Il lavoro di Andrea - Il sito di Cecilia Vetturini
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Il lavoro di Andrea - Il sito di Cecilia Vetturini
1 Non intendo cantare la gloria né invocare la grazia e il perdono di chi penso non fu altri che un uomo come Dio passato alla storia Ma inumano è pur sempre l’amore di chi rantola senza rancore perdonando con l’ultima voce chi lo uccide fra le braccia di una croce (Fabrizio De André) L'ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO IL DISCUSSO GESÙ DI MARTIN SCORSESE Analisi del testo filmico Percorso Didattico Problemi aperti Ricerca iconografica: Ponso Manuel Impaginazione, inserto a colori, copertina: Danzo Diana Stampa: Grafiche Simonato - Fara Vic.no 2 INDICE 1969-2004 Cineforum Idea: 35 anni al servizio della cultura cinematografica PREFAZIONE a cura di Dario Viganó INTRODUZIONE I LA “GENESI” DEL GESÙ DI SCORSESE: FONTI E MODELLI II RASSEGNA STAMPA III PROSSIMITÀ E DISTANZA DEL GESÙ DI SCORSESE DALLE OPERE DI PASOLINI E ROSSELLINI 1. Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini 2. Il Messia di Rossellini 3. Conclusioni IV L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO: ANALISI DEL TESTO 1. LA TRAMA 2. “ASPETTANDO IL SEGNO” (analisi di un segmento campione) 2.1. DESCRIZIONE DEL SEGMENTO CAMPIONE 2.2. LETTURA SEMIOTICA DEL SEGMENTO 2.2.1. Le parole e i dialoghi 2.2.2. Voci e suoni 2.2.3. Immagini, luci e colori 2.2.4. Inquadrature e movimenti di macchina 3. DAL SEGMENTO AL TESTO INTEGRALE: ANALISI DEFINITIVA 3.1. LA DIMENSIONE “ICONICA” (LO SPAZIO PITTORICO) 3.1.1. Il colore e la sua valenza simbolica 3.1.2. Le citazioni della pittura e dell’arte italiana 3.1.3. L’illuminazione 3.2. GLI EFFETTI SPECIALI 3.3. ANALISI DELLE COMPONENTI CINEMATOGRAFICHE 3.3.1. Le inquadrature 3.3.2. I movimenti di macchina 3.3.3. Le tracce grafiche 3.3.4. I codici sonori 3.4. ANALISI DEI PERSONAGGI 3.4.1. Gesù 3.4.2. Giuda 3.4.3. Satana 3.5. ANALISI DEGLI EVENTI E DELLE TRASFORMAZIONI 3.5.1. L’azione come comportamento (livello fenomenologico) 3.5.2. L’azione come funzione (livello formale) 3.6. LA DIMENSIONE NARRATIVA: LA MODALITÀ DI SCRITTURA 3.7. ANALISI TEMATICA: I PUNTI DI FORZA DEL TESTO FILMICO 3.7.1. La tentazione 3.7.2. Autenticità e consapevolezza 3.7.3. La solitudine 3.7.4. La violenza 3.8. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE 3.8.1. Autore implicito e spettatore implicito (progetto comunicativo e condizioni di lettura) 3.8.2. Narratore e narratario 3.8.3. Il punto di vista Conclusione sull’analisi del testo 3 V NODI TEOLOGICI-CRISTOLOGICI 1. LA QUESTIONE CRISTOLOGICA 1.1. LA FEDE DI GESÙ: INTRODUZIONE AL TEMA 1.2. LA CONTROVERSIA CRISTOLOGICA NEL PERIODO MODERNO 1.3. LE PRINCIPALI TENDENZE SULLA FEDE DI GESÙ 1.3.1. Il paradigma scolastico 1.3.2. Il paradigma di singolarità: H.U. von Balthasar 1.3.3. Il paradigma antropologico: K. Rahner – L. Malevez 1.4. IPOTESI CONCLUSIVE 2. LE TENTAZIONI 3. LE DONNE 4. GIUDA ISCARIOTA 5. L’EUCARISTIA 6. LAZZARO 7. IL SOGNO Conclusioni VI L’UNITÀ DIDATTICA GESÙ 1. INTRODUZIONE GENERALE: IL FILM COME TESTO 2. BATTESIMO, PASSIONE E RISURREZIONE DI GESÙ: SINOSSI FILMICA 3. “COME SI SCRIVE UN FILM” 4. “COSTRUIRE UNA SCENEGGIATURA” 5. VERIFICA FINALE Osservazioni finali sull’unità didattica VII GESU NEL CINEMA DEL TERZO MILLENNIO BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE ELENCO ALUNNI LUGO E FARA ANNO SC. 2001-02 RINGRAZIAMENTI ABBREVIAZIONI mdp = macchina da presa mdm = movimento di macchina 4 1969-2004 CINEFORUM IDEA 35 ANNI AL SERVIZIO DELLA CULTURA CINEMATOGRAFICA Sono passati sette lustri da quel novembre 1969, quando iniziammo l’attività del nostro Cineforum nella gloriosa Sala Parrocchiale Pio X: vendemmo allora la bellezza di 350 tessere e fummo costretti ad aggiungere altre file di sedie, perché la capienza non raggiungeva i 300 posti (allora non c’erano tutte le attuali rigide normative). Erano i primi tempi della nostra esperienza, come gruppo di appassionati di cinema: alcuni erano ceramisti, altri studenti che frequentavano il loro cineforum pomeridiano nel Centro Giovanile di Bassano, e volevamo anche nel nostro piccolo centro di Nove dare la possibilità ai giovani e non di vedere cinema in maniera diversa: non attraverso il biglietto d’ingresso ma mediante una tessera che serviva sia come iscrizione al nostro Circolo (che non si chiamava ancora “Cineforum Idea”) sia come abbonamento per un certo numero di proiezioni il cui prezzo era accessibile a tutti. Mi è rimasta impresa la folla di partecipanti a quella prima edizione. Quel primo periodo della nostra storia fu caratterizzato dalla presentazione di film d’autori come Bergman, Fellini, Pasolini, Visconti, i quali venivano preceduti dalla presentazione di un esperto chiamato da fuori, che al termine della proiezione moderava la discussione tra i presenti. Il dibattito tanto in voga allora diventava un’occasione di scambio di idee sulle tematiche proposte. Il 1972 fu un anno importante: infatti ci costituimmo con una atto notarile e diventammo un’associazione di cultura cinematografica legalmente riconosciuta anche dall’allora Ministero dello Spettacolo: contemporaneamente ci affiliammo alla Federazione Italiana Cineforum (FIC), che nel panorama delle associazioni del pubblico cinematografico, ci sembrava vicina al nostro modo di intendere l’attività culturale. Gli anni settanta divennero per il “Cineforum Idea” (così infatti venne chiamata la nostra associazione culturale) importanti, perché le nostre serate erano l’unica occasione pubblica per i noveri, in cui potevano prendere a pretesto il film e discutere sulla società in generale, sulle vicende del nostro comune: i film proposti rappresentavano storie di denuncia anticapitalistica, antimilitaristica, antiamericana (erano i tempi della guerra in Vietnam), contro le istituzioni; in sostanza traspariva il forte clima di cambiamento che il ’68 aveva portato nel vivere quotidiano. Fummo accusati dai democristiani di essere filocomunisti, di usare a pretesto il cinema per fare politica; allo stesso tempo gli stessi comunisti ci accusarono di anticomunismo, perché nelle nostre rassegne riservavamo uno spazio al cinema del dissenso sovietico. Erano i tempi delle grandi divisioni ideali, delle appartenenze partitiche, che coinvolsero anche il nostro cineforum, costretto poi ad abbandonare la gloriosa sala parrocchiale per…incompatibilità ideologica! Ma non ci perdemmo d’animo, anzi ci rimboccammo le maniche e inaugurammo un periodo felice del “Cineforum Idea”, potremmo chiamarli gli anni d’oro della nostra storia ultratrentennale storia. Convincemmo l’amministrazione comunale di allora a crearci uno spazio, o meglio, una saletta di 99 posti, acquistammo un proiettore portatile in 35 mm. E continuammo la nostra attività di sempre, cioè presentare film sconosciuti, magari con i sottotitoli; il nostro pubblico diventò un pubblico di nicchia, una minoranza di cinefili che condivideva i nostri programmi, che uscivano dalla sala per andare nei quartieri ad organizzare rassegne estive per i ragazzi, appuntamenti teatrali, piccoli festival del cinema a passo ridotto (super 8 mm.), serate di dibattito su temi specifici, collaborazioni con enti ed associazioni per rassegne di cinema di montagna, documentari d’arte, cinema e musica. Gli anni novanta confermarono la bontà delle nostre iniziative, la nostra esperienza e competenza e si allargò ulteriormente il nostro raggio d’azione: ci invitarono nei comuni limitrofi biblioteche e scuole per attività didattiche sul linguaggio cinematografico, tenendo corsi e conferenze sui vari aspetti della lettura filmica. 5 Da un paio d’anni siamo tornati a programmare la nostra principale attività, cioè la rassegna invernale, presso una vera sala cinematografica, grazie soprattutto alla disponibilità della Parrocchia di Cartigliano e del gruppo cinema locale. Ci sarebbe piaciuto poter tornare nella sala parrocchiale di nove, appena restaurata ma non attrezzata purtroppo per le proiezioni cinematografiche: peccato! Ci siamo chiesti qualche volta che cosa ci ha spinto a resistere per 35 anni, a lottare in questi decenni di grande cambiamento anche nel campo della fruizione del cinema: l’avvento della televisione (classica, satellitare, interattiva, a pagamento), del videoregistratore, del dvd, del computer, di Internet, che hanno strappato e continuano a strappare spettatori alla sala tradizionale (nemmeno l’avvento delle multisale sta frenando l’erosione, neppure qui circoli che per accalappiare soci nei loro programmi inseguono le prime visioni di successo, abbassando di molto il livello culturale delle loro proposte). Il nostro compito di associazione culturale è quello di proporre alcune occasioni di film, provenienti dai festival e scomparsi dal mercato, di autori consacrati dalla critica ma sconosciuti al grande pubblico, di cinematografie emergenti, molto interessanti sul piano linguistico, ma poco appetibili dai distributori, accompagandoli prima delle proiezioni da una scheda informativa e da una presentazione. In secondo luogo il nostro obiettivo è di formare uno spettatore intelligente, che sappia cogliere le differenze fra le varie tipologie del cinema, che sappia distinguere tra un buon film e un brutto film, distinguendo tra la storia che racconta e il modo di narrare. È per queste ragioni, nono solo per celebrare i 35 anni della nostra attività che, dopo aver promosso l’edizione del film “Qualcosa del tempo” del nostro Maurizio Mottin (una delle colonne del nostro Cineforum Idea) abbiamo pensato di pubblicare il presente testo di Andrea Manzardo, un appassionato di cinema vicino alla nostra associazione: uno studio di analisi del testo, attraverso un percorso didattico che pone quesiti aperti a proposito del film di Martin Scorsese “L’ultima tentazione di Cristo”. Walter Pigato Presidente del Cineforum Idea Novembre 2004 6 PREFAZIONE L’intersezione tra il racconto cinematografico e la possibile apertura alla riflessione teologica non va ricercata nel segno dell’evidenza, ovvero in quella produzione che offre «una versione del cristianesimo innocua ed incapace di arrecar noia ad alcuno, diretta a schiodare Cristo dalla croce e a renderlo igienico e piacevole». Neppure ricorrendo a letture tematiche compiendo ingiustificate riduzioni a tema di opere filmiche senza rendere ragione della poetica e della complessità di un autore. Per evitare l’abisso della lettura pre-testuale e il suo epilogo ideologico dell’interpretazione pretestuosa, è necessario dunque un approccio di tipo semiotico. Andrea Manzardo, analizzando con sapiente tenacia e non senza qualche irruenza il film The Last Temptation, aduna attorno al suo lavoro, con particolare cura, quella strumentazione di tipo metodologico, necessaria ad una corretta analisi testuale. Il film di Scorsese ha lasciato un segno indelebile nella storia del cinema che sin dalle origini si presenta fortemente intrisa di vicende bibliche. Gli inizi del cinema biblico portano con sé quel duplice pregiudizio sotto il quale tutto il cinema si è posto: quello della referenzialità che fa riferimento ai fratelli Lumière e quello della ricreazione fantasiosa il cui capostipite è Georges Mèliés che nel suo Le Christ marchant sur les eaux di Georges Méliès (1898), ricrea l’episodio evangelico di Gesù che cammina sulle acque. Questa duplice modalità narrativa non esaurisce la complessità di intrecci narrativi delle origini, ispirati alla storia biblica. Un caso emblematico di questa differenza è Christus di Giulio Antamoro. Un altro momento interessante per la produzione del cinema biblico è rappresentato dalla metà degli anni Sessanta. Infatti mentre in america abbiamo la produzione del famoso film The greatest story ever told (1965) firmato da George Stevens, in Italia, l’anno prima il grande maestro Pier Paolo Pasolini gira Il Vangelo secondo Matteo e, precedentemente firma l’episodio di Ro.Go.Pa.G La ricotta. (1963) Gli anni Settanta sono testimoni del cinema biblico per antonomasia: Gesù di Nazareth (1977) di Franco Zeffirelli. Sempre in questi anni ricordiamo Il messia (1975) di Roberto Rossellini. La produzione non ha mai smesso di dare forma al racconto della vita di Gesù visitando, fino ai giorni nostri, a volte l’andamento catechistico, altre volte modalità trasgressive. Ricordiamo: Cercasi Gesù (1982) di Luigi Comencini, film che si muove in bilico tra cronaca e invenzione; L’inchiesta (1986) di Damiano Damiani, inquietante film girato dal punto di vista dell’estraneo alla vicenda di Gesù; L’ultima tentazione di Cristo (1987) di Martin Scorsese; Jesus of Montreal (1989) di Denys Arcand, I magi randagi (1996) di Sergio Citti (collaboratore di Pier Paolo Pasolini), I giardini dell’Eden (1997) di Alessandro D’Alatri, sino all’ultimo discusso The Passion di Mel Gibson. Il testo di Manzardo presenta una novità importante: non si tratta semplicemente di una ricostruzione storica e neppure di una analisi della drammaturgia del film in esame. Il volume è un percorso che individua in maniera precisa le tappe di una analisi testuale (nel nostro caso il film The last temptation) coniugando sapientemente lo strumentario semiotico a quello semiopragmatico. Se il primo modello di analisi va ad individuare l’architettura del testo segnalandosi come percorso didattico di apprendimento di alcune nozioni come segno, codice, connotazione, messa in scena, il secondo modello cerca di individuare come il testo vada a profilare i contorni del suo spettatore. In altre parole l’interesse è indagare la struttura narrativa di quel cinema, non rassicurante, tipico di Scorsese. Un cinema che non riposa mai su un senso ostentato ma che reclama con forza la cooperazione di un lettore/partner intelligente e acuto, capace di intraprendere un preciso cammino ermeneutico. Un testo dunque illuminante sia per il percorso analitico che diviene esemplare per una ricostruzione a carattere didattico, sia per l’esito della lettura, momento propriamente ermeneutico, che mostra la ricchezza e la passione dell’autore. Un autore alla ricerca del senso profondo del film. Alla ricerca di un’espressione nuova che sappia alludere, farsi mashal, parabola. Dario Edoardo Viganò PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE Presidente Commissione Nazionale Valutazione Film CEI 7 INTRODUZIONE Il tema Gesù nel cinema non è certamente nuovo, numerosi sono ormai gli studi sul cinema sacro e in particolare sul cinema cristologico: si può cominciare dall’ottimo testo di Ernesto G. Laura1 che ripercorre tutte le opere che nella storia del cinema si sono in qualche modo occupate di Gesù, oltre cento film! Tuttavia solo negli ultimi decenni si sono interessati al tema registi motivati da ragioni artistiche e interiori più che commerciali: Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini (1964) è considerato ormai all’unanimità l’esempio più riuscito di traduzione del testo evangelico, ben lontano dai fasti commerciali dei kolossal hollywoodiani che non hanno disdegnato spesso di attingere a testi romanzati per rendere più appetibile al pubblico la storia biblica; il 1964 è una data cruciale, un punto di non ritorno nella storia del cinema cristologico, nessuna ulteriore traduzione potrà sottrarsi al confronto. L’ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese (1988) è probabilmente, tra le moderne traduzioni, quella più discussa e criticata anche in tempi recenti; le pagine che seguono sono dedicate in particolare all’analisi di questo testo filmico. Dario Viganò indica tre termini2 per classificare i percorsi del cinema cristologico: 1. trasposizione: si traspone ogni volta che un autore si limita a sfruttare il nuovo mezzo e le sue potenzialità espressive come tramite per riesprimere le parole (bibliche) da cui si è partiti; 2. traduzione: si traduce invece quando si cerca di calare il testo originale in un contesto nuovo, quello che più urge all’autore nel momento in cui “riscrive”; 3. tradimento: si ha quando il testo biblico viene usato come pretesto; i tradimenti possono poi essere buoni o cattivi film, ricchi di frutti artistici oppure nò. Va rilevata una certa recente rivalutazione del film anche in ambito cattolico, perché si ritiene che la storia di Gesù debba comunque sucitare inquietudine: “L’ultima tentazione di Cristo è dunque la rilettura personale della vicenda evangelica ad opera di un autentico credente, raro esempio di cinema visionario che nella perfetta fusione di immagini, musica e parole apre una nuova via per rendere in immagini il significato della parola di un uomo - come scrisse lo stesso Pasolini - mite nel cuore, ma mai nella ragione”3 . 1 E.G. LAURA, Gesù nel cinema, ANCCI, Quaderno di “Filmcronache” n.7, 1997 Cfr. A. BOURLOT – D.E. VIGANÒ, Dal tradimento alla traduzione: le figure di Gesù nel cinema, op.cit., p. 67. 3 Ibidem, p. 178. 2 8 I LA “GENESI” DEL GESÙ DI SCORSESE: FONTI E MODELLI Martin Scorsese è un regista che ha da sempre un interesse particolare per il mondo religioso ed infatti i film che lo hanno maggiormente suggestionato nell’adolescenza sono stati proprio i kolossal biblici in senso lato, film che con il loro fascino di scenari festosi, costumi esotici e musica roboante hanno nutrito la sua feconda vena visionaria e creativa. Lo stesso regista, in merito ai Dieci Comandamenti di Cecil De Mille, afferma: “L’ho visto forse quaranta o cinquanta volte. Bisogna dimenticare la storia e concentrarsi sugli effetti speciali, la tessitura, il colore. Ad esempio: la figura di Abramo che uccide il primogenito è un fumo verde; poi c’è il rosso Mar Rosso, e il sangue dell’agnello. La qualità onirica della fantasia di De Mille ti colpisce per tutta la vita”4. Decisivo per la formazione del regista sarà in seguito l’incontro con il neorealismo. Ci sono dichiarazioni nelle quali il regista confessa di ammirare i lavori di Pier Paolo Pasolini e Roberto Rossellini in particolare: “Il Messia di Rossellini (1976) è il mio film preferito, per la sua estrema semplicità. Ciò che lo fa grande è lo stile sobrio, l’eloquenza del tratto e unicità di immaginazione. Mi sono formato guardando alla televisione i primi film neorealisti di Rossellini, film come Roma città aperta e Paisà. Ammiro Cecil de Mille, Visconti, Godard…Tutto ma proprio tutto nel cinema ha un precedente”5; mentre del primo film di Pasolini dice: “Accattone (1961) è come una lunga linea che attraversa tutti i miei film. Da quando l’ho visto per la prima volta a metà degli anni sessanta, è stata per me un’esperienza straordinaria. Il film ha una comprensione ed una pietà verso le debolezze e sofferenze del genere umano che vengono fuori senza che venga dato alcun tipo di giudizio. Lo stile di Pasolini è una combinazione tra realismo e poesia”6. Ma è un romanzo di Nikos Kazantzakis7 a dargli lo spunto decisivo per il suo Gesù; dallo scrittore greco mutua un’angolazione del tutto originale e sconcertante: alcune sue dichiarazioni rilasciate in occasione dell’uscita del film L’ultima tentazione di Cristo a Ciak chiariscono i motivi di questa scelta: “Ciak: Ha sempre voluto fare un film su Gesù, non è vero? Scorsese: Ch’io ricordi, da sempre. A metà degli Anni ’60 ho scritto un trattamento, Jerusalem Jerusalem!, dove la Passione di Cristo era raccontata sullo sfondo del Lower East Side. All’epoca pensavo che un modo di raccontare il Vangelo poteva essere il cinema veritè in bianco e nero, quello che poi ha fatto Pasolini con Il Vangelo secondo Matteo. Ho visto il film alla fine degli anni ’60 e mi ha molto commosso, ma mi sono detto: ok, ecco una zona dove non puoi più muoverti, visto che è stato appena fatto. Ho cominciato a pensare che se mai avessi voluto girare la storia di Gesù, avrei dovuto aspettare un bel po’. Prima sarei dovuto diventare regista, poi avrei dovuto lasciar decantare tutte quelle storie bibliche che abbiamo più volte visto e che sono state accostate ogni volta nello stesso modo. Ho cominciato a chiedermi in che modo avrei potuto abbordare il tema in modo fresco, diverso”8. Sempre nella stessa intervista il regista chiarisce perché ha scelto il Gesù di Kazantzakis, discostandosi dunque non solo dai Vangeli ma anche da una consolidata tradizione filmica precedente: “Ciak: Che cosa, dunque, l’ha spinta a fare un film basato sul libro di Nikos Kazantzakis The Last Temptation? Scorsese: Il libro di Kazantzakis mi è stato dato da Barbara Hershey nel 1972. In realtà ho cominciato a leggerlo nel 1975 dopo aver finito Taxi Driver. Avevo letto abbastanza su questo libro per sapere che volevo farne un film, sebbene non immaginassi che sarebbe successo così presto nel corso della mia carriera. Penso di aver prolungato la lettura del libro perché ne traevo un piacere intenso. L’ho 4 G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995, p. 21. Ibidem, pag. 7 6 D. AUDINO (a cura di), Martin Scorsese, Dino Audino editore, Roma, p. 67. 7 N. KAZANTZAKIS, L’ultima tentazione (O teleutaios peirasmòs), 1959 (ed. It. 1987 IV ed.) , Frassinelli. 5 8 M.H. WILSON, The last temptation of Christ, in “Ciak”, settembre 1988, p. 26. 9 finito nel 1978 a San Gimignano, dove mi trovavo in visita al set del film dei Taviani Il prato. Mi resi conto che era il materiale giusto per me, dal modo in cui mi identificai con il personaggio Gesù. Ciak: Che cosa la affascinava nel Gesù di Kazantzakis? Scorsese: La rappresentazione tradizionale vuole che Gesù cammini in una stanza illuminandosi, così tutti sanno che in lui c’è qualcosa di speciale. Nella rappresentazione di Kazantzakis, Gesù è un uomo che combatte con il lato umano della propria natura e viene a patti con il Dio che è in lui. E’ una prospettiva interessante: il Gesù di Kazantzakis è un uomo che ha sofferto, sebbene sia realmente Dio. Per questo egli può veramente capire la nostra pena. Il lato umano di Gesù lo spinge ad attraversare la nostra stessa confusione e profonda ricerca. Ciak: Nel libro di Kazantzakis Gesù combatte il proprio destino ad ogni passo e mette continuamente in questione la nozione di predestinazione. Scorsese: Nel profondo, Gesù conosce il proprio destino, sebbene non voglia accettarlo. E’ come se pensasse: “No, deve esserci qualche errore, forse me ne sto tranquillo si allontana da me, smetterà di chiamarmi. Non rispondo alle chiamate, sono fuori!”