del file pdf - Liceo Artistico "Enzo Rossi"
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ChiaroScuro Giornale scolastico ISA Roma 2 ChiaroScuro 1 Titolo: ChiaroScuro Numero: 0 Progetto pilota 2008-2009 Data: maggio 2009 Presidente: Mariagrazia Dardanelli Direttore responsabile: Silvia Coletti Direttore di redazione: Andrea Bonavoglia Redazione collaboratori docenti e non: Elena Andreozzi, Giorgio Calabria, Giovanna Nosarti, Marco Buzzi, Stefano Guerra, Katia Danese, Giancarla Goracci, Antonio Celli, Laura Tersigni, Stefania Ciasco, Angela Antonelli, Rosaria Venuto, Marino Colonna, Cinzia Villanucci, i collaboratori scolastici e gli assistenti tecnici Claudio Monni e Carmelo Viglianisi Redazione collaboratori studenti: Moscaroli Ilaria, Classe 5P, Negulici Johana, Zonni Elena, Alcantara Maria Cristina, Romano Gaia, Buono Eleonora, Zorzi Monica, Betti Elisa, Bernardini Micaela, Liberali Daniela, Pizzacalla Micaela, Scassillo Federica, Battistini Martina, Cecchetti Sonia, Ziantoni Gabriele, Peruzzi Marco, Sgarammella Veronica, Zohar Lelio, Mongelluzzo Chiara, Pomettini Giorgio, Genovesi Giorgia, Felicetti Marianna, Di Vincenzo Valerio, Lo Stocco Erika, Giulia Fiorentini, Puccio Martina, Garcia Jessica, Reali Giulia, Riccardo Meneguolo, Simone Presto, Emanuela Luzzi, Di Benedetto Francesco e Stefanini Alessandro. Webmaster sito giornale: Andrea Bonavoglia Ideazione, progettazione e impaginazione: Silvia Coletti Immagini e fotografie dei docenti: Giorgio Calabria, Francesco Calia, Sergio Camilloni, Maira Fucci, Fiore Lepore, Roberto Pavoni, Luigi Pardo e Patrizia Corona Immagine di copertina: Mosaico Rebibbia Sezione Pittorica Editore: ISA Roma 2 Curatore grafico di alcune immagini: assistente tecnico Claudio Monni e Alessandra Nanni Stampa: Tipolitografia Spedim, Via Serranti 137, Monte Compatri Loghi Sponsor: ISA Roma 2, Controluce, Kucire srl Si ringraziano a nome del Direttore Responsabile: Mariagrazia Dardanelli, Andrea Bonavoglia, Giorgio Calabria, Stefano Guerra e il Direttore di Controluce Armando Guidoni per la fiducia e l’aiuto pratico nel progetto oltre a tutti i docenti, studenti, operatori scolastici e assistenti tecnici che hanno collaborato con entusiasmo e prontezza. ChiaroScuro 3 Indice Editoriale a pag. 5 Voce agli studenti a pag. 6 Proposte a pag. 11 Spazio aperto a pag. 14 Diverso da chi a pag. 20 Stanze dell’arte a pag. 24 Angoli di memoria a pag. 28 Variazioni a pag. 36 Educare all’arte, educarsi alla vita Apprendere significa coinvolgere le funzioni dell’intelligenza e della creatività scaturite da emozioni in relazione ad una qualsiasi esperienza. Il compito dell’insegnante nel trasmettere informazioni all’alunno non consiste solo nell’inviare messaggi finalizzati alla crescita culturale di chi ascolta, ma soprattutto nel concettualizzare in modo corretto e nell’organizzare l’esposizione di ciò che sta comunicando; ovvero, l’insegnante deve educare alla formazione. Questa è la base di partenza per una corretta trasmissione dell’informazione. La difficoltà di questa relazione sta nel fatto che fra l’esposizione attiva dell’insegnante e l’apprendimento dell’alunno, l’intelletto partecipa della volontà e questo significa che, in un certo qual modo, è l’alunno che decide se e come apprendere, consapevolmente o meno, un’informazione. È qui che entra in funzione l’educazione didattica ed è proprio all’interno di questo percorso di scambio e crescita che abbiamo ritenuto importante inserire il progetto pilota del giornalino scolastico. Un giornale di tutti, aperto allo scambio e con una forte impostazione artistica. La formazione evolve e si sviluppa a partire dal basso, ossia educando i sensi intellettivi dell’alunno: la memoria, l’immaginazione, la curiosità, la volontà. Non basta conoscere, bisogna amare ciò che si conosce. Anche la vista e l’udito si devono applicare e sono soggetti ad esercizio. Insegnare è educare alla conoscenza in modo terapeutico: allenare la mente nell’insieme delle sue capacità a saper acquisire informazioni. Formare un alunno significa, e qui sta il fulcro della questione in merito, farlo co-crescere con ciò che è già preesistente per sua natura e struttura individuale, rispettando, nei limiti, i suoi tempi di apprendimento e sviluppando le capacità e le inclinazioni proprie della sua singolarità. Con questa iniziativa del giornale scolastico si è voluto dare voce proprio agli studenti, alle loro inclinazioni, alle loro opinioni con libertà e rispetto. È ovvio, ma va comunque sottolineato, che ogni forma di educazione o formazione è anche auto-educarsi o formarsi; ossia che il processo di crescita e di formazione è valido per tutti, e accomuna insegnanti e alunni. Insegnare, allora, non è un’attività basata su una libera iniziativa, ma è una crescita collettiva. In questo modo si potranno sviluppare ed esporre anche giudizi veri e opinioni chiare. È importante sapere che la scuola è un luogo che educa: uno spazio nel quale le energie individuali e sociali degli alunni, adeguatamente seguiti dagli insegnanti, possono svilupparsi, formarsi ed esprimersi al meglio. Insegnare ed imparare l’onestà intellettuale delle idee significa, quindi, sviluppare una forma mentis che si esprime anche in un’azione sociale tesa al bene comune. Buona lettura! Mariagrazia Dardanelli Luci e ombre “Ma sono davvero parole...No, sono cose, che risplendono che fanno sentire tutta la loro forza, ...segni senza mistero disegni chiari, corpi che danzano,...vallate... Le parole della voce che parla sono tutto questo e molte altre cose”. J. M. G. Le Cleziò La Danza di Henri Matisse è tra i dipinti più famosi della sua produzione espressionista, poichè riesce ad esprimere in maniera esemplare la sintesi fra contenuto e forma presente nella metafora della vita quotidiana. Il quadro trasmette una suggestione immediata: il senso della danza, che unisce in girotondo cinque persone, è espresso in pochi tratti e con appena tre colori. Ne risulta un’immagine simbolica che può essere suscettibile di più letture ed interpretazioni. Il verde, che occupa la parte inferiore del quadro, simboleggia la Terra. Il blu, nella parte superiore, è il Cielo. Si tratta di un blu così denso e carico che rappresenta uno spazio tanto ampio da contenere tutto l’universo. E al margine tra Terra e Cielo, tra metafora e realtà, si compie la danza delle cinque figure. La loro danza, di colore rosa, può essere vista come allegoria della vita umana, fatta di un movimento continuo in cui la tensione è sempre tesa all’unione con gli altri. Tutto ciò avviene al margine e al confine tra l’essere e il non essere. L’ambivalenza di contenuto presente nell’opera di Matisse è la stessa che percorre la vita quotidiana dell’esistenza umana, è la stessa che ritroviamo anche nella scuola, luogo fatto di chiari e di scuri: i chiari dell’amicizia, dell’onestà intellettuale, della passione verso la conoscenza e del rispetto per le diversità; gli scuri di parte della memoria storica, di aiuti concreti, di male di vivere, di silenzi spezzati però da tanta volontà. Siamo fra docenti e studenti una categoria che vuole mettersi in gioco, che vuole illuminare sia aspetti solari, sia voci dell’anima più in ombra, opinioni ancora non così importanti da riuscire a cambiare le storture dell’esistenza. Tanti gli interrogativi che oggi ci pone l’ambiente scuola in tutte le sue sfaccettature e che con questo giornale abbiamo cercato di affrontare, ricordando sempre che Le ombre sono importanti quanto le luci. E a tutti voi non resta che augurare buona lettura. Andrea Bonavoglia Silvia Coletti ChiaroScuro 5 Voceaglistudenti La realtà non è quello che ci accade, ma ciò che facciamo con quello che ci accade. A. Huxley Opera Italian Graffiti S.Maria del Soccorso, dipinto ad olio su tela di Roberto Pavoni (ex studente dell’ISA Roma 2 e ora docente di arti pittoriche) L’immagine autentica di Sè Da “La storia di Cappuccetto rosso raccontata dal Lupo” di Gustave Doré Il diritto a presentare l’immagine autentica di sé. Le informazioni che riceviamo ci parlano spesso di “altri”. Ci sono molti specialisti di “altri”. Si trovano tanti articoli scritti sui tossicodipendenti, sui barboni, sugli indigeni, sui giovani, sugli studenti. Non si trovano articoli scritti dai barboni, dagli indigeni…; raramente si leggono articoli firmati da giovani, da studenti… Tutto questo può facilmente produrre stereotipi, immagini falsificate, distorsioni. Il diritto invece a poter presentare l’immagine di sé, che più si ritiene aderente alle proprie aspirazioni dovrebbe essere garantito a tutti, non solo ai più forti e danarosi. Per questo la storia di Cappuccetto rosso, raccontata dalla parte del lupo, offre un facile esempio di come ci siano tante facce in uno stesso fatto. Occorre garantire a tutti il diritto a poter esprimere la propria identità. A tal proposito il giornalino scolastico può diventare una tra le diverse opportunità dei giovani per ‘esseci’, quale fondamento essenziale e prioritario alla tanta ricercata ‘visibilità’. La foresta era la mia casa. Ci vivevo e ne avevo cura. Cercavo di tenerla linda e pulita. Quando un giorno di sole, mentre stavo ripulendo della spazzatura che un camper aveva lasciato dietro di sé, udii dei passi. Con un salto mi nascosi dietro un albero e vidi una ragazzina piuttosto insignificante che scendeva lungo il sentiero portando un cestino. Sospettai subito di lei, perché vestiva in modo buffo, tutta in rosso, con la testa celata come se non volesse farsi riconoscere. Naturalmente mi fermai per controllare chi fosse. Le chiesi chi era, dove stava andando e cose del genere. Mi raccontò che stava andando a casa di sua nonna a portarle il pranzo. Mi sembrò una persona fondamentalmente onesta, ma si trovava nella mia foresta e certamente appariva sospetta con quello strano cappellino. Così mi decisi di insegnarle semplicemente quanto era pericoloso attraversare la foresta senza farsi annunciare e vestita in modo così buffo. La lasciai andare per la sua strada, ma corsi avanti alla casa della nonna. Quando vidi quella simpatica vecchietta, le spiegai il mio problema e lei acconsentì che sua nipote aveva immediatamente bisogno di una lezione. 6 ChiaroScuro Voceaglistudenti Fu d’accordo di stare fuori dalla casa fino a che non l’avessi chiamata, di fatto si nascose sotto il letto. Quando arrivò la ragazza, la invitai nella camera da letto mentre mi ero coricato vestito come sua nonna. La ragazza, tutta bianca e rossa, entrò e disse qualcosa di poco simpatico sulle mie grosse orecchie. Ero già stato insultato prima di allora, così feci del mio meglio suggerendole che le mie grosse orecchie mi avrebbero permesso di udire meglio. Ora, quello che volevo dire era che mi piaceva e volevo prestare molta attenzione a ciò che stava dicendo, ma lei fece un altro commento sui miei occhi sporgenti. .Adesso puoi immaginare quello che cominciai a provare per quella ragazza che mostrava un aspetto così carino ma che era evidentemente una bella antipatica. E ancora, visto che per me è ormai un atteggiamento acquisito porgere l’altra guancia, le dissi che i miei grossi occhi mi servivano per vederla meglio. L’insulto successivo mi ferì veramente. Ho infatti questo problema dei denti grossi. E quella ragazzina fece un commento insultante riferito a loro: Lo so che avrei dovuto controllarmi, ma saltai giù dal letto e ringhiai che i miei denti mi sarebbero serviti per mangiarla meglio. Adesso, diciamoci la verità, nessun lupo mangerebbe mai una ragazzina, tutti lo sanno, ma quella pazza di una ragazza cominciò a correre per la casa urlando, con me che la inseguivo per cercare di calmarla. Mi ero tolto i vestiti della nonna, ma è stato peggio. Improvvisamente la porta si aprì di schianto ed ecco un grosso guardacaccia con un ’ascia. Lo guardai e fu chiaro che ero nei pasticci. C’era una finestra aperta dietro di me e scappai fuori. Mi piacerebbe dire che fu la fine di tutta la faccenda, ma quella nonna non raccontò mai la versione della storia. Dopo poco incominciò a circolare la voce che io ero un tipo cattivo e antipatico e tutti incominciarono a evitarmi. Non so più niente della ragazzina con quel buffo cappuccio rosso, ma dopo quel fatto non ho più vissuto felicemente. (Lief Fearn; traduzione di S. Bacciocchi) Quindi …”voce agli studenti”. docente Giancarla Goracci Make up “Era proprio la mia quell’immagine intravista in un lampo? Sono proprio così, io, di fuori, quando – vivendo – non mi penso? Dunque per gli altri sono quell’estraneo sorpreso nello specchio: quello, e non già io quale mi conosco: quell’uno lì che io stesso in prima, scorgendolo, non ho riconosciuto. Sono quell’estraneo, che non posso veder vivere se non così, in un attimo impensato. Un estraneo che possono vedere e conoscere solamente gli altri, e io no’, E mi fissai d’allora in poi in questo proposito disperato: d’andare inseguendo quell’estraneo ch’era in me e che mi sfuggiva; che non potevo fermare davanti a uno specchio perché subito diventava me quale io mi conoscevo; quell’uno che vive va per gli altri e che io non potevo conoscere; che gli altri vedevano vivere e io no. Lo volevo vedere e conoscere anch’io così come gli altri lo vedevano. Ripeto, credevo ancora che fosse uno solo questo estraneo: uno solo per tutti, come uno solo credevo d’esser io per me. Ma presto l’atroce mio dramma si complicò: con la scoperta dei centomila Moscarda ch’io ero non solo per gli altri ma anche per me, tutti con questo solo nome di Moscarda, brutto fino alla crudeltà, tutti dentro questo mio povero corpo ch’era uno anch’esso, uno e nessuno ahimè, se me lo mettevo davanti allo specchio e me lo guardavo fisso e immobile negli occhi, abolendo in esso ogni sentimento e ogni volontà.” (Luigi Pirandello, Uno, nessuno e centomila) Pensi di indossare delle maschere nella tua vita quotidiana? Quali sono le maschere che indossi e quali quelle che vorresti togliere? Micaela Pizzacalla 1P ChiaroScuro 7 Voceaglistudenti Micaela Pizzacalla 1P Daniela Liberali 2B “L’arte non è da guardare: è l’arte che ci guarda. Ciò che per gli altri è arte non lo è altrettanto per me, non per lo stesso motivo e viceversa. Ciò che per me prima era o non era arte può aver perso o acquistato il suo valore nel frattempo e anche più volte. Così l’arte Elisa Betti 8 ChiaroScuro non è oggetto, ma esperienza, per percepirla dobbiamo essere ricettivi. Pe questo l’arte è là dove l’arte ci tocca”. (Josef Albers.Interazione del colore. Esercizi per imparare a vedere.) Voceaglistudenti Micaela Bernardini 4P Monica Zorzi 4P La tela della vita Nietzsche, il grande filosofo tedesco, scriveva ne La gaia scienza: “La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo sempre più ricca, più desiderabile e più misteriosa (…) La vita come mezzo di conoscenza. Con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma anche gioiosamente vivere e gioiosamente ridere”. La proposta che si rivolge oggi ai giovani è quella di risvegliare e consentire loro di dischiudere quel segreto, spesso a loro stessi ignoto. Se gli adulti, in particolar modo i docenti, la scuola, i genitori, sapranno insegnare ai ragazzi l’”arte del vivere”, come dicevano i Greci antichi, che consiste nel riconoscere le proprie capacità, nell’esplicitarle e vederle fiorire secondo misura, allora con questo primo passo i giovani