico” superiore la cui genesi è il risultato sia del
condizionamento litologico-strutturale sia di successive fasi morfogenetiche.
CRINALI MONTUOSI E COLLINARI: aree a debole pendenza ubicate in corrispondenza della
culminazione orografica dei rilievi ed in alcuni casi interpretabili come residui di antiche superfici
morfologiche. La presenza delle diverse discontinuità tettoniche quali faglie e macrofratture
delimitano e dislocano le dorsali, in senso trasversale.
RIPIANI: lembi di superfici morfologiche sub-pianeggianti o debolmente inclinate ubicate sia in
posizione intermedia sui versanti sia lungo crinali. Tali forme possono sia essere riconducibili a
fattori litologico-strutturali, quali dislocazioni tettoniche, assetto giaciturale del substrato,
morfoselezione, ecc.; sia avere il significato di superfici di erosione o accumulo riferibili ad antichi
livelli di base.
VERSANTI FLUVIO-DENUDAZIONALI DI BACINI IMBRIFERI: sono legati sia all’erosione lineare legata
all’approfondimento del reticolo idrografico sia ai processi di denudazione areale e di massa. Il loro
grado di stabilità è direttamente legato alle condizioni litostratigrafiche sia dei depositi di copertura
sia dei terreni del substrato.
FORME A CONTROLLO LITO-STRUTTURALE
Nell’area studiata i morfotipi a controllo litostrutturale più significativi, per le finalità del lavoro, sono
rappresentati da:
CRESTE O CRINALI MOLTO SERRATI: rappresentano aree di crinale assottigliate da processi erosivi
che hanno interessato la parte alta dei versanti; spesso tali morfotipi sono interrotti da salti di
pendenza legate sia a fattori strutturali sia a fattori litologici.
VERSANTI LITOSTRUTTURALI: rappresentano areali dove i processi di erosione sono controllati
principalmente dalla giacitura degli strati, dall’orientamento della fratturazione e dalla competenza
dei litotipi affioranti.
SCARPATE: rappresentano salti morfologici riconducibili principalmente a fenomeni di
morfoselezione. Essi sono stati distinti in base al loro grado di evoluzione geomorfologica e
rappresentano aree di innesco e alimentazione di crolli e flussi detritici.
FORME DI VERSANTE DOVUTE ALLA GRAVITA'
Le principali forme appartenenti a tale gruppo sono descritte nel paragrafo 5.2 relativo alla
Franosità.
FORME FLUVIALI E DI VERSANTE DOVUTE AL DILAVAMENTO
ZOB (Zero Order Basins): Depressioni concave sviluppate in corrispondenza delle zone apicali
delle testate d’impluvio di primo ordine gerarchico. Rappresentano aree di accumulo preferenziale
di depositi, generalmente sciolti, di origine piroclastica e detritico-colluviale.
CONOIDI E TALUS COLLUVIALI: rappresentano forme di accumulo, di pendice collinare e di
piedimonte, originate da processi eluvio-colluviali. In particolare le prime sono situate allo sbocco
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di impluvi di limitata estensione e bassa pendenza nei quali non è sviluppato un vero e proprio
reticolo drenante.
CONOIDI DETRITICO-ALLUVIONALI: rappresentano zone di invasione allo sbocco dei valloni montani,
dove il gradiente topografico si riduce e i flussi provenienti dai versanti, dapprima incanalati,
possono perdere velocità e capacità di trasporto, espandendosi e depositando materiali grossolani
e fini con scarsissima selezione.
CONOIDI ALLUVIONALI: sono forme di accumulo che si sviluppano allo sbocco dei corsi d’acqua in
zone pianeggianti, o nel caso di affluenti, nel fondovalle del collettore principale. La deposizione è
controllata dalla diminuzione di capacità di trasporto dei flussi idrici.
TERRAZZI FLUVIALI: rappresentano il risultano di fasi di sovralluvionamento dei fondovalle alternate
a fasi di approfondimento degli alvei fluviali. L’alternanza di tali fasi porta alla formazione di
superfici subpianeggianti interrotte verso l’asse vallivo da scarpate morfologiche. La pericolosità
geomorfologica è legata all’inondabilità dei terrazzi stessi.
1.2.4 Franosità
La frequenza, l’entità e la tipologia dei fenomeni franosi rilevati sono condizionati fortemente dalla
natura e dall’assetto strutturale dei terreni affioranti. Ai diversi ambiti morfostrutturali individuati
corrisponde infatti una franosità caratteristica.
L’area di affioramento del substrato carbonatico è caratterizzata da frane del tipo crollo, colata
detritica e, laddove è presente una diffusa copertura piroclastica, colata rapida di fango. I crolli
coinvolgono prevalentemente le scarpate in roccia situate a più altezze lungo i versanti mentre le
colate si innescano prevalentemente, ma non solo, dalle concavità morfologiche che presentano
significativi accumuli di depositi di copertura; in particolare, le colate detritiche possono costituire
inoltre il meccanismo evolutivo di alcune frane di crollo.
L’area di affioramento delle successioni terrigene è caratterizzato da frane di tipo scorrimento
rotazionale e colata lenta; spesso i fenomeni riconosciuti sono misti: derivanti cioè dalla
combinazione dei due tipi di movimento. In alcune concavità morfologiche caratterizzate
dall’accumulo di depositi colluviali e, più spesso, a monte dei fenomeni franosi, sono riconoscibili
movimenti lenti del tipo creep superficiale.
Per la definizione delle tipologie di frana è stata adottata la classificazione di Cruden & Varnes
(1994). Per quanto attiene lo stato di attività, per ciascuna tipologia di frana sono stati discriminati i
fenomeni attivi, quiescenti ed inattivi, sulla base dei criteri già descritti nella Relazione Tecnica
sulle Metodologie e sulle Procedure adottate, alla quale si fa riferimento.