. Succede così quando sembra accettare prontamente l’ultima tentazione di Satana. Naturalmente non accetta mai realmente, tutto accade in una frazione di secondo, come in un sogno. Non pretendo che sia la verità, ma un’idea affascinante”9. Ho cercato di individuare nella biografia del regista il percorso umano e artistico che lo ha portato alla realizzazione de L’ultima tentazione di Cristo: si tratta (almeno apparentemente) di un’opera fuori linea rispetto al consueto cinema del regista, l’ambientazione e il soggetto non gli sono sicuramente familiari; tuttavia il protagonista del testo filmico si affianca agli altri personaggi dei film precedenti, uomini tormentati, dubbiosi, confusi, che vanno a zonzo per la città senza una meta precisa (emblematico Travis, protagonista inquietante di Taxi driver, 1976); non c’è armonia nella loro vita e qualche volta lo sanno; sono personaggi spesso insoddisfatti e sovrastati dalla realtà cercano una via di fuga a volte drammatica. Il regista mette in scena il desiderio di trovare un magico accordo tra le varie componenti dell’uomo: affetti, aspirazioni, tendenze naturali; ma questo desiderio spesso si trasforma nel suo opposto, nella frustrazione e nel caos, sia per eventi storici e psicologici, sia per pura casualità. I protagonisti dei film di Scorsese lasciano sempre trasparire qualcosa di personale del regista, per cui si ritrovano numerose tracce della sua esistenza, della sua psiche e della sua personalità; scrive bene infatti Maurizio Del Ministro: “Molta critica ha parlato per il regista di varie componenti quali la religiosità, il fascino del crimine, l’ossessione erotica, la solitudine, l’irrealizzabilità del sogno americano, ma al di là di tutti questi aspetti, dove nasce, nella poetica dell’autore, la mancanza di sintonia con l’esistenza? Certamente la sua crisi religiosa è documentata dalla sua vita e dagli elementi di ossessione cristiana, disseminati nella sua opera: già nel suo primo vero lungometraggio10 del 1969 narra le angosce di J.R., giovane oppresso dall’eros e dal senso del peccato nell’ambiente della Little Italy, descritto tra sogno e realtà, incubo e allucinazioni”11. Scorsese è un regista che non ha mai fatto mistero del fascino che su di lui ha esercitato la religione: nell’adolescenza l’idea di farsi prete era abbastanza seria e convinta; poi il cinema lo ha allontanato da questo progetto ma gli resta una forte attrazione per questo mondo profondamente umano e suggestivo. Egli sembra dunque in eterno conflitto tra la violenta vita quotidiana che si vive in strada e la spiritualità di cui sente fortemente il bisogno. Già con Mean streets del 1973, Scorsese affronta le tematiche religiose ed esistenziali di matrice autobiografica che sono alla base del suo personalissimo cinema; le parole della voce fuoricampo all’inizio del film sono un programma che l’autore intende sviluppare in questo e nei film seguenti: “L’assoluzione dei propri peccati non si ottiene in chiesa, ma per la strada e in noi stessi”. Come ha osservato Michael Henry, in Mean streets tutti gli elementi delle prove precedenti prendono definitivamente forma, portati al più alto grado possibile di intensità 12. La strada è l’habitat naturale di Scorsese, il luogo dove è cresciuto e dove ha imparato a sopravvivere ed è in questo ambiente che le sue narrazioni filmiche trovano un naturale svolgimento: “Se la Chiesa è sinonimo di idealismo, la strada è realismo nel senso più completo 9 Ibidem, p. 26. Who’s that knocking at my door?. 11 D. AUDINO (a cura di), Martin Scorsese, op.cit., p. 5. 12 Cfr. G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, op.cit., p. 51. 10 10 della parola. La strada ti accetta per quello che sei; la strada ha il potere di uniformare, sia per il disperato che per il milionario vi è sempre la stessa parte di territorio”13 . Charlie è ossessionato dal Cattolicesimo ed è un personaggio tipico nelle opere di Scorsese; lo si vede bene nel prologo e nella scena della chiesa dove, elegante e distinto, prega il Signore con aria contrita e rivela anche una sua necessità di mortificazione del corpo attraverso il dolore fisico: sfiora a lungo la fiamma delle candele vicino all’altare, quasi per saggiare il calore delle fiamme infernali 14. Ritroveremo la fiamma ne L’ultima tentazione di Cristo, simbolo del male, della tentazione suprema ma anche segno della vittoria finale su satana che nel corso dell’intera vicenda cerca di impedire che Gesù muoia in croce. Con Taxi Driver, il film della consacrazione del 1976, il regista approfondisce le tematiche di Mean Streets. L’opera è interamente dominata da un esasperato soggettivismo, che obbliga lo spettatore a condividere il punto di vista del protagonista in una visione monocorde e “monoculare”; Travis si colloca fuori da ogni logica di vita “normale” e agisce dall’inizio alla fine sul filo di una monomania depressiva che lo porta a fare della violenza distruttrice lo strumento del suo ingresso nella storia15. Insoddisfatto del suo lavoro e impossibilitato ad amare, alla sua solitudine oppone un gesto di follia che sfocia in una falsa giustizia16. L’ultimo primo piano di Travis (che si salda circolarmente con il primissimo piano dei suoi occhi all’inizio del film) è carico di angosciosa inquietudine: è la consapevolezza (sua e nostra) dell’abisso in cui sta nuovamente precipitando. L’eroe di New York è ancora l’uomo solitario di Dio, un assassino. Rimane lo scomodo passeggero di se stesso, timoroso e spaventato di portare altre persone17. Con New York, New York (1977) si affina ulteriormente l’abilità del regista di tratteggiare i personaggi come unità psicologiche; Maurizio Porro ha definito New York, New York “un’altra cantata, come Mean Streets, come Taxi Driver, sugli individui che, cibandosi solo del proprio io, non riescono ad emergere a una vita civile se non nella prospettiva della finzione. Così come i protagonisti degli altri film di Scorsese reagivano all’incombente violenza della società organizzata con altrettanta violenza, questi due artisti, cani sciolti nel grande parco della luce al neon, rispondono al resto del mondo isolandosi nel loro lavoro, chiudendosi in un io affamato solo di soddisfazioni individuali. La musica è l’alibi di due coscienze infelici”18. Racing bull (Toro scatenato, 1980) nasce da un’idea di Robert De Niro che durante le riprese di Taxi Driver aveva letto l’autobiografia di Jake La Motta; il film “è costruito per fasce parallele che si dispongono quasi come in una spirale a tracciare la parabola del protagonista, povero eremita redento. Scorsese ha detto che il suo è veramente il mondo di un uomo ascetico, come se si trattasse di un monaco, di un sacerdote. Racing bull, secondo una struttura a spirale, comincia come finisce e finisce laddove comincia, e tutti gli avvenimenti intermedi sono presentati come approfondimento e ripetizione gli uni degli altri, o anche come sprofondamento continuato nell’abisso dell’autoannientamento: c’è insieme stasi e progressione in questa serie di zone parallele che narrano la vita di Jake La Motta. Tra le tante, memorabile e straziante la scena di Jake in carcere: ormai allo sbando e disperato, sbatte la testa sulla parete e piange i propri errori e l’appellativo di animale che non riesce scrollarsi di dosso. Non è un film sul pugilato ma ripercorre l’assillo autobiografico del “ritornare nel proprio ambiente” più che mai vivo e scottante dopo le prove hollywoodiane e si impone anche per alcuni sottili contrasti tematici giocati e tradotti in contrasti visivi luce /buio e per l’elegante bianco e nero (per esigenze di stile e di “verità” storica)”19. Nel 1988 esce dunque L’ultima tentazione di Cristo: è il risultato di un progetto che parte da lontano, almeno dal 1972 quando, sul set di Boxcar Bertha, Scorsese riceve da Barbara Hershey 13 Ibidem, p. 8. Cfr. Ibidem, pp. 43-44. 15 Cfr. Ibidem, p. 82. 16 Cfr. D. AUDINO (a cura di), Martin Scorsese, op. cit., p. 4. 17 G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, op. cit., p. 84. 18 Ibidem, p. 94. 19 Ibidem, pp. 103-104. 14 11 e David Carradine l’omonimo romanzo di Nikos Kazantzakis, un testo che aveva sollevato aspre critiche da parte Cattolica e addirittura la scomunica della Chiesa Greca Ortodossa20. Martin Scorsese, dopo aver esplicitamente ammirato e indicato come esemplari ed irripetibili le traduzioni filmiche del soggetto Gesù da parte di Pasolini e Rossellini, di fatto se ne allontana radicalmente; il Gesù maestoso e ieratico dei maestri neorealisti lascia il posto ad un Gesù con un’umanità all’inizio prevalente e dominante ed un’incertezza costante sul suo destino: è una scelta che spiazza e crea, in alcune sequenze, una tensione insopportabile per lo spettatore, generalmente abituato ad una tradizione filmica in cui il Messia è per eccellenza eroe positivo e perfetto. Come per i personaggi dei film precedenti, c’è molto dell’autore nel protagonista de L’ultima tentazione di Cristo; scrive infatti Luigi Bini che il suo Gesù è “anzitutto la proiezione dei conflitti e delle emozioni di un autore che, entro i limiti della sua sensibilità di artista, è anche riflesso dell’animo dell’uomo contemporaneo; in quanto condivide le angosce, le paure, le rabbie in cui ogni essere umano si dibatte, è il protagonista di un’esperienza di tentazione dal quale siamo invitati a sentirci capiti e aiutati”21. Il progetto è ardito ed insidioso: Scorsese è un cattolico non più praticante, il suo è un cristianesimo laicizzato e moderno che esalta l’uomo e la sua irrisolta incompiutezza. Avvicinando le due nature di Gesù fino a confonderle Scorsese ripropone un tema costante nelle sue opere, e cioè l’impossibilità dell’essere umano, chiunque esso sia, di raggiungere la perfetta armonia nell’esistenza; ammettendo pure che qualcosa possa esserci oltre, il superamento non si vede, e infatti l’autore-regista alla morte di Gesù chiude il film. Prima ancora della sua uscita, il film suscita lo sdegno delle correnti fondamentaliste e integraliste sia da parte cattolica che protestante, che danno vita ad una vera e propria crociata anti-Scorsese, bollando il film come offensivo e indegno di essere preso in considerazione. Nel prossimo capitolo, con l’aiuto di alcuni articoli, cercherò di fare luce sull’eco mediatica suscitata dall’uscita del film che determinò al tempo un clima rovente ed una vis polemica che a distanza di anni può essere valutata certamente con maggiore serenità. 20 21 Cfr. D. AUDINO, Martin Scorsese, op. cit., p. 49. G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, op. cit., pag. 116. 12 II RASSEGNA STAMPA Alcuni articoli scritti (provenienti dalle testate: Paese sera, Vivilcinema, Tempo, Corriere della sera, Rinascita, Il Messaggero, Il Resto del Carlino, La Stampa, Rocca, Gazzetta del Mezzogiorno, e pubblicati nell’autunno del 1988) consentono di cogliere il clima rovente provocato dall’evento “scandalo”. Tirava decisamente aria di stroncatura e d’altra parte il lapidario comunicato della CEI non lasciava alcuno spiraglio: “Dopo aver visionato il film L’ultima tentazione di Cristo, si conferma che esso è inaccettabile e moralmente offensivo. La figura di Cristo è infatti radicalmente falsificata, anche con un artificio cinematografico improponibile nei suoi contenuti. Il film pertanto non merita di essere visto, merita solo il silenzio riservato alla mediocrità. Per chi crede che Gesù è il Figlio di Dio e l’uomo senza peccato, e anche per chi riconosce l’altezza della sua umanità, dare attenzione a questo film è contraddire alle proprie convinzioni, oltre che prestarsi ad un’operazione commerciale che umilia chi l’ha compiuta. L’unico dato che resta è la forza della persona di Gesù, che pone anche oggi la domanda decisiva per la nostra esistenza. Solo essa ha potuto, per contrasto, dare risonanza anche a questo film ambiguo e volgare”22. Da rilevare in molti giornalisti il senso di delusione per quello che all’epoca viene considerato un netto passo falso di un regista fino a quel momento unanimemente considerato uno dei più grandi maestri viventi e lo stupore per un autore che ha scelto di uscire (apparentemente) dal tracciato delle opere precedenti: perché rischiare la carriera su una storia già di per sé molto delicata, scegliendo poi come testo neanche i Vangeli ma un romanzo smaccatamente apocrifo come quello di Kazantzakis, che pure ha rischiato il linciaggio all’epoca dell’uscita del libro negli anni cinquanta? Accanto a questo diffuso malessere, che talvolta è fastidio, irritazione e delusione, affiorano negli articoli anche tentativi di analisi più pazienti e ragionati: dalla precisione e dalla pertinenza delle suddette osservazioni si deduce che chi scrive ha realmente visto il film e ha cercato di andare oltre gli eccessi e le aporie che ci sono e che fanno parte dello stile non regolare del regista, abituato a sorprendere lo spettatore con soluzioni imprevedibili. 1. Le critiche si possono schematicamente così riassumere: a) non è il genere di Scorsese, o meglio: fuori da Little Italy se la cava appena; b) sensazionalismo ed eccessi visivi in alcune scene: cuore strappato, resurrezione di Lazzarozombie, trucchi da cinema horror (della serie: che c’azzecca?); c) a parte Giuda, quasi tutti i personaggi chiave non convincono e non funzionano, a partire da Gesù, e poi Maddalena, Paolo, Pilato; risulta inopportuno l’accento americano; d) è un film squilibrato, c’è poco rigore e poca misura; risulta maldestro il tentativo di modernizzare “La Storia”; e) è un’opera verbosa, sanguigna, ossessiva, diluita in un tempo eccessivo e stancante e la scena finale dell’allucinazione è banale e deludente. 2. I pregi rilevati possono invece essere riassunti così: a) si tratta di un film d’autore, decisamente poco hollywoodiano; b) la colonna sonora è azzeccata, ricca, suggestiva e trascinante; c) si rileva un certo impegno nel linguaggio da parte del regista: lo si vede nelle inquadrature, nel paesaggio e nelle raffinate citazioni di molta pittura italiana; grande cura dei colori, scenografia intensa e spettacolare; risultano efficaci i movimenti di macchina e le riprese sono spesso cariche di senso; d) c’è un senso di contemporaneità che traspare dal film, un’opera moderna che parla all’uomo d’oggi; e) Scorsese ha saputo mantenersi distante dai grandi dichiarati maestri Pasolini e Rossellini e dal cliché filmico della tradizione; f) Le scene migliori possono essere considerate: il Battesimo e il cerchio nel deserto delle tentazioni; 22 G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, op.cit., p. 116. 13 g) Da segnalare l’ottima interpretazione di Harvey Keitel-Giuda. 3. Interessanti anche i pregevoli tentativi di fornire una chiave d’accesso al testo filmico: a) occorre prestare attenzione ai titoli di testa: la fonte che ha ispirato il regista non sono i Vangeli ma il romanzo di Kazantzakis; b) il regista ha operato una grande contaminazione di stili: si ritrovano nell’opera scorsesiana il kolossal biblico, l’opera rock, Hollywood e la fantascienza; c) Scorsese non si occupa di dottrina, cerca le immagini; è onesto nell’avvertimento iniziale; d) nella sostanza i Vangeli non sono travisati, ma c’è molto di apocrifo, di romanzato, di inventato. Ritengo pertinenti e corrette buona parte delle critiche e delle osservazioni citate; molti dei giornalisti menzionati ritengono che L’Ultima tentazione di Cristo sia in linea con l’idea di cinema e di uomo di Scorsese anche se, figurativamente, egli si è avventurato in un territorio non congeniale, e il disagio traspare in vari punti del testo filmico. Ricordo la mia prima visione del film: sofferta, interminabile e a tratti irritante, un film che mi sembrò squilibrato, scomposto, arduo, approssimativo, con pause, silenzi e dialoghi indecifrabili, ed immagini decisamente forti. Un Gesù terribilmente e fastidiosamente indeciso che riesce a far spazientire perfino Giuda! Massimo Cacciari, che definisce il film nient’altro che “un’insalata” osserva causticamente che è del tutto plausibile immaginare la tentazione di Gesù sulla croce perché il testo biblico testimonia in maniera chiara ed unanime la crisi esplosa nel terribile ed umanissimo grido Elì Elì Lemà Sabactàni; ma che l’ultima tentazione sia quella di metter su casa e fare figli “è di impagabile idiozia nel senso etimologico del termine. Certo, questo non è che l’atto finale di un motivo presente per tutto il film: la tentazione sembra configurarsi sempre, sostanzialmente, come tentazione sessuale, o peggio, domestico-sessuale”23. E’ un’affermazione lapidaria e sbrigativa: la tentazione di una vita normale, per quanto possa sembrare banale è in linea con il realismo dell’Incarnazione: se Gesù oltre ad essere vero Dio è anche vero uomo, allora è lecito pensare che Egli non abbia vissuto la sua umanità senza fatica e senza provare le debolezze tipiche della natura umana, tranne il peccato. Gesù amava l’umanità, la realtà ed il creato, probabilmente in qualche particolare momento avrà anche sentito il richiamo della carne senza peraltro mai cedervi, neanche col pensiero. Cos’abbia provato Gesù nei terribili momenti della Passione, dall’orto degli ulivi al momento in cui in croce grida al Padre, i Vangeli non lo dicono: ci hanno pensato i vangeli apocrifi ad allargare le fessure presenti nei versetti estremamente sintetici dei Vangeli ispirati, ed hanno immaginato ciò che non è dato di sapere. È il metodo seguito dallo scrittore greco Kazantzakis che infatti si inoltra nei territori appena sfiorati dai Vangeli Canonici, prospettando possibilità che sono nell’ordine della semplicità e non della volgarità. Scorsese riprende questa suggestione e ne fa il motivo trainante della sua versione filmica di Gesù, volutamente intenzionato a ripercorrere La Storia in maniera totalmente personale, originale e spettacolare. 23 D. AUDINO, Martin Scorsese, op. cit., pag. 50. 14 III PROSSIMITÀ E DISTANZA DEL GESÙ DI SCORSESE DALLE OPERE DI PASOLINI E ROSSELLINI Alcuni dei giornalisti precedentemente menzionati24 hanno rilevato punti di contatto e divergenze tra il Gesù di Scorsese e le opere parallele di Pasolini e Rossellini: opinione comune è che sostanzialmente Scorsese abbia tenuto ben presenti le due opere per evitare repliche, citazioni e riecheggiamenti. Val la pena dare un rapido sguardo ai tratti dominanti dei due film per verificare questa ipotesi. 1. Il Vangelo secondo Matteo, di Pier Paolo Pasolini (1964) Considerato all’unanimità una delle trasposizioni più coraggiose e significative della storia di Gesù, Il Vangelo di Pasolini è diventato con il tempo un classico, una pietra miliare nella storia del cinema, in particolare del cinema religioso. Le scelte stilistiche innovative e dirompenti e la magmatica personalità dell’autore hanno impresso al testo filmico un’impronta forte e originale. Gli attori sono non professionisti, Gesù è un “Cristo per caso” 25 trovato all’ultimo momento, c’è molta improvvisazione e verità: gli attori non recitano ma pronunciano le parole del Vangelo in totale naturalezza: “L’attualizzazione passa attraverso una fedeltà maniacale al testo evangelico, ma che è volutamente corrotta da alcuni ambienti, riferimenti pittorici e musicali. E poi alcune provocazioni: i soldati di Erode indossano la divisa di fascisti, mentre i romani sono vestiti da celerini. Ma più forte di tutte suona perentoria la provocazione dl silenzio, con immagini e inquadrature prolungate ed un silenzio estenuante, lancinante, prorompente.”26 È un film spiazzante, con un Gesù forte, rivoluzionario, che urla e scandisce le parole del Vangelo con autorità. La miscela tra musica, pittura e paesaggio è estremamente originale: i luoghi non sono originali della Palestina, le musiche sono classiche e non hanno niente da spartire con la tradizione mediorientale, eppure tutto è profondamente e paradossalmente vero, autentico. Anche la musica è scelta con cura, un messaggio che si aggiunge agli altri senza distogliere dalla “Parola”27. La Via Crucis viene fatta vedere da lontano, come a preservarci dalla tragedia: non abbiamo bisogno di vedere la sua morte; infatti Pasolini chiude l’obiettivo e mostra il nero28. Il senso del film, nonostante i suoi scostamenti dal testo biblico (che sono poi la “firma” del regista) offre una lettura intensa ma rispettosa della vita di Gesù: il messaggio universale di Cristo resta preservato e arriva dritto al cuore dell’uomo contemporaneo; Gesù è il più grande comunicatore della storia, parla da Uomo a uomo, a viso aperto, e nell’opera di Pasolini la Parola emerge con tutta la sua forza grazie alla felice attualizzazione messa in scena29. 2. Il Messia, di Roberto Rossellini (1975) E’ l’ultimo film di Rossellini, regista che in materia di fede non è mai stato particolarmente chiaro: talvolta si è dichiarato anche ateo30. Nato come film cinematografico, il regista vi trasferisce i moduli abbondantemente collaudati nelle sue opere didattiche televisive: ne risulta più una catechesi che una “vita di Gesù”, un’opera didattica su Gesù. Rossellini sceglie per questo suo ultimo film un metodo documentaristico lontano dal folklore e dal colorismo, molto attento tuttavia agli usi e costumi dell’epoca, descritti minuziosamente. Lo scrupolo filologico, unito ad una misura austera, induce l’autore ad attenuare anche il pathos e l’orrore della Passione, così familiari ai lettori del Vangelo e così frequentati dall’arte sacra (la 24 Si tratta di: Giacomo Gambetti (Rocca), Stefano Reggiani (la Stampa), Gian Luigi Rondi (Tempo), Giovanni Grazzini (Corriere della Sera), Mino Argentieri (Rinascita). 25 N. SCAVO, Un uomo chiamato Gesù: il Vangelo secondo Pasolini, Scorsese e Zeffirelli, Quaderno di “Filmcronache”n.12, 2001, p. 8. 26 Cfr. Ibidem, p. 8. 27 Cfr. Ibidem, p.10. 28 Cfr. Ibidem, p. 24. 29 Cfr. Ibidem, pp. 24-25. 30 Cfr. E.G. LAURA, Gesù nel cinema, op.cit., p. 84. 15 flagellazione, la via crucis, gli insulti, ecc.). Il regista omette pure il meraviglioso dei miracoli e sorvola su certi luoghi comuni come la danza di Salomè, pezzo forte delle vite di Cristo “made in Hollywood”. Rossellini sembra privilegiare il Vangelo di Giovanni31 e comunque si costruisce una sua storia, omettendo del tutto il soprannaturale e i miracoli, ridotti a “voci”, notizie che vengono riferite: ci guadagna la credibilità del personaggio, il Gesù della storia, un po’ a scapito del Gesù della fede. Insolita e stilisticamente rilevante è la scelta di rappresentare sempre giovane la madre di Gesù, proprio come avveniva nelle sacre rappresentazioni dell’alto medioevo: oltre all’ovvia sottolineatura dell’unicità di questo rapporto madre-figlio, l’eterna giovinezza della madre indica che Lui non è un figlio qualunque. 3. Conclusione Le opere di Pasolini e Rossellini si caratterizzano per alcune scelte stilistiche forti e autorevoli: entrambi i registi hanno evitato quei passaggi della storia di Gesù che erano il piatto forte nelle precedenti tradizionali versioni cinematografiche: la danza di Salomé e la decapitazione del Battista, molti miracoli, il processo di fronte al sinedrio, Pilato buono che cerca di salvare Gesù, Barabba, il perdono al ladrone. Scorsese si distingue per le medesime coraggiose omissioni, rinunciando ad allinearsi con la tradizione filmica e accettando il rischio di privare gli spettatori dei momenti solitamente più appetitosi per incanalarli in un percorso impegnativo, arduo e riflessivo; si dimostra inoltre discreto ed onesto nel chiudere il film quando Gesù muore: anche Pasolini chiude l’obiettivo e Rossellini adotta uno sguardo distaccato e lontanissimo evitando qualsiasi accenno di “compiacimento” (filmico) per la sofferenza di Gesù. Curiosa in tutti e tre i registi la scelta di rappresentare in maniera molto particolare la Madre di Gesù: in Pasolini Maria è la madre stessa del regista, in Rossellini è sempre la stessa giovane ragazza e nell’Ultima tentazione Maria è una donna fin troppo umana e normale, del tutto inconsapevole del piano di Dio nei suoi confronti e del Figlio e che quindi soffre senza un perché; Scorsese si scosta dai Vangeli e quindi anche dai due registi (che invece mettono decisamente al centro il Gesù della Parola), opera con uno stile marcato e riconoscibile e porta a compimento un’opera discutibile ma originale. 31 Cfr. D. IANNOTTA – D.E. VIGANÒ, Essere.Parola.Immagine.Percorsi del cinema biblico, op.cit., p. 176. 16 IV L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO: ANALISI DEL TESTO Premessa: scelta del metodo di analisi Nel manuale Analisi del film sono indicati quattro grandi metodi di analisi32: 1. Semiotica: considerare il film come testo e cioè un insieme ordinato di segni volto a costruire un mondo altro e al contempo a far interagire destinatore e destinatario; 2. Sociologia: affrontare il film come una rappresentazione più o meno compiuta del mondo nel quale operiamo, come uno specchio e insieme come un modello; 3. Psicoanalisi: prendere i personaggi messi in scena come personaggi reali, con le loro pulsioni, i loro complessi ecc.; oppure considerare il film stesso come una sorta di testo onirico da cui risalire alle pulsioni, ai complessi, alle ossessioni del suo autore; o affrontare il meccanismo filmico in sé, quale momento che funziona in modo analogo al meccanismo psichico; 4. Storia: ci si può accostare al film con gli strumenti della storia, considerandolo come ogni altro documento del suo tempo. Il mio lavoro di analisi ha privilegiato gli strumenti della semiotica e della psicoanalisi con qualche incursione nel campo sociologico perché pur essendo un film storico come ambientazione, le dinamiche sociali sono descritte con una certa attenzione al presente. 