potrebbero innamorarsi di sé. E quell’”ospite inquietante”(Galimberti) che è la difficoltà di vivere, la sofferenza, non sarebbe passato invano dalle loro esistenze. Oggi l’arte del vivere non c’è più, la tela della nostra vita non sprigiona più quei colori intensi e accesi, ma sono le linee monotone e tristi. Particolarmente se si è giovani e disagiati non si trova la forza per resistere e continuare a lottare, nonostante le difficoltà quotidiane, e questo mi riguarda molto da vicino. Molto spesso penso che mi sento incapace di vivere nella società in modo ordinato e composto, e ripongo in un grigio cassetto i miei problemi; ho voglia di elevare la mia rabbia e di farla esplodere. Non è pazzia, ma solo un fare più rozzo e brutale, ma ugualmente efficace, per affrontare la vita. La pazzia è un’altra, è nascosta; certe persone vorrebbero veder bruciare il mondo solo per il puro piacere di farlo. Forse siamo noi i pazzi, in fondo quelli che stanno distruggendo il mondo siamo noi, i cosiddetti “sani di mente”. Siamo come virus, andiamo in un posto e lo consumiamo: prima o poi non ci saranno più posti da sfruttare. Sicuramente queste sono solo mie idee. Oggi prima di insegnare importanti principi si dovrebbe far comprendere per quale ragione continuare a vivere. Non voglio essere malinconico. Oggi la vita è cara e non solo economicamente. Si deve essere ricchi anche nel pensiero per essere alla pari con il mondo degli adulti. Marco Peruzzi 1N ChiaroScuro 9 Voceaglistudenti Penso che al giorno d’oggi è molto difficile per un giovane, un adolescente, capire il senso, la bellezza della vita o il semplice gusto di viverla. E’ colpa, secondo me, di questo mondo che è sempre in cerca di fora, soldi o potere. Ci ritroviamo a vivere in un mondo che corre troppo in fretta, cambia in continuazione, un mondo frenetico e pazzo che no ci da’ la possibilità di scegliere come voler vivere la vita. I genitori non hanno abbastanza tempo da dedicare ai propri figli, capirli e aiutarli in momenti difficili, perché anche loro non sono stati capiti da questo mondo frenetico, che non ha mai tempo. Tante volte alcuni ragazzi pensano che per avere uno stimolo, sentirsi vivi o per essere accettati nel gruppo , devono cambiare il modo di vestire, di comportarsi con gli altri, cominciano a fumare e alla fine si ritrovano anche a provare la droghe, ed entrano in un giro vizioso da cui pochi riescono ad uscire. Ma la colpa di tutto ciò non è soltanto dei genitori, dei professori, ma anche della tv che ci fa credere in dei modi di vivere falsi e poi alla fine ci si ritrova ad assomigliare a quei modelli, che ci fanno vedere e credere a un mondo tutto finto. Con tutte queste difficoltà di vivere e di discernere, alcuni ragazzi non ce la fanno e si lasciano andare e ogni giorno muore un po’ di loro, mentre altri si nascondono dietro a delle maschere, come la violenza. Ma è anche vero che queste difficoltà che la vita e il mondo ci pongono, aiutano, rinforzano e fanno crescere diventando a mano a mano più maturi. Johana Negulici 1P L’arte di vivere Nessuno qui ci insegna l’arte di vivere. I modelli a cui noi giovani d’oggi facciamo riferimento sono cambiati, perché i tempi corrono troppo velocemente e a volte anche per noi. Non si guarda più ai genitori, agli insegnanti, semplicemente, perché ci piace dire, coprendoci dietro ad un dito, che loro sono “troppo indietro”. Si guarda di più alle persone di dieci-quindici anni più grandi di noi, alla generazione che, negli anni 90, viveva l’ adolescenza di oggi. Si guarda a loro, drogati dal modo di vivere moderno e inevitabilmente si perdono anche i concetti base che si potrebbero ritrovare invece in persone più grandi di quelle a cui per comodo facciamo riferimento. Al giorno d’oggi è difficile trovare un ragazzo che si trova bene con le persone che l’hanno messo al mondo. C’è troppo silenzio fra di loro, c’è un divario d’età incolmabile, e spesso c’è anche la voglia di non volersi capire. “Noi stiamo qui, tu stai lì”. I genitori-lavoratori di oggi non hanno né voglia, né tempo di ascoltare i loro figli. Non comprendono molti piccoli segnali, si fanno sfuggire le mezze frasi che nascondono i disagi e tengono conto solo delle male parole. Fanno di tutta l’erba un fascio, paragonandoci con la massa adolescenziale e ribelle che raffigura ormai ogni episodio di violenza. 10 ChiaroScuro E poi c’è anche chi si satura di difficoltà di vivere, perché non si ritrova né nella massa, né all’interno dell’ambiente familiare. Ed è lì che nasce un’altra diversità, spesso depressiva e incompresa, che si trova anche fra i banchi di scuola: la malinconia di non arrivare a conoscere l’arte di vivere. Erika Lo Stocco 4P Sentirsi vivi Insegnare l’arte del vivere…apprendere l’arte del vivere… Concetto interessante! Come si può realmennte vivere? Me lo chiedo spesso. Da anni ormai una delle mie paure è quella di sopravvivere… Termine a cui non do il significato di vita piena di difficoltà, ma una vita che non si è vissuta appieno, come la si vorrebbe. Non posso per esempio considerare vita, il dedicarsi a qualcosa che non mi rispecchia, che non mi piace. Così come non posso considerare vita il non riuscire a godersi tutto ciò che ci circonda, le piccole cose, la natura… Riuscire a farlo non è certo cosa facile! A volte, noi giovani abbiamo bisogno di una guida: professori e genitori, dovrebbero dedicarsi anche a tale scopo insegnando i valori della vita e riuscendo a farcela apprezzare. Spesso gli adolescenti si perdono. Non danno il giusto peso o significato alle cose, e quindi finiscono per non apprezzarne la vera essenza. Alcuni si sentono appagati nel piccolo, gli basta, poiché hanno un concetto errato di vita; antepongono i piaceri materiali al vero piacere quello dei sentimenti, degli affetti. Detto più semplicemente: credono, ma non sanno, godersi la vita. Apprezzare le diversità di questo mondo, impegnarsi nel realizzare i propri sogni, entrare in contatto con i propri sentimenti e le proprie passioni, non avendo rimpianti…questo è ciò che io considero…sentirsi vivi. Gabriele Ziantoni 5M Sezione Architettura Proposte Agisci sempre in modo da aumentare il numero delle scelte. H. von Foerster Sezione Architettura Autogestirsi Nei giorni dal 5 all’11 novembre 2008 la nostra scuola, l’Istituto Statala d’Arte e Liceo Artistico Roma 2, dopo un’importante assemblea, ha deciso di autogestirsi. Nel corso dell’autogestione si sono svolti dei corsi apprezzabili come: la pittura delle aule, il linguaggio dei segni, giornalismo, ed altri in cui mettere in pratica alcuni degli hobby degli studenti come il cineforum, il corso di giocoleria e fumettistica. Con l’aiuto di alcuni studenti siamo anche riusciti a costituire il gruppo di attualità, in cui parlare del tema principale dell’autogestione, cioè il decreto Gelmini e altri problemi sociali annessi. Io mi sono occupata in prima persona proprio dell’organizzazione di questo ultimo corso, nel quale si è cercato di creare un dibattito-dialogo il più possibile pertinente e che desse voce a tutti gli studenti ponendo domande e opinioni le più differenti. Anche se con una leggera timidezza iniziale, il corso ha preso il via parlando della situazione politica interna all’Italia e all’Unione Europea in merito proprio alla situazione della formazione scolastica, creando confronti anche con il passato e incrementando il dibattito anche attraverso la visione di alcuni filmati. Lo spirito del corso non è stato quello di portare delle soluzioni o di imporre un pensiero piuttosto che un altro, ma si è posto come finalità semplicemente di meditare su problemi che spesso si sentono in tv o sui giornali, ma su cui quasi mai si ha il coraggio di riflettere, cercando di interagire attraverso il dibattito e lo scambio di idee. Speriamo che tutto ciò sia per lo meno servito a maturare. Gaia Romano 5M ChiaroScuro 11 Proposte Vorrei… Dato che mi pare interessante l’idea di un giornalino che diventi prima di tutto - oltre che momento di espressione delle singole componenti della scuola - occasione di dialogo e confronto tra le medesime, propongo a tutti alcune mie considerazioni, domande e/o fantasie, che avevo immaginato di incanalare in qualche rubrica, ma che posso ben mettere tutte nella sezione che il giornale dedica ai docenti. Prima di tutto vorrei fare un elenco in parte delirante e utopistico, ma in parte non privo di significato realistico, dei desideri che sono passati nel corso del tempo nella mia zucca di docente dell’IsaRoma2, e di docente in generale. E lo articolerò come una lista di ‘..vorrei…’ . ‘Vorrei…. ‘ - Vorrei... tutti i muri a variopinti murales fatti da ragazzi guidati dai docenti ( progetto ? ) - Vorrei…tanti attacapanni ( creativi e non ). in aula professori, nei bagni !!, nelle classi ( sono stufo di ammucchiare vestiti e borse per terra o sui banchi - Vorrei…armadi e armadietti, nelle classi e ovunque, per tenerci materiali. - Vorrei…armadietti personali per i docenti per registri, etc - Vorrei…un laboratorio linguistico - Vorrei…molti televisori leggeri e funzionanti, per proiettare nelle classi, e molte radio stereo valide, per far sentire musiche e altro a lezione - Vorrei…nella zona antistante al bar, progettata dai nostri validi architetti, e credo realizzabile a non alti costi, una zona tettoiata e con tavoli, il tutto all’aperto e in legno, tipo zone picnic nei boschi, per le permanenze ( talora ‘di massa’ ) pomeridiane - Vorrei…che lo stato costringesse i teatri ad offrire mattinate(non pomeriggi ) e a prezzi abbordabili, e non solo didattiche, ma per gli spettacoli di punta e più validi. Potrei poi dilatare questi miei desiderata alla curiosità di avere delle risposte dai ragazzi su alcune cose, e dunque chiederei loro, dalle pagine di questo giornale, supposto che lo leggano e lo frequentino… Domande agli studenti: - Perché venite in così pochi a fare il teatro..? Disinteresse. Poca informazione, paure? - Quanti allievi parteciperebbero, se ci fossero, pomeridiani, offerti dalla scuola, a ‘Progetti ‘ del tipo A - Cineteca : proiezione film a tema o di grandi registi - Lezioni su, e discussioni B - Laboratorio per imparar a scrivere poesie C - Storia della musica 12 ChiaroScuro D - Formazione di un gruppo musicale autogestito (I rispondenti potrebbero inviare il proprio nome, legato ai singoli progetti (A,B,C,D ) ipotizzati, e/o magari dire dei “perché”) Infine potrei chiedervi, cari studenti Avreste voi studenti altri progetti da proporre ? O il problema è il pomeriggio? E ancora vorrei chiedere a tanti : “Perché non hai partecipato al giornalino? “ a - è una cosa artificiale e astratta b - non saprei cosa dire c - non voglio parlare di fronte a professori e adulti d - non voglio espormi di fronte ai miei coetanei e - è una cosa noiosa f - non serve a niente g - forse dopo averne visto un primo numero invogliante, lo farò h - non ne sapevo nulla i - lo farei se lo facesser i miei amici l – lo farei se lo facesse il/la mio/a ragazzo/a Infine, mi chiedo, non potrebbe essere il giornale, per voi studenti, un luogo per fare delle domande e/ o proposte a voi stessi – da sviluppare poi in assemblee e collettivi - ed ai docenti ? E non potrebbe essere un luogo dove parlare per continuare il ‘feeling’ inaugurato dalle manifestazioni insieme – del rapporto ‘SCUOLA E MONDO’ ...con argomenti del tipo Le riforme possibili - Scuola e politica - Cosa del nostro mondo resta troppo fuori dalla scuola, e cosa del nostro mondo nella scuola è meglio che non ci entri proprio, ma … ? docente Marco Buzzi SOS Legge Ragazzi, è dura la vita? E’ sempre più difficile conciliare la legge con la vita che ti circonda? Vorresti sapere come fare, dove andare o se è giusto quello che fai? Vuoi confrontarti con gli altri? Bene, SOS Legge è lo spazio dedicato a te. Se vuoi, puoi formulare delle domande, questioni, curiosità, problematiche, anche anonime, e cercherò di risponderti attraverso questo spazio del giornalino scolastico. docente Laura Tersigni Proposte Bolle di sapone, foto di Mercandalli Giulia Autogestione Autogestione .. un parolone per chi pensa che la scuola sia un organo a se stante, creata per esser momento di incontro alunno-professore solo nella mattina e per studiare quelle tre o quattro materie utili per la nostra cultura, o nel peggiore dei casi inutili! Sbagliato! La scuola è un organo statale adibito allo sviluppo alla crescita degli alunni,si comincia da piccoli ed è a scuola che comincia la nostra preparazione alla vita. La scuola in qualche modo è nostra e se riusciamo a trattarla per bene riusciamo anche a capire che qualche diritto su di essa nel tempo l’abbiamo acquisito anche noi. Come il diritto all’Autogestione ed è cio che l’ISA Roma 2 quest’anno si è impegnata a portare avanti, un’Autogestione critica ma organizzata con criterio. Si è cominciato partendo dal servizio di guardia, la componente principale forse dell’autogestione che controlla,o almeno dovrebbe, le persone che girano per la scuola, l’entrata di esterni e cerca di evitare i danni. L’organizzazione è stata molto dettagliata e ottimamente sviluppata, ci siamo avvalsi della collaborazione di studenti di tutte le età e delle classi per creare dei corsi in grado di impegnare il tempo per gli alunni e allo stesso tempo insegnare qualcosa, dove al posto dell’insegnante austero e intimidatorio vi erano compagni, altri ragazzi come noi. Giocoleria, Fumetto, Danza, Attualità sono solo alcuni dei corsi che sono stati svolti dagli atudenti, ma credo che le attività piu costruttive siano stati due corsi in cui l’impegno richiesto era il massimo in due campi e ambiti completamente diversi, ma in egual importanza. L’uno era il ridipingere le aule, sono state ridipinte di bianco quasi tutte; inoltre un progetto prevedeva di realizzare opere d’arte in alcune aule, ha preso il via ma purtroppo si è bloccato. Sono state realizzate in totale tre aule a tema artistico, una egiziana, una classica e un’aula completamente dedicata a Piet Mondrian. L’altro corso o progetto è stato tenuto da una delle nostre compagne, con un problema uditivo, essendo sordomuta ha insegnato a noi a capire lei e non il contrario.Questo progetto secondo me ha segnato le giornate di molti degli alunni considerando il fatto che l’aula era sempre piena e che mostravano una partecipazione attiva allo svolgersi del corso. Durante l’Autogestione sono state svolte alcune assemblee a cominciare dalla principale, svoltasi il primo giorno, in cui sono stati invitati a partecipare attivamente alunni e professori, e anche due ragazzi dell’università per spiegare il loro punto di vista universitario e per aiutare a consolidare il nostro.. Un’Autogestione con un capo e una coda che ha seguito un filo logico, tranne alcuni episodi sporadici che sono stati prontamente risolti. L’augurio è che i nuovi rappresentanti d’istituto, che resteranno almeno altri due anni al contrario di me, proseguano con questa voglia di realizzare opere importanti per la nostra scuola rendendola un posto accogliente come merita di essere, il posto dove passiamo la maggior parte della nostra giornata. Giulia Fiorentini 5A ChiaroScuro 13 Spazioaperto Sono le nostre teorie che determinano le nostre osservazioni. A. Einstein Sezione Scultura e Decorazione Plastica Un cocktail di colori A chi parla del nostro lavoro di collaboratori scolastici in modo dispregiativo, pensando che sia l’ultimo dei lavori... vogliamo far sapere che... per noi è uno spazio aperto fatto di chiari-scuri; è un cocktail di aperol, gin e sciroppo alle fragole,guarnito di panna e fragole, cioè di ragazzi che ti salutano con un bacio, un sorriso, un abbraccio e che hanno tanta voglia di arrivare… E noi gli aguriamo di prendersi il mondo. I collaboratori scolastici 14 ChiaroScuro Spazioaperto Filastrocca Al quinto siamo arrivati, pur essendo un po’ stressati! Insieme ai professori ne abbiamo passate di tutti i…colori! D’Ugo e Camilloni dei laboratori sono i campioni… Fazio e Antonacci ci hanno ridotto proprio in …stracci Che coppia Massimi e Piccirilli che cantano tanto come i grilli! Rinaldi e Di Benedetto ci protranno riprogettare il tetto. Tornando in laboratorio, con la puzza di petrolio, troviamo la Parretta alla quale si è incastrata la cassetta. Corri, corri…non mi pigli… mia cara Fiordigigli! Guarda guarda abbiamo fame… ecco la torta del Reale che la Stenofi assaggerà e felice rimarrà. Ahi ahi…c’è l’ora di matematica, e alla professoressa Pellegrini portiamo un infuso di fiorellini e nell’ora di codocenza… tutti ad ascoltare con coscienza, ciò che la Battisti e la Bascià ce fanno imparà. Ed infine il Cossu con il Logos e il Buzzi con i suoi scarabuzzi intellettuali, sono, senza alcun dubbio, i più…sensazionali! Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda Classe 5P docente Katia Danese Il paradosso di Achille e la Tartaruga Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda ci metri che io ho di vantaggio io mi sposto in avanti di cinque. Tu dovrai poi percorrere questi cinque metri, ma io mi sarò spostata in avanti di altri due metri e mezzo che tu dovrai recuperare. Ma mentre tu cerEnunciamo il paradosso di Zenone, dando poi la cherai di raggiungermi facendo questi due metri e soluzione. Achille piè veloce sfida alla corsa una lenta tartaru- mezzo io mi sarò spostata di un altro metro e ventiga, dicendole: - Scommettiamo che riesco a batterti nella cinque e così via fino all’infinito, così tu non potrai mai raggiungermi. Così dicendo la tartaruga tracciò sulla corsa anche se ti dò dieci metri di vantaggio ? terra un diagramma che spiegava la situazione. Achille La tartaruga risponde: - Sai, io sono molto lenta, osservò a lungo il diagramma, ripetendo mentalmente è il mio stile di vita, ma se mi dai dieci metri di vantaggio, non puoi battermi! - Sì che posso, io sono il doppio più volte il percorso della gara, non riuscendo a capapiù veloce di te. - Anche se sei il doppio più veloce non citarsi di come fosse possibile che egli non riuscisse mai a raggiungere il più lento animale. potrai mai raggiungermi. Vedi, mentre tu percorri i die- ChiaroScuro 15 Spazioaperto D’altronde Achille poteva, ragionando in altro modo, sostenere di poter vincere la gara. Infatti quando Achille avesse percorso, diciamo, trenta metri, la Tartaruga ne avrebbe percorsi solo quindici; detratti i dieci metri di vantaggio iniziali, Achille si sarebbe ancora trovato in vantaggio di cinque metri. Il paradosso appassionò molto gli antichi, che non conoscevano la teoria delle serie e trovavano inspiegabile il ragionamento. Proviamo anche noi a riflettere su quel diagramma... soluzione Quando Achille si trova in Ao la tartaruga è in To. Achille corre per raggiungerla ed arriva in A1. La tartaruga nel frattempo si è spostata in T1, avendo percorso metà della distanza di Achille, ma restando sempre in vantaggio. Il processo si ripete, apparentemente fino all’infinito e sembra proprio che Achille non raggiunga mai la tartaruga. Svolgiamo però il calcolo delle distanze, cosi come dei tempi, supponendo che la velocità di Achille sia v =1 m/s e ricordando che la distanza AoA1 è di dieci metri. Achille percorre una distanza pari a Da = 10+5+2.5+... metri, in un tempo t = 10+5+2.5+... secondi. La tartaruga percorre una distanza Dt = 5+2.5+1.25+... metri in un tempo uguale. Si vede subito che si tratta di tre serie geometriche convergenti, p.es. Da = 10(1+1/2+1/4+...) = 10(1/(1-1/2)) = 10(2) = 20 metri. Dt è la metà di tale valore mentre il tempo impiegato è t = 10(1+1/2+1/4+...) = 10(1/(1-1/2)) = 10(2) = 20 secondi. Dunque dopo venti secondi, dopo aver percorso venti metri in tutto, Achille raggiunge la tartaruga e un attimo dopo la supera definitivamente. così diffuso sul mercato? La struttura di un iPod può essere grosso modo descritta in questa maniera: Cinque bottoni, una “ghiera rotabile”, ingresso per le cuffie, e niente più. È un prodotto che lascia il segno, sin dal primo utilizzo. Non avete bisogno di comprendere a pieno il suo funzionamento, è il suo design a comunicarci il metodo con il quale possiamo interagire. Questo approccio si applica per ogni modello della linea, ad eccezione del piccolo Shuffle, e vi spiegherò il perché se deciderete di leggere più a fondo. La linea dei prodotti comprende quattro principali dispositivi: iPod Shuffle: In ordine per dimensioni, è il più piccolo e semplice della gamma. Anche in questo caso, non è necessaria alcuna conoscenza pratica. Per rendere l’approccio ancora più immediato, hanno deciso di rimuovere il display e lasciare solo i controlli di base. Senza impiegare troppo tempo a cercare una traccia in particolare, premendo il tasto centrale verrà riprodotto un brano caricato al suo interno. Ne arriveranno altri, in successione, anch’essi selezionati senza un preciso ordine. Di recente è stato introdotto un nuovo modello, in cui sono stati rimossi persino i bottoni sul dispositivo, lasciandolo completamente spoglio.I controlli sono stati spostati su un lembo dell’auricolare. Che abbiano intenzione di rimuovere anche quelli, in futuro? iPod Nano: È stato presentato per la prima volta nel 2005, poco prima del “cugino minore” Shuffle. Concepito proprio con il principio di “ridurre” spazio. Pensato per gli sportivi, divenne ben presto il modello più popolare proprio grazie alla sua “sensuale” sottigliezza. In soli 6,9 mm poteva racchiudere fino ad 8 gb di brani, circa 100 album musicali. Decisero di lanciarlo sul mercato con 5 colori differenti, per renderlo un prodotto più accattivante. Originariamente la prima serie veniva distribuita solo nei colori nero e bianco. La vittoria dell’uno o dell’altra dipende da dove viene posto il traguardo. L’errore nel ragionamento è quello di ritenere che una somma di infiniti termini debba dare sempre un risultato infinito. Alla luce delle moderne coiPod Classic: (ex iPod Video) noscenze matematiche la soluzione è addirittura baÈ stato primo ad uscire sul mercato e certamente nale e si riduce ad un semplicissimo esercizio di il più popolare. cinematica. Attualmente è il modello più grande (dalle dimendocente Angela Antonelli sioni un mazzo di carte), ma anche il più capiente: con ben 120 gb di memoria a disposizione. Si possono inserire 1000 album, più di 30.000 braiPod ni, in alternativa, è possibile caricare centinaia di film, Istruzioni per l’uso Quando un sistema complesso abbraccia un migliaia di fotografie ad alta risoluzione, oppure utilizzarlo come disco esterno. È stato presentato in 6 genedesign semplice e intuitivo Sin dalla prima uscita sul mercato, l’iPod ha ri- razioni differenti. Dalla terza in poi, l’utilizzo di un display scosso un successo planetario. Attualmente, è il pro- a colori ha permesso la riproduzione di foto e video. dotto più venduto della Apple, e ha raggiunto la top dei Questa particolarità lo ha reso talmente celebre da eslettori mp3 più venduti nel mondo. Ma cosa spinge un sere incoronato con l’appellativo di iPod Video, nella quinprodotto così semplice (ed a tratti costoso) ad essere ta edizione del dispositivo. 16 ChiaroScuro Spazioaperto iPod Touch: Pensavate che 4 bottoni potessero essere troppi? Niente affatto! La sua struttura è composta da un ampio schermo di 3.5 pollici (il doppio dell’iPod Classic!) con un interfaccia intuitiva completamente tattile. Alla Apple sembrava troppo complicato utilizzare uno stilo, così decisero di rimuovere anche quello. Tutto ciò che rimane, è un dispositivo con due bottoni e una superficie tattile. Ad interagire sarete voi, attraverso il polpastrello del vostro indice. Sfogliare la lista dei brani sarà come scorrere una gigantesca rotella del mouse. Una volta trovata la traccia che vi interessa, basterà passare il dito sopra di essa. Più semplice di così si muore! Giorgio Pomettini 3P Giulia – Sì, mi sembra proprio di sì. A questo punto mi viene naturale chiederle se sente la barriera fra lei, che riveste il ruolo di professore, e gli alunni. Prof. Pardo – Se per barriera si intende distanza generazionale, incomunicabilità o, peggio, indifferenza, allora non sento nessuna lontananza; ritengo invece necessario e doveroso mantenere sempre un certo distacco autorevole per non confondere e disorientare, facendo credere e pensare che il professore è un amico. Giulia – Mi sembra di capire che lei va in classe volentieri! Prof. Pardo – Sì, a patto che trovi l’aula! Intervista al professor Luigi Pardo Giulia - Professor Pardo Buongiorno Prof. Pardo - Buongiorno a te. Giulia - Inizio la nostra intervista, che potrà leggere poi sul giornale scolastico, con questa domanda: che pensa delle classi in cui insegna e che tipo di didattica svolge con i suoi alunni? Giulia – Che ne pensa invece dell’organizzazione scolastica? Prof. Pardo – Preferirei un assortimento maggiore di tramezzini oppure si potrebbe sperimentare una coco-co-docenza per ogni singolo studente. Chissà! Giulia – Lei è proprio simpatico. Comunque credo sia terminata la sua ora di buco. La rìngrazio per la disponibilità a rispondere alle domande. Buon lavoro! Prof. Pardo - Bisogna innanzitutto distinguere tra le classi del biennio e quelle del triennio: la difficoltà è Prof. Pardo – Grazie a te Giulia e buono studio. sostanziale e a volte può anche determinare la buona riuscita di un percorso scolastico con il proprio gruppo Giulia Reali 3M classe. Il rapporto con gli alunni è per un verso istituzionale, per l’altro improntato sulla lealtà delle relazioni umane derivanti dalla convivenza di tanti adolescenti che pian piano cercano di farsi strada nel mondo degli adulti. Quando svolgo una lezione in classe, per esperienza, cerco di fermarmi non appena rilevo segnali del tipo: sbadigli, brusii, ecc.; finora non sono arrivato a sentir russare…e credo che sia già un buon risultato! Non ti sembra? Sezione Plastica Sezione Pittorica ChiaroScuro 17 Spazioaperto La staffetta Gli studenti del 5M salutano e fanno gli in bocca al lupo agli studenti del 4M per gli esami della maturità mostrando la simulata della seconda prova con la staffetta. La vignetta è stata realizzata dall’alunna Emanuela Luzzi 4M I disegni della simulata sono di: Alessandro Stefanini e Francesco Di Benedetto Grafica dell’immagine: assistente tecnico Claudio Monni Curatore: docente Giorgio Calabria 18 ChiaroScuro Spazioaperto Cruciverba Orizzontali 1 …il cerchio perfetto 2 Teatro Romano 3 La usa il pittore 4 Il “creatore” dell’Ultima Cena 5 Sono i bronzi di? 6 Scultore e ideatore dei fregi dell’Acropoli di Atene 7 Pittura parietale caratterizzata da intonaco 8 Primo ordine architettonico nei captelli greci 9 Realizzò il Fregio di Beethoven 10 Dipinse cavalli e balerine Verticali 1 Il Giudizio rappresentato da Michelangelo nella Cappella Sistina 2 Pittura rurale 3 E’ di Eiffel 4 Il Salvator degli orologi 5 La Lisa…di Leonardo 6 Museo parigino 7 Tomba egiziana 8 Il…Monet delle Donne in giardino Classe 5P docente Katia Danese Sezione Moda ChiaroScuro 19 Diversodachi Non c’è niente che non si possa rendere naturale, non vi è niente di naturale che non si possa perdere. B. Pascal Sezione Plastica La porta fatata Se ricordo i giorni del terzo superiore…! La gioia è ancora grande Una passione e l’amore più profondo L’aiuto del Signore La fortuna è magia e colori Il suo sorriso Carina E’ vita Nel cassetto dei sogni c’è l’amore La porta fatata dei sogni si apre Di notte gli occhi contano le stelle La storia della nostra vita Un viaggio nel cassetto Massimo Esposito 5N 20 ChiaroScuro ChiaroScuro Buone prassi, belle storie Se qualcuno mi chiedesse quale sia il senso profondo del mio lavoro, quali siano le buone prassi da diffondere e comunicare, che cosa significhi integrare e includere la persone con diverse abilità nella comunità degli altri – i “semplicemente abili” – potrei dilungarmi senza limiti in un profluvio di affermazioni retoriche, buoni propositi e nobili sentimenti. Oppure potrei raccontare una storia. Molto probabilmente la più bella storia che mi sia capitata nella mia professione di insegnante specializzata nelle attività di sostegno. Era il settembre del 1997. Arrivavo, dopo un’esperienza poco soddisfacente in un altro istituto, nella mia nuova scuola: l’Istituto Statale d’Arte “Roma due” di Via del Frantoio. Non conoscevo nessuno, e, prima di suonare al citofono del cancello, mi soffermai a guardare intorno, quasi a voler rendere familiare un ambiente per me del tutto nuovo: su un gradino, fuori dal cancello, un ragazzo e una ragazza si baciavano prima di Diversodachi entrare a scuola. Non sapevo ancora che quello stesso gradino sarebbe stato, qualche anno dopo, scenario di un dramma intenso e coinvolgente, ma anche di una favola a lieto fine. Entrata nel giardino, venni accolta dal suo personale benvenuto. Quasi ci fossimo dato appuntamento, Massimo – questo è il suo nome – mi venne incontro, a braccetto di Fausto – il professor Cipriani – e mi fece un inatteso e graditissimo complimento. Non ci eravamo mai visti prima, eravamo due sconosciuti, eppure il nostro destino era compiuto: da quel momento saremmo stati amici, pur nel rispetto dei ruoli, e ci saremmo, nel tempo, sorpresi di quanto due persone tanto diverse possan sentirsi vicine. Per tutti i ragazzi, la scuola è uno spazio di transizione, un’ esperienza preparatoria, un ambiente protetto nel quale mettersi alla prova prima di lanciarsi, senza rete, nelle acrobazie dell’esistenza. Per i “nostri” ragazzi, per i “miei” ragazzi, di più: è un’occasione di crescita insostenibile, una palestra di vita stimolante e protettiva al tempo stesso, un tempo concesso alle famiglie per abituarsi all’idea che quel figlio tanto “bambino” abbia diritto di crescere anche lui. E alle volte il tempo che l’Istituzione prevede per questa transizione non basta. Forse noi siamo troppo protettivi o troppo esigenti: ma abbiamo imparato a fidarci anche delle nostre impressioni, delle nostre sensazioni, dei nostri sentimenti; ci siamo convinti che, quando sentiamo che il ragazzo non è pronto, sia nostro dovere concedergli più tempo, più spazio, ulteriori opportunità. So che rischio di essere considerata una “chioccia” iperprotettiva, ma ho la presunzione di credere che non sia così: io desidero che i ragazzi escano dalla scuola, che si inseriscano in un mondo di relazioni umane e professionali, Sezione lastica Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda che vivano la vita pienamente e senza riserve. Ma non voglio mandarli allo sbaragli! Faccio di tutto perché possano affrontare il “fuori” quando saranno realmente in grado di farlo. Nel 2002, Massimo aveva terminato il suo regolare corso di studi ed era stato licenziato. I suoi anni nell’Istituto erano stati pieni e intensi; i suoi doenti, in