Si riporta di seguito la legenda e relativa codifica informatica della Carta Inventario delle frane,
scala 1:5000:
Codice
Tipologia
Denominazione
Frana
Zona o traccia di distacco di colata estremamente rapida di
CERF1
fango
Zona o traccia di transito di colata estremamente rapida di
CERF2
fango
Zona o traccia di accumulo di colata estremamente rapida di
CERF3
fango
Zona o traccia di distacco di colata estremamente rapida di
CERD1
detrito
Zona o traccia di transito di colata estremamente rapida di
CERD2
detrito
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ZTFDF
Zona o traccia di accumulo di colata estremamente rapida di
detrito
Zona o traccia di transito di flussi detritici o fangosi incanalati
ZTFIC
Zona o traccia di transito di flussi iperconcentrati incanalati
SCR1
Zona di distacco di scorrimento rotazionale
SCR2
Zona di transito di scorrimento rotazionale
SCR3
Zona di accumulo di scorrimento rotazionale
CLL1
Zona di distacco di colata lenta
CLL2
Zona di transito di colata lenta
CLL3
Zona di accumulo di colata lenta
Zona di distacco di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta
Zona di transito di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta
Zona di accumulo di frana complessa scorrimento rotazionale colata lenta
Scarpata interessata da distacco di crolli e/o ribaltamenti
CERD3
SCR_CLL1
SCR_CLL2
SCR_CLL3
DCRRB
ACRRB
ZCRFD
Area di accumulo di crolli e/o ribaltamenti
Area di versante interessata da distacco e transito di crolli e
flussi detritici
Si riporta di seguito la descrizione di dettaglio delle tipologie di frana rilevate:
FRANE DI CROLLO: sono state individuate principalmente in corrispondenza di scarpate ad elevata
acclività impostate in successioni lapidee. Esse sono caratterizzate dall’improvviso distacco di
volumi estremamente variabili di roccia che, dapprima, si muovono in caduta libera e,
successivamente, impattano al piede del pendio con ulteriori movimenti di rimbalzo e/o rotolio,
proiettando i materiali di frana in aree la cui estensione è legata a diversi fattori, quali: il volume del
materiale di primo distacco, la pendenza della zona di primo impatto, la morfologia dell’area di
invasione.
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Scarpata rocciosa a monte della frazione Casate (Solofra)
Il collasso degli ammassi rocciosi avviene lungo piani di “debolezza”, rappresentati da fratture e
giunti di strato, secondo tre principali modalità di base: scivolamenti planari (plane sliding),
scivolamenti di cunei (wedge sliding), ribaltamenti (toppling).
La dimensione e la forma dei blocchi varia notevolmente in funzione della spaziatura e
orientamento delle discontinuità.
Blocchi “a mensola” sul ciglio della scarpata sommitale
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COLATE RAPIDE DI DETRITO: sono state riscontrate in corrispondenza di alcuni versanti carbonatici a
morfologia accidentata, caratterizzati dalla presenza, nelle zone apicali, nelle testate di impluvio o
lungo tratti di canale a forte acclività, di detriti di versante a granulometria grossolana. Tali
materiali, dopo essere stati mobilizzati a seguito di un improvviso distacco, tendono ad invadere,
sotto forma di “flussi” misti di acqua e detriti, le zone di piedimonte, dove possono raggiungere le
aree di conoide o la falda detritica.
COLATE RAPIDE DI FANGO: sono state riconosciute in corrispondenza dei versanti carbonatici con
copertura piroclastica. Esse sono caratterizzate dalla mobilizzazione improvvisa di masse di
materiale con alto contenuto d’acqua che, spostandosi verso valle ad elevata velocità, possono
aumentare di volume per assimilazione, lungo il loro percorso, di materiali erosi direttamente dal
versante o da preesistenti vallecole.
Tali materiali possono raggiungere direttamente le aree di piedimonte a minore acclività esaurendo
la loro energia, oppure possono incanalarsi lungo zone di deflusso già esistenti, talora
raggiungendo le aree di conoide detritico alluvionale dove il materiale si espande ricoprendo
superfici proporzionali alla massa mobilizzata.
Per tali frane, così come per le colate detritiche precedentemente descritte, sono state distinte,
laddove possibile, le zone di distacco, le zone di transito/alimentazione e le zone di accumulo. Ad
ogni frana rilevata è stato inoltre attribuito un codice numerico identificativo (ID).
Colata rapida incanalata nel V.ne Grotte (Forino) del 04/03/2005 - ID1885
SCORRIMENTI ROTAZIONALI: Sono stati individuati laddove le litologie del substrato sono
rappresentate da terreni a comportamento geotecnico complesso. Essi si verificano per
superamento della resistenza di taglio del terreno lungo superfici di neoformazione talora associate
a superfici preesistenti (contatto tra materiali di copertura e substrato, contatto tra la porzione
alterata e quella integra di un ammasso roccioso, ecc.).
Tali frane presentano un aspetto morfologico tipico, più o meno riconoscibile in funzione dell’età e
dello stato di attività, caratterizzato da una zona di distacco con scarpata principale ad andamento
arcuato; un terrazzo di testa di frana talora ruotato in contropendenza rispetto all’andamento del
versante; blocchi secondari delimitati da fessure longitudinali. Il materiale mobilizzato può
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continuare il suo movimento, a seconda della natura litologica e del contenuto d’acqua, attraverso
meccanismi di colata sia lenta che rapida, dando luogo a frane ad evoluzione complessa.
Nella precedente figura è riportato un esempio relativo ad una frana del tipo scorrimento
rotazionale ad evoluzione complessa (ID 1887), mobilizzatasi a seguito degli eventi pluviometrici
del 04 - 05 marzo 2005 in località Peschiera nel comune di Forino (AV). Tale evento, dopo una
prima mobilizzazione con l’apertura di scarpate di neoformazione e rigonfiamenti nel corpo di
frana, non è evoluto in colata seppure le condizioni geomorfologiche ‘al contorno’ fossero
“predisponenti”. Il permanere di una possibile evoluzione in colata del fenomeno suddetto
conferisce alla zona di piede (a valle della quale è presente una abitazione) il carattere di “area di
attenzione” in occasione di eventi pluviometrici intensi.
Frana complessa di Loc. Peschiera (Forino) del 04/03/2005 - ID1887
COLATE LENTE: sono state individuate laddove sono presenti spessori significativi di depositi di
copertura a comportamento plastico e/o terreni del substrato a prevalente litologia argillosomarnosa. Tali frane presentano una morfologia caratterizzata da tipiche ondulazioni della
superficie topografica con raggio di curvatura da metrica a decametrica.