1. LA TRAMA Gesù è un falegname, costruisce croci per i Romani e li aiuta nelle crocifissioni: per questo è disprezzato dalla gente; soffre per l’incertezza della sua natura, e dopo una notte dolorosa parte dalla casa materna e viene purificato. Il Battista pone fine ai suoi dubbi: Egli è il Messia. Gesù allora predica, chiama i discepoli, resiste a satana, compie miracoli e poi, dopo aver convinto “l’amico” Giuda a tradirlo, viene catturato, torturato e crocifisso sul Golgota dove gli appare un angelo che lo toglie dalla croce e lo conduce alle nozze con Maddalena. Gesù non è il Cristo ma un uomo normale che può vivere la sua vita con moglie e figli. Invecchia, sta per morire ma dopo la visita degli apostoli si ritrova sulla croce: un sogno dunque, solo un brutto sogno; è stato tentato ma non ha tradito, è veramente il Messia. Muore felice con il sorriso sulle labbra. 2. “ASPETTANDO IL SEGNO” (analisi di un segmento campione) Ho scelto di partire dall’analisi di una sequenza che contiene numerosi indizi che, una volta decifrati, consentono una lettura simbolica dell’intero film: mi riferisco alla sequenza in cui Gesù entra festosamente a Gerusalemme e poi nel tempio. 2.1. DESCRIZIONE DEL SEGMENTO CAMPIONE Gesù arriva a Gerusalemme ed entra nel tempio accolto dalla gente in festa a cavallo di un asinello; sceso dall’asino, si fa strada rovesciando tutto quello che trova sul tragitto. Raggiunti i gradini raccoglie le forze, si concentra e poi grida con forza che quello che profetizzava il Battista si è avverato e non c’è più tempo per pentirsi: è giunta l’ora del battesimo con il fuoco. La folla è entusiasta e gli Apostoli aspettano il segno per attaccare i Romani ma i soldati circondano la zona e chiudono tutte le vie d’uscita; Gesù improvvisamente perde l’aria bellicosa, chiede a Dio di non farlo morire così: Giuda lo incoraggia ad andare fino in fondo, la battaglia è la strada giusta da seguire. Dalle mani di Gesù esce sangue, tutti guardano attoniti e ammutoliti; Gesù implora Giuda di aiutarlo ed egli lo prende e lo conduce fuori stremato. Mentre escono si scatena l’inferno: i soldati piombano dall’alto sulla folla e massacrano tutti. Giuda conduce Gesù, sorreggendolo, lungo un cunicolo e lo pone a riposare in un angolo oscuro al riparo; Giuda si siede vicino ed iniziano a parlare: Gesù gli chiede di tradirlo affinché possa compiersi il progetto di Dio. Giuda ascolta incredulo, rifiuta questa terribile missione ma Gesù lo 32 Cfr. F. CASETTI - F.di CHIO, Analisi del film, Bompiani, Sonzogno 1990, pp. 17-18. 17 supplica di essere coerente con la promessa, fatta a suo tempo, di ucciderlo se non avesse guidato il popolo alla rivolta contro Roma. 2.2. LETTURA SEMIOTICA DEL SEGMENTO Non si tratta certamente dell’unica sequenza con colpi di scena e cose “strane” ma è forse quella che attraverso parole, suoni, immagini, colori, inquadrature e movimenti di macchina riassume bene la storia del film e il progetto comunicativo del regista. 2.2.1. Le parole e i dialoghi Salito sui gradini del tempio, Gesù pronuncia un discorso infuocato, ben simboleggiato e raffigurato dalle fiamme delle torce: “Fuori di qui: sono venuto per dare fuoco al mondo; nel deserto il Battista diceva urlando: pentitevi, il Signore sta arrivando. Io invece vi dico che è troppo tardi, Egli è già qui, Io sono qui! Sono qui per battezzarvi tutti quanti, con il fuoco!”. Dopo essere uscito, si trova a parlare con Giuda in un angolo oscuro riparato e vale la pena riportare interamente il dialogo. Gesù: “Vorrei che ci fosse un’altra via, mi dispiace Giuda: purtroppo devo morire sulla croce”. Giuda: “Non ti lascerò morire”. Gesù: “Non hai scelta e non ce l’ho neanch’io, non dimenticarlo; noi stiamo congiungendo l’uomo a Dio e non saranno mai uniti se io non morirò sulla croce. Io mi devo sacrificare, senza di te non ci sarà redenzione, pensa solo a questo, dimentica tutto il resto”. Giuda: “No, non posso: chiedilo a uno più forte”. Gesù: “Tu mi hai promesso di farlo: ricordi? Un giorno tu dicesti a me che mi avresti ucciso se avessi rinunciato alla lotta contro Roma, e l’ho fatto vero? Allora mantieni fede alla tua promessa Giuda, devi uccidermi”. Giuda: “Se Dio lo vuole, che sia Lui a farlo, io non lo farò”. Gesù: “Dio lo farà attraverso di te; le guardie del tempio potranno arrestarmi solo se non sarò circondato dalla folla. Andrò nell’orto del Gethsemani, devi fare in modo che vengano là: io mi sto preparando a morire, ma dopo tre giorni farò ritorno, vittorioso. Non puoi lasciarmi solo, devi darmi forza”. Giuda: “Se tu fossi me, tradiresti il tuo maestro?”. Gesù: “No, per questo Dio ha dato a me il compito più facile”. Giuda: “E lo dirai agli altri?”. Gesù: “Glielo dirò stasera”. Giuda che ha seguito Gesù sin dall’inizio è il discepolo più forte, coraggioso e intelligente: ora Gesù gli chiede di tradirlo perché si compia il disegno divino. Gesù sa che deve morire in croce per porre finalmente termine alla dualità che lo ha tormentato continuamente: solo la morte può realizzare la perfetta unione tra uomo e Dio, in vita l’armonia delle due nature (umana e divina) è impossibile. Giuda in tutto questo è elemento indispensabile di redenzione e con grandissima riluttanza accetta, tra le lacrime, di tradire il suo maestro. Gesù lo consola affermando addirittura che è più facile morire in croce che tradire il maestro! E’ davvero paradossale, tutto viene capovolto: il tradimento svuotato d’infamia diventa azione nobile e indispensabile e la crocifissione una “passeggiata”. 2.2.2. Voci e suoni Gesù usa toni di voce nettamente diversi con cambi improvvisi: quando arriva al tempio è il Messia e la sua voce è forte e squillante, chiara e dirompente; ma poi improvvisamente diventa debole, la sua voce è un soffio, riesce solo a chiedere aiuto a Giuda; quando parla con Giuda usa una tonalità media, ed è il momento in cui spiega il progetto di unire l’uomo a Dio. Gesù oscilla tra il suo essere uomo e Dio e lotta faticosamente per realizzare l’unione. L’alternanza vocale è perfettamente coerente con la dualità (conflittuale) che lo caratterizza. I suoni: silenzio totale durante il discorso di Gesù (la voce piena del Messia riempie tutto lo spazio), poi una musica lieve accompagna l’emergere dell’umana debolezza e delle stigmate. Gesù esce dal tempio ed un breve frammento di canto funebre precede le urla della folla che si prepara a combattere: è l’inizio della mattanza. Il canto funebre ricorre più prolungato in altri due momenti del film: la risurrezione di Lazzaro ed il finale in cui, dopo la morte di Gesù, il regista chiude la storia con la pellicola in fiamme: è un tema che delimita la grande sezione (da Lazzaro al Golgota) contrassegnata dalla morte accettata, affrontata e vinta. 18 2.2.3. Immagini, luci e colori L’intero film è contrassegnato da un forte impatto visivo, da un sapiente uso delle tonalità cromatiche e da un esplicito e significativo riferimento ad opere pittoriche in particolare di scuola italiana; il campione di film scelto è ricco di simboli, colori, giochi di luce e citazioni pittoriche: a) Nel tempio: il regista descrive il luogo sacro attraverso l’uso di una veduta prospettica centrale, a richiamare il destino (che sembra segnato) di Cristo. Davvero notevole è la somiglianza con il quadro La scuola di Atene di Raffaello sia per l’impianto architettonico (archi a tutto sesto, chiaro segno romano; tetto mancante, il cielo che osserva e benedice come nella scena del Battesimo) che per l’affollamento della scena. Stupenda è poi la rievocazione di un quadro famoso di Giovanni Bellini: Gesù è sugli scalini del tempio mentre i discepoli e la folla aspettano il segnale per la battaglia, ma Gesù li delude: Egli è l’Agnello indifeso che si immola per tutti e le stimmate ne sono il segno. Gesù viene inquadrato con un piano sequenza che parte dal volto (triste perché sta per compiersi l’ineluttabile destino) alle mani sanguinanti, segno appunto di quale destino si tratta. Viene a sostenerlo Giuda, l’unico che continua a credere in Gesù e lo sorregge alla destra, proprio come Maria sorregge Cristo alla sua destra. b) Dopo il tempio nella caverna: Gesù a questo punto fugge con Giuda per non essere catturato. Il regista lo conduce volutamente attraverso un cunicolo (la luce alle spalle dei fuggitivi è simbolo della verità, segno evidente della volontà di non affrontare il destino) e si abbandona all’ingresso di una caverna oscura (la linea morbida e circolare della caverna oscura segnala il bisogno di un riparo, di una protezione che però risulta rischiosa: Gesù è sempre in bilico tra fedeltà a Dio e fuga dalla realtà). La tentazione è ancora in atto, ancora una volta l’uomo tenta di sopraffare il divino. Il richiamo è, netto e preciso, ad un quadro di Domenico Morelli: la posizione passiva, la caverna, l’uomo sconvolto e prostrato dalla lotta interiore. Anche se nel quadro di Morelli sono incarnate le tentazioni del Santo (due donne stanno per scoprirsi da una stuoia, segno di lussuria) nel film Giuda cerca di distogliere Gesù dal suo destino. 19 2.2.4. Inquadrature e movimenti di macchina Significativi i movimenti di macchina dall’alto (i soldati che si preparano ad attaccare) al basso (la folla che aspetta in silenzio il segnale): Gesù, in posizione intermedia, è indeciso e la macchina da presa gli gira intorno alla testa come per catturare e descrivere i suoi pensieri, tra cielo e terra, tra umano e divino. Il lento piano sequenza dalla testa alle mani sanguinanti carica la scena di drammaticità. Gesù esce e con violenti movimenti verticali la macchina da presa segue l’incombere dei soldati sulla folla in trappola nel tempio (inquadratura “a piombo”, la cosiddetta oggettiva iperreale). Una steady-cam morbida segue il cammino di Gesù nel cunicolo: è debole, sfinito e il movimento della macchina da presa si adegua. Campo-controcampo nel dialogo Gesù-Giuda, con effetto conseguente di caricare il momento di pathos e tensione. 2.2.5. Conclusioni sul segmento campione Il tema guida del segmento (indicato da immagini, suoni, inquadrature, dialoghi) è la lotta, il conflitto, la non-armonia: tra cielo e terra, tra Romani ed Ebrei, tra luce e oscurità, tra tentazione e realtà, tra piano divino e piano diabolico, tra natura umana e natura divina. Il dualismo non è tema biblico ma è un’ossessione del regista che ha trovato nel romanzo di Kazantzakis un Gesù adatto alle sue idiosincrasie: Scorsese non vuole infatti raccontare la sua storia di Cristo ma intende continuare a parlare di quell’umanità sofferente e contrastata che gli sta particolarmente a cuore; non c’è possibilità di armonia e di unione perfetta tra uomo e Dio, solo la morte può compiere questo magico accordo. 3. DAL SEGMENTO AL TESTO INTEGRALE: ANALISI DELL’INTERO TESTO FILMICO I risultati raggiunti nell’analisi del campione di film prescelto possono essere confrontati con il resto del film, in modo da verificare se essi sono validi per l’intero testo filmico. Ho scelto di attraversare il testo filmico seguendo le varie componenti così come ho fatto per il segmento campione, procedendo con maggiore ordine, rigore ed esaustività. 3.1. LA DIMENSIONE “ICONICA” (LO SPAZIO PITTORICO) 3.1.1. Il colore e la sua valenza simbolica L’uso dei colori e della luce è certamente curato e non casuale: le tonalità si collegano ad alcuni precisi significati, confermati dalla ricorrenza: ad esempio il colore rosso domina la scena sin dai primissimi fotogrammi dei titoli di testa e lo ritroviamo nei momenti narrativi in cui Gesù riesce ad essere veramente il Messia con enormi sofferenze; anche nelle scene tipicamente bibliche il Figlio di Dio è immerso in colori forti e poco luminosi. Quando Gesù invece si “rilassa” e 20 quindi è più debole ed umano, i colori diventano più dolci, tenui e sereni, la luminosità diventa più intensa e il paesaggio suggestivo e sensuale: le immagini diventano… “rassicuranti”. Nella scena finale la contrapposizione tra colori caldi e tenui diventa una lotta nella lotta: Giuda parla a Gesù morente e dalla porta filtra un rosso fuoco che indica una crepa nel mondo onirico e l’inizio del ritorno alla realtà, il Golgota, che Gesù nella sequenza finale a terra implora con una preghiera straziante in cui grida di voler essere il Messia, e viene esaudito. Alla fine, quando la volontà di Dio è perfettamente compiuta, la pellicola non riesce a sopportare l’eccesso di realtà che ne scaturisce e si incendia: la morte in croce è dunque il trionfo della realtà e la totale sconfitta di quelle piccole e grandi tentazioni che avevano messo in crisi Gesù nella sua esistenza tribolata. La realtà, ovvero ciò che Gesù all’inizio cerca di domare, è ben prefigurata nel prologo dei titoli di testa con le spine in dissolvenza incrociata su sfondo rosso vivo: è un mondo fatto carne, che gronda sangue nei piedi e nelle mani trafitti dai chiodi, nei montoni sgozzati e scuoiati, nel cuore strappato. La ripresa del regista è sempre attenta al dettaglio, la sofferenza non viene mai celata o attenuata: il tutto è sottolineato dall’utilizzo di colori intensi, forti e laceranti. 3.1.2. Le citazioni della pittura e dell’arte italiana Ci sono nel film evidenti e a volte clamorose citazioni della pittura italiana, che conferiscono autorevolezza e splendore alle inquadrature che probabilmente ne guadagnano in significato; seguono alcuni esempi lampanti: a) Maddalena L’inquadratura è un chiaro richiamo a tutta una serie di figure artistiche sul nudo femminile; da queste si stacca per la condizione umana del soggetto: non è rappresentata una donna di condizioni sociali “alte” ma una prostituta di basso rango, sporca. I riferimenti pittorici sono numerosi ma forse il richiamo più netto è a Dominique Ingres: la posa è molto simile, vista da tergo ma mancano eleganza, purezza, soavità, nobiltà. 21 b) Il Battesimo di Gesù La scena del Battesimo è preceduta dalla visione notturna di un albero che spunta dal nulla: Gesù sta riposando di notte e mentre i discepoli dormono, si desta e desidera mangiare una mela: la prende dalla bisaccia, poi la apre, prende un seme del frutto (chiaro il riferimento alla parabola del seminatore) e lo getta a terra; spunta subito un alberello carico di frutti. Soddisfa così un desiderio estremo e lo realizza di notte quando la tentazione è solitamente massima. La citazione pittorica è complessa: Scorsese ricava degli elementi dal quadro di Piero della Francesca e li inserisce in momenti diversi della narrazione: anzitutto l’albero della vita nella tentazione notturna prima del Battesimo; poi le due figure di Gesù e del Battista ritte sul fiume Giordano a richiamo della loro dignità e statura morale oltre che spirituale. Nel quadro di Piero della Francesca c’è una persona sulla destra che si sta spogliando: nel film le persone (soprattutto donne) sono nude e si muovono in modo forsennato, come in trance: tutto viene riportato ad uno stadio primitivo e primigenio, simbolo evidente di purezza e centralità dell’uomo (tema chiave del Rinascimento). c) Crocifissione 22 Chiaro in Scorsese il riferimento al quadro di Antonello da Messina con i ladroni crocifissi sugli alberi; il quadro di Antonello da Messina esalta la sofferenza, la tragedia umana di una morte così ignominiosa d) Arco di Costantino (più in generale: l’arco di trionfo romano) Il regista, proponendo la sequenza in cui Cristo crede di scendere dalla croce per vivere finalmente e pienamente una vita normale, ripropone diversi edifici romani illuminati da una luce serale che impongono al quadro ombre lunghe e meditative. L’arco di trionfo inquadrato da Scorsese non è decorativo ma richiama la caducità del potere temporale umano. Ci sono poi altre rovine romane nelle quali S.Paolo annuncia il Vangelo: quasi come un’araba fenice risorgono dalle rovine le nuove speranze per lo spirito (basti ricordare il legame fortissimo che si instaurerà tra Cristianesimo e Roma). Infine Gesù sta conducendo i figli a casa e passa davanti ad un’altra rovina romana ripresa volutamente di scorcio: richiama direttamente il quadro di Giorgio De Chirico Mistero e Malinconia. Il turbamento esistenziale di Gesù, l’angoscia per non essere stato compreso da Paolo, si riflette nell’edificio che non appare mai di fronte allo spettatore lasciando sospeso ciò che il Cristo prova. Il quadro di Giorgio De Chirico ha le stesse angosce, gli stessi problemi espressi negli edifici (non nelle persone); entrambe le situazioni hanno qualcosa che le rende surreali: l’edificio con gli archi a tutto sesto, per l’appunto! Inoltre in entrambi vi sono delle ombre ma non riusciamo a vedere gli oggetti e le persone che creano tali ombre. Ecco il mistero che rimane tale: noi non sappiamo (nel film) se il Cristo abbia realmente scelto questa strada, il nostro è un atto di fede che sarebbe illusione (stando a quanto dice S. Paolo nella celebre scena del discorso finale). 23 e) Cristo morente Scorsese ricorre ad una ripresa frontale per scandagliare l’animo di Gesù vecchio e morente, così come Mantegna dipinge il Cristo morto. L’analogia è impressionante: stessa posa, stessa inquadratura, stesso punto di vista pittorico. Cambia il fatto che nel quadro Cristo è un uomo di mezza età morto, in Scorsese è un vecchio che si vede spento e prossimo alla morte. Ma il dramma è tutto umano, non c’è scampo, e lo stile statuario del pittore rievoca la sofferenza della morte in croce; se non fosse per i segni nei piedi e nelle mani (volutamente dipinte in modo che si vedano frontalmente i dorsi di esse) per il titolo del quadro e per le due donne alla destra del cadavere, potremmo anche pensare ad un uomo morto e non più sofferente. Infatti il viso cadaverico è sereno, l’abbandono alla luce che lo inonda è totale33. La luce non inonda il vecchio Cristo di Scorsese: del resto, la sua è una scelta tutt’altro che divina (quella di vivere con una donna, formarsi una famiglia, rinnegare il compito per cui è stato mandato). Se in Mantegna il divino si è fatto uomo (da notare la bellezza del cadavere di un uomo fisicamente perfetto) in Scorsese l’uomo è rimasto tale, degenerando in un ruolo che porta al nulla, all’autorinnegamento: il Cristo di Scorsese è solamente un vecchio, con uno straccio addosso per non far vedere un corpo sfatto, non certo un corpo umano a immagine e somiglianza divina come il Cristo del Mantegna. f) Conclusioni sulle citazioni pittoriche Scorsese è indubbiamente un abile regista che sa usare la citazione artistica per comunicare concetti nuovi. Il valore della citazione non è fine a se stesso, ma è foriero di idee, spunti e interrogativi rinforzati dalla stessa citazione. Le opere a cui fa riferimento il regista sono quasi esclusivamente quadri e sulla bidimensionalità del resto lavora anche la settima arte, con la differenza sostanziale che quest’ultima è caratterizzata dall’illusione di luci e ombre colorate (ovvero colori-luce); i quadri invece illudono tridimensionalità, profondità e concretezza stendendo terre e pigmenti (colori-solidi) su di una tela. Nell’illusione del reale vi è inoltre un’ulteriore illusione, ovvero che il Cristo abbia vissuto a lungo una vita come tanti altri, nell’anonimato più assoluto dovuto ad una quotidianità semplice, dove il divino sembra assente. Tutte le opere artistiche da cui Scorsese prende spunto denotano una forte connotazione umana: egli, per capirci, non richiama quadri del paesaggismo inglese, dell’astrattismo o dell’informale ma opere in cui l’uomo gioca sempre un ruolo chiave e ne è il soggetto. Inoltre, molti di questi quadri puntano decisamente all’aspetto divino dell’uomo, alla sofferenza che vi è nel vestire panni umani quando si è coinvolti in un discorso spirituale: se questi propendono però per un contenuto soprannaturale, il film (e le citazioni stesse) sottolinea con forza l’uomo, il materiale e tutto ciò che lega i due soggetti. Il divino pare un mezzo per tentare l’uomo a legare se stesso ancor di più al materiale; significativamente Gesù compie una magia più che un miracolo quando di notte, prima del Battesimo, getta un seme di una mela che desidera fortemente e ne nasce un melo. 33 La luce proviene da sinistra rispetto al Cristo, quindi quest’ultimo è in linea con i testi sacri, ovvero “alla destra del Padre” intendendo la luce come Dio. 24 Il Cristo di Scorsese è un uomo riluttante nei confronti del divino: le opere citate ritraggono un Dio divenuto uomo, che esalta in sé la natura divina proprio grazie all’incarnazione34. Il Cristo di Scorsese sembra un perdente in confronto agli altri uomini, mentre le opere citate contengono il seme di una vittoria netta e decisa, perché il Cristo ritratto è indubbiamente il Cristo che sconfigge le miserie umane sacrificando se stesso. Il Cristo di Scorsese non lascia dubbi sulla sua ignavia: tenta in ogni modo di scansare il problema, il pericolo di morire crocifisso35. Sotto il profilo estetico le opere citate sono estremamente valide, pregne di eleganza e sobrietà formale, splendide insomma; il film riprende queste opere trasponendole con brutalità, sporcizia e nessuna concessione al “bello”. La certezza presente nei quadri assume valore soprannaturale (osservandoli, non possiamo dubitare di quanto è avvenuto 2000 anni fa); l’incertezza che serpeggia in tutto il film sulla condizione del Cristo assume valore fin troppo umano. In ultima analisi, la visione del regista sulla figura di Gesù è incerta, stentata e messa dura prova dal concreto vivere umano; sta a noi spettatori e credenti compiere l’atto di fede per riconquistare il valore presente nelle opere artistiche citate e più in generale, nella figura stessa dell’uomo Gesù Figlio di Dio. 3.1.3. L’illuminazione Oltre alla già analizzata scena del Cristo morente, ci sono altri momenti in cui l’uso della luce è fortemente connotativo e simbolico, tra cui: a) la scena in cui Zebedèo risponde sarcastico a Gesù durante il discorso della montagna controsole, in contrasto con Gesù che parla in luce piena e chiara; b) nella scena del dialogo Pilato-Gesù: effetto luce dal lucernario: Pilato non capisce e non vede chi è Gesù, la luce filtra nella stanza oscura per illuminare la sua coscienza ma non è capace di vedere; subito dopo quando viene picchiato e flagellato in un ambiente angusto e in una sinistra penombra: Pilato rimanda Gesù in una totale oscurità, vuole proprio liberarsi di lui e di ogni possibilità di esserne “illuminato”; c) la luce accecante quando la croce viene eretta: siamo di fronte a qualcosa che non si può guardare senza esserne disturbati; d) nella tentazione-allucinazione, Maddalena si prende cura delle ferite di Gesù: alternanza luceoscurità, Gesù sta sognando, è come se guardasse un film, non è reale ciò che vede. 3.2. GLI EFFETTI SPECIALI Sono i “trucchi” che consentono di rappresentare la realtà secondo modalità di visione eccedenti rispetto all’esperienza ordinaria o perlomeno diverse. Scorsese non esagera nell’uso di questi effetti ma vale la pena segnalare nel film alcune tecniche usate in momenti particolarmente intensi; nel film sono utilizzati: a) il ralenti in quattro episodi: all’inizio nell’officina quando si apre improvvisamente la porta, nella sequenza della risurrezione di Lazzaro, nella scena della cacciata dei mercanti nel tempio quando Gesù getta le monete per aria e infine durante la Via Crucis. Lo scorrimento rallentato dei fotogrammi dilata il tempo di durata di questi momenti topici: è una sottolineatura, un’enfasi che costringe ad una visione più concentrata e attenta e provoca un coinvolgimento emotivo nello spettatore invitato quasi ad entrare nel protagonista dell’azione; b) il flou ovvero la ripresa sfuocata; da ricordare Gesù che aspetta Maddalena seduto dietro al presunto angelo: Gesù non è ancora “purificato”, deve superare l’ostacolo Maddalena per poter finalmente cominciar ad esser il Messia, la sua identità non è ancora “a fuoco”; c) i trucchi frutto del montaggio, in particolare: il montaggio interno: la scena a Magdala quando Gesù vede quattro misteriose figure a cammello (Gesù è immerso in una visione misteriosa, non è ancora padrone delle sue emozioni, ciò che vede lo suggestiona e lo risucchia) e la scena del 34 Del resto, quale centro dei valori rinascimentali vi è l’uomo, la perfezione umana e l’armonia è raggiunta grazie allo studio della proporzione umana. 