Molestie sessuali sul luogo di lavoro: per dare evidenza al problema

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Molestie sessuali sul luogo di lavoro: per dare evidenza al problema
Atti del Seminario
Molestie sessuali sul luogo di lavoro:
per dare evidenza al problema
25 novembre 2008
Giornata internazionale
contro la violenza sulle donne
a cura della
Consigliera di Parità della Provincia di Torino
25 novembre 2008
“Molestie sessuali sul luogo di lavoro.
Per dare evidenza al problema”
Un incontro per approfondire il problema delle molestie sessuali sul lavoro: uno dei fenomeni più sommersi riguardo il lavoro al femminile.
Con il contributo di esperte e testimonianze dirette delle lavoratrici, il seminario ha affrontato aspetti legali e preventivi rispetto alla violenza.
Interventi
Laura CIMA
Consigliera di Parità della Provincia di Torino
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Mirella CAFFARATI
Consulente Consigliere di Parità
“Aspetti giuridici della tutela”
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Stefania GERBINO
Telefono Rosa Torino
“L’attività del progetto Vicino a te nell’emersione
del fenomeno”
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Ivana MELLI
Consigliera di Parità supplente della Provincia di
Torino
“I casi trattati nel 2008 dall’ufficio”
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Paola BALBO
Coordinamento regionale Pari Opp. UIL FPL
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Testimonianza
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Conclusioni
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La normativa
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Allegati
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Laura Cima – Consigliera di Parità della Provincia di Torino
Questa iniziativa è il secondo appuntamento annuale sul tema delle molestie sessuali sul luogo di lavoro. Il primo è stato lo scorso 25 novembre 2008, e vorremmo
tutti gli anni riproporlo per mantenere alta l’attenzione su un problema che, nell’ambito della nostra attività, percepiamo come diffuso ma che è per lo più nascosto.
Dai dati ci risulta addirittura che i casi di violenza segnalati sul lavoro quali la molestia, i ricatti sessuali, lo stalking, il mobbing siano più alti rispetto ai casi di molestia
sessuale in altri ambiti. Mi riferisco ai dati che pervengono al nostro ufficio ma anche
al Telefono rosa attraverso l’antenna del camper “Vicino a te”, che la Provincia
finanzia, e che si occupa di accoglienza diretta si territori.
Quindi, riteniamo giusto che nella giornata internazionale contro la violenza sulle
donne si parli di un problema così diffuso e che investe un numero crescente di
donne e non solo.
Un’indagine apparsa sul sito www.studenti.it e condotta su 130 ragazzi rivela che
l’11% di loro hanno subito molestie e ricatti nel momento della ricerca di lavoro.
Partendo dai dati vorremmo utilizzare questa giornata per una verifica sullo “stato
dell’arte” e con la testimonianza molto importante di una donna che ha combattuto
per otto anni contro il mobbing.
La sentenza della Corte di Cassazione che la riguarda è la n.ro 22858 dell’11 settembre 2008 che, tra il resto, cassa le motivazioni del Tribunale che, nei due passaggi precedenti, non ha dato rilievo ad aspetti quali la “durata” nel riconoscimento
del mobbing. La sentenza riconosce quindi che per la molestia e il mobbing non
possano esistere vincoli di tempo.
Un altro spunto ci viene dalle direttive dell’UE in cui le molestie sono inserite con
piena dignità all’interno delle discriminazioni che si subiscono sui posti di lavoro.
Lo scorso anno abbiamo denunciato il fatto che l’Italia non aveva applicato l’inversione dell’onere della prova, proprio perché dalla nostra esperienza emerge che le
donne nella gran parte dei casi non hanno il coraggio di andare avanti, perché si
sentono sole, non sono abbastanza supportate e, soprattutto, non sono sicure di
avere le prove.
Come dirà l’avv. Caffaratti abbiamo seguito un caso, durato a lungo, verificatori in
un’azienda di pulizie di grandi dimensioni con sede a Milano e qui, agendo sul principio affermato dell’UE che attribuisce la responsabilità della sicurezza al datore di
lavoro. Le donne erano sottoposte a ricatti e molestie da parte del loro capo che si
era addirittura approntato una stanza “apposita” per agire indisturbato. Abbiamo incontrato i datori di lavoro dell’azienda, nel contempo sono stati presi provvedimenti
disciplinari nei confronti del molestatore, cui non è seguito però un intervento della
portata che ci si aspetterebbe di fronte alla gravità del caso che coinvolgeva un
numero crescente di donne.
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Il Telefono Rosa, che ha seguito il caso, ha purtroppo riscontrato come il tribunale
di Torino non sia riuscito, nonostante un Magistrato donna, ad affermare che ci
fossero state le molestie di fronte alle prove contrarie dell’uomo che ha continuato
a esercitare un potere nei confronti delle colleghe chiamate a testimoniare. Alla
prova dei fatti, le donne non sono riuscite ad affermare fino in fondo le loro ragioni
e a ricevere il risarcimento del danno di cui avevano necessità. Finché mancherà una
legge che affermi il principio dell’inversione dell’onere della prova, come richiede
la Direttiva 2006/54/CE non ancora recepita dal nostro paese, forse non faremo
molti passi avanti su questo fronte.
Il problema rischia purtroppo di diventare più grave rispetto alla situazione di crisi, di
cassa integrazione, di difficoltà a mantenere il posto di lavoro. Da una ricerca pubblicata ieri emerge che è sempre più forte il lavoro sommerso. Sarebbero 2 milioni
in Italia le persone che svolgono un lavoro nero e irregolare. Le situazioni di ricatto
proliferano e temo che in questa ricerca non sia ancora stato considerato il lavoro
di cura nelle case, tuttora un problema sommerso nell’analisi e nella denuncia.
Anche il Servizio Ispettivo nazionale, rilevando un crescente numero di molestie e
mobbing a carico delle straniere, ha iniziato un lavoro mirato su questo tema riscontrando che l’azione determina isolamento delle persone sottoposte a mobbing
e molestie, denigrazione, demansionamento e dequalificazione, spessissimo anche
trasferimento e licenziamento.
