N.4 - Salute per tutti

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N.4 - Salute per tutti
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Volume 12, n. 2, 2009
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Volume 12, n. 2, 2009
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L’outcome della pubertà precoce
e anticipata gonadotropino-dipendente
nelle ragazze
Vincenzo De Sanctis, Giuseppe Raiola 1
Introduzione
La pubertà può sinteticamente essere
definita come un periodo della vita caratterizzato da rilevanti modificazioni somatiche e
psico-sociali che portano alla acquisizione dei
caratteri sessuali secondari, al raggiungimento della capacità riproduttiva ed a importanti
ripercussioni psico-sociali.
Gli eventi ormonali preparatori sono rappresentati dall’adrenarca, che si verifica verso i
5-7 anni nella femmina e 6-9 anni nel
maschio, e dalla presenza di una secrezione
di tipo pulsatile dell’LH, durante il sonno,
secondaria alla attività secretoria pulsatile dei
neuroni GnRH produttori.
Questo “centro generatore” è già operativo
nel feto e nel neonato, ma funziona ad un
basso livello di attività a causa di una azione
inibitoria degli steroidi sessuali. Al momento
della pubertà tale azione inibitoria si riduce e
può quindi iniziare la secrezione pulsatile di
GnRH che porta ad una aumentata produzione e dismissione ipofisaria di gonadotropine
con conseguente comparsa dei primi segni
clinici di pubertà (nella femmina lo sviluppo
del seno e nel maschio l’ingrandimento del
volume testicolare).
Processi biologici
della pubertà
Le modificazioni che si verificano
durante la pubertà possono essere schematizzate, in base alla descrizione riportata da
Tanner nel 19521:
U.O. di Pediatria ed Adolescentologia - Azienda
Ospedaliera Universitaria di Ferrara, Arcispedale S. Anna
1 U.O. di Pediatria - U.O.S. di Auxoendocrinologia
e Medicina dell’Adolescenza - A.O. “Pugliese-Ciaccio”,
Catanzaro
1. accelerazione e decelazione dell’accrescimento staturale;
2. modificazioni della composizione corporea
(apparato scheletrico, muscolare e distribuzione del grasso corporeo);
3. modificazioni del sistema circolatorio e
respiratorio;
4. modificazioni degli organi sessuali secondari, sviluppo delle gonadi e degli organi
riproduttivi;
5. modificazioni dello sviluppo psico-sociale.
Cambiamenti fisici
durante la pubertà
nella femmina
I primi mutamenti sono a livello della
ghiandola mammaria, che diventa più rigonfia, pigmentata ed iperemica. Il tessuto mammario si presenta dapprima come un nodulo
sottoareolare, che poi si estende oltre l’areola. A questo stadio le ovaie appaiono ingrandite ed il tratto genitale femminile inizia a
crescere e a svilupparsi 2.
Nella grande maggioranza delle ragazze
(75%), lo sviluppo mammario precede la comparsa del pelo pubico. Il continuo sviluppo
mammario e lo sviluppo del pelo pubico si
accompagnano alla crescita delle piccole labbra, ispessimento della mucosa vaginale e
sviluppo dell’utero.
Mentre lo sviluppo genitale e mammario proseguono, cominciano a comparire i peli ascellari; quasi contemporaneamente si assiste ad
una ulteriore pigmentazione dell’areola mammaria. È insolito per una ragazza avere le
prime mestruazioni senza che siano già comparsi i peli ascellari.
Il menarca è l’evento più importante e focale
dello sviluppo puberale. L’età media della
comparsa della prima mestruazione, nella
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popolazione italiana, è di circa 12 anni (range
10-17 anni). I cicli ovulatori iniziano, di solito, a distanza di 2 anni o più dal menarc a .
Dopo il menarca si assiste ad un ulteriore sviluppo delle mammelle e del tratto genitale,
come pure della peluria pubica ed ascellare .
Questo processo continua fino al completo
sviluppo puberale.
L’accelerazione dell’accrescimento puberale
nelle ragazze inizia, in genere, poco dopo la
comparsa del pelo pubico e raggiunge la sua
massima velocità nell’anno che precede il menarca. Dopo il menarca la maggior parte delle
ragazze può crescere ancora di 5-8 cm2.
32.000 e contiene il 18-20% di carboidrati.
Subunità alfa libere sono presenti nell’ipofisi
e possono ritrovarsi in circolo.
La presenza di subunità alfa libere nel plasma è stata riscontrata nell’ipotirodismo, nei
tumori ipofisari e dopo somministrazione di
TRH e GnRH.
Non sembra che l’ormone intero possa dividersi nel plasma in subunità libere4.
Ontogenesi della
secrezione di LH e FSH
Modificazioni
neuroendocrine
alla pubertà
Il meccanismo d’azione del releasing
ipotalamico delle gonadotropine (GnRH)
nella membrana cellulare delle cellule gonadotrope è rappresentato nella Figura 1.
Il GnRH, dopo essersi legato con il re c e t t o re,
attiva la adenilciclasi con formazione di AMP
ciclico. L’AMPc può agire direttamente attraverso una protein-chinasi che defosforila le
componenti di membrana. Questa modificazione della membrana cellulare può attivare
la captazione del calcio e la esocitosi, processo per cui i granuli secretori si fondono
con la membrana cellulare ed il nucleo del
granulo viene espulso, ciò comporta l’increzione dell’ormone. La sintesi avviene nel
reticolo endoplasmatico, mentre la “confezione” dell’ormone avviene nell’apparato del
Golgi3.
Struttura dell’LH e
dell’FSH
L’ormone luteinizzante e l’ormone follicolo stimolante sono formati da due subunità riunite con legame non covalente, la
sub-unità alfa o comune (simile per l’LH, FSH,
HCG e TSH) e la sub-unità beta o ormone
specifica, che conferisce la specificità biologica.
L’ormone luteinizzante umano ha un peso
molecolare di circa 33.000 ed è costituito da
un 15-20% di carboidrati. L’ormone follicolo
stimolante ha un peso molecolare di circa
Figura 1.
Rappresentazione schematica del meccanismo
d’azione del GnRH sulla membrana cellulare delle
cellule gonadotrope.
(da: Reiter EO, Grumbach MM. Ann Rev Physiol 1982;
44:595, modificata).
A)
Periodo fetale e neonatale
LH e FSH risultano dosabili nel siero
fetale rispettivamente a 100 e 84 giorni dal concepimento. I livelli di LH raggiungono un valore massimo tra 130 e
150 giorni per poi scendere sino a
livelli molto bassi nel feto a termine.
Dopo la nascita, i livelli di FSH raggiungono un valore massimo a 120
giorni per poi scendere gradualmente
a livelli più bassi.
Nel neonato maschio i livelli di LH e
FSH sono elevati nei primi 7-12 mesi
di vita, mentre nelle femmine è più
evidente l’aumento dell’FSH. I valori
possono mantenersi elevati sino a 2-4
anni. Il meccanismo responsabile di
questa differenza tra i sessi per quanto concerne i tassi di gonadotropine è,
allo stato attuale, non conosciuto4.
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B)
Periodo prepuberale precoce
Tra i 4 e gli 8 anni di età la concentrazione delle gonadotropine ipofisarie
re-sta bassa, a causa di una elevata
sensibilità dell’asse ipotalamo-ipofisario agli ef-fetti inibitori degli steroidi
gonadici5.
C)
Periodo prepuberale avanzato e
secrezione spontanea delle gonadotropine durante la pubertà
In questa fase iniziano a prodursi picchi lenti ed a bassi livelli sia dell’LH
che dell’FSH. Questo fenomeno è limitato alle ore notturne.
L’intervallo tra i picchi è di 2.6 ± 0.5
ore, con la massima frequenza tra le
ore 24 e le ore 2 di notte (0.53 ± 0.12
picchi/ora)5.
Nella fase successiva (stadio 2 secondo
Tanner) questi picchi, sporadici, aumentano di frequenza e di ampiezza
con l’instaurarsi di un ritmo sonno-veglia soprattutto per l’LH, verosimilmente anche a causa della più breve emivita biologica dell’ormone (Figura 2).
Allo stadio puberale 3, le pulses, soprattutto di LH, aumentano poco di ampiezza, ma si estendono gradualmente
anche alle ore diurne5 (Figura 2).
Figura 2.
Valori medi ± DS nelle 24 ore delle gonadotropine in soggetti di sesso maschile e femminile.
(da: Oerter e coll. J Clin Endocrinol Metab 1999; 71:1251 - modificata)
Femmine
15
15
Livelli medi LH/24 h
10
10
5
5
0
0
15
15
Ampiezza picco LH
10
10
5
5
0
0
15
15
Frequenza picco LH
10
10
5
5
0
1
2
3
4
5
0
Maschi
Livelli medi FSH/24 h
Ampiezza picco FSH
Frequenza picco FSH
1
2
3
4
5
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Nelle fasi 2 e 3, secondo Tanner, l’intervallo tra i picchi è di 2.9 ± 1.4 ore, con
una frequenza più bassa tra le 12 e le
14 (0.28 ± 0.35 picchi per ora) e la più
alta tra le ore 22 e le 2 di notte (0.56±
0.29 picchi per ora)5 (Figura 2).
La fase successiva (stadio 4) è caratterizzata da un deciso aumento dell’ampiezza dei pulses (Figura 2). Persiste,
tuttavia, una certa differenza tra le ore
diurne e le ore notturne5.
Allo stadio 5, le pulses tendono a
smorzarsi con l’instaurarsi di una
s e c rezione relativamente tonica,
anche se alcuni soggetti mantengono
caratteristiche simili a quelle dello stadio precedente. In ambedue i casi
viene comunque coperto l’intero arco
delle 24 ore.
L’intervallo tra i picchi in questa fase
di maturazione puberale (stadio 4 e 5)
è di 2.2 ± 0.6 per ora, con una frequenza massima tra le 12 e le 14
(0.52 ± 0.30 picchi per ora).
I livelli medi di LH e FSH nelle 24 ore
aumentano pro g ressivamente durante
la maturazione puberale sia nei maschi
che nelle femmine5 (Figura 2).
La pubertà precoce
gonadotropino-dipendente
e le sue varianti nella
femmina
La comparsa dei caratteri sessuali
secondari viene considerata precoce quando
si verifica ad una età inferiore a 2.5 deviazioni standard rispetto alla media della popolazione: questa corrisponde nella femmina al
raggiungimento di uno stadio II di sviluppo
mammario prima dell’età di 8 anni.
Si definisce pubertà precoce vera o pubertà
precoce centrale (PPC) la comparsa precoce
dei caratteri sessuali secondari, associata a
tutte le manifestazioni tipiche della pubertà
come risultato di un alterato funzionamento
del “gonadostat” (pubertà precoce “gonadotropino-dipendente”)6.
Alcuni Ricercatori Statunitensi sono più
restrittivi nel formulare la diagnosi di PPC e
considerano precoce la comparsa del bottone mammario prima dei 7 anni7.