particolare Antonella Verderio, oltre a Cipriani, già citato, lo avevano seguito con passione e competenza e il ragazzo era cresciuto molto, con soddisfazione di tutti. Negli anni io avevo spesso scambiato con lui battute spiritose e riflessioni acute, costruendo una relazione che, fondandosi più sul “non detto” che sull’esplicito, aveva avuto caratteristiche di assoluta originalità, e forse di unicità. Le nostre vite reali non sono state turbate da questa relazione, ma, rispetto alla nostra quotidianità, questa storia, come dice Massimo, è stata “un’alta cosa”. Così io, pur essendo contenta del suo successo scolastico e orgogliosa della conclusione del suo percorso, sentivo che mancava qualcosa, che non avevo fatto tutto quello che avrei potuto fare per rendere Massimo pienamente autonomo, realizzato, sicuro del suo ruolo nel mondo. Poi mi dicevo che erano fisime, elucubrazioni mentali di una perfezionista, ansie eccessive e onnipotenti di un’inguaribile presuntuosa. M che volevo di più? Quello che c’era da fare era stato fatto, le risorse sono quelle che sono, bisogna accontentarsi… Qualche mese dopo, entrando a scuola, lo ritrovai lì, su quel gradino davanti al cancello. Lo zainetto al fianco, l’aria triste, mi salutò con un timido sorriso. “Nostalgia”, pensai, “è normale”. Lo salutai anch’io con affetto contenuto. Ma il giorno dopo era ancora su quel gradino. E il giorno successivo. E quello ancora dopo. Mi sedetti accanto a lui, in silenzio. Stemmo così un’oretta. Poi mi raccontò tutto il suo dolore e il suo disorientamento. Ma non era come avevo pensato. Non era nostalgia. La sua vita era stata travolta da una perdita insanabile, sconcolgente, devastante. Massimo aveva capito che gli mancava ancora qualcoa per farcela da solo. Aveva capito che qualcosa di spaventoso era rimasto fuori da quel cancello ed era necessario ricominciare per affrontare quei mostri e sconfiggerli. ChiaroScuro 21 Diversodachi Massimo era tornato nell’unico posto dal quale sapeva di poter ricominciare. E così ricominciammo. Furono determinanti il coinvolgimento della Preside e l’impegno di una bravissima collega, Gabriella Pastore, nonché l’adesione al progetto da parte della sorella del ragazzo. Poiché nel nostro Istituto sono presenti diversi indirizzi di studio, era possibile che si iscrivesse in un corso diverso da quello da lui frequentato e concluso in passato: e così fu fatto. Se gli anni del primo percorso scolastico furono quelli della semina e della fioritura, quelli che seguirono furono senz’altro quelli del ricco raccolto. Massimo si manifestò progressivamente in tutta la sua ricchezza e poliedricità. Eccelse nelle gare sportive e nelle attività di studio, ma soprattutto rivelò un eccezionale talento di attore e ballerino. Cominciò frequentando il nostro laboratorio teatrale, anche se ben presto gli angusti limiti della nostra attività di filodrammatici si rivelarono inadeguati alle sue risorse: fu notato da un talent scout, si inserì dapprima nel Teatro Gabrielli, poi incontrò Marco Baliani e infine approdò all’Argentina, con Albertazzi. Le sue tournèe ormai non si contano, i suoi viaggi all’estero sono la norma: recitare sta diventando, per lui, sempre più una cosa seria. Ma io non posso dimenticare l’esordio lontano dalle mura protettive e amiche dell’Istituto. La sera della prima al TeatroArgentina – si dava la Storia del Signor Bonaventura – ero in platea, nelle prime file, tanto emozionata per quell’esperienza realizzata senza di me, fuori dal nostro laboratorio, che quando Massimo uscì in scena, nel suo costume impeccabile, fui presa da una commozione incontenibile. Le lacrime mi uscivano senza freno ed ero diventata l’attrazione dei miei vicini di posto, che non sapevano darsi ragione di quella stravagante signora che singhiozzava senza pudore in mezzo ad una platea che, per la comicità irresistibile del testo, era piegata in due dal ridere. Nell’intervallo provai a spiegare, ma non credo di essere stata capita fino in fondo. E quest’anno, caro Massimo, terminerai il tuo secondo “tour” nel nostro Istituto. Questa volta sono contenta di salutarti, a nome mio e di tutta la scuola, perché so che il tempo che ci siamo dati ha portato i frutti che avevamo sperato. So che sei grande, ora, e che puoi farcela con le tue forze. Non dico “da solo”, perché da solo non sarai mia: noi saremo sempre accanto a te, idealmente, nei tuoi percorsi futuri. Abbiamo pensato anche al futuro, questa volta, e tu sai che ci aspettiamo da te che tu non ci deluda. Temo che sarò io, stavolta, a soffrire un po’ di nostalgia, ripensando ai panini nascosti in tasca quella volta che ai Musei Vaticani abbiamo condiviso un attacco di bulimia incontenibile, che ci ha portato ha sbocconcellarli di nascosto sotto lo sguardo impassibile delle guardie svizzere. O guardando la mia collezione di ricordi di quella ricorrenza che tu, in tutti questi anni, non hai mai dimenticato di festeggiare. docente Stefania Ciasco 22 ChiaroScuro Di me, me Chi sono? Cos’è che mi costringe a chiedermi: chi sono? Mi concentro e nello stomaco un laccio lega. Provo per un istante a distaccarmi da tutto quello che mi circonda ed è fuori di me ed è fuori da me. Mi sforzo, ma in questo vortice, sudo, aumentano e si abbassano pressioni. Rosso: il colore è rosso.E’ in corso una lotta. Via retropensieri! via da me! Restate lì fuori: non voglio confondermi ancora; non voglio perdermi in voi. Un tonfo: il vuoto. E’ un istante; è un attimo: lo sento. Nero: il colore è nero. Provo dolore in questo riaggomitolamento. Ne sento il volume; un volume soffice come di nuvola che deformante si liquefà e rifluisce giù e su nell’intero spazio di me. Rifluire. Mi accorgo spaventato che dentro di me è me. …e intanto crampi forti, forti …e flussi e fili. Chi sei? Me! Vedo qualcuno, percepisco qualcosa, sento la corposità nei flussi del mio volume: mia madre!, l’altalena!, il mio gatto! E poi anche tu!, anche voi! Come! Tutti pezzi di me. Non li afferro, eppure sono me! Siete me? Mi accompagnano. Scorrono. Fluisco e nel fluire aumentano altri e altri come lampi; per un attimo mi accecano. Tutto, tutto è in quell’istante e in quell’istante non è più nulla. Vuoto, zero. Puro: il colore è puro. Finalmente! Ecco che traspare di me, me docente Silvia Coletti Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda Diversodachi re tutti uguali, senza sforzi, senza lottare anche se probabilmente intuiamo che ne potrebbe valere la pena. Uno libro senza titolo Ma il giudizio che tutti hanno di noi, vale di più di quello Spesso ti capita di guardarti allo specchio e quello che abbiamo per noi stessi. Anticonformisti o no, quando arriva il momento si che vedi non ti piace. Questo succede perché a volte pretendi troppo da te stessa o perché vorresti essere cambia: voglio essere di più per me. Se gli occhi sono lo specchio dell’anima, sarebcome tutti ti vogliono o perché non vuoi sembrare quella che non sei a persone cui tieni molto e che non vuoi be anche ora che qualcuno la finisse di guardare solo la copertina, ma spendesse il suo tempo anche ad osperdere. servare quello specchio, sperando di non trovarlo rotAlla fine però resti sempre quella che sei. Viviamo in un mondo in cui essere normali signifi- to. Siamo tutti libri senza titolo, almeno fuori: il titolo si ca assomigliarsi tutti e se cerchi di uscire dalla massa trova dentro, ma nessuno ancora ha avuto il coraggio qualcuno punta il dito e ti chiama: “anticonformista del di leggerlo. cavolo”. Sonia Cecchetti 1N Non si capisce come mai, se Dio o la genetica permette che non ci siano nemmeno due esseri uguali fra loro sulla faccia della terra, noi dobbiamo per forza assomigliarci tutti. L’immagine è sempre la stessa: vestiti tutti uguali, diciamo le stesse cose, ridiamo anche di cose stupide. Il bisogno di stare in un gruppo per dire di non sentirsi soli, ma la verità è che siamo sempre soli e quindi non siamo altro che miliardi di solitudini che si toccano per sentirsi meno soli, abbandonando idee, gusti, opinioni, solo per essere uno tra mille.Sì, è vero, è più facile seguire la massa ed esse- Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda La mia immagine Laboratorio di documentazione fotografica Sezione Moda Io sono per me un’amica, ma non ne ho per me. Io voglio una mia amica. Io così sarò felice. Io parlo attraverso i segni e non mi vergogno. Io voglio insegnare i segni ai miei amici. Io parlo poco, preferisco insegnare i segni. Sono felice se le persone mie amiche imparano i segni. Io sono felice se ho sempre amici. Maria Cristina Alcantara 4A ChiaroScuro 23 Stanzedell’arte Il genio altro non è che la capacità di osservare la realtà da prospettive non ordinarie. W. James Sezione Pittorica mosaico Rebibbia Dove l’arte ci tocca Perfettamente d’accordo con gli artisti romantici, sostengo che l’arte sia emozione: la sua funzione è quella di andare spudoratamente a far leva sulle sensazioni. L’arte è…un quadro che fa rivivere un momento con la stessa intensità con cui è stato vissuto; è una scultura che rimanda a luoghi e sensazioni oramai vaghi nella memoria; è un’architettura che colpisce in tutta la sua grandezza, investendo il mare emotivo che ognuno ha insito in sé; ma è anche un film che provoca un pianto ingiustificato; un libro che con le sue parole si intrufola nel labirinto della tua mente; una melodia conforme a ciò che si è vissuto in quel preciso momento. Una melodia… Le luci sono spente, fuori piove ed è buio. Quelle note dolci accompagnano il gioco delle ombre e delle luci e si creano inevitabilmente situazioni analoghe. L’aria diventa densa e, ad un tratto, il freddo si dissolve lasciando un sempre più presente senso di torpore che culla…culla e…non ci sono più la quattro mura grigie, ma si staglia invece un immenso campo, contornato da alberi. Il profumo inebria la mente e quella melodia continua a trasportare, come un vento delicato, l’animo umano.Questa è arte: è l’essenza che abbraccia il mondo e lo rende magicamente reale. E’ tutto e d è niente, poiché è esperienza e ricerca, proiezione e immedesimazione,…. Così l’arte non è un oggetto, ma un’esperienza; per percepirla dobbiamo essere recettivi. Come scrive Josef Albers, “l’arte è là dove l’arte ci tocca”. Federica Scassillo 5N 24 ChiaroScuro ChiaroScuro Stanzedell’arte L’arte: un mezzo di comunicazione Definire il concetto di arte è un continuo dibattito di opinioni contrastanti: chiunque può essere considerato nel proprio mestiere un piccol artista. Da chi dipinge, chi scrive documenti nel proprio ufficio, persino chi imballa scartoffie. L’arte è un mezzo di comunicazione: vede il proprio artista tentare di replicare il proprio messaggio attraverso un preciso strumento; anche una propria parte del corpo può essere intesa come tale. La nostra immaginazione non conosce confini. Andando avanti con il tempo, possiamo notare come, in diversi ambiti, il flusso artistico continua ad evolversi. Quando inizialmente l’artista si limitava a versare pigmenti su delicati strati di cellulosa, fino ai più recenti progressi nel campo del design industriale, i mezzi di locomozione, gli edifici e quant’altro. Qualcuno ha pensato bene di stravolgere il concetto di base, decidere che la propria uniformità sarebbe presto cambiata, perfezionando ogni singolo aspetto, apprendendo dai propri insuccesi, ma, in generale, facendo progressi con un unico scopo: cercare di avvicinarsi il più possibile al risultato finale.Non esistono regole, come definisce l’espressionista tedesco Kirkner: “ …La pittura è l’arte che rappresenta su di un piano un fenomeno sensibile. Il mezzo della pittura è il colore, come fondo e linea. Il pittore trasforma in opera d’arte la concezione sensibile della sua esperienza. Non ci sono regole per questo. Le regole per l’opera singola si formano durante il lavoro.”. L’artista si trova alle prese con risorse e dimensioni limitate. Questo lo spinge ad adattare il più possibile la sua idea originaria al suo contenuto, cercando, il più possibile, di rendere l’opera fruibile da chiunque: aiutando ad afferrare il significato, cercando di riprodurre le stesse emozioni in quel preciso istante, insomma trasmettendo il suo messaggio. Un po’ come facciamo ora con i nuovi e ormai comuni mezzi di comunicazione: quante volte abbiamo “sgamato” i nostri parenti più giovani utilizzare un linguaggio segreto nei propri SMS? L’arte ha origine dal nostro modo di rapportarci, da quello che vediamo, che sentiamo, da come viviamo e come interpretiamo ciò che ci accade. Ognuno dovrebbe trarre ispirazione dalla propria percezione, senza limitarsi a trovare una spiegazione. Il pensiero astratto prevale quando è il nostro cuore a parlare. Giorgio Pomettini 3P Un punto di vista sull’arte Ogni autore nella sua arte descrive le sue emozioni. Qualunque tipo di arte sia: un dipinto, una poesia, una canzone, contiene ciò che vuole trasmettere il suo autore. La sua arte quindi rispecchia anche la sua personalità, quello che pensa, i suoi piaceri, le sue paure,…Nel caso delle canzoni infatti molto spesso sono autobiografiche e parlano di situazioni in cui si sono trovati gli stessi autori e le emozioni che hanno provato. Alcuni poeti del passato, invece, come Manzoni e Foscolo, vissero molto tempo nel pessimi- smo ma, chi in un modo, chi in un altro, riuscirono a superarlo. Nelle loro poesie sono infatti contenute storie che menzionano situazioni di scoraggiamento da parte dei personaggi, contengono le loro stesse emozioni, solo provate dai personaggi che rispecchiano un po’ della loro personalità. Un altro poeta che si trovò nel pessimismo fu Leopardi, lui però non riuscì mai a superarlo. Anche lui nelle sue poesie descrive le emozioni, come il dolore per la morte di Silvia, la ragazza che amava, ma che non riuscì mai a comunicare; la sua solitudine quando rimaneva da solo a studiare o dietro un cespuglio a scrivere poesie. Le sue poesie sono molto tristi: parlano di lui, del suo amore, della sua solitudine, dei suoi desideri e fanno capire la sua debolezza nell’affrontare le situazioni della vita. Un altro artista che parla molto di sé nella sua arte è Van Gogh. Egli ebbe una vita difficile che lo portò alla depressione. Anche lui visse nella solitudine e non riuscendo a comunicare agli altri ciò che provava, lo faceva attraverso le sue opere. Van Gogh trovava se stesso parlando attraverso l’arte, descriveva il suo stato d’animo tramite le sue pennellate inquiete, i suoi colori accesi e attraverso i suoi ritratti e autoritratti, che si sono rivelati un’operazione di indagine psicologica di se stesso. Sono proprio le sue tele che fanno capire come ogni particolare possa far capire quello che si vuole trasmettere. Van Gogh rendeva i suoi quadri angoscianti anche solo con l’uso del colore e della linea, facendo ben capire lo stato d’animo in cui si trovava. Molti pittori, riescono perfino a dipingere in modo tale che si capisca cosa stanno provando i personaggi del quadro, così che la scena dipinta sia tanto realistica da potersi immedesimare meglio in ciò che si vuole trasmettere. Questo si nota nell’Urlo di Munch e nella Guernica di Picasso, che racconta la caduta di una bomba, durante la seconda guerra mondiale in Spagna e il dolore provato dalla popolazione, descritto bene dai personaggi dipinti. E’ perciò impossibile creare qualcosa che non