democrazia e pluralismo in israele

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democrazia e pluralismo in israele
Un popolo libero
nella propria terra
Democrazia e pluralismo in Israele
Editor: Dott. Yuval Karniel
Editor associato: Linda Reiss-Wolicki
Direzione progetto: Yehuda Attias
Traduzione dall’inglese: Dario Burgaretta e Ghila Piattelli
Un popolo libero nella propria terra
Democrazia e pluralismo in Israele
Indice
Saluto dell’Ambasciata
Introduzione
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Le radici della democrazia israeliana
Democrazia e tradizione ebraica
Rabbi Gilad Kariv
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Israele come democrazia parlamentare
...............................................................................................
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La Dichiarazione di Indipendenza di Israele .................................................................................. 16
Democrazia e rinascita della sovranità ebraica ......................................................................... 18
Libertà di espressione e libertà di stampa
Ruvik Rosenthal
...........................................................................................................................................................................
22
Parità tra sessi in uno stato ebraico
Frances Raday
..............................................................................................................................................................................
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La condizione della popolazione araba in Israele
Ilan Jonas
.........................................................................................................................................................................................
27
I diritti dei bambini in Israele – il bicchiere mezzo pieno
Yitzhak Kadman e Vered Windman
.................................................................................................................................
30
Welfare e diritti socio-economici in Israele
Yoram Rabin
....................................................................................................................................................................................
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L’Indice di Democrazia
Asher Arian
......................................................................................................................................................................................
35
La democrazia israeliana in tempi di guerra
Yuval Karniel
...................................................................................................................................................................................
Israele – democrazia in Medio Oriente
..................................................................................................
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Saluto dell’Ambasciata
Cari amici,
siamo onorati di presentarvi questa pubblicazione, un’antologia di articoli, scritti da insigni esperti e studiosi
israeliani, sulle fondamenta democratiche israeliane. Abbiamo scelto di tradurre e pubblicare questo materiale,
qui in Italia, proprio per sottolineare il carattere democratico dello Stato d’Israele, distaccandoci, in effetti, dai
temi affrontati negli ultimi anni in maniera continua e ineluttabile, relativi alla politica estera e alla sicurezza di
Israele assieme alle numerose relative implicazioni.
Israele si trova in prima linea tra i paesi democratici occidentali e trae il proprio carattere e il proprio sistema di
vita sociale da legami culturali, storici e umani con il mondo occidentale.
Gli argomenti riportati in questa pubblicazione rispecchiano in maniera fedele le aspirazioni della società israeliana a una vita di valori moderni e avanzati, e a una trasmissione di tali valori anche ai vicini nella regione
mediorentale.
Siamo certi che la vasta gamma di informazioni sul sistema e lo stile di vita in Israele, presentata in questa pubblicazione, riuscirà ad affascinare molti lettori, contribuendo a una più profonda comprensione della realtà civile e sociale in cui viviamo.
Come noto, Israele ha compiuto recentemente un passo molto importante e senza precedenti nel contesto del processo di pace, il disimpegno da alcuni territori palestinesi. Questo passo è un’ulteriore testimonianza della forza
della democrazia e di quanto questa sia radicata nella società israeliana, come emerge chiaramente anche dagli
articoli qui presentati.
È opportuno in questa sede esprimere anche i ringraziamenti al Centro di Informazione del Ministero degli Esteri
israeliano, per la redazione dell’opuscolo, e ai curatori della traduzione italiana nella nostra Ambasciata.
Buona lettura!
Roma, settembre 2005
Shai Cohen
Consigliere per gli Affari Politici e le Relazioni Esterne
Ambasciata d’Israele a Roma
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Introduzione
“La speranza, da duemila anni, di essere un popolo libero nella nostra terra: la terra di Sion e di
Gerusalemme”
(da “Hatiqvàh”, inno nazionale d’Israele)
Come si narra nella
Bibbia, il luogo di nascita
della nazione ebraica fu
la Terra d’Israele (Eretz
Israel). Per oltre due millenni, dopo aver perso la
sovranità su Eretz Israel
e dopo essere stato esiliato in paesi sparsi in
tutto il mondo, il popolo
ebraico non ha mai
smesso di anelare a
ritornare e a ricostruire la propria patria.
Nonostante il popolo ebraico fosse
stato disperso tra le nazioni del
mondo, esso continuò ad aderire ai
principi fondamentali della propria
fede. Questi principi erano espressi
dalle parole della Toràh (i cinque
Libri di Mosè), dalle visioni dei profeti e dal Talmud, il corpus definitivo
della legge ebraica. I principi egalitari presenti in queste fonti hanno
costituito un ambito naturale per la
proliferazione di idee democratiche.
ebraico. Lo stato appena sorto, in contrasto con quanto
avveniva nella regione circostante, nota per i suoi regimi
totalitari e autoritari, adottò sin dall’inizio per la propria
società delle linee ispiratrici egualitarie, democratiche e pluralistiche.
La Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele (14 maggio 1948)
proclamò la formazione di uno stato ebraico aderente a principi democratici. L’assorbimento di centinaia di migliaia di
ebrei da ogni parte del mondo fu un ulteriore apporto alla
natura pluralistica della cultura d’Israele. Gli ideatori della
Dichiarazione, avendo bene in mente gli anni di persecuzioni sofferte dal popolo ebraico ad opera dei vari regimi sotto
i quali vivevano, hanno messo in chiaro che Israele si sarebbe fondato su principi di libertà,
uguaglianza e tolleranza per tutti i
Israele è fondato sui
suoi cittadini, senza alcuna distinzione di religione, coscienza, razza,
principi di libertà,
sesso o cultura.
uguaglianza e
tolleranza per i suoi
cittadini, senza
alcuna distinzione di
religione, coscienza,
razza, sesso o cultura
Tolleranza per gli altri, rispetto per
tutte le persone e preoccupazione
per il benessere sociale di ogni singolo membro della società, insiti
nelle fonti ebraiche, sono stati la
pietra angolare su cui si è fondata la vita ebraica nella
Diaspora. Dalle comunità di ebrei che hanno sempre mantenuto una presenza in Eretz Israel alle comunità sparse su
tutta la terra, la vita comunitaria ebraica è sempre stata guidata da istituzioni che hanno contribuito a porre le fondamenta di quelle democratiche dell’Israele odierno. Inoltre le
idee democratiche e liberali provenienti dalle emergenti
democrazie europee, nel corso del XIX secolo, hanno esercitato una loro influenza sullo sviluppo e la concezione del
Sionismo politico.
Il moderno Stato d’Israele, nato nel 1948, ha trasformato in
realtà il sogno nutrito per duemila anni nel cuore del popolo
Israele è ancora un giovane paese e
ha dovuto concentrare molte delle
proprie risorse per la difesa dei suoi
confini e dei suoi residenti dalle
minacce dei vicini ostili. In coerenza
e continuità con le parole della
Dichiarazione
d’Indipendenza,
Israele continua a tendere la mano
della pace ai suoi vicini. Inoltre, nonostante i continui e incessanti attacchi al suo popolo, esso continua ad
agire in conformità alle libertà e ai
valori ai quali è sempre stato pienamente impegnato. Lo
Stato d’Israele è determinato, come sempre, ad avvalorare il
credo dei fondatori secondo cui può esistere uno stato ebraico e democratico in mezzo alle sfide quotidiane alla sua
integrità. Con l’assistenza del potere giudiziario, con quello
del potere legislativo, esercitato dal Parlamento, la Knesset,
e con l’aiuto di molte altre istituzioni presenti nella sua
società, Israele ha dimostrato come un vero impegno per
una vita democratica non deve essere impedito e ostacolato dalle circostanze esterne. In tal modo viene conferito un
senso concreto e tangibile alle parole “un popolo libero nella
nostra terra”.
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Le radici della democrazia israeliana
Israele è uno stato ebraico e democratico. Anche se queste
caratteristiche possono sembrare incompatibili, la loro integrazione è stata una considerazione naturale dei fondatori
dello Stato e ha costituito il principio guida per la Nazione sin
dalla sua rinascita nel 1948.
Alcuni semi della democrazia politica moderna hanno origine nei primi stadi della storia ebraica, e parte di quei principi e di quei valori fondamentali che sono alla base
di una democrazia hanno
costituito il fulcro del pensiero e della pratica ebraica per oltre due millenni.
L’autorevolezza
della
legge, l’interesse individuale e umanitario, l’esortazione da parte dei profeti
della Bibbia e poi dei rabbini del Talmud (l’autorevole
corpus della legge ebraica
completato circa nel ’400
dell’era volgare), a prendersi cura dei membri più
deboli della società e l’enfasi posta sull’uguaglianza
davanti a Dio, sono tutti
concetti che sono emersi in
seguito come principi della
filosofia democratica moderna.
Abbracciando la dottrina monoteista, la tradizione ebraica ha
riconosciuto, attraverso i secoli, tendenze pluraliste nelle
sue usanze e nelle sue pratiche.
Nel corso della storia ebraica questo pluralismo si è manifestato attraverso la coesistenza di chassidim e mitnagdim,
rito sefardita e ashkenazita, e gli approcci kabalista (mistico)
e halachico (ritualista). Nel periodo del Tempio, i Sadducei,
un gruppo sacerdotale che si atteneva all’interpretazione
rigorosa della Torah, vivevano a fianco dei Farisei, sostenitori della tradizione orale e precursori dell’ebraismo rabbinico
moderno.
Tutti questi movimenti si differenziano nel loro approccio
all’ebraismo e tuttavia sono universalmente riconosciuti
come parte integrante del “klal Israel”, la Nazione ebraica.
Il Talmud, che documenta la formazione delle usanze e dei
riti ebraici, è attento nel riportare i dibattiti e le opinioni
divergenti tra gli studiosi del periodo della Mishnah (I-II
secolo dell’era volgare). Le norme erano stabilite in base
all’opinione della maggioranza. Ciò nonostante, le
opinioni della minoranza
venivano comunque riportate accuratamente dal
Talmud.
Le dispute tra la scuola di
Shamai (Bet Shamai) e
quella di Hillel (Bet Hillel), le
due maggiori scuole in
Israele nel periodo della
Mishnah, sono spesso citate nel Talmud. Bet Shamai
era conosciuta per la rigorosa interpretazione dei
precetti biblici mentre Bet
Hillel per il suo approccio
più indulgente. Il Talmud
riporta entrambi gli approcci, anche se i rabbini preferivano le norme di Beth
Hillel.
L’ebraismo moderno è
costituito da numerose usanze, liturgie e filosofie diverse,
praticate da differenti movimenti all’interno dell’ebraismo,
molti dei quali sorsero negli ultimi due secoli.
Assieme alle prime espressioni di idee umanitarie e pluralistiche concrete, le stesse istituzioni ebraiche seguirono
alcuni degli aspetti che sarebbero diventati propri della
democrazia moderna. Le prime comunità ebraiche nel periodo del Talmud e in quello successivo, sia in Israele sia nella
diaspora, erano governate da rappresentanti eletti da ogni
comunità (Kehilah), che erano separati dai Batei Din religiosi (i tribunali ebraici). I rappresentanti erano eletti dalle
comunità presso le quali prestavano servizio, e supervisionavano tutte le attività sociali della comunità stessa.
Alcuni semi della democrazia politica moderna hanno
origine nei primi stadi della storia ebraica
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L’assistenza ai membri della società, in particolare alle vedove, agli orfani e ai poveri, costituiva una delle maggiori
preoccupazioni delle istituzioni comunitarie; pratica che nel
sistema democratico israeliano moderno si è tradotta nella
politica del welfare.
Sebbene il Sionismo teoretico abbia trovato espressione
nelle preghiere e nell’intenso desiderio, coltivato dagli ebrei
nel corso dei secoli, di far ritorno alla loro patria dalla quale
erano stati esiliati, il Sionismo politico ha avuto origine in
seno alle democrazie emergenti in Europa in seguito all’emancipazione del XVIII secolo. Con l’emancipazione si concedevano agli ebrei i diritti di cittadinanza, attraverso i quali
diventarono sempre più coinvolti nei loro rispettivi paesi e in
grado di apprezzare il nuovo modello di sistema democratico di governo e i suoi valori.
Herzl concepì la fondazione di uno stato ebraico democratico
Sin dagli inizi il movimento sionista politico, promosso dalle
idee di Theodor Herzl, padre del Sionismo moderno, si basava su un sistema deliberativo democratico.
Il primo Congresso sionista, organizzato da Theodor Herzl, si
tenne a Basilea in Svizzera, e vi parteciparono 197 delegati,
rappresentanti delle organizzazioni sioniste di tutto il mondo.
Il Congresso sionista aveva lo staus di assemblea nazionale
rappresentante tutto il popolo ebraico. I partecipanti al
Congresso vennero eletti a rappresentanti delle comunità
ebraiche. Il congresso rappresentò un forum aperto a
un’ampia gamma di opinioni e operò sulla base di libere elezioni, gettando le basi per la pratica del processo politico
democratico e del dibattito parlamentare. Il parlamento
israeliano, la Knesset, deriva il suo nome dalla “Knesset
Hagdolah” (grande assemblea), che costituiva il corpo legislativo degli ebrei in Israele durante il periodo del secondo
Tempio. La tradizione della Knesset e delle procedure democratiche attraverso le quali questa opera, è stata influenzata
dal Congresso sionista, dall’esperienza dell’Assemblea dei
rappresentanti (Assefat Hanivharim), il corpo rappresentativo supremo eletto dalla comunità ebraica della Palestina
sotto il Mandato britannico, e, in parte, dalla pratica e dagli
usi del Parlamento britannico.
Le radici delle inclinazioni democratiche di Israele, coltivate
per oltre due millenni dalla Nazione ebraica, hanno avuto la
possibilità di maturare con la fondazione dello Stato. Questi
principi non hanno solo portato all’accettazione di una cultura democratica in una regione caratterizzata da regimi autoritari, ma hanno anche aiutato Israele a rimanere una democrazia vigorosa e florida tra le nazioni del mondo.
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Theodor Herzl si rivolge al Secondo Congresso Sionista, 1898
Israele ai giorni nostri: una seduta della Knesset
1 I Chassidim sono gli appartenenti al movimento, fondato in
Europa nel XVIII secolo, che si basa su un approccio espressivo al
rito e al pensiero ebraico.
2 I mitnagdim erano dei talmudisti rigorosi, fedeli al puro studio dei
testi ebraici.
Democrazia e tradizione ebraica
di Rav Gilad Kariv
“Lo Stato d’Israele ... sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e
sulla pace come predetto dai profeti d’Israele”
(Dalla Dichiarazione d’indipendenza, 14 maggio 1948).
Molti principi del sistema democratico moderno possono essere
rinvenuti nelle radici religiose, culturali e nazionali del popolo
ebraico.
Il primo principio comune è il riconoscimento del dovere, che il
governo ha, di promuovere e applicare i valori della giustizia e di
garantire l’esistenza di una società civile e giusta. La legge ebraica antica, come testimoniato dai Comandamenti della Torah, mette
in evidenza l’obbligo del governo a istituire delle norme legali e a
creare delle misure a vantaggio dei membri della società. “Porrai
dei giudici e dei funzionari in tutte le tue città, che il Signore tuo
Dio ti concede, per ogni tua tribù,
e giudicheranno il popolo con
vera giustizia” (Deuteronomio
16, 18).
La tradizione ebraica giudica il
diritto di un governo ad esistere e
a rimanere al potere, in base alle
cure dedicate ai membri più deboli della società.
Infatti i profeti vissuti ai tempi dei
regni di Israele e di Giuda erano
critici nei confronti di tutte le
azioni dei monarchi che potevano
ledere i diritti del popolo e in particolare dei più deboli. Le profezie che descrivono la futura sovranità ebraica si concentrano intorno ai principi di legge e di giustizia: “Ecco: giorni vengono, oracolo del Signore, in cui io susciterò a Davide un germe giusto e regnerà qual re; sarà saggio ed
eserciterà diritto e giustizia nel paese” (Geremia 23, 5).
Il secondo aspetto comune condiviso dalla democrazia e dall’ebraismo è la sottomissione del governo a una autorità superiore. A
differenza delle altre culture antiche, la tradizione ebraica non
pone i re e i governanti al di sopra della legge. La legge non era
soggetta ai capricci e ai desideri personali del monarca. Il
Deuteronomio descrive una delle prime azioni che devono essere
compiute da un re prima della salita al trono: “Quando egli starà
sul trono del suo regno dovrà scrivere per suo uso una copia di
questa legge su di un libro…la terrà con sé e la leggerà per tutta
la sua vita per apprendere a temere il Signore suo Dio, per osservare tutte le parole di questa legge e questi statuti onde eseguirli”
(Deuteronomio 17, 18-19).
I racconti biblici che narrano le vite dei re di Giuda e di Israele
sono ricchi di esempi relativi all’importanza della legalità e dello
stato di diritto.
Uno degli episodi più importanti riguarda il re Achab, che, dietro
consiglio di sua moglie, la regina forestiera Jezebel, uccise il suo
vicino Nevot e ne confiscò le vigne. Questo atto, contrario alla
vera essenza della legalità, è spiegato nel Libro dei Re come la
ragione della caduta della dinastia di Achab e della perdita di
potere dei suoi eredi.
Un altro tema comune ai principi democratici e all’ebraismo è il
fatto che tanto il governo quanto il sovrano vengano sottoposti a
controllo e verifica. A differenza delle altre culture antiche, che
glorificavano i loro re e li consideravano delle divinità, i re della
Bibbia sono ritratti nient’altro che come esseri umani, con numerosi riferimenti alla loro naturale inclinazione ad abusare dei loro
poteri. La Bibbia e in seguito il pensiero ebraico hanno chiarito
che il sovrano non è esente da critiche, controlli e rimproveri.
Quasi tutti i grandi condottieri della Bibbia sono descritti nei loro
momenti di debolezza. L’abilità del condottiero nell’accettare le
critiche e nell’assumersi la responsabilità per i suoi errori e le sue
mancanze, costituisce il metro con il quale può essere giudicato un
grande leader.
In quarto luogo la legge ebraica riconosce l’importanza del decentramento dell’autorità governativa. Molte fonti ebraiche riconoscono l’influenza traviante del
potere e l’importanza della separazione tra le sue varie diramazioni. Nella maggior parte delle
culture antiche il sovrano era tradizionalmente a capo del culto,
l’incarnazione di un dio o la principale figura religiosa. Non c’era
distinzione tra i governanti e la
religione o il culto. Al contrario, i
re della tradizione ebraica non
avevano alcun ruolo nell’ambito
della vita religiosa e rituale del popolo. Anche se in alcuni casi c’è
stata una sovrapposizione di ruoli, ciò avvenne soltanto per dimostrare che il re era vincolato alla legge suprema e tenuto a conformarsi a essa.