La pubertà precoce gonadotro p i n o - d i p e ndente può essere primitiva o idiopatica e
secondaria a lesioni del Sistema Nervoso
Centrale (SNC). Nel primo caso è dovuta alla
precoce attivazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, con conseguente comparsa dei
caratteri sessuali secondari, rapido aumento
della velocità di crescita ed accelerazione
della età ossea6.
Questo tipo di pubertà precoce è 4-5 volte
più frequente nelle femmine e nel 25% dei
casi compare prima dei 6 anni di età6-8, può
essere sporadica o familiare.
Gli esami di laboratorio evidenziano:
aumento dell’ampiezza dei picchi spontanei di LH, inizialmente nelle ore notturne;
aumentata risposta dell’LH ed FSH al
GnRH test;
aumentato livello di steroidi sessuali
(estradiolo).
La pubertà precoce neurogena riconosce
diverse cause, fra cui i tumori del SNC, difetti embriogenetici (idrocefalo, spina bifida),
infezioni del SNC, encefalopatia neonatale,
traumi del SNC e neurofibromatosi6.
In questi casi lo sviluppo puberale precoce
può essere preceduto o accompagnato da
altra sintomatologia riferibile al processo
morboso primitivo, quali sintomi visivi, alterazioni comportamentali, segni e sintomi di
ipertensione endocranica.
Negli studi riportati in letteratura, condotti in
ambito ospedaliero, una PPC era secondaria
ad alterazioni del SNC nell’8-33% delle bambine. I fattori predittivi per patologia del SNC
sono stati7:
a. la giovane età alla comparsa della maturazione puberale (< 6 anni);
b. la presenza contemporanea di peluria
pubica;
c. una età ossea particolarmente avanzata
(> 2 anni rispetto all’età cronologica);
d. l’aumento delle concentrazioni plasmatiche di gonadotropine;
e. un aumento dei livelli plasmatici di estradiolo.
Negli ultimi 30 anni, oltre alla PPC, sono
state descritte diverse varianti temporali o
quantitative del fisiologico sviluppo puberale, in particolare è stato riportato uno spettro
di disordini che comprende:
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a. il telarca precoce (Figura 3 e 4);
b. il telarca variante;
c. la pubertà precoce centrale a lenta evoluzione;
d. la pubertà precoce centrale (Figura 5);
e. la pubertà precoce centrale a rapida evoluzione;
f. la pubertà anticipata.
Figura 3.
Telarca transitorio del lattante. È una condizione
benigna che si esaurisce spontaneamente.
(V. De Sanctis, osservazione personale).
Figura 5.
Pubertà precoce centrale in una bambina di 8
anni. Il telarca è comparso all’età di 6 anni. Erano
presenti: accelerazione della crescita staturale e
dell’età ossea, gonadotropine ed estrogeni nel
range puberale, modificazioni puberali dell’utero
ed ovaie all’ecopelvi. La RM della regione ipotalamo-ipofisi non ha documentato la presenza di
patologie.
(V. De Sanctis, osservazione personale).
La pubertà anticipata
Figura 4.
Telarca precoce isolato in una bambina di 20
mesi. L’areola ed il capezzolo non presentavano
modificazioni del colore, i genitali esterni erano
di tipo prepuberale.
La statura e la velocità di crescita erano normali,
l’età ossea risultava poco avanza per l’età. Le
gonadotropine e gli estrogeni erano nel range
prepuberale.
(V. De Sanctis, osservazione personale).
È stata descritta nel 1975 da Bierich10,
viene definita: l’insorgenza dei primi segni di
sviluppo puberale tra i 7 e gli 8 anni di età
e/o della comparsa del menarca prima dei 10
anni.
La frequenza della pubertà anticipata, nel
gruppo delle bambine con comparsa del
telarca tra i 7 e gli 8 anni di età, varia dal 75%
al 78%7-9.
Il menarca anticipato è presente nell’1.1%
della popolazione Ferrarese (osservazioni
personali).
Una revisione della letteratura dal 2000 al
2005 ha riportato una alterazione del SNC,
dopo RM cerebrale, nel 2%-11% dei casi di
pubertà anticipata8, 9, 11.
In particolare, in uno studio retrospettivo8
francese sono state analizzate 197 bambine
con PPC seguite in un singolo centro di endo-
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crinologia pediatrica, a Parigi, dal 1982 al
1998.
La RM cerebrale rivelò una alterazione del
SNC (1 glioma, 1 amartoma) in 2 bambine
bianche (8%) che non avrebbero necessitato
di accertamenti neuroradiologici sulla base
delle raccomandazioni della Lawson Wilkin
Pediatri Endocrine Society (LWPES).
Lo sviluppo puberale era iniziato all’età di 7
anni e non era insolitamente rapido.
Le rispettive velocità di crescita erano -1.8 e
0.5 DS e lo sviluppo del seno era allo stadio
3 di Tanner.
L’avanzamento della età ossea era inferiore a
2 anni (0.2-1.9 anni).
Le stature definitive previste erano superiori
a 150 cm (161 e 159 cm) e la differenza tra
le stature previste e quelle geneticamente
calcolate erano inferiori a -2 e -1 cm.
Nessuna delle due pazienti aveva lamentato
cefalea o presentato crisi convulsive, deficit
neurologici focali o alterazioni negative dello
stato emotivo. La paziente con glioma era
anche portatrice di deficit di ormone della crescita, che giustificava la bassa velocità di crescita ed il modesto avanzamento della età
ossea. In base alle analisi variate, le principali associazioni con alterazioni del SNC sono
l’età all’esordio della pubertà < 6 anni e l’assenza di peluria pubica, in occasione della
prima valutazione6, 9, 11.
Associazioni minori, ma comunque significative, sono: un valore di E2 > 110 pmol/L,
un picco del FSH > 20 U/L ed un DFSH > 15
U/L11.
Terapia della PPC e
della pubertà anticipata
Il trattamento della pubertà precoce è
dipendente dal tipo di patologia sottostante.
Le lesioni a carico del SNC possono richiedere un approccio multidisciplinare, che include la chirurgia, la chemioterapia e/o la radioterapia.
La pubertà precoce centrale idiopatica e la
pubertà anticipata possono interferire con il
raggiungimento di una statura adulta compatibile con il bersaglio genetico e, in alcune
pazienti, anche con un armonico sviluppo
psicologico9, 11.
Nella terapia della pubertà precoce gonadotropino-dipendente, da circa 25 anni, è
disponibile un gruppo di farmaci, analoghi
strutturali del GnRH (GnRHa), che bloccano la
progressione dello sviluppo puberale interferendo con i meccanismi patogenetici della
PPC. Si tratta di derivati sintetici del decapeptide naturale GnRH ottenuti inserendo in
posizione 6 vari d-aminoacidi e in posizione
10 etilamide al posto della glicina per
aumentare la resistenza alla proteolisi e l’affinità del recettore al GnRH12-14.
Se il GnRH viene somministrato in modo pulsatile, mimando quanto avviene fisiologicamente a livello ipotalamico, durante e dopo
lo sviluppo puberale, si ottiene un aumento
dei livelli ematici di LH ed FSH. Questo effetto viene utilizzato nella terapia di varie condizioni cliniche accomunate da una alterata
e/o diminuita secrezione di GnRH (ipogonadismo ipogonadotropo). Se, al contrario, il
GnRH viene somministrato in modo continuo
(GnRHa) si ottiene, dopo un iniziale incremento del rilascio gonadotropinico, una condizione di refrattarietà dell’ipofisi all’ulteriore stimolazione con GnRH endogeno12-14.
La terapia ha lo scopo di:
a. arrestare la progressione dello sviluppo
puberale e/o ridurre la regressione dei
caratteri sessuali secondari;
b. normalizzare la velocità di crescita staturale;
c. rallentare la progressione della maturazione ossea per garantire una statura
definitiva adeguata la bersaglio genetico
d. alleviare i disturbi psicologici ed i problemi sociali, sia per i pazienti che per i
genitori15.
Nella maggioranza degli studi la statura finale delle pazienti trattate con GnRHa si colloca in una posizione intermedia, tra quella
prevista all’inizio della terapia ed il bersaglio
genetico.
L’unico studio che ha confrontato i risultati
della terapia con analoghi, in 2 gruppi di
bambine con pubertà anticipata, è quello
riportato da Carel et al. nel 199916. Gli
Autori hanno osservato, nel 64% delle bambine trattate con GnRHa tra i 6 e gli 8 anni di
età un incremento della statura finale uguale o superiore a 5 cm. Questi risultati non
verrebbero ottenuti se la terapia viene iniziata in una fascia di età più avanzata (7.5-8.5
anni)17.
È stato ampiamente documentato che la
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pubertà anticipata, a lenta progressione, non
necessita di terapia farmacologia in quanto il
potenziale di crescita non sembra essere compromesso18.
In conclusione, si ritiene che il trattamento
della pubertà anticipata con GnRHa debba
essere limitato alle pazienti con una o più
delle seguenti condizioni:
1. pubertà accelerata in una bambina di età
inferiore a 7.5 anni;
2. statura prevista patologica (< 3° centile)
o ridotta rispetto alla statura bersaglio;
3. drammatica riduzione nella altezza prevista, nel corso dei 6 mesi di follow-up;
4. presenza di importanti problemi psicologici secondari allo sviluppo puberale precoce.
Dopo la sospensione del trattamento nelle
bambine trattate il menarca, usualmente,
compare entro 11.6 ± 11 mesi (range 5-61
mesi). Il ripristino della normale ciclicità
mestruale, quando viene sospeso il GnRHa,
rappresenta un altro parametro per valutare
il successo del trattamento nella pubertà precoce gonadotropino-dipendente.
Jay et al.19 hanno esaminato, per un periodo
che si è prolungato fino a 7 anni dopo l’interruzione del trattamento, 46 pazienti di sesso
femminile, trattate per almeno 2 anni, ed
hanno rilevato un andamento mestruale ed
ovulatorio sovrapponibile a quello della normale adolescenza. Dopo l’interruzione del
trattamento, erano presenti regolari cicli, di
durata compresa tra 25 e 35 giorni, nel 41%
dei soggetti dopo 1 anno e nel 65% dopo 3 o
più anni. Entro 2 anni, il 90% dei cicli era ovulatorio. Inoltre, sono state registrate 5 gravidanze, a conferma di un normale potenziale
riproduttivo.
L’esperienza degli ultimi 14 anni indica,
quindi, che i GnRHa sono efficaci e ben tollerati e devono essere considerati l’opzione
terapeutica per il trattamento della pubertà
precoce gonadotropino-dipendente.
Storia mestruale nelle
ragazze con pubertà
anticipata
Non sono disponibili, in letteratura,
dati che si riferiscono esclusivamente alle ra-
gazze trattate con GnRHa. In un gruppo di
84 donne adulte con storia clinica di pubertà
anticipata (menarca all’età media di 9.4
anni), non trattate con analoghi del GnRH,
abbiamo registrato un regolare ciclo mestruale nell’85%, oligomenorrea nell’11.9% e
menorragia nel 2.3% dei casi. La durata del
follow-up è stata di oltre 27 anni (osservazioni personali).
