La fusione dei Comuni, un`opportunità.

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La fusione dei Comuni, un`opportunità.
La Fusione dei Comuni, un’opportunità.
La fusione dei Comuni, un’opportunità.
di Salvatore Serra – Associazione “5 Campanili”
Il dibattito apertosi in materia di riordino degli EE.LL. rischia di assumere
connotazioni ideologiche e politiciste. In particolare, per quanto riguarda la
disciplina delle “fusioni dei Comuni”, i critici fanno leva essenzialmente su due
aspetti: il primo, per così dire emotivo e identitario, assume come fattore
costituente di una comunità la denominazione dei luoghi, la delimitazione
geografica,
l’appartenenza
etnica,
il
simbolismo;
il
secondo,
di
tipo
“organizzativo”, tende a costruire un'opinione secondo la quale la dimensione
superiore di un Comune nato dalla fusione aggrava, per sommatoria, i problemi
dei singoli Comuni.
I due aspetti non sono di poco conto per il destino delle fusioni. Entrambi
rappresentano il classico granello che può inceppare il processo delle fusioni,
entrambi sono facilmente impedienti e difficilmente disinnescabili in quanto
sedimentati nella cultura, specie delle popolazioni meridionali. Non è un caso che
l’istituto delle fusioni trova maggiori simpatie nelle regioni centro settentrionali,
da sempre abituate, per concezione solidaristica e cooperativistica, a valorizzare i
territori attraverso la competizione con gli altri e non attraverso la difesa dagli
altri, come accade invece in gran parte del meridione, in continuità con una
concezione medioevale delle comunità originate e nate attorno alla difesa di una
fonte, di un podere, di una coltura, spesso funzionali a baronie.
Se è, dunque, questo l’ambito verso il quale pare scivolare il dibattito sul
riordino degli EE.LL. e in particolare sui processi aggregativi, occorre che i
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promotori e i favorevoli alle fusioni sgombrino il campo dagli equivoci
artataménte introdotti dai critici delle fusioni.
Per prima cosa, occorre fare chiarezza su cosa si intende, oggi, per Comune,
ossia per “forma di governo autonomo cittadino”. In generale, valgono sempre gli
elementi costitutivi “classici” e cioè “il territorio” e “la popolazione” per
identificare un Comune. Se il punto di partenza è, quindi, il “territorio” e la sua
“popolazione”, bisogna allora intendersi sul significato in chiave moderna da dare
ai due elementi. Può il territorio essere inteso solo come una porzione geografica
più o meno vasta e la popolazione intesa solo come un insieme di persone affini
per riti e tradizioni? Penso proprio di no. Penso che i due elementi costitutivi
debbano, innanzitutto, essere intesi in relazione e individuati per caratteristiche
qualificanti diverse da quelle geo-fisiche, etniche e rituali. In soccorso
all’individuazione, oggi, dell’elemento costitutivo di una comunità, mi viene in
mente ed utile quanto detto dal prof. Tondi Della Mura dell’Università di Lecce in
un recente convegno promosso a Racale dall’associazione “5 Campanili”, secondo
il quale una comunità è tale solo se gode o può aspirare a un elevato livello di
Welfare. È lo “stato di benessere” o meglio la possibilità di tendere a esso che
presuppone l’esistenza di una comunità. Lo “stato di benessere”, dunque, sia
nella sua concezione “intera” sia nella sua derivazione “state”, come fattore
qualificante e istitutivo di una comunità. Servizi, infrastrutture, assistenza,
socialità, istruzione, ambiente, beni culturali, attività produttive, sono questi i
fattori che concorrono al Welfare complessivamente inteso. Per la buona
realizzazione di tutto questo o solo per la rincorsa a tutto questo si ha bisogno,
oltre che delle risorse umane e naturali, delle risorse finanziarie e delle buone
pratiche gestionali di taglio alle spese “burocratiche” e di ottimizzazione delle
risorse. Ha ragione il prof. Tondi Della Mura a dire che ognuno è poi libero di
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considerare importante o meno il Welfare. Resta assodato il fatto, però, che
quando i Comuni non hanno le risorse per gli investimenti, sia a causa delle scelte
imposte dai livelli superiori di governo sia a causa della mancanza di una
vocazione dei Comuni in determinati settori – artistico, produttivo, agricolo,
turistico - capace di attrarre risorse, significa, per loro, essere condannati a una
lenta agonia. Nel lungo periodo i Comuni, specie quelli più piccoli già affetti da un
naturale processo di migrazione, in assenza di opportunità economiche e sociali si
troveranno a gestire risorse insufficienti anche ad assicurare, se pure volessimo
dar ragione ai cultori dell’identità, la sopravvivenza dell’identità stessa. Quanti
centri storici, quanti beni artistici, quanti “campanili” sono nel degrado o
fatiscenti proprio dal punto di vista fisico per la mancanza di risorse finanziarie.