Il rispetto dei diritti umani e
della limitazione dei poteri
hanno trovato espressione per
centinaia di anni nella liturgia,
nella letteratura e nel
pensiero ebraico.
Le antiche fonti ebraiche erano diffidenti nei confronti di regimi e
governanti onnipotenti, riconoscendo l’inclinazione umana all’abuso di autorità e di potere. Anche se gli ebrei della Bibbia vivevano sotto un sistema governativo monarchico, i principi basilari
del regime ideale, come descritto dai profeti, nel rispetto dei diritti umani e della limitazione dei poteri, hanno trovato espressione
per centinaia di anni nella liturgia, nella letteratura e nel pensiero
ebraico. Sono diventati parte delle radici della cultura ebraica,
emergendo in seguito come elementi del sistema democratico
moderno.
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Israele come democrazia parlamentare
Capo dello Stato
Presidente
Legislativo
Esecutivo
Giudiziario
Presidente del
Parlamento
Primo Ministro
Corte Suprema
Knesset
Governo
Tribunali Minori
Commissioni
Ministri
Sindaci e Capi di
Consigli
Controllore dello Stato
e Difensore Civico
Procuratore
Generale
Consigli Comunali
Locali
Elettorato
La struttura delle istituzioni democratiche israeliane
La funzione legislativa
Israele è una democrazia parlamentare costituita da tre poteri:
legislativo, esecutivo e giudiziario. Come in altri sistemi simili, quello parlamentare è caratterizzato dalla funzione esecutiva supportata da quella legislativa attraverso il voto di fiducia. Nel governo
non c’è una chiara divisione di poteri tra il legislativo (la Knesset, il
parlamento israeliano) e l’esecutivo (il Primo Ministro e il consiglio
dei ministri). Il potere giudiziario è indipendente, così come garantito dalla legge.
La Knesset è il Parlamento israeliano. Il suo nome e il numero dei
membri (120) derivano dalla “Knesset Hagdolah” (grande assemblea) che rappresentava gli ebrei riunitisi a Gerusalemme nel V
secolo avanti era volgare. I membri della Knesset sono eletti
mediante elezioni generali (politiche). La Knesset opera attraverso
sedute plenarie e commissioni permanenti. Nel corso delle sedute
plenarie si tengono dei dibattiti generali sulla linea di condotta e l’operato del governo come pure sulla legislatura. I dibattiti si svolgono nelle lingue ufficiali dello stato: l’ebraico o l’arabo.
Il Capo dello Stato in Israele è il Presidente, che resta in carica per
sette anni come rappresentante dello Stato al di sopra delle parti.
La sua carica è principalmente formale e i suoi doveri sono definiti dalla legge. Questi comprendono la nomina di un membro della
Knesset per formare il governo, l’apertura della prima seduta di una
nuova Knesset, l’accettazione delle credenziali dei diplomatici stranieri, la firma degli accordi e delle leggi adottati dalla Knesset, la
nomina formale dei giudici, del governatore della Banca d’Israele,
e dei capi delle missioni diplomatiche all’estero, dietro consiglio
delle autorità competenti, la concessione della grazia ai detenuti e
la commutazione della pena su proposta del Ministro della
Giustizia.
Il Presidente viene eletto dalla maggioranza semplice della Knesset
ed è nominato sulla base della levatura personale e del suo contributo allo stato.
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Un progetto di legge può essere presentato da un singolo membro
della Knesset, da un gruppo di membri, dall’intero governo o da un
singolo ministro. Quando un ministro presenta un disegno di legge,
questo deve essere approvato dal governo, prima di passare alla
Knesset. I progetti presentati dai singoli parlamentari non hanno
bisogno dell’approvazione del governo.
Il disegno di legge viene presentato nel corso di una seduta plenaria per una prima lettura e un breve dibattito sui suoi contenuti.
Viene poi assegnato alle commissioni parlamentari competenti per
la discussione dettagliata e per un’eventuale nuova stesura. Il progetto torna poi alla seduta plenaria per una seconda lettura, per la
presentazione di riserve o emendamenti da parte di membri della
commissione e per una revisione generale. Se successivamente
non si ritiene necessario sottoporre di nuovo alla commissione il
disegno di legge, ha luogo una terza lettura, nel corso della quale
viene votato l’intero progetto.
Il giorno delle elezioni gli elettori danno il proprio voto al partito
scelto secondo propria coscienza. I seggi della Knesset sono assegnati in proporzione alla percentuale di voti ottenuta da ogni partito.
La Knesset viene eletta ogni quattro anni, ma si può sciogliere o
può essere sciolta dal Primo Ministro prima della fine del suo mandato. Prima che venga formalmente costituita una nuova Knesset in
seguito alle elezioni, restano pieni poteri al Parlamento uscente.
Le elezioni della Knesset sono generali, nazionali, dirette, eque,
segrete e proporzionali, e l’intero paese costituisce un singolo collegio elettorale. Tutti i cittadini di età superiore ai 18 anni hanno
diritto al voto nelle elezioni nazionali e possono essere eletti alla
Knesset dopo aver compiuto 21 anni.
Per l’importanza attribuita al processo democratico, il giorno delle
elezioni è un giorno di vacanza. I trasporti sono gratuiti per gli elettori che quel giorno si trovano fuori dalla loro sezione elettorale e
vengono date disposizioni speciali affinché il personale militare e i
diplomatici israeliani all’estero abbiano la possibilità di votare.
Il comitato elettorale centrale, diretto da un giudice della Corte
Suprema e formato dai rappresentanti dei partiti che possiedono
seggi alla Knesset, è responsabile dello svolgimento delle elezioni.
I comitati elettorali regionali sovrintendono al funzionamento delle
sezioni elettorali locali e sono formati dai rappresentanti di almeno
tre partiti della Knesset uscente.
Le elezioni della Knesset sono basate sul voto ai partiti piuttosto
che agli individui, e i numerosi partiti politici che competono alle
elezioni riflettono un’ampia gamma di vedute e di opinioni.
I partiti rappresentati nella Knesset uscente possono automaticamente candidarsi alla rielezione. Dei nuovi partiti possono presentare la propria candidatura previa raccolta di 2.500 firme di elettori eleggibili e depositando una cauzione, che può essere recuperata, se il partito ottiene almeno l’1,5% del voto nazionale, percentuale che dà diritto a un seggio alla Knesset.
Prima delle elezioni ogni partito presenta il proprio programma
elettorale e la lista dei proprio candidati alla Knesset, in ordine di
precedenza. I partiti selezionano i propri candidati per la Knesset
attraverso delle primarie o altre procedure.
A ogni partito viene garantito un finanziamento per le spese della
campagna elettorale, con fondi pubblici e in base ai seggi posseduti nella legislatura uscente. I partiti nuovi ricevono un finanziamento simile, con effetto retroattivo, per ogni loro candidato eventualmente eletto. Il Controllore dello Stato vigila sui finanziamenti
per tutte le spese elettorali.
L’edificio della Knesset
La funzione esecutiva
Il Governo è composto dal Primo Ministro e dal Consiglio dei
Ministri, e ha il compito di amministrare gli affari interni ed esteri,
comprese le questioni di sicurezza. I suoi poteri decisionali sono
molto ampli, ed è autorizzato ad agire su questioni che per legge
non sono delegate a nessun’altra autorità. A molti Ministeri è assegnato anche un portafoglio ed essi sono guidati da un Ministro,
mentre altri non possiedono un portafoglio, ma possono essere
chiamati a realizzare importanti progetti. Il Primo Ministro può
anche svolgere la funzione di Ministro, con un portafoglio specifico.
Il nuovo governo viene formato dopo le elezioni. Il Capo dello Stato,
dopo alcune consultazioni, designa un membro della Knesset e lo
incarica di formare un governo di cui sarà il Primo Ministro. Come la
Knesset, anche l’Esecutivo dura solitamente quattro anni, ma la durata può anche essere più breve, se il Primo Ministro viene a trovarsi nell’impossibilità di proseguire nell’espletamento dell’incarico per cause
naturali, come il decesso, o per motivi politici, come dimissioni o
impeachment. In questo caso il Governo nomina uno dei suoi membri
(che deve essere anche membro della Knesset) come Primo Ministro
ad interim. In caso di voto di sfiducia il Governo e il Primo Ministro
rimangono in carica fino alla formazione di un nuovo governo.
È il Governo a determinare le procedure delle sue decisioni e dei
suoi lavori. Generalmente esso si riunisce una volta la settimana,
ma sedute straordinarie possono svolgersi ogni volta che si rende
necessario. Il Governo può anche agire per mezzo delle
Commissioni Ministeriali. Fino a oggi tutti i governi sono stati retti
13
da una coalizione di vari partiti, dato che nessuna formazione politica ha mai ottenuto una maggioranza di seggi alla Knesset, tale da
poter formare da sola un governo.
tunità di modifiche o cambiamenti legislativi. In qualità di Alta Corte
di Giustizia essa ha l’autorità di stabilire se una legge è pienamente conforme o meno alle “Leggi Fondamentali” dello Stato.
Il potere giudiziario
Il Controllore dello Stato e Difensore Civico
L’indipendenza assoluta del potere giudiziario è garantita per legge.
I giudici sono nominati dal Capo dello Stato, su segnalazione di una
speciale commissione nominativa, la quale è composta da giudici
della Corte Suprema, da membri dell’ordine forense e da figure
pubbliche. La nomina di giudice è a vita, con un’età di pensionamento massima di 70 anni.
La carica fu stabilita per legge nel 1949, nel pieno riconoscimento
dell’importanza di un sistema di controllo ed equilibrio ritenuto
come cruciale in una società democratica. Il Controllore dello Stato
esegue delle verifiche esterne e produce dei rapporti sulla legalità,
la regolarità, l’economia, l’efficienza, l’efficacia e l’integrità morale
della pubblica amministrazione, al fine di assicurare la pubblica
trasparenza. Dal 1971 il Controllore dello Stato svolge anche la funzione di Difensore Civico, al quale si rivolge chiunque voglia presentare ricorso o lamentela contro lo Stato ed enti pubblici soggetti alle verifiche del Controllore.
I magistrati e le corti distrettuali esercitano la propria giurisdizione
su questioni penali e civili, mentre le corti d’appello municipali,
minorili, militari, sindacali e del traffico stradale si occupano di questioni che rientrano nelle loro rispettive competenze. In Israele nei
processi non vi sono giurie.
Su questioni riguardanti lo status personale, come matrimoni,
divorzi, mantenimento, tutela o adozione di minori, la giurisdizione
spetta alle istituzioni giudiziarie delle rispettive comunità religiose:
i tribunali rabbinici, i tribunali religiosi musulmani (tribunali della
Sharia), i tribunali religiosi dei Drusi e le istituzioni giuridiche delle
comunità cristiane in Israele.
Il Controllore dello Stato è eletto dalla Knesset con voto segreto, e
la carica ha una durata di sette anni. Il Controllore risponde soltanto alla Knesset, non dipende dal Governo e gode d’accesso illimitato a conti, documenti e materiale di qualsiasi ente o soggetto sottoposto alle sue verifiche. Il Controllore svolge la propria attività in
continuo contatto con la Commissione parlamentare per le verifiche e le revisioni dei conti.
Leggi Fondamentali : precorritrici della Costituzione
La sede della Corte Suprema con la Knesset sullo sfondo
La Corte Suprema, con sede a Gerusalemme, estende la propria giurisdizione a tutto il territorio nazionale. È la suprema Corte d’Appello
per sentenze di tribunali minori. Nella sua funzione di Alta Corte di
Giustizia (in ebraico riassunto nell’acronimo Ba.Ga.Tz.), la Corte
Suprema raccoglie ricorsi e appelli contro qualsiasi esponente o rappresentante del Governo ed è tribunale di prima e ultima istanza.
Sebbene il potere legislativo sia di esclusiva competenza della
Knesset, la Corte Suprema può richiamare l’attenzione sull’oppor-
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La Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele afferma che una
Costituzione per lo Stato appena fondato sarebbe stata scritta da
un’Assemblea Costituente eletta di lì a pochi mesi dalla nascita
dello Stato. A causa della mancanza di consenso proprio sul contenuto della Costituzione, principalmente su ruolo della religione nel
nuovo Stato, la stesura della Costituzione fu lasciata in sospeso
dalla prima Knesset. Invece la prima Knesset costituita tramite elezioni, cui era stato conferito il potere di formulare la Costituzione,
adottò la risoluzione Harrari (dal nome del parlamentare che la propose). Tale risoluzione prevedeva che la Knesset stilasse gradualmente una Costituzione mediante l’adozione di Leggi Fondamentali, da promulgare una alla volta. Queste Leggi Fondamentali,
una volta completate, saranno unificate, con l’approvazione della
Knesset, in un solo corpus che sarà la Costituzione. Sebbene il
lavoro non sia ancora completato, undici Leggi Fondamentali sono
state emanate e alcune altre sono in fase di legislazione.
La maggior parte delle Leggi Fondamentali si occupa di logistica e
del ruolo e delle funzioni delle varie istituzioni di un sistema politico democratico. Le Leggi Fondamentali esistenti sono le seguenti:
Il Presidente dello Stato. Fonde un’ampia gamma di leggi pertinenti alle funzioni e alla carica del Presidente;
La Knesset. Stabilisce le procedure per poter essere eletti al
Parlamento israeliano e quelle che governano la Knesset stessa.
Una delle disposizioni più importanti di questa legge è un emendamento che vieta l’elezione alla Knesset di qualsiasi partito o persona i cui fini e ideali 1) neghino direttamente o indirettamente l’esistenza dello Stato in quanto ebraico e democratico, 2) incitino al
razzismo, o 3) sostengano la lotta armata di uno Stato ostile o di
un’organizzazione terroristica contro lo Stato d’Israele;
Il Governo. Stabilisce le norme e i principi che riguardano la carica del Primo Ministro prescelto e del suo Gabinetto, la formazione
del Governo e le condizioni e i requisiti per poter diventare Primo
Ministro, il funzionamento e le procedure del Governo, e le questioni pertinenti alla continuità del Governo o alle condizioni necessarie alla successione di un altro Governo;
La Magistratura. Assicura l’indipendenza del Sistema Giudiziario
e dei Tribunali, e si occupa della natura delle procedure giudiziarie,
della nomina dei giudici e della struttura dei tribunali;
Le terre di Israele. Stabilisce i principi che regolano le relazioni
dello Stato con le terre e la gestione delle transazioni di terreni;
Il Controllore dello Stato. Stabilisce le autorità sottoposte alla
supervisione di questo Ufficio relativamente alle attività del
Governo e ha anche funzione di Difensore Civico nazionale; inoltre
nell’ambito delle proprie competenze è chiamato a rispondere
esclusivamente alla Knesset;
L’Economia dello Stato. Stabilisce il quadro di base per le attività dell’Economia nazionale, del budget e della produzione di
moneta corrente.
Le Forze Armate. Tratta tutti gli aspetti relativi alle Forze di
Difesa Israeliane (IDF o Forze Armate Israeliane) in qualità di istituzione militare ufficiale d’Israele;
Gerusalemme capitale d’Israele. Stabilisce Gerusalemme
quale capitale d’Israele e pertanto conferisce alla città uno status
speciale. Questa legge assicura altresì il diritto di tutte le religioni a
mantenere e preservare i propri luoghi sacri.
Due Leggi Fondamentali emanate nell’ultimo decennio sono state
salutate come la sezione della “Dichiarazione dei Diritti” della proposta di Costituzione, e contengono i principi fondamentali per la
difesa dei diritti umani, così come fissati già dalla stessa
Dichiarazione d’Indipendenza. Queste due Leggi Fondamentali sono:
previsto dalle Leggi Fondamentali. Cercando di subordinare tutta la
normativa nuova ed esistente ai principi derivanti dalle Leggi
Fondamentali, la Corte Suprema israeliana sta fissando delle linee
guida ben chiare che devono caratterizzare le leggi di una vera
democrazia.
Governo locale
Tre tipi di autorità locali sono riconosciuti dalla legge: le municipalità, che amministrano le maggiori aree urbane, con popolazione
superiore alle 20.000 unità; i consigli comunali locali, che sono gli
enti governativi per i centri con popolazione tra le 2.000 e le 20.000
unità, e i consigli regionali, responsabili per gruppi di vari villaggi o
località minori all’interno di un determinato raggio.
Ogni autorità locale opera attraverso delle leggi suppletive locali
che si rifanno alle leggi nazionali, approvate dal Ministero
dell’Interno. Le autorità locali sono responsabili della riscossione
delle tasse, che, assieme ai finanziamenti erogati dallo Stato, servono per provvedere ai servizi sociali, educativi, culturali e sanitari
per i residenti.
Le autorità locali sono amministrate da un Consiglio presieduto da un
sindaco o da un Capo del Consiglio Locale. Il numero di membri del
Consiglio di ogni autorità è stabilito dal Ministero dell’Interno, in base
alla popolazione di ogni autorità locale. Un ente centrale di volontari,
l’Unione delle Autorità Locali, è stato costituito per rappresentare le
autorità locali davanti agli enti governativi nazionali e anche per fungere da guida e consulenza per le stesse autorità locali.
Le elezioni per le autorità locali si svolgono con voto segreto ogni
cinque anni. Le votazioni si svolgono con le stesse modalità di quelle per le elezioni nazionali. I residenti votano per una lista di partito o di candidati, e il numero di seggi ottenuti da ogni partito è proporzionale alla percentuale dei voti ricevuti dal partito. Tutti i residenti oltre l’età di 17 anni possono votare in elezioni locali e quelli
eletti devono aver compiuto i 21 anni di età.
Dignità umana e libertà. (1992). Preserva “la dignità umana e la
libertà, al fine di stabilire con una Legge Fondamentale i valori dello
Stato d’Israele quale stato ebraico e democratico”;
Libertà di lavoro. (1994). Garantisce il diritto di ogni cittadino o abitante a svolgere qualsiasi attività professionale, impiego o mestiere.
Le Leggi Fondamentali, sebbene emanate dalla Knesset come leggi
ordinarie, hanno uno status di quasi-Costituzione. Alcune contengono delle “clausole blindate”, che richiedono una maggioranza
particolare della Knesset per poter essere modificate. La Corte
Suprema ha interpretato e continua a interpretare la legislazione
secondaria sulla base della conformità di quest’ultima a ciò che è
Un elettore ripone la propria scheda elettorale durante le elezioni
nazionali
15
La Dichiarazione di Indipendenza di Israele
In ERETZ ISRAEL [(in ebraico) Terra d’Israele] è nato il
popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale,
religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente,
qui ha creato valori culturali di portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri.
Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il
popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non
cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e
nel ripristino, in essa, della libertà politica.
Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli
ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e
stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma‘apilim e difensori
fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica,
costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando
i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all’indipendenza nazionale.
loro popolo.
Durante la seconda guerra mondiale la comunità ebraica di
questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta dei
popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della
malvagità nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo
sforzo bellico, si guadagnò il diritto di essere annoverata
fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite.
Il 29 novembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di
uno Stato ebraico in Eretz Israel. L’Assemblea Generale
chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro
stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della
risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite
del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è
irrevocabile.
Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a
essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio
Stato sovrano.
Nell’anno 5657 (1897), alla chiamata del precursore della
concezione d’uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto
il primo congresso sionista, che proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo paese.
Questo diritto fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour
del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della
Società delle Nazioni, che, in particolare, dava sanzione
internazionale al legame storico tra il popolo ebraico ed
Eretz Israel [Terra d’Israele] e al diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale.
La Shoàh [catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul
popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati
massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di
risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di
indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz
Israel, che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e
conferirà al popolo ebraico la posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni.
I sopravvissuti alla Shoàh nazista in Europa, così come
gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in
Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i
pericoli, e non hanno smesso di rivendicare il loro diritto a
una vita di dignità, libertà e onesto lavoro nella patria del
16
QUINDI NOI, MEMBRI DEL CONSIGLIO DEL
POPOLO, RAPPRESENTANTI DELLA COMUNITÀ
EBRAICA IN ERETZ ISRAEL E DEL
MOVIMENTO SIONISTA, SIAMO QUI RIUNITI
NEL GIORNO DELLA FINE DEL MANDATO
BRITANNICO SU ERETZ ISRAEL E, IN VIRTÙ
DEL NOSTRO DIRITTO NATURALE E STORICO E
DELLA RISOLUZIONE DELL’ASSEMBLEA
GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, DICHIARIAMO LA FONDAZIONE DI UNO STATO
EBRAICO IN ERETZ ISRAEL, CHE AVRÀ IL
NOME DI STATO D’ISRAELE.
affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto
reciproco col popolo ebraico sovrano stabilito nella sua
terra. Lo Stato d’Israele è pronto a compiere la sua parte
in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente
intero.
DICHIARIAMO CHE, con effetto dal momento della
fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar
5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la
Costituzione che sarà adottata dall’Assemblea costituente
eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del
Popolo opererà come Consiglio di Stato provvisorio, e il suo
organo esecutivo, l’Amministrazione del Popolo, sarà il
Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato
Israele.
FACCIAMO APPELLO al popolo ebraico dovunque
nella Diaspora, affinché si raccolga intorno alla comunità
ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell’immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell’antica aspirazione: la redenzione di Israele.
LO STATO D’ISRAELE sarà aperto all’immigrazione
ebraica e alla riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo
del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato
sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai
profeti d’Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione
di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di
coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i
luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi
della Carta delle Nazioni Unite.
LO STATO D’ISRAELE è pronto a cooperare con le
agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l’applicazione della risoluzione dell’Assemblea Generale del 29
novembre 1947 e compirà passi per realizzare l’unità economica di tutte le parti di Eretz Israel.
CONFIDANDO NELL’ONNIPOTENTE, NOI FIRMIAMO QUESTA DICHIARAZIONE IN QUESTA
SESSIONE DEL CONSIGLIO DI STATO PROVVISORIO, SUL SUOLO DELLA PATRIA, NELLA
CITTÀ’ DI TEL AVIV, OGGI, VIGILIA DI SABATO
5 IYAR 5708 (14 MAGGIO 1948).
David Ben-Gurion
Daniel Auster
Rachel Cohen
David Zvi Pinkas
Mordekhai Bentov
Aharon Zisling
Yitzchak Ben Zvi
Rabbi Kalman Kahana
Moshe Kolodny
Eliyahu Berligne
Saadia Kobashi
Eliezer Kaplan
Fritz Bernstein
Abraham Katznelson
Rabbi Wolf Gold
Rabbi Yitzchak Meir
Levin
Felix Rosenblueth
Meir Grabovsky
David Remez
Yitzchak Gruenbaum
Meir David Loewenstein
Berl Repetur
Zvi Luria
Mordekhai Shattner
Dr. Abraham
Granovsky
Golda Myerson
Ben Zion Sternberg
Eliyahu Dobkin
Nachum Nir
Bekhor Shitreet
Meir Wilner-Kovner
Zvi Segal
Moshe Shapira
Zerach Warhaftig
Moshe Shertok
Herzl Vardi
Rabbi Yehuda Leib
Hacohen Fishman
FACCIAMO APPELLO alle Nazioni Unite affinché
assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato
e accolgano lo Stato ebraico nella famiglia delle nazioni.
FACCIAMO APPELLO – nel mezzo dell’attacco che ci
viene sferrato contro da mesi – ai cittadini arabi dello
Stato di Israele, affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e
uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in
tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.
TENDIAMO una mano di pace e di buon vicinato a tutti
gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello,
David Ben Gurion, primo Presidente del Consiglio israeliano, dichiara
l’indipendenza d’Israele
17
Democrazia e rinascita della
sovranità ebraica
La visione espressa nella Dichiarazione d’Indipendenza delinea e stabilisce il carattere stesso
di Israele, i principi sulla cui base è governato lo stato, e le libertà garantite a tutti i suoi cittadini. La Dichiarazione esprime chiaramente l’intenzione di fungere da “manifesto” per la fondazione di uno stato democratico, con tutte le libertà fondamentali che permettono a questa
forma di governo di fiorire e prosperare. Questi sentimenti sono stati gradualmente codificati
nelle Leggi Fondamentali, la cui compilazione precorre la stesura della Costituzione finale, così
come concepito dai padri fondatori nella Dichiarazione. Nel frattempo, al fianco delle Leggi
Fondamentali, Israele ha sviluppato un insieme di politiche sociali e di norme giuridiche volte
ad attuare i principi espressi nella Dichiarazione.
“Lo Stato d’Israele sarà aperto all’immigrazione
ebraica e alla riunione degli esuli”
In seguito alla loro espulsione dalla Terra d’Israele, circa
2.000 anni fa, gli ebrei si dispersero in altre terre, principalmente in Europa, Nord Africa e Medio Oriente. Sebbene vi
siano stati periodi in cui gli ebrei hanno prosperato nei paesi
in cui risiedevano,essi hanno anche sofferto lunghi periodi di
dura discriminazione, pogrom ed espulsioni totali o parziali.
Nel corso di tutti questi secoli il sogno di ritornare alla patria
ancestrale e la fede nella “riunione finale degli esuli” sono
rimasti intatti nel cuore della nazione ebraica. Il movimento
sionista, fondato alla fine del XIX secolo, trasformò questo
concetto in un obbiettivo politico concreto: la rinascita della
sovranità ebraica, e lo Stato d’Israele lo ha tradotto in legge,
garantendo la cittadinanza a qualsiasi ebreo che desideri
stabilirsi nel Paese.
Nel corso del decennio successivo alla dichiarazione d’indipendenza d’Israele, avvenuta nel 1948, circa 687.000 ebrei,
di cui oltre 300.000 profughi dai paesi arabi, immigrarono in
Israele. Molti erano sopravvissuti alla Shoàh provenienti da
paesi europei, e si unirono alle precedenti ondate di immigrati, in prevalenza russi e polacchi, giunti nei primi decenni del secolo. Questi primi immigrati avevano già posto le
fondamenta per delle complete e complesse infrastrutture
sociali ed economiche, avevano sviluppato l’agricoltura, fondato kibbutzim e moshavim (insediamenti rurali di carattere
comunale, unici nel genere, e cooperative), e avevano fornito la mano d’opera per la costruzione delle case e delle strade nella nazione. Gli immigrati provenienti dall’Europa centrale e occidentale, giunti negli anni ’30, erano istruiti, professionalmente formati ed esperienti, e pertanto innalzarono
gli standard economici, migliorarono le attrattive urbane e
rurali e ampliarono gli orizzonti della vita culturale della
popolazione ebraica preesistente.
Nel corso degli anni Israele ha continuato ad accogliere
nuovi immigrati, in numero maggiore o minore, provenienti
da paesi liberi del mondo occidentale, ma anche da aree
povere. Dal 1989 oltre un milione di nuovi immigrati dall’ex
Unione Sovietica si è stabilito in Israele. Tra di loro molti professionisti con titoli di istruzione superiore, noti scienziati e
18
artisti e musicisti acclamati, il
cui talento e la cui esperienza
hanno contribuito in maniera
significativa alla vita economica, scientifica, accademica e
culturale di Israele.
Gli anni ’80 e ’90 furono testimoni dell’arrivo di due massicci gruppi di ebrei dell’antica
comunità etiope, le cui origini vengono fatte risalire, dalla
tradizione popolare, ai tempi di Re Salomone. Lo Stato ha
operato per facilitare la transizione di questi 50.000 immigrati da un ambiente africano prettamente agrario a una
società industrializzata di tipo occidentale.
Immigrati dall’Etiopia
Israele ha costituito agenzie ed enti, nel corso degli anni, per
aiutare e facilitare l’integrazione di differenti gruppi di immigrati nella società israeliana. Alcuni immigrati trovano più
facile inserirsi autonomamente nell’ambiente socio-politico,
mentre altri tendono ancora a relegare all’assistenza sociale statale il compito di provvedere ai loro bisogni economici
e sociali. Organizzazioni private e di volontariato, presenti in
gran numero, fungono anche da strumento per provvedere
alle necessità dei vari immigrati e di varie minoranze della
popolazione.
“Esso incrementerà lo sviluppo del paese per il bene
di tutti i suoi abitanti”
Israele ospita una popolazione composita e molto variegata,
caratterizzata da numerosi retroterra etnici, religiosi, culturali e sociali. Dei suoi circa 6,6 milioni di abitanti, il 77% è
costituito da ebrei, il 19% da arabi (in maggioranza musulmani), e il restante 4% comprende drusi, circassi e altri
gruppi religiosi non classificati.
A differenza di altre società, in cui gli immigrati sono assorbiti dentro un “melting pot” culturale predominante, Israele
può essere definito più correttamente un mosaico, formato
da gruppi individuali, ciascuno dei quali apporta la propria
identità culturale, il proprio carattere etnico e linguistico,
all’intera società. Le lingue ufficiali in Israele sono l’ebraico
e l’arabo. L’inglese è ampiamente impiegato e altre lingue –
in particolare russo, spagnolo, francese, yiddish e aramaico
– sono parlate da molti gruppi etnici o religiosi, che rappresentano larghe fette della società israeliana e mantengono il
proprio background culturale.
In seguito all’immigrazione di massa, dopo la fondazione
dello Stato e nei decenni successivi, la struttura e il tessuto
sociale israeliano sono mutati drasticamente. Il gruppo sociale ebraico che risultò comprendere la più ampia fascia di
popolazione era composto da due principali nuclei: una maggioranza, formata dalla comunità sefardita preesistente, da
veterani immigrati askenaziti e da sopravvissuti alla Shoàh, e
una minoranza di ebrei di recente immigrazione e provenienti dai paesi musulmani del Nord Africa e del Medio Oriente.
I due gruppi, inizialmente, sono coesistiti, senza interagire
molto socialmente e culturalmente. A differenza della maggioranza della comunità sefardita, ebrei di quella askenazita
si sono presto inseriti nella vita politica dello stato e hanno
ricoperto posti chiave in uffici e istituzioni governative.
Tuttavia, con il passare del tempo, la popolazione sefardita è
divenuta politicamente più attiva e si è gradualmente inserita nella classe politica dirigente israeliana. Sebbene alcune
disparità tra i due gruppi permangano, il comune denominatore della religione, della storia ebraica e della coesione
nazionale è riuscito, nella maggioranza dei casi, a far superare le barriere tra le due popolazioni.
Accanto a queste tensioni di carattere culturale vi sono quelle
generate dall’esistenza di vari movimenti dell’ebraismo. Ogni
movimento è saldamente legato alla propria pratica individuale dell’ebraismo, in quanto credo religioso e nazionalistico, e
alla propria percezione del ruolo che l’ebraismo dovrebbe ricoprire nel carattere nazionale dello stato nel suo insieme.
In maniera analoga, la società ebraica in Israele è composta
da ebrei osservanti e non osservanti, che formano uno spettro che va dagli ultraortodossi, che vivono in comunità isolate e separate, a quelli che si considerano laici. Ma anche
questa distinzione non è così netta e univoca. Moltissimi
ebrei che non si autodefiniscono ortodossi, seguono, per vari
gradi, le regole, i precetti e i costumi religiosi tradizionali dell’ebraismo. Israele è stato concepito come stato ebraico, e
pertanto lo Shabbat (il sabato ebraico) e tutte le festività
sono state istituite come feste nazionali e sono osservate, in
linea generale, dall’intera popolazione ebraica.
La maggioranza della popolazione dello Stato d’Israele è
costituita da ebrei, mentre circa 1,5 milioni di persone,
approssimativamente il 23% della popolazione, è costituito da
Celebrazione della festività ebraica di Simchat Torah
Una famiglia ebraica celebra la festa di Mimuna
non ebrei. La maggior parte della popolazione non ebraica
viene definita collettivamente come “cittadini arabi d’Israele”,
ma in effetti essa forma un insieme di vari gruppi, principalmente arabofoni, ciascuno con caratteristiche distinte.
Gli arabi musulmani, quasi un milione di persone, la maggior
parte dei quali sunniti, risiedono in piccole città e villaggi, di
cui oltre la metà nel nord del paese. Gli arabi beduini,
anch’essi musulmani (stimati in circa 170.000), appartengono a circa 30 tribù, per la maggior parte sparse su un’ampia
area nel sud del paese. Ex pastori o nomadi, i beduini sono
attualmente in una fase di transizione da un contesto sociale
di carattere tribale a una società sedentaria permanente, e
stanno gradualmente inserendosi nella forza lavoro israeliana.
Una ragazza beduina siede di fronte a un computer distribuito nel
contesto del programma “Un computer per ogni bambino”
Gli arabi cristiani, circa 113.000, vivono principalmente in
aree urbane. Sebbene siano ufficialmente presenti tutte le
confessioni, la maggior parte di essi appartiene alle chiese
greco-cattolica, greco-ortodossa e cattolica romana.
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I drusi, circa 106.000 arabofoni che vivono in 22 villaggi nel
nord d’Israele, costituiscono una comunità religiosa, sociale
e culturale separata. Se da un lato la religione drusa non è
accessibile a esterni, dall’altro un noto aspetto della loro filosofia è il concetto di taqiyya, che invita alla completa lealtà,
da parte degli aderenti, al governo del paese in cui risiedono.
zione di essere rappresentati nella democrazia israeliana.
“sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla
pace come predetto dai profeti d’Israele, assicurerà
completa uguaglianza di diritti sociali e politici a
tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione,
razza o sesso”
Tutti i cittadini d’Israele beneficiano di un’ampia legislazione
di previdenza sociale. Israele è anche stato teatro di alcune
delle sentenze di tribunale e di legislazioni più progressiste
in tutto il mondo occidentale, riguardo a diritti degli omosessuali, a pratiche discriminatorie e a molestie sessuali nei
luoghi di lavoro.
Le istituzioni d’Israele sono molto attente alla difesa della
libertà di espressione e di parola per tutti i suoi cittadini.
Danzatori drusi
I circassi, circa 3.000 persone, sono concentrati in due villaggi del nord. Sono musulmani sunniti, sebbene non abbiano in comune con la più ampia comunità islamica né l’origine araba né il background culturale. Pur mantenendo una
distinta identità etnica, essi partecipano agli affari nazionali
ed economici, senza assimilarsi né alla società ebraica né
alla comunità musulmana.
La maggior parte della popolazione cristiana è araba, ma
23.000 sono non arabi, molti dei quali giunti in Israele con i
loro consorti ebrei, durante l’ondata di immigrazione negli
anni ’80 e ’90, principalmente dai paesi dell’ex Unione
Sovietica e dall’Etiopia.
Anche se la maggior parte dei cristiani è costituita da arabi,
il loro profilo demografico differisce molto da quello della
popolazione musulmana, ed è più simile a quello della popolazione ebraica. La maggior parte dei cristiani vive in aree
urbane e la comunità cristiana è caratterizzata da un alto
grado di istruzione, in particolare tra le giovani generazioni.
La maggioranza dei cristiani uomini ha un impiego e un terzo
delle donne cristiane è inserito nella forza lavoro civile, molte
in ambiente accademico, tecnico e in libere professioni.
Nonostante le differenze, le disparità economiche e una vita
politica spesso “surriscaldata”, la società israeliana è abbastanza bilanciata e stabile. Il fatto che le tensioni socio-economiche, e a volte politiche, tra i diversi gruppi si mantengono a un livello moderato o persino basso, può essere attribuito ai sistemi politico e giudiziario del paese, che esprimono una stretta uguaglianza legale e civica nel contesto di uno
stato democratico. Il sistema politico israeliano, partitico e
proporzionale, permette ai numerosi segmenti della popola-
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Allo stesso modo i media israeliani godono di libertà assoluta e fungono da “cane da guardia” indipendente sul governo. In Israele sono presenti, inoltre, numerose organizzazioni governative e no-profit, che vigilano contro la violazione
dei diritti umani. L’attuazione e le conseguenti interpretazioni, da parte dei tribunali, della Legge Fondamentale “Dignità
umana e libertà” ha trasformato molte delle politiche sociali israeliane in leggi saldamente stabilite.
“garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi
santi di tutte le religioni”
Tra tutte le libertà garantite dalla Dichiarazione d’Indipendenza,
la libertà di professare e praticare la propria religione e quella
di agire secondo la propria coscienza sono due tra quelle ritenute maggiormente fondamentali per una democrazia. Il popolo ebraico, avendo sofferto così tante volte, per mano di leader
intolleranti nei paesi in cui ha vissuto nei secoli, comprende
bene l’importanza di queste libertà dell’individuo.
La Dichiarazione d’Indipendenza proclama la libertà di culto
per tutti i cittadini dello stato. Pertanto ciascuna comunità
religiosa è libera, per legge e in pratica, di professare la propria fede, osservare le proprie feste e i propri giorni di riposo settimanale, e di amministrare i propri affari interni.
