don tonino vent`anni dopo

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don tonino vent`anni dopo
DON TONINO VENT’ANNI DOPO
DI AUGUSTO BENEMEGLIO
1. Era l’altrove
“Era un poeta, era uno scopritore di stelle. Ma era, soprattutto, un santo, e i santi
sono rari, sono persone che portano sulle spalle anche le nostri croci, ma con gioia,
con un amore illimitato, a prova di tutto, i santi sono i giullari di Dio, come San
Francesco d’Assisi, che portano un soffio di speranza sulla salvezza dell’uomo,
nonostante tutto…”. Oggi, nel ventesimo anniversario della morte di don Tonino mi
vengono in mente queste parole di don Riboldi, in quel pomeriggio d’aprile di tanti
anni fa, a Taviano, città dei fiori, quando il vescovo lombardo era venuto, con tanto
di scorta, per la prima volta nel Salento per onorare il grande amico da poco
scomparso. Allora Riboldi era, per antonomasia, il prete-antimafia che aveva osato
accusare dal pulpito la camorra napoletana di tutte le violenze, il sangue, la ferocia,
le stragi, lo strazio infinito, la morte della speranza, le infamie più immonde, era
colui che aveva negato la comunione ad uno di loro, che aveva fatto crociate,
processioni per le strade di Acerra, che aveva bandito, esiliato tutti i collaboratori
occulti della mafia, che aveva spronato i pavidi e i timidi a unirsi tutti insieme alla
lotta, un prete con la fede e con le palle che aveva osato sfidare la mafia , che aveva –
già anni prima - sposato la causa meridionale per amore, solo per amore. Riboldi era
venuto anche per portare testimonianza, per dire a chiare note con la sua voce
robusta, tonante, vibrante, che don Tonino era la purezza della vita librata sul
mondo, uno di quei doni che il Padre Eterno elargisce una volta ogni secolo, ma noi
spesso non ce ne accorgiamo, non vediamo, non ascoltiamo, rimanendo prigionieri
nella sfera angosciosa del nostro nulla ( il posto di lavoro, la casa, i soldi in banca, le
cose da esibire, la nostra falsa tranquillità, la nostra falsa sicurezza, sempre ben chiusi
nel bunker che è il nostro cuore , un lago di indifferenza). Don Tonino era stato ed
era, ed “è” ancora oggi, a vent’anni dalla sua morte , lì dove si raccolgono tutte le
ansie le pene le ingiustizie le umiliazioni, le sconfitte, le macerazioni, le disperazioni,
dove tutte le passioni della terra si uniscono per far trionfare la giustizia, la pace , la
solidarietà, il bene comune , e diventano carezza di voce , tenerezza, rinascita.
Lui solo, Tonino da Alessano, era il vero grande cuore, la grande anima , la speranza
Salentina, e da lui bisognava iniziare ogni progetto, ogni costruzione affinché il
Salento, la Puglia, l’Italia e il Mondo diventassero davvero quell’ arco di pace e di
solidarietà di cui aveva sempre parlato, indossando – sempre – il grembiule, come
sta facendo ora Papa Francesco.
Tonino è già santo, non c‘è bisogno di alcun processo, di alcuna causa di
canonizzazione per averne conferma . Dai numeri alterni, dalla danza perenne di
nascite e morti, da celesti città di sabbia o infernali città di fuoco, da imperio e
servitù, da inedia e opulenza, da grazia e venustà, da asprezza e calma, dalle
dominazioni di secoli su una terra che vomita morti, dal profondo Salento, quello del
Capo, a poche miglia da Leuca, finibus terrae, - luogo di chiarore proiettato nella luce
del bene di Pindaro e Platone, il bene descritto da Pitagora e da Archita, dove la
materia ha trovato la grazia del divenir luce, la gioia del passaggio, l’energia lirica
che scaturisce dalla tensione verso un punto che la trascende - era nato lui, Tonino
Bello , terzo figlio di una famiglia poverissima.