rispecchi le nostre emozioni o ciò che vogliamo trasmettere, sarebbe vuota, senza significato. E’ come se ci chiedessero di colorare un foglio del nostro colore preferito e noi, invece, lo facessimo di un colore qualsiasi, tanto per colorarlo. Il risultato sarebbe qualcosa che non ci appartiene, come se non lo avessimo fatto noi, qualcosa a cui non sappiamo dare spiegazione perché non lo abbiamo fatto con sentimento. E’ bello invece, che l’opera rispecchi l’autore e ciò che vuole dire, perché l’arte possa avere un significato e non sia qualcosa tratto dal nulla. Anche io, a volte, quando non riesco a dire qualcosa, uso l’arte. A volte è più facile comunicare così che a parole ed è come se ci si sfogasse di tutto quello che si vorrebbe dire. Perciò anche io in quello che faccio, qualsiasi cosa, cerco sempre di far rispecchiare ciò che sono e di non fare nulla di vuoto e senza significato. Micaela Pizzacalla 1P ChiaroScuro 25 Stanzedell’arte “Essenza/Linee di forza” Analisi critica In linea con alcune tra le più significative realizzazioni del design europeo di matrice razionalista, l’arredo esposto è il risultato di un percorso didattico di ricerca-azione che dallo studio e dalla riproduzione, nei precedenti anni scolastici, di opere di Rietveld ha condotto quest’anno all’elaborazione di un prototipo originale e innovativo. Il pregio di questa operazione sta principalmente nell’aver guidato gli studenti in un “ripensamento” degli esempi di partenza attraverso una sin- Hill House 1903 tesi estrema di forme, linee, rapporti proporzionali e soluzioni tecniche. C.R.Mackintosh La sedia s’impone, infatti, nella sua essenzialità, per la coerenza formale e la bellezza, ma anche per la sua funzionalità. I riferimenti culturali di partenza sono importanti ed evidenti: Mackintosh e soprattutto Rietveld che con le loro “strutture-sculture” hanno rivoluzionato nei primi decenni del Novecento la concezione dell’arredo realizzando una sintesi totalmente innovativa di valori estetici, tecnici e pratici. Dello scozzese Mackintosh, definito da Mies van der Rohe un “purificatore dell’architettura” nell’epoca immediatamente precedente il Movimento Moderno, è stata ripresa e trattata, come elemento unico e continuo, Sedia Zig-Zag l’idea dello schienale alto e imponente visibile negli arredi della “Hill 1934 G.T.Rietveld House” del 1903. Da Rietveld derivano evidentemente gli spunti più importanti relativi alla sintesi formale e all’equilibrio strutturale tra spinte e controspinte presenti già nella sedia “Rosso/Blu”del 1918 e poi in “Zig-zag” del 1934. In particolare è “Zig-Zag” ad aver ispirato la realizzazione di questo prototipo basato su una felice articolazione di linee di forza orizzontali, verticali e oblique nella quale l’elemento triangolare, inserito sotto il piano della seduta, funge da controspinta. Alla luce di queste considerazioni il valore culturale e didattico dell’opera esposta è evidente, ma è ancor più chiaro se per “progetto” s’intende, secondo un’illuminata definizione di G.C.Argan, l’impegno a ritrovare in ogni più piccolo intervento una sintassi del mondo e se per “destino” s’intende non solo un generico o fatale procedere, ma la capacità di determinare il futuro a partire dallo studio passato e dalla capacità di agire nel presente. E di questa capacità, “Essenza/Linee di forza” è senza dubbio un esempio. Descrizione formale e strutturale Un imponente elemento verticale funge da spalliera e, prima di intersecarsi con il piano orizzontale della seduta, s’inclina e prosegue verso il basso per assumere una funzione di supporto alla struttura e divenire il perno dell’equilibrio statico. Il tratto obliquo della spalliera è inserito in un’asola realizzata nella seduta ed è bloccato lateralmente da un perno in ottone. Un segmento di questo piano obliquo emerge dalla seduta ed ha un’estensione ed un’inclinazione appositamente studiate per rendere la sedia confortevole e risponde quindi a quel presupposto fondamentale di corrispondenza tra forma e funzione che sta alla base del design moderno. Nell’angolo anteriore che si viene a creare sotto il piano orizzontale della seduta, è inserito un elemento triangolare che funge da controspinta e rende solida la struttura riprendendo il motivo base della sedia “Zig-Zag” di Rietveld. Il piano orizzontale della seduta si spezza, una volta oltrepassata l’asola in cui è inserito il tratto obliquo della spalliera, e scende in verticale descrivendo in tal modo un motivo ad “elle” che bilancia la linea spezzata dell’alta spalliera e il suo sviluppo in diagonale verso il basso. Il prototipo è stato realizzato in multistrato trattato a cera e presenta pertanto, nelle superfici, nei dettagli e negli incastri, il carattere non rifinito che è tipico di ogni lavorazione artigianale. Per un’eventuale produzione in serie è stato ipotizzato l’utilizzo del legno massello. docente Elena Andreozzi 26 ChiaroScuro Sedia Rosso/blu 1918 G.T.Rietveld Sedia Steltman 1963 G.T.Rietveld Sedia progettata e realizzata nel 2006 da: Riccardo Meneguole e Simone Presto (5M), assistenti tecnici Carmelo Viglianisi e Claudio Monni, docenti Marino Colonna e Cinzia Villanucci. Stanzedell’arte Il senso dell’arte Pochi percepiscono ciò che un’opera d’arte e il suo artista vogliono trasmettere. Se consideriamo fondamentale questo aspetto, riteniamo che l’arte sia un mezzo di comunicazione vero e proprio. Penso che l’arte si divida in due parti: quello che vediamo, osserviamo per esempio in un quadro, la sua composizione, l’uso dei colori, la tecnica e poi quello che non si cela ad occhio nudo, che non tutti riescono a vedere; è questa la parte più nascosta che però ci può dare una vaga idea dell’artista, delle sue passioni, dei suoi sentimenti. Non tutti gli artisti sono in grado di trasmettere le proprie sensazioni attraverso una loro opera, ma sta proprio in questo l’abilità: realizzare un lavoro in modo tale che un osservatore possa immedesimarsi, provare nuove emozioni o riviverne altre che già conosce. Tuttavia, è proprio perché l’arte fa provare emozioni, e non a tutti in egual modo, che può essere interpretata da ognuno in modo diverso ed è in questo che si può definire comunicazione. Certo, non tutti possiamo vantare l’idea di essere artisti del calibro di Michelangelo, Raffaello o Leonardo, ma tutti possiamo essere artisti in quanto cerchiamo di comunicare attraverso un’opera parte di noi stessi. L’arte non è solo fatta di tela e colori; l’arte può mostrarsi in qualsiasi forma, che sia una musica, un paesaggio, una ricetta. L’arte è tutto ciò in cui si dà se stessi, la fatica, il sudore, la propria anima. E’ lo specchio che rappresenta i tuoi pensieri; è un modo utile per tirarli fuori e farli conoscere agli altri. Valerio Di Vincenzo 4P I colori dell’arte L’arte per molte persone è qualcosa di superfluo, perché non si percepisce quello che un mosaico o una tela racchiude in ogni sfumatura di colore. Ogni artista, ogni persona, che sappia apprezzare l’arte, riesce a percepire quello che l’opera vuole trasmettere. Sa capire con quale stato d’animo e con quanta intensità l’artista crea le sue opere. L’arte rapisce tutti i tuoi sensi, ti trasporta all’interno dell’opera; è qualcosa che riesce ad ipnotizzare e anche a farti sentire meglio. Anche tu, percorrendo con lo sguardo l’armonia dei dettagli, riesci a prendere parte ad essa e ti senti in armonia con ciò che ti circonda. L’arte pur diffondendo questa magia, è qualcosa di soggettivo, ovvero ogni persona può provare una sensazione e un’emozione diversa davanti ad un’opera. Anche per questo l’arte ti rapisce, per la capacità che ha di sprigionare diverse sensazioni allo stesso tempo;per quello che suscita in ognuno di noi. L’arte ci circonda; non è solo un quadro o una scultura, può essere un palazzo, un quartiere, anche uno scarabocchio di un bambino, l’armonia delle note di un spartito musicale, i punti e le virgole che fungono da pausa nei nostri scritti. Per me tutto questo ed altro ancora può essere arte; diversa con le sue mille sfaccettature di una vetrata di una chiesa, più tasselli di un mosaico ed è anche per questo che ho scelto questa scuola: per le varie sfaccettature artistiche che mi offre. Martina Battistini 2N Contemporaneo nero: cronaca giovanile E pensare che un tempo era azzurra. Da bambina il mio sorriso riusciva a sprigionare le più vaste gamme dell’oceano. Intelligente, solare, radiosa…spensierata… Ero brillante, oh sì, lo sono stata! Sembra un ricordo dolorosamente remoto ormai il tempo in cui la mia aura era fresca e leggera, limpida e pura. La forza del fiume scorreva nelle mie vene, il fascino delle cascate accompagnava i miei movimenti, la tranquillità dei laghi cullava il mio sorriso e la bellezza del mare risplendeva nei miei occhi vispi, sempre attenti. Quegli occhi…quegli occhi che si sono spenti troppo presto. L’azzurro è diventato blu, il blu grigio, il grigio nero. Io sono il nero. Il nero in tutta la sua oppressione, il nero mistico e cattivo; il nero solitario e altezzoso. Superbo nero, che crede di non avere bisogno di alcun altro colore da supporto… Superbo nero, che ama la commiserazione, che prova gioia solo nel dolore altrui… Quel nero che ostacola…Sì. La velatura grigia che mi ha coperto a poco a poco è diventata un drappo pesante di profumata seta nera che mi avvolge…mi stringe…mi soffoca dolcemente. “Sono uno di quei derelitti condannati all’eterno riso ma che non sanno più sorridere…” Questo sono diventata. Dalla fiera gazzella che ero, dalla libera rondine, dall’elegante cigno, mi sono ritrovata ad essere un’infimo serpente, un sinistro ragno, un cieco pipistrello… Eppure nella mia mente risuonava il dolce canto dell’azzurro usignolo, ora invece corvi neri gracchiano continuamente nel mio cervello…forte…sempre più forte…e i miei pensieri diventano solo un’eco lontano che si mischia a quel maledetto rumore assordante… Quel rumore che, rassegnata, comincio anche ad apprezzare. Tuttavia, a volte, in un fugace riflesso, negli occhi di un altro, nello specchio dell’acqua, mi sembra di scorgere un timido bagliore, una fioca luce azzurrina presenta ma…nascosta, impaurita. Una luce che non ha la forza di uscire…ma no, non può riuscirci! E’ solo un’ombra, un triste ricordo di ciò che sono stata e che non sarò mai più che torna a tormentarmi, a ricordarmi che sono imprigionata in una coltre di fumo nero, fumo che mi ha tagliato le ali, che mi ha chiuso gli occhi e spento il cuore…è un avvoltoio che attentamente osserva la mia lenta morte con famelico appetito. Federica Scassillo 5N ChiaroScuro 27 Angolidimemoria Sii quello che vorresti che il mondo fosse.Ghandi Sezione Pittorica - Vetrata Memoria è futuro Il viaggio ad Auschwitz dell’11, 12 e 13 novembre 2007, organizzato in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Educative e Scolastiche del Comune di Roma, ha costituito una tappa importante del nostro progetto per ridare vita alla memoria collettiva . Nel freddo di Birkenau, quattro alunne del nostro Istituto, Giada Talocci, Ilaria Moscaroli, Eleonora Buono e Louisiana Campaiola, si impegnarono a dare voce alle vittime della Shoah, a documentarsi per testimoniare, nella speranza di contribuire alla lotta per sconfiggere discriminazioni e intolleranze. Raccolsi con emozione le frasi pronunciate dalle mie giovani compagne di viaggio nei luoghi dello sterminio nazista. Ilaria Moscaroli (III A): “ Ad Auschwitz sono penetrata nell’orrore dell’inferno; è stato un privilegio raccogliere la testimonianza dei sopravvissuti, di chi quell’inferno l’ha vissuto e oggi lo ricorda con dolore perché non si ripeta mai più”. Giada Talocci (III A): “ Ho vissuto un’esperienza che non potrò mai dimenticare, che mi ha toccato nel profondo, che sicuramente mi farà crescere e che farà di me una persona migliore. Testimonierò per costruire il nostro futuro”. Eleonora Buono (IV N): “ Il tempo scorre, ma il passato rimane e ci parla per non dimenticare, per non farci divenire indifferenti”. Louisiana Campaiola (IV N):” Dimenticare è morire, ricordare è vivere “. Con l’impegno seguito al viaggio ad Auschwitz, Ilaria, Giada, Eleonora e Louisiana hanno rappresentato la nostra Scuola con senso di responsabilità e serietà, dimostrando che i giovani sanno essere i migliori interpreti della libertà. Hanno trasmesso ai loro compagni il messaggio raccolto a Birkenau, affermando il loro impegno a difesa della dignità dell’uomo anche attraverso la realizzazione di opere artistiche esposte al Vittoriano in occasione della mostra conclusiva del Progetto “Noi ricordiamo”. Per queste ragazze, che sono divenute giovani testimoni della Shoah, dopo il viaggio della Memoria, Pietro Terracina, Shlomo Venezia, Sami Modiano non sono solo i sopravvissuti al campo di sterminio di Auschwitz, ma fratelli, che con dolcezza e umanità sono entrati nelle loro vite per non uscirne mai più. Grazie alla pratica attiva della memoria, gli studenti hanno capito che ricordare non è un mero esercizio teorico, ma uno strumento importante per costruire un futuro migliore. docente Giovanna Nosarti 28 ChiaroScuro ChiaroScuro Angolidimemoria In visita all’Inferno E’ impossibile comprendere… nè tanto meno si potrà mai dare una spiegazione a ciò che nella storia è ormai impresso con il nome di Shoah… il nome di una tragedia senza precedenti. Eppure entrando ad Auschwitz Birkenau ho tentato, ho tentato con ogni mia singola parte, con tutta la mia persona, con tutta la mia anima, di capire… Difficili da esporre perfino le sensazioni, le vibrazioni dell’anima difficili da descrivere… perché si evolvono in continuazione, cambiano volto, colore… come abili trasformisti, che conoscono bene l’inganno. Auschwitz 2-Birkenau. Desolazione. Entri e vedi che di fronte a te c’è ben poco; un’immensa distesa di neve… poi giri lo sguardo e quel bianco inesistente è interrotto da qualche baracca ormai vuota…ma forse no del tutto… Poi cambi, ma inizi a cambiare dentro. Non ti senti più solo in quel campo…inizi a riflettere e pensi che stai camminando su una fosa comune… Ti fermi e provi angoscia, nel calpestare il corpo o l’anima di chi non ce l’ha fatta, di chi è andato a morire pechè qualcuno aveva deciso che per loro così doveva andare. Riprendi a camminare, senti il freddo sul viso. Le lacrime non scendono, non possono! Sconcertato il cuore batte più lentamente, non se la sente di ibtromettersi i quel silenzio fin troppo rumoroso… Abbandoni Birkenau…arrivi ad Auschwitz 1. La luce va scemando, il sole abbandona la scena…non è più il protagonista, decide di prendere il rulo della comparsa…ormai non può rimanere… otlre la soglia dell’Inferno non può splendere il sole. Un cancello bizzarro penso io… ”Il Lavoro Rende Liberi”… Poi sono dentro, ci sono…e penso alla mia vita, a quanto possa significare quella parola in un posto del genere… Qualche istante nell camera a gas…un fiore è lì a ricordare qualcuno perso nel vento… Entro nelle baracche. I vestiti, gli occhiali, le valigie…tutto è ancora lì, come se ogni oggetto stesse ancora aspettando qualcuno che torni a recuperarlo…un qualcuno che però…non tornerà mai. Davanti i miei occhi una motagna di scarpe, scolorite ormai dal tempo…scarpe consumate…vissute… Ma il mio sguardo cade al centro del mucchio. Un una scarpa messa lì per caso…o forse no… Il tacco ha resistito…quel laccato rosso vivo