Problemi a distanza
nella pubertà anticipata
Apter e Vihko20 hanno documentato
che le ragazze con menarca anticipato presentano precocemente cicli ovulatori. Tutto
ciò richiama l’attenzione sull’aumentata
esposizione di questa categoria di ragazze a
gravidanze in giovanissima età. Alcuni studi,
inoltre, riferiscono una possibile associazione della pubertà anticipata e/o menarca anticipato con un aumentato rischio di cancro
della mammella20-22, patologia cardiovascolare23 e problemi psicosociali15.
Nella nostra casistica non è stato documentato un aumentato rischio di patologia tumorale mammaria nelle 81 donne che avevano
presentato una pubertà anticipata.
Conclusioni
Nel complesso, queste osservazioni
suggeriscono l’opportunità di una più sistematica ed omogenea osservazione delle
bambine con pubertà anticipata allo scopo
di: diagnosticare tempestivamente eventuali
forme non idiopatiche, prevenire eventuali
problemi di ordine psicologico e comportamentale, raggiungere una più completa
conoscenza di tutti gli aspetti della naturale
evoluzione della pubertà anticipata. Queste
conoscenze contribuirebbero ad una migliore definizione dei criteri di scelta per un
eventuale trattamento volto a ritardare l’evoluzione delle varie fasi puberali e dell’età di
comparsa del menarca. Prima di intraprendere una terapia con GnRHa è opportuno ricordare che la normativa in vigore nel nostro
Paese (nota CUF 51) indica come limite inferiore di età per l’inizio del trattamento la
comparsa della pubertà prima dei 7 anni
nella femmina e 9 anni nel maschio.
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Volume 12, n. 2, 2009
63
Nel 1999, dieci anni fa, nacquero la Dermatologia Plastica e l’ISPLAD. Si intuì già allora l’importanza di creare un forte movimento di pensiero per affermare il ruolo fondamentale dello specialista dermatologo nelle problematiche legate all’aging e gli inestetismi cutanei.
Fu così che, io per primo, misi a disposizione tutte le mie già importanti conoscenze giornalistiche e
i miei buoni contatti con numerose realtà imprenditoriali del settore farmaceutico e dermocosmetico
per divulgare e sostenere il nascente progetto. Fondamentale fu l’approvazione del mondo accademico e dell’allora consiglio direttivo della SIDEV (il compianto Prof. Caputo ne era il Presidente) che all’unanimità intuì la potenzialità e l’utilità per tutti del progetto. Grazie all’entusiasmo di un gruppetto
di valorosi colleghi, che ancora adesso fanno parte del comitato direttivo o sono responsabili regionali, l’associazione nacque e mosse i suoi primi passi.
Per la prima volta si tennero corsi pratici itineranti (in dieci anni ne sono stati fatti oltre cento), in
cui colleghi esperti, senza remore e gelosie, insegnavano ai meno esperti come usare un filler, un peeling, un laser, etc. Fu da subito un grande successo! Nasceva la “Dermatologia Plastica” e ci si slegava dall’assoggettamento alla medicina estetica!
In contemporanea partì la comunicazione sui media: si cominciò a parlare sui giornali e in TV di “dermatologia plastica” o “dell’ISPLAD”: tutto per sostenere il ruolo importante del dermatologo, come
unico riconosciuto specialista, nel settore del benessere cutaneo. In dieci anni sono apparsi più di
1.300 articoli! Per rafforzare tutto si sono organizzate ogni anno grandi “campagne di prevenzione”,
esse hanno contribuito a far conoscere su tutto il territorio italiano molti giovani colleghi ed hanno
creato nuovo lavoro. Incredibile pensare come tutto questo sia stato fatto senza che nessun dermatologo abbia dovuto spendere nulla!
Nel dicembre 2001 partì il sito www.isplad.org, nel 2008 esso è stato letto da quasi 800.000 visitatori unici e secondo le previsioni alla fine di quest’anno dovrebbe raggiungere o superare il milione
di visitatori: fantastico! Naturalmente sul sito si trovano tutti i nomi dei soci con il loro paese di residenza. Le due segretarie dell’ISPLAD, grazie a questi contatti, ricevono ogni giorno molte telefonate
ed e-mail che richiedono informazioni su argomenti di dermatologia, terapie dermoplastiche e nominativi di dermatologi che le eseguono.
Nel 2005 prese vita “JPD”, subito diventata la rivista scientifica di riferimento per la Dermatologia
Plastica, apprezzatissima per la qualità degli articoli e per la veste editoriale; inviata gratuitamente
a tutti dermatologi. In tutti questi anni ogni iniziativa è stata improntata affinchè al dermatologo plastico fosse riconosciuta serietà e preparazione. Mai sono stati trascurati o sottovalutati gli effetti collaterali di ogni terapia presa in esame. Già dieci anni fa fummo i primi a criticare e a voler mettere
al bando i “filler permanenti”, mentre in tutti i congressi di medicina estetica essi imperavano e se ne
vantavano le lodi. Per studiare meglio gli effetti collaterali delle terapie estetiche fu creato
“l’Osservatorio Dermoplastico” e, con l’Istituto Superiore di Sanità, realizzammo un miliare convegno
a Roma nel 2007. Si potrebbe parlare ancora di molte altre cose avvenute in questo decennio, ma
basta constatare l’incredibile numero di circa 2.000 soci (tutti dermatologi) per capire come il progetto abbia avuto successo.
Ma è giunto adesso il momento, importante, in cui vorrei fare i miei auguri più cari ad Andrea Romani
che nel giugno di quest’anno è stato nominato all’unanimità come Primo Presidente del Consiglio
Direttivo ISPLAD, egli assumerà tutti i poteri e le responsabilità giuridiche dell’associazione per i prossimi due anni. Auguri di cuore anche a Mariuccia Bucci nominata Vicepresidente e ad Elisabetta Perosino
nominata Segretario Generale. Ancora un caro ringraziamento ad Ornella De Pità che lascia la sua carica di Vicepresidente per assumere la prestigiosa carica di Presidente dell’ADOI. Io manterrò la veste formale di Presidente Fondatore e sperando di poter dedicare finalmente qualche week-end in più alla mia
famiglia (a cui molto tempo ho sottratto in questi dieci anni) cercherò di non far mancare, finché potrò,
il mio entusiasmo e la mia energia affinché “la Dermatologia Plastica” e “l’ISPLAD” siano sempre più di
aiuto a tutti i colleghi che credono nell’importanza di essere dermatologi.
Antonino Di Pietro
Volume 12, n. 2, 2009
64
Effetti di un prodotto topico in lozione
e shampoo a base di timo-peptidi
nel telogen effluvium cronico e nell’alopecia
androgenetica iniziale della donna
Donne Dermatologhe Italia - DDI
Introduzione
La terapia del telogen effluvium (TE)
cronico 1-3 e dell’alopecia andro g e n e t i c a
(AGA) 4-6 richiede tempi lunghi di trattamento.
Infatti sono due quadri dermatologici che
impegnano i pazienti per mesi (TE) e anni
(AGA). È necessario quindi che il dermatologo
riesca a far comprendere ai pazienti che la
risposta terapeutica e la stabilizzazione del
quadro clinico richiedono applicazioni giornaliere e continuate.
In un precedente lavoro abbiamo valutato gli
effetti clinici dei timo-peptidi di sintesi nelle
patologie sopramenzionate, per un periodo
di tre mesi 7. Sulla scorta dei risultati positivi
ottenuti è stato ritenuto utile prolungare l’esperienza (oltre tale periodo) per confermarne efficacia e tollerabilità. Pertanto in questo
lavoro riportiamo gli effetti ottenuti nel TE
cronico e nell’AGA iniziale femminile dopo
un periodo di 6 mesi.
Le esperienze del passato con gli estratti timici, somministrati per via topica nella cura dei
disturbi del follicolo pilifero, hanno dato risultati positivi dal punto di vista clinico 8-10.
Queste esperienze, tuttavia, sono state condotte con peptidi di derivazione animale con
inevitabili rischi oggi non più ammissibili.
I peptidi timici utilizzati in questo studio sono
stati ottenuti attraverso tecniche di laboratorio (GKL02 FACTOR). Il loro basso peso molecolare ne assicura l’assorbimento e l’efficacia
biologica.
Obiettivo
Lo scopo dello studio è stato quello di
valutare gli effetti di una lozione e shampoo
a base di timo-peptidi di sintesi (Timosint®)
nel trattamento del TE cronico e delle fasi iniziali dell’AGA femminile dopo un periodo
d’uso di sei mesi con particolare riferimento
alla loro efficacia e tollerabilità.
Materiali e metodi
Popolazione oggetto dello studio
Sono state arruolate per lo studio due popolazioni di pazienti di sesso femminile:
Il primo gruppo comprendeva 10 pazienti
con AGA iniziale mentre Il secondo gruppo
comprendeva 105 pazienti con TE cronico
che hanno utilizzato il prodotto oggetto
dello studio per un periodo di 180 gg.
Criteri di inclusione
– Pazienti di sesso femminile, di età compresa tra i 16 e i 70 anni;
– Pazienti affette da TE cronico (oltre 6 mesi)
o da AGA iniziale;
– Sospensione delle terapie topiche farmacologiche e/o cosmetiche specifiche da almeno 30 giorni.
Criteri di esclusione
– Pazienti di sesso maschile;
– Pazienti di età < 16 anni e > 70 anni;
– Pazienti in gravidanza e allattamento;
– Pazienti affette da malattie sistemiche gravi;
– Pazienti in trattamento con farmaci e/o
cosmetici specifici;
– Pazienti con allergia nota ad uno dei componenti del prodotto.
Dose e somministrazione
Il prodotto, la cui composizione aminoacidica è riportata nella Tabella 1, è stato applica-
Volume 12, n. 2, 2009
65
Tabella 1.
Composizione in aminoacidi di GKL02 FACTOR.
Aminoacido
Acido aspartico (Asp)
Treonina (Thr)
Serina (Ser)
Acido glutamico (Glu)
Prolina (Pro)
Glicina (Gly)
Alanina (Ala)
Cisteina (Cys)
Valina (Val)
Metionina (Met)
Isoleucina (Ile)
Leucina (Leu)
Tirosina (Tyr)
Fenilalanina (Phe)
Istidina (His)
Lisina (Lys)
Arginina (Arg)
% w/w
6,18
2,86
2,09
8,6
8,12
33,45
11,21
0,09
4,88
0,44
2,91
5,42
0,01
1,98
0,2
6,98
4,59
to alla dose di 2 ml due volte al dì per 15
giorni, poi 2 ml una volta al dì per 22 settimane, per un totale di 24 settimane (6 mesi).
Le pazienti sono state istruite a lavare il cuoio
capelluto 2-3 volte alla settimana con shampoo non medicato (Timosint® shampoo con
timo-peptidi di sintesi).