Quanti giovani non possono assicurare la perennità proprio dell’identità perché
costretti a migrare in cerca di lavoro e dello “stato di benessere”, a riprova che
tra i bisogni primari dell’uomo non compare certamente la difesa identitaria.
Il Welfare è, oggi, il principale fattore costitutivo di una comunità, in un
determinato territorio “organizzato”, con una popolazione che soddisfa bisogni
economico/sociali e accede a nuove opportunità. È questa, mi sembra, la
definizione in chiave moderna di “Comune”. Che cosa sarebbe una comunità
senza scuole, asili, assistenza, sanità, sicurezza; senza beni artistici e culturali,
verde pubblico, spazi ricreativi e strutture sportive; senza infrastrutture
produttive, reti dell’energia e dei servizi; senza opportunità di lavoro e di reddito.
Non sarebbe certamente una comunità, così come non potrebbe continuarlo a
essere quella che perde o soltanto non garantisce più i suddetti fattori del
Welfare.
Dove trovare, dunque, le risorse per garantire lo “stato di benessere” e
perché considerare la cooperazione tra Comuni, ormai “poveri”, lo strumento
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essenziale per reperirle? Due domande connesse tra di loro. Per paradosso, la
seconda domanda è quasi una risposta alla prima perché la fusione, per
normativa nazionale e regionale – nelle regioni in cui si è disciplinato in materia, è
un istituto per il quale sono previsti incentivi, risorse, trasferimenti aggiuntivi,
norme di favore (interessante è, per esempio, l’allentamento del patto di stabilità
previsto nel DDL De Rio nel quale si legge che “Le regioni, nella definizione del
patto di stabilità verticale, possono individuare idonee misure volte a incentivare
le unioni e le fusioni di Comuni”).
- Ai sensi dell'articolo 11, comma 4, della legge 8 giugno 1990, n. 142, al
Comune scaturente dalla fusione spetta, per un periodo di 10 anni, un
contributo straordinario pari al 20% dei trasferimenti erariali
complessivamente attribuiti ai Comuni preesistenti.
- Il comma 730 della Legge di Stabilità 2014 prevede incentivi finanziari al
processo di riordino e di semplificazione degli enti territoriali,
riservando alle Unioni di Comuni (per ciascuno dei prossimi tre anni dal
2014 al 2016) 30 milioni di euro, ed una ulteriore quota di pari importo
per i Comuni istituiti a seguito di fusione.
- Le regioni che si sono dotate o che si stanno dotando di una legge in
materia, prevedono ulteriori risorse e incentivi (a partire dal
finanziamento degli studi di fattibilità dei progetti di fusione).
È in questo quadro normativo, e non altrove, che si trovano le principali
risorse, quelle immediate, previste, disponibili.
Fuori e oltre l’individuazione diretta delle risorse, occorre soffermarsi su
altri aspetti non meno importanti e altrettanto incidenti, propri del processo
aggregativo, che producono risorse e opportunità nel lungo periodo. In proposito,
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mi sembra ineccepibile la riflessione posta, nel convegno di “5 Campanili”, dal
consigliere regionale Sergio Blasi: “La fusione, in particolari circostanze e in
giustificati ambiti, è la grande occasione per i territori del mezzogiorno”.
Un’occasione che rispetto al nord, dove pure ha più consenso, risponde meglio
alle esigenze di un territorio formato spesso da micro Comuni e, in molti casi, da
Comuni urbanisticamente adiacenti tra loro. Se al nord la molla che ha reso
appetibile l’istituto della fusione, anche tra Comuni non proprio attigui, è quella
dei vantaggi economici, al sud proprio la caratteristica della presenza di Comuni
piccoli e vicini dovrebbe incentivare l’interesse in quanto, qui, la fusione, oltre
l’accesso alle risorse, permetterebbe la costituzione di nuove realtà omogenee
dalle grandi potenzialità. Davvero nel meridione sembra più che mai valido il
detto “l’unione fa la forza”, perché non solo consente il cambiamento di una
condizione amministrativa (un nuovo grande Comune) ma soprattutto consente la
nascita di un nuovo e più forte soggetto che ha la sua originalità per il fatto che
“fonde” due o più realtà già inglobate per urbanistica, tradizioni, relazioni
economiche, sociali e familiari. In altre parole, si tratta di pensare alle fusioni
come un istituto valido specialmente quando si certifica una fusione già in essere
e costituitasi per i comportamenti sociali, economici e urbanistici che hanno eluso
i confini e i limiti amministrativi e già realizzato, di fatto, la fusione.