35 Significativa la scena nel tempio in cui sgorga sangue dalle mani di Gesù: si sente mancare non per il dolore fisico bensì perché realizza di non poter evitare la morte. 25 gruppo dei discepoli che aumenta “per miracolo” (ora Gesù realizza i suoi desideri in maniera divina, senza dover sottostare alle leggi umane e fisiologiche); la dissolvenza incrociata: le spine dei titoli di testa che si incrociano sullo sfondo rosso avvertono lo spettatore sul tema di fondo del film, sofferenza, sangue e ardui ostacoli da superare. 3.3. ANALISI DELLE COMPONENTI CINEMATOGRAFICHE 3.3.1. Le inquadrature I modi della ripresa sono una caratteristica peculiare dei registi autori che scelgono con attenzione come filmare un’azione o un oggetto: scelgono il punto di vista e scelgono anche la quantità di spazio da inquadrare. Come scrive Casetti “queste scelte non sono senza conseguenze, poiché esaltano o aggiungono significati a quelli propri dell’oggetto inquadrato”36. Cercherò dunque di richiamare le scelte stilistiche maggiormente significative nell’economia dell’analisi semiotica intrapresa: a) campo totale: campo lunghissimo (Gesù che si mette in viaggio all’inizio) e campo lungo (Gesù in viaggio nel deserto in prossimità del monastero e prima delle tentazioni): il viaggio è un momento di passaggio che Gesù deve attraversare con fatica e sofferenza, per cui all’inizio l’ambiente sembra sovrastarlo e lui appare molto piccolo. Anche la scena del gruppo di discepoli che da piccolissimo si ingrossa e si avvicina attraverso il montaggio interno con dissolvenza, indica questo divenire grande che parte però sempre da un inizio difficoltoso; b) campo medio (nel discorso della montagna di Gesù e nel discorso di Paolo durante la scena della tentazione finale): rivela la scelta stilistica precisa di dare risalto all’azione in cui l’ambiente è relegato al ruolo di sfondo. Sono importanti le parole e colui che parla; c) campo-controcampo: tecnica usata per sottolineare il confronto drammatico tra due personaggi; in particolare sono da menzionare: i vari confronti tra Gesù e Giuda, il dialogo Pilato-Gesù e nella scena della tentazione finale: il dialogo Paolo-Gesù; d) figura intera: di solito il regista usa le riprese dal basso per esaltare il lato divino di Gesù (ripresa che ingrandisce) e quelle dall’alto per sottolinearne il lato umano, terreno e sofferente (ripresa che rimpicciolisce); e) primo piano: in evidenza il personaggio, il volto, l’unità psicologica (pensieri, emozioni, paure); moltissimi i primi piani per Gesù, spesso da angolature diverse e con movimenti circolari della mdp intorno al capo, per esprimere la potenza e l’energia soprannaturale dei suoi discorsi e azioni (ad esempio prima del discorso della montagna, quando compie gli esorcismi, nel tempio prima di scatenarsi) o per raffigurare l’angoscia dei momenti più bui (nel tempio, quando tutti aspettano il segnale della battaglia); f) primissimo piano: anche in questo caso le scelte sono altamente significative; colpisce ad esempio l’inquadratura della statua dell’imperatore all’inizio della prima scena del tempio e alla fine della seconda, un soggetto che fa da sfondo ma anche da tema centrale nella sezione del tempio. Si tratta certamente di un’ icona che non richiama soltanto l’impero romano sanguinario e violento (deduzione ottenuta dall’accostamento fatto dal regista tra la statua e il sangue che scorre attraverso il montaggio alternato) ma più in generale il male, il tentatore che segue Gesù e lo insidia continuamente, soprattutto qui nel tempio, proprio nella casa di Dio; g) dettagli: il rettile e i due serpenti incrociati sulla porta della Maddalena (richiamo in linea col dualismo ma anche della tentazione), la fiamma nel deserto (forse con ironia e sempre seguendo il tema del dualismo, il diavolo si rivela allo stesso modo di JHWH nel roveto ardente di Es 3,14), il capretto sbudellato, fuoco, monete, e l’anello nelle nozze di Cana (scena piena di dettagli), sangue dei sacrifici e monete per aria nel tempio, la menorah (scena del maestro del monastero morto e scena dell’ultima cena), il martello in aria che sta per inchiodare Gesù. Grande cura per i particolari del regista, che dissemina lungo tutto il film piccoli indizi apparentemente insignificanti; h) particolari: soprattutto piedi e mani; i piedi della Maddalena all’inizio (richiamo alla sua bassa condizione e alla sua professione poco onorevole), la mano inchiodata dello zelota, 36 F. CASETTI – F. DI CHIO, Analisi del film, op.cit., p. 77. 26 l’occhio del presunto angelo a casa di Maddalena, i piedi del maestro del monastero morto, la mano di Zebedèo che rinuncia a lapidare Maddalena, la mano di Gesù che estrae la mela dal petto, il cuore sanguinante al ritorno dal deserto, le mani di Lazzaro resuscitato con ancora le tracce della lebbra, la mano di Isaia che mostra a Gesù la profezia, le mani di Gesù che sanguinano nel tempio. Protagonista il corpo e le sue estremità che agiscono e creano azione sulla scena. 3.3.2. I movimenti di macchina “La funzione del movimento di macchina consiste nello scoprire nuove porzioni di realtà, nel mostrare l’altra faccia degli oggetti, nel definire meglio la situazione”37: a) panoramica orizzontale: la scena del battesimo; è un quadro che la macchina da presa scopre lentamente, è una scena carica di vitalità che sembra debordare dai confini dell’inquadratura; b) carrellata: all’inizio dopo i titoli di testa quando la mdp scorre sugli alberi, sembra cercare Gesù che infatti è lì vicino a terra, che sta pensando; c) zoom: le primissime inquadrature di Gesù, prima lontano poi subito vicino; durante il racconto della parabola del seminatore; prima della seconda tentazione nel deserto quando Gesù è dentro al cerchio; alla fine della tentazione quando Gesù si ridesta; è un movimento “apparente” che fa entrare direttamente e improvvisamente lo spettatore nei pensieri di Gesù d) piano sequenza: la casa di Maddalena e i clienti che aspettano; nella scena della tentazione finale: dai bimbi che giocano a Gesù che lavora il legno e poi San Paolo che cammina e spiega; tecnica usata dal regista per dare risalto agli ambienti, alle situazioni e agli spazi in cui si svolgono le scene, che evidentemente vanno scoperte gradualmente dallo spettatore; e) macchina a mano: l’operatore segue Gesù che declama i nuovi valori delle Beatitudini ed incalza nel discorso; il crescendo è dato dalla ripresa che si fa agitata con il salire del tono della voce di Gesù. Importante anche la scena in cui Gesù torna a Nazareth e viene contestato e cacciato: la macchina a mano sottolinea la drammaticità di questo violento rifiuto. 3.3.3. Le tracce grafiche Assieme all’immagine in movimento, le tracce grafiche costituiscono la componente visiva del cinema: si tratta di tutti i generi di scritte che sono presenti nel film e che hanno come funzione primaria comunicare in maniera chiara e diretta un certo messaggio allo spettatore. Anzitutto ci sono i titoli di testa: nelle didascalie iniziali e nei titoli di testa ci sono istruzioni di lettura molto precise, ed è fortemente indicativo l’ordine: titolo del film, autore (un film di Martin Scorsese), romanzo di provenienza (il soggetto), produttore esecutivo, sceneggiatore, produttore, il regista, che apre e chiude simbolicamente i titoli di testa; il cast viene presentato invece nei titoli di coda, quando la pellicola prende fuoco e suonano le campane a festa; poi ci sono le cosiddette scritte diegetiche cioè appartenenti alla realtà del film: all’inizio nella scena della crocifissione dello zelota, in evidenza la scritta seditio sul cartello dello zelota condannato alla crocifissione; si leggono le parole anche nel cartello di Gesù (INRI). 3.3.4. I codici sonori: voci, rumori e suoni Passando dalla componente visiva a quella sonora, occorre evidenziare tre ordini di fatti: voci, rumori e suoni musicali; riprendendo la schematizzazione del manuale 38 quindi passo all’analisi di questa componente. Voci a) voce in campo: una delle critiche mosse al film riguarda proprio la lingua scelta per attualizzare i dialoghi, un linguaggio semplice, con accenti americani, poco adatto secondo i critici ad un film storico o di costume; le autorità e satana hanno un accento inglese: Satana in particolare ha una voce metallica quando si manifesta come fiamma; il soldato che legge il capo d’accusa allo zelota da crocifiggere: voce gelida, che preannuncia efficacemente il terribile 37 38 Ibidem, p.84. Cfr. Ibidem, p.90. 27 supplizio; anche Pilato d’altronde ha un tono di voce freddo, cinico e flemmatico. Afferma a proposito il regista nella già citata intervista a Ciak: “Ciak: in un film d’epoca la chiave per rendere il tutto accessibile al pubblico è la plausibilità del linguaggio. Come vi siete comportati nel caso di The Last Temptation of Christ? Scorsese: Abbiamo tentato di semplificare il linguaggio e usare accenti americani, sebbene si sia tentato anche di conservare la poeticità di Kazantzakis. Ha scritto il libro in greco demotico, ma la traduzione delle sue parole in inglese risulta spesso troppo ridondante. Non abbiamo mai potuto usarla nel film. Le autorità come Ponzio Pilato, i soldati romani e Satana hanno tutti l’accento inglese, ma ci siamo concentrati soprattutto sugli attori americani. Volevamo usare l’americano in modo che il messaggio del film potesse essere accessibile alla gente di oggi, come se si trattasse di un sermone 39 pronunciato nella 48° strada” . La voce della folla: è un vociare indistinto e confuso che si contrappone al linguaggio chiaro e limpido di Gesù (esemplare l’episodio di Nazareth); è il popolo che parla ma non capisce e non si fa capire, una Babele: sulla croce Gesù non sente niente del frastuono della folla; il vociare della folla si dissolve all’inizio dell’allucinazione (fade out) e alla fine (fade in) determinando una chiara inclusione all’inizio e alla fine dell’allucinazione, segno quindi dell’uscita e del rientro nella realtà. La voce di Giuda: forte, chiara, autorevole, sempre sicura. b) Voce diegetica interiore (soggettiva audio): è la voce narrante, Gesù che pensa, racconta, spiega, rivolgendosi continuamente ad un ascoltatore immaginario più che a se stesso. É la prima voce che si sente all’inizio del film, quasi a prendere per mano lo spettatore e condurlo lungo l’impervia strada scelta dal regista, una storia che ha bisogno di molte spiegazioni; i momenti in cui si incontra questa voce narrante sono: all’inizio (già menzionato) sdraiato a terra e poi nell’officina, prima di andare a Magdala, nell’episodio della purificazione, prima del discorso della montagna, quando vede il Battista (battesimo), nel deserto quando disegna il cerchio, nel ralenti prima degli esorcismi, nella seconda scena del tempio e infine sul Golgota prima della crocifissione; assente la voce narrante nella lunga sequenza dell’allucinazione: anche questa è una spia della non realtà del momento, oltre ai colori tenui e luminosi. Rumori I rumori sono il secondo tipo di codici sonori e nel film di Scorsese sono molto curati e ed efficaci nel rendere verosimili le situazioni, soprattutto i momenti drammatici; secondo la triplice distinzione del manuale40 avremo: a) suono in campo: Gesù che lavora; Giuda che lotta; le catene dello zelota strascinato; il rumore allegro, vivace, da mercato, della città di Magdala; il sasso tirato a Gesù a Nazareth; il frastuono nel tempio; Gesù picchiato e flagellato; preparativi per la crocifissione sul Golgota; il vento che copre le grida sul Golgota, la vampata che uccide Maddalena, i colpi della scure, la città in fiamme dietro a Gesù (fiamme, grida, tuoni). Si tratta di rumori sottolineati che hanno la funzione di compattare la situazione audiovisiva, di renderla più verosimile perché riproducono fedelmente la situazione reale; b) suono fuoricampo momentaneo: i colpi del martello nelle crocifissioni, le mosche dentro al sepolcro di Lazzaro, passi e catene dei soldati che arrivano all’orto degli ulivi, il nitrito di cavallo da Pilato. Sono rumori che fungono da tessuto connettivo fra varie immagini riguardanti la stessa situazione oppure sono rumori che accentuano la realtà oppure avvertono che sta per succedere qualcosa che viene a rompere la momentanea tranquillità; c) suono fuoricampo radicale: i passi che Gesù sente ma che probabilmente sono un’allucinazione perché quando si gira non c’è nessuno. È un rumore che fa sentire ciò che Gesù sente e vive, rende partecipe lo spettatore del suo stato d’animo (soggettiva audio). Musica La musica è il terzo tipo di codici sonori e anche in questo caso il manuale suggerisce una triplice distinzione: 39 40 M.H. WILSON, The last temptation of Christ, op.cit., p. 28. Cfr. Ibidem, pp. 93-94. 28 a) musica in campo: battesimo, nozze di Cana, canto funebre per Lazzaro, l’entrata festosa a Gerusalemme. Val la pena osservare che il canto funebre all’inizio della scena di Lazzaro è (quasi) lo stesso che accompagna la pellicola bruciata subito dopo il grido liberatorio di Gesù tutto è compiuto: il canto funebre apre e chiude (inclusione) la grande sequenza finale in cui la morte appare come un approdo drammatico, inevitabile ma necessario. Lazzaro infatti risorge ma solo per poco, la morte è l’ultima parola; b) musica fuori-campo: a Magdala, lamento funebre (morte del maestro), nozze di Cana, preparativi per la Pasqua; c) musica over (soundtrack): grande punto di forza del film, la colonna sonora carica di pathos le immagini e le rende indimenticabili, accompagna e sottolinea i momenti topici, segue le emozioni e i sentimenti del protagonista, sembra quasi che le note e i ritmi siano modellati sui suoi stati d’animo. Efficace sia nei temi dolci e tranquilli che nei temi in cui il ritmo si fa frenetico e dominato da ridondanti percussioni; notevole la ricerca delle musiche del mondo, il risultato è un impasto sonoro di grandissimo impatto emotivo; lo stesso regista ha preso molto sul serio alcune idee musicali e le ha utilizzate per ritoccare alcune inquadrature: “I ritmi della musica marocchina mi hanno offerto spunti per disegnare le inquadrature, per questo sono stato molto felice che Peter Gabriel abbia potuto comporre la colonna sonora. Peter si è ispirato ai ritmi della Turchia, della Grecia, dell’Armenia, dell’Africa del Nord e del Senegal e li ha mescolati così da ottenere una musica primitiva”41 . d) audio sospeso: si tratta di un effetto speciale usato per marcare alcuni passaggi importanti; nel Battesimo serve ad isolare il dialogo Gesù-Battista da tutto il resto (effetto risalto); nella crocifissione, segna l’inizio dell’allucinazione. È una sottolineatura. 3.4. ANALISI DEI PERSONAGGI Mi rifaccio sempre alle indicazioni del manuale42 per analizzare i protagonisti del testo filmico; i tre personaggi analizzati sono Gesù, Giuda e Satana, ovvero: il protagonista, l’aiutante e l’antagonista. 3.4.1. Gesù. Gesù è un personaggio a tutto tondo (complesso e variegato), contrastato (instabile e contraddittorio), dinamico (in perenne evoluzione e involuzione). Gesù è un personaggio sia attivo che passivo: all’inizio infatti tende subire l’azione e l’iniziativa altrui, poi dopo la purificazione diventa fonte diretta di azione, opera in prima persona. È perlopiù personaggio autonomo, si pone come causa e ragione del suo agire; solo involontariamente influenza gli altri personaggi verso una direzione da lui non pensata. È senza dubbio un personaggio modificatore, che lavora per migliorare la situazione che lo circonda; solo nella parte iniziale tenta disperatamente di mantenere lo status quo. È il protagonista assoluto del racconto al punto da esserne in alcune fasi lui stesso narratore: non è semplicemente la sua storia, è Lui la Storia anche se lotta per convincersene. Gesù è il Soggetto della vicenda e come tale ha un obiettivo da raggiungere, un “Oggetto” da conquistare: l’Oggetto in questione nel film è probabilmente la coscienza di sé, quella consapevolezza che scaturisce dall’armonia tra uomo e Dio, tra cielo e terra, tra corpo e anima, tra sentimenti e aspirazioni. Gesù predica l’Amore e lo vive anche come rinuncia, sofferenza, prova, soffre per comprendere, accettare e attuare la volontà di Dio e proprio nel momento supremo resiste all’estrema tentazione e si ricompone perfettamente; il sorriso finale e la frase tutto è compiuto suggellano e segnano il raggiungimento della meta. 3.4.2 Giuda Personaggio intrigante e rivisitato frequentemente nel cinema cristologico, nella traduzione di Scorsese è l’amico, l’aiutante di Gesù, il chiarificatore, colui che è presente in tutti i passaggi chiave, dall’inizio alla fine: anche nell’allucinazione è presente e dà il via al risveglio. È un personaggio lineare e coerente, lungo l’intera storia narrata; il suo tradimento è necessario e 41 42 D.AUDINO, Martin Scorsese, op.cit., p.49. Cfr. CASETTI-DI CHIO, Analisi del film, op. cit., pp.170-179. 29 voluto, perfettamente e consapevolmente inserito nel piano divino: è Gesù stesso che lo sprona e lo incoraggia ad andare fino in fondo. Giuda è un personaggio attivo e autonomo; opera inoltre per cambiare la realtà, è uno zelota, persegue il cambiamento ad ogni costo e se necessario si coinvolge anche fisicamente. 3.4.3. Satana È l’antagonista, presente in varie forme, visibili e invisibili; già il movimento iniziale della mdp suggerisce la sua presenza, che bracca Gesù e lo tiene in scacco. Riesce a mettere spesso in difficoltà Gesù, cerca di sedurlo in più modi, direttamente attraverso Maddalena oppure con modalità più subdole (le tentazioni soft): le distrazioni per esempio, Gesù che si incanta a guardare la gente, il paesaggio; è spesso rapito dalla sua esperienza terrena, sembra sbilanciato, incapace di vivere in maniera armoniosa il suo essere uomo e Dio. Le sue incertezze, titubanze e pause segnalano, anche grazie ai mdm, la presenza di Satana, ostacolatore instancabile! Satana appare due volte direttamente come fiamma e con la sua vera voce , metallica e sinistra; altre icone che ne indicano la presenza sono: il serpente, il leone, l’angelo della tentazione. Cerca fino all’ultimo di impedire il raggiungimento della meta da parte del protagonista ma infine deve cedere il passo; le fiamme finali segnano ironicamente la sua definitiva sconfitta. 3.5. ANALISI DEGLI EVENTI E DELLE TRASFORMAZIONI Nella dinamica narrativa ci sono personaggi che agiscono e ci sono eventi che accadono: nell’analisi del testo mi soffermo sugli eventi provocati da agenti animati ovvero le azioni 43, in particolare sulle azioni del protagonista Gesù. 3.5.1. L’azione come comportamento (livello fenomenologico) Il comportamento di Gesù è sostanzialmente di due tipi: volontario-cosciente (tutta la storia di Gesù dalla purificazione alla crocifissione) e involontario-incosciente: Gesù che all’inizio costruisce croci per i Romani, agisce come sotto ipnosi; poi ci sono le visioni e tutta l’allucinazione finale in cui immagina di compiere tutta una serie di azioni alcune delle quali sono particolarmente forti: ad esempio la scena in cui Gesù perde la pazienza alla morte di Maddalena e colpisce la terra in maniera incontrollata. 3.5.2. L’azione come funzione (livello formale) Le funzioni sono tipi standardizzati di azioni che, pur nelle loro infinite varianti, i personaggi compiono e continuano a compiere di racconto in racconto; facciamo dunque i conti con realtà prese non di per se stesse ma per la loro forma canonica, passando da un piano fenomenologico ad uno appunto “formale”. Seguendo la lista che la narratologia ha stilato a partire dalle fiabe popolari russe, abbiamo nel film: a) La privazione. La storia comincia con una mancanza: Gesù è troppo umano, la sua natura divina è lontana, c’è ma non si vede e il protagonista non ha nessuna voglia di essere quello che dovrebbe. La privazione è di Gesù ma anche dello spettatore a cui viene tolto un riferimento solitamente intoccabile: la coesistenza delle due nature dovrebbe essere perfettamente realizzata e armoniosa sin dall’inizio, con gradualità solo nella manifestazione. b) L’allontanamento. Gesù supera la crisi dopo averne raggiunto il culmine; ecco che parte, si allontana fisicamente e si dirige verso un luogo adatto (il monastero) al ritrovamento di sé e dell’armonia perduta (o forse mai avuta: il film non lo dice ma lo fa intuire). Si allontana, si separa dalla sua casa, dal suo paese, da sua madre, da Maddalena; ma soprattutto si allontana dalle sue paure, dalla parte di sé debole e facilmente preda di satana, dai suoi incubi, dai passi che lo seguono, dalle voci che lo tengono sveglio, dagli artigli che lo torturano. c) Il viaggio. Gesù compie un primo viaggio importante da Nazareth al monastero ed è il primo passo per l’acquisizione della consapevolezza; il secondo è il viaggio per incontrare il Battista; il terzo nel deserto dove subirà le tentazioni; il quarto è il viaggio della conferma e della piena manifestazione del Messia che si dirige verso Gerusalemme. L’ultimo viaggio, il più difficile e drammatico, sul Golgota: scende fino alle viscere dell’umanità, esplora pienamente il suo essere anche carne; è un viaggio interminabile secondo il tempo filmico e la fine dell’incubo43 cfr.Ibidem, pp. 182-199. 30 allucinazione di Gesù è liberatoria. La metafora del viaggio è particolarmente adatta a configurare l’itinerario psicologico di Gesù e i momenti di difficoltà e incertezza. d) Il divieto. Gesù non può avere una famiglia, dei figli, una vita normale: questa è la realtà vissuta all’inizio come una condizione penalizzante e sofferta e poi gradualmente come conquista positiva e costruttiva di senso per sé e per l’umanità. Gesù si mantiene fedele a questo principio, non cede mai alla tentazione, neanche alla fine. e) L’obbligo. Gesù ha una missione terribile da compiere: subito non lo sa, è il profeta Isaia a rivelargli il suo destino, e tutto deve passare attraverso la morte. Ci riuscirà, con ogni tipo di sofferenza e con dubbi che non ci si aspettano dal Figlio di Dio. f) L’inganno. I travestimenti di satana che adopera tutta la sua astuzia per far capitolare il Figlio di Dio, ma soprattutto lo blandisce con la prospettiva di una vita normale, lontana dai fastidi della “notorietà”. La bellezza in ogni forma diviene il nascondiglio di satana, non solo le donne, ma anche i bambini, il paesaggio, i colori, la realtà. g) La prova. Ci sono le prove preliminari: la tentazione nella capanna del monastero, le tentazioni nel deserto, la tentazione “soft” a casa di Marta e Maria, nell’orto degli ulivi e poi alla fine quando nella perdita dei sensi deve combattere il maligno con il minimo di forze disponibile ma con un sussulto si ridesta e vince, portando a compimento il lungo viaggio di ritrovamento di sé e quindi colmando la mancanza da cui la storia era partita. 