Parametri di valutazione
La valutazione clinica è stata eff e t t u a t a
mediante la compilazione di una scheda da
parte del medico specialista al momento dell’arruolamento, a 30 gg (T1), 90 gg (T2) e a
180 gg (T3).
Sono stati valutati i seguenti parametri:
Pull test: la valutazione si è basata sulla
seguente scala: Grado 1 = neg (1-2 capelli);
Grado 2 = pos + (3-4 capelli); Grado 3 =
pos ++ (5-6 capelli); Grado 4 = pos +++ (> 6
capelli) e veniva effettuata al momento dell’arruolamento, dopo 30 gg (T1), dopo 90 gg
(T2) e 180 gg (T3). La significatività del
miglioramento del Pull test è stata valutata
utilizzando il test non parametrico di
Wilcoxon per dati appaiati.
Desquamazione, Seborrea, Eritema, Prurito:
La valutazione è stata fatta secondo il
seguente score: score 1 = neg; score 2 =
pos +; score 3 = pos ++; score 4 = pos +++
con il fine di mettere in evidenza la % di
miglioramento dopo 30 gg (T1), 90 gg (T2) e
180 gg (T3) di trattamento.
Le pazienti sono state giudicate: a) migliorate
se passate ad uno score inferiore; b) invariate
se hanno mantenuto la stesso score e c) peggiorate se passate ad uno score superiore.
È stato inoltre richiesto un giudizio da parte
del medico a 30 gg (T1), 90 gg (T2) e 180 gg
(T3) su Efficacia e Tollerabilità. Tale valutazione si è basata sul seguente grado di giudizio: Neg (scarsa); Pos + (discreta); Pos ++
(buona); Pos +++ (ottima).
Lo sperimentatore ha chiesto alle pazienti un
parere circa il gradimento cosmetologico del
trattamento basato su: consistenza del capello, gradevolezza della lozione e dello shampoo utilizzando la seguente scala: Neg (scarso); Pos + (discreto); Pos ++ (buono); Pos +++
(ottimo).
Alla fine del trattamento è stato richiesto alle
pazienti: a) un giudizio finale circa l’efficacia
del trattamento (ottimo, buono, discreto, sufficiente e scarso); b) un giudizio di questo
trattamento rispetto ai precedenti (migliore,
uguale, peggiore).
Risultati
Gruppo di pazienti con AGA
La Tabella 2 riassume la popolazione femminile arruolata con AGA.
Tabella 2.
Pazienti con AGA.
Età media: 31,3 anni
Età
Numerosità
%
16-30
6
60%
31-45
2
20%
46-60
2
20%
> 60
0
0%
Totale
10
100%
Pull test
Si è avuto miglioramento del test in maniera
progressiva sino ad arrivare alla normalizzazione di tutte le pazienti dopo 180 gg (T3) di
trattamento, 3 pazienti che risultavano positive a 90 gg sono diventate negative a
180 gg. L’analisi statistica tra T0 e T3 è risultata essere significativa: p = 0,002 (Figura 1).
Desquamazione (D), Seborrea (S), Eritema (E),
Prurito (P) valutati a T3 (180 gg) hanno dato
i seguenti risultati (Figura 2):
Volume 12, n. 2, 2009
66
Pull test
Efficacia
100%
90%
80%
Ottima 50%
Buona 50%
3
70%
60%
8
50%
10
40%
Figura 3. AGA.
Giudizio dello
sperimentatore
al termine del
trattamento.
7
30%
20%
10%
2
Tollerabilità
0%
T0
Assente
90 gg
Pos +
180 gg
Pos ++
Pos +++
Buona 40%
Figura 1. AGA.
Numero di pazienti in cui il Pull test è risultato
essere: assente; pos +; pos ++; pos +++ al tempo
T0, 90 gg, 180 gg. Il miglioramento tra T0 e
80 gg è statisticamente significativo: p = 0,002.
Ottima 60%
Segni clinici
Prurito
100
Eritema
100
Seborrea
100
Desquamazione
100
Figura 4. AGA.
Giudizio dello
sperimentatore
al termine del
trattamento.
Gradimento cosmetologico
100%
90%
80%
70%
60
60
60
40
40
40
60%
0%
50%
Migliorate
Invariate
100%
Peggiorate
50%
40%
30%
Figura 2. AGA
Pazienti (%): migliorate, invariate, peggiorate
dopo 180 gg (T3) di trattamento.
20%
10%
0%
D
S
E
P
=
=
=
=
migliorata
migliorata
migliorato
migliorato
100%
100%
100%
100%
Efficacia e Tollerabilità
Il giudizio dello sperimentatore, in merito
all’efficacia, dopo 180 gg di trattamento è
stato: a) ottimo nel 50% delle pazienti; b)
buono nel 50% (Figura 3).
Il giudizio dello sperimentatore in merito alla
Gradevolezza Gradevolezza
shampoo
shampoo
Scarso
Discreto
Buono
Consistenza
capello
Ottimo
tollerabilità è stato: a) ottimo nel 60% delle
pazienti; b) buono nel 40% (Figura 4). Non è
stato registrato nessun effetto collaterale.
Gradimento cosmetologico
Il giudizio delle pazienti sul gradimento
cosmetologico del trattamento è stato unifor-
Figura 5. AGA.
Giudizio del
paziente su:
gradevolezza
lozione, shampoo
e consistenza
capello.
Volume 12, n. 2, 2009
67
memente positivo. Le valutazioni relative alla
gradevolezza della lozione, dello shampoo e
della consistenza del capello sono riassunte
nella Figura 5.
Giudizio finale delle pazienti
Le pazienti hanno espresso un giudizio
buono nel 50% dei casi e ottimo nel 50% dei
casi. La lozione e lo shampoo utilizzate sono
stati ritenuti migliori dei precedenti trattamenti cosmetici nel 100% dei casi.
Gruppo di pazienti con telogen effluvium
La Tabella 3 riassume la popolazione femminile arruolata con TE.
Pull test
13
90%
1
6
25
80%
28
70%
36
60%
50%
40%
33
73
66
30%
20%
23
10%
0%
Tabella 3.
Pazienti con AGA.
1
10
100%
T0
Assente
90 gg
Pos +
180 gg
Pos ++
Pos +++
Età media: 39,96 anni
Età
Numerosità
%
16-30
32
30,48%
31-45
39
37,14%
46-60
22
20,95%
> 60
12
11,43%
Totale
105
100%
Pull test
Il Pull test ha dimostrato un ulteriore miglioramento in quanto 7 pazienti che risultavano
positive a 90 gg sono diventate negative a
180 gg. Il miglioramento del Pull test, valutato statisticamente, tra T0 e T3 è risultato essere altamente significativo e precisamente:
confronto T0 verso T3 p < 0,0001(Figura 6).
Desquamazione (D), Seborrea (S), Eritema
(E), Prurito (P) valutati a T3 (180 gg) hanno
dato i seguenti risultati (Figura 7):
D = migliorata 87%; invariata 9%;
peggiorata 4%
S = migliorata 83%; invariata 15%;
peggiorata 2%
E = migliorato 91%; peggiorato 9%
P = milgliorato 91%; peggiorato 9%
Efficacia e Tollerabilità
Il giudizio dello sperimentatore, in merito
all’efficacia, dopo 180 gg di trattamento è
stato positivo nel 92% dei casi (Figura 8).
Il giudizio dello sperimentatore in merito alla
tollerabilità è stato positivo nel 100% (Figura
9). Non è stato registrato nessun effetto collaterale.
Figura 6. Telogen effluvium cronico
Numero di pazienti in cui il Pull test è risultato
essere: assente; pos +; pos ++; pos +++ al tempo
T0, 90 gg e 180 gg. La significatività è stata:
T0 verso T3 p < 0,0001 altamente significativa.
Segni clinici
Prurito
91
9
Eritema
91
9
83
Seborrea
15 2
9 4
87
Desquamazione
0%
20%
Migliorate
40%
60%
Invariate
80%
100%
Peggiorate
Figura 7. Telogen effluvium cronico
Pazienti (%): migliorate, invariate, peggiorate
dopo 180 gg (T3) di trattamento.
Gradimento cosmetologico
Il giudizio delle pazienti sul gradimento
cosmetologico del trattamento è stato
uniformemente positivo. Le valutazioni relative alla gradevolezza della lozione, dello
shampoo e della consistenza del capello
sono riassunte nella Figura 10.
Giudizio finale delle pazienti
Le pazienti hanno espresso un giudizio ottimo nel 41% dei casi, buono nel 36%, discre-
Volume 12, n. 2, 2009
68
Efficacia
Gradimento cosmetologico
Scarsa 8%
Ottima 19%
100%
90%
18
25
29
80%
Discreta 25%
70%
60%
48
44
50%
43
40%
Buona 48%
30%
20%
Figura 8. Telogen effluvium cronico
Giudizio dello sperimentatore
al termine del trattamento.
28
25
3
3
10%
0%
27
7
Gradevolezza Gradevolezza Consistenza
shampoo
shampoo
capello
Scarso
Discreto
Buono
Ottimo
Tollerabilità
Ottima 28%
Discreta 28%
Buona 44%
Figura 9. Telogen effluvium cronico
Giudizio dello sperimentatore
al termine del trattamento.
to nel 16%, sufficiente nel 4% e scarso nel 3%.
La lozione e lo shampoo utilizzate sono stati
ritenuti migliori dei precedenti trattamenti
cosmetici nell’75% dei casi, uguale nel 23% e
peggiore nel 2%.
Conclusioni
Lo scopo dello studio è stato quello di
valutare, per un periodo relativamente lungo
(sei mesi), un composto (Timosint®) basato
su un principio “funzionale” rappresentato
da peptidi di sintesi a basso peso molecolare, sostanze naturali (Vitamina E, caffeina,
Urtica dioica) e ingredienti cosmetici (proteine vegetali, pantenolo). I timo-peptidi di sintesi (contenuti sia nella lozione che nello
shampoo) sono caratterizzati da un basso
peso molecolare e sono stati ottenuti per sin-
tesi e non attraverso estrazione da tessuti animali. Il peso molecolare medio dei singoli
peptidi varia da 180 a 600 daltons e ciò favorisce la loro penetrazione trans-follicolare
dopo applicazione topica 11. La composizione
aminoacidica di tali peptidi ne determina gli
effetti biologici. Il composto agisce: a) come
pool per la sintesi delle cheratine 12; b) nella
stimolazione della crescita cheratinocitaria 13; c) nella partecipazione all’omeostasi
immunologica della cute 14. Gli “attivi” naturali (caffeina-Vitamina E-Urtica dioica) migliorano le condizioni di crescita del capello stimolando la produzione di energia necessaria
al metabolismo follicolare e svolgendo un’azione di “scavanger”. Gli ingredienti cosmetici (estratti vegetali-pantenolo e pro t e i n e
vegetali) aumentano il volume e la pettinabilità dei capelli. Dopo sei mesi di trattamento
è stato registrato un miglioramento del Pull
test: tre pazienti con AGA e sette con TE cronico che erano ancora positivi dopo 90gg si
sono normalizzati dopo i sei mesi di trattamento. Si può desumere che l’effetto positivo del prodotto si è esteso oltre agli iniziali
3 mesi di trattamento ed è l’espressione dell’attività stimolante dei timo-peptidi sulla
fase di crescita dei cheratinociti.