spicca nel grigiore di un dolore che lacera gli animi, come a gridare al mondo: “Io resisto ancora”. E forse sul serio ha resistito. Quando esco dalla baracca è ormai buio…intorno a me schierati come soldati gli edifici della morte…di fronte il cancello…ancora quella fase che attira la mia attenzione: “Il Lavoro Rende Liberi” …a troppe persone in quella fabbrica di dolore è stata negata la libertà. La sensazione è inquietante…ho paura di fare anche un solo paso in avanti…timore nel varcare la soglia dell’Inferno, come se qualcosa mi trattenesse ancora lì. Poi il pensiero della vita riaffiora, come se coloro a cui la vita in quel luogo è stata negata, mi chiedessero di viverla almeno in parte per loro…per il ricordo, per la memoria… Così in silenzio, faccio quel passo. Non tornerò indietro…almeno non ora. Ilaria Moscaroli 4A Le 3D: Difesa, Dignità, Donna Durante il corso dei secoli la donna ha dovuto sempre lottare per ottenere la sua indipendenza. Questa lotta è stata una delle battaglie più difficili da affrontare, perché alla base di questo contrasto c’è sempre stato il pregiudizio. L’uomo si è sempre creduto superiore sia a livello fisico che mentale, anche se io credo in quel modo di dire: “Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna”. Non si tratta di superiorità, ma di diverse capacità e inclinazioni. Tra le varie manifestazioni ricordiamo tutti gli anni quella dell’8 marzo, che ha radici lontane. La data simbolo è legata all’incendio divampato in un opicificio di Chicago nel 1908, occupato nel corso di uno sciopero da 129 operaie tessili che morirono bruciate vive. L’anno prima Clara Zetkin dirigente del movimento operaio tedesco organizzava con Rosa Luxemburg la prima conferenza internazionale della donna. Visita presso Birkenau - Auschwitz Progetto sulla memoria ChiaroScuro 29 Angolidimemoria Purtroppo oggi l’8 marzo è celebrato superficialmente da molte donne, che lo vivono più come una festa di libertà dove concedersi divertimento. Dovremmo imparare proprio noi donne a riflettere su una data così importante, perché in parte la nostra dignità è dovuta all’atto di coraggio delle donne di quel primo 8 marzo. Loro diedero la vita per affermare i propri diritti, per ottenere la giusta dignità di donne. Qualcuno anni fa cantava “…siamo donne, oltre le gambe c’è di più…”: non siamo solo belle statuine, come la televisione e certe riviste impongono, ma abbiamo anche un cervello, tutto sta nel cercare di dimostrarlo un po’ di più senza lasciarci trascinare dalle mode o da certe mentalità. Siamo in grado di dare la vita, di portarla dentro di noi, di lavorare e di essere autonome. La forza di un individuo non corrrisponde solo a quella fisica, ma soprattutto a quella mentale. Tuttavia la lotta per affermare questi concetti è ancora lunga, ma deve partire prima ancora dalle donne stesse, sono loro le prime che devono dare un esempio. E’ vero che anche le donne ora riescono in parte a fare carriera in quegli ambiti lavorativi dove prima si affermava esclusivamente l’uomo, tuttavia non è ancora attribuito il giusto valore alle capacità femminili. Non tollero gli abusi sessuali da parte di alcuni uomini sulle donne, che pensano solo a soddisfare i propri istinti animaleschi, non considerando né la violenza fisica e né tantomeno quella psicologica e morale a cui una donna è costretta poi a vivere e a convivere per il resto della propria vita. Le leggi per la tutela femminile dovrebbero essere più severe, basterebbe applicarle: va severamente punito colui che abusa di un essere umano. Le donne sono persone e come tali vanno rispettate, hanno una loro dignità; nessuno ha il diritto di abusarne né fisicamente né psicologicamente. Sono fiduciosa nel domani e ritengo che saremo in grado tutti insieme di migliorare ancora la nostra dignità e difesa della vita. Veronica Sgaramella 5M Nell’arte un po’ di te. L’arte per essere definita tale richiede in sé l’anima e il sentimento dell’artista; questo pensiero è il risultato di anni di studio e di idee contrastanti. Se confrontiamo il moderno pensiero sull’arte con quello antico, prendendo in considerazione per esempio l’idea “artistica” di Platone, noteremo quanto con il passare degli anni le idee si siano modificate: siamo più liberi di esprimerci. L’arte in quanto rappresentazione dell’anima è facilmente influenzata dai fenomeni in fieri di ogni tipo: dalla situazione familiare fino ad arrivare alla politica. Se prendiamo in esame l’idea platonica sull’arte possiamo vedere che: secondo Platone, l’arte, in quanto rappresentazione dell’anima, non è realtà, perché le arti (visive e poetiche) sono una copia della copia del mon- 30 ChiaroScuro do delle idee. Io penso, a tal proposito, che il più delle volte l’arte non rappresenti le mie emozioni e sensazioni, ma che ugualmente è un ottimo metodo di comunicazione, soprattutto di conoscenza. Rifletto sul fatto che la conoscenza di una persona non si basa solamente sulla sua cultura, ma piuttosto sulle capacità dell’individuo di accettare e capire l’idea dell’altro. Spesso guardando un dipinto, leggendo una poesia, ascoltano un brano musicale, non ci rendiamo conto del sentimento e dell’enorme gesto di apertura che l’artista ha compiuto nei confronti del suo pubblico. Penso dunque che l’artista non vada ammirato solo ed esclusivamente per la sua opera, ma per il coraggio di espressione e credo che ogni artista vada considerato come un modello, specialmente in questi tempi in cui non è semplice trovare la forza di esprimersi. Giorgia Genovesi 3M Il rumore assordante di una lotta silenziosa Per il Progetto “Donne coraggiose” ci siamo documentati su una donna di straordinario valore: Aung San Suu Kyi. Premio Nobel per la pace nel 1991, Aung San Suu Kyi è da anni un grande simbolo di lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani, nonché leader dell’opposizione democratica birmana. La vita di questa donna è caratterizzata da una libertà di pensiero smisurata, che le ha conquistato il favore pubblico, soprattutto fra i più deboli, che l’hanno pian piano innalzata a nuovo simbolo di una guerra non violenta, bandiera da seguire contro la lotta all’oppressione e alla censura, che sono pratiche fin troppo diffuse nel suo Paese. La sincerità del suo messaggio di pace, che si leva con dolcezza e fermezza, è un esempio per tutto il mondo. La Birmania, nonostante sia precipitata ormai da anni nella totale povertà e nelle malattie più terribili, con un sistema sanitario che l’Organizzazione mondiale della Sanità colloca all’ultimo posto (il centonovantesimo, su 190 Paesi presi in considerazione), rimane la sua “lieta dimora” perché è la dimora del suo popolo sofferente. Aung San Suu Kyi denuncia con fermezza da anni le penose condizioni di miseria della popolazione birmana, privata dei diritti più elementari come l’istruzione e la democrazia, ponendosi davanti ai potenti come simbolo della speranza, in virtù di una forza non dovuta alle armi. Nell’elaborare i suoi ideali pacifisti è stata influenzata dagli insegnamenti di Gandhi e dall’ esempio del suo stesso padre (uno dei principali esponenti politici birmani, assassinato quando lei aveva solo due anni), modelli di riferimento politico che ha sfruttato pienamente per parlare di democrazia, di non violenza e di assoluto rispetto dei diritti umani, ma anche di paura, di corruzione e di violenza del potere. Angolidimemoria Ha affermato più volte di non farsi mai influenzare dalla paura e ha dimostrato che anche il silenzio può essere assordante, soprattutto quello che, come nel suo caso, segue alla perdita della libertà personale e alla violazione dei diritti umani. Nell’89 il regime la recluse nella sua casa di Rangoon, dove continua ancora oggi a vivere agli arresti domiciliari, costrettavi “a singhiozzo” da circa 20 anni, con gravi problemi di salute. Nonostante le forti pressioni rivolte alle autorità del Myanmar (attuale Birmania) da parte degli Stati Uniti e dell’Unione Europea per la revoca dell’arresto, le date dell’annunciato rilascio vengono continuamente posticipate. Gandiana convinta, si impose sulla scena nazionale, contrapponendosi alla dittatura instaurata dall’attuale Slorc (Consiglio di Stato per la restaurazione della legge e dell’ordine), come leader di un movimento non violento. Nell’ ’88 fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, che ottenne, due anni dopo, l’80% dei seggi alle elezioni legislative, ma la giunta militare rifiutò di convalidare i risultati. Poco tempo dopo ritornò agli arresti domiciliari, con la concessione di poter lasciare il Paese, ma non lo fece; anche al marito Michael Aris e ai figli Alexander e Kim, era proibito farle visita. Non le fu permesso di vedere il marito neanche quando a quest’ultimo fu diagnosticato un tumore, che lo uccise dopo due anni. Nel 1992, usò i soldi (1,3 milioni di dollari) del premio Nobel per la pace, da lei vinto l’anno precedente, per un progetto di sanità ed istruzione a favore del popolo birmano; prima del Nobel aveva ricevuto anche i premi Rafto e Sakharov. Per il suo impegno a favore dei diritti umani e della pace il 6 maggio 2008 il Congresso degli Stati Uniti le ha conferito la sua massima onorificenza: la Medaglia d’Onore ; inoltre alcune prestigiose università europee e americane hanno voluto assegnarle delle lauree honoris causa. Il premier inglese Gordon Brown nel suo volume “Eight Portraits” ha descritto la nostra leader pacifista come un modello di coraggio civico per la libertà. Questa donna tenace e coraggiosa, che ha subito per via delle sue idee profonde umiliazioni, come l’arresto e l’allontanamento dalla famiglia, senza mai arrendersi alla violenza e alla cieca arroganza del potere, è convinta che “non è mai facile convincere della saggezza di un cambiamento pacifico chi ha conquistato il potere con la forza” e che “l’individuo, privato di ogni altro sostegno tranne quello del proprio spirito, sonda non solo gli abissi in cui può precipitare, ma fortunatamente anche le cime a cui, a caro prezzo, può assurgere.” Valentina Orlandi 3P docente Giovanna Nosarti Progetto Donne Coraggiose: Profili di donne che credono nella Libertà. «Cosa rende una donna coraggiosa?» È questa la domanda che ci siamo poste quando abbiamo aderito al progetto. Rispondere è stato instintivo e trovare qualcuno a cui ispirarsi è stato immediato: per noi studentesse del corso di Architettura del Liceo Artistico “Roma 2” il riferimento non poteva che essere Gae Aulenti. «Una donna architetto, che non ha solo il merito di essersi affermata in un mondo prettamente maschile, ma che ne suoi progetti lascia trapelare il coraggio delle sue decisioni.» Gaetana (da qui deriva il nome d’arte Gae) Aulenti nasce a Palazzolo dello Stella nelle vicinanze di Udine,il 4 dicembre 1927 e oggi è un architetto e designer italiano di fama mondiale. Lavora infatti in un’ estensiva gamma di aree creative fra cui il design industriale, l’interior design e l’urbanistica. La sua carriera inizia in seguito alla laurea in architettura conseguita al Politecnico di Milano nel 1953. Da sottolineare per comprendere l’influenze sul pensiero di Gae Aulenti è la sua formazione come architetto nella Milano degli anni cinquanta, dove l’architettura italiana è impegnata in quella ricerca storico culturale di recupero dei valori architettonici del passato e dell’ambiente costruito esistente. Progetto Donne coraggiose ChiaroScuro 31 Angolidimemoria Queste espressioni architettoniche avevano avuto prima lo sviluppo del neorealismo e poi si concretizzeranno sulla fine, appunto, degli anni Cinquanta nella nuova corrente del Neoliberty. La Aulenti fa parte di questo percorso che si pone come reazione al razionalismo. Per affrontare questo progetto abbiano poi cercato di estrapolare, dai suoi lavori e da testi a nostra disposizione, il suo pensiero. «L’architettura nella quale mi piacerebbe riconoscermi – dice Aulenti - deriva da tre capacità fondamentali di ordine estetico e non morale. La prima capacità è quella analitica nel senso che dobbiamo saper riconoscere la continuità delle tracce urbane e geografiche sia concettuali che fisiche, come essenze specifiche dell’architettura, così che sia sempre possibile anteporre la logica strutturale di un edificio nella sua apparenza. Molte volte queste tracce sono nascoste e sotterranee e metterle in evidenza è lavoro lungo e paziente. Occorre saper analizzare, riconoscere e quindi fondare la differenza di ogni architettura; cioè rendere specifiche le singole soluzioni mettendole sempre in relazione alle condizioni del contesto. La seconda capacità è quella sintetica, cioè quella di sapere operare le sintesi necessarie a rendere prioritari ed evidenti i principi dell’architettura, in grado di contenere qualsiasi variazione e cercando di allontanare così dal progetto quel tanto di arbitrario che esso naturalmente possiede. La terza capacità è quella profetica, propria degli artisti, di poeti, degli inventori. Se la tradizione di una cultura non è qualche cosa che si eredita passivamente, ma qualche cosa che si costruisce ogni giorno, questa terza capacità non può che essere un’aspirazione. Un’aspirazione a creare un effetto di continuità della cultura, a costruire le sue forme e le sue figure, con un contenuto personale e contemporaneo.» A proposito della sua vita passata dice: «Ne ho viste davvero di tutti i colori». Poi, lontana dalla snobberia di un Niemeyer centenario che si dichiara «Solo sessantenne», aggiunge: «A questi miei 80 anni ci penso in continuazione, è diventato un chiodo fisso». La speranza più grande? «Mi auguro che la testa tenga.» Gae Aulenti l’architetto che conquistò Parigi con la Gare d’Orsay. L’architetto Aulenti (“Gae è il diminutivo di Gaetana,un nome che fu imposto da una nonna terribile,ma in casa sono sempre stata Gae”) è stata una della prime donne “Vincenti” in un mondo molto maschile (“Della mia generazione eravamo solo in due:io e Cini Boeri”) dove «la misoginia esiste ancora, ma fortunatamente sono aumentate le donne». L’arma vincente di Gae è la volontà e la determinazione, e anche se compie in campo Architettonico scelte molto audaci non ama le architetture troppo astratte, ma quelle che comunicano col pubblico. Dallo studio di alcune delle opere di Gae Aulenti siamo giunte all’elaborazione di un prodotto finale. In quest’ultimo abbiamo cercato di riprendere gli elementi 32 ChiaroScuro che, ai nostri occhi, appaiono fondamentali e li abbiamo riproposti attraverso una nuova e personale chiave di lettura arrivando così ad un prodotto che rispecchiasse il pensiero del noto architetto. Mantenendo al centro dell’idea progettuale i tratti fondamentali delle opere di Gae Aulenti, da noi eletta a «Donna Coraggiosa», abbiamo elaborato una proposta compositiva congruente alla linea che ha caratterizzato, nell’ambito del design, le opere dell’architetto italiano. Il progetto da noi realizzato nelle discipline “progettazione e laboratorio” presenta, infatti, delle scelte formali e delle soluzioni funzionali che riflettono gli elementi di novità dell’artista. Il nostro piccolo tavolo è destinato ad occupare uno spazio generico, disponibile a molteplici interpretazioni distributive. Esso è caratterizzato da una scelta di materiali (acciaio e vetro) che possa esaltare i giochi di trasparenza in un qualsiasi spazio di interpretazioni vecchie o moderne. Il manufatto è stato realizzato in un linguaggio ed una tecnologia semplice, ma assolutamente vicina alla ricerca figurativa manifestata nelle opere di Gae Aulenti. Il progetto si basa su un telaio strutturale in metallo, sormontato da un semplice piano trasparente di forma quadrata e la realizzazione di un modello, in scala 1:5, pone in primo piano nel soggetto gli elementi innovativi pur conservandone la semplicità. A cura delle alunne del VM: Jessica Garcia, Martina Puccio, Gaia Romano e Veronica Sgaramella Si ringraziano i docenti: Giorgio Calabria, Antonio Celli, Marino Colonna e Rosaria Venuto Fonti: www.gaeaulenti.it, Corriere della Sera, articolo del 30/11/2007 e “Gae Aulenti” della casa editrice Motta Architettura. Progetto Donne coraggiose Angolidimemoria LIBERTÉ, ÉGALITÉ, FRATERNITÉ L’insonnia dei giusti La recente tragedia abruzzese ci ha, per l’ennesima volta, ricordato come nel nostro Paese le conseguenze delle catastrofi naturali siano rese ancor più drammatiche dall’inettitudine, dall’approssimazione o, peggio, dal malaffare. Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. Ciò che questa volta mi ha scandalizzato, però, è stato il commento (per quanto mi è capitato di sentire, unanime) da parte di tutti coloro che a vario titolo sono stati interpellati sulla vicenda: politici, sociologi, giornalisti o tecnici che fossero, tutti hanno sostenuto che la responsabilità dell’inadeguatezza delle costruzioni, dichiarate antisismiche senza esserlo, sarebbe della mancanza di controlli adeguati. In assenza di controlli, infatti, pare che ormai sia accettato da tutti come ineluttabile che chiunque si comporti in modo tale da cercare il massimo profitto individuale, pazienza se questo significa che la qualità del suo lavoro risulta compromessa. Chiamatemi pure ingenuo o idealista, ma io credo, invece, che ognuno di noi dovrebbe essere il primo e più severo giudice del suo lavoro e non dovrebbe nemmeno immaginare di dormire sonni tranquilli avendo il dubbio di aver lavorato male. Che si tratti di un impianto idrico che non tiene, di un paziente non adeguatamente curato, di un allievo ingiustamente promosso senza averne le competenze, o di un palazzo mal costruito, l’indulgenza con la propria inettitudine è sempre fuori luogo, con l’aggravante che quando è in gioco la vita degli altri la questione non si dovrebbe nemmeno porre. La domanda che mi ronza in testa da quei giorni è sempre la stessa: “Ma come fanno a dormire tranquilli tutte le notti, sapendo di essere responsabili di quel disastro? E come facevano a dormire prima, sapendo di aver messo a repentaglio la vita di tanta gente solo per guadagnare una maggiore quantità di denaro?” Mi sono fatto un’idea: l’idea che per queste persone gli altri non esistano, non abbastanza almeno da essere presenti nella loro mente come oggetti della loro preoccupazione. Ma com’è possibile vivere in un mondo tanto ottusamente narcisistico? Proverò a spiegare come si arrivi a tanto partendo un po’ da lontano e utilizzando strumenti di lettura della realtà che non sono propri della sociologia o della politica, ma piuttosto dell’analisi dei meccanismi della mente umana. I liberi e gli uguali In un libro di Norberto Bobbio di qualche anno fa, Destra e Sinistra, si chiariva come i due pilastri della democrazia, la libertà e l’aspirazione all’eguaglianza, si dovessero necessariamente coniugare in un equili- brio dinamico che consentisse ad entrambi di avere la soddisfazione che meritano. Bobbio descriveva quattro possibili combinazioni dei due principi: 1) rispetto per entrambi; 2) rispetto per la libertà e non per l’egualitarismo, 3) rispetto per l’egualitarismo e non per la libertà, 4) nessun rispetto per entrambi. La prima sarebbe la posizione delle democrazie evolute, che Bobbio identificava nelle forze di sinistra moderata. La destra liberale, secondo quella tesi, propenderebbe invece per l’estrema libertà, valore di riferimento predominante, sia nelle relazioni umane e sociali, sia nella dimensione economica, fino al liberismo, al neo-liberismo e al cosiddetto anarco-capitalismo, ma ignorerebbe i principi dell’egualitarismo. Il polo ispiratore della sinistra estrema, al contrario, sarebbe l’egualitarismo, la giustizia, l’equità sociale, la ripartizione corretta delle risorse, ma essa trascurerebbe di dare il giusto peso alla libertà. Infine, la destra estrema proporrebbe un sistema politico fondato sull’assenza di entrambi questi valori. Franco Cardini ha voluto vedere nelle tesi di Bobbio la ripresa dei due principi rivoluzionari di “liberté” ed “égalité” ed ha notato come tra di essi sia venuto a mancare uno spazio altrettanto rilevante per la fraternità, terza gamba della triade rivoluzionaria, apparentemente molto meno importante nei sistemi politici attuali. Si potrebbero dare molte spiegazioni della svalutazione di questo principio: Cardini parla della sparizione dell’elemento trascendente che lo ispirava; io vorrei proporre una lettura basata su osservazioni di tipo psicoanalitico che, sebbene un po’ fuori contesto, mi pare possano spiegare bene le origini di questa carenza. L’Es e la libertà Nella teoria psicoanalitica l’Es è quella struttura psichica che si muove verso la realizzazione dei desideri, quali che essi siano. Non conosce ragionevolezza, rinvio, rinuncia né sacrificio. Non sono temi che lo riguardano. Desidera e basta. Non si fa fatica a trovare in questa struttura il fondamento dell’anelito alla libertà totale: essere liberi significa poter desiderare ciò che si vuole e cercare di realizzarlo. La libertà dell’Es, però, è una libertà incapace di moderazione, di tempi e di modi. Il motto di derivazione kantiana “la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro”, presuppone l’entrata in campo di un’altra struttura psichica, che si adatta alla realtà, che tiene conto degli altri, che conosce, esplora ed accetta i limiti, che è capace di dire “basta”, “dopo”, “non si può”. Questa struttura è stata chiamata Io, a significare che è la parte in cui ognuno di noi si riconosce, attraverso un percorso progressivo che prende il nome di identificazione. ChiaroScuro 33 Angolidimemoria Il Super-io e la giustizia Anche la giustizia ha un’istanza psichica di riferimento che ha bisogno di tempo per costituirsi. Quest’istanza è stata chiamata Super-Io ed è, grossolanamente, costituita da una parte censoria – quella che ci dice cosa non dobbiamo fare – e una parte ideale – quella che indica le mete, gli obiettivi positivi, i valori di riferimento. Questa struttura presuppone ugualmente un processo di introiezione, sia per l’assimilazione delle regole, le quali da norme imposte dall’esterno devono diventare principi condivisi, sia per l’adeguamento e l’adesione ai sistemi valoriali all’interno dei quali si viene educati. Identificazione e imitazione Tuttavia, tanto per ciò che riguarda la capacità di tenere sotto controllo le pulsioni (cioè le spinte del desiderio) – la libertà – sia per l’adesione alle regole – la giustizia – si può anche fare finta di essere aderenti ai modelli. Si può costruire una maschera fittizia costruita sull’imitazione piuttosto che sull’identificazione. L’imitazione superficiale è facile, rapida, indolore. L’identificazione è lunga, complessa, presuppone una digestione, fasi di difficoltà di assimilazione, di rigetto, di riavvicinamento successivo. Il risultato è che apparentemente le persone mostrano di rendersi conto che per essere veramente libere devono rispettare la libertà altrui e che per essere giuste devono rispettare le regole a prescindere dalla presenza di chi controlla, ma in realtà, come bambini mal cresciuti, appena possibile cercano di affermare i propri bisogni come se gli altri non esistessero o cercano di aggirare le leggi se hanno la certezza dell’impunità. Chi si costruisce per imitazione si accontenta di assomigliare, più o meno, al modello e, finché l’inganno tiene, non sente il bisogno di crescere ulteriormente, anzi: si ritiene adeguato e ostenta disinteresse per eventuali altri processi evolutivi. Costruisce così un’identità di comodo, quella che si chiama un “Falso Sé patologico”, tanto più rigida ed immutabile quanto più si sente fragile e minacciata dalle prospettive di cambiamento. Al contrario, la costruzione dell’identità non dovrebbe concludersi mai del tutto, perché elementi di arricchimento e di trasformazione della personalità testimoniano la vitalità e la sicurezza di un individuo ad ogni età. La fraternità e la società senza Io Il terzo polo della rivoluzione del 1789, la fraternità, è quello che mi interessa di più nell’ambito di questa riflessione. Senza particolari padrini politici – forse perché ha poco appeal – è un sentimento che non può prescindere da un particolare processo evolutivo dell’Io. Stiamo parlando infatti della costituzione stessa dell’Io che – come mise bene in evidenza Lacan – si basa esclusivamente sulla possibilità di rispecchiamento 34 ChiaroScuro nell’Altro: mentre l’Es può esistere senza l’altro, anzi perfino senza la realtà, e il Super-Io può costruirsi in modo imitativo, senza un’adesione vera e profonda ai suoi contenuti, l’Io non può esistere senza la percezione di chi è altro da sé, di chi gli sta di fronte, in cui si rispecchia, si identifica e si riconosce, prima come corpo e poi come persona. L’individuo che si costituisce senza queste premesse è una semplice superfetazione dell’Es, capace solo di ascolto interno, di imporsi gridando per affermare i propri bisogni e desideri, ma con nessuna capacità di rapportarsi alla realtà, soprattutto se frustrante. Quello che voglio dire è che l’incapacità di provare sentimenti di solidarietà, di accoglienza e di identificazione nella sofferenza altrui non è un casuale risultato di un inspiegabile degrado dei costumi, di uno smarrimento di valori o di crisi di ideologie, ma dell’inesistenza di una struttura interna capace di accettare, sviluppare e trasmettere i principi in questione. E’ come se le emozioni e i principi morali potessero soltanto aderire ad una struttura superficiale ed esterna, dentro la quale, per l’assenza di supporti interni, non è permessa l’introduzione di alcun contenuto. Perciò non sono tanto i valori a mancare, quanto i solidi modelli di identificazione, mentre d’altra parte abbondano le figure da imitare superficialmente. Viviamo in una società nella quale le strutture psichiche sono indotte a restare primitive: primitivo l’Es senza controllo dell’Io; primitivo il Super-Io, imitativo e non basato sull’identificazione; primitivo o addirittura inesistente l’Io, con meccanismi di difesa anch’essi arcaici; primitivo il Sé, costruito su identità fittizie e non saldamente radicate. Mosaico Rebibbia Angolidimemoria Un modello psicotico L’impressione, dunque, è che il modello proposto dalla società attuale sia, proprio perché più arcaico, anche più semplice e meno faticoso da riprodurre. I valori cui fa riferimento sono elementari e non hanno bisogno di elaborazione: si tratta di suddividere in modo banale e proiettivo il dentro dal fuori, il buono dal cattivo, il bello dal brutto, il giovane dal vecchio, il desiderabile dal rifiutato. Partizioni così semplici non hanno bisogno di strutture complesse, non richiedono un pensiero particolarmente evoluto, né un’affettività matura, che si interroghi su se stessa. Certo, l’impossibilità di comprendere appieno la complessità del reale con un sistema cognitivo di tale banalità porta ad un’ansia di possesso materiale, in assenza di un potere più profondo e sicuro sulla natura delle cose, quale quello che deriva dalla conoscenza vera, ma il gioco vale la candela, tanto forte è il risparmio di energie che tale concezione garantisce rispetto ad altre che richiedono fatica, dolore, elaborazione, rinunce e sacrifici. Peccato che tale modello, tanto illusorio quanto devastante da un punto di vista sociale, possa essere definito propriamente “psicotico”, in quanto incapace di confrontarsi con una realtà diversa da quella percepita o immaginata da quell’abbozzo di Io narcisistico, presuntuoso, megalomane, paranoico, onnipotente e delirante che ne è il frutto. Un abbozzo di Io che non si è costruito per dare all’Es uno spazio di realizzazione armonizzandone i desideri con i limiti posti dal mondo circostante, ma che si è totalmente identificato con l’Es stesso – rivelandosi quindi una struttura pleonastica – nel cercare di piegare la realtà ai suoi desideri, nel negare l’ovvio, nell’inventare fantasie e viverle come reali, nel pensarsi onnipotente, senza limiti, senza freni, senza confini, sen- za regole, senza valori morali. Come se fosse, in una parola, Dio. Ma si può vivere in un mondo di folli, ognuno dei quali pensa di essere un dio - o di poterlo diventare frequentando i salotti giusti - per di più avendo, ognuno di essi, un’immagine personale di tale entità divina, diversa da quella di tutti gli altri? Come monaci medievali Abbiamo solo una speranza: che quello che proponiamo in alternativa al modello culturale dominante si riveli, alla lunga, più solido e consistente dell’altro. E questo non tanto perché proporre la frustrazione inevitabile e il sacrificio è, per quanto doloroso, più autentico del fingere che tutto sia possibile e che non si debba mai soffrire, ma piuttosto perché il piacere che si può esperire basandosi sul rispetto degli altri, sulla solidarietà, sulla consapevolezza, sul sapere, sulla conoscenza approfondita e sulla qualità dell’esistenza è, nei tempi lunghi, molto più desiderabile e appagante di quanto non sia quell’insipido godimento da fastfood rappresentato dall’euforia momentanea e passeggera di chi non sa far altro che consumare la vita. Siamo forse semplicemente dei vecchi retrogradi che difendono la tradizione, le proprie idee, le proprie convinzioni, ma non possiamo mollare. Chiamatelo come volete: spiritualità, ideologia, forza morale, trascendenza, fede, poco importa. Quello che conta è che siamo sicuri che sia necessario resistere nelle nostre trincee a difendere ciò in cui crediamo. E a proporci, noi, con i nostri sogni, le nostre speranze, la nostra cultura, i nostri limiti, i nostri desideri, le nostre frustrazioni, i nostri ingenui ottimismi, i nostri legami affettivi, i nostri valori – libertà, uguaglianza, fraternità - come modelli alternativi. Sicuri di essere più veri. docente Stefano Guerra Pittura Rebibbia ChiaroScuro 35 Variazioni Prima di convincere l’intelletto occorre toccare e predisporre il cuore. B. Pascal Laboratorio di documentazione fotografica - Sezione Moda I colori dell’anima Chiudiamo gli occhi e immaginiamo di essere in una stanza vuota con al centro solo una sedia. Non so come possano immaginarla gli altri, ma ecco come la vedo io: una stanza scura, quattro pareti due delle quali hanno una finestra ciascuna e dalla quale entra una forte luce, tendente al bianco. Queste finestre occupano la parte centrale delle pareti dall’alto verso il basso senza toccare né il pavimento, né il soffitto. Io sono al centro di questa stanza e mi siedo su una sedia, di quelle antiche, fatte di legno e paglia intrecciata, adatta per una vecchia casa in campagna. Il pavimento è composto da lastre di legno incastrate tra loro e consumate, non sono lucide e tanto meno ben tenute. I colori delle pareti sono grigie, un grigio scuro