Esse sono presenti soprattutto in forma complessa scorrimento – colata; a luoghi la fase di
colamento può essere preceduta da una fase di deformazione lenta, tipo creep, della copertura
colluviale a riempimento delle concavità morfologiche.
CREEP: tali movimenti si sviluppano in prevalenza nelle coltri di copertura, soprattutto in
corrispondenza di accumuli in concavità morfologiche. Essi si esplicano mediante la progressiva
deformazione dei terreni interessati, la quale si esaurisce in genere a breve profondità,
determinando, in superficie, tipiche ondulazioni con dimensioni da decimetriche a metriche.
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1.2.5 Pedologia
La coincidenza tra superfici geomorfologiche e distribuzione dei suoli è stata spiegata su basi
scientifiche da vari autori (Daniel et al. 1971, Conacher & Dalrymple 1977, Birkeland 1984). Tale
fatto ha aperto la strada a metodi rapidi ed economici di cartografia dei suoli su area vasta, non
altrimenti realizzabili (si pensi che normalmente per fare una carta dei suoli occorre scavare dei
profili o estrarre delle carote, per tutto lo spessore del suolo, in numero all’incirca di 2 per ogni cm 2
di carta topografica).
Il concetto di “unità geomorfopedologica”, utilizzato nel presente lavoro, è stato inteso come “unità
geomorfologica coperta da un suolo o da un’associazione definita di suoli, avente una determinata
distribuzione geografica, e quindi mappabile, che può essere delineata su una carta in base alle
corrispondenze tra morfotipi e ambiente pedogenetico”.
Attraverso l’uso di tale concetto e delle metodologie ad esso correlate, è stato possibile sia
programmare, a partire dagli studi geomorfologici, dei percorsi per i rilievi pedologici di campo, sia,
soprattutto, procedere alla spazializzazione dei dati in zone difficilmente accessibili.
Sulla base di tali premesse concettuali è stato condotto uno studio pedologico dei depositi di
copertura dell’area di approfondimento di Nocera Inferiore, rilevando i suoli dei principali morfotipi
riconosciuti dagli studi geomorfologici, rappresentativi della variabilità pedologica lungo i versanti
montuosi e collinari.
Sono stati selezionati 20 siti nei quali è stato effettuato un rilevamento dettagliato di campo
mediante l’apertura di profili di suolo, descritti e campionati (cfr. Rapporto sulle indagini
pedologiche) secondo le indicazioni contenute in:
 C.N.R. - Progetto Finalizzato Conservazione del Suolo - Sottoprogetto Dinamica dei
Versanti - Pubblicazione n.11 “Guida alla descrizione del suolo”, ed. G. Sanesi - Firenze,
1977;
 FAO/ISRIC -1990 “Guidelines for soil profile description”.
Al fine di valutare la variazione di alcune specifiche proprietà dei suoli (es.: proprietà andiche) in
relazione alle diverse forme dei versanti, è stata inoltre effettuata, sui diversi orizzonti di suolo
campionati, l’analisi del pH in NaF 1M con il metodo descritto da Blackmore et al., (1987).
L’elaborazione dei dati rilevati è stata espressa nella Carta delle Unità Geomorfopedologiche
della quale si riporta di seguito la relativa legenda:
1 Su_CRI
SUOLI DEI CRINALI.
Leptic Thaptovitric Andosols. Profilo tipo: P3.
Suoli sabbioso franchi, poco profondi (60-100cm), con profilo tipo: “A-Bw-R”, talora: “A-Bw-C2Bwb-R.
I limiti tra i vari orizzonti sono molto irregolari, a luoghi si rinvengono sacche di pomici in posizione
primaria. Spesso l’orizzonte superficiale presenta scorie vulcaniche fino alla profondità di 10-20
cm., a maggiore profondità sono presenti esclusivamente pomici.
2 Su_SPIAN.
SUOLI DELLE SPIANATE SOMMITALI.
Pachic Thaptovitric Andosols (Thixotropic).
Suoli limosi, molto profondi (>300 cm), con profilo tipo: “ A-AB-Bw-C-2Ab-2Bwb...”.
I limiti tra gli orizzonti sono lineari, spesso si rinvengono livelli di piroclastiti in posizione primaria.
Gli orizzonti “A” e “AB” sono molto sviluppati.
3 Su_VER_NORD
SUOLI DEI VERSANTI ESPOSTI PREVALENTEMENTE A NORD (NORD, OVEST, NORD-OVEST).
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3.1 SuVERN
Suoli dei versanti regolari esposti prevalentemente a nord (nord e ovest).
Mollic Thaptovitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P17
Suoli franco limosi, profondi (200- 300cm), talora con profilo ben differenziato “A-C-2BAb-2C3Bwb-4Bwb”. La pedostratigrafia tipo di questa unità è la più completa tra quelle osservate; in
essa si riconoscono in alcuni casi suoli sviluppati su 3 diversi tipi di parent material vulcanici,
ritrovati in posizione primaria. Al contatto tra i suoli descritti e il substrato carbonatico, si
rinvengono suoli molto antichi, più duri, di spessore variabile, nei quali non si riscontrano
proprietà andiche.
3.2 SuVERN_C
Suoli dei versanti concavi e delle superfici a debole pendenza, esposti prevalentemente a nord
(nord e ovest).
Pachic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P10
Suoli limosi, molto profondi (>300cm), con orizzonti “A” e “AB” ricchi in sostanza organica molto
sviluppati, con copertura boschiva molto fitta. In questi suoli l’orizzonte A spesso supera i 100
cm di spessore.
La pedostratigrafia tipo di questa unità è quella tipica dei depositi colluviali, con passaggi molto
graduali tra i vari orizzonti, abbondanza di scheletro di natura vulcanica lungo tutto il profilo, e
assenza di livelli di piroclastiti in posizione primaria.
3.3 Su_VERN_IMP
Suoli dei versanti denudazionali dei bacini imbriferi, esposti prevalentemente a nord (nord e
ovest).
Vitric Andosols (Thixotropic).
Suoli sabbioso franchi, molto profondi (>200 cm), con profilo tipo: “A-Bw1-Bw2-BC”.
I suoli dei versanti denudazionali presentano caratteristiche tipiche dei depositi colluviali, con
elevate quantità di scheletro e assenza di livelli di piroclastiti in posizione primaria. Rispetto ai
suoli dei versanti concavi presentano un orizzonte A più sottile.