Lui era miele di miele, sostanza di sostanza, essenza di essenza, l’amore che aiuta a
vivere e a sperare, ma anche un prigioniero nella sfera delle nostre piccolezze,
abitudini, indifferenze, grigiore;
era venuto a scuotere, a far crollare le nostre
sicurezze, le nostre certezze con le parole del Vangelo, parole che fanno sempre
male per chi non conosce l’umiltà di cuore. Tra fuori e dentro, tra lo’altro e noi, tra
l’istinto animale e il collegamento divino, s’infiltrava lui come una passione senza
limiti , senza confini , senza spazi , ed era accettato da giovani, dai poveri, dai
diseredati, dai drop out, dagli ultimi , combattuto dagli altri, dai potenti, dai
benpensanti , dalle istituzioni , e, talora, dai suoi stessi confratelli. Lui era l’altrove.
2. Lacrime per il fratello vescovo.
Don Tonino Bello, il “ fratello vescovo”, il profeta della chiesa del grembiule,
“l’uomo tutto evangelico”, le cui spoglie mortali si trovano nel cimitero di Alessano,
nella sua piccola patria natia, in quel recinto della febbre e della polvere dove per
mille anni il nascere fu spento, e del perire non ci fu traccia; ora c’è lui, Tonino
riposa lì, dove suo fratello Trifone ha piantato un ulivo che fa ombra e musica sulla
pietra tombale, e poi ha costruito un arco di pace, in pietra viva, che guarda a
oriente. E tutt’intorno ha disposto i bianchi gradini, che sanno di eternità silenzio e
preghiera;
un piccolo sacrario dove molte persone s’adunano per un saluto,
un’orazione, una meditazione, un lieve bacio
un sospiro nell’orlo della luce,
spargendo profumi di nostalgiche memorie. A pregare su quella tomba c’era stato
anche lui , Riboldi, allora ancora vescovo di Acerra , ed era venuto nudo, come il più
nudo dei misteri ( via i paramenti, via la scorta, via il seguito religioso e civile , via le
voci, i suoni, le immagini, le parole ) . E stava lì in silenzio a delirare coi suoi
ricordi, lui e l’amico insieme sulla croce, o nella sua casa di Milano, insieme a
pregare con vibranti parole mute, ma anche a scherzare, a sorridere impacciati
davanti al Cardinale Martini; era lì a risvegliare l’amico verso il profilo della sua
reincarnazione , sotto i flutti dell’oscurità della prima alba, a piangere umilmente, sì,
ora piangeva e con lacrime che facevano laghi sulla pietra intatta, a mormorare frasi
alla sbiadita luna come un errante pastore dell’Asia. O, Tonino, fratello vescovo,
guerriero di pace e di gentilezza , la tua forza, il tuo canto, il tuo oro del cuore … che
vuoto!, che mancanza questa mancanza del tuo cuore!
Riboldi aveva poi offerto le proprie testimonianze sulla figura del
vescovo di
Molfetta, venerato in tutta la Puglia come un santo da migliaia e migliaia di persone,
- perfino dal Governatore Vendola che non crede, che è ateo convinto, ma quando
parla di lui s’accende , s’illumina , arde , brilla come la primavera di un mondo che
deve ancora venire, - che custodiscono come preziose reliquie i suoi ultimi sguardi,
le sue ultime parole di poeta di Dio :
“ Che cosa faranno gli alberi stanotte, quando suoneranno a stormo le campane?
Come reagirà il mare che brontola sotto la scogliera, all’annuncio della
risurrezione?… L’angelo farà fremere le porte dei postriboli? E le montagne
danzeranno di gioia attorno alle convalli?…Non c’è amarezza umana che non si
stemperi in sorriso. Non c’è peccato che non trovi redenzione. Non c’è sepolcro la
cui pietra non sia provvisoria sulla sua imboccatura. Anche le gramaglie più nere
trascolorano negli abiti della gioia. Le rapsodie più tragiche accennano ai primi
passi di danza. E gli ultimi accordi delle cantilene funebri contengono già i motivi
festosi dell’ alleluja pasquale”.
3. La chiesa deve schierarsi con gli ultimi
Don Tonino, l’ex pretino direttore del Seminario di Ugento che giocava a pallavolo,
mettendosi sempre con la squadra perdente, agitando le bandiere di stracci colorati
dei vinti, anziché i lucidi gagliardetti dei dominatori; Don Tonino, l’ex parroco di
Tricase che suonava la fisarmonica nelle feste patronali, che giocava al calcio con i
ragazzi dell’oratorio, su campi sassosi e impolverati, ( era ala destra , il Garrincha
con la tonaca ), ma con lo sguardo sempre attento agli afflitti , ai poveri, ai diseredati.