I sintomi desquamazione, seborrea, eritema e
prurito sono ulteriormente migliorati sino alla
fine del trattamento dei 6 mesi. Tali effetti
sono l’espressione indiretta di una azione sul
metabolismo dei cheratinociti, sul processo
dell’infiammazione cutanea e sulla produzione
di sebo. Sia la lozione che lo shampoo conten-
Figura 10.
Telogen
effluvium
cronico
Giudizio del
paziente su:
gradevolezza
lozione,
shampoo e
consistenza
capello.
Volume 12, n. 2, 2009
69
gono attivi naturali come: tocopheryl acetate,
caffeina, pantenolo, estratti vegetali in grado
di migliorare le qualità cosmetologiche dei
fusti pilari 15. L’efficacia e la tollerabilità sono
state confermate anche a 6 mesi. La tollerabilità e le qualità cosmetologiche dei prodotti
utilizzati, diventano cruciali quando i tempi di
trattamento sono inevitabilmente lunghi come
in questi casi. I dati ottenuti, confermano che
l’uso della lozione e dello shampoo hanno
avuto una ottima compliance da parte delle
pazienti. Le citate qualità cosmetologiche
dello shampoo sono state particolarmente
apprezzate dalle pazienti che hanno riferito
miglioramento del volume e della lucentezza
dei capelli. In conclusione questa esperienza
con peptidi a basso peso molecolare nel trattamento di alcune frequenti condizioni patologiche del cuoio capelluto come il TE cronico e
l’AGA iniziale, dimostra che è possibile ottenere una risposta clinica sia sul fenomeno della
caduta che sui sintomi ad essa associati come:
desquamazione, seborrea, eritema e prurito.
Si conferma pertanto, come già postulato nella
fase progettuale dello studio che i peptidi a
basso peso molecolare esercitano un effetto
positivo sui quadri clinici considerati. Il progressivo miglioramento del Pull test sottolinea
che il trattamento deve essere condotto per
un lungo periodo affinchè lo stimolo portato a
livello follicolare possa favorire: a) un veloce
recupero del numero di capelli persi nel TE
cronico; b) un rallentamento dell’evoluzione
della miniaturizzazione dei capelli nell’AGA.
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Investigational Report 2005.
15. Rondanelli M. “Le vitamine-come, quando, perché, Centro Scientifico Editore, Torino, 1995.
Tratto da: Journal of Plastic Dermatology 2009; 5.
Partecipanti
Andreassi Maria Gabrielle
Barba Annalisa
Barbaso Daniela
Bassissi Paola
Belloli Cristiana
Benedetti Maria Cristiana
Bertazzoni Marina
Cannavò Patrizia
Cantù Alessandra Maria
Capezzera Rossana
Caporicci Giuliana
Carmagnola Anna
Ciuffreda Adriana
Cocciò Giovanna
Costa Carla Maria
De Padova Maria Pia
Di Landro Anna
Domaneschi Elisabetta
Fabbrocini Gabriella
Ferrara Caterina
Fileccia Piera
Giuliano Giuseppina
Lapucci Ezia
Lazzerini Sabrina
Mazzola Giuseppina
Montalbano Maddalena
Pucci Romano
Rigoni Corinna
Solaroli Carmen
Strumia Renata
Tedeschi Aurora
Tosti Antonella
Vanotti Paola
Zane Cristina
Chieti
Verona
Torino
Parma
Milano
Ponte a Moriano (LU)
Vicenza
Messina
Milano
Brescia
Pollenza (MC)
Torino
Milano
S. Benedetto del T. (AP)
Parma
Bologna
Brignano D'Adda (BG)
Cremona
Napoli
Spadafora (ME)
Roma
Pisa
Ortonovo (SP)
Gattico (NO)
Palermo
Milano
Roma
Milano
Torino
Ferrara
Catania
Bologna
Luvinate (VA)
Brescia
Volume 12, n. 2, 2009
59
Neoplasia prostatica:
ruolo della risonanza magnetica
Alessandro Bertaccini
Introduzione
L’esame può essere eseguito mediante
bobine di superficie applicate sulla regione
sovrapubica oppure con bobine specifiche
endorettali. Le bobine endorettali consentono
di ottenere immagini con migliore risoluzione
spaziale e di contrasto, ma presentano un
ridotto campo di vista e la possibilità di artefatti legati alle contrazioni dello sfintere anale
durante l’acquisizione delle sequenze ed alla
vicinanza della bobina alla zona periferica
della ghiandola. L’esame consiste nella assunzione di diverse sequenze e su piani diversi.
Le sequenze in T2 sono le uniche che consentono una definizione dell’anatomia zonale
della ghiandola prostatica in quanto la zona
periferca normale si presenta con elevata
intensità di segnale. La zona centrale, sede
dell’iperplasia invece appare marcatamente
disomogenea con zone iper ed ipointense in
base alla struttura istologica dei noduli di
iperplasia.
La capsula prostatica è ben identificabile
come una linea ipointensa in tutte le sequenze nettamente delimitata all’esterno dal grasso e dai vasi periprostatici. Le vescicole seminali presentano pareti
ipointense e contenuto
iperintenso e sono chiaramente distinte dal tessuto ghiandolare normale o patologico. Il carcinoma localizzato nella
zona periferica (localizzazione più fre q u e n t e )
risulta in T2 sempre
come una zona a bassa
intensità di segnale
(quindi scuro) rispetto al
Clinica Urologica
Alma Mater Studiorum
Università degli Studi
di Bologna
tessuto sano circostante (di colore bianco)
(Figura 1). I dati bioptici hanno però dimostrato che non tutte le zone ipointense in T2
sono in realtà carcinomi.
Lo stesso comportamento di segnale è presente anche nelle flogosi croniche e nelle prostatiti granulomatose. Inoltre in molti carcinomi la ipointensità della zona periferica è
poco intensa per cui essa si confonde facilmente con il tessuto normale.
I carcinomi della zona centrale (molto meno
frequenti rispetto alla zona periferica) sono
ugualmente ipointensi, ma si confondono
con i noduli di iperplasia che hanno spesso il
medesimo comportamento di segnale.
Alcuni Autori hanno proposto la somministrazione di mezzo di contrasto paramagnetico e l’assunzione di scansioni precoci le
quali evidenziere b b e ro un rapido e transitorio “contrast enhancement” delle lesioni
neoplastiche. Tali dati devono però avere
ancora una conferma su casistiche più
ampie (Figura 2).
La stadiazione del carcinoma prostatico
mediante RM si basa sulla dimostrazione dei
Figura 1.
Scansioni coronale, trasversale e sagittale di ghiandola prostatica affetta
da lesione neoplastica ipointensa (freccia) di 1 cm della ghiandola periferica di sinistra apparentemente confinato alla prostata.
Volume 12, n. 2, 2009
60
A
B
Figura 2.
Immagini T2 pesate con area ipointensa della ghiandola periferica posteriore
(A), evidenziata dall’MR dinamica con mezzo di contrasto (Gadolinio) (B).
rapporti spaziali tra area tumorale, capsula prostatica, vescicole
seminali e tessuto adiposo periprostatico. Lesioni ben delimitate
da tessuto apparentemente normale rappresentano le-sioni allo
stadio T1 o T2, mentre quelle che
hanno superato la cap-sula sono
di stadio T3a o T3b se interessano
le vescicole seminali.
Rimangono indefiniti quei casi in
cui il tumore è contatto con la
capsula: in questi casi la lesione
può risultare istologicamente ancora intraghiandolare o può aver
già superato la capsula con focolai
microscopici. Le medesime considerazioni valgono anche per il
coinvolgimento delle vescicole
seminali (Figura 3).
Le adenopatie pelviche o a distanza non presentano caratteri specifici quando sede di metastasi se
non per il loro volume aumentato.
In via ancora sperimentale sono
stati impiegati mezzi di contrasto
linfotropi (Figura 4) che permetterebbero la dimostrazione delle
metastasi linfonodali per il diverso
comportamento di segnale.
Un nuovo approccio per la caratterizzazione diagnostica e la valutazione longitudinale del carcinoma
prostatico è rappresentato dall’uso della risonanza magnetica per
immagini convenzionale (MRI) in combinazione con la spettroscopia di risonanza
magnetica del protone
(MRSI).
L’uso combinato dell’MRI e dell’MRSI integra il dettaglio anatomico
dell’imaging
convenzionale
con
l’informazione metabolica ottenuta con la
spettroscopia.
Con l’MRSI è possibile
quantificare, con una
risoluzione spaziale di
circa 0.3 cm3, alcuni
metaboliti caratteristici del tessuto prostatico quali: citrato, creatina, colina e poliammine. Il risultato di un
esame MRSI è costituito da una serie di
spettri relativi a volumi contigui (“v o x e l”)
che costituiscono una
Figura 3.
Invasione della vescicola seminale
sinistra da parte di un processo neoplastico a partenza prostatica.
Figura 4.
Alterazione linfonodale in sede perivescicale dopo iniezione di
nanoparticelle superparamagnetiche linfotrope.
Volume 12, n. 2, 2009
61
sorta di “mappa” metabolica dell’intera ghiandola, direttamente sovrapponibile alle immagini RM acquisite. La MRSI permette quindi di
caratterizzare metabolicamente regioni prostatiche ad alterata intensità di segnale
(ipointensità) e sospette per carc i n o m a
(Figura 5).
Nel tessuto della prostata sana le cellule sono
altamente specializzate nell’accumulo di
zinco, che inibisce l’attività dell’enzima aconitasi e quindi l’ossidazione del citrato, che si
accumula in grandi quantità. In presenza di
iperplasia prostatica benigna, le cellule epiteliali, così come quelle sane, producono ancora molto citrato. Al contrario, nel tessuto
tumorale non si ha accumulo di zinco e quindi anche l’accumulo di citrato è drammaticamente ridotto. Gli spettri in presenza di cancro mostrano un ridotto contenuto di citrato,
un ridotto contenuto delle poliammine ed un
aumento della colina. L’aumento della colina
nel tessuto tumorale è dovuto ad un aumento della cellularità e del metabolismo di membrana.
Negli studi pubblicati in letteratura, l’aumento
di colina e la riduzione di citrato misurati a
livello prostatico sono risultati significativamente più elevati nei tumori ad alto grado (in
genere maggiormente aggressivi!), con una
correlazione precisa tra la diminuzione di citrato/aumento di colina e il grado patologico del
c a n c ro determinato secondo il sistema di
Gleason (Gleason score).