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E’ indubbio l’arretramento del nostro paese su questo tema: lo Stato italiano è stato
condannato dalla Corte di giustizia europea perché le ultime due leggi contro la
discriminazione: il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 e il Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 215 non avevano inserito, come l’UE indica da tempo, proprio
l’inversione dell’onere della prova.
Non avevano inserito, inoltre, il diritto delle associazioni di essere parte civile nel
processo. Immagino che una donna si sentirebbe più supportata con al fianco la
Consigliera di Parità con il suo l’avvocato, più quello di una associazione d’appoggio
costituiti come parte civile nei processi.
E’ urgente che il nostro sistema legislativo, anche a livello regionale, prenda atto
della realtà. Non è di poco conto che anche il Codice delle pari Opportunità, di
recente applicazione, sia stato sottoposto a condanna proprio su questi aspetti.
Anche l’ispettorato del lavoro ha riconosciuto che la ricerca dell’onere prova è la
questione cruciale. Noi consigliamo sempre alle donne in difficoltà di tenere un diario, di usare registratore, di cercare la solidarietà dei colleghi di lavoro perché non
spariscano quando si è in giudizio.
In cartella trovate anche un interessantissimo documento il “massimario sul mobbing e molestie” che rifà la storia di tutta la questione, riporta cosa viene fatto negli
altri paesi. Negli USA, ad es., c’è una legislazione precisa dove si parla di violenza
sul lavoro.
Il massimario riconosce che l’INAIL è fondamentale e l’INAIL riconosce il mobbing
con circolare 71 del 17 dicembre 2003 “Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro”.
Il massimario raccoglie anche tutte le sentenze compresa quella che riguarda la
nostra testimonianza. La signora vi racconterà come è stata sottoposta a discriminazione non solo sul lavoro ma anche a livello giudiziario. Infatti ha dovuto ricorrere in
appello per veder riconosciuto il danno ma non è stato sufficiente per essere integrata sul posto di lavoro. Le difficoltà a livello giudiziario sono dovute alla mancanza
di una cultura giuridica forte su questo tema.
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Avv. Mirella Caffaratti – Consulente della Consigliera di Parità
della Provincia di Torino
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Cercherò di cogliere alcuni spunti degli interventi che mi hanno preceduto e di
darvi alcune informazioni tratte dalla mia esperienza professionale.
Il documento di riferimento, rispetto alle molestie sessuali sul lavoro, è la Raccomandazione n.92/131 della Commissione della Comunità Europea.
La Raccomandazione fa seguito a uno studio eseguito negli Stati Membri sul fenomeno delle molestie sessuali e rileva come le molestie siano ricorrenti negli ambienti di lavoro e costituiscano un problema assai grave.
A partire da tale constatazione, la Raccomandazione sostiene che le molestie sessuali sono inammissibili, sono contrarie al principio di parità di trattamento, guastano
l’ambiente di lavoro, hanno conseguenze devastanti sulle persone e hanno ricadute
negative anche sulla produttività.
La Commissione Europea ha invitato, dunque, gli Stati Membri a far sì che si favorisca la diffusione di una nuova consapevolezza in materia di molestie e li ha invitati a
dotarsi di strumenti per combatterle.
Da questa Raccomandazione derivano i Codici Etici delle Pubbliche Amministrazioni e nasce la figura della/del Consigliera/e di Fiducia sia nel settore pubblico, che
nel settore privato.
Nella normativa vigente, il concetto fondamentale di riferimento per le molestie, soprattutto per quelle sessuali, è l’indesideratezza del comportamento: in altre parole, tutti i comportamenti che sono indesiderati sono da intendersi come molestie.
Anche l’esposizione di immagini o di materiale in generale che sfrutta il corpo delle
donne, anche se non pornografico, costituisce ormai pacificamente molestia sessuale.
Questo rende chiaro quanto siano centrali gli aspetti, per così dire, culturali e come
sia necessario che si diffonda una maggior consapevolezza su questi argomenti.
Parlo spesso al femminile, perché, seppur non sia da escludere che anche i maschi
possano essere vittime di molestia, la prevalenza dei casi riguarda certamente le
donne.
Le molestie costituiscono un illecito disciplinare all’interno del luogo di lavoro e chi
si trovi a subire molestie ha il diritto di attendersi una adeguata tutela dal datore
di lavoro; quest’ultimo è, infatti, responsabile della salute dei propri dipendenti e,
soprattutto in ragione di una legislazione rigorosa come la nostra, è responsabile
della salute di chi subisca molestia.
Purtroppo non è sempre facile ricevere tale tutela.
In un caso di molestie di due lavoratrici che si erano rivolte alla Consigliera di Parità
della Provincia di Torino, abbiamo incontrato due volte i rappresentanti dell’azienda; una prima volta, essi hanno tenuto un atteggiamento molto rigido e la seconda
volta parevano più concilianti.
I fatti esposti dalle lavoratrici erano molto circostanziati; pareva che il responsabile
del servizio avesse posto in essere un vero e proprio sistema per molestare le
dipendenti; le lavoratrici avevano denunziato che il molestatore aveva allestito una
stanza con dei video e delle foto, nella quale invitava a volta a volta le varie dipendenti.
In relazione alla maggiore o minore condiscendenza delle lavoratrici alle sue avances, egli gestiva e regolava il proprio potere gerarchico, assegnando migliori turni,
migliori orari e migliori mansioni.
Nel secondo incontro, i rappresentanti dell’Azienda riferirono di aver elevato una
contestazione disciplinare a questo signore.
Dopo qualche mese, le due lavoratrici confermavano che sul posto di lavoro non
era cambiato nulla.
Una di esse era stata sì reintegrata nel proprio posto, ma le erano state assegnate
mansioni meno pregiate di prima e quindi era stata demansionata.
L’altra lavoratrice era stata trasferita.
Il molestatore, nel frattempo, continuava a rimanere al suo posto e faceva forti pressioni sulle colleghe che avrebbero dovuto testimoniare, nel procedimento penale
instauratosi.