La fusione non è uno strumento per unire due o più Comuni, ma la nuova
veste amministrativa scelta da due o più Comuni quando, di fatto, hanno già
realizzato l’unione. Mi sembra questa la migliore definizione da dare all’istituto
della fusione. Assumere questa definizione per indicare cos’è la fusione permette
di considerarla come un'opportunità valida in particolari circostanze e non un
nuovo strumento “burocratico” valido per chiunque e in ogni circostanza, per
accedere solo a risorse finanziarie altrimenti non rinvenibili. Qui sta l’essenza del
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dibattito in corso, stabilire cosa è meglio per il futuro delle popolazioni e non solo
cosa conviene oggi alle tesorerie dei Comuni. Ciò per evitare alle fusioni lo stesso
destino delle unioni, pensate, quest’ultime, come passaggio propedeutico alle
fusioni e vissute invece, spesso, come sovrastrutture per accedere a risorse
ulteriori (impegnate quasi sempre per soddisfare esigenze dei singoli Comuni) e
per consolare qualche consigliere comunale rimasto senza ruolo nel proprio
Comune di appartenenza.
Tutto quanto esposto finora è riassumibile così:
casi specifici  fusione  risorse  buone pratiche - ottimizzazione risorse  Welfare
Definire il concetto di comunità moderna, ribadire la necessità di soddisfare
i bisogni primari, determinare gli ambiti di applicazione e indicare l’esistenza di
immediate risorse finanziarie, può non essere sufficiente a fa maturare nelle
popolazioni la convinzione dell’ineluttabilità e della necessità delle fusioni.
Ho già affermato quanto certi sedimenti culturali, grevi e anacronistici,
possono fare presa nell’opinione pubblica. E non mi riferisco solo ai sedimenti per
così dire classici dell’identità, del campanilismo, dell’orgoglio, (legittimi quando
tendono ad arricchire e sviluppare e non quando tendono a conservare o solo a
ricordare). Mi riferisco anche ai più modesti sedimenti comportamentali che
guardano alle fusioni come a dei processi che intanto priverebbero “di comodità e
di abitudini”. Dove sarà la sede del municipio, dei vigili urbani o di quell’ufficio
specifico; come si chiamerà il nuovo Comune o addirittura quale sarà il Santo
patrono e lo stemma comunale; ecc.., ecc... Una serie di cose, e ce ne sono tante
altre, che inevitabilmente rappresentano il “primo pensiero” di tanti “abituati” a
trovare soddisfazione nelle piccole cose e “disabituati” (spesso per colpa della
politica) a cimentarsi nella costruzione di prospettive migliori.
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È su questo terreno che i sostenitori delle fusioni devono agire con più forza
e provare a “riabituare” al pensiero collettivo, ai bisogni e agli interessi generali,
dentro i quali è anche possibile soddisfare le aspettative individuali.
Ed è sul tema delle “buone pratiche e dell’ottimizzazione delle risorse”
che, a mio avviso, occorre insistere per rendere compiuta l’idea delle fusioni. In
un articolo sul Quotidiano di Lecce, l’On. Lorenzo Ria sintetizzava efficacemente
questo aspetto: “I benefici non si contano. Dall’esenzione dai tagli governativi
alle forti sovvenzioni economiche dallo Stato e dalle Regioni, dalle deroghe al
patto di stabilità alle economie di scala realizzate sulle utenze, sui lavori, sui
servizi per il cittadino. Per non parlare del risparmio in termini di costi della
politica; un solo Sindaco, un solo Consiglio, una sola Giunta, un solo revisore dei
conti: tutti risparmi netti che comportano nuove risorse da reinvestire
immediatamente sul territorio o da utilizzare per ridurre la pressione fiscale sui
cittadini. Vantaggi tangibili e del tutto impensabili per quei Comuni che invece si
ostinano a voler fare da soli.”. Un aspetto dunque, quello delle “buone pratiche
e dell’ottimizzazione delle risorse”, centrale e fondamentale, ricco di aspetti che
dimostrano come le risorse possano derivare, oltre che dagli stanziamenti previsti
dalla legge, dagli ingenti risparmi di spesa e dalle opportunità economiche e di
lavoro prodotte da un Comune nato dalla fusione che è in grado, con le risorse
innanzi descritte, di dotarsi di adeguate infrastrutture e servizi, di una razionale
urbanistica e viabilità, di un'efficiente organizzazione amministrativa, di un
corretto uso del territorio e dell’ambiente, di una valida programmazione
economica, commerciale e turistica, in una sorta di circolo virtuoso,
moltiplicatore, che consente alle risorse iniziali di generare altre risorse e altre
economie di spesa.