4 Su_VER_SUD
SUOLI DEI VERSANTI ESPOSTI PREVALENTEMENTE A SUD (SUD, EST, SUD-EST).
4.1 Su_VERS
Suoli dei versanti esposti prevalentemente a sud (sud e est).
Leptic Vitric Andosols. Profilo tipo P18.
Suoli sabbioso franchi, poco profondi (20-80cm), con profilo tipo: “A-Bw”, proprietà andiche
depresse, generalmente poveri in sostanza organica. Di solito sono presenti su versanti sud
aperti, di alta quota, molto ripidi e privi di copertura boschiva.
4.2 SuVERS_C
Suoli dei versanti concavi e dei versanti a debole pendenza esposti prevalentemente a sud
(sud e est).
Vitric Andosols. Profilo tipo: P19.
Suoli franco sabbiosi, moderatamente profondi (80-200 cm), con profilo tipo: “A-Bw1-Bw2”.
Questi suoli presentano un orizzonte “A” più profondo e proprietà andiche più marcate rispetto
ai suoli dei “versanti sud” descritti sopra. Generalmente sono presenti nelle aree concave dei
versanti sud, su pendenze più moderate e con presenza di copertura boschiva, oppure lungo i
versanti esposti a sud di bacini chiusi.
5 Su_VERER
SUOLI DEI VERSANTI IN EROSIONE.
Leptic Vitric Andosols.
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Suoli sabbiosi, poco profondi (20-100cm), profilo tipo: “A-Bw”, presenti in prevalenza nelle aree di
shoulder, ovvero di passaggio tra il sistema dei crinali e quello dei versanti, oppure in prossimità di
versanti irregolari e accidentati. Queste aree sono caratterizzate da forma convessa, pendenza
elevata e sono soggette ad un forte scorrimento superficiale con elevato dilavamento del suolo.
6 Su_DISC
SUOLI DELLE AREE CON SUBSTRATO IN AFFIORAMENTO.
Endoleptic Vitric Andosols.
Suoli sabbioso franchi, molto sottili (10-50cm), con distribuzione discontinua. Questi suoli si
conservano localmente in sacche e/o piccole depressioni morfologiche nelle aree di affioramento
del substrato roccioso (es.: aree soggette a crolli e flussi detritici, creste e crinali in erosione,
scarpate evolute).
7 Su_VALL
SUOLI DEGLI ZERO ORDER BASINS E DELLE VALLECOLE COLLUVIALI.
Pachic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P14.
Suoli molto profondi (>300cm), franco sabbiosi in superficie e franco-limosi in profondità, con
orizzonti A molto sviluppati e ricchi in sostanza organica. Profilo tipo “A-AB-Bw”
Questi suoli presentano una stratigrafia tipica dei depositi colluviali, con passaggi molto graduali
tra i vari orizzonti, abbondanza di scheletro di natura vulcanica lungo tutto il profilo, e assenza di
livelli di piroclastiti in posizione primaria.
Spesso si riconoscono orizzonti di superficie relativamente spessi (50cm) ricchi in scheletro
scoriaceo, e orizzonti di profondità ricchi in scheletro pomiceo.
8 Su_FRAN
SUOLI DELLE AREE DI DISTACCO DI COLATA RAPIDA.
Leptic Vitric Andosols (Thixotropic).Profilo tipo: P2.
Suoli limoso argillosi, con profondità variabile (20-100 cm) in relazione all’età dell’evento franoso e
alle dinamiche di refilling. Limiti molto irregolari tra gli orizzonti.
9 Su_FRAT
SUOLI DELLE ZONE DI ALIMENTAZIONE E TRANSITO DELLE COLATE RAPIDE.
Mollic Vitric Andosols (Thixotropic). Profilo tipo: P12
Suoli franco limosi, con profondità molto variabile (20-200 cm) in relazione all’età dell’evento
franoso e alle dinamiche di refilling . Suoli ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw1-Bw2”.
Pedostratigrafia tipica dei depositi colluviali, orizzonti “A” molto sviluppati e ricchi in sostanza
organica.
10 Su_TAL
SUOLI DELLE AREE PEDEMONTANE.
Mollic Thaptovitric Andosols. Profilo tipo: P8
Suoli franco limosi, molto profondi (>300cm), ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw1-Bw2-Bw3”,
talora “A-C-2Bwb…”.
Suoli presenti alla base dei versanti (footslope) con pedostratigrafia tipica legata alle dinamiche
colluviali e agli eventi di trasporto in massa. Sono sempre molto profondi e ben evoluti avendo a
disposizione grandi quantità di acqua per i processi di pedogenesi.
11 Su_CON
SUOLI DEI SISTEMI DEPOSIZIONALI DETRITICO ALLUVIONALI.
Mollic Vitric Andosols (Skeletic). Profilo tipo: P20
Suoli sabbioso limosi, molto profondi (>500cm), ricchi in scheletro, con profilo tipo “A-Bw-C-2Ab2Bwb-2C-3A-3Bw-3C…”
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1.3 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD OCCIDENTALE- LE DORSALI CARBONATICHE -I MONTI DEL
CASERTANO – VALLE SUESSOLA
1.3.1 Carta geolitologica
La carta geolitologica contiene le informazioni standard della cartografia geologica ufficiale
inerenti alla litologia ed agli aspetti strutturali, ma si distingue per un aspetto fondamentale, ovvero
la rappresentazione planimetrica, nell’ambito delle dorsali carbonatiche, delle coperture (di origine
vulcanica e detritico-colluviale) a tetto delle unità del substrato, distinte per classi di spessore (<
0.5 m; 0.5-2.0 m; 2.0-5.0 m; 5.0-20.0 m). Nella cartografia in scala 1:5.000, relativa alle aree
vulcaniche, la differenziazione delle classi di spessore è prevista nel caso in cui lo spessore delle
coperture non superi i 20 m, con individuazione di due sole classi di spessore (  10 m, > 10 m).
Le modifiche più significative apportate a questo tematismo nell’aggiornamento del PSAI 2011
hanno riguardato la delimitazione dei terreni affioranti nelle aree pedemontane. Tali modifiche,
strettamente collegate anche a quelle introdotte nella cartografia geomorfologica, hanno riguardato
i corpi di conoide ed i settori di glacis ad essi adiacenti.