Ciascuna possiede i propri tribunali e consigli religiosi, riconosciuti dalla legge e con giurisdizione su tutti gli affari religiosi e le questioni riguardanti lo status personale, come, per
esempio, matrimoni e divorzi. Ciascuna ha i propri e unici
luoghi di culto, con riti tradizionali e caratteristiche architettoniche proprie sviluppatesi nei secoli.
Il diritto a queste libertà è descritto ancor meglio dalla Corte
Suprema d’Israele:
to alla cittadinanza per
via della Legge del
Ritorno, applicazione
esclusiva di una
norma religiosa a
legge personale, o il
finanziamento di stato
a scuole religiose,
sono solo degli esempi del coinvolgimento
della religione negli
affari dello stato.
“Ogni persona in Israele gode di libertà di coscienza, di
credo, di religione e di culto. Questa libertà è garantita a ciascuna persona in ogni regime democratico e illuminato e,
pertanto, è garantita a ciascuna persona in Israele. Essa è
uno dei principi fondamentali su cui si fonda lo Stato
d’Israele. Questa libertà si basa in parte sull’Articolo 83 del
Palestine Order in Council del 1922, ed è, in parte, uno di
quei diritti fondamentali che non sono scritti su libri, e deriva direttamente dalla natura del nostro stato, democratico e
amante della pace”.1
“Sulla base delle normative, e in conformità alla
Dichiarazione d’Indipendenza, ogni legge e ogni potere
saranno interpretati nel pieno riconoscimento della libertà di
coscienza, credo, religione e culto”.2
Israele protegge la libertà, che hanno ebrei e non ebrei allo
stesso modo, di esercitare la propria pratica religiosa o il
culto prescelto. Pertanto, nella maggior parte dei casi, le istituzioni dello stato riconoscono i precetti religiosi, come, ad
esempio, le proibizioni di lavorare nei giorni di riposo religiosi, e non obbligano ebrei e non ebrei a violare la dottrina
della propria fede prescelta.
Ciascun luogo santo o di culto è amministrato dalla propria
autorità religiosa, e libertà di accesso e di culto sono assicurate per legge. Per esempio, il Kotel, il Muro Occidentale (o
Muro del Pianto, com’è noto in ambiente non ebraico), gli
ultimi resti del muro di cinta del Secondo Tempio di
Gerusalemme, è amministrato dallo Stato d’Israele, mentre
il Duomo della Roccia e la Moschea di Al-Aqsa, situate sul
Monte del Tempio direttamente soprastante al Kotel, sono
sotto l’autorità del Waqf giordano. Le autorità cristiane
amministrano e conservano la Via Dolorosa, il Cenacolo e
altre chiese, inclusa quella dell’Annunciazione (a Nazaret).
Tra gli altri, anche luoghi santi e di culto drusi, bahai, samaritani e karaiti sono protetti.
Dato che il fine dello Stato d’Israele è quello di servire principalmente come madrepatria del popolo ebraico, ampli
dibattiti si sono svolti sul ruolo che la religione dovrebbe
ricoprire nel fissare le politiche e le leggi dello stato. Israele,
in quanto democrazia, è impegnata a sostenere e mantenere le libertà fondamentali che tale sistema politico comporta, ma, in quanto stato con una chiara eredità ebraica, si
sforza di preservare il proprio carattere particolare, derivato
in larga misura dalle fonti ebraiche.
Sebbene Israele non abbia nessuna religione di stato, non vi
è una chiara e netta distinzione tra religione e stato. Una
delle maggiori fonti di contrasto in seno alla società israeliana è il dissenso tra il settore ortodosso e quello laico sui limiti dell’imposizione di norme religiose e restrizioni a tutti gli
ebrei, senza distinzione di grado della loro osservanza religiosa. Questioni come la definizione di un ebreo avente dirit-
Il “Muro Occidentale”, uno dei luoghi ebraici
più sacri, proprio sotto il “Duomo della
Roccia”, luogo sacro ai musulmani
A causa della particolare natura del sistema politico israeliano,
nessun partito politico
ha mai ottenuto la
maggioranza necessaria a vincere da solo
la maggioranza dei
seggi della Knesset,
rendendo pertanto
necessaria la formazione di governi di
coalizione. Ne consegue che i partiti religiosi condizionano la
propria partecipazione
al governo a ogni tipo
di legislazione o politica su base religiosa.
Questo tipo di ingerenza è fonte di tensione tra gli esponenti
laici e quelli religiosi
della società.
L’apparente natura dicotomica dello stato
democratico israeliano
viene risolta gradualmente, attraverso l’indelle
La “Chiesa del Santo Sepolcro” a Gerusalemme terpretazione
Leggi Fondamentali,
da parte dei tribunali, e dalla richiesta, avanzata dai partiti
politici laici, di cambiare lo status quo sulle questioni di stato
e religione, che Israele aveva accettato nei decenni passati.
1 Giudice Landau in H.C. 243/62 Filming in Israel Ltd. contro Guery
et al., 16 P.D. 2407.
2 Giudice Zamir in H.C. 7128/96, Movement of the Faithful of the
Temple Mount et al. contro Government of Israel et al., 97(1)
Takdin-Elyon 480.
21
Libertà di espressione e
libertà di stampa
(Ruvik Rosenthal)
A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo la cultura del giornalismo in Israele ha seguito i principi basilari della stampa
democratica, fornendo, nel riportare le notizie con la massima
accuratezza, una vasta gamma di vedute e di posizioni indipendenti riguardo alle istituzioni politiche e pubbliche.
tenne conto della richiesta, fatta dall’esercito, di non preannunciare l’incombente scoppio della guerra. In seguito al disastroso
esito del conflitto, molti giornalisti si rimproverarono di non
essere stati rispettosi dei loro doveri e cambiarono il loro atteggiamento rispetto alla loro responsabilità come giornalisti.
Le prime forme mediatiche in Israele hanno seguito il modello
europeo relativo al ruolo della stampa. La cultura europea schierata ha influenzato il modo in cui veniva gestita la stampa israeliana, e i primi giornali israeliani avevano una chiara dipendenza e identificazione con i partiti politici che determinavano il loro
ordine del giorno.
Gli anni ’80 testimoniano un importante cambiamento in positivo del ruolo della stampa nella democrazia israeliana. La stampa schierata iniziò a cambiare sembianze, riducendo significativamente la tendenza ad attenersi alla linea editoriale per attrarre un pubblico più vasto. I lettori di “Ha‘olam Hazeh” infatti iniziarono a diminuire, dopo che le altre testate nazionali cominciarono a prendere posizioni sempre più aggressive e provocatorie nei confronti dello stato. L’emergere di televisione e radio
libere ha avuto una grande influenza sui giornali. Questo processo di cambiamento è culminato nel 1982 durante la Guerra del
Libano, quando la stampa si
sentì libera di esprimere la sua
disapprovazione nei confronti
del governo, riportando costantemente al pubblico notizie critiche sulla guerra.
Nei primi anni dello stato i giornalisti israeliani, nonostante lavorassero per giornali dalle chiare impostazioni di parte, provarono a mantenere l’accuratezza nel riportare i fatti di cronaca,
sforzandosi di coprire la maggior
parte delle notizie importanti del
giorno. Tuttavia ogni giornale
operava come uno strumento per
la diffusione di una particolare
linea politica e le notizie venivano
presentate secondo la singola
ideologia delle varie testate.
Sebbene i giornali venissero percepiti come strumenti ideologici,
testimoniavano lo sviluppo della
democrazia ancora prima della
fondazione dello stato, dando
spazio ad accesi dibattiti, all’interno di ogni giornale e tra i giornali stessi, riguardo al carattere
del futuro stato.
A questo modello di stampa schierata esistevano due alternative. La prima era la vasta diffusione di giornali commerciali, rappresentati principalmente dai due quotidiani nazionali che esistono ancora oggi: “Yedioth Aharonot” e “Maariv”. La seconda era il
giornale anti-istituzionale “Ha‘olam Hazeh” edito da Uri Avneri.
Questo giornale ebbe una profonda influenza sul ruolo della
stampa in Israele, giacché Avneri promuoveva una visione critica del governo, pratica non molto diffusa tra le testate di quel
periodo.
Per molti anni la maggior parte dei giornali, ad eccezione di
“Ha‘olam Hazeh”, aveva in comune lo stesso atteggiamento,
talvolta eccessivo, caratterizzato dalla tendenza ad evitare ogni
critica al governo, in nome di quello che era chiamato “interesse nazionale”. Questo approccio raggiunse il suo apice prima
alla vigilia della Guerra del Kippur nel 1973, quando la stampa
22
L’incremento della diffusione
dei giornali locali insieme con
l’introduzione di riviste innovative, ha contribuito all’incremento dell’attività dei media
negli anni ’80. La nascita del
magazine “Monitin” aiutò a preparare la strada per l’adozione,
da parte delle altre forme
mediatiche, di questo tipo di
giornalismo, e fu modello del
“magazin format”, che diventò popolare in televisione e alla
radio. Il “magazin format” permetteva ai giornali di coprire una
vasta gamma di temi (oltre alle notizie di attualità vere e proprie), come storie di interesse umano, che avevano molto
ascendente sul vasto pubblico.
I giornali schierati iniziarono a chiudere alla fine degli anni ’80
per ragioni economiche, ma non solo. Soltanto tre quotidiani
nazionali sopravvissero: “Haaretz”, giornale che si richiama ad
un pubblico intellettuale; “Maariv” e “Yediot Aharonot”, che, con
un giornalismo d’effetto e ricco d’immagini, si contendono lo
stesso pubblico. Queste tre testate sono di proprietà di alcune
famiglie, che, come risultato, detengono un enorme potere e
hanno la facoltà di influenzare l’ordine del giorno dello stato e
dei media.
Il timore che queste famiglie potessero far uso del loro potere per
controllare i media e stabilire il loro ordine del giorno, si è rivela-
to infondato, dato l’impegno della stampa
e dei media elettronici a fornire una
copertura completa e onesta delle notizie
in Israele e nel mondo. Infatti quasi tutti
gli episodi che denunciavano la corruzione di funzionari pubblici sono stati rivelati dagli esponenti della stampa. Per di più
la naturale competizione tra i quotidiani
per la conquista del pubblico aiuta i giornali a non essere oggetto delle aspirazioni dei rispettivi proprietari.
Tuttavia chi scrive ha difficoltà a convivere con il fatto che ci siano solo tre quotidiani nazionali. Chiaramente si viene a
creare una situazione nella quale non molte voci, opinioni, punti
di vista e perfino informazioni possono idealmente raggiungere
il pubblico come sarebbe auspicabile. Il motivo della mancanza
di giornali nazionali è sostanzialmente economico e risulta difficile immaginare come un altro quotidiano potrebbe sopravvivere nell’odierna situazione economica presente in Israele.
Gli esponenti della stampa israeliana accettano e si conformano
all’approccio occidentale al giornalismo, agendo naturalmente
in accordo a un codice etico che vede nell’ approccio critico e
nell’informazione attendibile il suo principio di base. Per la maggior parte gli esponenti della stampa israeliana sono istruiti e
ben informati. Sono stati pochi i casi in cui questi principi sono
stati compromessi o in cui i fatti sono stati distorti intenzionalmente da un reporter o un giornalista disonesto.
Israele è anche una società molto politica. Ogni decisione o processo politico può avere, e spesso lo ha, un impatto diretto sulla
vita della popolazione israeliana. Il modello del “giornalismo
tabloid”, molto popolare in altri paesi, non è pertanto tollerato in
Israele, dove la popolazione legge i giornali avidamente per
conoscere precisamente i fatti e le notizie.
Di conseguenza i quotidiani e gli altri media israeliani si occupano delle questioni principali del giorno, monitorando il governo e fornendo al pubblico un’informazione politica esauriente.
Gli israeliani sono conosciuti per il loro apprezzamento nei confronti del dibattito vivace, e la stampa si adegua, assolvendo alla
propria funzione di forum per le polemiche e i dibattiti. Uno dei
programmi televisivi più popolari in Israele è il dibattito - tavola
rotonda, che vede come protagonisti personaggi pubblici e privati che esprimono energicamente una serie di punti di vista su
vari temi.
La diffusione di un’informazione attendibile, il rispetto per la
varietà di opinioni e l’incoraggiamento a un attivo criticismo nei
confronti del governo, sono indicativi della
condotta della stampa nella società
democratica israeliana.
Recentemente, come nel resto del mondo,
è entrato in scena un nuovo elemento:
internet. L’attività in questo ambito è vasta
e variegata, permettendo a molte entità e
a privati cittadini di prendere parte al
dibattito pubblico. In Israele hanno sede
migliaia di portali e siti, e tutti i giornali
hanno una versione online, nella quale trovano spazio animate discussioni, alcune
delle quali incentrate su tematiche politiche e pubbliche. Le chat e le talk-back
forniscono un forum a migliaia di persone che, prima dell’avvento di internet, non avevano la possibilità di esprimersi pubblicamente. Complessivamente gli israeliani, che non si sottraggono
mai al dibattito, traggono numerosi vantaggi da internet.
Israele è ancora una giovane democrazia in via di sviluppo. Benché
alcuni esponenti del pubblico si interroghino sulle ragioni per le
quali la stampa critica lo stato in tempo di guerra, generalmente la
società israeliana capisce che una stampa libera e solida è di cruciale importanza per l’esistenza di una forte democrazia e costituisce un valore per il quale vale la pena lottare. Il graduale riconoscimento dei pericoli derivanti dal porre restrizioni alla stampa, e
la comprensione da parte del pubblico del ruolo giocato dai media
israeliani anche in condizioni difficili, fanno parte della sfida di
Israele a diventare una vera nazione democratica.
In generale la società
israeliana capisce che una
stampa libera e solida è di
cruciale importanza per
l’esistenza di una forte
democrazia e costituisce
un valore per il quale vale
la pena lottare.
Ruvik Rosenthal è stato direttore della rubrica op-ed del quotidiano Maariv tra il 1997 e il 2002 ed è un giornalista pluripremiato e molto apprezzato, che si occupa degli aspetti culturali e
politici del linguaggio. È stato insignito nel 2004 del più prestigioso premio giornalistico israeliano, il Premio Sokolov, per il
suo lavoro in questo campo.
23
Parità tra sessi in uno stato ebraico
Frances Raday
Per quanto riguarda le donne
lavoratrici, le basi fondanti del
Sionismo socialista hanno reso
naturale l’erogazione di agevolazioni per le necessità delle
donne, in particolare delle madri
lavoratrici. Perciò dal 1950 in poi
le donne hanno diritto a un’indennità per assenza prolungata
per maternità, retribuita dall’Istituto Nazionale di Previdenza
Sociale israeliano; hanno diritto a essere tutelate dal licenziamento durante la gravidanza e ad agevolazioni per assistenza
all’infanzia; tutto combinato e finalizzato a permettere alla
donna di poter mantenere insieme una vita lavorativa retribuita
e una vita familiare. Ci volle del tempo perché lo stereotipo della
madre lavoratrice fosse percepito come un ostacolo al progresso della donna. Inoltre esisteva già una nozione preconcetta di
parità tra sessi, sin dai primi anni dello stato, derivante dalla
partecipazione delle donne alle organizzazioni dei pionieri, al
servizio militare, alla politica e alle professioni.
Nella legge israeliana esiste una dicotomia tra valori religiosi e secolari su questioni relative ai
sessi, e tale dicotomia pervade il sistema legale a tutti i livelli. A livello costituzionale i valori religiosi hanno avuto la precedenza sull’introduzione di un diritto esplicito alla parità delle donne.
Questo limite, tuttavia, è stato ampiamente aggirato dall’introduzione del diritto costituzionale
alla dignità umana e dalla giurisprudenza della Corte Suprema, che ha stabilito il diritto alla parità come un diritto fondamentale. In altre aree del Diritto, non direttamente correlate a norme e
valori religiosi, è stato sviluppato un forte concetto di parità tra sessi, sia nella legislazione sia
nei tribunali. In queste aree, pertanto, il sistema legale combina agevolazioni sociali per la maternità e per i genitori, garantisce pari opportunità per la partecipazione delle donne al mondo del
lavoro e al servizio militare, oltre che la possibilità di affermarsi nel settore pubblico.
La Dichiarazione d’Indipendenza
d’Israele è stata tra i primi documenti costitutivi di uno stato a
garantire uguaglianza politica e
sociale senza discriminazione di
sesso. Nel 1951 la Knesset
approvò la Legge dei pari diritti
per le donne, che, pur non conferendo ai tribunali l’autorità costituzionale di annullare la legislazione esistente, servì da strumento interpretativo, per la Corte
Suprema nella sua funzione di
Alta Corte di Giustizia, per l’introduzione di una vasta gamma di
diritti di parità per le donne.
Accanto a tali garanzie di parità per i diritti delle donne, la
Knesset, adottando il sistema dei millet ereditato dal periodo dell’impero ottomano e del mandato britannico, ha delegato le questioni di diritto personale alla giurisdizione esclusiva dei tribunali
religiosi delle varie comunità religiose: i tribunali rabbinici ebraici, i tribunali della Sharia musulmana, e i tribunali canonici delle
varie confessioni cristiane. Questo ha portato in pratica a relegare il diritto matrimoniale, relativo ai matrimoni e ai divorzi, a sistemi religiosi patriarcali. Le disparità che ne risultarono per le
donne sono state espressamente sanzionate dalla Knesset nella
Legge per la parità di diritti delle donne, nella quale le normative su diritti e limitazioni in matrimoni e divorzi sono state escluse dalle finalità delle sue garanzie di uguaglianza e parità.
Successivi tentativi di includere una clausola costituzionale di
uguaglianza in varie proposte di disegni di legge sui diritti umani
sono stati costantemente osteggiati e impediti dai partiti religiosi.
Nel 1992 la Knesset ha aggirato ed eluso questa opposizione,
introducendo un parziale pacchetto di leggi costituzionali inerenti
ai diritti, con la Legge Fondamentale Dignità umana e uguaglianza, la quale garantisce, tra gli altri, il diritto alla dignità umana.
Sebbene la Legge Fondamentale sulla dignità umana e l’uguaglianza non includa espressamente il diritto alla parità, i giudici di
alcuni tribunali israeliani hanno considerato la parità tra i sessi
come se rientrasse nell’ambito del diritto alla dignità umana.