Altri studi eseguiti a livello clinico su questa
metodica sono stati condotti mettendo a confronto i risultati della MRSI con campioni chirurgici ottenuto dalle prostatectomie radicali
ed hanno dimostrato una elevata accuratezza
diagnostica nella localizzazione del tumore a
livello intraprostatico ed extraprostatico, con
valori di sensibilità e specificità talora superiori all’ 80-90%. Questi elevati livelli di “a c c u r atezza diagnostica”, uniti ad una buona risoluzione spaziale, ne fanno uno strumento potenzialmente utile, specie in caso di pa-zienti
già sottoposti a prima biopsia negativa, sia per
guidare il prelievo bioptico (biopsie “voxel
m i r a t e”) su regioni prostatiche metabolicamente sospette ma difficili da biopsiare (Figura
6), sia per valutare l’effetto di terapie che
lasciano la prostata in sede come l’ormonoterapia, la ra-dioterapia, l’HIFU o la crioablazio-
Figura 5.
Alterazioni metaboliche della ghiandola periferica sinistra (aumento di colina e riduzione di citrato) con
quadro metabolico normale a destra.
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62
Anterior,
transition zone cancer
B
A
Figura 6.
Tumore localizzato nella ghiandola
prostatica anteriore alla RM (freccia):
A, alterazione del segnale spettroscopico (asterischi), B, reperto istologico.
ne. Inoltre, specie in caso di ripetute biopsie
negative, la Spettroscopia RM è uno strumento aggiuntivo opzionale ad uno stretto followup clinico (monitoraggio non invasivo e con-
servativo del paziente) (Figura 7).
In conclusione, la
risonanza magnetica
non può certo essere
considerata una diagnostica di routine
per quanto riguarda
diagnosi e stadiazione di neoplasia prostatica, né può sostituire l’ecografia transrettale con biopsie
prostatiche. Tuttavia,
per quanto ri-guarda
la diagnostica può
e s s e re utilizzata in
caso di più “set bioptici negativi” per cercare aree a più “alto
sospetto” dove mirare i prelievi; per
quanto riguarda la
stadiazione può essere consigliata in alcuni
casi selezionati per cercare di migliorarne
l’accuratezza al fine ottimizzare una scelta
terapeutica.
Figura 7.
Paziente di 67 aa con PSA 9,3 ng/ml e diagnosi di microfocolaio G2 (1,5 mm) in 1/12 prelievi bioptici.
La Spettroscopia RM dimostra un quadro metabolicamente negativo e un imaging RM normale, supportando ulteriormente un “approccio conservativo” del paziente.
Volume 12, n. 2, 2009
71
Il ruolo della microinfiammazione e
dell’apoptosi nella alopecia androgenetica:
nuove strategie terapeutiche
Paola Bezzola, Elisabetta Sorbellini
Introduzione
Il follicolo pilifero è una struttura biologica estremamente complessa, formata da un
sistema di interazioni tra la componente cell u l a re epiteliale, neuro-ectodermica-mesenchimale, regolato da un complesso ricco di
cellule staminali. Il bulbo del capello e del
pelo è anche l’unico organo del corpo umano
che è sottoposto alle continue e cicliche fasi
di vita, dallo stadio di rapida crescita (anagen), a quello di regressione indotta dal meccanismo di apoptosi (catagen), al periodo di
relativa quiescenza (telogen).
Tutto il ciclo di attività, che Paus chiama l’orologio biologico del ciclo del capello (Hair
Cycle Clock, HCC)1, è regolato nelle strutture
intrinseche del follicolo, e al momento non è
ancora stato evidenziato con certezza quali
meccanismi siano coinvolti.
Una cosa sembra evidente dai vari studi condotti nell’ultimo decennio: le fasi del ciclo
sono soggette a numerosi agenti modulatori
extrafollicolari e addirittura extracutanei (le
sostanze che arrivano dal sistema circolatorio
come l’ossigeno, le sostanze nutritive, gli
ormoni, le citochine, vari co-fattori che re g o l ano l’attività enzimatica), ma gli studi di coltivazione dei follicoli di Philpott hanno dimostrato che i bulbi sono in grado di mantenere
la capacità ciclica della fase anagen e dell’induzione dell’apoptosi per attivare il catagen
anche in vitro, indipendentemente dalle sollecitazioni extra-follicolari, dalla vascolarizzazione e dalla innervazione.
Tutto ciò dimostra che il meccanismo di re g olazione del HCC è localizzato proprio all’interno del bulbo, o delle strutture cutanee perifollicolari. Queste conoscenze hanno una rilevanza clinica fondamentale, dal momento che è
stato dimostrato che ogni soggetto che presenti una patologia tricologica è affetto da
un’alterazione del ciclo di attività del follicolo.
International Hair Research Foundation, Milano.
è evidente infatti che chi soffre di un accorc i amento della fase anagen presenterà una forma
di caduta dei capelli (telogen effluvium, alopecia areata) o di trasformazione di capelli terminali in peli vellus nel quadro androgenetico
maschile e femminile regolato dalla modificazione dei recettori ormonali. Viceversa, l’allungamento della fase anagen è alla base di patologie come l’irsutismo e l’ipertricosi indotte da
diversi fattori etiologici.
Queste evidenze diventano di grande importanza nel momento in cui fosse possibile
manipolare il HCC con qualche farmaco o
sostanza attiva, che possa regolare il ciclo di
attività per prolungare l’anagen nelle forme di
caduta o di miniaturizzazione dei capelli, o
ridurla per trattare alterazioni cosmetiche
come l’ipertricosi e l’irsutismo (Figura 1).
Quando il follicolo pilifero subisce un danno di
qualsiasi origine in grado di alterare il contro llo della fase ciclica, determina inevitabilmente
Figura 1.
Volume 12, n. 2, 2009
72
Figura 1.
un processo di induzione dell’apoptosi che
provoca il passaggio precoce del bulbo alla fase di catagen (“dystrophic catagen pathway”).
Le varie noxae patologiche provocano alterazioni più o meno veloci e talvolta sono farmacologicamente controllabili, soprattutto fino a
quando il danno non coinvolge in modo irreparabile i diversi stipiti di cellule staminali delle
varie strutture del bulbo del capello.
I meccanismi di regolazione del HCC controllano certamente la funzione della papilla dermica (DP) della matrice, e dei cheratinociti
della matrice e della guaina epiteliale esterna.
Questo sistema partecipa in toto al funzionamento di quella che è ormai definita l’unità
follicolo-melanocitica.
Nella forma più comune di patologia tricologica, l’alopecia androgenetica (AGA) sia maschile che femminile, i recettori androgenici (AR)
all’interno dei fibroblasti della papilla dermica
determinano la trasformazione del pelo terminale in vello per colpa della trasformazione del
testosterone nell’androgeno più forte (diidro t estosterone, DHT), via l’azione dell’enzima 5-!reduttasi sia di tipo I che di tipo II, e della ridotta trasformazione del testosterone in estro g eni via l’attività dell’enzima aromatasi.
Il legame degli androgeni a AR determinano i
cambiamenti della trascrizione dell’espressione genica nella DP, con conseguente riduzione della crescita dei capelli e alterazione della
loro regolazione ciclica. Recenti studi di M.
Philpott hanno dimostrato, tra l’altro, che le
DP delle aree affette da alopecia androgenetica sono sottoposte ad una senescenza precoce, e che esprimono un numero elevato di
marker di stress ossidativo e di danno del
DNA (p16, HSP-27, super-ossido-dismutasi 1,
catalasi, p53, eccetera) 2.
Vari stimoli fisiologici e patologici possono
indurre l’apoptosi delle cellule del bulbo:
stress ambientali3, 4, inquinamento 5, 6, farmaci 7, raggi ultravioletti, reazioni infiammatorie
perifollicolari 8, 9.
In particolare, l’implicazione degli attivatori
dell’infiammazione nell’etiologia dell’AGA è
stata messa in evidenza di recente da numerosi studi. La fibroplasia del derma perifollicolare sembra essere una delle cause del processo
di apoptosi del bulbo e di miniaturizzazione, e
vari studi istologici hanno evidenziato la presenza di un infiltrato di linfociti T attivati e di
macrofagi nel terzo superiore dei follicoli aff e tti da AGA, con caratteristiche di infiltrazione
moderata decisamente diverse da quelle delle
forme di alopecia cicatriziale.
Altri studi hanno dimostrato le caratteristiche
cliniche tipiche di queste forme di microinfiammazione, con sintomi evidenti di eritema
e desquamazione dello scalpo (recentemente
definiti da M i s e ry10 e da Rinaldi 11 con il termine di “scalpo sensibile”) dimostrabili anche con
tecniche di videodermatoscopia e di micro s c opia confocale.
Scopo di questo studio è stato quello di dimostrare che la senescenza precoce dei fibroblasti della DP e la microinfiammazione perifollicolare giocano un ruolo importante nell’AGA
(scatenamento?, peggioramento?), e in accordo con P a u s, Philpott e Rinaldi, la terapia dell’alopecia androgenetica (come peraltro di
qualsiasi altra patologia tricologica) non può
prescindere dal controllo della micro i n f i a mmazione perifollicolare e della apoptosi precoce del bulbo. Per questo abbiamo valutato
gli effetti di una sostanza ad azione anti 5-!riduttasi (miscela di acidi polinsaturi) e di due
sostanze ad azione anti-apoptotica (supero ssido-dismutasi) e antiinfiammatoria (beta-glucano) per os in soggetti affetti da AGA in un
trial clinico in cieco verso placebo.
Materiali e metodi
È stato condotto uno studio randomizzato in doppio cieco su 90 soggetti volontari,
sani, di sesso maschile e femminile (45 uomi-
Volume 12, n. 2, 2009
73
ni e 45 donne) di età compresa tra i 18 e i 55
anni affetti da alopecia androgenetica (di grado
I-III secondo la scala di Hamilton negli uomini e
I-II secondo la scala di Ludwig nelle donne).
I pazienti sono stati divisi in tre gruppi di 30
soggetti:
al primo gruppo (15 uomini e 15 donne)
è stato somministrato per via orale un
integratore a base di acidi grassi poliinsaturi (omega 3, 6, 7 e 9) sotto forma di 2
cps da 400 mg ciascuna da assumere una
volta al giorno per un periodo di un anno;
al secondo gruppo (15 uomini e 15
donne) è stato somministrato per via
orale un integratore a base di acidi grassi
poliinsaturi (omega 3, 6, 7, 9) associati a
betaglucano, naringenina, e superossidodismutasi;
al terzo gruppo (15 uomini e 15 donne) è
stato somministrato un placebo (400 mg
in due compresse al giorno di calcio fosfato di basico, cellulosa microcristallina,
magnesio stearato, biossido di silicio).
I criteri di esclusione dallo studio sono stati:
concomitanti terapie ormonali e/o farmacologiche;
gravidanza e allattamento;
patologie sistemiche ormonali, metaboliche ed autoimmuni;
terapie tricologiche specifiche eseguite
negli ultimi 3 mesi;
concomitanti patologie infiammatorie del
cuoio capelluto quali dermatite seborroica,
dermatiti irritative o allergiche;
indisponibilità a firmare un consenso informato.