Tonino, il pretino della porta accanto - uno di noi - che ti parlava con la luce negli
occhi e il sorriso aperto disteso buono, ostinato testardo testimone della gioia, che
conquistò tutti, giovani vecchi donne bambini tiepidi e bollenti,
credenti e non,
parroci di campagna e cardinali, perfino il papa che infatti lo volle fare vescovo a
tutti i costi, nonostante lui non ne volesse sapere ( per umiltà, ovviamente) e come
tale invece conquistò… quasi tutti; tutti tranne i preti (sic!) , i “suoi” preti che
lo ostacolarono, lo avversarono, lo calunniarono, si mutarono in zelanti delatori, pur
di mandarlo via da quella diocesi che gli era stata affidata, ma, intendiamoci,
probabilmente sarebbe stata la stessa cosa
in altre diocesi perché il pretino di
Alessano era un uomo che pretendeva di applicare il vangelo alla lettera (date da
mangiare agli affamati, da bere agli assetati, una casa agli sfrattati, visitate gli
infermi, i carcerati, ecc.). Avrebbe comunque trovato ostacoli sul suo cammino,
perché la Chiesa
non sempre manifestava, come lui, la “grande passione per
l’uomo”, anzi spesso s’attardava all’interno delle sue tende, dove non giungeva il
grido dei poveri, o si manteneva prudenzialmente al coperto, andando a braccetto
con i primi piuttosto che gli ultimi, sedotta dalle sirene della politica o dalle
manovre di accaparramento dei potent…i . La Chiesa anziché mettersi in cammino ,
cercava una buona sistemazione, si trincerava dietro le sue apparenti sicurezze e
non aveva il coraggio del pretino di Alessano , di uscire dai propri accampamenti, di
schierarsi apertamente con gli ultimi i deboli i calpestati i diseredati i sofferenti i
malati i morti di fame i ladri le prostitute, gli ubriaconi, i tossici, come palesemente
faceva don Tonino. La Chiesa era spesso pavidamente neutrale , o addirittura sorda
e indifferente di fronte alle ingiustizie e a chi le compie.
Gli
unici
che
continuarono
ad
apprezzarlo,
ad
ammirarlo,
ad
amarlo
incondizionatamente furono i preti impegnati , sensibili, intelligenti e coraggiosi
come
lui, in specie Turoldo ( un poeta) e Riboldi ( un vero e proprio guerriero di
Cristo ) , preti disposti a tutto pur di difendere i deboli, i poveri, gli ultimi , - tutta
quella fiumana di gente che era stata conquistata da Tonino, dai suoi occhi buoni
chiari trasparenti , dal suo volto luminoso sempre proteso verso l’interlocutore dalle
sue parole di rara chiarezza bellezza e semplicità che rivelavano la presenza di un
uomo eccezionale, di un profeta, di un santo.