24
La nozione che le donne israeliane godessero già di pari opportunità fu smontata negli anni ’70 e ’80, quando divenne chiaro
che la presenza non equivaleva al potere, e che le donne erano
soggette a svantaggi e discriminazioni, in Israele come in ogni
altro luogo. Questa nuova consapevolezza produsse una legislazione femminista, promossa dalle organizzazioni femministe,
da membri della Knesset donne e da pubblici funzionari. A partire dal 1987 fu approvata una serie di leggi: la Legge per la
parificazione dell’età di pensionamento, che capovolse il
sostegno del Tribunale del Lavoro per un pensionamento anticipato obbligatorio per le donne; la Legge per le pari opportunità di impiego, che offrì un rimedio alle discriminazioni nel
campo dell’impiego e la conversione dei diritti di assistenza
all’infanzia da materni a pertinenti a entrambi i genitori; l’emendamento alla Legge per le pari retribuzioni, del 1964,
che impose l’obbligo di pagare pari retribuzione a parità di valore del lavoro svolto; leggi che richiedono maggiore affermazione e presenza femminile in cariche di direttori di compagnie
governative e in impieghi statali; l’emendamento
all’Ordinanza per il fisco, che conferiva alle donne pari condizioni relativamente alla dichiarazione dei redditi; la Legge che
proibisce le molestie sessuali copre il luogo di lavoro e altri
tipi di rapporti di lavoro dipendente, come istruzione, assistenza medica e servizio militare, nonché altri tipi di rapporti di
lavoro non dipendente dove si verificano ripetuti casi di molestie sessuali; l’emendamento alla Legge della difesa, che
assicura alla donna il diritto di prestare servizio in qualsiasi
carica e funzione durante il servizio militare, stabilito che esse
ne abbiano la capacità; infine, l’emendamento alla Legge per
la parità di diritti della donna, del 2000, che consolida i principi di pari opportunità, di affermazione e presenza femminile e
di agevolazioni, riconosciuti in precedenza in pronunciamenti e
sentenze giudiziarie o in specifici statuti, stabilendoli come
principi basilari del sistema legale.
Dal 1980 sono state adottate varie misure per migliorare varie
proibizioni legali e misure preventive relativamente alla violenza contro le donne. È stata approvata la Prevenzione della
Violenza nel Diritto Familiare, che conferisce ai tribunali l’autorità di emettere ordinanze protettive per allontanare la persona violenta dall’abitazione familiare. Inoltre è stata estesa la
definizione di stupro, e alla proibizione dello stupro coniugale,
già stabilita dalla Corte Suprema in conformità ai principi di
diritto ebraico, è stato conferito valore statutario. Sono stati
apportati degli emendamenti alla legge sullo stupro, per migliorare la situazione processuale della vittima, abolendo, per
esempio, la richiesta di una prova convalidante dello stupro, e
vietando l’esame delle esperienze sessuali passate della vittima di stupro. Inoltre la Corte Suprema ha analizzato la necessità di prevenire le violenze contro le donne nel contesto dei
diritti umani per la dignità umana e l’uguaglianza.
La regolamentazione statutaria relativa alla libertà di riproduzione è stata parzialmente influenzata dalle pressioni dei partiti religiosi. L’aborto è legale, se presenta certe ragioni approvate: età (sotto i sedici anni o oltre i quaranta); relazioni proibite,
extraconiugali o incesti; difetto fisico o mentale del feto; pericolo per la vita della donna o per la sua salute fisica e mentale.
Per la legge ebraica l’aborto è permesso solo laddove la continuazione della gravidanza minaccia la madre, e negli ultimi
anni ’70 i partiti religiosi fecero pressioni, e con successo, per
l’abrogazione di alcune circostanze economiche come motivo
per ammettere l’aborto, le quali fino ad allora avevano permesso l’aborto per difficili circostanze familiari o sociali. In seguito
fu approvata una legge che permetteva degli accordi di “surroganza”, ovvero di adozione o gestione di gravidanza da parte di
altre donne, tuttavia la legalità fu ristretta effettivamente alla
“surroganza” da parte di donne non sposate, per evitare la possibilità che il figlio fosse il prodotto di una gravidanza adulterina di una donna sposata.
Nella sfera privata, i tribunali israeliani non hanno interferito
nella delega statutaria ai tribunali religiosi, relativamente ai
permessi e alle proibizioni nell’ambito dei matrimoni e dei
divorzi. Al di là di questo limite statutario, tuttavia, il principio di
uguaglianza è stato applicato dalla Corte Suprema in numerosi
casi, come, per esempio, riguardo ai diritti di domicilio e di proprietà. Nel 1994 l’Alta Corte di Giustizia impose ai tribunali rabbinici l’obbligo di conformarsi al principio di uguaglianza nella
divisione delle proprietà coniugali, che andava contro il principio legale ebraico della separazione delle proprietà coniugali.1
Nella scena pubblica (politica, economia, esercito) l’Alta Corte
di Giustizia, non ostacolata da norme e sensibilità religiose, ha
introdotto principi radicali di uguaglianza per le donne. Così, nel
1990, nel contesto della questione della parità dell’età pensionabile per la donna, la Corte Suprema richiese di esercitare uno
stretto controllo nell’esaminare i reclami di discriminazioni di
gruppo contro donne. In una serie di regolamentazioni la Corte
ha reso il principio di uguaglianza per le donne in Israele forte
e innovativo. Il Giudice della Corte Suprema Michael Cheshin ha
descritto il principio di uguaglianza come:
“Il re dei principi: il più elevato dei principi, sopra ogni altro.
Così è nel diritto pubblico e così è in ogni singolo aspetto della
nostra vita sociale. Il principio di uguaglianza si infiltra in ogni
pianta del giardino della legalità, e costituisce una parte inseparabile della conformazione genetica di tutti i principi legali, di
ciascuno di essi. Il principio di uguaglianza è, in teoria e in pratica, un principio generante, anzi dovremmo meglio dire un
principio-madre”.
Nell’ultimo decennio del ventesimo secolo la Corte si è distaccata dalle limitazioni dell’uguaglianza formale e ha introdotto
Lo sviluppo del principio giuridico di uguaglianza per le donne
presso l’Alta Corte di Giustizia ha dovuto contendere con la
legge patriarcale religiosa. Lo scontro fra le due parti ha avuto
un certo impatto, provocando divergenze e dibattiti, nella sfera
privata (famiglie) e nella scena pubblica (vita pubblica ed economica). Mentre nel diritto familiare i valori religiosi esercitano
una forte restrizione sullo sviluppo della giurisprudenza relativa
alla parità tra sessi, l’impatto inibitorio delle norme religiose
nella sfera pubblica è molto più limitato, ed è stata prodotta
un’impressionante mole di giurisprudenza sulla parità tra sessi.
25
dei concetti di affermazione e presenza della donna nel lavoro
e in altri campi, e di agevolazioni. Il principio di affermazione e
di presenza della donna è stato in più casi confermato e sanzionato da vari tribunali. Questi ultimi hanno riconosciuto che
l’idea di affermazione nel lavoro deriva dal principio di uguaglianza, e la sua essenza sta nell’ideazione di strumenti di politica giuridica per l’attuazione dell’uguaglianza quale effettiva
norma sociale (uguaglianza nei risultati).
Il principio di agevolazioni, quale modello di uguaglianza per le
donne da adottare da parte della Corte, fu introdotto dal Giudice
Dalia Corner:
“l’interesse nel garantire, da una parte, la dignità e la condizione della donna e, dall’altra, la continuazione dell’esistenza della
società e la crescita di figli, richiede, per quanto possibile, che
alle donne non sia impedito di realizzare i propri potenziali, solo
a causa di funzioni o caratteristiche fisiologiche naturali, con il
risultato che esse siano discriminate rispetto agli uomini. Le
norme sociali, comprese quelle legali e giuridiche, devono
essere adattate alle loro esigenze.”2
Il sistema legale israeliano è segnato da una profonda dicotomia tra la conservazione tradizionalista della società patriarcale in questioni relative alla religione, da una parte, e una politi-
ca legislativa e giuridica progressista e persino radicale, dall’altra, in questioni di parità tra sessi non relative a norme religiose. Questa dicotomia è evidente anche nel divario esistente tra
l’elevato livello d’istruzione femminile e il relativo elevato livello di rappresentanza nella vita professionale, in particolare nello
stesso sistema legale sotto veste di avvocati e giudici, e, di contro, il basso livello di rappresentanza politica delle donne, sotto
veste di ministri del governo o di membri della Knesset.
1 Corte Suprema 1000/92 Bavli contro Corte d’Appello Rabbinica, 48(ii) P.D. 221
2 Corte Suprema 4541/94 Miller contro Ministro della Difesa, 49(iv) P.D. 94, 142.
Frances Raday regge la Cattedra Elias Lieberman di Diritto del
Lavoro presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e insegna
alla Scuola di Management – Studi Accademici. È stata membro, in qualità di esperta, della Commissione ONU per l’eliminazione della discriminazione contro le donne, dal 2000 al 2003,
ed è stata la Presidentessa fondatrice del Centro Legale di
Network per le Donne. Attualmente presiede l’Associazione
Israeliana di Studi Femministi e dei Sessi. Frances Raday ha
scritto ampiamente su lavoro, diritti umani e parità tra sessi, e
difende strenuamente i diritti delle donne in Israele.
Donne leader nelle Istituzioni democratiche dello Stato d’Israele
L’ex Primo Ministro Golda Meir
L’ex Controllore di Stato e
Il Giudice della Corte Suprema
Difensore Civico Miriam Porat Dorit Beinish
26
Il Ministro Limor Livnat
Il Ministro Tzipi Livni
Il Ministro Dalia Itzik
La condizione della popolazione araba
in Israele
Ilan Jonas
Il modo in cui una società tratta le sue minoranze è un altro riflesso dei suoi valori democratici. L’impegno a garantire uguaglianza a ciascun cittadino è parte integrante dei principi
d’Israele e il paese compie grossi sforzi per rispettare i duri parametri che si è assegnato a tal
riguardo. Sebbene forzato a un costante stato di conflitto con i palestinesi e gran parte del
mondo arabo, Israele rimane impegnato alla sua promessa originale presente nella
Dichiarazione d’Indipendenza, secondo cui lo stato avrebbe avuto “uguali diritti politici e sociali per tutti i suoi cittadini, senza alcuna distinzione di religione, razza e sesso”.
Israele, così come immaginato dal fondatore del Sionismo politico moderno, Theodor Herzl, fu fondato come madrepatria per
il popolo ebraico, e gli ebrei, infatti, costituiscono la maggioranza della popolazione. Ciononostante, la società israeliana è formata da una molteplicità di culture, nazionalità e religioni. Al
momento della sua fondazione, nel 1948, Israele, riconoscendo
questa realtà, dichiarò la propria aspirazione ad essere una
società libera ed equa, tendendo formalmente una mano di
pace alle minoranza che si trovavano nei suoi confini, così
come ai suoi vicini arabi.
Lo stato nascente adottò anche un modo di vivere democratico,
sin dall’inizio, scegliendo di definirsi non soltanto uno stato ebraico, ma uno “stato ebraico e democratico”. Per cui, impegnato, da
una parte, a realizzare l’obiettivo prefissato dalle Nazioni Unite,
quello cioè di dare una madrepatria al popolo ebraico, dall’altra
parte, Israele è impegnato a realizzare uno degli obbiettivi da esso
adottati, quello cioè di essere una democrazia progressista, con
piena uguaglianza per tutti i suoi cittadini.
religione, la propria cultura e la
propria lingua; ogni persona è
libera di vivere la propria vita
secondo la propria coscienza.
La maggior parte della popolazione araba israeliana vive in cittadine e villaggi autonomi nella
Galilea e nel Neghev, oltre che in centri urbani con popolazione
mista. La popolazione araba è costituita principalmente da
classe operaia nel contesto di una società di classe media, e
costituisce una minoranza arabofona presente accanto alla
maggioranza di lingua ebraica. Essenzialmente non tendente
all’assimilazione, l’esistenza separata di questa comunità è
agevolata dall’uso dell’arabo, la seconda lingua ufficiale
d’Israele, da un sistema scolastico arabo separato, da mass
media, letteratura e teatro in arabo, e dal mantenimento di tribunali confessionali musulmani, drusi e cristiani indipendenti e
separati, che si occupano di questioni riguardanti la situazione
personale.
Gli arabi costituiscono approssimativamente il 20% della popolazione israeliana. Riconoscendo il fatto che la sua terra sarebbe stata condivisa da molti e differenti abitanti, Israele, nel suo
primo giorno di indipendenza, proclamava che:
“(Lo Stato d’Israele) assicurerà completa uguaglianza di diritti
sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di
lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di
tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle
Nazioni Unite.” (Dalla Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele)
Il villaggio arabo israeliano di Furadis
I fondatori dello stato, a dispetto della guerra scatenata contro
di loro, si rivolsero agli arabi in Israele: “Facciamo appello - nel
mezzo dell’attacco che ci viene sferrato contro da mesi - ai cittadini arabi dello Stato di Israele, affinché mantengano la pace
e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena
e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in
tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti.” (Dalla
Dichiarazione d’Indipendenza d’Israele)
Inviando questo messaggio ai suoi cittadini arabi, Israele ha
deliberatamente compiuto la scelta di rispettare i principi di
uguaglianza e di protezione dei diritti di tutti gli individui presenti all’interno dei suoi confini. Pertanto ciascun cittadino
d’Israele ha diritto, per legge, a votare e a essere eletto, ogni
persona ha il diritto, per legge, di seguire e praticare la propria
Abitazioni nel villaggio arabo israeliano di Ara
27
Sebbene alcuni usi e costumi del passato siano ancora parte
della vita quotidiana, l’indebolimento del sistema tribale e
patriarcale, da una parte, e gli effetti di un’istruzione obbligatoria e della partecipazione al processo democratico israeliano,
dall’altra, stanno rapidamente influenzando i modi di vedere e
di vivere tradizionali. Contemporaneamente la condizione delle
donne arabe in Israele è stata liberalizzata in maniera significativa grazie a leggi che stabiliscono uguali diritti tra uomini e
donne e proibiscono la poligamia e i matrimoni tra minori.
Il coinvolgimento politico del settore arabo è particolarmente
evidente nelle elezioni politiche nazionali e in quelle municipali. Cittadini arabi gestiscono gli affari politici e amministrativi
delle proprie municipalità e rappresentano gli interessi degli
arabi attraverso i loro deputati eletti alla Knesset, i quali operano nella scena politica, per
promuovere la condizione
dei gruppi minoritari e la loro
partecipazione dei benefici
nazionali.
Il settore arabo è diventato
politicamente più rilevante
negli ultimi anni. Per la
prima volta un magistrato
arabo è stato nominato
membro
della
Corte
Suprema, e vice-ministri
arabi hanno prestato serviIl Giudice della Corte Suprema
zio nel governo israeliano.
Salim Joubran
Cittadini arabi lavorano per il
Ministero degli Esteri israeliano, come diplomatici e ambasciatori del paese.
Come per gli altri settori etnici del paese, anche le attività culturali arabe e la tutela del patrimonio culturale arabo sono incoraggiate da vari enti volontari e governativi, che offrono assistenza di ogni genere, dallo stanziamento di premi e borse di
studio per artisti e scrittori fino al sostegno a musei e centri di
cultura.
Ciononostante, considerati i diritti fondamentali di uguaglianza
garantiti per legge a tutti i cittadini, e nello spirito dei principi
stabiliti dalla Dichiarazione d’Indipendenza, si riconosce la
necessità di superare le disparità in vari aspetti della società.
Organizzazioni e attivisti arabi ed ebrei si incontrano con
cadenza settimanale, per mettere in luce questioni e casi di
ineguaglianza. Anche il sistema giudiziario riveste un ruolo
importante nella promozione dell’uguaglianza in seno alla
società israeliana. I tribunali accolgono richieste e casi provenienti da qualsiasi ricorrente, indipendentemente dalla sua
nazionalità, religione o razza. Qualsiasi sentore di discriminazione o di cattiva condotta in questo campo è attentamente e
severamente investigato dagli organi israeliani competenti,
28
mentre viene fatta molta attenzione affinché errori già commessi non si ripetano.
Nella relazione conclusiva di una commissione nominata per
indagare sulla morte di un certo numero di cittadini arabi,
durante alcuni disordini violenti, che ebbero luogo tra la popolazione araba nell’ottobre del 2000, si fa notare che:
“L’atteggiamento nei confronti della popolazione araba è una
questione interna molto importante e sensibile, ai primi posti
nell’agenda dello stato… La questione richiede un’immediata
attenzione, a breve e a lungo termine. Un obbiettivo principale
dello stato deve essere quello di conseguire una reale uguaglianza per tutti i cittadini arabi dello stato. I diritti dei cittadini
arabi all’uguaglianza derivano dalla natura democratica dello
stato d’Israele, e l’uguaglianza è uno dei diritti basilari accordati a ciascun cittadino dello stato. Qualsiasi discriminazione contraddice il diritto fondamentale all’uguaglianza, insito, secondo
l’opinione di molti, nel diritto di tutte le persone alla dignità
umana. Ciò ha un’importanza ancora maggiore, se si ha a che
fare con discriminazioni su base razzista o di nazionalità.
Pertanto è nell’interesse dello stato agire, per cancellare la
macchia della discriminazione nei confronti dei suoi cittadini
arabi, in tutte le sue forme ed espressioni.” (Commissione Orr,
settembre 2003)
L’ex Ministro della Giustizia, Yosef Lapid, presidente della commissione parlamentare formata proprio in seguito alla commissione Orr, presentando i risultati della commissione, dichiarò
che:
“Il governo d’Israele ha l’obbligo di compiere una modifica delle
normative nelle reciproche relazioni tra arabi ed ebrei, riconoscendo a tutti i settori il diritto di essere diversi l’uno dagli altri.
Ciò significa che ai cittadini arabi non può essere impedito di
esprimere la propria cultura e la propria identità. La politica del
governo è quella di conseguire piena e reale uguaglianza di
diritti e doveri per i cittadini dello Stato, siano essi ebrei o arabi,
nella maniera più rapida possibile.”
Il diplomatico Ali Yahya, primo ambasciatore d’Israele arabo
La commissione ministeriale stabilì, tra l’altro, di creare un’autorità governativa per il progresso e l’avanzamento delle minoranze in Israele, di stendere un piano generale per la popolazione araba e progetti di pianificazione
edilizia per le
comunità arabe.
Inoltre essa raccomandò l’osservanza, una volta l’anno, di una “giornata della tolleranza”, per dare
espressione alle
numerose e sfaccettate culture
della
società
israeliana.