3.6. LA DIMENSIONE NARRATIVA: LA MODALITÀ DI SCRITTURA44 La struttura narrativa del testo può essere distinta in tre momenti: a) L’esordio: dai titoli di testa fino alla purificazione di Gesù. È il momento della prova per lo spettatore, che viene sottoposto ad una scarica di “novità” che lo spiazzano completamente e lo introducono in un percorso alternativo: attenzione, i patti sono chiari nei cartelli iniziali, ed è una specie di contratto che lo spettatore firma fidandosi del prestigio dell’autore. Le novità sono davvero difficili da accettare: che ci fa il Messia a terra, in balìa di un male misterioso? Lo ritroveremo alla fine a terra, nell’allucinazione, che si avvia disperatamente al risveglio. La tecnica narrativa usata è quella del “racconto-pensiero”: Gesù mette al corrente gli spettatori di ciò che gli frulla per la testa, e questo è ciò che detta i tempi, non i fatti che si succedono ad un ritmo strano, tipicamente anti-narrativo nello stile di Scorsese almeno sin dai tempi di Taxi Driver. b) Il blocco centrale: la purificazione segna l’inizio della nuova vita di Gesù, finalmente libero dalle angosce iniziali, consapevole della sua identità e della sua missione; sembra aver raggiunto un equilibrio decente e lo spettatore può tirare un sospiro di sollievo e ripensa all’inizio come a uno scherzo del regista. Tuttavia nel racconto-pensiero si intravedono ancora forti dubbi, la ricerca di senso è ancora lontana dall’essere soddisfatta, e la presenza di Giuda rimane decisamente ingombrante ed imbarazzante. Non ci sono solo le tentazioni nel deserto, rappresentate dal serpente (l’anima), dal leone (il cuore) e dalla fiamma (satana in persona): c’è Maddalena che prova a trattenerlo e ci sono Marta e Maria che candidamente gli fanno intravedere le gioie della paternità. Tuttavia con un po’ di affanno supera queste prove e si dirige verso Gerusalemme forte e sicuro, grazie anche alle gesta prodigiose compiute. La storia in questa parte centrale del film è abbastanza in linea con i Vangeli, ma permane una inquietudine, una tensione di fondo che mantiene aperta la possibilità dell’imprevedibile; e poi ci sono le pause, i pensieri, gli sguardi prolungati di Gesù affascinato e “distratto” dalla realtà terrena in tutte le sue manifestazioni. c) Parte finale: passione, tentazione, risveglio. Non ci sono sorprese fino alla crocifissione, ma nel momento di maggiore sconforto, succede qualcosa di totalmente imprevisto: l’audio viene sospeso, e Gesù entra in un’altra realtà, segnata da un cambio radicale di immagini e colori. La tentazione, che nel corso del testo aveva fatto capolino in varie forme, alcune anche “innocenti” ora prende il sopravvento e quella che era un’aspirazione inconscia di Gesù diventa prima realtà finalmente realizzata e poi alla fine un terribile incubo che lo getta nuovamente a terra, sfiancato 44 Cfr. Ibidem, p.210-211. 31 proprio come all’inizio del film. Ed è prima San Paolo e poi Giuda a dargli la sveglia e ad avviare la restaurazione degli equilibri pericolosamente rimessi in discussione. Appare la fiamma che aveva dato appuntamento a Gesù nel deserto, ma il rosso fuoco che si intravede dalla porta d’entrata di Gesù in agonia è il segno del ritorno alla realtà, alla lotta; finalmente Gesù si ridesta e si ritrova “felicemente” sulla croce, sembra non sentire più il dolore, solo la incontenibile gioia di aver superato la prova estrema, ora può morire in pace, e la storia si chiude qui senza neanche abbozzare qualcosa sulla Resurrezione già comunque efficacemente descritta da San Paolo nel vibrante discorso precedente. Scorsese porta alle estreme conseguenze un tipo di narrazione moderna già sperimentata ampiamente dai primi anni settanta: l’inizio del film è l’apoteosi dello squilibrio, le situazioni e i personaggi sono indefiniti, i ruoli sono fluttuanti, abbondano le pause e i momenti incerti; tutto è sconnesso e totalmente imprevedibile, domina il senso di sospensione e di incertezza. Gesù è il protagonista ma in realtà è sovrastato dagli eventi (che dovrebbe dominare) e dai personaggi (che dovrebbe indirizzare): straziato da un conflitto interiore, è incapace di reagire alla forza di Giuda, alla rabbia della folla, all’indignazione di Maddalena. Scorsese è riuscito senza dubbio a creare suspence in una storia talmente nota che non dovrebbe averne: in realtà in questo film l’approdo e il traguardo finale, cioè il compimento della missione divina, sono sempre sospesi e incerti: il Gesù di Scorsese sembra sempre sul punto di non farcela ad essere veramente il Figlio di Dio. Il risveglio finale è la fine di un incubo che ha stremato non solo il protagonista ma anche il fruitore della storia, lo spettatore. 3.7. ANALISI TEMATICA: I PUNTI DI FORZA DEL TESTO FILMICO Alla fine di questa analisi circolare e inclusiva, dal generale al particolare per ritornare ad uno sguardo finale panoramico, tento di indicare alcuni dei motivi basilari del testo filmico che sostengono la narrazione e che confermano lo stile dell’autore-regista. 3.7.1. La tentazione È il cuore ed il perno attorno a cui ruota l’intero testo filmico; la preghiera dell’orto degli ulivi e il grido disperato sulla croce (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?) fanno ragionevolmente pensare ad una discesa certamente momentanea ma “reale” del Messia negli abissi della fragilità umana. 3.7.2. Autenticità e consapevolezza Il dubbio esistenziale attraversa l’intero testo filmico: ricerca di senso e desiderio di comprensione della propria identità nella martellante domanda Chi sei? Chi è? Gesù rivolge la domanda a se stesso, se la sente addosso come una ossessione, ma questo interrogativo è presente anche nelle altre opere di Scorsese per bocca dei protagonisti che spesso fungono da alter-ego del regista: la ricerca della risposta conduce spesso il ritmo della narrazione. Gesù come Scorsese è un cercatore di Verità e non si accontenta di facili risposte. Val la pena ripercorrere i momenti in cui ricorre la domanda, sempre pronunciata con estrema forza e vigore, quasi a pretendere una risposta che solo talvolta viene concessa (sono i momenti in cui lo spettatore presumibilmente si chiede: cosa sta succedendo?): episodio 1; Gesù nell’officina, appena prima della porta spalancata (ralenti, primo piano, occhi sbarrati e spaventati): “Chi sei? Chi è?” 45 episodio 5; il maestro del monastero a Gesù: “Io lo so chi sei!” episodio 6; Giuda a Gesù: “Ma chi sei? Che razza di uomo sei?” episodio 9; il Battista a Gesù: “Tu chi sei? Chi sei tu?” episodio 10; Gesù nel deserto al serpente: “Io non ti ho chiamato: chi sei?” e poi al leone: “Chi sei tu?” episodio 11; alla domanda di Gesù: “Chi è con me?” Giuda risponde: “Adonai” episodio 13; I Nazaretani a Gesù: “Sei il figlio di Maria vero? Chi sei tu per parlare di Dio?” e poi Gesù a Maria: “Chi sei donna? Io non ho madre né famiglia, ho solo un Padre, nei Cieli. Chi sei? Dimmi, chi sei donna ? Chi sei?” 45 la numerazione corrisponde al formato DVD. 32 episodio 15; Gesù nel tempio: “Io sono la fine della vecchia legge e l’inizio di quella nuova” episodio 16; Gesù a Giuda: “Io sono l’Agnello che deve morire” episodio 18; Gesù di nuovo nel tempio: “Io sono qui!” episodio 21; tutto il dialogo-interrogatorio Pilato-Gesù, la ricerca di Pilato non ha sbocchi perché le sue domande si pongono su un piano diverso e non comprende la visione di Gesù. episodio 23: Gesù in croce al presunto angelo: “Chi sei?”; è l’inizio dell’allucinazione. episodio 26: Paolo racconta la sua visione di Gesù sulla via di Damasco: “Chi sei?” e la voce rispose: “Gesù”; Paolo pronuncia poi una meravigliosa professione di fede che altro non è che il Kerygma della Chiesa primitiva. 3.7.3. La solitudine Gesù è un uomo solo, ed è una solitudine simile a quella dei protagonisti dei film di Scorsese: deve affrontare le prove della vita con le proprie forze, nemmeno al Figlio di Dio sono risparmiate le sofferenze derivanti dall’umana debolezza. La sua è una solitudine ancora più intensa e dolorosa perché perfettamente consapevole: nessuno lo può capire e aiutare; anche Giuda che è il più forte e il più acuto, non comprende che tipo di uomo si tratti e di quale tipo di Messia. 3.7.4. La violenza Altro tema tipico del regista, che non ama la violenza in sé ma sceglie di mostrarla senza censure perché fa parte della realtà; e quindi le scene di violenza e di morte sono riprese nella loro piena crudezza, con efficace attenzione ai dettagli e ai particolari. Ma non c’è solo la violenza fisica: Gesù subisce dall’inizio alla fine la violenza psicologica del tentatore che cerca di inibire la sua natura divina e il raggiungimento dell’ obiettivo finale. Anche Gesù sa essere violento e forte: se occorre, mette da parte l’Amore, prende in mano la scure e fa piazza pulita delle sozzure e del disordine; soprattutto con Satana non è il caso di essere teneri! 3.8. ANALISI DELLA COMUNICAZIONE Mi attengo nuovamente alle indicazioni di Casetti che conclude il suo manuale sull’analisi del film con un capitolo dedicato alla comunicazione46: il film può essere analizzato come oggetto della comunicazione e come terreno della comunicazione stessa. Un film deve suggerire o indicare da quale destinatore proviene, a quale destinatario si indirizza, quali finalità lo motivano, in quali modi si presenta: il film, come ogni testo, si trova ad iscrivere in sé la comunicazione nella quale è preso, rivelando da dove viene e a chi vuole andare47. Non è detto che poi la comunicazione concreta vada nel senso indicato e auspicato dal testo: letture distorte o fraintendimenti sono possibili e L’ultima tentazione sembra scritto apposta per suscitare letture opposte. Esistono comunque elementi che hanno il compito, all’interno del testo, di simulare un rapporto comunicativo ed è attraverso le tracce che lascia nel testo che l’Autore si definisce come tale e nelle sue peculiarità, imprimendo una sorta di firma personale alla sua opera48. 3.8.1. Autore implicito e spettatore implicito (progetto comunicativo e condizioni di lettura) Il punto di approdo dell’analisi semiotica di un testo è capire il “progetto comunicativo” che sta alla base del film e che è rintracciabile nella figura dell’autore implicito a cui corrisponde uno spettatore implicito, cioè la chiave di accesso al testo, le condizioni di lettura dettate dal film stesso49; sin dai cartelli iniziali e dai titoli di testa è possibile rintracciare queste due figure nell’Ultima Tentazione: 46 Cfr. Ibidem, pp. 214-259. Cfr. Ibidem, p. 218. 48 Cfr. Ibidem, p. 220. 49 Cfr. Ibidem, p. 221. 47 33 “La doppia essenza di Cristo, il desiderio, così umano, così soprannaturale, dell’uomo di arrivare fino a Dio… è sempre stato per me un mistero profondo e impenetrabile. Fin da quando ero giovane la mia angoscia dominante, sorgente di tutte le mie gioie e di tutte le mie amarezze, è stata la lotta spietata e incessante fra la carne e lo spirito… e la mia anima era il campo di battaglia sul quale questi due eserciti si affrontavano” NIKOS KAZANTZAKIS dal romanzo “L’Ultima Tentazione” Parole prese alla lettera dalla prefazione del romanzo di Kazantzakis: l’Autore implicito propone l’ottica dello scrittore greco e prepara lo spettatore implicito ad un Gesù un po’ diverso; al primo cartello ne segue infatti un secondo inequivocabile: Questo film non è basato sui Vangeli. E’ solo una ricerca fantastica sugli eterni conflitti dello spirito Precisazione-avvertimento dell’Autore implicito: indica allo spettatore il punto di vista più adeguato per accostarsi al testo, e lo invita a porsi su un piano diverso rispetto all’iconografia e alla filmografia tradizionale su Gesù; questo film non è come gli altri, belli o brutti ma sempre sostanzialmente fedeli almeno nelle intenzioni al dato biblico; e comunque i Vangeli ci sono e in momenti non marginali. Scrive Kazantzakis al termine del suo romanzo: “Questo libro non è una biografia, è una confessione di lotta. Scrivendolo ho fatto il mio dovere. Il dovere dell’uomo che ha combattuto molto, che ha sofferto molto durante la propria vita e che ha sperato molto. Sono sicuro che ogni uomo libero leggerà questo libro pieno d’amore, amerà Cristo più che mai, meglio che mai”. Il regista ha trovato in questo libro un Gesù consono alla sua visione dell’uomo: i suoi personaggi sono spesso persone che lottano, conflittuali, complesse, indecifrabili. La loro psiche imprime alla storia un andamento “anti-narrativo” e apparentemente senza sbocchi. Lo schermo si colora di rosso che sarà il colore dominante del film con tutta la sua valenza simbolica: vita e morte, passione e sofferenza, calore e terrore; è anche il colore della lotta e della “realtà”. Sullo sfondo rosso compare una corona di spine nere: la raffigurazione, alternata in dissolvenze incrociate, conduce al titolo del film, su cui si scatena una musica selvaggia e tribale dominata dalle percussioni. Sono immagini che grondano sofferenza e preannunciano tutta la forza visiva e la potenza spirituale delle scene più “forti” del film. L’ULTIMA TENTAZIONE DI CRISTO (THE LAST TEMPTATION OF CHRIST) 34 Un film di MARTIN SCORSESE Tratto dal romanzo di NIKOS KAZANTZAKIS Produttore esecutivo HARRY UFLAND Sceneggiatura PAUL SCHRADER Prodotto da BARBARA DE FINA Diretto da MARTIN SCORSESE Martin Scorsese apre e chiude i titoli di testa: non solo regista, ma Autore, colui che ha voluto e realizzato l’opera. Tratto dal romanzo di Nikos Kazantzakis: ribadita la fonte principale, un ulteriore avvertimento allo spettatore implicito: attenzione, non è la storia che tutti conosciamo. Compaiono i nomi dei produttori e dello sceneggiatore: il loro apporto è decisivo e costitutivo, sono gli audaci che hanno raccolto la sfida di Scorsese. 3.8.2. Narratore e narratario a) Narratore (figure di emissione): il ruolo di narratore nel testo filmico è svolto dalla voce pensante di Gesù (soggettiva audio) che fa da introduzione e da spiegazione, guida lo spettatore all’interno delle sue vicende interiori; anche alcune soluzioni stilistiche particolarmente espressive, che risultano essere la firma dell’autore sul film, svolgono la funzione di emissione: il montaggio interno della misteriosa visione a Magdala, la scritta seditio sul titulus crucis, l’uso del ralenti in momenti emotivamente intensi e particolari, un uso particolare della luce che in certe sequenze restituisce un effetto irreale, i dettagli, l’uso del muting (sospensione audio), la pellicola che si incendia alla fine, tutte quelle riprese insomma che denotano la chiara presenza dell’autore che plasma personalmente le immagini e le porge allo spettatore. b) Narratario (figure di ricezione): “Il narratario è l’espediente con il quale l’autore implicito informa lo spettatore reale su come giocare la parte dello spettatore implicito”50 ed è dato: - da tutte le riprese in cui è protagonista lo sguardo: occhi sbarrati, occhi socchiusi (nella sequenza iniziale gli occhi sono richiamati esplicitamente da Giuda: guardami, guardami), occhi in estasi (sguardo fisso della visione), le soggettive (audio e video), occhi che cercano e indagano (Gesù che si gira a vedere chi lo segue, e sul Calvario cerca le donne), il dettaglio dell’occhio del presunto angelo nella casa di Maddalena; - dalla domanda continua Chi sei? Chi è?: pronunciata con lo sguardo in macchina, è anche per lo spettatore, chiamato a mettersi in gioco, ad esplorare le sue profondità; - dalla figura di Giuda, amico ma anche osservatore che segue l’intera vicenda ed incarna il desiderio di capire ed anche l’indignazione che si presuppone per lo spettatore, invitato a partecipare alla vicenda con la stessa forza d’animo e passione; - dalla folla che è presente sulla scena ma non incide sulla vicenda ed ha come unica attività il guardare, presenza che non influenza. Tirando le somme: possiamo cogliere il principio di costruzione del film, la logica che lo regge nella domanda ricorrente Chi sei? Chi è? Ma anche nella domanda più brutale di Giuda: “Ma chi sei? Che razza di uomo sei?” e il principio di intelligibilità del film, la chiave di accesso nelle parole finali di Giuda: “Un angelo? Quale angelo? Guarda bene!” e di Gesù: “Voglio essere Tuo Figlio, voglio pagare il prezzo, voglio essere crocifisso e voglio risorgere, voglio essere il Messia!” 50 Cfr. Ibidem, p. 224. 35 3.8.3. Il punto di vista “Intuitivamente, nei testi filmici, il punto di vista è il punto in cui è stata collocata la macchina da presa: in questo senso il punto di vista coincide con l’occhio dell’emittente” 51 ma nella soggettiva52, nella raffigurazione dei sogni, nel flashback, colui che agisce sulla scena si fa carico di vedere il film per lo spettatore: occorre allora distinguere tra punto di vista ultimo (autore e spettatore impliciti) e specifico (i vari narratori e narratari): - angelo-satana: lo si può definire ironicamente “narratore inattendibile”; tutto ciò che dice e fa nell’allucinazione è fuorviante rispetto a quello dell’autore implicito; - Giuda: è un narratore il cui punto di vista è conforme a quello dell’Autore e dello spettatore impliciti; - Pilato: è un narratore con un punto di vista totalmente difforme rispetto all’autore e spettatore impliciti, esprime una morale “altra”, vede la realtà diversamente rispetto alla linea del film. La soggettiva è il punto di vista più tipico nel film; grazie a questa ripresa lo spettatore assume una posizione attiva, entra direttamente nella storia: noi spettatori ci troviamo a passare per gli occhi del protagonista Gesù, possiamo entrare nella sua mente, nelle sue emozioni, possiamo ascoltare ciò che pensa: grazie a Gesù assumiamo una posizione attiva ed entriamo “in campo”. Le soggettive nel film sono sempre per Gesù, in particolare: - quando si sente seguito all’inizio del viaggio e si gira di colpo perché sente dei passi strani; - quando entra a Magdala e si incanta a guardare la città e i suoi abitanti; - quando osserva da lontano il monastero dove avverrà la purificazione; - nel tempio, quando è indeciso sul tipo di azione da compiere; - durante la passione e la crocifissione. Sono momenti in cui è necessario per la comprensione del testo l’immedesimazione dello spettatore con il protagonista. CONCLUSIONE SULL’ANALISI DEL TESTO L’analisi del testo L’ultima tentazione di Cristo ha come obiettivo finale valutare le possibilità didattiche di un film diverso da quelli solitamente adoperati nelle aule scolastiche dove spesso la preoccupazione dominante e comprensibile è non turbare e non offendere; penso di poter concludere che, data la ricchezza e la complessità del testo e le infinite possibilità di lettura, si tratti di una coraggiosa, originale e certamente discutibile traduzione53 della figura di Gesù. Il film è fedele al titolo ed è onesto nel dichiarare lo spunto di partenza e la non aderenza al testo biblico: le inesattezze rispetto ai Vangeli ci sono e derivano quasi tutte dal romanzo di Kazantzakis54, ma non inficiano la bontà dell’opera filmica che nella sua globalità ha il grande merito di guardare al sacro da una prospettiva laica e disincantata che può avvicinare molti noncredenti e far riflettere i credenti assopiti e bisognosi di un salutare scossone. Scorsese non è un teologo e si vede, non è neanche un regista specializzato nel sacro ma è un autore che sa tratteggiare efficacemente la dimensione orizzontale e verticale dell’uomo e sa usare i mezzi espressivi a sua disposizione con uno stile inconfondibile e, in questo film, particolarmente incline al pittorico. Detto ciò, permangono alcune aporie sul versante squisitamente dottrinale che il film ha lasciato scoperte e irrisolte e che è opportuno, per quanto possibile, chiarire. 51 52 Ibidem, p. 228. Modalità di ripresa che permette allo spettatore di vedere ciò che vede il protagonista . 53 Occorre tenere presente quando detto all’inizio riguardo ai termini trasposizione-traduzione-tradimento (Cfr. A. BOURLOT – D.E. VIGANO’, Dal tradimento alla traduzione: le figure di Gesù nel cinema, op.cit., p.67): L’ultima tentazione di Cristo in senso stretto è un tradimento perché il Gesù di Kazantzakis-Scorsese è diverso dal Gesù dei vangeli; ma se si intende il termine traduzione come tentativo di calare il testo originale (biblico) in un contesto nuovo (quello che urge all’autore quando riscrive), allora per il lavoro di Kazantzakis (romanzo) e Scorsese (film) si può parlare di traduzione. 54 Ottimo a proposito l’articolo apparso su civiltà Cattolica all’indomani dell’uscita del film nelle sale (Cfr. F. CASTELLI, Il Cristo di Nikos Kazantzakis, in “Civiltà Cattolica”, n.3322 (1988), pp. 322-335). 36 V NODI DOTTRINALI (versante teologico del film) Ogni film su Gesù è soggetto a discussioni e a critiche, perché il linguaggio filmico, pur disponendo di numerosi codici comunicativi, non riesce mai a tradurre (o trasporre) in modo pienamente soddisfacente la Parola Biblica, la cui ricchezza semantica supera qualsiasi mezzo umano espressivo; ne consegue che ogni film che tratta l’argomento è in partenza inadeguato. Osservando il percorso del cinema cristologico, sono davvero pochi i testi filmici che oggi potrebbero superare il vaglio di una severa analisi testuale ed esegetica. Scorsese apre ed affronta problematiche che non rientrano nel suo bagaglio e nelle sue competenze, tuttavia il suo Gesù merita perlomeno di essere attentamente analizzato e confrontato con le recenti tendenze teologiche. 1. LA QUESTIONE CRISTOLOGICA55 Nella già citata intervista a Ciak il regista afferma: “Nel corso degli anni mi sono allontanato dalla Chiesa, non sono più un cattolico praticante e ho messo in dubbio molti dei suoi insegnamenti. Kazantzakis nel suo romanzo si è occupato di entrambe le nature di Gesù, e Paul Moore vescovo episcopale di New York mi ha spiegato che, da un punto di vista cristologico, questo è corretto; il dibattito risale al Concilio di Calcedonia del 451 nel corso del quale venne discusso quanta parte di Gesù fosse divina e quanta umana. Pensavo che questo scontro interno fosse altamente drammatico e avrebbe costretto le persone a prendere sul serio Gesù o, perlomeno, a rivalutare i suoi insegnamenti”56. Aggiunge inoltre: “La rappresentazione tradizionale vuole che Gesù cammini in una stanza illuminandosi, così tutti sanno che in lui c’è qualcosa di speciale. Nella rappresentazione di Kazantzakis, Gesù è un uomo che combatte con il lato umano della propria natura e viene a patti con il Dio che è in lui. È una prospettiva interessante: il Gesù di Kazantzakis è un uomo che ha sofferto, sebbene sia realmente Dio. Per questo egli può veramente capire la nostra pena. Il lato umano di Gesù lo spinge ad attraversare la nostra stessa confusione e profonda ricerca”57. Il regista è consapevole di muoversi su un terreno che non gli è proprio congeniale; gli si deve comunque riconoscere il merito e l’onestà di documentarsi o perlomeno di porsi il problema. È esatto il riferimento a Calcedonia, concilio fondamentale per la chiarificazione della dottrina delle due nature. La fonte principale del film è il romanzo di Kazantzakis da cui provengono gran parte delle inesattezze e degli errori presenti nel testo filmico; evidentemente la rivisitazione fatta dallo scrittore greco ha solleticato più dei testi canonici la spiccata visionarietà del regista bisognoso di scansare il paragone con i grandi maestri neorealisti che avevano offerto una lettura memorabile del testo evangelico. Per evitare l’imbarazzante confronto Scorsese è caduto nelle tipiche eresie dell’era patristica, rimettendo in discussione un asserto teologico acquisito con grande fatica 1500 anni fa; la preoccupazione della Cei che ha bollato il film come moralmente offensivo è comprensibile: c’era il rischio che potesse serpeggiare in qualche modo il dubbio che l’unione delle nature fosse stata conquistata da Gesù lottando e messa in discussione fino all’ultimo istante. Il dato dottrinale parla di unione delle due nature perfetta sin dalla nascita, anzi, sin dal concepimento; inoltre la coesistenza delle due nature nell’unica persona Gesù si sarebbe mantenuta perfetta e armoniosa in tutto il corso della sua permanenza nel mondo. Sono interessanti gli avverbi polemici con cui il concilio di Calcedonia, contro le eresie del tempo, definisce la coesistenza delle due nature: senza confusione (contro Eutiche), senza cambiamento (contro Apollinare), senza divisione e senza separazione (contro Nestorio) 58. 