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Proprio per quanto riguarda le economie di spesa, tanti sarebbero i casi da
considerare per verificare l’effetto benefico delle fusioni. Oltre gli esempi di
risparmio indicati dall’On. Lorenzo Ria, c’è ne è uno emblematico della stortura
della “spesa pubblica” negli EE.LL.., indicato da Luigino Sergio, a conclusione del
convegno di Racale di “5 Campanili”, come esempio esaustivo della
irragionevolezza delle organizzazioni amministrative: quello delle dotazioni
organiche dei Comuni rispetto agli adempimenti e al numero di abitanti. Senza
che muti la sostanza rispetto all’esempio portato da Luigino Sergio, che era
riferito alle dotazioni negli uffici tecnici dei Comuni della sua zona di residenza,
provo a mutuarlo per i Comuni della mia zona, e cioè Alliste-Felline, Melissano,
Racale, Taviano, utilizzando il seguente caso simile. L’organico a disposizione per i
servizi di anagrafe, elettorale e stato civile nei suddetti quattro Comuni1 è il
seguente: Alliste, 1 responsabile e 3 impiegati; Melissano, 3 responsabili; Racale,
1 responsabile e 5 impiegati; Taviano, 1 responsabile e 4 impiegati. Totale, 18
unità lavorative di cui 6 responsabili e 12 impiegati che gestiscono i servizi
demografici ed elettorali di una popolazione complessiva di circa 37.000 abitanti.
Il Comune di Nardò con una popolazione di circa 32.000 abitanti, per gli stessi
servizi impegna un organico complessivo di 7 unità di cui 1 responsabile e 6
impiegati! Cinquemila abitanti in più non giustificano il fatto che quattro Comuni
impegnano, per le stesse attività, più del doppio (+160%) dei dipendenti del
Comune di Nardò. L’esempio indica come i processi di accorpamento producono
migliori e più razionali organizzazioni amministrative e, di conseguenza,
importanti economie di spesa.
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Dati derivati dai siti istituzionali dei Comuni – (possibili inesattezze trascurabili).
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I Comuni di Alliste-Felline, Melissano, Racale, Taviano, rappresentano una
specificità che riguarda poche altre realtà in Italia. Sono pochi i casi in cui quattro
Comuni, con una grandezza importante per numero di abitanti, siano disposti,
non in fila indiana, dentro un agglomerato urbanistico senza soluzione di
continuità rispetto ai confini amministrativi. Quattro Comuni, e in specie Alliste,
Racale e Taviano, che sono tra loro “abbracciati”, le cui urbanistiche (le abitazioni,
gli edifici, le strade) sono attraversate dai confini amministrativi che non
separano nulla, tranne la residenza nel caso delle persone. E nel caso delle
abitazioni o degli edifici può accadere che gli stessi insistano per quota parte in
due Comuni diversi.
Tante le curiosità “di confine” a cui si potrebbe far riferimento per
confermare l’anomalia della divisione amministrativa. Dalla raccolta dei rifiuti
effettuata da due aziende diverse sulla stessa strada tagliata verticalmente in due
dal “confine” (ognuna sul lato di competenza amministrativa), alla diversa fiscalità
locale per unità immobiliari adiacenti ma ricadenti in diversi “feudi”, tante sono le
storie da raccontare di una divisione amministrativa coatta.
Come affermato in precedenza, la fusione, in questi Comuni, è già di fatto e
si concretizza, in violazione dei confini amministrativi e culturali, per i
comportamenti sociali, economici e urbanistici (come negli esempi appena
descritti). Soprattutto per i comportamenti sociali ed economici che hanno
prodotto la bellissima “mescolanza” in seno ai quattro comuni, per cui sono
tantissimi i matrimoni e le unioni tra abitanti di Comuni diversi, tanti sono i
bambini che frequentano le scuole del Comune diverso da quello di residenza; si
fa la spesa, si sceglie il medico, l’artigiano, l’impresa, l’associazione, il luogo della
preghiera, dello svago, del lavoro e dello sport, indipendentemente dalla
residenza anagrafica.
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La Fusione dei Comuni, un’opportunità.
Proprio per i comportamenti sociali ed economici dei cittadini di questo
territorio, è possibile dire che la fusione è già di fatto realizzata. Occorre solo
organizzarla, legittimarla attraverso il passaggio referendario stabilito dalla legge
regionale in via di approvazione, e farla accedere alle nuove risorse e alle nuove
opportunità.
La fusione, dunque, come approdo ineluttabile che non cancella i
“municipi” ma li fa rivivere in una nuova veste amministrativa, la sola capace di
assicurare alle popolazione di questi quattro Comuni un Welfare migliore.
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