Mohammed Abu El Haija
Mohammed Abu El Haija è un attivista che risiede a Ein Hod, un
villaggio arabo situato nella regione del Carmelo. Nel 1982,
assieme ad altri arabi ed ebrei, fondò l’ “Associazione dei
Quaranta”, un’organizzazione dedita alla coesistenza pacifica
tra ebrei e arabi, al cammino verso l’uguaglianza per tutti i settori della società israeliana e all’ottenimento del riconoscimento ufficiale dei villaggi arabi non riconosciuti. Attualmente
Mohammed ricopre la carica di capo amministrazione del villaggio di Ein Hod ed è membro del Consiglio regionale del
Carmelo.
Per molti anni Mohammed ha lottato per un riconoscimento
ufficiale del villaggio di Ein Hod, e, nel 1992, il governo israeliano ha conferito a quest’ultimo uno stato di ufficialità. Di conseguenza la vita dei suoi abitanti sta subendo un radicale miglioramento. In precedenza gli abitanti vivevano in condizioni di
povertà e con il continuo timore di essere sfrattati perché abusivi, mentre oggi essi fanno parte di un villaggio che si sta trasformando in una cittadina moderna come tutte le altre di
Israele. Recentemente è stato anche approvato un piano regolatore per il villaggio, che è entrato a far parte del Consiglio
regionale del Carmelo. Alla domanda su quale fosse la sua opinione sull’esistenza di uguaglianza in Israele e su che cosa
pensasse del futuro al tal proposito, Mohammed rispose:
“Dopo aver lottato così a lungo per ottenere un riconoscimento, adesso vedo come un gruppo di persone, un villaggio, pos-
sono finalmente ottenere uno status di ufficialità per le loro
case, un riconoscimento del loro diritto a vivere nella legalità,
nel proprio villaggio, dopo tanti anni. È vero che sono trascorsi
molti anni, ma questa è un’enorme conquista per tutti noi, un
grande passo avanti. Lo Stato d’Israele ha finalmente applicato
una politica di uguaglianza nei nostri confronti, e io spero che
ciò avvenga anche per molti altri villaggi che si trovano in situazioni simili. Questo passo mostra che c’è speranza anche per
ulteriori cambiamenti in meglio. Mi aiuta a convincermi che l’uguaglianza è raggiungibile, non importa quanto difficile ciò
possa sembrare.”
Al fine di poter conseguire l’eguaglianza in un paese dinamico,
è necessario che siano prima poste delle solide fondamenta,
per assicurare la stabilità della struttura dopo il suo completamento. Lo Stato d’Israele è un paese giovane ancora in costruzione. Le fondamenta che sono state poste contribuiscono a
costruire una società equa e progressista, nonostante tutte le
difficoltà implicate. Queste solide fondamenta, fatto ancora più
importante, garantiscono che, nonostante qualsiasi difficoltà, la
struttura non collassi sui suoi abitanti e che la società israeliana continui a progredire nel suo impegno per una piena uguaglianza.
Israele ha deliberatamente
compiuto la scelta di
rispettare i principi di
uguaglianza e di difesa
dei diritti di tutti gli individui
presenti all’interno
dei suoi confini
Ilan Jonas è docente di Giurisprudenza e avvocato specializzato in diritti dei cittadini. È attivo e opera come consulente legale per organizzazioni che si occupano di diritti delle minoranze
in Israele.
29
I diritti dei bambini in Israele – il bicchiere
mezzo pieno
(Ytzhak Kadman e Vered Windman)
Introduzione
L’opinione secondo cui i bambini debbano essere considerati
persone in pieno diritto fu colta dalle parole di Janusz Korczak,
quando scrisse: “I bambini sono persone, non future persone,
non persone domani, ma persone adesso, ora, oggi”.1
I 2.2 milioni di bambini israeliani costituiscono il 33% della
popolazione. Anche se il tasso di natalità è sceso negli ultimi 30
anni, Israele resta una società incentrata sui bambini. Di conseguenza il governo e le organizzazioni non governative forniscono molti servizi mirati alla soddisfazione dei loro bisogni.
Le organizzazioni israeliane in difesa dei bambini generalmente tendono a concentrarsi sui numerosi problemi sociali che
devono essere risolti, vedendo, come si suol dire, il bicchiere
dei diritti dell’infanzia mezzo vuoto. Tuttavia bisogna apprezzare l’altra metà del bicchiere, quella piena, considerando le
innovazioni, il progresso e i promettenti passi verso i cambiamenti. In seguito riporteremo un breve studio su alcune considerevoli conquiste nel campo legislativo, giudiziario e assistenziale.
La legge sul lavoro infantile del 1953 fu emanata per impedire il lavoro minorile e la manipolazione economica dei bambini, che rischia di comprometterne la salute, l’istruzione o il
normale sviluppo. Questa legge è coerente con la Convenzione
sui diritti dei bambini e con altre peculiari convenzioni
dell’Organizazzione internazionale del lavoro.
Leggi della testimonianza - protezione dei bambini del
1955 è una legge eccezionale e progressista anche alla luce
degli standard internazionali. Emanata per alleviare il trauma di
chi è sottoposto a indagini da parte della polizia o è tenuto a
testimoniare in tribunale, la legge permette all’agente investigativo del bambino di testimoniare al suo posto. Inoltre nel valutare la necessità della testimonianza del minore, si riterrà prioritario l’interesse del bambino rispetto a quello delle indagini.
Insieme con le leggi appena menzionate gli anni ’50 videro la
codificazione dell’impegno dello Stato d’Israele nei confronti
dei suoi bambini relativamente agli assegni familiari, indennità di maternità e contributo per la nascita. Dal 1959 le famiglie
ricevono dei contributi mensili in base al numero dei figli.
La legge sulla cura e la sorveglianza dei minori del 1960
crea un particolare meccanismo atto a proteggere i bambini
mediante i tribunali minorili e i funzionari in difesa dell’infanzia.
La legge su sentenza, pena e detenzione dei minori del
1971 istituisce un sistema giudiziario apposito, dei funzionari
processuali speciali e degli istituti di riabilitazione specializzati nella gestione dei delinquenti minorenni.
La legge sulla prevenzione degli abusi sui minori e sugli
indifesi del 1989 obbliga a denunciare alle autorità ogni abuso
sospetto da parte di un genitore o di un altro tutore. Questa
legge aggrava la pena per coloro che hanno abusato di bambini che appartengono alla famiglia o che sono sotto la loro
tutela.
Legislazione
Lo studio delle leggi sull’infanzia in Israele, costituisce un efficace strumento di analisi dell’atteggiamento del paese nei
confronti dei diritti dei bambini. Anche se è impossibile menzionare ognuna delle centinaia di leggi che Israele ha promulgato in questo campo, alcune tra le più importanti meritano un
accenno.
La legge sull’istruzione obbligatoria del 1949 stabilisce
l’obbligo e il diritto del minore all’istruzione (dai 5 ai 16 anni).
La legge sull’età del matrimonio limita l’età in cui può essere contratto il matrimonio, per proteggere i minori da matrimoni coercitivi o prematuri.
30
Nell’agosto 1991 lo Stato d’Israele fu uno dei primi stati a ratificare la Convenzione sui diritti dell’infanzia. Qualche anno
dopo il ministro della giustizia formò una commissione pubblica, per esaminare la legislazione israeliana e per adeguarla
alle disposizioni della Convenzione. La commissione fu importante per promuovere il tema dei diritti dell’infanzia in Israele.
Negli ultimi anni la legislazione israeliana ha iniziato a riconoscere che i bambini hanno dei diritti e non sono solo soggetti
a protezione. Per esempio, il diritto del bambino ad esprimere
la sua opinione e a partecipare in modo attivo alle azioni che
influenzano significativamente la sua vita, è stabilito da un
emendamento alla legge sul lavoro minorile, riguardo al
lavoro nel campo della pubblicità e della moda. In questo
campo si deve considerare il minore come parte attiva in ogni
decisione relativa al suo benessere. Allo stesso modo, con un
emendamento alla Legge sulla cura e la sorveglianza dei
minori del 1995, i minori godono del diritto di opporsi al ricovero per malattie mentali e del diritto ad essere rappresentati
da un avvocato.
La legge fondamentale sulla dignità e la libertà umana del
1992 ha anche importanti implicazioni sui diritti dei minori, se
si considera che la legge tutela la dignita dell’individuo, non
importa se si tratti di un adulto o di un bambino. Come ha spiegato Aharon Barak, presidente della Corte Suprema israeliana,
questi diritti sono dati ad entrambi, adulti e minori.2
La legge sui diritti degli studenti del 2000 stabilisce che “è
diritto dello studente che la disciplina nelle istituzioni educative venga applicata in modo
dignitoso, il che comprende
il diritto a non essere sottoposti a punizioni corporali o
degradanti”.
Anche i bambini accusati o
sospetti di aver commesso
reati sono protetti dalla
Legge. La Legge proibisce la
pubblicazione e la divulgazione dei nomi e di altri dettagli che permettano l’identificazione di minori accusati di crimini. La Legge dà
diritto ai minori arrestati o incriminati ad avere un avvocato.
I tribunali assistono il legislatore nella tutela dei diritti dei
minori. A volte i tribunali stessi stabiliscono norme di condotta
auspicabili nei confronti dei bambini.
Ordinamento giudiziario
I tribunali hanno promosso inoltre un cambiamento di attitudine
verso i bambini. Se in passato le delibere dei tribunali si riferivano ai bambini soltanto come a oggetto di tutela, oggi i tribunali
vedono i bambini come entità autonome con diritti propri. Di
seguito verranno menzionate alcune tra le leggi più innovative.
Divieto delle punizioni corporali come strumento educativo.
In un verdetto precedente la Corte Suprema aveva stabilito che
le punizioni corporali, anche se usate apparentemente a fini
educativi, costituiscono un metodo punitivo illegittimo e immorale.3 Il giudice Dorit Beinish, in una relazione di maggioran-
za dichiarò: “Il bambino non è di proprietà del genitore; egli
non deve essere usato come un sacco da pugile, anche se il
genitore crede sinceramente che, così facendo, adempia al
suo dovere e al suo diritto di educare il suo bambino. Il bambino dipende dal genitore, necessita del suo amore, della sua
protezione e del suo tocco delicato. L’uso di punizioni che sono
causa di dolore e umiliazione viola i suoi diritti di essere
umano. Viola il suo corpo, i suoi sentimenti, la sua dignità e il
normale corso del suo sviluppo”.4
Diritto del minore ad avere un rappresentante diverso
presso il tribunale della famiglia
Il tribunale ha ritenuto inoltre che in alcune circostanze, quando i genitori agiscono secondo i propri interessi, il minore ha
diritto ad essere rappresentato diversamente. Se il bambino ha
meno di 15 anni, avrà il
diritto di nominare un
tutore ad litem, allo scopo
di rappresentare i suoi
interessi davanti alla
Corte. Dai 15 anni in poi
ha il diritto ad un avvocato, che rappresenterà la
posizione e le richieste
del bambino. In questo
modo la Corte riconosce
gli interessi e i diritti dei
bambini, diversi da quelli
dei genitori.
Il diritto alle cure genitoriali
La Corte Suprema ha stabilito inoltre che i doveri dei genitori
nei confronti dei figli non sono solo di natura economica, ma
comprendono l’obbligo a fornire supporto e cure genitoriali. In
questo caso un genitore assenteista che ignora un figlio nato
da un matrimonio precedente, è stato ritenuto responsabile di
danni emotivi causati al bambino.5 Questo fu il primo decreto
di questo tipo in Israele e forse nel mondo.
I diritti al benessere del bambino in Israele si manifestano
anche nel sistema di assistenza speciale per i bambini, in particolare nel campo della salute, dell’educazione e del welfare.
Assistenza ai bambini
Israele ha un sistema sanitario e medico per i bambini molto
avanzato. Tutti gli ospedali hanno dei reparti pedriatici di altissimo livello, ed esistono alcuni ospedali specializzati in pediatria. Il governo gestisce degli ambulatori per mamme e bimbi
(Tipat Halav). Questi ambulatori sono attivi in tutte le zone del
paese come parte del servizio sanitario pubblico, fornendo
31
assistenza sanitaria durante la gravidanza e, in seguito, al
bambino. Il successo di questo progetto risulta chiaro dal fatto
che il 91-96% di tutta la popolazione è vaccinato.6
Inoltre i bambini hanno diritto sin dalla nascita a cure mediche
gratuite. Il tasso di mortalità infantile in Israele è più basso o
pari a quello degli altri paesi sviluppati (come la Gran Bretagna
o l’Australia).7 Il successo che il sistema sanitario israeliano
ha avuto nell’abbassare il tasso di mortalità infantile è direttamente connesso ai servizi sanitari pubblici. Anche se esiste
una differenza del tasso di mortalità infantile tra i vari settori
della popolazione, questo è comunque relativamente basso e
sta diminuendo negli anni.
Il sistema educativo israeliano è degno di nota, in quanto fornisce istruzione pubblica e gratuita ai bambini tra i 5 e i 18
anni. Per di più ogni Comune ha un suo dipartimento per il
welfare, provvisto di unità speciali per la salvaguardia dei
minori, formate da assistenti sociali specializzati nella loro
tutela.
Importanti sviluppi hanno caratterizzato l’ultimo decennio
nella cura dei bambini ad alto rischio, come l’istituzione di
appositi alloggi di emergenza.
Degne di nota per il loro contributo innovativo nella cura di
bambini vittime di abusi sono alcune organizzazioni di volontari come ELI (l’Organizzazione per la protezione dei bambini)
e MEITAL (il Centro israeliano per la cura di bambini e ragazzi
che hanno subito abusi sessuali).
Conclusioni
Malgrado la costante minaccia del terrorismo, la disparità tra
i differenti settori della popolazione infantile, i numerosi bambini che vivono al di sotto della soglia di povertà, i tagli alla
sanità, all’istruzione e ai servizi del welfare, l’aumento della
violenza tra i giovani israeliani e la difficile situazione dei bambini palestinesi, i minori in Israele, nel breve periodo dell’esistenza dello Stato, hanno avuto prova di molte conquiste nel
riconoscimento dei loro diritti e la tutela del loro benessere.
Israele è uno stato giovane che sta ancora affrontando problemi esistenziali sul piano della sicurezza e sul piano economico. Per di più è una società multiculturale che continua ad
assorbire immigranti da tutto il mondo. Tutti questi fattori contribuiscono alla difficile sfida di promuovere i diritti dei bambini.
Rimane ancora molto lavoro da fare, per essere degni dei
nostri bambini, ma le fondamenta sono state gettate e molto
è stato fatto per i bambini in Israele e per i loro diritti.
32
1 Janusz Korczak (Polonia 1878-1942) è noto come uno dei più grandi educatori del XX secolo, uno dei primi difensori dei diritti dei bambini.
L’indimenticabile immagine di questo grande psicologo che marcia a fianco
dei bambini del suo orfanotrofio, mentre salgono sui carri bestiame diretti
verso la morte nel campo di sterminio di Treblinca, è una delle più ricorrenti
dell’Olocausto. Egli rifiutò l’offerta di salvezza e volle accompagnare i piccoli
che aveva sotto tutela nei campi della morte, dove presumibilmente morì.
2 Aharon Barak , Interpretation of Constitutionality, pag. 435 (vol. 3, Nevo
Press)
3 Caso penale 511/95 Stato d’Israele contro Jane Doe, 97 (3) Takdin District Ct.
1898.
4 Id. Sezione 29 del verdetto.
5 Appello civile 2034/98 Amin contro Amin, 56 Corte suprema (Dinim Elyon),
961.
6 “Children in Israel” (Pubblicato dal Consiglio per il bambino 2003) tavola 8.7.
7 Ibid. tavola 15C.
Iniziative e innovazioni tra le ONG per l’infanzia
In Israele dozzine di organizzazioni volontarie si occupano dei vari aspetti dei diritti dei minori. Queste organizzazioni sono per natura creative,
innovative e flessibili nei loro metodi, reagendo velocemente alle realtà
in continuo cambiamento. Molte di queste forniscono a tutti i bambini e
in particolare alle vittime di abusi, assistenza terapeutica, sanitaria, educativa e di welfare. Queste organizzazioni hanno il ruolo più importante e
a volte sono le uniche a proteggere i diritti dei bambini in Israele.
La prima e attualmente la maggiore organizzazione non governativa in
Israele è il Consiglio Nazionale per il bambino (NCC), che opera a beneficio di tutti i bambini in Israele, senza limiti geografici, religiosi o economici. Il NCC opera come organizzazione di sostegno, fornendo assistenza educativa, informativa e legale in tutte le aree, compreso il welfare del
bambino. Il NCC dà vita a progetti innovativi, gestisce centri speciali per
l’educazione pubblica, un centro di ricerca per la raccolta e la diffusione
di dati e la definizione della linea di condotta. Inoltre il NCC gestisce un
centro legale che si concentra sull’introduzione e la promozione della
legislazione minorile, fornendo pareri legali e consulenze a bambini, professionisti e gente comune. Il NCC lavora in generale per il miglioramento della situazione dei minori in Israele e in particolare per i bambini ad
alto rischio, promuovendo il loro benessere e proteggendoli dai pericoli.
Tra i progetti innovativi attuati dal NCC c’è il difensore civico per bambini e giovani, un corpo indipendente che, quando fu istituito nel 1990,
era il primo nel suo genere nel mondo. Riceve annualmente circa 10.000
denunce e richieste di aiuto dal pubblico generale e in particolare da
bambini. Il difensore civico fornisce assistenza speciale nella loro lingua
a popolazioni particolari, come agli arabi e ai piccoli immigranti.
Il rapporto statistico annuale sullo stato del bambino in Israele, pubblicato dal Consiglio, contiene migliaia di statistiche e costituisce la pubblicazione più eusariente nel suo genere. Il NCC gestisce anche un programma di assistenza per bambini vittime di crimini. Questi bambini, in
particolare coloro che sono stati oggetto di reati violenti o a sfondo sessuale, vengono aiutati a gestire l’ansia di affrontare il sistema legale da
un assistente, che segue il bambino e la famiglia per tutta la durata del
processo.
L’unità mobile per i diritti dell’infanzia è un programma educativo che
fa uso di attività sperimentali, per informare annualmente decine di
migliaia di bambini delle scuole elementari sulle loro responsabilità e sui
loro diritti, insegnando loro ad affrontare la violazione di questi.
Il Dott. Itzhak Kadman è il direttore e il fondatore del Consiglio nazionale per il bambino; l’avvocato Vered Windman è consulente legale
aggiunto del Consiglio nazionale per il bambino.