1.3.2 Carta delle coperture
La Carta delle coperture detritico-piroclastiche è stata oggetto innanzitutto di alcuni adattamenti,
relativamente alla delimitazione delle varie classi di spessore, imposti dall’adozione della nuova
cartografia di base.
Inoltre, la disponibilità di alcuni studi di dettaglio depositati presso l’AdB, in uno con specifiche
verifiche di campagna, ha consentito di aggiornare nel 2011 la Carta delle coperture, con
particolare riguardo per i territori comunali di Santa Maria a Vico (bacino del Vallone Moiro e del
Vallone Calzaretti) e di San Felice a Cancello (versante meridionale della collina di San Felice a
Cancello).
E’ da precisare al riguardo che, in taluni dei suddetti studi, si è riscontrata l’introduzione di una
classe di spessore rappresentata da coperture discontinue di spessore compreso tra 0 e 0.5 m.
Non essendo tale classe prevista nella legenda del vigente PAI, si è dovuto adottare un criterio che
non alterasse l’unitarietà dell’impianto cartografico necessariamente valido per l’intero territorio di
competenza dell’AdB. Pertanto, non essendo possibile desumere dai citati studi di dettaglio quei
settori di versante ove il substrato fosse affiorante e quindi privo di coperture, si è ritenuto di dover
confermare la classe di spessore già prevista nel vigente PAI (0 – 0.5 m), pur accogliendo le nuove
e più precise perimetrazioni degli areali di pertinenza della nuova classe.
1.3.3 Carta geomorfologica
La carta geomorfologica finalizzata al rischio di frana è stata impostata seguendo gli standard
proposti dal GNG e dal Servizio Geologico Nazionale, ma tenendo altresì conto delle impostazioni
seguite dal C.U.G.Ri. per le finalità precipue previste dal Piano Straordinario e valide anche per il
Piano Stralcio (vedi peculiarità degli indicatori geomorfologici connessi alle zone di innesco e di
accumulo degli eventi franosi che caratterizzano il territorio: crolli di rocce lapide; colate rapide in
terreni piroclastici).
Per le aree vulcaniche (Vesuvio e siti singolari dell’area Flegrea) l’impianto della cartografia
geomorfologica in scala 1:5.000 ha previsto anche il ricorso ai metodi dell’analisi geomorfica
quantitativa ai fini della stima del tasso di erosione di alcuni sottobacini.
Per quanto attiene ai contesti caratterizzati da rocce lapidee e quindi all’individuazione degli
indicatori utili ai fini della definizione dei meccanismi di innesco di frane da crollo e delle aree
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d’invasione, nella carta geomorfologica in scala 1:5.000 si è proceduto all’individuazione di un
congruo numero di siti singolari, ove sono stati effettuati studi geostrutturali di dettaglio.
Nella Carta geomorfologica le modifiche più importanti apportate nell’aggiornamento del PSAI
2011 sono state quelle relative alla forma dei corpi di conoide, all’estensione dei corpi di glacis
posti alla base dei versanti, nonché all’estensione delle numerose aree interessate da attività
estrattiva (cave a cielo aperto).
Per quanto riguarda i corpi di conoide detritico-alluvionale, i numerosi sopralluoghi effettuati, la
realizzazione di nuove trincee e la consultazione di indagini pregresse allegate a progetti depositati
presso l’AdB hanno permesso di ottenere una migliore delimitazione delle conoidi, consentendo
altresì di differenziare in modo più accurato i settori relitti e quiescenti da quelli tuttora attivi. In tal
senso, particolare attenzione è stata prestata, durante i nuovi rilevamenti alla verifica delle
interferenze tra infrastrutture ed aree di conoide potenzialmente suscettibili di fenomeni di
invasione/esondazione. Esemplificative, al riguardo, sono le modifiche apportate nell’ambito dei
territori comunali di Maddaloni (riperimetrazione di alcune conoidi ed eliminazione dell’ampio corpo
di conoide nella zona di piana tra il Monte Decoro e il Monte S. Michele) e di San Felice a Cancello
(riduzione della conoide in contrada Talanico; cfr.§ 3.2), e nella fascia pedemontana della dorsale
di Monte Tairano tra Arpaia e Santa Maria a Vico (riperimetrazione di alcune conoidi).
Relativamente alla distribuzione ed estensione delle aree di cava, esse sono state aggiornate
su base cartografica e pertanto, essendo strettamente associate all’epoca di realizzazione della
cartografia di base (2004-2005) potrebbero, da un confronto odierno, presentare delle differenze
soprattutto nel caso delle cave attive dal 2004 ad oggi.
1.3.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi
L’area di studio, nel periodo intercorso a partire dalla redazione del vigente PAI (2002), non è
stata interessata da eventi franosi di particolare rilievo. Dai sopralluoghi di campagna e dalle
segnalazioni da parte degli Enti sono emerse una piccola frana nel Comune di Caserta ed alcune
frane di modesta entità verificatesi nel Vallone Moiro a Santa Maria a Vico.
Nel caso della frana avvenuta a Caserta, si tratta di un modesto fenomeno di scorrimento-colata
verificatosi in Via Giulia, le cui cause, come desunto anche dalla consultazione di relazioni
tecniche redatte dal Comune e dal Genio Civile di Caserta, sono da ricondurre all’azione antropica.
I corpi franosi cartografati nell’ambito del bacino del vallone Moiro a Santa Maria a Vico sono
riconducibili a meccanismi da scorrimento traslativo, talora evoluto in colata, che hanno coinvolto
le coperture piroclastiche, di spessore inferiore al metro, a copertura del basamento carbonatico.
1.4 EX AUTORITÀ DI BACINO NORD-OCCIDENTALE - IL BACINO DEL VALLO DI LAURO
Anche nel caso del Vallo di Lauro l’aggiornamento del PAI si è basato su nuovi dati acquisiti in
campagna, nonché su studi di dettaglio messi a disposizione dai Comuni a seguito dell’attività di
concertazione avviata dall’AdB. Inoltre, è stata programmata ed eseguita, con attrezzature messe
a disposizione dai Comuni, una campagna di indagini in sito speditive (trincee esplorative), con
l’obiettivo di definire l’assetto stratigrafico e sedimentologico di alcuni settori pedemontani del Vallo
di Lauro perimetrati, nell’ambito del PAI 2002, come “Aree suscettibili all’invasione di materiale
detritico-fangoso, di incerta classificazione e perimetrazione da approfondire con studi di dettaglio”.