Scrivemmo una lettera molto determinata all’azienda, ricapitolando i fatti e spiegando quali fossero le responsabilità del datore di lavoro; chiedemmo un riscontro
in ordine al provvedimento disciplinare che avevano sostenuto di aver elevato al
molestatore, ma a tale lettera non abbiamo mai avuto risposta.
Il caso non è si è concluso come avrebbe meritato, anche se avevamo avuto un parziale successo, con la sottoscrizione del verbale che impegnava l’azienda a tutelare
le lavoratrici. In sede penale, la querela delle lavoratrici era stata archiviata, in parte
perché giudicata tardiva, in parte perché il pubblico ministero aveva valutato che
non vi fossero sufficienti elementi per portare efficacemente l’accusa nei confronti
del molestatore. Alle due donne, che sono ancora in servizio, ho spiegato la possibilità di proporre un giudizio avanti il Giudice del Lavoro, nel quale il rito prevede
la loro presenza in udienza.
Le due lavoratrici, per il momento, hanno deciso di non ricorrere, dimostrando
così quanto sia difficile tradurre in pratica norme anche molto ben strutturate e
orientate.
Processo Penale e Onere della prova
In caso di molestie, presentando una querela in sede penale, si può richiedere che
il Giudice valuti se sussistano estremi di reato, per giungere all’imputazione del
presunto molestatore.
In tale sede, vige il principio garantista, in base al quale l’imputato è innocente fino
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a prova contraria; quest’ultimo non è tenuto a portare le prove per dimostrare la
propria innocenza.
Naturalmente, nel processo penale, sono importantissimi tutti gli strumenti che
consentono di essere a fianco della donna che ha presentato la querela; mi riferisco
alla costituzione di parte civile sia della donna molestata, che di altri soggetti a suo
sostegno, quali sono le istituzioni deputate, come la Consigliera di Parità o le associazioni che si occupano di violenza e di mobbing.
La seconda tutela è quella che si può richiedere al Giudice del Lavoro. La legislazione, in questo settore, fornisce un aiuto importante, definendo le molestie come
atti discriminatori.
In questa materia, è particolarmente importante e allo stesso tempo delicato il
problema dell’onere della prova.
La questione è piuttosto tecnica: nel nostro ordinamento, è principio fondamentale
che chi agisce in giudizio debba provare i propri assunti.
L’inversione dell’onere della prova costituisce un alleggerimento del principio fondamentale appena citato ed è un alleggerimento che viene adottato in determinate
materie, nelle quali il legislatore ha valutato che vi siano difficoltà a fornire la prova,
come certamente è in caso di molestie.
Per favorire l’assolvimento dell’onere probatorio, la legge consente che si possano
dedurre dei fatti anche da dati di ordine statistico.
E’ quindi importante che tali dati siano rilevati e messi a disposizione, al fine di
potervi accedere in casi che rendano necessario assolvere l’onere probatorio in
giudizio.
Nella nostra normativa, esiste già un alleggerimento dell’onere della prova: si possono dedurre dei fatti che devono essere idonei a fondare in termini precisi e
concordanti la presunzione della sussistenza di atti discriminatori.
La presunzione è un istituto giuridico che favorisce l’alleggerimento probatorio.
Normalmente il concetto di presunzione concerne fatti che si connotino in termini
precisi, gravi e concordanti.
Nella materia antidiscriminatoria, il requisito della gravità non è più richiesto; il che
significa che, per fondare la presunzione della sussistenza di fatti discriminatori, è
sufficiente che i fatti siano precisi e concordanti e non anche gravi.
La Direttiva Europea 54/2006, che avrebbe dovuto essere recepita nel nostro ordinamento entro l’agosto 2008 (e che non è ancora stata recepita), opera una
definitiva e decisa inversione dell’onere della prova.
Sulla base di tale Direttiva, è necessario che la vittima di molestia o di discriminazione deduca i fatti in modo circostanziato e spetterà al presunto molestatore fornire
la prova che i fatti dedotti dalla vittima non sono accaduti.
Sul che fare.
E’ importante che si conoscano i soggetti ai quali rivolgersi: la Consigliera di Parità,
le Organizzazioni Sindacali, le Associazioni che si occupano di violenza e di mobbing.
Non bisogna isolarsi; bisogna rivolgersi alle istituzioni deputate alla difesa delle vittime; scrivere un diario, annotarsi i fatti che potranno essere utili in giudizio.
Per quanto concerne la registrazione fonografica, si può dire che è possibile; anche
il garante della privacy si è pronunciato in questo senso.
Se si registra un fatto per precostituirsi una prova che si intende depositare in giudizio, si può fare.
Il problema è che il nostro sistema è molto garantista ed è costruito in modo tale
che, se il soggetto disconosce la registrazione, se, ad esempio sostiene che quella
non sia la sua voce, la registrazione effettuata non può essere utilizzata come prova,
ma può comunque essere depositata nella cancelleria del giudice e costituire parte
degli indizi presuntivi.
Da ultimo, segnalo la necessità di adeguata formazione in materia di molestie e di
discriminazioni, sia nel settore pubblico che in quello privato, perché è importante
che si formi una nuova sensibilità, per far sì che i casi di molestie diminuiscano e che
quelli esistenti siano perseguiti come meritano, con il precipuo fine di tutela delle
vittime.
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Avv. Stefania Gerbino - Telefono Rosa Torino
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La nostra associazione grazie al sostegno della Provincia di Torino e della Consigliera di parità provinciale da alcuni anni ha avviato il progetto “Vicino a Te” . Un
camper itinerante si muove sul territorio cittadino e provinciale sostando dinanzi
ai luoghi nevralgici: davanti alle fabbriche, nelle piazze, fornendo ai cittadini e alle
cittadine, ascolto e materiale di informazione e raccogliendo molte testimonianze,
non solo di donne , anche se queste rappresentano l’82%, di coloro che si sono
rivolte al camper.