che nelle parti buie della stanza sembra nero. Dietro di me c’è uno specchio, mi volto per guardarlo e vedo una sciocca ragazzina piena i sogni e di voglia di vivere. La ragazza veste di nero, ha i capelli molto lunghi e di un colore che non riesce a decifrare, un castano chiaro che tende al biondo cenere, ma con riflessi ramati e dorati. Questo colore fa da grande contrasto con la sua pelle chiara, che fa da effetto candelina in quella stanza così scura. La sua espressione è pensierosa, triste e al tempo stesso curiosa, forse perché non sa se riuscirà a realizzare concretamente parte dei suoi sogni forse perché è convinta di essere una povera illusa e basta. E’ così che le è stato insegnato dal mondo: “non c’è speranza per chi sa di non averla”; ecco perché intorno a lei è tutto così cupo e scuro. La ragazza abbassa lo sguardo e ai piedi dello specchio vede una piantina, non sa di che natura sia eppure è di un verde acceso e alla sua destra, su uno dei rametti c’è un fiore ancora chiuso, una macchiolina, un puntino di u rosso intenso che aspetta solo di richiudersi. A quel punto le viene da sorridere, o meglio, mi viene da sorridere: quella ragazza sono io. La mia giovane età, il mio passato e il futuro che mi aspetta mi hanno dato questi colori: nero, bianco, grigio, rame, bordeaux, verde, grigio…Sono tre però i colori che mi rappresentano: nero, bianco e verde. Il nero perché sono di questo colore, lo è il mio modo di essere: “il male di vivere”. Il bianco, perché c’è una luce buona lì in fondo che mi aspetta sempre. Verde, perché da ciò che è verde credo nascano cose buone come la speranza e ce n’è bisogno per guardare avanti. Eleonora Buono 5N 36 ChiaroScuro Variazioni Ma tu una volta mi hai detto… Non c’è più nessuno che mi conosca davvero Il mio mondo sta crollando E ho davanti agli occhi un’oscura fine Io non dovrei piangere per te… Ma tu una volta mi hai detto: Quando tutto finirà Sarò un angelo per te E solo per te brillerò nell’oscurità E poi volerò via di qua Finché non mi apparirai Continuerò a immaginarmi che tu da lassù Pianga per me, attraverso le nuvole Ho aspettato e aspetterò l’infinito per te Ma tu una volta mi hai detto: Pensa solo a me, e vedrai Un angelo che ti vola accanto Pensa a me, e vedrai Un sorriso amico Pensa solo a me, se ti sentirai sola Pensa a me, se sei triste Pensami E ti starò vicina. 1000 emozioni diverse L’arte è personale, trafigura il nostro modo di rappresentare il mondo esterno: tutto quello che proviamo, che sentiamo e tutto questo non è mai come il mondo che ci circonda. L’arte è anche bellezza, perchè niente è paragonabile a quelo che sentiamo; nessuno può capire fino in fondo quello che proviamo, a volte neanche noi stessi sappiamo spiegare le nostre emozioni. L’arte è un modo per esprimere tutto: felicità, rabbia e altre 1000 emozioni diverse e contrastanti. Non ci sono copie, l’arte, la vera arte, è unica e sola tutto lì in un’opera che da sola esprime tutto quello che c’è da sapere. Dolori, piacere, gioia, amore, nervosismo: sono tutti sentimenti troppo grandi da custodire. L’anima ha bisogno di liberarsi ogni tanto e si serve dell’arte. L’arte è vita è il senso della vita, dove è concentato tutto il nostro essere nell’arte. Si dice che gli artisti così come i filosofi e i matematici siano accumunati da una caratteristica: la pazzia. In realtà io penso che siano gli unici a vedere il mondo realmente come è con le sue 1000 sfumature e sono anche gli unici che sanno apprezzarlo veramente. L’arte è l’anima degli artisti e l’arte è la nostra vita…gli altri come faranno a vivere senza?!? Marianna Felicetti 4B Johana Negulici 1P Sezione Pittorica Sensazioni Tengo le sue mani e le sue mani stringo al mio petto tento di riempire le mie braccia della sua bellezza di rubare con i baci il suo dolce sorriso di bere i suoi neri sguardi con i miei occhi. Elena Zonni 4A Dietro un nastro rosa Essere donna per me significa: essere la terra su cui l’uomo progetta il suo futuro. Senza l’esistenza della donna non ci sarebbe storia. Dietro una grande tragedia, avventura o vita c’è sempre una donna, ma perché noi donne apparteniamo da secoli all’ombra di grandi eventi? Sicuramente non è timidezza! Ci viene attribuita l’immagine del sesso debole, ma sappiamo tutte che è il contrario. Quello che sto cercando di dire non vuole sfociare nel solito discorso “femminista” che non porta a nulla: io considero l’uomo importante quanto la donna, pur avendo predisposizioni diverse per natura. Anni di lotte per essere accettate nel nostro lavoro, per avere gli stessi meriti dell’uomo ed avere la stessa considerazione eppure, ancora oggi, troviamo grandi ed, allo stesso tempo, effimere difficoltà. Volete sapere di chi è la colpa? Della donna, o meglio, della donna del nostro passato.Ai tempi dell’uomo delle caverne c’era la legge del più forte e la donna certamente non lo era. Successivamente l’uomo ha prevaricato la donna prendendone il comando, senza avere la sua opposizione; grandi imperatori, re, cavalieri, contadini e la donna è sempre stata al loro servizio, in poche hanno avuto la forza di provare a pensare il contrario. ChiaroScuro 37 Variazioni Tragica come visione, ma in grandi linee è stato così; era l’ignoranza a portare queste condizioni. Non si sente parlare mai di contadine colte, era una facoltà data alle donne di nobili origini di cui, in ogni caso, se ne dava da parlare per bellezza e non tanto per intelligenza. Con questo non voglio insinuare segnali di stupidità nella donna del passato, ma è stato questo a portare a pensare alla figura femminile come sinonimo di bellezza, fascino e dolcezza. La donna che acconsente sempre senza opporsi, ormai non ci appartiene, per fortuna, ma assistiamo in continuazione a scene che distruggono il nostro genere: basta accendere la tv per vedere delle ochette maggiorate, siliconate e stuccate o magrissime, che diventano i modelli delle adolescenti; ma non è questa la realtà! Ho 19 anni e i miei miti sono i personaggi che leggo sui libri, soprattutto donne. Dico grazie a chi mi ha fatta donna, perché sono orgogliosa di sapere che la maggior parte di noi sono grandi persone nel loro piccolo mondo, dentro le mura di una casa, a scuola, in palestra e ancora una volta nel lavoro. La vera donna è quella che si butta nella vita senza accettare compromessi, senza dover usare il suo corpo per arrivare ai suoi obiettivi e che soffre senza lamentarsi; la vera donna è quella che lotta tutti i giorni per trovare parcheggio, per far studiare i propri figli, per tenere in piedi la famiglia. E’chi dopo aver pianto si sciacqua la faccia e si da’ una truccata e ricomincia a vivere. Io conosco tante donne che valgono e so che ce ne sono tante altre che non appartengono al mondo della tv e del gossip e nonostante ciò sono sicura che anche dentro a quella scatola magica ci siano grandi persone, anche se non hanno delle protesi di silicone. Sono nata donna e spero che ne nascano tante altre orgogliose di esserlo. Eleonora Buono V N Una tavolozza emozionale Quanti di noi molte volte non percepiscono una battuta o un’emozione nello stesso modo? Oppure a quante persone può piacere il motivo di una canzone che ad altre è invece indifferente? Le persone vivono di percezioni e come non pensare ai colori. Il modo, la situazione in cui sono stati assimilati e la condizione psicologica di un determinato momento fanno sì, per esempio, che caldi marroni, lucenti bianchi, rosa pallidi o azzurri splendenti, diventino, in base alla percezione della pesona, i simboli più disparati di una vita dal gelo intenso al ricordo degli affetti vissuti. E’ come quando un profumo, un’immagine, un qualche ricordo restituisce alla mente una sensazione particolare e nasce così un brivido che scuote nel profondo, mettendo in gioco l’anima di ognuno di noi. Colori, colori…in fondo sembrano solo segnali ner- 38 ChiaroScuro ChiaroScuro vosi rubati alla vista ed interpretati dal cervello: scariche elettriche che fanno emozionare e divertire sollecitando fantasie ed immaginazioni rimosse o nascoste. Il colore si relaziona a noi in base a come noi lo rapportiamo a quel determinato momento percepito, impersonificandolo, trasformandolo in ciò che più vogliamo o desideriamo. Torna così normale trovare dinamiche emotive differenti e varie per chi relaziona i colori al proprio mondo o alle immagini della propria vita, poiché il rapporto fra colore e anima è molto più intenso e sviluppato rispetto a chi nel colore non vede nulla. Pensare una vita incolore? Sarebbe senza fantasia. Lelio Zohar 5P Sezione Plastica Sezione Pittorica DiMostra 40anni di Andrea Bonavoglia Nel 1997 una scuola speciale sin dal nome, Istituto Statale d’Arte per l’arredo e la decorazione della chiesa. celebrava i suoi primi trent’anni di attività con una grande mostra allestita presso il Complesso del San Michele a Ripa. Nel 2007 la scuola ha compiuto quarant’anni, e procede nella definizione della propria storia, anche se in lieve ritardo, con una mostra e un catalogo dedicati a suoi ultimi dieci anni di vita. Negli spazi espositivi, anche questa volta forniti dal Ministero dei Beni Culturali nell’area del San Michele, un’attenzione particolare è rivolta alle attività esterne svolte e all’attività professionale dei docenti e degli exallievi della scuola; ma il nucleo principale resta la produzione didattica, quella che si fa sui banchi e nei laboratori della scuola, tra i fogli da disegno e la polvere dei marmi, le lastre di vetro e i pennelli, le stoffe cucite e i modelli. La situazione artistica dell’Italia e di Roma alla fine del secolo XX, dieci anni fa soltanto, non erano dissimili da quelle di oggi, da un lato grandi potenzialità umane, dall’altro una non sempre gratificante ed effettiva possibilità di operare. Nel raccontare le vicende di una scuola d’arte era quasi obbligatorio, in passato, fare un qualche riferimento al Bauhaus, non soltanto come riferimento per un qualche razionalismo produttivo, ma anche e soprattutto come modello di una didattica orientata all’uniformità, alla produzione collegiale, allo studio del processo produttivo. Leggendo le intenzioni del fondatore Enzo Rossi e della sua scuola nel 1967, il Bauhaus non rapprentava tanto il modello di contenuto per l’Istituto d’Arte Roma 2, quanto il modello scolastico e didattico. L’idea di Rossi era vicina a una scuola-laboratorio finalizzata a una produzione artigianale e artistica molto specializzata, tant’è vero che le cinque sezioni erano state scelte con l’unico intento di rendere completa la progettazione di strutture e arredi sacri. Tale impostazione non ha perso valore in termini assoluti, ma oggi appare in parte scollata dal mondo scolastico e dalla formazione imposta dai tempi e dalle condizioni politiche e sociali. E’ necessario ricordare che gli Istituti d’Arte sono nati come scuole medie professionali nel 1923, e solo dal 1962 si strutturarono in tre anni di corso dopo la licenza media, come le scuole professionali. Alla fine degli anni Sessanta, si aggiunsero due anni di corsi integrativi successivi alla qualifica professionale. Infine, la sperimentazione degli anni Novanta ha aggiunto ai corsi tradizionali i corsi quinquennali del Progetto Michelangelo, nei quali la specializzazione comincia al terzo anno. Di questa sequenza, che copre l’intero Novecento della scuola italiana, ci interessa in particolare la trasformazione dell’idea formativa: all’inizio la specializzazione professionale si innesta su un giovane undicenne, poi su un quattordicenne, infine su uno studente sedicenne. E’ una scelta sociale e culturale di grande rilievo, nella quale si avverte la trasformazione di un mondo, il cambiamento dei saperi, la progressione dell’idea stessa di scuola. La scuola è formazione e obbligo, le scelte professionali devono avvenire dopo una formazione completa ed efficace, che può considerarsi matura intorno alla metà dell’adolescenza. La competenza si innesta su una personalità già in buona parte formata. Del modello di Enzo Rossi, di quel modello suggestivo che prevede tutte le discipline avviate e concentrate su un progetto comune, in una struttura scolastica che appare famigliare e raccolta, oggi resta forse molto in termini ideali e formativi, ma non molto nei fatti. Le fasi di progettazione della chiesa, degli arredi, dei paramenti, degli oggetti sacri, si avverano ancora nelle sezioni tradizionali, ma la loro finalità è divenuta molto più didattica e propedeutica che professionale. L’ultimo decennio di vita dell’ISA Roma 2 coincide con un periodo di grande fervore in ambito artistico, soprattutto a livello internazionale, ma con importanti risvolti anche in Italia. Le scuole risentono delle novità sempre e fisiologicamente in ritardo, ma in questo caso le complessità, le distorsioni, le contaminazioni stilistiche in atto nella ricerca estetica finiscono per agevolare la definizione, o meglio la non definizione, di una didattica improntata all’adeguamento e alla contemporaneità. La scuola alla sua fondazione riponeva nella sezione di architettura il luogo di riferimento obbligato, in quanto capace di condizionare – nella forma progettuale dell’edificio sacro – gli arredi, e quindi gli oggetti, e quindi gli elementi funzionali e decorativi. Nel corso degli anni e con la nascita della struttura scolastica sperimentale, svincolata dalla dimensione del sacro, il ruolo della sezione si è in parte ridimensionato, ma nel complesso numerico dell’utenza e delle attività resta in molti casi la sezione-guida. E l’architettura, negli anni che ci interessano, è stata l’arte regina nelle trasformazioni estetiche di fine Novecento e inizio Duemila, affrontando e definendo la postmodernità nata negli anni Settanta, in una sorta di parallelo con la ricerca filosofica, e giungendo in breve anche al suo superamento, con la nascita recente delle tendenze decostruttiviste, high-tech e paesaggistiche. Personaggi di richiamo hanno lavorato a Roma in questi ultimi anni, anche nel settore dell’architettura religiosa strettamente legato all’evento giubilare del 2000. L’Auditorium di Renzo Piano, i costruendi nuovi musei di arte contemporanea di Zaha Hadid e di Odile Decq, le chiese periferiche di Richard Meier a Tor Tre Teste, di Sartogo alla Magliana, del gruppo Nemesi al Quartaccio, il Museo dell’Ara Pacis ancora di Meier, per non dire di molti interventi di restauro su edifici semi-abbandonati, primo fra tutti l’ex-acquario di Piazza Fanti oggi casa dell’Architettura, sono solo alcune tra le tante opere realizzate negli ultimi anni. Per gli studenti della scuola, insieme ai resti dell’antichità e alle meraviglie del Rinascimento e del Barocco, è importante poter vedere e toccare il pensiero materializzato di oggi, il progetto che diventa cosa davanti ai nostri occhi. E in Roma quelle tendenze attuali sono tutte presenti, seppure in modo non massiccio come in altre capitali europee, e meritano di essere analizzate ed usate per la didattica. (estratto dall’introduzione del catalogo “Arte in Cattedra”). Depliant Mostra Quarantennale Si ringraziano gli sponsor: Il mensile di cultura e attualità dei Castelli romani e Prenestini www.controluce.it 40 ChiaroScuro Istituto Statale d’Arte e Il punto vendita di macchine da cucire Liceo Artistico Roma 2 industriali e domestiche a Roma www.isarteromadue.it www.kucire.com