I Comuni di Moschiano, Carbonara di Nola, Taurano e Liveri hanno dato disponibilità alla
realizzazione delle trincee esplorative, mentre, pur se contattati dai tecnici dell’AdB, non è arrivata
alcuna risposta dai Comuni di Quindici, Lauro, Domicella e Palma Campania.
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1.4.1 Carta geolitologica
La revisione della Carta geolitologica non ha comportato variazioni significative rispetto alla
precedente edizione del PAI, ad eccezione di alcuni corpi di conoide, per i quali sono cambiate
forma ed estensione. Tali modifiche sono state ereditate da quelle apportate alla Carta
geomorfologica, cui si rimanda per i dettagli.
1.4.2 Carta delle coperture
La Carta delle coperture detritico-piroclastiche ha subito limitate modifiche in seguito alle
osservazioni eseguite durante i sopralluoghi effettuati sul territorio in esame. Nello specifico, lungo il
versante meridionale di Pietra Maula, al confine tra i Comuni di Taurano, Lauro e Pago del Vallo di
Lauro, ampi settori dell’area di versante sono risultati privi di depositi di copertura, mentre nella
precedente edizione del PAI erano state riportate coperture afferenti a due classi di spessore (0.52.0 m e 2.0-5.0 m). Nello stesso ambito territoriale, le aree sommitali presentano coperture di
spessore comprese tra 2.0-5.0 m e 5.0-20.0, al pari delle fasce di raccordo versante-fondovalle.
Inoltre, un ampio settore del versante a Nord dell’abitato di Pago del Vallo di Lauro, ove nella
precedente cartografia PAI erano state indicate coperture di spessore compreso tra 0.5 e 2.0 m, è
stato riclassificato ed inserito nella classe <0.5 m.
1.4.3 Carta geomorfologica
Per quanto attiene alla Carta geomorfologica, sono state apportate modifiche a forma ed
estensione di alcuni corpi di conoide e, conseguentemente, all’estensione di settori di glacis
alluvio-colluviale ad essi adiacenti. Più nello specifico, i dati acquisiti hanno consentito una migliore
delimitazione di alcuni corpi di “conoide attivi poco o non reincisi” nei Comuni di Lauro (Vallone
Troncito e Vallone di Pignano), Palma Campania, Domicella (Vallone Marini ed Alveo Ciullo
Pisani), Carbonara di Nola (Vallone Coppola, Vallone dello Scarico e Fosso di Carbonara) e Pago
del Vallo di Lauro (ad esempio Vallone del Volo).
Inoltre, nel territorio comunale di Moschiano, i nuovi dati stratigrafici emersi dalle indagini in sito
(nello specifico la trincea TM2) hanno consentito di cartografare una conoide allo sbocco di un
impluvio posto a Nord-Ovest del Santuario la Carità, non rappresentato nella precedente edizione
del PAI.
1.4.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi
La revisione della Carta-inventario dei fenomeni franosi non ha comportato variazioni rispetto
alla precedente edizione del PAI.
1.5 I RILIEVI DEL BAIANESE
In sede di aggiornamento della cartografia geotematica di base e derivata, la Carta geolitologica e
la Carta-inventario dei fenomeni franosi non hanno subito significative modifiche rispetto alla
precedente versione. Sensibili variazioni si sono registrate, invece, nella Carta geomorfologica,
anche se circoscritte alle sole aree di conoide e nella Carta della pericolosità relativa che recepisce
i cambiamenti apportati in tutti gli elaborati di base.
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1.5.1 Carta geolitologica
Non si segnalano dati che hanno determinato modifiche alle Unità di substrato riportate nella
originaria cartografia del 2002, che perciò risulta immutata.
Si registrano, invece, cambiamenti nei limiti e nella forma di alcuni delle conoidi oggetto di
approfondimento. Tali modifiche trovano riscontro nella Carta geomorfologica dalla quale sono
state recepite.
1.5.2 Carta delle coperture
La Carta delle coperture registra alcuni cambiamenti derivanti o da studi redatti per differenti
motivazioni (progetti per interventi, studi di compatibilità idrogeologica, studi di riperimetrazione) e
trasmessi all’AdB, o da sopralluoghi all’uopo eseguiti in aree specifiche.
Tali modifiche riguardano:
- alcuni tratti dei versanti costituenti il bacino del vallone S. Michele/S. Pietro nel Comune di
Mugnano del Cardinale;
- piccoli tratti del versante di M.te Campimma ricadente nel Comune di Quadrelle;
- limitati tratti del versante sud di M.te Fellino nel Comune di Roccarainola.
1.5.3 Carta geomorfologica
Nella Carta geomorfologica si riscontrano cambiamenti solo nei limiti e nella forma di alcune
conoidi oggetto di specifici studi di approfondimento. In questo caso le conoscenze acquisite
mediante sopralluoghi e nuovi dati stratigrafici, in aggiunta alla disponibilità della base cartografica
aggiornata, hanno permesso di definirne meglio lo stato di attività e l’impronta morfologica
d’insieme; i nuovi dati stratigrafici si riferiscono ai soli Comuni di Quadrelle e Sirignano.
Di seguito si segnalano le principali variazioni riferite a ciascun Comune.
Avella
La forma della conoide del Torrente Clanio, su cui è localizzato l’abitato, è pressocchè
integralmente riconfermato, a meno di modeste variazioni dovute all’adattamento della forma
della conoide alla nuova base topografica. È stata inoltre distinta, esclusivamente su base
geomorfologica, una fascia distale della conoide rispetto ai settori apicali. È stata infine
confermata la parte non riattivabile per modificazioni antropiche.
Mugnano del Cardinale
È stata ridimensionata la parte attiva della conoide sottesa dal Vallone S. Michele/S. Pietro.
Tale variazione si giustifica con i lavori di sistemazione eseguiti nella parte apicale della
conoide. Anche in questo caso è stata individuata, all’interno della conoide attiva, una parte
apicale ed un settore distale.