Per quanto riguarda la questione mobbing e molestie sul lavoro abbiamo inviato o
accompagnato 67 persone nel 2007 dalla Consigliera di Parità, dai sindacati o dalle
associazioni di categoria (vd allegato 2).
Il mobbing nelle sue varie forme è numericamente rilevante, nella relazione delle
attività svolte dall’associazione Telefono Rosa del 2007 abbiamo evidenziato, tra i
casi di violenza segnalata: 89 casi di stalking, 62 di mobbing 65 di violenza sessuale,
47 casi di molestie e ricatti sessuali.
Quando arrivano queste denunce al telefono rosa le donne sono accolte dapprima dalle volontarie dell’accoglienza e poi indirizzate dalle nostre psicologhe, dalle
avvocate o ai servizi presenti sul territorio.
A questo proposito vi segnalo due testimonianze anonime molto significative.
Due settimane fa è arrivata una contabile di un’azienda della prima cintura torinese
e ci ha raccontato un caso di un mobbing verticale, che non si è concretato in una
molestia di tipo fisico, ma nei soliti comportamenti tipici del mobbing: la signora
veniva sorvegliata nei minimi dettagli dal datore di lavoro, non riceveva risposte a
richieste verbali e scritte, gli incarichi cambiavano a sorpresa e lei non era preparata.
Un classico esempio di mobbing molto silente, insidioso e soprattutto difficile da
provare in sede giudiziale.
La donna che dapprima ha cercato di gestire la situazione con razionalità e pazienza,
ha poi sviluppato una cronica ansietà. L’ufficio del personale ha iniziato a occuparsi
del caso stigmatizzandolo, perché la lavoratrice ha cominciato a essere considerata
una vittima, una problematica, una piantagrane. Peccato che lei stessa abbia finito
per credervi e ritenersi effettivamente una donna problematica. Alla fine non riuscendo più a trovare alleanze interne al luogo di lavoro, si è rivolta ai sindacati e le
è stato proposto un trasferimento o in alternativa un incarico di minor importanza
ed ha finito di licenziarsi. Nel mobbing, infatti, si verifica uno sgretolamento della
personalità, nel caso in questione la signora ha finito per considerarsi una persona
fragile che “avrebbe potuto farcela se non fosse stata così debole”.
La vittimizzazione che deriva dalla situazione si riflette anche in ambito familiare e
nella difficoltà di trovare un altro lavoro.
La storia di un’altra donna è emblematica del permanere di una visione sessuata
del lavoro che accompagna l’inserimento al lavoro della donna con la colpa di aver
tolto un terreno che prima era maschile e per il quale sente quasi di dover pagare
un prezzo.
La lavoratrice ci ha denunciato, inoltre, la necessità di riservatezza nelle varie denunce perché la donna ha bisogno di essere ascoltata con la dovuta cautela per non
finire sui giornali e in televisione.
Nella sua vicenda ha finito per pagare lei con il trasferimento il peso del mobbing.
Vivendo un paradosso che, come associazione rileviamo anche nell’ambito della
violenza, perché le donne spesso vengono allontanate mentre non si applica l’allontanamento dell’uomo violento. Si diventa quindi due volte vittima perché per una
donna vittima di mobbing doversi trasferire e magari far trasferire tutta la famiglia è
un peso. Quindi se il trasferimento dal punto di vista pratico può essere una soluzione, è di nuovo una soluzione che si sconta sulla pelle delle donne e questa è una
criticità che vogliamo segnalare.
Siccome la legge non tutela con immediatezza le vittime di mobbing ed i tempi
lunghi della giustizia finiscono per essere penalizzanti, è importante agire nel campo
della prevenzione e dell’informazione. Le donne ci dicono che molto spesso l’informazione viene data in modo poco comprensibile. Una dipendente di un’azienda
ospedaliera ci ha segnalato un opuscolo del tutto incomprensibile che non aiutava
la donna veramente a tutelarsi. E qui entra in gioco l’obbligo del datore di lavoro di
verificare che le informazioni siano comprese.
Altro nodo critico riguarda la sorveglianza sanitaria perché il mobbing non è considerato tra i rischi specifici dell’azienda, di conseguenza non può essere valutato da
parte del medico competente.
Per quanto riguarda la prevenzione è importante quello che diceva la Consigliera, è
stato firmato un accordo quadro europeo sulle molestie che attribuisce importanza
centrale della prevenzione messa in atto dal datore di lavoro. La sentenza della Corte di Cassazione Civile, sezione lavoro, n.ro 22858 di cui abbiamo testimonianza
oggi ha sanzionato la responsabilità del datore per la colpevole inerzia con cui ha
affrontato la situazione. La sentenza citata è innovativa perché rende sufficiente
un comportamento silente di inerzia da parte del datore di lavoro, per attribuirgli
una responsabilità, anche in assenza di un fenomeno di concussione o di complicità.
Ecco perché è importante che il datore di lavoro debba comminare sanzioni disciplinari ( lo dice anche la Corte Europea) , e se è al corrente di episodi di mobbing
all’interno dell’azienda non possa rimanere silente e assistere alla violenza.
Le recenti sentenze hanno anche consentito di tipizzare dal punto di vista penale il
mobbing nei reati di maltrattamenti in famiglia definendolo “mobbing famigliare”.
Questo è un incasellamento del mobbing all’interno della figura dei maltrattamenti
in famiglia permette di far venire fuori le condotte, tipiche e un po’ più silenti di cui
parlavo che, con altre fattispecie di reato non vengono registrate.
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Ivana Melli – Consigliera di Parità supplente della Provincia di Torino
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Avete trovato in cartella il rapporto 2007 delle Consigliere di Parità che vi invito
a leggere con particolare attenzione per l’aspetto delle discriminazioni di genere e
delle modalità con cui le persone utilizzano il nostro servizio.
Riassumo il percorso: dal filtro telefonico da parte dello staff, ai colloqui con la Consigliera se il caso è di pertinenza, alla convocazione, su mandato della lavoratrice,
dell’azienda. Se c’è disponibilità e la mediazione è efficace si procede alla negoziazione, diversamente si va in giudizio.