55 Indicazioni bibliografiche e consulenza: Sergio De Marchi D. AUDINO, Martin Scorsese, op.cit., p. 48. 57 M.H. WILSON, The last temptation of Christ, op.cit., p. 26. 58 Cfr. M. BORDONI, Gesù di Nazaret: presenza, memoria, attesa, Queriniana, Brescia 19912, p.323. 56 37 Marcello Bordoni afferma che il credo di Calcedonia salvaguardò la irriducibile differenzadistinzione tra l’uomo e Dio e ne affermò la più intima e profonda unione59; aggiunge inoltre che la cristologia calcedonese rese possibile la sintesi del “Gesù della storia” e del “Cristo della fede”60. I concili cristologici hanno sempre difeso il realismo dell’Incarnazione e l’unità concreta del Verbo fatto uomo e quindi la verità della natività, della sofferenza e della morte: il monofisismo in senso ariano è forse il pericolo più consistente anche nell’epoca moderna in cui si cerca di riportare tutto ad una dimensione plausibile e realista. La traduzione di Scorsese, pur nelle innegabile deviazioni, è un tentativo rispettabile di presentare un Gesù accessibile a tutti; continua il regista: “Ciak: Non pensa che la sua rappresentazione di un Cristo umano, quasi sopraffatto dalla propria missione, potrebbe raggiungere molti non-credenti? Scorsese: Assolutamente. E’ una delle ragioni più forti per cui ho voluto fare il film. Le lotte e le sofferte battaglie di Gesù sono una metafora potente per i non-credenti e per coloro che hanno perso la strada. L’idea alla base di The last temptation of Christ è quella di raggiungere le persone cadute in preda della disperazione e del dubbio, come è successo talvolta a me. Il vero peccato è disperarsi al pensiero che Dio non ti ascolterà mai più”61. Non è la prima volta che il testo sacro viene stravolto, spesso per ragioni commerciali e in qualche raro caso per squisite ragioni artistiche o addirittura spirituali: Scorsese forse è uno di questi pochi casi, il suo Gesù “in bilico” giustifica ed esalta le debolezze umane, rende quasi inevitabile per l’uomo il male, il peccato, la tentazione. È un Gesù pieno di dubbi, incertezze titubanze, che cresce lentamente e con enorme fatica nella consapevolezza di sé: pertinente e opportuno mi sembra a questo punto richiamare il dibattito intorno al tema della Fede di Gesù, da qualche decennio molto vivace in ambito teologico-accademico,: si è sempre parlato della fede in Gesù, ma la fede di Gesù è sostanzialmente recente; un autorevole e documentato testo scritto da Franco Giulio Brambilla62 consente di illustrare efficacemente tale tematica, innescata forse un po’ involontariamente dalla libera traduzione di Scorsese 1.1. LA FEDE DI GESÙ: INTRODUZIONE AL TEMA Guardare a Gesù non solo come oggetto di fede (la fede in Gesù) ma come soggetto credente (la fede di Gesù) è una novità rispetto alla cristologia classica che, pur affermando la piena umanità di Gesù, non aveva mai osato parlare della fede di Gesù in quanto Egli possiede la visio beatifica63, incompatibile con una vera e propria fede; così i passi del Nuovo Testamento che sembravano alludere a Gesù come modello e compimento della nostra fede (Eb 12,2) e il sintagma pìstis Iesoû Christoû (Gal 2,16.20; Gal 3,22; Rm 3,22; Fil 3,9; Ef 3,12) erano in qualche modo sottovalutati. In particolare l’espressione “fede di Gesù Cristo” veniva intesa come un semplice genitivo oggettivo (fede in Gesù Cristo)64. Scrive molto bene Brambilla: “Nei Vangeli la pretesa di Gesù, la sua singolare relazione con Dio, non pare alternativa ma coerente con la sua fede (una fede straordinariamente radicale) con la sua obbedienza e dedizione al Padre, realizzata attraverso momenti che sembrano proporre un incremento della sua fede: il battesimo, le tentazioni, la preghiera, gli aspetti di sofferenza e di abbandono, ma soprattutto il Getsemani e la croce. Tuttavia, si deve riconoscere francamente che in tutto il Nuovo Testamento Gesù non è mai soggetto grammaticale del verbo pisteúo. D’altra parte, la questione della fede di Gesù fa corpo con una questione contigua, che nella tradizione teologica ha avuto un’ampia trattazione con esiti diversi: la questione della scienza e coscienza di Gesù. La soluzione scolastica delle tre scienze (o dei tre livelli di scienza) di Gesù, pur nelle differenti soluzioni, faceva in qualche modo fatica a giustificare l’incremento e il progresso nell’esperienza e nella conoscenza umana di Gesù”65. Sottolinea altrettanto efficacemente Sergio De Marchi: 59 Ibidem, p.325. Ibidem, p.326. 61 M.H. WILSON, The last temptation of Christ, op.cit. p.28. 62 F.G. BRAMBILLA, Gesù autore e perfezionatore della fede, in La fede di Gesù ( a cura di GIACOMO CANOBBIO), Ed. Dehoniane, Bologna 2000, pp. 69-124. 63 Cfr. A. TONIOLO, La fede dei discepoli, in Il Presbitero uomo e credente, pro manuscripto, Padova 2001., p. 41. 64 Cfr. F.G. BRAMBILLA, Gesù autore e perfezionatore della fede, op. cit., p. 69. 65 Ibidem, p. 70. 60 38 “Sotto l’influsso del pensiero di San Tommaso, fino ad un’epoca relativamente recente, si è negata in Cristo l’ignoranza e si è ammessa, oltre alla conoscenza divina, una triplice conoscenza umana: acquisita, passibile di qualche sviluppo; infusa (da Dio), propria degli angeli e dei beati; beatifica, mediante la quale Gesù conosce primariamente Dio in se stesso (Unità e Trinità) e secondariamente, nel Verbo, tutte le cose passate, presenti e future. In epoca moderna, l’affermazione della visione beatifica, o immediata, è parsa il modo più sicuro per tutelare, dal punto di vista teologico, la consapevolezza da parte di Gesù della sua identità divina”66. La tradizione scolastica, coerentemente alla visione della triplice conoscenza, affermava l’assenza della fede di Gesù, in quanto la fede era intesa come assenso dell’intelletto all’inevidenza delle cose credute; pertanto Tommaso e la tradizione scolastica affermavano che Gesù, nella sua esistenza terrena, cammina nella visione e non nella fede67. 1.2. LA CONTROVERSIA CRISTOLOGICA NEL PERIODO MODERNO Nel diciannovesimo secolo alcuni teologi tedeschi (Von Kuhn, Shell), ma, soprattutto all’inizio del secolo scorso, hanno evidenziato una certa incompatibilità dell’immagine evangelica con quella sostenuta dalla teologia scolastica68; è interessante notare che un intervento del S. Ufficio del 1918, registrato in DS 3645-3647, considerava non certa (non constat) la conoscenza beatifica nell’anima di Cristo; per cui auspicava che nelle scuole cattoliche le recenti opinioni dei teologi fossero accolte con lo stesso interesse della tradizionale visione scolastica. Di fatto, si considerava aperto il dibattito e si auspicava di continuare ed approfondire la ricerca69. Saranno Galtier, e poi Rahner e Galot ad approfondire il tema; un discepolo di Rahner infine (Malevez) deriverà dalla posizione rahneriana la possibilità di pensare la fede di Gesù. In tutti questi autori avverrà un passaggio fondamentale che sarà il registro su cui si imposterà la problematica successiva: il passaggio dal criterio di perfezione e/o eccellenza al criterio della missione e/o della funzione salvifica70. Attualmente sembra importante, per una corretta impostazione del dibattito, recuperare la figura evangelica ed il suo primato rispetto alla rigida costruzione concettuale scolastica, ponendo al centro la missione salvifica di Gesù che si realizza attraverso una speciale esperienza religiosa ed una singolare conoscenza di Dio, articolate però nelle categorie del giudaismo e della tradizione vetero-testamentaria dell’epoca; scrive Brambilla: “Occorre vedere se il sapere di Gesù a proposito della sua missione, nella quale Dio lo invia come il Figlio che riconcilia gli uomini, si dia nella forma di un sapere della fede, anzi di quel sapere della fede che è proprio di Gesù”71. 1.3. LE PRINCIPALI TENDENZE SULLA FEDE DI GESÙ Brambilla riassume le varie posizioni circa la fede di Gesù e le riduce a tre paradigmi72 che tento brevemente di illustrare; 1.3.1. Il paradigma scolastico È il punto di partenza, il terminus a quo dell’attuale dibattito sulla fede di Gesù; nella versione mitigata di Galot, questo paradigma parte dalla visione beatifica come conseguenza dell’unione ipostatica, cioè la struttura divino-umana di Gesù nella persona del Verbo. Da ciò consegue che Gesù possiede già in statu viae la scienza dei beati e la coscienza filiale, e questo rende impossibile la fede; al massimo si può ammettere la corrispondenza perfetta della libertà (l’obbedienza) al sapere di Dio (la visio beatifica) che Gesù aveva. Galot parla sì di progressività, ma solo riguardo alla conoscenza (scienza) di Gesù, non riguardo alla sua autocoscienza, determinata sin dall’inizio dall’unione ipostatica. 1.3.2. Il paradigma di singolarità: H.U. von Balthasar Questo secondo paradigma enfatizza la singolarità del rapporto di Gesù con il Padre; questa relazione non ha in statu viae un carattere beatifico, anche se occorre ammettere almeno la 66 S. DE MARCHI, La fede di Gesù, in Il Presbitero uomo e credente, Padova 2001., p. 35. Cfr. F.G. BRAMBILLA, Gesù autore e perfezionatore della fede, op. cit., p. 72. 68 Cfr. Ibidem, p. 73. 69 Cfr. Ibidem, p. 74. 70 Cfr. Ibidem, p. 75. 71 Ibidem, p. 77. 72 Cfr. Ibidem, pp. 78-122. 67 39 coscienza filiale e la coscienza della sua missione. Si deduce da questo modello una fides Christi qualitativamente diversa rispetto a quella umana, non semplicemente dunque un perfezionamento o un’intensificazione: il credente riceve la sua missione in base al suo accesso alla fede, mentre Gesù ha ed è da sempre la sua missione. È certamente di von Balthasar il merito di aver introdotto il tema in maniera decisiva nella teologia cattolica; tuttavia egli fatica a mettere a fuoco la ragione della differenza qualitativa della fides Christi rispetto a quella umana. Balthasar formula la sua proposta nel saggio Fides Christi del 1961: il tema è introdotto con cautela e lungimiranza, ed il punto di partenza è un saggio di Buber nel quale il filosofo ebraico aveva tentato di delineare due tipi di fede (vetero e neotestamentaria) per recuperare Gesù di Nazaret alla genuina concezione ebraica della fede contrapponendogli la fede neotestamentaria, una fede dogmatica al cui centro campeggia la confessione kerigmatica che Gesù è il Cristo, il Signore. Ciò consente a Balthasar di mostrare la continuità con la fede neotestamentaria , la quale non è una fede “altra” rispetto a quella di Gesù ma è il credere –come-Gesù nella sua forma propriamente escatologica, pasquale, definitiva. Balthasar svolge il tema della fides Christi come figura “archetipa”, come prototipo esemplare il cui vissuto è l’inizio e il compimento della nostra fede: la fede di Gesù è una “sopraffede”, impartecipabile in quanto “archetipa”, ma partecipata in quanto “esemplare”, cioé come esperienza che misura e dà forma alla nostra; l’esperienza di fede postapostolica che ne deriva (fides credentis-fides ecclesiae) è inarrivabile e impartecipabile, ma è nello stesso tempo imitabile nella forma del dono dello Spirito e quindi della grazia della fede che si lascia misurare e plasmare dalla figura archetipa della fides Jesu. Ma quali sono secondo Balthasar le caratteristiche fenomenologiche della fede di Gesù? Fedeltà totale al padre, presenza assoluta data alla sua volontà, perseveranza irremovibile in questo disegno, lasciar essere nelle mani del Padre la venuta dell’ora (giovannea): il Vangelo di Giovanni afferma infatti che Gesù entra consapevolmente nella passione, ma come qualcosa che è rimesso al Padre, lasciato alla sua scelta, come qualcosa che per il momento non riguarda il Figlio. Questo atteggiamento di totale abbandono al Padre è riscontrabile durante tutta l’esperienza prepasquale: Gesù parla del Regno ma rinvia alla bontà del Padre che solo è buono ed afferma che “tutto è possibile a chi crede” (Mc 9, 14-29): si tratta di una possibilità offerta a tutti; Gesù non si appella per fare miracoli ad una forza soggettivamente ed esclusivamente sua, ma a Dio che Egli prega. La conclusione di questo asserto è che non solo è possibile al cristiano credere in Cristo ma anche credere come Cristo, a motivo della fede di Cristo (genitivo complesso o di relazione), proprio nel senso della fede istituita da Gesù, inaugurata da Lui stesso in prima persona e instaurata come universalmente partecipabile. Nella “Teodrammatica” Balthasar aggiunge notevoli approfondimenti al tema: interessante in particolare quanto scrive sul rapporto tra libertà finita e libertà infinita, che è il cuore del dramma che si compie nell’Ultimo atto; il problema non si deve più porre nel rapporto tra maggiore o minore trasparenza tra autocoscienza umana di Gesù e coscienza divina del Figlio (nell’ottica di una cristologia delle due nature) ma nel rapporto di missione tra il Padre inviante e la libertà del Figlio inviato che sa donandosi e si dona affidandosi. L’obbedienza di Gesù è quindi meritoria perché non anticipa nulla , ma lascia nelle mani del Padre il senso della sua missione: in questo Gesù è modello perfetto della pazienza, della fede e della speranza. Sempre nella Teodrammatica, Balthasar affronta il nesso tra la libertà di Cristo e la libertà (peccaminosa) degli uomini, e lo fa attraverso il concetto di “sostituzione vicaria” per rispondere alla domanda decisiva: chi è colui che carica il Figlio, in quanto Agnello di Dio e Agnello immolato con l’inimmaginabile peso di ogni no del mondo all’amore divino? Balthasar risponde che sono anzitutto gli uomini che, nella loro tenebra, caricano il loro peccato sul Cristo: è il meccanismo vittimario del capro espiatorio (Girard) che porta gli uomini a caricare la colpa di tutti su uno solo, che in qualche modo li rappresenti nell’atto di autorigenerazione del patto sociale; ciò suppone che colui che viene caricato dei peccati deve esserne capace e soprattutto deve volerlo. 40 Nell’ora drammatica e culminante in cui si compie il “gioco delle consegne” (che spiega il misterioso nesso tra libertà umana e libertà di Cristo) si verifica l’abbandono di Dio: Gesù prende su di sé, come interiore comando del Padre, il non-divino e l’antidivino; nel mistero dell’ottenebramento e dell’alienazione tra Dio e il Figlio portatore del peccato, compare l’onnipotente impotenza dell’amore di Dio. Gesù sperimenta il peccato in una maniera diversa da quella dei peccatori che odiano Dio, ma paradossalmente ciò risulta più oscuro e più duro da comprendere; ma come dice a buon diritto San Tommaso, si tratta di quell’impotenza perennemente congiunta con l’onnipotenza divina che come tale, essendo la verità e la giustizia di Dio, è più potente di tutte le potenze del mondo. 1.3.3. Il paradigma antropologico: K. Rahner – L. Malevez Alcuni autori (L. Boff, C. Oleario, B. Forte, J. Sobrino, W. Thüsing, P. Makey, G. O’Collins) partono dalla fede umana e intendono quella di Gesù come un’intensificazione dell’atteggiamento e dell’esperienza di fede; essi partono da una completa ed autentica vita di fede e la attribuiscono a Gesù in forma esemplare. L’esperienza di fede e la straordinaria e radicale vita di fede di Gesù trovano nei Vangeli una conferma autorevole: la preghiera, la crescita, l’incremento di esperienza, il giudizio che Gesù esprime, tutto ciò corrisponde alla concezione della lettera agli Ebrei, dove l’obbedienza di Gesù è presentata come esemplare per la nostra fede (Eb 5, 10-11). Si mette bene in luce la relazione tra la nostra fede e quella di Gesù, ma si fatica ad affermarne la differenza. Questo paradigma (che può essere chiamato “antropologico”) sembra una prosecuzione della tesi di Rahner sul tema della scienza e coscienza di Gesù intesa come visio immediata (non direttamente beatifica, almeno in statu viae); Rahner non tratta direttamente la questione della fede di Gesù, tuttavia la sua posizione costituisce obiettivamente il quadro per il superamento della questione nella linea di ciò che è stato definito “ paradigma antropologico”. È stato poi Malevez a proporsi come prosecuzione e superamento di Rahner. a) K. Rahner: la coscienza di Gesù come visio immediata Nel testo del 1961 espressamente dedicato al tema “scienza e coscienza di Gesù”, Rahner, dopo aver posto le premesse epistemologiche, formula la tesi secondo cui è possibile attribuire a Gesù, durante la sua esistenza terrena, una diretta consapevolezza di Dio, una visio immediata che non siamo tenuti a qualificare come beata. Questa tesi consente di far spazio alla coscienza di quel Gesù che si interroga, dubita, insegna, si meraviglia, si commuove intimamente ed è infine colpito dal mortale abbandono di Dio; la visio immediata è una condizione dello spirito creato, è la necessaria presa di coscienza della unione Ipostatica con il Logos. Nel seguito della produzione cristologica, Rahner ritorna sul tema della coscienza di Gesù delineando l’autocomprensione del Gesù prepasquale, la sua collocazione entro l’annuncio del Regno e il rapporto di Gesù col suo destino di morte. Per quanto riguarda l’autocomprensione prepasquale, Rahner afferma che, a partire dalla immediata vicinanza con Dio, è possibile spiegare che Gesù impara in rapporto agli orizzonti di comprensione di esperienza e del suo mondo, può fare esperienze nuove, è persino sottoposto alla crisi circa la sua identità, per quanto questo sia sempre avvolto dalla consapevolezza irriflessa del suo immediato rapporto con Dio. Sull’annuncio del Regno, si pone la questione dell’errore in cui sarebbe incorso Gesù, prospettandone un’attesa imminente: nell’ottica di Rahner, non si deve parlare di errore perché una coscienza veramente umana deve avere davanti a sé un futuro ignoto; perciò l’attesa prossima nutrita da Gesù è per lui il modo autentico di cogliere nella sua situazione la vicinanza con Dio che lo chiama ad una decisione incondizionata. La decisione per Dio è sempre connotata da tratti storici che Gesù ha espresso con le figure del suo tempo. Infine Rahner mette in gioco tale autocoscienza di Gesù con il destino di morte prevedibile e previsto; l’autore propone due tesi a proposito: 1. Gesù accettò il suo destino di morte come il destino del profeta, che non vede sconfessato il suo messaggio, ma lo affida a Dio; 2. Gesù mantiene la sua irriducibile rivendicazione dell’identità del suo messaggio e della sua persona anche e proprio nella morte, nella speranza che questa identità sia confermata dal Padre suo. 41 b) L. Malevez: dalla visio immediata alla fides Jesu come abbandono esistenziale L’intervento di Malevez si presenta esplicitamente come una ricerca sulla fides Jesu73: dopo aver ricostruito lo sfondo della questione passando in rassegna (oltre agli autori già citati) Ebeling, Windisch, Cullmann, analizza il Nuovo Testamento al seguito di autori come Alfaro, Balthasar, Lacan e sulla falsariga di Balthasar ricostruisce la storia della teologia, parlando della fede integrale come aspetto comprensivo del discorso della fede. Introduce poi il tema del rapporto tra fede e visione e, con Balthasar, afferma che questo rapporto non include necessariamente un’ignoranza, ma un non sapere che Gesù sceglie come condizione della sua missione (docta ignorantia): Gesù rifiuta di conoscere la sua ora, pur avendone la possibilità, e ciò è spiegato dalla sua volontà di kenosi, per essere simile in tutto agli uomini (eccetto il peccato), in particolare nella “fede”. Malevez procede poi ad illustrare il tema dell’abbandono, cioè la fede di Gesù come riverbero esistenziale dell’abbandono iscritto nell’Unione ipostatica; la sua singolare natura umana passa, attraverso l’abbandono, nell’appartenenza a Dio e non è una alienazione: la stessa assunzione con la quale il Verbo attira a sé la sua umanità è l’atto stesso con il quale la dona e la restituisce più perfettamente a se stessa, perché la fa essere ciò a cui essa aspirava. Riprendendo Rahner, se la coscienza di Gesù (come visio immediata) è coscienza di essere unito immediatamente a Dio, si deve allora dire che questa coscienza ha la forma di fede-abbandono. Nella forma terrena l’abbandono si attua nella figura kenotica di umiliazione e povertà con la quale Gesù si sottrae allo statuto dell’uomo secondo la carne e si affida totalmente a Dio nella morte per la salvezza; ma la morte è solo l’atto finale di una vita nella quale la dedizione a Dio sarebbe avvenuta nella forma luminosa e spontanea della preghiera intima con il Padre. L’abbandono a Dio avvenuto nella morte è la forma stessa della vita di Gesù, quella forma servi che si mostra durante tutta la vicenda terrena di Gesù, nella modalità con cui egli assume la tentazione, il peccato del mondo, e che si esprime nell’angoscia di fronte alla morte. È lì che Gesù mostra la sua fiducia radicale in Dio, superando il tentativo (tentazione) di salvare la sua vita, per guadagnarla. 1.4. IPOTESI CONCLUSIVE Secondo Brambilla, le posizioni tracciate mostrano due dati: 1) la questione della fede di Gesù è per larga parte determinata dalla precomprensione filosofico-teologica che si ha della fede come un assenso intellettuale prestato all’autorità di Dio che si rivela; 2) la questione della fede di Gesù è strettamente connessa ai temi della coscienza e autocoscienza di Gesù in rapporto al Padre e alla sua missione. Il dibattito sulla problematica risulta dunque spesso obiettivamente pregiudicato dall’epistemologia della fede presupposta74. Brambilla propone infine un’ipotesi conclusiva aperta e soprattutto non pregiudicata , tenendo conto del dibattito ricostruito; il problema della fede di Gesù può essere correttamente impostato articolando due dati: il primo, biblico-rivelato, che mostra come il conoscere e l’agire di Gesù appare soggetto ad una progressione tipicamente storica rivelando tratti di assoluta singolarità; il secondo, teologico-fondamentale, che deve procedere a rinnovare la riflessione sulla fede , sganciandola da un’antropologia delle facoltà (intelligenza e volontà), tipica della scolastica e da una epistemologia propria della visione moderna di un sapere della fede come un sapere oscuro che sta oltre le possibilità della ragione, concepita come autoevidenza certa75. Tenendo in tensione questi due poli della questione, è possibile una visione corretta della fede di Gesù ed è altresì possibile coniugare la sua esperienza pienamente umana, la sua progressione e il suo “crescere in sapienza e grazia” con la sapienza divina e la coscienza della missione, vale a dire il suo singolare carisma profetico e la sua visione di Dio, cioè la sua relazione con il Padre76. Conclude infine Brambilla: “la figura cristologica della fede costituisce il compimento eccedente e indeducibile della struttura antropologica della fede”77; è importante seguire l’esempio degli 73 L. MALEVEZ, Le Christ e la foi, in Nouvelle Revue Théologique, n. 88 (1966), pp.1009-1043. Cfr. F.G. BRAMBILLA, Gesù autore e perfezionatore della fede, op. cit., p. 122. 75 Cfr. Ibidem, p. 122-123. 76 Cfr. Ibidem, p. 123. 77 Ibidem, p. 124. 74 42 autori citati (Rahner, Galot, Malevez) che hanno saputo coniugare la visione immediata di Dio con l’esperienza umana, ed hanno prestato uguale attenzione ad una epistemologia e ad una antropologia della fede78. Alla luce delle riflessioni riportate, la valutazione del lavoro di Scorsese diventa più benevola e comprensiva; la questione del realismo dell’Incarnazione è davvero impegnativa, e gli studi sul tema sono apertissimi. Le affermazioni dogmatiche sono chiare e rappresentano l’indispensabile punto di riferimento per la moderna teologia che è invitata a ribadire il depositum fidei e ad attualizzarlo; in questo compito comunicativo anche il cinema può giocare un ruolo importante, stando però attenti a non svilire e annacquare il dato di fede per renderlo comprensibile. 