Welfare e diritti socio-economici in
Israele
Yoram Rabin
I pionieri dello Stato d’Israele, all’inizio degli anni ’20, prendevano spunto dalla rivoluzione russa del 1917 e vedevano il mondo
attraverso il prisma di una prospettiva socio-nazionalistica (o
socio-sionista). L’eroe di questo movimento pionieristico era la
figura del nuovo “lavoratore ebreo”, immigrato in Israele per
lavorare la terra e vivere una vita libera e orgogliosa, fondata sui
principi ebraici di lavoro, libertà, uguaglianza e cooperazione
reciproca. Di conseguenza i partiti dei lavoratori, che governavano l’insediamento ebraico prima e dopo la fondazione dello stato,
fondarono e sostennero varie imprese socialiste, come i kibbutzim (le comuni di lavoratori), insediamenti di cooperative e sindacati dei lavoratori.
La cultura del lavoro e
della costruzione esisteva
anche relativamente all’edificazione di città e centri
abitati (come Tel Aviv, fondata nel 1909) e alla fondazione e lo sviluppo dell’industria. In queste aree,
tuttavia, era ben visibile
anche una forte ispirazione liberal-democratica.
In coerenza con questa
visione pratica, negli anni
immediatamente successivi all’indipendenza Israele si mantenne strettamente legata a quelli che erano, per la
maggior parte, valori socialisti. La Knesset appena formata
emanò varie leggi di carattere sociale, come, per esempio, la
Legge per l’istruzione obbligatoria del 1949, che garantì a tutti
i cittadini e residenti d’Israele il diritto a un’istruzione gratuita fino
al dodicesimo grado, e istruzione obbligatoria fino al decimo
grado, all’interno del sistema della scuola pubblica.
Il primo Ministro dell’Istruzione, Zalman Shazar, che in seguito
sarebbe divenuto il terzo Presidente d’Israele, si rivolse alla
Knesset in maniera eloquente in merito a tale legge:
“In realtà il Governo sta introducendo una legge che è, nel principio, già attuata in Israele. La maggioranza delle località in
Israele è già abituata all’istruzione obbligatoria, nonostante l’assenza di qualsiasi legge al riguardo. Non abbiamo ancora iniziato a considerare come lo stato possa risolvere le nostre questioni esistenziali, e già le statistiche ci indicano che il 90% dei nostri
figli frequenta le scuole. Ritengo che una situazione del genere
sia molto rara, vale a dire, che una nazione possa dire di sé stessa che il 90% dei suoi figli e figlie frequenta la scuola senza alcuna legge per l’istruzione obbligatoria che lo costringa a stare lì.”
Altre leggi emanate durante quel periodo includevano:
la Legge sulle ore di lavoro e di riposo, del 1951, che stabilisce il tetto massimo di ore e giorni di una settimana lavorativa, il
diritto a una retribuzione per le ore di straordinario, e delle pause
autorizzate durante la giornata di lavoro;
la Legge dei giorni di assenza annua, del 1951, che garantisce
ai lavoratori la retribuzione dei giorni di ferie;
la Legge per l’impiego della donna, del 1953, che garantisce
un trattamento giusto ed equo per le donne sul posto di lavoro,
inclusi i diritti e i benefici per la gravidanza e la maternità;
la Legge dell’Assicurazione Nazionale, del 1953, che offre un
paniere standardizzato di servizi sanitari, inclusa l’ospedalizzazione per tutti i residenti di Israele.
La legislazione israeliana iniziale in materia di welfare fu seguita
da una seconda serie di leggi in materia sociale negli anni ’80,
nonostante il fatto che il modello del welfare socialista fosse
messo in discussione in Israele e in tutto il mondo. Tra le varie
norme promulgate vi sono:
un emendamento alla Legge sull’Assicurazione Nazionale, comunemente noto come Legge dell’Assistenza Infermieristica, del
1986, che prevede assistenza a lungo termine, sia in abitazione
privata sia in comunità, per tutti gli anziani divenuti dipendenti
dall’aiuto di altri per lo svolgimento delle attività quotidiane,
ovviando quindi alla necessità di assistenza domiciliare;
la Legge per Istruzione Particolare, del 1988, che dà diritto a
bambini con esigenze d’apprendimento particolari a un’istruzione gratuita, per una fascia di età compresa fra i tre e i ventuno
anni;
la Legge per Cittadini di Vecchia Data, del 1989, che conferisce ai cittadini israeliani di vecchia data numerosi diritti e benefici;
la Legge per la Giornata Scolastica Prolungata, del 1990,
sostituita poi dalla Legge per la Giornata Scolastica e gli Studi
di Arricchimento, del 1997, che prevede una giornata scolastica più lunga rispetto alle cinque o sei ore al giorno standard;
la Legge per l’Assicurazione Sanitaria Nazionale, del 1994,
considerata il “diadema della corona” della riforma del welfare,
che prevede assistenza medica gratuita in base a un predefinito
“paniere sanitario”;
la Legge per la Parità di Diritti per le Persone Portatrici di
Handicap, del 1998, che tutela la dignità e la libertà di individui
portatori di handicap fisici o mentali, e assicura la loro equa e
attiva partecipazione in tutte le aree della vita, inclusa quella professionale;
la Legge delle Case Pubbliche (diritti di acquisto), del 1998,
che garantisce agli affittuari di case pubbliche il diritto di acquistare i loro appartamenti a prezzi ridotti mediante sovvenzioni o
sussidi;
la Legge degli Affittuari di Case Pubbliche, del 1998, che riconosce il diritto di un affittuario a quote di affitto ragionevoli e alla
continuazione del rapporto di locazione da parte dei familiari in
caso di decesso o di ricovero dell’affittuario iniziale.
Negli anni recenti è stato emanato un numero di nuove leggi di
carattere sociale, come, per esempio:
la Legge per Bambini ad Alto Rischio (Diritto ad Assistenza
Quotidiana) del 2000 e la Legge per l’Istruzione Gratuita per
Bambini Malati del 2001.
Come testimoniato dall’estensione e dall’ampiezza delle leggi
emanate in materia sociale, Israele non ha trascurato la visione
ebraico-sionista di uno stato sociale moderno, nonostante le
33
sempre più pressanti preoccupazioni di bilancio (come, per
esempio, per la sicurezza) e un allontanamento ideologico dall’ethos socialista originario dei fondatori. A causa della recente
recessione globale, avvertita anche in Israele, la legislazione in
materia sociale ha dovuto competere con l’obiettivo di ridurre il
bilancio dello stato, perseguito dal governo, e di minimizzare l’ingerenza del governo nel mercato libero. Comprensibilmente il
mantenimento di uno stato sociale moderno richiede uno sforzo
considerevole all’economia israeliana.
La bozza di Costituzione sottoposta al primo Governo, un anno
dopo la fondazione dello stato, conteneva un’ampia lista di diritti
sociali. Tuttavia, nel 1950, la Knesset decise di rinviare l’adozione di una Costituzione formale e decise per una promulgazione
graduale di alcune Leggi Fondamentali, che un giorno sarebbero
state incorporate in una Costituzione finale.
Le prime leggi fondamentali per stabilire dei diritti sociali furono
adottate nel 1992, in forma di Legge Fondamentale: Dignità
Umana e Libertà e di Legge Fondamentale: Libertà di Impiego
e Occupazione, che furono salutate come una “rivoluzione costituzionale” dal Presidente della Corte Suprema Aharon Barak. I
diritti umani furono pertanto stabiliti per diritto supremo (che fa
decadere le regolari legislazioni), e la legislazione della Knesset
divenne soggetta a revisioni giuridiche.
Queste Leggi Fondamentali diedero voce alla classica serie di
diritti fondamentali, quali il diritto alla dignità, il diritto alla libertà,
il diritto alla riservatezza e alla privacy, il diritto di proprietà, il diritto di uscire dal paese e il diritto di svolgere liberamente commerci e professioni. Sebbene mancasse una Legge Fondamentale che
trattasse espressamente della questione dei diritti socio-economici, la Corte Suprema ha reputato che il “diritto a un minimo standard di vita” deriva direttamente dal diritto alla dignità umana.
Così come ha dichiarato il Presidente della Corte Suprema:
“La dignità umana comprende in maniera inerente… la garanzia
di un minimo tenore di vita. Una persona che vive per strada e
senza casa è una persona la cui dignità è stata intaccata; una
persona affamata è una persona la cui dignità è andata perduta;
una persona che non ha accesso alle cure mediche più elementari è una persona la cui dignità è stata danneggiata; una persona forzata a vivere in condizioni gravemente umilianti è una persona la cui dignità è stata violentata”1.
tenza si basa su varie fonti: le varie legislazioni in materia di
istruzione, la messa a fuoco sull’educazione e l’istruzione in
Israele e nella tradizione ebraica, il diritto internazionale che assicura il diritto all’istruzione e altri diritti sociali (con la Convenzione
ONU del 1966 sui diritti economici, sociali e culturali, che Israele
ha ratificato nel 1991).
Nonostante il ritardo nell’adozione di una Costituzione e l’esistenza di interessi contrapposti, la Corte Suprema ha compiuto sforzi enormi per tutelare i poveri. Così come ha dichiarato il Giudice
Yitzhak Shamir:
“Non si dovrebbe dichiarare che il compito del governo è di tutelare i diritti umani, punto e basta. In effetti esso è sì un compito
supremo, tuttavia, è soltanto uno dei compiti. Bisognerebbe
anche dichiarare, tutto d’un fiato, che un ulteriore compito è
quello di promuovere lo stato sociale di tutti gli esseri umani. Un
altro compito è quello di creare giustizia sociale. Giustizia per
tutti. I diritti umani non dovrebbero offuscare lo stato sociale e la
giustizia sociale. I diritti umani non possono essere al servizio
solo dell’uomo sazio e appagato. Ogni uomo dovrebbe essere
sazio e appagato, in modo tale da poter godere in pratica, e non
solo a parole, dei diritti umani.”3
1 Gamzu contro Yeshayahu, 55(3) P.D. 360.
2 Bambini di “Yated” con sindrome di Down contro Ministero dell’Istruzione,
56(v) P.D. 843.
3 Contram contro Ministero delle Finanze, Dogana e IVA 52(i) P.D. 289.
Reparto nascite premature al Wolfson Hospital di Holon
Alcune Leggi Fondamentali sono ancora in fase di formazione, e
le leggi relative a istruzione, salute, e diritto di domicilio devono
essere incorporate nella Legge Fondamentale: Diritti Sociali,
che si trova sotto esame presso le camere legislative della
Knesset.
Finché non sarà passata la Legge Fondamentale: Diritti
Sociali, la Corte Suprema si è assunta il dovere di preservare e
garantire questi diritti, e, in effetti, molti casi affrontati dalla Corte
Suprema hanno sostenuto e rafforzato tale protezione. Per esempio, in un caso molto noto, il Giudice Dalia Dorner sostenne che
vi è un diritto fondamentale all’istruzione in Israele.2 Questa sen-
34
Donne al Day Center nel villaggio di Shlomi
Il Dott. Yoram Rabin è professore di legge e autore di tre libri sui
diritti costituzionali in Israele. Il suo libro più recente, scritto a
quattro mani con il Dott. Yuval Shany, è Economic, Social &
Cultural Rights in Israel (Tel Aviv, 2004).
L’Indice di Democrazia
Asher Arian
L’essenza democratica di Israele in mezzo ad altri paesi occidentali è sottoposta a continuo e attento esame, alla luce delle
condizioni uniche e provanti sotto le quali esso si trova. Gran
parte di questa attenzione giunge da Israele stesso, che è
impegnato a mantenere i più alti standard internazionali fissati dagli altri sistemi democratici. Due delle sfide maggiori al
suo impegno per aderire a tali standard sono le questioni della
sicurezza e la natura sfaccettata della sua società. Israele è
una delle pochissime democrazie riconosciute che affrontano
costantemente la sfida di minoranze nazionaliste, gruppi etnici e varie fazioni religiose.
colloca sesto fra trentacinque paesi relativamente al
proprio sistema di checks &
balances. Nonostante il calo
della partecipazione al voto
negli ultimi anni, gli israeliani
risultano partecipare ai processi elettorali in numero
abbastanza alto, se confrontato con quello di altri paesi
democratici.
Il rispetto dei diritti sociali e dell’uguaglianza in Israele è simile
a quello di Stati Uniti e Inghilterra
Molti cittadini israeliani sono emigrati da o hanno legami personali con paesi democratici. Mentre i vicini prossimi di Israele
sono dei regimi autoritari o totalitari, la maggioranza degli
israeliani si identifica con la cultura e le norme dell’Occidente.
I successi conseguiti da Israele nel campo della scienza, della
tecnologia, dello sport e in altri campi sono la chiara dimostrazione del fatto che Israele si colloca ai primi posti accanto agli
stati democratici meglio fondati, stabili e democratici del
mondo. Stabilire se Israele riesce con successo ad attuare gli
ideali democratici fondamentali nel suo ambito circostante, e
se l’opinione pubblica ritiene che tali ideali siano conseguiti in
maniera giusta ed equa, è l’oggetto dell’ “Indice di
Democrazia”, uno studio comparativo svolto per iniziativa del
Gutman Center presso l’Israel Democracy Institute.
A causa dei problemi di sicurezza e della sfida di carattere
unico e particolare che esso è costretto a fronteggiare in merito, Israele si colloca nel secondo gruppo di paesi su tre, relativamente a diritti sociali e uguaglianza (assieme a paesi come
Stati Uniti e Inghilterra) e a questioni relative a integrazione tra
attività militare e politica. In campi non correlati a materie
sociali o alla sicurezza, come, per esempio, il campo economico o quello della parità tra sessi, Israele si colloca nel primo su
tre gruppi di paesi (per esempio, Israele si colloca al fianco di
Inghilterra, Spagna, Argentina, Irlanda e Stati Uniti, nel campo
della valorizzazione e affermazione dei sessi). Nelle categorie
dei diritti umani, della parità di diritti per le minoranze, e della
libertà di stampa, Israele non si colloca in posizioni molto alte.
In queste categorie Israele è in linea con altre democrazie
Israele si colloca all’interno del primo terzo tra altri paesi occidentali,
nel campo della valorizzazione dei sessi e della libertà economica
L’Indice misura vari elementi e aspetti democratici in Israele
rispetto a un numero di indicatori principali internazionalmente accettati, che caratterizzano una democrazia in termini di
aspetto rappresentativo e per le norme e i valori che accompagnano questo tipo di sistema politico. L’Indice colloca le caratteristiche democratiche d’Israele rispetto a quelle di altre 35
democrazie, e anche la sua posizione tra l’opinione pubblica.
Nello studio, Israele si piazza favorevolmente in ordine agli
aspetti istituzionali propri della democrazia, per i quali si colloca tra paesi come Danimarca, Olanda e Finlandia. Questi
aspetti includono rappresentanza, partecipazione, livello della
corruzione percepita e checks & balances.1 Israele ottiene
degli ottimi voti anche nel campo della rappresentanza e si
nella protezione di questi valori, ma viene meno nel raggiungere l’alto standard che esso si è prefissato. L’indice ha inoltre rilevato un più alto indice di avvicendamento nel governo
israeliano rispetto ad altri sistemi democratici.
D’altro canto Israele si è ben dimostrato capace di preservare
il proprio carattere democratico anche trovandosi sotto fuoco.
A causa della vita sotto quasi costante pressione, paura e continue minacce e atti di violenza, la democrazia israeliana si è
evoluta in maniera tale da poter rimanere intatta in condizioni
quasi impossibili. Nonostante gli attacchi fisici e di altro genere contro lo stato, che ne mettono alla prova la natura democratica, Israele rimane impegnato nel conseguimento dei più
alti standard di coinvolgimento democratico. Il successo
35
Israele si colloca sesto fra trentacinque paesi relativamente
al proprio sistema di checks & balances
d’Israele è basato sull’impegno dei suoi leader e dei suoi cittadini nel preservare un sistema di vita democratico, e sul suo
sforzo di aderire a quei valori e a quelle idee che caratterizzano la vita in una società democratica.
L’Indice misura anche la percezione, da parte degli israeliani,
del carattere democratico dello stato, e la loro soddisfazione
relativamente ad esso. Il fatto che l’ultimo studio condotto ha
rilevato un calo del grado di soddisfazione in questo campo
può essere visto come l’indicazione di un desiderio, da parte
del pubblico, di una democrazia più progressista e pienamente sviluppata. A tal proposito, Ia collocazione di Israele relativamente al grado di soddisfazione del pubblico per la qualità
della democrazia è al fianco di quella di Spagna, Svezia,
Bulgaria e Polonia.
L’aumento di sensibilità, da parte della società israeliana, per
aspetti sostanziali della democrazia, quali uguaglianza e giustizia sociale, libertà degli individui, diritti umani e libertà di
espressione, può essere preso come segno del fatto che l’atteggiamento israeliano verso queste libertà si sta facendo più
affinato e aiuta a delineare il modo in cui la società percepisce il livello di democrazia nel paese. Questa tendenza può
essere vista nella crescente attenzione e preoccupazione
espressa dall’opinione pubblica riguardo alla condizione delle
minoranze, in particolare del settore arabo, e degli elementi
più deboli della società. Gli intervistati hanno espresso maggiore preoccupazione che negli studi precedentemente condotti, non soltanto rispetto alla condizione della minoranza
araba, ma anche sulle disparità sociali ed economiche tra vari
gruppi e classi sociali nella popolazione in generale.
Un sondaggio di opinione pubblica è stato condotto anche tra
la popolazione più giovane, in parte, anche per avere una percezione di ciò che ci si potrà aspettare dalla prossima generazione. In maniera incoraggiante lo studio ha rivelato che la
gioventù israeliana è più propensa a considerarsi soddisfatta
rispetto alla popolazione adulta, relativamente alle istituzioni
politiche della nazione e al funzionamento della democrazia in
Israele. La generazione più giovane mostra anche una maggiore attenzione per le libertà e per le tendenze antidemocratiche, come, per esempio, restrizioni della libertà di espressione. Di conseguenza la democrazia sembra che sia vista sempre più come un sistema di vita intrinseco apprezzato e prezioso per Israele, e pertanto da salvaguardare nel futuro.
Il prof. Asher Arian è un autorevole membro dell’Israel Democracy Institute di Gerusalemme e Direttore del Progetto Opinione
Pubblica e Politica di Sicurezza Nazionale al Jaffa Center per Studi Strategici dell’Università di Tel Aviv. Egli è inoltre un eminente
professore alla City University del New York Graduate Center e professore di Scienze Politiche all’Università di Haifa. È inoltre autore di vari libri su politica e democrazia.