Su questo non mi dilungo mi soffermo invece sui alcuni dati al 30 ottobre del
2008.
Sono dati non ancora elaborati, lo saranno a fine anno, ma si confermano in linea
con gli anni precedenti rispetto ai dati di discriminazione (vd allegato 1).
All’ottobre2008 abbiamo registrato 385 casi (dal 2002). Quali sono i problemi e le
violazioni più segnalate e le richieste di aiuto che ci arrivano?
La percentuale maggiore è rappresentata dalla conciliazione dei tempi in un concetto molto ampio che raccoglie: part-time, turni di lavoro, trasferimento. Questi casi
sono circa un 25% di quelli che riceviamo.
L’altra grande fetta riguarda le tematiche legate alla maternità, al congedo parentale,
alla malattia dei figli. Anche per l’allattamento che spesso viene presentato come un
bonus che l’azienda concede mentre è un dovere, previsto dalla legge, nei confronti
della lavoratrice.
Abbiamo poi una serie di problemi di natura contrattuale che permangono, ad
esempio relativi al licenziamento o per problemi legati all’orario, e che sono di
competenza del sindacato. La Consigliera di Parità si rapporta con il sindacato che
aiuta la persona proprio alla luce del protocollo d’intesa firmato.
Il mobbing ricopre una buona percentuale dei casi segnalati, accanto a questo abbiamo il licenziamento e i demasionamenti.
Per quanto riguarda il licenziamento, c’è stato recentemente un caso in cui l’intervento tempestivo, grazie all’efficienza del lavoro in rete, ha permesso di recuperare
una situazione. Dalla referente di parità di Cuorgnè è arrivata una telefonata per il
caso di una signora che è rimasta a casa dopo un periodo di malattia per la convalescenza. Al rientro è stata accolta da una lettera di licenziamento.
Su nostro consiglio ha agito inviando il fax per comunicare che era anche in stato
di gravidanza, in quanto c’è stata una concomitanza tra il licenziamento e la sua
situazione di gravidanza.
Nel fax ha preannunciato che ci sarebbe stato l’invio di tutti i documenti. La signora
ci ha poi fatto sapere che ha ricevuto, prima ancora che si rivolgesse al sindacato,
la revoca del licenziamento dall’azienda. Rispetto alle molestie verbali e sessuali
cito l’episodio di una signora che aveva trovato lavoro in un grande ambiente della
ristorazione. Nell’espormi il suo problema di violenze sessuali, verbali, affermava che
Io aveva specificato nel colloquio di assunzione che non ci sarebbe “stata” a certe
condizioni. Incuriosita le ho chiesto perché fosse arrivata a parlare di questo durante
il colloquio. La sua risposta è stata che in altri colloqui, in modo spudorato e chiaro
le era stato detto che il lavoro c’era a condizione di…
Concordo appieno sul discorso del mobbing per quanto riguarda lo spostamento
della lavoratrice e non dei chi commette la violenza.
La Consigliera interviene quando i giochi “sono già fatti”, su un discorso di tutela,
però pone molta attenzione agli aspetti di prevenzione. Si è già parlato della responsabilità del datore di lavoro in un’accezione ampia sottolineata già dall’avv.Gerbino,
che nel settore pubblico è garantita tramite i Comitati Pari Opportunità, il codice
etico, la consulente di fiducia.
Nel privato, già si sottolineava il problema dover elaborare delle strategie di prevenzione nei confronti delle molestie sessuali, per es. capire quali politiche aziendali,
quali modalità possano sanare in modo tempestivo la situazione che è compito del
datore di lavoro.
Quali sono le persone individuate all’interno affinché la lavoratrice possa fare ricorso in una situazione di riservatezza, condizione sine qua no. Dalla nostra esperienza
emerge che spesso le situazioni private emergono pubblicamente attraverso gli
uffici del personale. Non è molto corretto.
Abbiamo parlato di formazione, che coinvolge molti soggetti.
Aggiungerei la necessità di fare formazione e creare una rete nei confronti dei
carabinieri. Un ultimo caso di stalking, ma non è il primo che ci arriva, in cui la lavoratrice è stata segnalata dal CPI dopo tre anni di molestie verbali, violenze fisiche
di un collega.
Il collega ha fatto avances e lei le ha rifiutate e ha scatenato violenze e telefonate.
Il datore di lavoro si è reso disponibile per la testimonianza. La signora aveva già
denunciato ai carabinieri e di fronte alla denuncia è stata scoraggiata, le è stato detto
che sarebbe incorsa nel rischio di querela da parte della persona.
Soprattutto, l’accoglienza non è stata attenta come dovrebbe essere per una persona che arriva in queste situazioni emotive.
Noi abbiamo proposto alla sig.ra. un appoggio con un passaggio con Telefono Rosa.
La sig.ra ha poi scelto di non procedere per paura in quanto la persona viveva nei
paraggi.
Nell’ambito della rete già attiva, sarebbe opportuno creare un canale con i soggetti
che ricevono le lavoratrici in situazioni di forte disagio emotivo, quindi verrebbe da
pensare una formazione specifica attraverso le loro scuole, ma anche l’individuazione di una referente donne nel gruppo.
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Paola Balbo - Coordinamento regionale Pari Opportunità della UIL
FPL
Vorrei proporre alcuni spunti di riflessione da condividere con voi. Sono qui in rappresentanza del Coordinamento regionale Pari Opportunità della UIL FPL. Il nostro
Coordinamento si è reso conto della poca conoscenza e soprattutto formazione su
questo tema e per questa ragione sta elaborando un percorso, che
verrà formalizzato a breve e reso disponibile, destinato proprio ad un riesame di ciò
che si può fare sotto il profilo sindacale.
Vanno sottolineati alcuni aspetti. In primo luogo vorremmo arrivare ad una formazione trasversale e ad una collaborazione con le RSU e i RLS, come per altro
la norma stessa suggerisce. Ciò che occorrerebbe tuttavia promuovere e su questo stiamo lavorando e chiederei alle Consigliere di parità di farsene portavoce:
la necessità di sedere allo stesso tavolo di revisione e aggiornamento del D.lgs.
n. 81/2008 sulla sicurezza e salute sui posti di lavoro perché ogni qualvolta si
configura una discriminazione, per blanda che sia si accompagna ad una situazione
di stress lavoro-correlata e pertanto si configura la necessità di agganciare la tutela
dell’uguaglianza con una corretta valutazione dei rischi sul posto di lavoro.