2. LE TENTAZIONI Gesù è stato tentato, tre sono i momenti principali indicati dai Vangeli: nel deserto (Mt 4, 1-11; Mc 1,12-13; Lc 4, 1-13), nell’orto degli ulivi: “Allontana da me questo calice” (Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,44) e sulla croce: “Elì, Elì, lemà sabachtàni?” (Mt 27,46; Mc 15,34). La lettera agli Ebrei (Eb 2,14-18) conferma e approfondisce il tema: “ Poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne, anch’Egli allo stesso modo ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita. Egli, infatti, non si prende cura degli angeli, ma della stirpe di Abramo si prende cura. Perciò doveva rendersi in tutto simile ai fratelli, per diventare un sommo sacerdote misericordioso e degno di fede nelle cose che riguardano Dio, allo scopo di espiare i peccati del popolo. Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (Eb 2, 14-18). Le pagine bibliche che raccontano le tentazioni consolidano la storicità del racconto evangelico: è un contenuto imbarazzante che sarebbe stato autolesionistico inventare; tornano utili le riflessioni riportate intorno al dibattito sulla fides Jesu: Gesù non si è sottratto a nessuno degli aspetti spiacevoli dell’esistenza umana, e superando le tentazioni ha consolidato la propria originale e singolare esperienza religiosa. La terribile angoscia della morte e il senso di abbandono che Gesù prova in croce, è la prova di una sofferenza integrale che non si riduce a mero patimento fisico ma investe il Figlio di Dio e con lui tutta la Trinità79. Nella traduzione di Scorsese questo dato biblico viene enfatizzato ed ampliato ma sostanzialmente rispettato; in particolare l’autore immagina che nel momento del grido finale di disperazione Gesù si sia effettivamente sentito abbandonato ed abbia immaginato in una frazione di secondo cosa sarebbe stata la sua vita se si fosse sottratto al suo destino. È un attimo di svenimento nella realtà ma nel tempo filmico diventa una sequenza di mezz’ora, da cui emerge un Cristo vittorioso e felice di aver resistito anche a questa prova suprema. È una trovata “apocrifa” che deriva dal romanzo e che Scorsese utilizza per variare un finale che rischiava di risultare scontato; il risultato di sorprendere gli spettatori è senza dubbio raggiunto! 3. LE DONNE Gesù ha ripetutamente contrastato con parole ed azioni gli schemi maschilisti del suo tempo: parla con le donne, passa del tempo con loro e le pone alla pari dell’uomo secondo l’originario progetto biblico di Gn 1-2. Nel film la loro presenza si fa significativa e frequente: Maria Maddalena, Marta e Maria di fatto si uniscono al gruppo degli Apostoli e sono presenti all’Ultima Cena e sul Golgota. Maria Maddalena è il personaggio femminile più importante nel film, e non è una novità: nella storia del cinema cristologico spesso Maddalena ha avuto un ruolo rilevante 80, certamente più di 78 Cfr. Ibidem, p. 124. A ragione i Padri parlavano di patripassianismo: il padre tace e soffre con il Figlio sulla Croce; è il mistero dell’onnipotente impotenza di Dio! 80 Nel già citato lavoro di E.G. LAURA (Gesù nel cinema) vengono citati titoli inequivocabili come La Maddalena (1918), Maria di Magdala (1919), Maria Magdalena pecadora di Magdala (1946), La spada o la croce –Maria Maddalena (1958) e Maria Magdalena (1966); il ruolo di Maddalena è centrale anche in altri film citati da LAURA: Giuda (1919), Il Re dei re (1927), 79 43 quanto emerga dai Vangeli, da cui si ricavano scarne notizie: secondo Luca e Marco è una donna dalla quale Gesù ha scacciato sette demoni (Lc 8,2; Mc 16,9) e nello stesso versetto Luca aggiunge che Maria Maddalena e altre donne guarite stavano con lui e con i dodici; tutti gli altri passi dei Vangeli ricordano che essa è presente sul Golgota (Gv 19,25; Mt 27,56; Mc 15,40), che assiste alla sepoltura di Gesù (Mt 27,61; Mc 15,47) e che si reca al sepolcro il mattino della domenica per ungere il corpo di Gesù (Gv 20,1; Mt 28,1, Mc 16,1; Lc 24,10); sia Marco che Giovanni riportano poi che la prima persona a vedere Gesù risorto è proprio la Maddalena (Gv 20,11-18; Mc 16,9). Nessuno dei quattro evangelisti parla di Maddalena come di una peccatrice o di un’ex-prostituta: forse questa tradizione deriva dalla provenienza, visto che Magdala era considerata una città malfamata81; nell’Occidente, la Maddalena viene poi erroneamente identificata con Maria di Betania e con la peccatrice di Lc 7, 37-50. Marta e Maria sono le sorelle di Lazzaro e sono ricordate in tre momenti: Gesù che entra in un villaggio e riceve ospitalità dalle due donne (Lc 10, 38-42), la risurrezione di Lazzaro loro fratello (Gv 11, 1 ss) e poi, a Betania durante una cena con Lazzaro e altri commensali sei giorni prima di Pasqua, Maria unge i piedi di Gesù e li asciuga con i suoi capelli (Gv 12, 1-9). Tutto regolare nel film, a parte il ruolo un po’ subdolo cucitole addosso di tentare Gesù in maniera più blanda e meno diretta rispetto a Maddalena. Maria nel film è una madre un po’ in ombra, marginale e inconsapevole: non sa bene chi sia Gesù e nel gruppo delle donne appare quella più incerta e confusa; come Rossellini, l’autore mette un’altra firma all’opera delineando un personaggio molto diverso dall’iconografia e dalla devozionistica tradizionale, simile per precarietà e senso di incompiutezza al Gesù protagonista de L’ultima tentazione di Cristo appunto. 4. GIUDA ISCARIOTA Del Giuda infame e traditore che conosciamo dai Vangeli ma soprattutto dalla tradizione che lo ha ampiamente demonizzato non c’è traccia nel film ed è una delle più notevoli trasgressioni operate da Scorsese: Giuda è una figura positiva e coerente, un uomo tutto d’un pezzo forte e coraggioso che emerge nel gruppo degli Apostoli come vero leader, personalità che a tratti sovrasta anche Gesù, il quale non solo non lo accusa ma addirittura lo prega di farsi strumento di Dio con il suo tradimento. Anche Giuda è una figura ampiamente frequentata dal cinema cristologico82, e come per Maddalena, abbondano le libere traduzioni romanzate: nel film Il Re dei Re di Cecil De Mille (1927), Maria Maddalena è addirittura l’amante di Giuda! I Vangeli usano termini durissimi per Giuda Iscariota: ladro (Gv 12,4-5), traditore (Mt 26,1416.0-25.47 ss; Mc 14,10-11.17-21.47 ss; Lc 22,3-6.14.21-23.47 ss; Gv 13,21-30; 18,2-11), demonio (Gv 6,70-71), strumento di Satana (Gv 13,2). Scorsese, seguendo una precedente tradizione filmica consolidata, attenua la sua responsabilità e quasi lo assolve: siccome è Dio a volere la morte di Gesù, Giuda, i Romani, gli Ebrei vengono scagionati in quanto non sono altro che “burattini” nelle mani di Dio. Non è così, e spiega bene Sergio de Marchi: “La morte di Gesù va quindi spiegata come l’esito ultimo di una situazione di conflitto e di rifiuto ben identificabile dal punto di vista storico. Quanti in vario modo contribuirono a causare la conclusione violenta dell’esistenza di Gesù non furono costretti a farlo perché un disegno superiore in certo modo li usava in veste di attori ai quali non era consentito recitare se non la parte assegnata”83. Figura imbarazzante e scomoda Giuda, certamente un personaggio in grado di stuzzicare la fantasia dei registi che in effetti si sono occupati di lui con risultati spesso discutibili; comune è la tendenza, al cinema, di attenuare la tragedia del tradimento descrivendolo come inevitabile, ineluttabile, “fatale”: anche Scorsese di fatto assolve Giuda, come figura colpevole ma controvoglia. 81 Cfr. G. BARBAGLIO, R. FABRIS, B. MAGGIONI, I vangeli, Cittadella ed., Assisi 1978, p.1046. Sempre dal saggio di LAURA, riporto i seguenti inequivocabili titoli: Le baiser de Judas (1909), Il denaro diGiuda (1910), Giuda (1911), Giuda o L’ultima cena (1919), El Judas (1952), Il bacio di Giuda (1989). 83 S. DE MARCHI, La fede di Gesù, op. cit., p. 38. 82 44 5. L’EUCARISTIA Nel film gli Apostoli bevono il sangue di Gesù: è un eccesso di realismo tipico del regista ma l’idea pare sia dello sceneggiatore Paul Schrader; afferma il regista: “Paul scrisse la prima stesura della sceneggiatura in un periodo nel quale cercava di uscire dal trauma conseguente alla morte della madre e il risultato fu un’opera molto sentita. Egli era convinto che il soprannaturale esistesse parallelamente alla realtà, perciò aggiunse un’interpretazione letterale dell’Ultima Cena con gli Apostoli che bevono il sangue di Gesù”84. È opportuno ricordare che la “transustanziazione” è un fenomeno reale ma non chimico: questo avviene coerentemente al tabù di non mangiare carne umana; tuttavia si sono verificati episodi nel medioevo nei quali sacerdoti increduli si sono ritrovati tra le mani l’Ostia tramutata in carne. 6. LAZZARO La resurrezione di Lazzaro è senz’altro il miracolo più straordinario e spettacolare di Gesù, anche se raccontato solo da Giovanni (Gv 11,1-44): nel vangelo rappresenta la parabola storica della morte e risurrezione di Gesù85. Nel film i miracoli sono pochi ma particolareggiati, proprio nello stile giovanneo; la critica ha evidenziato un eccesso di trucchi horror ma la scena è rappresentata in maniera sostanzialmente accurata e fedele al testo. Successivamente a questa scena, Lazzaro viene ucciso dagli zeloti; nel Vangelo di Giovanni è scritto: “ Sei giorni prima della Pasqua ebraica Gesù andò a Betania dove c’era pure Lazzaro, quello che egli aveva risuscitato dai morti. Lì prepararono per lui una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali. Una gran folla venne a sapere che Gesù era a Betania, e ci andò: non solo per lui, ma anche per vedere Lazzaro, che Gesù aveva risuscitato dai morti. Allora i capi dei sacerdoti decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti andavano a vederlo e credevano in Gesù” (Gv 12, 1-2.9-11) Kazantzakis e poi Scorsese hanno aggiunto alla narrazione l’effettiva uccisione di Lazzaro; significativo nel film il commento di Giuda: “Non mi sorprende, gli zeloti non potevano lasciar vivere Lazzaro, era la prova del tuo più grande miracolo: ora che è morto, niente più prova, è questa la ragione per cui l’hanno ucciso”. 7. IL SOGNO Il sogno come luogo dell’incontro con Dio è tema biblico, sviluppato ampiamente dall’antico monachesimo86. Scorsese utilizza movimenti di macchina e colori particolari per le scene in cui Gesù è immerso nelle visioni “oniriche”: l’incontro con il maestro del monastero già morto, l’incontro con il Battista già morto nel deserto, le due scene dell’albero, e soprattutto la lunga sequenza del sogno finale in cui però è presente anche il diavolo che mescola abilmente la verità con la menzogna: nei suoi sogni Gesù vede il futuro, vede la distruzione di Gerusalemme e l’inizio della fine di Roma (le rovine sullo sfondo nella scena di Paolo) ma soprattutto vede e sente San Paolo che proclama il Kerygma e racconta la sua appassionante conversione. Emerge nell’allucinazione finale tutta l’umanità di Gesù, soprattutto la parte inconscia: pensieri, desideri emozioni; è plausibile che nel suo essere uomo ci sia stato tutto questo per una frazione di secondo. CONCLUSIONI L’analisi di questi nodi teologici che il film in qualche modo tratta e fa discutere mi ha stimolato a chiarire e ripassare tematiche che meritavano di essere riprese e approfondite; le “varianti” introdotte dall’autore e, prima ancora, dallo sceneggiatore, costringono a chiarire e ribadire l’asserto teologico ortodosso con la consapevolezza che nella riscrittura filmica è necessario talvolta aggiungere o modificare qualcosa, in base alle “idiosincrasie” dell’autore e in base alle attese del pubblico. In quest’ultimo passaggio di analisi del testo sono emersi come rilevanti altri personaggi (oltre ai già ampiamente trattati Gesù e Giuda): Maddalena, Lazzaro, Marta e Maria; Lazzaro in particolare riveste un ruolo importante anche se passivo: è il protagonista dell’unica 84 D. AUDINO, Martin Scorsese, op. cit., p.48. Cfr. A.POPPI, Sinossi dei quattro vangeli, ed. Messaggero, Padova 1990, p.490. 86 Cfr. A. GRUN, I sogni nel cammino spirituale, ed. Messaggero, Padova 1996. 85 45 risurrezione che il film descrive ed è subito tolto di mezzo come prova ingombrante. Si tratta senza dubbio di uno dei momenti più drammatici e sorprendenti del film. 46 VI L’UNITÀ DIDATTICA GESÙ Nell’anno scolastico 2001-02 ho cercato di sviluppare l’unità didattica “Gesù” all’interno del programma di Religione di terza media, e ho proposto a quattro classi di analizzare alcuni nodi centrali nel rapporto tra Bibbia e cinema, concentrandomi sulla figura di Gesù e in particolare sul film di Scorsese; l’idea centrale è stata di lavorare sia sul testo scritto che sul testo filmico attraverso la sinossi, e quindi ho accostato alcuni episodi di Scorsese a Pasolini e Rossellini, tre testi filmici nettamente diversi e fortemente autoriali e autorevoli. Descrivo ora le fasi del lavoro svolto durante l’unità didattica. 1. INTRODUZIONE GENERALE: IL FILM COME TESTO (due lezioni) Le prime due lezioni sono state perlopiù introduttive teoriche: ho fornito ai ragazzi un foglio con alcuni appunti presi dai manuali di analisi del film87 e ho cercato di rendere chiara l’idea che il film è un testo che combina vari linguaggi e che è portatore di un messaggio spesso molto più ricco e complesso di un semplice testo scritto. Mi sono soffermato sui seguenti temi: - codici cinematografici e filmici88; - scala dei campi e dei piani89; - codici della serie visiva (movimenti di macchina)90; - montaggio e relativa “grammatica” (stacchi, dissolvenze, montaggio alternato…). Ho dedicato poco più di una lezione a questa introduzione (anche perché comprensibilmente i ragazzi avevano fretta di vedere e di lavorare sul testo filmico più che sulle fotocopie); il passo successivo è stato quello di fare qualche esercizio per allenare lo sguardo e per imparare “sul campo” la grammatica studiata: la visione di alcuni spezzoni presi da vari film ha permesso di entrare subito nel vivo del lavoro, e i ragazzi si sono in gran parte divertiti a ritrovare le cose affrontate teoricamente. La cassetta di 26 minuti adoperata conteneva (in sequenza) scene tratte da film cult91 e seguiva le cifre stilistiche tipiche del cinema, in particolare di alcuni autori (Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Jonathan Demme, Luc Besson, Stanley Kubrick, Francis Ford Coppola, Oliver Stone…);92: Gli alunni hanno colto particolari insospettati, hanno dimostrato una confidenza naturale e sorprendente con le immagini, dimostrando un forte interesse per il metodo di osservazione proposto. Era importante aprire la strada ad una visione del testo filmico attenta ed allenata, e l’obiettivo è stato sostanzialmente raggiunto. 2. BATTESIMO, PASSIONE E RISURREZIONE DI GESÙ: SINOSSI FILMICA (una lezione) L’analisi del Gesù di Scorsese iniziata due anni or sono mi ha portato alla visione anche dei lavori analoghi di Pasolini nel suo Vangelo secondo Matteo e di Rossellini nel Messia, opere considerate esemplari da Scorsese, dalle quali ha cercato di distanziarsi per non ripetere o semplicemente per deferenza; si tratta di tre Gesù molto diversi ed ho pensato che l’accostamento di alcune sequenze avrebbe portato ad evidenza i tre stili e la ricchezza del tema Gesù, assolutamente inesauribile e aperto tuttora a nuove soluzioni stilistiche. Mi è sembrata interessante l’epoca d’uscita dei film: 1964, 1976,1988, un Gesù diverso per ogni decennio. 87 In particolare ho preso spunto da F.CASETTI - F.DI CHIO, Analisi del film, op. cit. Ibidem, pag. 63. 89 Ibidem, pag. 77-78. 90 Ibidem, pag.84-86. 91 Il tè nel deserto, Il silenzio degli innocenti, Léon, Mediterraneo, Jungle fever, C’era una volta il west, Shining, Birdy, Dracula, Assassini nati. 88 92 Questa è stata la sequenza della cassetta per la durata di 26 minuti: campo lunghissimo, campo lungo, campo medio, figura intera, campo-controcampo, primo piano, primissimo piano, piano medio, oggettiva, soggettiva, ralenti, piano sequenza, dolly, carrellata, panoramica, steady cam, sky cam, stacchi e dissolvenze, montaggio alternato, montaggio parallelo. 47 Questa è stata la successione delle scene che i ragazzi hanno visionato, dopo una breve spiegazione di questo secondo momento: Il Battesimo secondo Pasolini (4 m e 30 sec.) Il Battesimo secondo Rossellini (3 m) Il Battesimo secondo Scorsese (3 m) Passione secondo Pasolini (7 m) Passione secondo Rossellini (3 m e 30 sec.) Passione secondo Scorsese (8m e 30)93 Risurrezione secondo Pasolini (4 m) Risurrezione secondo Rossellini (5 m) La durata totale delle scene è stata di 43 minuti circa: il collage di immagini così diverse ha sorpreso i ragazzi che non hanno mostrato segnali di insofferenza ma uno sguardo curioso, attento e coinvolto; nelle domande e nelle osservazioni a caldo alla fine dell’ora hanno dimostrato di aver già acquisito delle competenze incoraggianti e confortanti, necessarie per proseguire nel lavoro con gratificazione ed hanno fatto osservazioni acute e meritevoli di nota: a) per quanto riguarda il Battesimo gli studenti hanno notato che tutti e tre i registi hanno filmato la scena con grande attenzione e cura, per cui hanno istintivamente colto che si tratta di un episodio rilevante e importante, e lo hanno capito dalla lentezza e dalla lunghezza della scena (in particolare Pasolini e Rossellini) e dalla scelta del paesaggio e dei movimenti di macchina; sono stati molto colpiti dal forte impatto visivo e sonoro della versione di Scorsese, ne hanno colto l’atmosfera selvaggia e tribale. Qualcuno ha rilevato che il campo lungo all’inizio del Battesimo di Pasolini viene ripreso da Scorsese alla fine della sua versione; b) nelle scene della Passione sono stati comprensibilmente colpiti dalla drammaticità della versione di Pasolini e dalla cruda interpretazione di Scorsese e sono rimasti sorpresi dall’analoga versione di Rossellini che ha sdrammatizzato la scena eliminando ogni traccia di sofferenza e violenza; hanno fatto domande sulle scelte di Pasolini e Scorsese di chiudere l’obiettivo al momento della morte di Gesù ed hanno colto e compreso l’importanza dell’uso della soggettiva soprattutto in questa scena. 3. “COME SI SCRIVE UN FILM” (una lezione) La quarta lezione è stata dedicata alla scrittura del film e ai passaggi che intercorrono tra l’idea iniziale da cui parte ogni film e la sceneggiatura e che sono: il soggetto, il trattamento e la scaletta94. Ho ripreso una delle brevi sequenze viste nelle prime due lezioni e ho chiesto ai ragazzi di provare a trascrivere quello che avevano visto, dividendo la parte visiva dalla parte audio, svolgendo cioè un esercizio di sceneggiatura “desunta”95. Conclusa la lezione ho assegnato come compito per casa di fare la stessa cosa su una sequenza a scelta di un film a piacere; ho fatto questo tentativo solo con una delle quattro classi terze con le quali ho svolto l’unità didattica, quella che secondo me aveva risposto meglio agli stimoli dati e mi sono giunti dei risultati interessanti. Tra i titoli analizzati: Willow, Sliding doors, Screm 1, Indiana Jones e il tempio maledetto. Non tutti hanno svolto il lavoro, qualcuno lo ha fatto in gruppo, ma in generale si sono divertiti ed hanno avuto per la prima volta la sensazione di padroneggiare qualcosa che solitamente viene subìto. 4. “COSTRUIRE UNA SCENEGGIATURA” (una lezione) Ultima lezione: i ragazzi dovevano cercare di scrivere, in gruppo, a partire da un normale testo scritto, una sceneggiatura, in cui indicare dettagliatamente la parte sonora e visiva, secondo le regole acquisite nella precedente lezione. 93 Sono i minuti che aprono e chiudono la Passione: in mezzo c’è la lunga sequenza della Tentazione, tagliata per ovvi motivi di tempo e di opportunità. 94 A. COSTA, Saper vedere il cinema, Bompiani, Sonzogno 1985, pp.161-173. 95 Ibidem, p.168 48 Segue la sintesi dei risultati prodotti in tutte e quattro le classi dove ho svolto l’unità didattica; ho cercato di riportare unicamente i dati salienti e di evitare le ripetizioni a meno che non fossero significative. La consegna era la seguente: “dopo avere studiato i vari passaggi di realizzazione di un film, le tecniche di analisi e dopo aver visto alcuni spezzoni di vari film a titolo di esempio, concentriamoci sul tema centrale Gesù nel cinema; abbiamo visto come i tre autori esaminati (Pasolini, Rossellini, Scorsese) hanno messo i scena il Battesimo e la Passione e abbiamo evidenziato le differenze stilistiche, tecniche e contenutistiche: è cinema da leggere, non da svago o da sabato sera, cinema che necessita di essere rivisto con pazienza; vi siete accorti dall’esercizio di sceneggiatura desunta quanto sia faticoso cogliere le sfumature e il lavoro di questi registi, mossi tra l’altro in questo caso da una necessità insieme artistica e spirituale. Come ultimo lavoro, immaginate di essere una équipe che deve mettere in scena un momento della crocifissione: leggete il foglio contenente la sinossi evangelica96, sottolineate gli “spunti cinematografici” e quali potrebbero essere le soluzioni stilistiche opportune corrispondenti a questi spunti (es. ralenti, primi o lunghi piani, dettagli, luce, colori, musica, suoni, ecc.)”. Segue la sintesi dei risultati97: 1) Gv 19,16-19; Mt 27, 32-38; Mc 15,21-26; Lc 23, 26-38: - Inquadratura dall’alto della folla, primo piano di Simone di Cirene, fracasso della folla, primo piano di Gesù che rifiuta il vino aromatizzato, Gesù disteso a terra sulla croce (figura intera), urla di Gesù e risate dei soldati mentre lo inchiodano, dettaglio della tavoletta con la scritta INRI. - Musica, passi in sottofondo, inquadratura dall’alto della processione che si dirige verso il Golgota, piano medio sulla scena guardie-Gesù-cireneo, piano lungo sulla processione; dissolvenza, il Golgota, piano medio su Gesù crocifisso con i malfattori, INRI (dettaglio). - Piano lunghissimo, Gesù è un puntino, porta la croce, si avvicina lentamente; c’è vento che solleva la sabbia, visibilità scarsa; non c’è musica, solo il vociare rumoroso della folla. Stacco sul Golgota, ripresa dal basso delle croci, voci indistinte; inquadratura di un soldato che pone il cartiglio sopra la croce; inizia lieve la musica in sottofondo 2) Gv 19, 20-24; Mt 27, 39-44.35; Mc 15,29-32.24; Lc 23, 35.34 - Panoramica sulla folla, , zoom su alcune facce significative tra la folla, silenzio (niente musica), primo piano di Gesù crocifisso, si sentono solo i pianti delle donne, la musica riparte lievemente e poi cresce incalzante, inquadratura secca della spartizione delle vesti, sfondo nero. - Piano lungo sulla folla e sui sacerdoti, primo piano sul Crocefisso; dettaglio delle vesti strappate nella spartizione, particolare delle mani dei soldati che tirano a sorte. 3) Gv 19,25-30; Mt 27, 55.56.45-50; Mc 15,40-41.33-37; Lc 23,49.44.36.46 - Musica “paurosa”, Gesù grida (Elì Elì…), inquadratura degli spettatori stupiti dal grido, Gesù grida di nuovo, la musica si fa imponente. - Ripresa dall’alto delle donne e poi primo piano, ripresa dall’alto della città avvolta nel buio improvviso, inquadratura del soldato che dà da bere a Gesù, primo piano di Gesù. 4) Mt 27,51-54; Mc 15,38-39; Lc 23, 45.47-48 - Dolly ad inquadrare gradualmente il tempio, dissolvenza, interno del tempio, tuoni e musica lenta e drammatica, tuono fortissimo, il velo del tempio si squarcia. - Campo lunghissimo: paesaggio spoglio e desertico; al centro, piccolissimo, il tempio: zoom sul santuario, si intravede una crepa che comincia ad allargarsi: ora la mdp è drammaticamente ferma, rumore della crepa che si allarga, il santuario si squarcia, la terra trema (si vede dal mdm), le rocce si frantumano (dettaglio). Rumore sordo, i sepolcri si aprono, inquadratura su un sepolcro, esce un morto, altri escono. Campo medio sui morti che si dirigono verso la città, gli abitanti fuggono spaventati. Cambio scena (stacco): il centurione trema davanti a Gesù crocifisso, primo piano. 5) Gv 19,31-35.38; Mt 27,57-58; Mc 15,42-43; Lc 23,50-52 96 Cfr. A. POPPI, Sinossi dei quattro vangeli, op.cit. Il numero tra parentesi si riferisce ai sei gruppi di lavoro in cui ho diviso le classi e a cui corrispondono sei brani di sinossi evangelica che i ragazzi hanno tentato di mettere in scena. 