Dopo la valutazione basale (T0) prima dell’inizio del trattamento, sono stati eseguiti altri 4
controlli T1 dopo 3 mesi, T2 dopo 6 mesi T3
dopo 12 mesi e T4 dopo 15 mesi (a distanza di
3 mesi dalla fine della terapia).
Ad ogni controllo è stata eseguita una valutazione clinica con un esame in epiluminescenza
per la valutazione del diametro del fusto in
un’area predefinita e premarcata ed i parametri
sono stati valutati con metodo fotografico
(Mole Max II, Dermal Instruments Italia). È stata
inoltre eseguita una valutazione con micro s c opia confocale (L u c i d) per valutare il diametro
del capello, la fibrosi del derma con le modifiche di densità del tessuto, le variazioni di
vascolarizzazione, la presenza di infiltrati
perifollicolari.
È stata richiesta anche un’autovalutazione del
paziente che era invitato a valutare il grado di
efficacia del prodotto sul miglioramento dell’alopecia androgenetica (miglioramento
generale della struttura dei capelli e della
massa) e sui sintomi eventualmente correlati
(tricodinia, prurito)
L’analisi statistica è stata eseguita sui cambiamenti a T1, T2, T3, T4 rispetto ai dati basali.
I dati sono stati analizzati utilizzando il t-test
di Student, tranne i dati di efficacia che sono
stati analizzati con l’analisi di covarianza.
Risultati
88 pazienti su 90 hanno portato a termine lo studio, 2 pazienti (entrambi di sesso
maschile ed appartenenti al gruppo placebo)
hanno interrotto la terapia per problemi personali e quindi sono considerati dropped-out.
Lo studio è stato condotto da dicembre 2006
(arruolamento) ad aprile 2008 e la durata dello
studio per ogni paziente è stata di 15 mesi, in
modo che si potessero escludere eventuali influenze di fenomeni stagionali sulla caduta dei
capelli.
Alla valutazione dermatoscopica si sono individuati parametri oggettivi di riferimento: diametro del fusto, presenza di alone perifollicolare, segni di infiammazione quali eritema diffuso e dilatazione dei capillari. Analoghi parametri sono stati considerati nella valutazione
con microscopia confocale: variazioni del diametro del fusto, presenza di infiltrato infiammatorio perifollicolare, fibrosi del derma,
grado di vascolarizzazione con valutazione del
diametro del fusto dei capelli come indici dello
stato infiammatorio e della fibrosi dermica.
Diametro dei fusti
L’aumento del diametro dei fusti è stato
molto significativo nel gruppo II che assumeva
l’integratore a base di acidi grassi insaturi,
betaglucano, naringenina e SOD (80% di
miglioramento), quasi altrettanto netto nel
gruppo I che assumeva integratore con soli
acidi grassi polinsaturi (72%) e non significativo nel gruppo placebo (6%). La percentuale di
miglioramento è stata progressivamente crescente a partire da T1 fino a T3 e si è mantenuta stabile nel gruppo II anche a 3 mesi dalla
sospensione (da 0,4 a 0,89 mm) con una riduzione invece nel gruppo I. Le valutazioni ai
tempi intermedi T1 e T2 hanno seguito coeren-
Volume 12, n. 2, 2009
74
Valutazione dell’incremento del diametro del fusto
a T1,T2,T3,T4: si noti il significativo incremento
nei gruppi 1 e 2 con persistenza del miglioramento
più marcata nel gruppo 2 al follow-up a tre mesi.
Valutazione della riduzione dell’infiammazione a
T1,T2,T3,T4: si noti il significativo miglioramento
nel gruppo 2 con marcata persistenza del miglioramento al follow-up a tre mesi.
za di andamento con la valutazione finale e
pertanto si è potuto definire un trend di miglioramento pro g ressivo.
cellule dell’infiltrato infiammatorio. Analogamente il miglioramento della fibrosi e la normalizzazione della vascolarizzazione sono
stati evidenti nel gruppo II e sostanzialmente irrilevanti negli altri due gruppi.
I miglioramenti riscontrati si sono mantenuti
costanti anche a T4 cioè tre mesi dopo la
sospensione nel gruppo II mentre si è notato
un peggioramento nel gruppo I.
Infiammazione, fibrosi, vascolarizzazione
La percentuale di miglioramento dell’infiammazione tra T0 e T3 è stata molto
significativa nel gruppo II (85%), poco rilevante nel gruppo I (28%), non significativa
nel gruppo placebo (2%). Il grado di infiammazione è stato valutato secondo il seguente score: 0 (assente), 1 (moderata), 2 (marcata), 3 (grave). Lo score è stato realizzato considerando i parametri di dermatoscopia e
quelli di microscopia confocale, dando un
valore numerico alla quantità di fibrosi, presenza di cellule dell’inflitrato e delle modificazioni vascolari. La standardizzazione della
tecnica di microscopia confocale, utilizzata
ormai da anni, permette di riconoscere e differenziare le varie strutture cutanee, misurare e valutare le modificazioni del diametro
dei vasi e, soprattutto, identificare le diverse
Autovalutazione dei pazienti
La valutazione di efficacia sul miglioramento dell’alopecia androgenetica (aumento del diametro dei fusti) e sul miglioramento dei sintomi associati (tricodinia, prurito) è
stata valutata secondo il seguente score: 0
(insufficiente), 1 (sufficiente), 2 (medio), 3
(ottimo).
I risultati nel gruppo II dimostrano un miglioramento dei sintomi associati in una perc e ntuale alta di pazienti ed un significativo incremento del diametro dei capelli in accordo con
quanto emerso dalle valutazioni strumentali.
Volume 12, n. 2, 2009
75
Nel gruppo I il miglioramento dei sintomi era
modesto, mentre il miglioramento del diametro dei fusti era significativo. Nel gruppo placebo le variazioni sono state statisticamente
non significative.
Nessuno dei soggetti trattati ha segnalato
effetti collaterali sistemici o cutanei in seguito all’assunzione delle sostanze per via orale. I principi attivi testati erano tutti di origine naturale, formulati in una composizione
specifica, in capsule da 400 mg totali di
sostanze attive.
Discussione
Il principale meccanismo patogenetico
dell’alopecia androgenetica sembra essere
quello indotto dai recettori androgeni, via l’attività enzimatica dell’enzima 5-!-reduttasi di
tipo I e di tipo II sulle cellule della papilla dermica. Innumerevoli studi hanno dimostrato
l’efficacia di sostanze con azione inibitrice
dell’enzima sia di tipo farmacologico (finasteride, dutasteride) che di tipo naturale (Serenoa
repens 12, Bohemeria nipononivea13, 14, miscele
di acidi polinsaturi con affinità ai recettori dell’enzima), per ridurre la miniaturizzazione dei
bulbi affetti da AGA e la progressione della
calvizie. Due studi di Sawaya 15, 16 hanno evidenziato anche che il DHT aumenta l’espressione delle caspasi (che funzionano da attivatore dell’apoptosi a livello delle cellule della
papilla dermica), e in particolare velocizza la
cascata delle caspasi con la formazione della
Figura 1.
Microscopia confocale di scalpo di soggetto affetto da
AGA, 120 µm di profondità: si evidenzia aumento di fibre
collagene in sottili fasci intorno al dotto pilosebaceo,
presenza di vasodilatazione e infiltrato macrofagico.
caspasi 3 che determinano l’alterazione del
ciclo cellulare del follicolo nell’AGA.
Gli Autori hanno anche dimostrato che la
finasteride, riducendo la conversione del T in
DHT, modifica l’espressione genica delle
caspasi e riduce l’attivazione dell’apoptosi
nell’AGA17. L’azione quindi di una sostanza
ad attività anti 5-!-reduttasi, bloccando la
conversione del testosterone intracellulare,
contribuisce in parte a limitare l’apoptosi.
Le alterazioni del ciclo di attività del capello,
però, come dimostrato da P a u s, riconoscono
innumerevoli e ancora in parte sconosciuti
meccanismi che sono la causa del danno cellulare. Certamente la microinfiammazione
perifollicolare è una delle cause di morte cellulare, e del conseguente aumento dell’incidenza della caduta dei capelli dovuta ad una
modificazione del ciclo di attività del bulbo
pilifero. La microinfiammazione del derma follicolare, con segni di infiltrato infiammatorio
di linfociti T e di macrofagi a livello del terzo
superiore del follicolo, associato ad una fibrosi con ispessimento di fibre collagene perifollicolari nelle aree affette da AGA. Studi di biopsie orizzontali dello scalpo affetto da AGA
hanno dimostrato che si tratta di una fibrosi
moderata con ampi strati concentrici di fibre
collagene, ben distinta dalle caratteristiche
istologiche delle forme di alopecia cicatriziale.
La Figura 1 mostra l’aspetto della cute in prossimità del follicolo, con presenza di aumento
di fasci collagene, e presenza di macrofagi
sparsi, come appare al microscopio confocale. Per questo è stato coniato il termine di
micro-infiammazione per distinguere il processo lento e subdolo di questa forma con
quello aggressivo e distruttivo delle forme
cicatriziali18.
Un altro dato a favore del ruolo della microinfiammazione come importante agente
etiologico dell’AGA viene dallo studio di
Whiting19, che ha dimostrato che la terapia
topica con minoxidil ha determinato il
miglioramento della sintomatologia nel 55%
dei pazienti studiati affetti da microinfiammazione contro il 77% di risultati positivi nei
soggetti affetti da AGA senza segni istologici di microinfiammazione.
Il meccanismo patologico della microinfiammazione sarebbe determinato dal rilascio di
ROS da parte dei fagociti e dei macrofagi: è
razionale, dunque, che la “free radical theory”
proposta da Arck 20 possa essere uno dei fattori scatenanti di questa condizione a livello
Volume 12, n. 2, 2009
76
Figura 2.
Al microscopio confocale (RMC) si evidenzia un’area
di riflettenza all’interno dell’ostio follicolare sopra alla
ghiandola sebacea: la lunghezza d’onda di assorbimento
del laser del RCM è compatibile con l’assorbimento
della porfirina emessa dalla specie Propionibacterium.
La Figura 2 mostra la presenza di tracce di
porfirine all’imbocco del dotto pilo-sebaceo
dello scalpo di un paziente affetto da AGA, al
microscopio confocale (RCM).
Un lavoro di Rinaldi et al.21 ha evidenziato
anche la presenza del Demodex Brevis a livello dell’infundibolo (Figure 3 e 4), che determina un danno infiammatorio alla ghiandola
sebacea. L’infiammazione provocata da questo demodex può essere un ulteriore fattore
di infiammazione dello scalpo.
Figura 3.