Non dimentichiamo che il testo di legge parla di ‘tutti’ i rischi e che il nuovo testo
unico espressamente richiama i profili psicologici per una corretta valutazione. Mi
conforta in questa affermazione un parere che ho richiesto alla Direzione della
Commissione europea (parere che se l’Avv. Caffaratti vorrà, le invierò per posta
elettronica per prenderne visione) sulla correlazione tra le due normative e le due
problematiche e che mi ha precisato che in tali ipotesi si rientra nella valutazione
della salute sul posto di lavoro.
Il secondo elemento è connesso alla necessità di formare e sensibilizzare i medici
del lavoro attraverso le associazioni nazionale e regionali affinché si ricordino che il
loro compito precipuo è la prevenzione e pertanto non attendano la medicalizzazione per intervenire.
Ciò, oltre ad evidenziare lacune profonde nella formazione e nell’approccio al problema dei rischi collegati all’ambiente di lavoro se non di tutti di parte almeno dei
medici del lavoro che poco conoscono la questione, farebbe pensare ad interessi di
altra natura che non di garantire la tutela dei lavoratori.
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Testimonianza - Elisabetta Ferrante
La sentenza n.ro 22858 della Corte di Cassazione è disponibile sul sito
www.consiglieraparitatorino.it
Posso raccontare la mia esperienza, vissuta in una multinazionale, quindi in una
società che ha grossi poteri e in cui operavo dall’’87 con soddisfazione di entrambe.
Non ho mai avuto problemi.
C’è stato un cambio di direzione nel ’99 a luglio e a gennaio del 2000 mi sono trovata a vivere una situazione dapprima imbarazzante, successivamente trasformata
in un incubo.
Parliamo di mobbing, di violenze psicologiche, di azioni lesive della personalità.
Tutto è iniziato con un “no” al mio diretto superiore, che era il direttore dello stabilimento di Torino.
Dopo il no ad advances di natura sessuale, a offerte di nottate di sesso e difronte
al mio rifiuto di una notte a tre in Olanda, ho subito di tutto; mi sono ritrovata ad
avere la scrivania contro un muro, senza più un ufficio, relegata in un open senza
finestre con la documentazione, anche riservata, archiviata in scatoloni, clienti che
mi telefonavano e dovevano passare dal centralino perché non avevo neppure più
un telefono con un numero personale, biglietti da visita cambiati e resi impresentabili poiché palese era il demansionamento e non rappresentavano la mia vera
funzione.
E’ stato un incubo che ho vissuto per più di sei mesi; ho chiesto aiuto all’amministratore delegato e l’ho avuto inizialmente, anche perché i fatti erano evidenti. Ero
l’interfaccia della società verso la Comunità europea e mi avvalevo della collaborazione di risorse aziendali per lo sviluppo del un progetto che la comunità europea
ci aveva assegnato.
Mi venivano dati dal direttore incarichi sempre più pressanti, addirittura mi venivano fissate riunioni contemporaneamente a Milano e Roma o ad ore improponibili,
dall’altro lato mi venivano tolte le risorse,non potevo fruire di saletta per poter
fare le riunione con i clienti esterni, venivo inoltre offesa e umiliata anche davanti ai
colleghi, rendendo il più delle volte la situazione imbarazzante per tutti i presenti; in
quei sei mesi tutto mi veniva stravolto o negato .
Dopo che mi sono rivolta all’amministratore delegato, il direttore responsabile di
tutti i progetti sviluppati in azienda, su incarico dell’amministratore delegato, convocava il direttore della mia sede e mio capo diretto e lo invitava a presentare le
sue scuse personali. In quel’occasione, dopo le scuse, venni rassicurata sia dal mio
responsabile gerarchico che dal responsabile di tutti i progetti aziendali sull’interesse che l’azienda nutriva nei confronti del progetto che seguivo; mi prospettarono
un’ambiente lavorativo sereno ed in sviluppo e avrei fruito delle risorse umane
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necessarie previste dal progetto. Trascorsi 15 giorni dalla presentazione delle scuse, lo stesso direttore e capo diretto, con una e-mail, mi ha destituita dall’incarico,
demansionata e trasferita a Milano. Mi sono allora rivolta al capo del personale il
quale a sua volta mi ha liquidato con una frase terribile: “lei è uomo di azienda, può
prendere e andare dove vuole l’azienda. L’azienda le chiede di andare a Milano e lei
và a Milano”. Quella sera stessa, tornando a casa mi sono persa per strada; il mio
bimbo di cinque anni, comunicando con il cellulare, ha guidato il padre dove mi ero
persa. Era arrivato il crollo psicologico e frequenti erano gli attacchi di panico.
Mi ha aiutato tantissimo a riprendermi mia mamma perché si è fatta carico insieme
a mio marito dei due figli che all’epoca dei fatti avevano 5 e 15 anni e che mi face
sentire in ogni istante la sua vigile e solerte presenza. Per tutelare me stessa e la mia
famiglia mi sono anche trasferita di casa perché purtroppo il “mobber” abitava nei
pressi della mia abitazione e ripetutamente ha cercato d’ncontrarmi stazionando
sotto casa o incrociando il percorso che in compagnia di mia madre effettuavo; in
una di queste occasioni, mia madre, lo ha rincorso indirizzandogli improperi vari.
Naturalmente sono stata a casa in malattia, ho fatto ricorso all’aiutato di una psicologa e una neurologa perché non dormivo più, ero soggetta ad attacchi di panico
e soffrivo di uno stato ansioso depressivo che mi ha costretta a far uso di farmaci.