Quadrelle
La parte attiva della conoide del T. Acquaserta, su cui è localizzato gran parte dell’abitato, è
stata ridimensionata in prossimità dell’area apicale sia in sinistra che in destra idrografica,
tenendo conto delle trincee esplorative messe a disposizione dal Comune. E’ stata inoltre
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differenziata, nell’ambito della conoide attiva, una fascia distale dai settori apicali, anche in
questo caso su base geomorfologica.
Roccarainola
La conoide minore su cui sorge l’abitato è stata riclassificata come quiescente. Quella di
maggiore dimensione conserva il precedente limite tra settore non riattivabile per
modificazioni antropiche e settore attivo; in quest’ultimo è stata distinta, su base
geomorfologica, un’area apicale da una distale.
Limitate variazioni, legate all’adattamento alla nuova cartografia di base, si riscontrano anche
sulle conoidi relative ai diversi impluvi del versante sud di M.te Fellino. Anche in questo caso
è stata distinta, su base geomorfologica, una fascia distale da una apicale.
1.5.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi
I cambiamenti nella Carta-inventario dei fenomeni franosi si limitano all’aggiunta di un nuovo
evento franoso, peraltro di modesta entità, verificatosi nel Comune di Mugnano del Cardinale in
tempi successivi alla realizzazione del precedente PAI.
1.6
IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: IL SETTORE CONTINENTALE
1.6.1 Carta geolitologica
La revisione della Carta geolitologica non ha comportato significative variazioni rispetto a quella
della precedente edizione del PAI a cui si rimanda per il dettaglio inerente agli aspetti litologici,
stratigrafici e strutturali.
Le uniche modifiche di un certo rilievo si riferiscono alla delimitazione dei terreni affioranti nelle
aree pedemontane, a seguito dell’acquisizione di dati derivanti da approfondimenti ed
aggiornamenti trasmessi in questi anni all’AdB. Tali modifiche, strettamente collegate anche a
quelle apportate sulla Carta geomorfologica, hanno riguardato essenzialmente alcuni corpi di
conoide.
1.6.2 Carta geomorfologica
Le modifiche apportate alla Carta geomorfologica si riferiscono essenzialmente alle aree
pedemontane, con particolare riguardo per le conoidi. Alcune di queste sono state riviste sulla
base di nuovi dati in possesso del DIGA, mentre un solo apparato di conoide (loc. Sartania,
Comune di Napoli) è stato modificato sulla base di uno studio di approfondimento a carattere
geologico-stratigrafico disponibile presso l’AdB.
I numerosi sopralluoghi effettuati e l’analisi delle recenti ortofoto di dettaglio in possesso
dell’AdB hanno permesso di raccogliere altre preziose informazioni, relative, in particolare, alle
possibili interferenze tra infrastrutture e settori di conoide potenzialmente suscettibili a fenomeni di
invasione da colata rapida e/o da alluvionamento. Al contempo sono state elaborate colonne
stratigrafiche puntuali in corrispondenza di affioramenti o fronti di scavo, anche in riferimento ad
indagini in sito per lo più pregresse ed allegate a progetti depositati presso l’AdB.
Tale revisione ha comportato l’individuazione di alcune nuove conoidi, oltre ad una migliore
delimitazione degli apparati già segnalati nel PAI 2002. Esemplificative in tal senso sono le
modifiche apportate alla conoide in loc. Sartania (Napoli), la cui estensione è stata per buona parte
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ridotta, ed alle numerose conoidi detritico-alluvionali, ancorché di limitata estensione, presenti nella
parte occidentale e sud-orientale della Collina dei Camaldoli (Napoli).
1.6.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi
L’area di studio nel periodo intercorso dall’ultima redazione del PAI è stata interessata da
numerosi eventi franosi. I sopralluoghi di campagna e nuove segnalazioni in possesso del DIGA e
di altri Enti e la conseguente omogeneizzazione dei dati hanno portato ad una modifica
dell’elaborato cartografico finale. A tal proposito si segnalano i numerosi dissesti verificatesi in
contrada Cigliano (Pozzuoli) nel periodo compreso tra i mesi di febbraio e marzo del 2005. In
particolare nei soli giorni 4-5 marzo 2005 si sono innescate lungo via Cigliano circa 60 fenomeni
con volumi compresi tra pochi metri cubi ed alcune decine di metri cubi di prodotti detriticopiroclastici, con estensioni massime di circa 500 m2 . Sono state riconosciute frane riconducibili a
diverse tipologie. Le più frequenti sono i crolli e gli scorrimenti traslativi con evoluzione in colata o
in crollo, localizzati lungo le pareti ad elevata acclività presenti sui versanti laterali dei tratti stradali
in trincea impostati essenzialmente in materiale piroclastico sciolto.
Gran parte delle frane censite, pur avendo mobilitato modesti volumi di materiale, hanno
raggiunto la sede stradale, causandone l’interruzione in più punti e costringendo l’Amministrazione
comunale di Pozzuoli ad interventi di somma urgenza nei giorni immediatamente successivi
all’evento.
1.7 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI ISCHIA
1.7.1 Carta geolitologica
La revisione della Carta geolitologica non ha comportato rilevanti modifiche, legate alla
disponibilità di nuovi dati, rispetto a quella della precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il
dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale. Le uniche modifiche hanno riguardato la delimitazione
dei terreni affioranti lungo le aree costiere, in quanto, a causa dell’adozione della nuova base
topografica, si evidenziavano palesi incongruenze lungo il perimetro isolano. Pertanto, si è dovuto
procedere all’adattamento degli areali di pertinenza dei vari complessi geolitologici alla nuova base
topografica, talora ricorrendo a controlli mirati sul territorio.
1.7.2 Carta geomorfologica
La revisione della Carta geomorfologica rispetto alla precedente edizione PAI ha comportato
soprattutto modifiche conseguenti al cambio di base topografica. Anche in questo caso, infatti, i
tematismi presenti lungo il perimetro costiero sono stati adattati alla nuova cartografia utilizzata per
l’aggiornamento. Per lo stesso motivo, alcune forme presenti nelle aree interne e già riportate nella
precedente edizione sono state adattate alla morfologia del rilievo raffigurato dalla nuova base
topografica. Le modifiche più importanti riguardano senza dubbio le frane, sia quelle “ereditate” dal
PAI 2002 che i nuovi eventi franosi post-2002, le quali vengono riprese dalla Carta-inventario dei
fenomeni franosi, alla quale si rimanda per i dettagli.