4.Non fate che la mia opera ricada su se medesima
E’ tutto questo lo disse a chiare lettere l’allora vescovo di Acerra, alto, bello,
vigoroso, una figura carismatica , un templare con la croce sul petto anziché la spada,
che parlò senza ambiguità, senza mezza misure, con estrema semplicità , oserei dire
con simpatia bonaria, ma anche con quella volontà , determinazione, energia e
fermezza di carattere che hanno i veri pastori d’anime, i preti fieri di riscoprirsi
coscienza critica delle strutture di peccato che schiacciano gli indifesi, i deboli, i
poveri del mondo. Era uno spettacolo, un lenimento dell’animo sentirlo parlare, ed io
ero lì, come moltissimi altri venuti da tutte le parti del Salento, a bearmi delle
parole di quest’uomo grande e straordinario (avevo fatto un po’ da staffetta al
vescovo di Acerra , intrattenendo i convenuti con i miei “ Dialoghi con don Tonino”
e poi avrei scritto , un anno dopo , un recital dal titolo emblematico: “Aspettando
don Tonino”), e ogni tanto scrutavo la porta d’ingresso dell’Auditorium, dove c’era
la scorta armata , gente in divisa che rischia la pelle ad ogni momento, né più ne
meno come lui, - il vescovo antimafia - per milleduecento euro al mese…
Riboldi era venuto a ricordare l’amico Tonino, a raccontare
aneddoti, deliziosi,
divertenti, illuminanti sulla figura del pretino di Alessano. Una volta si trovarono
entrambi a Milano e non avevano di che vestirsi per andare
a far visita
all’arcivescovo Martini e Riboldi rimediò, nella sua casa milanese, qualcosa di
simile ad un abito talare, ma non era sufficiente, alla fine sembravano più due
comparse di Cinecittà che due vescovi … Ma il cardinale
Martini era uomo di
spirito e capì…. Era venuto qui, - questo grande vescovo lombardo, che decise
tanti anni fa di sposare la causa meridionale per amore, solo per amore, nient’altro
che per amore , - per dirci che Tonino era uno scopritore di stelle , uno che sapeva
vederle anche quando il cielo è nuvoloso, oppure non brillano perché nascoste,
riusciva a scoprirle nei luoghi più impensati, là dove nessuno di noi le potrà mai
trovare ; uno che sapeva scoprire stelle anche sulla terra, in mezzo al fango, tra gli
ubriaconi, le prostitute, i ladri e i malfattori, i drogati, i carcerati … Ma Don Riboldi
era venuto quasi vent’anni fa anche a
scuoterci , a dirci che
non dobbiamo
rimanere inchiodati fatalmente, come è stato per secoli e secoli, alla croce e subire
soprusi , ingiustizie, violenze e ogni altra ignominia; era venuto a dirci che è ora
anche per noi di togliere i chiodi, perché non sono più necessari ,
non dobbiamo
aver paura
di come toglierli questi chiodi, basta fare il primo passo…Ma non
aspettiamo che qualcuno venga a toglierli…quello è l’errore esiziale. I chiodi
dobbiamo toglierceli da soli . Lui era venuto a dimostrare che si possono levare quei
chiodi di ignoranza, paura, omertà , però noi dobbiamo schiodarci da soli…Ecco,
tutto ciò era venuto a ricordarci Mons. Antonio Riboldi , con la sua aitante
presenza: Io dico il Padre Nostro, come lo diceva Tonino , e dicendo il Padre Nostro
voglio dire tutta la mia libertà. Ditelo con me, se ne avete coraggio… Tonino lo
gridava il Padre Nostro e si commuoveva ed era ebbro di libertà . Lui ne aveva, e di
grande, immenso , infinito , di coraggio. Era uno di voi, popolo di formiche, gente
umile laboriosa e fiera… ed è ancora in mezzo a voi, sta qui dove il dolore per
secoli e secoli è stato una lunga nottata che non passava mai, una stagione delle
piogge senza fine e scorreva, continuamente, senza interruzione, come oggi scorre
in tutte le popolazioni del terzo quarto o quinto mondo, sta qui per ascoltare le vostre
richieste, sorreggere la vostra fede che vacilla.
Vorrei ripetere , in particolare a voi giovani , e a tutti i salentini sparsi nel mondo le
parole di Tonino, che sono parole di speranza . Non ce ne sono di migliori, perché
lui aveva come pochi il dono del carisma della poesia. Era uno scopritore di stelle,
sapeva suscitare speranze anche nei momenti di più desolante disperazione .
“Abbiate speranza. Speranza significa forza di rinnovare il mondo, di cambiare le
cose, nonostante tutto. Mordete la vita! Non abbiate paura, non preoccupatevi. Se voi
lo volete, se avete un briciolo di speranza e una grande passione per gli anni che
avete...voi cambierete il mondo e non lo lascerete cambiare agli altri. Coltivate gli
interessi della pace, della giustizia, della solidarietà, della salvaguardia
dell'ambiente. Il mondo ha bisogno di voi per cambiare, per ribaltare la logica
corrente che è logica di violenza, di guerra, di dominio, di sopraffazione. Diventate
voi la coscienza critica del mondo. Io sono venuto nel mondo con la mia anima nuda
a portare lo spirito e il fuoco , per volontà di Dio. Non fate che la mia opera ricada
su me medesima e diventi vaniloquio , o polvere che il vento disperde.
Roma, 20 aprile 2013
Augusto Benemeglio