Attraverso i miei legali ho contattato l’azienda per rientrare al lavoro nel rispetto
delle mansioni e del mio ruolo; per tutta risposta sono stata trasferita a La Spezia. Ottenuto l’annullamento del trasferimento a La Spezia, nel momento in cui
riprendo a lavorare, l’azienda mi ha demansionato al ruolo di segretaria quindi, da
settimo quadro, in attesa della dirigenza nell’anno 2000, mi sono ritrovata a fare la
segretaria; ho compreso solo successivamente il motivo del demansionamento e
trasferimento a Milano, infatti, nella nuova condizione lavorativa ho fruito della cassa
integrazione straordinaria a rotazione per le segretarie che è stata successivamente
dichiarata dall’azienda.
Al rientro dalla cassa integrazione, mi hanno proibito di avere contatti con partners
o clienti e mi hanno fatto seguire un progetto chiamato ironicamente “progetto
cartesio”; ironicamente perché prendevo dalle scrivanie dei colleghi la carta gia
utilizzata per metterla in cassonetti gialli per essere riciclata. Nel 2005 l’azienda mi
ha fatto rientrare in una mobilità/licenziamento.
Dall’anno 2005 all’anno 2008 non sono riuscita a trovare lavoro, perché proprio
colpita nell’immagine che era la caratteristica che mi contraddistingueva nel rapporto con i clienti; l’azienda distruggendo la mia immagine ha fatto terra bruciata
intorno a me rendendo vano ogni mio tentativo di trovare occupazione anche con
un auto-demansionamento. Ho avuto l’opportunità di presentare il mio curriculum
lavorativo che veniva accolto con molto interesse, ma quando la mia persona veniva
identificata, ogni possibilità d’impiego mi veniva preclusa.
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Nella causa intrapresa per mobbing ho avuto colleghi che mi hanno chiesto di poter
venire a testimoniare in mio favore, eppure nonostante undici testi e le relative settantasette cartelle di testimonianze a comprova dell’esistenza del mobbing subito,
lo stesso non è stato riconosciuto.
Le motivazioni della sentenza di primo grado che mi vide soccombere in estrema
sintesi furono:
“Il direttore era solo una persona abitualmente maleducata e grossolana”.
“L’ azienda aveva provveduto ad interessarsi e mi aveva fatto presentare le scuse
dal direttore”.
“Tutti gli altri avvenimenti che avevo denunciato come mobbing erano seppur accaduti non correlabili tra loro”.
“Trasferimenti e demansionamento facevano parte di normale routine lavorativa”.
In appello sono stata condannata a pagare l’azienda per lite temeraria per un
importo di 13.500 euro. La cassazione, ha ribaltato tutto e ha cassato le sentenze
precedenti del tribunale di Torino.
La sentenza di CASSAZIONE è stata una soddisfazione dal costo elevato, a livello
economico e per l’impegno psico-fisico per me e la mia famigla.
Mi sono trovata sola con la famiglia ad affrontare con una spesa per i primi due gradi di giudizio del mobbing pari a 100.000 euro e a fronteggiare una multinazionale
che con ogni mezzo era ed è intenzionata a prevaricare le mie ragioni. Ricorrere
all’aiuto della consigliera delle pari opportunità, consigliabile a quanti incorrono in
vicende analoghe alla mia, mi avrebbe dato sicuro giovamento.
Il ricorso al licenziamento l’ho affrontato con il patrocinio CISL insieme ad altri due
colleghi.
La sentenza di primo grado mi ha visto nuovamente soccombere, mentre dei due
colleghi che con me avevano fatto ricorso uno giungeva ad una transazione e l’altra
veniva reintegrata dall’azienda nel suo posto di lavoro in corso di causa.
L’ appello al licenziamento ha accolto la mia richiesta di reintegra nel mio posto
di lavoro, motivando in sentenza l’accoglimento della nullità alla mobilità dichiarata
dall’azienda ed osteggiata dalle parti sociali confederate.
A mio avviso la sentenza d’appello al licenziamento è ostaggio della sentenza della
CASSAZIONE sul MOBBING INTERVENUTA POCO PRIMA.
Attendo ora l’effettiva reintegra, come da sentenza.
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Conclusioni – Laura Cima Consigliera di Parità
Vorrei concludere questo incontro chiedendo ufficialmente alla Provincia un rafforzamento su questi temi perché, come dimostrano i dati, la molestia sessuale sul
luogo di lavoro è, tra le varie forme di violenza sulle donne, una delle più diffuse.
Vorremmo proporre un progetto specifico che contrasti le molestie sessuali e il
mobbing sul lavoro e che potrebbe essere inserito nell’ambito dei fondi che la Regione sta distribuendo alla Provincia sul tema della violenza contro le donne.
Per quanto riguarda la nostra attività, nel 2009 proseguiremo con le ricerche attivate, la prima rispetto alle straniere e al lavoro di cura, insieme all’Associazione
Almaterra e al Cirsde, dove riteniamo ci sia la situazione più sommersa. L’altro
impegno è una ricerca nelle agenzie interinali.
Inoltre, aggiorneremo il materiale di informazione utile per la prevenzione e il contrasto.
Per quanto riguarda le organizzazioni sindacali siamo disponibili per l’attivazione
di corsi specifici, perché riteniamo il loro ruolo fondamentale. La questione della
responsabilità del datore di lavoro va concretizzata con maggior efficacia nei contratti; andiamo verso una riforma della contrattazione che attribuirà nuovi ruoli alla
contrattazione locale e integrativa, per questo i sindacalisti devono essere pronti a
gestire la situazione.
Accogliamo anche lo stimolo che arriva dal Telefono rosa rispetto alla necessità di
una ricerca sugli annunci di lavoro pubblicati sui principali quotidiani della nostra
città. Al Telefono Rosa, infatti, rilevano l’ambiguità degli annunci rispetto a ciò che
viene richiesto o offerto: ci sono annunci di donne e giovani che vengono il proprio
corpo in cambio di lavoro. E’ un fenomeno che si sta purtroppo diffondendo e
qualcuno è già apparso anche nella nostra città. E’ necessario vigilare perché siano
garantiti il rispetto, la dignità e diritti delle persone che sono alla ricerca di un lavoro
e che non debbono subire e accettare ricatti.