L’Israel Democracy Institute è un istituto di ricerca indipendente e imparziale fondato con il proposito di assistere e rinforzare le
istituzioni democratiche d’Israele e di formarne i valori, che si trovano ancora in uno stadio di conformazione.
1 Sistema di restrizioni ed equilibri adottati da un governo per
controllare il potere dei propri organi.
36
La democrazia israeliana
in tempi di guerra
Yuval Karniel
“Nei periodi di cambiamenti e di pericolo, quando l’uso della
ragione umana è risucchiato dalla paura, il senso di continuità
con le generazioni precedenti è come una corda di salvataggio
tesa sullo spaventoso presente”. John Dos Passos
“Le nazioni democratiche devono portare avanti la battaglia
contro il terrorismo con il giusto equilibrio tra due valori e principi contrastanti. Da una parte vanno presi in considerazione i
valori e i principi connessi alla sicurezza dello stato e dei suoi
cittadini. I diritti umani non possono essere motivo della distruzione di una nazione; non possono giustificare la compromissione della sicurezza nazionale in ogni caso e in ogni circostanza.
Allo stesso modo, la costituzione non è un ordine di suicidio
nazionale. Ma dall’altra parte, dobbiamo considerare i valori e i
principi relativi alla dignità umana e la libertà. La sicurezza
nazionale non giustifica la compromissione dei diritti umani in
ogni caso e in ogni circostanza. La sicurezza nazionale non concede una licenza illimitata per recare danno agli individui”.1
La condotta tradizionale in tempi di guerra non è efficace nel
combattere il terrorismo. Le società democratiche odierne sono
sfidate dalla minaccia terroristica, che mira ad attaccare la
democrazia stessa. Affrontare questo tipo di minaccia in modo
veloce e risoluto, senza compromettere i valori democratici,
costituisce un compito eccezionale affrontato da queste nazioni.
La scena di un attentato terroristico su un bus di linea israeliano
Ogni paese lotta, nei limiti della sua identità culturale e politica,
per trovare la giusta soluzione a questo problema. Israele non è
estraneo a questo dilemma.
Come stato impegnato a proteggere i valori relativi alla libertà
individuale e alla dignità umana, Israele è costretto a rispondere agli attacchi sferrati dalle attività terroristiche, dalla violenza
e dalla propaganda in conformità alle regole della legge democratica. La Corte Suprema in Israele ha avuto un ruolo essenziale nella lotta per il mantenimento dei principi democratici del
paese. Nelle parole del Presidente della Corte suprema, il
Giudice Barak, “La lotta contro il terrorismo deve avvenire ‘dentro’ la legge, e mediante mezzi ritenuti legittimamente appropriati per uno stato democratico”.
Spesso in Israele la Corte difende posizioni contrarie alle opinioni di personaggi pubblici e politici.
Proprio a causa della particolare condizione di reale democrazia
in Medio oriente e del fatto che l’ondata di terrorismo continua
a mettere in pericolo l’esistenza d’Israele, devono essere presi
provvedimenti veloci e risoluti dalle istituzioni preposte alla sicurezza, per proteggere il pubblico israeliano e per prevenire ulteriori attacchi. Qualche volta i mezzi di difesa entrano in conflitto
con i diritti individuali di coloro che sono coinvolti nel terrorismo.
Il giudice Barak riconosce questo problema e dichiara: “Mentre
il terrorismo costituisce una questione complicata per ogni
paese, risulta essere invece un problema più che mai complesso per paesi democratici, perchè non tutti gli strumenti efficaci
sono legali”. Riguardo a questo dilemma il Giudice Barak ha
notato che: “Uno dei pilastri della democrazia, il governo del
popolo attraveso i rappresentanti da lui eletti,
induce a prendere tutti i provvedimenti efficaci
per combattere il terrorismo, anche se si rivelano dannosi per diritti umani... l’altro pilastro
della democrazia, i diritti umani, induce a a proteggere i diritti di ogni individuo, compresi i terroristi, anche a costo di mettere a rischio la
guerra contro il terrorismo”.
Dall’inizio della campagna terroristica dell’Intifada nell’ottobre del 2000, Israele non si è confrontato solo con le attività terroristiche sotto
forma di violenza fisica contro i cittadini, ma si
è trovato anche a combattere contro una guerra mediatica per la conquista dell’opinione pubblica sul fronte nazionale e internazionale.
Entrambe queste forme di attacco costituiscono
una grande sfida per Israele, in quanto stato
impegnato a proteggere i valori e le libertà
democratiche individuali.
Tuttavia la fermezza di Israele a mantenersi fedele ai principi
democratici può essere rintracciata nelle sue reazioni ai tentativi di limitare uno dei principi fondamentali della democrazia, la
libertà di espressione. In questo campo Israele ha istituito un
37
metodo secondo il quale una democrazia può affrontare un conflitto nazionale e allo stesso tempo difendere le tradizioni della
democrazia in generale, e in paricolare la libertà di parola.
La libertà di espressione è uno dei principi più preziosi per la
democrazia israeliana. Nel 1953 la Corte Suprema israeliana,
nonostante mancasse una regolare costituzione scritta, riconobbe che la libertà di espressione costituisce un “diritto supremo”
derivante dall’esistenza dello stato d’Israele come entità democratica.
La convinzione della natura suprema della libertà di espressione in Israele è sempre stata legata al riconoscimento del fatto
che la libertà di parola è uno strumento necessario ed essenziale all’esistenza di una democrazia e importante per la ricerca e
il chiarimento della verità attraverso “lo scambio delle libere
idee”. Tuttavia a bilanciare questo diritto c’è il diritto di uno stato
a proteggere i propri
cittadini. Come in tutte
le altre nazioni democratiche, quando queste vengono esposte al
confronto tra questi
due diritti, il diritto alla
libertà di espressione
deve essere attentamente bilanciato con
gli affari relativi alla
sicurezza nazionale.
Nel 1953, pochi anni
dopo che lo Stato
d’Israele aveva finito di
combattere la Guerra
d’Indipendenza contro Giudici della Corte Suprema in sessione
l’invasione araba, la
Corte Suprema emanò un importante decreto che sosteneva
che il governo non potesse interrompere l’attività di un giornale
arabo che criticava lo stato, anche se queste critiche erano ritenute dannose. La Corte, basandosi in parte sulla giurisprudenza
americana, sosteneva che la libertà di espressione dovesse
essere rispettata in ogni circostanza, ad eccezione di alcune
situazioni nelle quali c’è la quasi certezza di un grave rischio di
recare seri danni alla sicurezza della nazione o all’ordine pubblico. In assenza di un pericolo “chiaro e presente”, la libertà di
espressione non può essere limitata.2
La campagna terroristica dell’Intifada, sin dalla fine del 2000,
caratterizzata da esplosioni, operate da suicidi, contro civili
israeliani, ha dato origine a una situazione dove l’impegno
d’Israele a garantire le condizioni per una libera espressione era
compromesso da affari relativi alla sicurezza.
Per esempio, un regista di documentari, Mohammed Bakri,
intervistò dei palestinesi nel campo profughi di Jenin, sulla battaglia che ebbe luogo nell’aprile 2002, nel corso della quale 23
soldati israeliani e 52 palestinesi furono uccisi. Il film descriveva solo la versione palestinese dei fatti, non offrendo la corrispondente versione degli israeliani che erano altrettanto presenti ai fatti.
Il film fu sottoposto all’approvazione del consiglio direttivo
dell’Autorità Israeliana per la Censura dei Film, come stabilito
dall’ ordinanza sui film cinematografici del 1927. Il consiglio, in
una rara decisione di maggioranza di otto contro tre, proibì la
proiezione del film, sostenendo che distorceva gli eventi accaduti, costituiva un atto di propaganda contro lo Stato, sconfinando nell’incitamento e che avrebbe minato la natura democratica d’Israele. Un appello fu presentato davanti alla Corte
suprema nel ruolo di Alta Corte di Giustizia.
L’Alta
Corte
di
Giustizia
accordò
l’appello e girò la
decisione al consiglio
direttivo dell’Autorità
Israeliana per la
Censura dei Film.
Mentre l’Alta Corte di
Giustizia era d’accordo sul fatto che il film
offendeva la sensibilità di molte persone
del pubblico israeliano, specialmente la
sensibilità dei soldati
che avevano combattuto e delle famiglie
dei caduti, constatò che il danno recato alla sensibilità, malgrado le sue dimensioni, era il prezzo che Israele doveva pagare
per il diritto alla libertà di espressione.3
Nel gennaio 2003 in Israele si tennero le elezioni nazionali per
la Knesset. Anche i partiti arabi, composti da cittadini israeliani,
hanno organizzato la loro campagna elettorale per la Knesset.
Come parte della campagna, due partiti arabi esibivano, nel
corso delle trasmissioni elettorali, la bandiera palestinese, simbolo dell’identificazione con l’Organizzazione per la liberazione
della Palestina (OLP). Il presidente del Consiglio centrale per le
elezioni della XVI Knesset, un giudice della Corte suprema,
Michael Cheshin, censurò le trasmissioni, sostenendo che le
elezioni si tenevano per il parlamento israeliano e che Israele
“era coinvolto in un’amara e brutta guerra” con l’OLP.
Fu presentato un appello all’Alta Corte di Giustizia
38
dall’Associazione per i diritti dei cittadini in Israele (ACRI). La
corte confermò l’importanza della libertà d’espressione nel
corso delle trasmissioni elettorali come parte integrante del processo democratico che consiste nel diritto di eleggere ed essere eletti al parlamento. La corte concesse l’appello e sostenne
che le trasmissioni dovevano essere mostrate integralmente.4
In entrambi i casi, come in altre istanze simili, la Corte Suprema
israeliana, si mostrò all’altezza della sfida nel proteggere il principio democratico della libertà d’espressione, mantenendo,
allo stesso tempo, la fiducia della gente nella
Legge. Le decisioni della
Corte riflettono l’opinione
secondo cui il diritto
supremo alla libertà d’espressione prevale sulle minacce ai sentimenti del pubblico e su un poteziale danno per la sicurezza. Va
notato che questa difesa (del diritto alla libera espressione) è
molto più liberale di quella offerta da altri paesi democratici che
affrontano situazioni simili.
rezza e non a interessi politici. Tuttavia, allo stesso tempo, la
Corte ha sottolineato che il tracciato debba tener conto delle
considerazioni umanitarie e che ci debba essere equilibrio tra i
due apsetti.5
Israele sta percorrendo la sua strada attraverso una realtà
estranea a gran parte delle nazioni democratiche. La lotta per
essere una democrazia
sotto attacco costante e in
un ambiente ostile ha un
prezzo e questo prezzo è a
spese del livello di tolleranza
del pubblico israeliano. Il
fatto che Israele sia riuscito
a conservare la sua natura
democratica attraverso questo percorso, testimonia il
suo forte impegno a rimanere tale.
Israele sta percorrendo la sua
strada attraverso una realtà
estranea a gran parte delle
nazioni democratiche
Come il Prof. Alan Dershowitz ha notato nel suo libro “The Case
for Israel” (2003): “Israele è una piccola democrazia in lotta per
la sua sopravvivenza, circondata da nemici ostili. Combatte una
guerra insidiosa contro i suoi nemici, sia all’interno che all’esterno dei suoi confini, e anche contro quelle nazioni e quei
gruppi ostili che cercano di delegittimarla agli occhi della comunità internazionale. Le sue azioni in difesa dei cittadini e del suo
essere una nazione, non sono state perfette nel corso degli
anni...lo stesso, anche peggio può essere detto di gran parte
delle altre democrazie”.
La misura nella quale Israele lotta per proteggere le libertà individuali, anche nei tempi di guerra, quando ha il diritto inalienabile a difendere sé stesso e i suoi cittadini dagli attacchi, dimostra il suo impegno a conservare un sistema giuridico democratico. Israele si confronta quotidianamente con questo tipo di
valutazioni. Questioni come la demolizione delle case dei terroristi, la detenzione amministrativa, e perfino l’interrogatorio di
sospetti terroristi, non sono esenti da limitazioni e controlli da
parte della legge.
Di conseguenza, subito dopo la petizione contro la legittimità del
tracciato di una barriera di sicurezza che avrebbe ridotto il
rischio dell’ingresso di terroristi in Israele per portare a termine
attacchi mortali, ma che allo stesso tempo sarebbe passata
attraverso i campi e i villaggi di molti palestinesi, la Corte suprema, in conformità alla legge internazionale e a quella israeliana,
ha stabilito che la costruzione della barriera è legata alla sicu-
“Ogni equilibrio tra sicurezza e libertà impone ad entrambe
alcune limitazioni. L’opportuno equilibrio non sarà raggiunto
quando solo i diritti umani saranno completamente tutelati o
solo quando non ci sarà più il terrorismo. Allo stesso modo, l’equilibrio non verrà raggiunto nemmeno solo quando la sicurezza nazionale garantirà una difesa totale, come se i diritti umani
non esistessero. L’equilibrio e il compromesso sono il prezzo
della democrazia. Solo una democrazia forte, sicura e stabile
può garantire e tutelare i diritti umani e soltanto una democrazia costruita sulle fondamenta dei diritti umani può essere sicura”. Giudice Aharon Barak.
1 Le citazioni del Presidente della Corte Suprema, Aharon Barak, sono
riportate dal suo articolo The Supreme Court 2001 Term: Foreword:
A Judge on Judging: The Role of a Supreme Court in Democracy, 116
(1) Harvard Law Review 16 (2002).
2 H.C. 73/53 Kol Haam ltd. contro il Ministro dell’Interno, 7 P.D. 871.
3 H.C. 316/03 Mohammed Bakri contro il consiglio direttivo dell’Autorità Israeliana per la Censura dei Film 58(i) P.D. 249.
4 H.C. 651/03 Associazione per i diritti dei cittadini in Israele contro il
presidente del Consiglio centrale per le elezioni della XVI Knesset, 57
(ii) P.D. 62.
5 H.C. 2056/04 consiglio del Beit Sourik Village contro il Governo d’israele, et al (30 giugno 2004).
Il Dott. Yuval Karniel, direttore di “Free People in
Our Land”, è un eminente avvocato delle comunicazioni in Israele ed è docente di giurisprudenza e comunicazioni. È autore di due libri sulla
legislazione dei media ed economica.
39
Israele – Democrazia in Medio Oriente
“Israele è divenuto, attraverso duro lavoro, ingegnosità e,
soprattutto, dedizione alla libertà e alla legalità, una democrazia
fiorente e svariata con un’economia pullulante, con dei media
critici e vivaci, una cultura artistica creativa e un impegno all’uguaglianza relativamente a sessi, orientamento sessuale e
razza. Altri paesi della regione, che dispongono di maggiori
risorse naturali e di somme equivalenti di aiuti stranieri, non
sono riusciti a tradurre tali vantaggi in benefici per la loro popolazione.” Alan Dershowitz in The Case For Israel (Wiley, 2003)
Per la maggior parte dei cinquantasei anni trascorsi dalla sua
fondazione lo Stato d’Israele è rimasto un’oasi di democrazia e
pluralismo in una regione ben nota per i suoi regimi autoritari.
Sebbene alcuni di questi regimi offrano svariati gradi di diritti ai
loro cittadini, nessuno di essi si avvicina ai valori e alle libertà
democratici di tipo occidentale, che caratterizzano la società
israeliana. Alcuni stati del Medio Oriente, come, per esempio
Siria e Iran, sono delle perfette dittature, note sia per
le loro repressioni all’interno, sia per il loro sostegno
al terrorismo all’esterno.
In numerosi paesi arabi e
in Iran le minoranze sono
represse. In pieno contrasto con ciò, le minoranze in
Israele godono per legge di
eguali diritti e dispongono
di una tutela giudiziaria cui
poter far ricorso per reclami e rimostranze. Queste
stesse minoranze sono
rappresentate alla Knesset israeliana.
Presso numerosi regimi arabi alle donne è vietato ricoprire incarichi politici o pubblici, ed esse non possono votare e, in molti
altri campi di attività, sono fortemente limitate. In Israele la realtà è opposta: le donne svolgono dei ruoli chiave in ogni aspetto
della vita d’Israele.
La nozione di una stampa libera, di una libera espressione delle
proprie vedute nonché della professione di diverse e svariate
idee e opinioni è tristemente inesistente in quasi tutti i paesi
arabi, come pure in Iran. Sebbene alcune nazioni arabe offrano
ai propri cittadini un limitato diritto di libera espressione, giornalisti ed editori sono continuamente imprigionati o puniti, per aver
pubblicato le proprie opinioni o per aver divulgato fatti e notizie
su un determinato regime. Di contro, Israele offre un contesto
aperto e vivace nel quale i mass media fioriscono e prosperano.
Recentemente dei venti di cambiamento hanno iniziato a soffiare in Medio Oriente. Paesi come Afghanistan e Iraq, in passato
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tristemente noti come bastioni di totalitarismo, stanno oggi iniziando a mostrare segnali di trasformazione in democrazie in
fasce, grazie agli sforzi degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali. Le elezioni tenutesi nell’Autorità Palestinese sono un incoraggiante segno di speranza per una svolta verso l’emergere di
una leadership moderata che sappia porre fine al terrorismo e
all’istigazione, e che intraprenda altresì le indispensabili riforme
dell’attuale sistema amministrativo palestinese.
Sebbene molti paesi arabi rimangano ostili all’idea di una nazione ebraica in mezzo a loro, la maggior parte dei paesi arabi si
sta gradualmente muovendo verso l’accettazione di Israele considerato come una reale entità politica e non come un semplice
paese anomalo e transitorio. L’atteggiamento delle nazioni
arabe nei confronti di Israele è migliorato nel corso degli anni.
Nonostante l’iniziale rifiuto di riconoscere l’esistenza legale
d’Israele, due vicini di quest’ultimo, Egitto e Giordania, hanno
firmato con esso dei trattati di pace, con un conseguente sviluppo di relazioni reciproche.
Un Medio Oriente privo di
tensioni di civiltà e barriere economiche potrebbe
gradualmente divenire un
obbiettivo realistico per la
regione nella misura in cui
i valori democratici prevalgano gradualmente
sempre più in società che
in passato erano chiuse.
Israele ha imparato ad
adattare l’ideale di democrazia alla sua società particolare ed è ottimista circa il fatto che
un graduale progresso verso una maggiore tolleranza, da parte
dei paesi del Medio Oriente, permetterà l’emergere di democrazie in quella regione, con la speranza che questi paesi si uniscano alla società delle nazioni, ponendo l’interesse e i diritti dei
propri cittadini in alto sulla scala dei valori nazionali.
Tutto ciò servirà anche la causa della pace.
Gerusalemme, 2005