Particolare ingrandito della parte apicale
del Demodex Brevis.
dello scalpo e, di conseguenza, dell’induzione
dell’apoptosi delle cellule del follicolo. Questo
meccanismo sembra essere quello dimostrato
recentemente da Philpott nella papilla dermica
di soggetti affetti da alopecia androgenetica
(Balding Dermo Papilla Cells, B-DPC): la diminuzione della capacità proliferativa della B-DPC
determina la senescenza prematura delle cellule della DP. In particolare, secondo Philpott,
la up-regulation della p16INK 4a/pRB e l’espressione genica di marker specifici del
danno del DNA e dello stress ossidativo suggeriscono che le B-DPC sono particolarmente
sensibili all’induzione della infiammazione.
L’osservazione che l’infiltrato infiammatorio si
sviluppi nel terzo superiore del follicolo, in
prossimità dell’infundibolo, suggerisce che l’evento causale dello scatenamento dell’infiammazione avvenga in questa zona. Per primo
Mahè ha ipotizzato che il trigger del processo
infiammatorio possa essere la colonizzazione
di specifici microrganismi saprofiti a livello
dell’infundibolo: antigeni o tossine di questi
microrganismi potrebbe essere la causa dell’induzione dell’infiammazione. Già numerosi
lavori hanno dimostrato la capacità pro-infiammatoria delle specie Malassetia, Staphilococcus e Propionibacterium: proprio la pro d uzione di sostanze ad azione infiammatorie,
come le porfirine prodotte dalla specie Propionibacterium, determina la formazione di fattori chemiotattici pro-infiammatori, la produzione dell’infiltrato di T linfociti e di macrofagi in
risposta agli antigeni dei vari microrganismi.
Un’altra via patologica d’induzione della
microinfiammazione può venire anche dalla
risposta dei cheratinociti della componente
epiteliale del bulbo a vari stress ossidativi
Figura 4.
Presenza di un esemplare di Demodex Brevis all’ingresso
dell’infundibolo dello scalpo di un soggetto affetto da AGA,
al microscopio confocale.
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provocati da sostanze irritanti, inquinanti,
radiazioni UV che producono ROS e ossido
nitrico, rilasciando IL-1! cellulare. Del resto
già Philpott 22 ha dimostrato che l’aggiunta di
citochine pro-infiammatorie al terreno di coltura inibisce la crescita dei follicoli in vitro.
La reazione pro-infiammatoria innesca a questo punto la cascata infiammatoria con l’espressione genica da parte dei cheratinociti
circostanti e dei fibroblasti della trascrizione
di geni per la formazione di chemochine e
interleuchine, di fattori chemiotattici monocitici, di neutrofili e macrofagi, linfociti T. La
up-regulation della permeabilità capillare
determina la vasodilatazione infiammatoria
e la formazione dell’infiltrato.
A livello del derma perifollicolare l’azione
delle collagenasi determina la formazione
della fibrosi. Diversi lavori 23, 24 dimostrano
come l’applicazione topica di madecassoside
(un estratto della centella asiatica) sia in grado
di ridurre la microinfiammazione cutanea, e
una segnalazione di Segond del 2003 evidenzia l’effetto della madecassoside nella
microinfiammazione dello scalpo riducendo il
legame di citochine pro-infiammatorie (citochine, chemochine, PGL, interferone g) e
modulando l’attività delle metalloproteinasi, e
possa essere utilizzato nella terapia dell’alopecia androgenetica.
In conseguenza a queste premesse, abbiamo
effettuato uno studio clinico randomizzato,
in cieco, verso placebo (gruppo 3) per verificare l’efficacia terapeutica della somministrazione per via orale di un pool di sostanze di
origine naturali nel trattamento dell’AGA,
che avessero un effetto sui recettori AR abbinato ad una spiccata azione anti-infiammatoria e anti-apoptotica. Lo studio è stato effettuato in cieco, con tre bracci di valutazione,
valutando l’efficacia sull’AGA di una miscela
specifica di acidi polinsaturi con azione anti
5-!-reduttasi (gruppo 1), confrontata con
l’efficacia di un pool contenente gli stessi
acidi polinsaturi abbinati a beta-glucano,
SOD e naringenina (gruppo 2). Il betaglucano
è un principio attivo con nota efficacia antinfiammatoria25, che agisce in particolare con
un’azione protettiva sulle cellule inibendo la
trascrizione genica delle interleuchine, riducendo la cascata infiammatoria, e addirittura
modulando l’azione delle collagenasi e
metalloproteinasi, con un’efficace attività di
riduzione della fibrosi 26. L’azione e l’efficacia
anti-ossidante e anti-apoptotica della supe-
rossido-dismutasi è nota da tempo. La naringenina è un flavonoide in grado di ridurre l’apoptosi cellulare mediante diverse vie, ma
soprattutto inibendo l’attivazione della
cascata delle caspasi e favorendo la rimozione di dimeri pirimidinici all’interno del
nucleo delle cellule 27.
L’incidenza della microinfiammazione come
co-fattore causale dell’alopecia androgenetica è ormai accertata. Tuttavia non esistono
dati univoci di letteratura che indichino l’incidenza di questo fenomeno nell’AGA.
In pratica: la micro-infiammazione perifollicolare è elemento indispensabile e presente
nella totalità dei soggetti affetti da calvizie?
Secondo il lavoro di Whiting del 1993 no, ma
secondo le conoscenze più recenti l’evidenza
di processi infiammatori è riscontrabile in
quasi tutti i casi di AGA almeno dal II grado
della classificazione di Hamilton e dal I di
quella di Ludwig. Nella nostra esperienza
abbiamo evidenziato i caratteristici aspetti
dermatoscopici in tutti i soggetti esaminati, e
la conferma è venuta dai dati della presenza
di caratteristiche infiammatorie evidenziabili
al microscopio confocale a livello dello scalpo,
in area perifollicolare: nessuno di questi soggetti mostrava segni clinici di infiammazione,
come da criteri di esclusione dello studio.
I risultati dello studio hanno dimostrato che i
segni clinici dell’AGA (diametro del fusto dei
capelli) sono migliorati in modo evidente nel
gruppo 1, ma ancora più significativo nel
gruppo completo con sostanza antiossidante
e antinfiammatoria (gruppo 2). Il gruppo placebo (gruppo 3) non ha mostrato nessun
miglioramento statisticamente significativo.
Lo studio è stato condotto per dodici mesi, a
partire da dicembre 2006 ad aprile 2008, per
evitare influenze stagionali positive o negative sull’andamento della patologia tricologica.
Dopo tale periodo abbiamo prolungato il follow-up per un periodo di 6 mesi dopo la fine
del trattamento, per verificare su un tempo
significativamente lungo l’eventuale ripresa
del processo di alopecia androgenetica.
Questi dati indicano che l’azione anti 5-!riduttasi della specifica miscela di acidi polinsaturi ha, come era razionale aspettarsi,
migliorato il diametro del fusto, ma non ha
modificato i segni dermatoscopici e di microscopia confocale della microinfiammazione. Il
fusto dei capelli dei soggetti del gruppo 1 ha
manifestato un netto aumento di diametro
rispetto al basale (vedi Risultati), che si è pro-
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tratto per i dodici mesi di trattamento, ma che
ha evidenziato un inizio di regressione dopo
tre mesi dalla sospensione. Anche la valutazione degli indici infiammatori, secondo lo
score messo a punto dagli sperimentatori, ha
mostrato un miglioramento dei livelli di microinfiammazione rispetto al basale, miglioramento che però ha subito una significativa
regressione al controllo dell’ultimo follow-up.
Il diametro dei capelli dei soggetti del gruppo 2 (pool completo di acidi polinsaturi,
betaglucano, SOD, naringenina) ha mostrato
un livello di miglioramento ancora più significativo rispetto al basale persino dei soggetti del gruppo 1, che si è protratto anche nei
3 mesi successivi alla sospensione del trattamento. Ancora più significativo il netto miglioramento degli indici infiammatori perifollicolari nel derma di questi soggetti rispetto
al basale: la diminuzione delle cellule dell’infiltrato infiammatorio e della fibrosi sono
stati decisamente più marcati a livello di
microscopia confocale, così come la riduzione degli indici dermatoscopici. Dopo tre
mesi di sospensione del trattamento, gli indici infiammatori risultavano nettamente e
significativamente inferiori rispetto a quelli
dei soggetti del gruppo 1.
I soggetti del gruppo 3 non hanno mostrato
miglioramenti significativi in nessuno dei
parametri testati.
I risultati di questo studio dimostrano, in
modo netto, che la micro-infiammazione e i
processi di senescenza e di apoptosi del
bulbo dei capelli rappresentano una noxa
estremamente importante nella alopecia androgenetica, in accordo con le numerose segnalazioni citate e riportate in bibliografia.
Lo scopo dello studio era quello di identificare l’importanza di questi fattori e cerc a re
di “quantificare” il loro ruolo sulla pro g ressione dell’AGA. Per questo motivo è stato
organizzato un trial clinico che valutasse
uno dei parametri fondamentali dell’AGA (la
miniaturizzazione del fusto dei capelli)
come marker principale dell’azione di un
principio terapeutico, ma che soprattutto
dimostrasse che l’azione combinata della
stessa sostanza attiva (in questo caso la
miscela specifica di acidi polinsaturi con
efficacia già nota) unita a principi attivi in
grado di ridurre le diverse pathways della
risposta infiammatoria (citochine, chemochine, prostaglandine, interferone g, metalloproteinasi e collagenasi) e dell’induzione
dell’apoptosi (inibizione dei ROS, inibizione
della formazione di p16, p53, cascata delle
caspasi, eccetera) potesse risultare ancora
più efficace nel controllo dell’AGA.
I risultati ottenuti dimostrano questa ipotesi
e confermano il fatto che la terapia dell’alopecia androgenetica non può limitarsi al controllo di un solo target etiologico (classicamente i recettori AR), ma deve tener conto di
tutti i fattori che influenzano il HCC, come
ben dimostrato da Paus e da Philpott. Il prodotto contenente l’unione completa di tutti i
principi attivi si è dimostrato significativamente più efficace di quello contenente la
sola sostanza nota ad azione sugli AR, dal
momento che il ruolo della microinfiammazione è determinante nella patogenesi dell’AGA. Il braccio di controllo dei soggetti che
hanno assunto il placebo ha confermato che
la differenza di efficacia tra i prodotti contenenti principi attivi è stata significativa.
La nostra ipotesi, in accordo con altri Autori,
è quindi che sia indispensabile un nuovo
approccio più completo nella terapia dell’alopecia androgenetica, che utilizzi sostanze in
grado di bloccare i recettori androgeni, ma
anche principi attivi efficaci per contrastare il
processo infiammatorio e apoptotico delle
cellule del follicolo. La ricerca di nuove sostanze in grado di controllare o regolare l’orologio del ciclo del capello potranno portare a risultati terapeutici ancora più importanti, come per esempio gli studi in corso sul
ruolo di alcuni specifici fattori di crescita utilizzati sia per stimolare la crescita dei capelli (prolungamento dell’anagen, rallentamento
del catagen e del telogen), come per contrastare l’irsutismo e l’ipertricosi (rallentamento
dell’anagen, prolungamento del telogen).
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