1.7.3 Carta-inventario dei fenomeni franosi
Come detto in precedenza, il layer “frane” ereditato dalla Carta geomorfologica edizione 2002
mostrava rilevanti discrepanze di carattere morfologico rispetto alla nuova base topografica. Per
questo motivo, è stato condotto un accurato rilievo geologico e geomorfologico di campo, che ha
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avuto come fine la verifica dell’effettiva ubicazione delle frane riportate nel PAI 2002 rispetto alla
nuova base topografica. Durante i rilievi è stato altresì cartografato un discreto numero di nuove
frane, verosimilmente verificatesi successivamente alla redazione del PAI 2002.
Dopo aver riposizionato gli eventi franosi del PAI 2002 sulla nuova cartografia ed aver rilevato
le frane successive al 2002 (tra le quali meritano menzione gli eventi di Monte di Vezzi del 30
aprile 2006, che hanno causato la distruzione di un’abitazione e quattro vittime ), si è proceduto a
migliorare la definizione di molti fenomeni franosi relitti che caratterizzano in particolare il
territorio comunale di Forio, per alcuni dei quali è stato possibile indicare la datazione su base
bibliografica.
1.8 IL DISTRETTO VULCANICO DEI CAMPI FLEGREI: L’ ISOLA DI PROCIDA
1.8.1 Carta geolitologica
La revisione della Carta geolitologica non ha comportato variazioni di rilievo rispetto alla
precedente edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale.
Analogamente a quanto già riportato per l’isola d’Ischia, le uniche modifiche hanno riguardato la
delimitazione dei terreni affioranti lungo le aree costiere, in quanto, a causa del cambio della base
topografica si evidenziavano palesi incongruenze lungo il perimetro costiero. Anche per Procida si
è pertanto dovuto procedere all’adattamento degli areali di pertinenza dei vari complessi litologici
alla nuova base topografica.
1.8.2 Carta delle coperture
La Carta delle coperture detritico-piroclastiche non ha subìto modifiche rispetto alla precedente
edizione del PAI, a cui si rimanda per il dettaglio.
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1.8.3 Carta geomorfologica
Per quanto attiene alla Carta Geomorfologica, non sono state apportate modifiche rispetto alla
precedente edizione del PAI, a parte l’aggiunta delle nuove frane rilevate e di alcune frane
rappresentate nel PAI 2002 come “non cartografabili” e che nell’attuale aggiornamento è stato
invece possibile ridefinire con il loro contorno effettivo.
1.8.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi
Partendo dai dati preesistenti e relativi al PAI 2002, è stato condotto un accurato rilievo
geologico e geomorfologico di campo, anche via mare, che ha avuto come scopo la verifica
dell’ubicazione delle frane riportate nel PAI 2002 ed il loro eventuale riposizionamento, ove
possibile, sulla nuova cartografia disponibile. Durante i rilievi è stato cartografato un discreto
numero di nuove frane, presumibilmente verificatesi successivamente alla redazione del PAI 2002.
In merito alle frane riportate nel PAI 2002 è da sottolineare che, sia per le loro dimensioni ridotte
che per la scala di restituzione cartografica utilizzata all’epoca (1:5000), esse erano state riportate
come frane “non cartografabili”, distinte per tipologia ed attività. Poiché in questa sede per i rilievi
di campagna si è potuto disporre di una Carta topografica di maggiore dettaglio (1:2000), buona
parte delle frane indicate sul PAI 2002 come puntuali, se ancora visibili, sono state rappresentate
con il loro areale effettivo (forma poligonale).
In tutti i casi in cui, invece, le frane non erano più riconoscibili, si è preferito indicare degli areali
più o meno ampi in cui si sono riscontrati fenomeni gravitativi diffusi, peraltro seguendo in tal senso
le indicazioni del Progetto IFFI.
1.9 IL COMPLESSO VULCANICO DEL SOMMA-VESUVIO
1.9.1 Carta geolitologica
Non essendo state rilevate variazioni morfologiche significative tra la nuova base topografica
del 2004 rispetto a quella adottata per il PAI edito nel 2002, la revisione della Carta geolitologica
non ha comportato particolari modifiche rispetto a quella della precedente edizione del PAI, a cui si
rimanda per il dettaglio dell’assetto stratigrafico-strutturale.
Tra le poche variazioni, si segnalano quelle che hanno riguardato il riordino di alcune sigle del
database associato al tematismo poligonale con particolare riferimento alle forme definite “Conoide
alluvionale recente” (sigla originaria del database CAA) e “Conoide alluvionale attuale” (sigla
CAR). È stato notato che le sigle appena citate del database differivano da quelle riportate nella
legenda ufficiale (rispettivamente “CQR” e “CNR”): si è pertanto ritenuto opportuno procedere
all’omogeneizzazione delle sigle tra database e legenda. Oltre al riordino delle sigle, sono state
riscontrate anche delle discordanze relative allo stato di attività dei corpi di conoide rispetto alla
precedente cartografia geomorfologica, discordanze che sono state uniformate. È stato infine
corretto il tematismo lineare che individua i contatti stratigrafici tra le diverse litologie presenti.
1.9.2 Carta delle coperture
Analogamente a quanto già illustrato per il precedente tematismo, è stato effettuato un controllo
sul database associato ai diversi file (lineare, poligonale). Inoltre si è proceduto ad una verifica dei
limiti delle varie classi di spessore rispetto alla nuova cartografia di base, che tuttavia non ha
comportato variazioni rispetto alla precedente edizione.
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1.9.3 Carta geomorfologica
Anche in questo caso sono state corrette alcune sigle relative al database del tematismo poligonale.
Sono stati inoltre verificati i limiti tra le diverse forme cartografate, limiti che in taluni casi non
coincidevano con le effettive forme digitalizzate.
1.9.4 Carta-inventario dei fenomeni franosi
L’area di studio nel periodo intercorso dall’ultima redazione del PAI non è stata interessata da
eventi franosi significativi e pertanto non si riscontrano differenze rispetto all’edizione del 2002.
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