Come Consigliere di Parità potremmo portare nell’ambito della rete nazionale a
Roma la richiesta che sia rafforzata la formazione delle forze dell’ordine che spesso
sono chiamate a intervenire nei casi di violenza. E’ indispensabile che siano preparate ad accogliere la sofferenza delle persone, con il giusto peso e con l’adeguata
capacità operativa per evitare che la vittima si senta sola anche nel momento in cui
si rivolge alle istituzioni.
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Normativa di riferimento
La Costituzione della Repubblica Italiana
Art.1 - art.2 - art.3 - art.4 - art.32 - art.37 - art.41
Statuto dei lavoratori (legge 300/1970)
Art.9 - Art.13 - Art.15
La legge n.626/1994 “Sicurezza sul luogo di lavoro”
Decreto Legislativo 11 aprile 2006,n.198, “Codice di parità tra uomo e donna”
Il Codice Civile
Art.2087 c.c.- Art.2103 c.c.- Art.2043 c.c. - Art.2049 c.c. - Art.2697 c.c.
Il Codice Penale
Art.582 c.p.1c. - Art.583 c.p.- Art.586 c.p.- Art.589 c.p. - Art.590 c.p.- Art.594 c.p.Art.595 c.p. - Art.572 c.p.- Articoli 609 bis e seguenti c.p.- Art.610 c.p. - Art.612
c.p. - Art.660 c.p.- Art.40 c.p.
Decreto legislativo 196/2003 “Codice in materia di protezione dei dati personali”
- Art.167.
Corte Suprema di Cassazione Ufficio del massimario e del ruolo – Il mobbing relazione 142 del 10 novembre 2008
Codici di condotta
Ministero del Lavoro 1999 approva il "Codice di condotta nella lotta contro le molestie sessuali per i dipendenti del ministero del lavoro e della previdenza sociale". il
primo adottato da una pubblica amministrazione.
Servizi Ispettivi
Circolare n. 13 del 20 aprile 2006
Codice di comportamento del personale ispettivo del Ministero del lavoro e rapporti con le Consigliere di parità.
Direttiva sui serivzi ispettivi e l'attività di vigilanza
Direttiva sulle misure di razionalizzazione delle funzioni ispettive e di vigilanza in
materia di previdenza sociale e di lavoro. Ministro del Lavoro, della Salute e delle
Politiche Sociali G.U. n. 265 del 12 novembre 2008,
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l’INAIL circolare 71 del 17 dicembre 2003 “Disturbi psichici da costrittività organizzativa sul lavoro”.
Onere della prova
Direttiva Europea 54/2006 riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione
e impiego
Legge 101 del 6 giugno 2008 su onere della prova
recepisce le indicazioni dell’Unione Europea in materia di diritti e discriminazioni
rafforzando alcuni aspetti di particolare interesse rispetto alla tutela e sostegno al
diritto di maternità e paternitàModifica il Dlgs 215/ 2003 contro le discriminazioni in base alla razza e all’origine
etnica e il Dlgs 216/ 2003 contro le discriminazioni in materia di occupazione e
condizioni di lavoro( art. 8-quater - septien).
Direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15 dicembre 1997
Onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso
Comunicaizone della Commissione al Consiglio e al Parlamento Europeo
accordo quadro europeo sulle molestie e la violenza sul luogo di lavoro COM(2007)
686 dell’ 8.11.2007
Raccomandazione n.92/131 della Commissione della Comunità Europea sulla tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro
Mobbing
Risoluzione del Parlamento Europeo del 20 settembre 2001"Mobbing sul posto
di lavoro"
Sentenze
Sentenza della Corte di Cassazione sul mobbing n.ro 22858 - 11 settembre 2008
Sentenza della Corte di Cassazione sul mobbing e i sindacati n. 12738 -del 26
marzo 2008
I testi sono reperibili su www.consiglieraparitatorin.it
Fonte: Consigliera di Parità provincia di Torino,
“Su la testa giù le mani – contro le molestie e il mobbing” - Regione Piemonte
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ALLEGATO 1
CASI 2008 Consigliera di Parità prov. Torino
Sul totale di 77 casi esaminati all’ufficio della Consigliera di Parità della Provincia
di Torino nel 2008 (dati al 15 novembre), il 10% circa riguarda un problema di
molestia o di mobbing.
Sei di questi casi sono tuttora aperti e in fase di valutazione da parte della Consigliera di Parità.
MOTIVAZIONE
IMPRESA
SETTORE
molestie verbali
privata
Servizi
Problema aperto
privata
Industria
Dimissioni
mobbing
privata
Industria
in corso di definizione
mobbing
privata
Chimico in corso di definizione
molestie verbali
e mobbing
privata industria
Problema aperto
molestie verbali,
mobbing,
problema sindacale
e trasferimento
privata
industria
Problema aperto
molestie verbali
e stalking
ESITO
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ALLEGATO 2
ATTIVITA’ DI ACCOGLIENZA PRESSO TELEFONO ROSA
Primo semestre 2008
DATI RELATIVI AGLI ABUSI PERPETRARI CONTRO DONNE SUL POSTO DI LAVORO
Violenza segnalata
Molestie e ricatti sessuali
Stalking Mobbing 6
4
Violenza sessuale
11
3
MONITORAGGIO ATTIVITA’ REALIZZATA DAL TELEFONO
ROSA NEL SERVIZIO “VICINO A TE”
Primo semestre 2008
Tipo violenza segnalata
N. DONNE
Molestie e ricatti sessuali
7
Stalking
5
Mobbing 14
Violenza sessuale
2
Discriminazione salariale (*)
9
Discriminazioni nella formazione,
nel perfezionamento o nella carriera
7
22
(*) Donne e discriminazione salariale: stesso lavoro, salario diverso.
Si intendono quei i casi in cui a parità di qualifica, attività e posizione le donne percepiscono un salario inferiore rispetto ai colleghi maschi.
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Marzo 2009