97 49 - Campo lunghissimo sul Golgota, lamenti, primo piano dei volto dei cadaveri sulla croce, musica lenta, colpi di tamburo. - Rumore di passi, ritmo da marcia, campo medio: arrivano i soldati a spezzare le gambe ai condannati; campo lungo, un soldato trafigge Gesù. Dialogo Pilato-Giuseppe D’Arimatea: campo-controcampo, musica a toni bassi. 6) Gv 20,11-16; Mt 28,2-8; Mc 16,3-10; Lc 24,2-10 - Silenzio totale, campo lungo: arrivano le 3 donne al sepolcro, mdp dentro al sepolcro inquadra Maria che vede la pietra ribaltata, musica di suspence. - Maria arriva al sepolcro: immagini in bianco e nero; all’apparire dell’angelo lentamente sfumano e diventano a colori, molta luce, che risalta ancora di più con il gioco del passaggio. 5. VERIFICA FINALE (una lezione) Nella sesta e ultima lezione ho consegnato tre domande ai sei gruppi di lavoro precedenti e queste sono state le risposte (sintetizzate): Domanda. n.1: esaminate tutto il materiale che avete ricevuto (fotocopie) e discutendo brevemente, segnalate le cose che avete capito, quelle che vi hanno maggiormente interessato , le scoperte che avete fatto e cercate di verificare se è cambiato qualcosa nel vostro modo di vedere un film. - Abbiamo capito tutto quello che è stato spiegato: in particolare è stata interessante la parte relativa alle fasi di realizzazione del film, siamo soddisfatti di aver fatto questo lavoro perché adesso guarderemo al film in maniera diversa, non solo come svago. - Abbiamo capito molto poco anche se è stata molto interessante la parte tecnica (come si gira un film); non avevamo idea di quanto fosse faticoso fare un film. - Abbiamo imparato come leggere un film e la lavorazione che ci sta dietro. - Il lavoro svolto non ci ha granché interessato, forse perché non siamo abituati a cogliere i particolari, le tecniche di ripresa, i piani ecc… Di solito guardiamo un film per distrarci, sperando che le scene che accadono “là dentro” possano avverarsi nella nostra vita. Siamo consapevoli tuttavia che questo lavoro, anche se noioso e faticoso, può aiutarci ad aprire gli occhi. - È stato interessante imparare a leggere il film, ora guarderemo al cinema con occhio più critico. - Le cose che ci hanno maggiormente colpito sono state: la carrellata, la dolly e la steady-cam. Abbiamo scoperto ed imparato i nomi delle varie inquadrature, non pensavamo che fosse una cosa così complicata. Sarà bello adesso guardare un film e indovinare i nomi delle inquadrature e dei movimenti di macchina. - Il lavoro svolto in queste ore di Religione è stato veramente interessante: il linguaggio cinematografico fa parte della nostra vita ed è stato bello porsi dietro alla macchina da presa. E’ cambiato il nostro modo di guardare il film, siamo più critici e se una scena non ci piace siamo in grado di dire precisamente perché, che cosa non va e possiamo pensare ad un’alternativa. Abbiamo capito che i titoli di testa e di coda sono molto importanti per comprendere il lavoro che ci sta dietro. - È stato faticoso ma adesso siamo…degli specialisti! - Abbiamo imparato a guardare non solo la trama del film ma anche la sua intelaiatura nascosta, il lato tecnico e simbolico. Con questo lavoro finale di scrittura abbiamo sentito inoltre la fatica del regista nel mettere in scena anche solo pochi fotogrammi. - Abbiamo capito che il cinema non è una cosa banale, ma è un’opera costosa, lenta e faticosa da realizzare. - Ci ha colpito il montaggio, cioè la possibilità che il regista ha di comporre il film, tagliare e mettere a posto. Domanda n.2: lavorare sul cinema religioso, in particolare cristologico, ha modificato l’idea che avevate di Gesù?(Gesù e il cinema: ne vale la pena? Giudizio sull’unità didattica) - Sì, c’è un guadagno dalla traduzione filmica riguardo a Gesù; è stato utile vedere vari frammenti da vari film perché altrimenti ci saremmo annoiati. - No, un film non aggiunge nulla a un personaggio così importante. Il lavoro fatto in classe è stato un po’ frettoloso, ci voleva più tempo. 50 - Avremmo preferito vedere un intero film su Gesù, si sarebbe capito meglio il lavoro fatto dal regista. - Abbiamo scoperto cose nuove sul personaggio Gesù che però rischia di perdere qualcosa dalla traduzione filmica. Il lavoro è stato approfondito ma un po’ di corsa. - Abbiamo visto Gesù in maniera del tutto diversa. - Sì, ne vale la pena: la figura di Gesù ne guadagna in modernità, appare più attuale e comprensibile; il fatto che molti registi anche non credenti se ne siano occupati, è la prova della grandezza di Gesù. - E’ stato gradevole vedere vari pezzettini dei film su Gesù e abbiamo imparato cose che non sapevamo anche del Vangelo. - Il cinema religioso aiuta a capire meglio il lato umano di Gesù; la differenza la fa comunque la bravura del regista. E’ stato utile vedere vari spezzoni film su Gesù, perché erano evidenti gli stili differenti dei vari autori, e le differenze sono state messe in grande evidenza; è stato curioso e stuzzicante il confronto stilistico! - Ci è piaciuto l’argomento, un po’ meno questa verifica finale anche se necessaria. - Interessante vedere vari frammenti, in particolare le tre crocifissioni in successione (Pasolini, Rossellini, Scorsese). - Conosciamo già la vita di Gesù ma il film aiuta a vedere cose che nel testo scritto sfuggono; gradevole la visione a spezzoni. - Abbiamo imparato anche cose che non sapevamo dei Vangeli, non ci eravamo mai soffermati su certi dettagli. - Abbiamo visto grazie agli spezzoni un Gesù più umano, più vicino alla nostra debolezza Domanda n.3: immaginate che prossimamente un regista voglia fare l’ennesimo film su Gesù: quali consigli gli dareste? - Usare il ralenti, colori vivaci, semplicità nei dialoghi, non dilungarsi nelle scene. - Usare con attenzione la musica, associarla bene alle scene: ciò contribuisce in maniera decisiva alla riuscita di un film. - Solo un grande artista può fare un film su Gesù, non un qualsiasi regista: non è facile cogliere un personaggio così complesso. - E’ importante che dal film emerga il Gesù della fede (sic). - Pochi effetti speciali: è importante che il film abbia un sapore antico; attenzione al paesaggio, quindi molti campi lunghi e lunghissimi. - Usare spesso la dissolvenza e variare molto i campi di ripresa per rendere il film dinamico; romanzare un po’ il testo senza tradire la Parola. - Forse non serve un altro film su Gesù; in ogni caso ogni persona immagina a suo modo la storia di Gesù. L’unico suggerimento è: essere originali, non ripetere quello che gli altri hanno già fatto, cercare di portare sullo schermo la propria esperienza personale e spirituale di Gesù. - E’ importante che un nuovo film su Gesù sia povero di effetti speciali, semplice ed incisivo. - In bianco e nero! - Attenersi al testo biblico senza aggiungere cose fantasiose. - Musica malinconica e ralenti nelle scene drammatiche; nei dialoghi primi piani e campocontrocampo. - E’ importante descrivere minuziosamente e dettagliatamente l’ambiente storico della vicenda di Gesù: le città, i paesaggi, i costumi. Osservazioni finali sull’unità didattica Obiettivo finale dell’unità didattica non era diventare esperti di cinema ma incontrare Gesù come colui che dà senso alla storia dell’umanità e all’esistenza di ogni singolo uomo. Purtroppo non c’è stato il tempo per mettere maggiormente a fuoco questo punto di approdo, tuttavia sono soddisfatto del lavoro dei ragazzi che hanno comunque apprezzato la novità di incontrare Gesù attraverso il testo filmico con un tentativo di analisi rigorosa. 51 Molti gruppi di lavoro hanno colto la polifonia del testo filmico ed hanno compreso l’utilità di leggere il Vangelo secondo lo schema sinottico; sono stati colpiti dalle diversità macroscopiche che ci possono essere da un regista all’altro, ma questo d’altronde si vede anche da un Vangelo all’altro. Mi aspettavo di riscuotere un certo gradimento nello svelare i trucchi del cinema e le tecniche di ripresa; penso che molti di loro abbiano intuito che comunque ogni scelta stilistica ha un preciso significato, e nei lavori consegnati dai ragazzi si è vista questa nuova consapevolezza: il regista, come un pittore, sceglie certi colori e certe sfumature perché ha qualcosa di particolare da dire, qualcosa che gli preme sottolineare. Sono stato piacevolmente sorpreso dal rilievo che qualcuno ha fatto dell’importanza di rispettare il testo biblico nella trascrizione filmica: era un aspetto che esplicitamente ho solo accennato, qualcuno l’ha colto perfettamente. Ho vissuto il lavoro come qualcosa di nuovo ed entusiasmante e sono stato gratificato molto dalla risposta degli alunni che hanno in buona parte dato tutto quello che potevano; hanno seguito le fasi dell’unità con interesse e coinvolgimento crescenti ed hanno apprezzato la passione e l’impegno profusi dall’insegnante. La recente riflessione sullo spazio pittorico98 svolta insieme al collega Manuel Ponso mi ha suggerito la possibilità di inventare un altro percorso didattico forse più gradevole ed efficace perché incentrato sull’analisi delle immagini: un anno fa non avrei potuto offrire molto ai miei alunni, per cui ho lavorato soprattutto sulla scrittura del film. Lo splendore artistico di molte inquadrature del film L’ultima tentazione di Cristo è in linea con l’idea che vuole i contenuti e i concetti rivestiti di gradevolezza e visibilità ed il film analizzato gioca molto sulla seduzione visiva proprio per far passare contenuti scomodi e forti ma suggestivi; il parallelo pittorico delle inquadrature analizzate fa chiaramente intravedere l’enorme potenziale simbolico dell’intero testo filmico, una ricchezza che intendo senz’altro sfruttare nei prossimi anni scolastici. 98 Cfr. p.25 52 VII GESU NEL CINEMA DEL TERZO MILLENNIO Il cinema sacro ed in particolare il soggetto Gesù hanno attraversato tutto il secolo precedente: è lecito chiedersi quali saranno i modelli di riferimento principali nelle prossime eventuali trasposizioni cinematografiche a soggetto religioso. I tre film cristologici di cui mi sono occupato (Il Vangelo secondo Matteo, Il Messia, L’ultima tentazione di Cristo) hanno tracciato un percorso di cui bisogna tener conto; in particolare il Gesù di Scorsese, ampiamente analizzato, ha fornito spunti e intuizioni che potrebbero essere ripresi e approfonditi secondo quello stile che cerca di far parlare la Parola di Dio all’uomo contemporaneo; pur con le aporie evidenziate, ritengo si possa parlare di cinema cristologico prima e dopo Scorsese. Credo che un film su Gesù sia moderno ed efficace quanto più riflette la sensibilità, l’umanità e l’eventuale esperienza di fede dell’autore: può risultare pericoloso e non corretto modellare la storia di Gesù e la sua figura sulle proprie ossessioni ma l’uomo moderno non è interessato ad un ennesimo film cronaca, sulla falsariga dei celebri kolossal biblici che hanno imperversato negli anni cinquanta e sessanta. Credo sia doveroso ribadire la scelta stilistica operata da tutti e tre i registi (Pasolini, Rossellini, Scorsese) di non filmare ciò che supera le possibilità umane e tecniche; esemplare quindi come i tre registi mettono in scena il momento della morte di Gesù, una discrezione ed una assenza eticamente rilevanti, da cui si deduce che la grandezza di un regista non si misura da ciò che mostra o da come lo mostra ma forse proprio da cosa evita di far vedere. Nello Scavo giustamente afferma: “La settima arte può solo in questo caso, suggerire, sussurrare. Ma spiegare nò. Anche al cinema quello resterà il Mistero della Fede”99. Ritornando allo schema di valutazione illustrato inizialmente (traduzione, trasposizione, tradimento), il pericolo del tradimento o del travisamento è sempre in agguato; forte è la tentazione di mettere in evidenza nella riscrittura filmica particolari o personaggi che nel testo biblico risultano poco importanti se non addirittura insignificanti: esemplare la figura di Maddalena, che spesso è stata ridisegnata ed ingigantita in svariate versioni cinematografiche, allacciandosi tra l’altro ad una tradizione errata che la considerava ex-prostituta. Il sacro resta un argomento appetibile, ed occorre evidenziare i criteri che possono far valutare come corretto un testo filmico e quando esso può essere definito traduzione: la traduzione è un’opera nuova, una riscrittura del testo in un contesto nuovo; il senso originale non viene travisato, sostituito o tolto ma riceve una innovazione semantica. La fedeltà della traduzione non sta tanto nel rispetto pedissequo della lettera, quanto nelle riproposizione dello spirito originario con nuove sfumature. Spesso la trasposizione sullo schermo funge da veicolo alla poetica personale del regista che tradisce la lettera e, apparentemente, anche lo spirito, interpretando, inventando,tagliando, enfatizzando, nascondendo, svelando, demistificando, ricontestualizzando, in una parola, facendo cinema. Questo tradimento però è sempre fecondo, perché, nello scoprire l’inedita visione del regista (sia essa troppo semplificata e inerte o scandalosa e provocatoria), siamo obbligati a ripensare la nostra: il cinema è un mezzo che costringe ogni persona (qualunque sia la sua fede e cultura) a confrontarsi con il testo di origine, a riscoprirlo, ad interrogarlo, a riviverlo: “Il Gesù raccontato dal regista può inizialmente sconcertarci, addirittura irritarci, ma poi, ci forza a rileggere e ripensare parole, episodi, azioni che abbiamo confinato (e forse rimosso) in una visione di maniera, come una consuetudine ereditata dall’infanzia che non coinvolge più il nostro travaglio quotidiano di adulti”100. Quanto al recente e discusso Passion di Mel Gibson (2004), concordo con Viganò quando afferma che “non ci sono lacune nei vangeli da rimediare mediante il ricorso a ritratti devozionali, narrazioni d’arte, o a visioni che appartengono all’esperienza spirituale di singole persone”101. In merito al conclamato pregio del film di dare finalmente una versione realistica delle sofferenze patite da Gesù, mi limito ad osservare che non è la quantità e la crudeltà delle 99 N. SCAVO, Un uomo chiamato Gesù, op. cit., p.3. L. CASTELLANI, Telenovela hollywoodiana o vera catechesi?, in “Letture” 49 (1994), p. 44. 100 53 percosse e torture a rendere importante la morte di Gesù quanto il significato che Egli dà al Suo Sacrificio, un significato che emerge in maniera molto più chiara e nitida in altri film cristologici! In ogni caso, ritengo attualmente molto più interessante ed avvincente, oltre che originale, la passione psicologica ed umana raccontata da Scorsese, che non la sanguinolenta e medioevale via crucis portata sullo schermo con clamoroso successo di pubblico da Mel Gibson102. Nonostante gli innumerevoli tentativi filmici, il soggetto Gesù permane dunque sostanzialmente irraggiungibile ed inafferrabile: ci sarà sempre bisogno di una nuova rilettura attualizzante, leggibile e comprensibile per l’uomo d’oggi, costantemente bisognoso di una traduzione della Parola attenta al linguaggio contemporaneo; si può quindi affermare che il tema del sacro e in particolare Gesù (tema eccedente, inesauribile e fascinoso) permane a tutt’oggi un cantiere aperto! 101 Avvenire 26.02.2004; quanto alle “visioni”, il film Passion, presentato come versione fedele e letterale del racconto evangelico (addirittura le lingue parlate dagli attori sono l’aramaico antico e il latino!), si prende in realtà non trascurabili libertà rispetto ai Vangeli: per ammissione dello stesso Mel Gibson infatti, il film si basa anche sui diari di Suor Anne Catherine Emmerich (1774-1824) dove la stessa racconta particolari della passione di Gesù presenti nelle sue visioni. 102 In effetti sarebbe molto più interessante del film, analizzare il fenomeno sociologico che il film ha generato, un’affluenza nelle sale ed un eco mediatica che rivelano come minimo una perfetta macchina pubblicitaria, ma probabilmente c’è anche dell’altro. 54 BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE A. BOURLOT – D.E. VIGANÒ, Dal tradimento alla traduzione: le figure di Gesù nel cinema, in “Ambrosius”, n.1 (1997), pp.66-72 D.E. VIGANÒ – G. MICHELONE, L'umana divinità: il Vangelo secondo Matteo. Lettura religiosa in AA.VV., Letture dei film. Metodi e analisi nel cinema contemporaneo, Grafica Santhiese Editrice, 1997 D.E. VIGANÒ, Il paradosso dell’eccedenza di Dio, in AA.VV., Il cinema veicolo di spiritualità e di cultura, EDS, Roma 1998 D.E. VIGANÒ, Il cinema delle parabole a fine millennio, in Film D.O.C., Genova, anno 7, n.34, 1999 D.E. VIGANÒ (a cura di), Il cinema delle parabole Vol. I, Effatà, Torino 2000 D.E. VIGANÒ (a cura di), Il cinema delle parabole Vol II, Effatà, Torino 2000 D.IANNOTTA – D.E. VIGANÒ, Essere. Parola. Immagine: percorsi del cinema biblico, Effatà, Torino 2000 D.E. VIGANÒ, Cinema e Chiesa. I documenti del Magistero, Effatà, Torino, 2002 D.E. VIGANÒ, Fascinoso, inafferrabile Gesù, in “Avvenire”, 26 febbraio 2004 E.G. LAURA, Gesù nel cinema, ANCCI, Quaderno di “Filmcronache” n.7, 1997 G.C. BERTOLINA, Martin Scorsese, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995 D. AUDINO (a cura di), Martin Scorsese, Dino Audino editore, Roma N. KAZANTZAKIS, L’ultima tentazione (O teleutaios peirasmòs), 1959 (ed. It. 1987 IV ed.), Frassinelli N. SCAVO, Un uomo chiamato Gesù: il Vangelo secondo Pasolini, Scorsese e Zeffirelli, Quaderno di “Filmcronache”n.12, 2001 F.CASETTI - F.di CHIO, Analisi del film, Bompiani, Sonzogno 1990 A.COSTA, Saper vedere il cinema, Bompiani, Sonzogno 1985 G. CANOBBIO (a cura di), La fede di Gesù. Atti del convegno tenuto a Trento il 27-28 maggio 1998, Ed. Dehoniane, Bologna 2000. 55 ELENCO ALUNNI DI TERZA MEDIA CON I QUALI È STATA REALIZZATA L’UNITÀ DIDATTICA GESÙ NELL’ANNO SC. 2001-2002 ISTITUTO COMPRENSIVO “B. NODARI” – LUGO DI VICENZA BRAZZALE SARA CARLI GENNY CAROLLO DANIEL CAROLLO ELEONORA CENGIA NICOLA DALLA COSTA FABIO DALLA COSTA LAURA GARZOTTO ALESSIA GRAZIAN MICHELE MANZARDO LUIGI MILANOVIC GORAN MISSIAGGIA KEVIN PASIN CARLO TAGLIAPIETRA ENRICO TESTOLIN PAOLO ZIGLIOTTO STEFANO BONATO FRANCESCA BORTOLI FABIO CAPPOZZO ALESSANDRO CAROLLO ANDREA CAROLLO CHIARA DALLA COSTA DANIELE DALLE CARBONARE ANNA DALLE MOLLE DAVIDE DUSO ALBERTO FRASSONI PAOLO MERLO FEDERICA MIGNANI JENNY MINOTTO ERIKA PELLIN MATTIA POLGA NICOLÒ RANZOLIN MARTINA ROSA ELENA SEGALLA ELISABETTA VALERIANO LAURA ISTITUTO COMPRENSIVO “D. PITTARINI” – FARA VICENTINO BONAGURO MONICA BONATO ENRICO CAROLLO ANDREA DAL BIANCO MATTIA DAL PONTE DANIEL DALLA VALLE MONICA DALLE NOGARE ANTHONY ESSIEN OCRAN EDITH ESSIEN OCRAN EMANUEL FIORAVANZO ENRICO MANZARDO STEFANO MARZARO ANNA MICHELON CHRISTIAN MICHELON GIOVANNI PASQUALE GIORGIA ROBIN ANNA SOARDI MARCO SPEROTTO ERIKA TURCO MATTIA ZAVAGNIN ELIA 56 BAGGIO GLORIA BALASSO PAOLA BALZAN LAURA BARAUSSE ANDREA BORIN ALEX BOSCHIERO SEBASTIAN CANAGLIA ADRIANO CROSARA FABIO DALLA VALLE LAURA GASPARINI MARTINA GASPARINI MATTEO GUERRA ELISA LANARO ALBERTO LEONI GIULIA MARCHIORETTO MARTINA SPEROTTO OLIVER TESCARI SIMONE VALERIO MATTEO ZOLIN ANTONELLA RINGRAZIAMENTI Desidero ringraziare le seguenti persone che in vario modo mi hanno aiutato a realizzare questo lavoro: Agli amici Emiliano Costacurta, Maurizio Mottin, Walter Pigato (e famiglie) per il sostegno e l’incoraggiamento incessante Ponso Manuel per l’eccellente lavoro di ricerca iconografica svolto Filiberto Battistello per i consigli ed il materiale vario fornito Don Sergio De Marchi per il capitolo cristologico Mons. Franco Costa per la parte didattica Don Dario Viganò per l’input iniziale, la prefazione e le indicazioni bibliografiche Dedico inoltre queste pagine alle tre persone che sono risultate decisive per la mia formazione (P. Rino Dott. Bonvini, Sr. Mariangela Ferronato, Mons. Paolo Doni) e ai miei genitori che hanno condiviso con pazienza e apprensione la realizzazione lenta e faticosa di questo e degli altri progetti. Grazie davvero! APPENDICE Appunti per una lettura critica del libro ANDREA MANZARDO, L’ultima tentazione di Cristo, Cineforum Idea, Nove (VI), 2005 I Considerazioni sul libro Il libro, interessante soprattutto sotto il profilo didattico, registra l’analisi minuziosa di un’opera filmica decisamente complessa, che l’A. ha svolto in quattro classi di terza media, accostando anche in maniera sinottica alcuni episodi di Scorsese alle rappresentazioni parallele di Pasolini e Rossellini. Una esercitazione volta ad introdurre i ragazzi nei criteri di lettura del testo filmico allorché in particolare il cinema tratta temi e figure bibliche, e specialmente la figura di Gesù di Nazaret. Va detto subito che il lavoro era ed è necessariamente condizionato e forzatamente limitato e costretto entro dimensioni di tempo (una ora alla settimana di lavoro coi ragazzi, per poche settimane) e di spazio (volume di 96 pagine). Entro tali limiti di indagine e di stampa, va apprezzato lo sforzo documentario e sarebbe fin troppo facile annotare le tante cose che si sarebbe voluto trovare e non vi sono. Ogni annotazione critica in tal senso non vorrebbe dunque essere assolutamente ingenerosa. Una prima sezione del libro ha carattere introduttivo, molto importante. Le prime 32 pagine dicono da dove viene questo film, qual è la sua genesi, che cosa ne ha detto la stampa, e producono un primo confronto con i film su Cristo di Pasolini e di Rossellini. La seconda sezione (pp. 33-62) è molto analitica e descrittiva circa i vari strati di fattura e i momenti e criteri di lettura del film, una parte decisamente funzionale ai fini didattici che l’A. in quanto insegnante si proponeva. La terza sezione indugia su una scelta dell’A.: più che la “questione cristologica” questa parte sviluppa in termini ampi e teologicamente assai documentati la specifica questione della “fede di Gesù”. L’A. svolge un’indagine storico-teologica molto accurata, forse esagerata in proporzione alle dimensioni complessive del volume, sulla questione se in Gesù si possa parlare di una fede in Dio o se ciò sia del tutto improprio, stante la confessione di fede della Chiesa che lo riconosce “vero Dio”. L’indagine appare accurata e preziosa in rapporto alla delicatezza del tema teologico (si può parlare di un Gesù credente in Dio?); ma forse parziale rispetto al sottotitolo “la Questione cristologica” e sproporzionata rispetto ad altri aspetti 57 cristologici, che non vengono criticamente evidenziati e fatti emergere nell’opera filmica (e prima ancora nel libro di Kazantzakis dal quale è stato tratto originariamente). L’opzione di Manzardo nel redigere il libro - tutta volta a comparare l’inquietudine, le ambiguità e il volontarismo del personaggio Gesù di Scorsese con l’atteggiamento di obbedienza/affidamento di Gesù al Padre narrato dagli apostoli nei libri del Nuovo Testamento (cfr. specialmente la Lettera agli Ebrei, 12,2)– lo porta ad una valutazione piuttosto benevola, sul film (vedi pp. 60s, 65, 73). La quarta sezione è una sommaria relazione sulla unità didattica su Gesù, svolta in classe. II Considerazioni sul film Il rapporto di questo Gesù con Dio assomiglia al rapporto di sudditanza verso il fato cieco della mitologia greca. Non ha nulla a vedere con il rapporto di Gesù di Nazaret verso Dio. A nostro avviso, il dio di Scorsese… è crudele e cieco, volendo un destino di morte per il suo messia e (ancor peggio, secondo le parole stesse di Gesù a Giuda) un necessario destino di traditore per Giuda; è un dio suddito di un fato malvagio e superiore invece che Dio libero nel proprio Amore; è geloso di tutto ciò che può dirsi bello e godibile sulla terra, di ciò di cui l’uomo Gesù può sorridere, sia che si tratti della bellezza di un paesaggio (p.50) o della tenerezza femminile; la DONNA appare, nelle parole di Gesù, sempre antagonista di Dio, è una tentatrice distraendo Gesù dalla sua missione, tanto che Gesù domanda ripetutamente perdono ora a Maddalena, ora alla Madre (di essere stato un cattivo figlio); si può dire che il dio di Scorsese è un dio misogino; questo dio si identifica con un’anima immortale che appartiene ad ognuno di noi, a tutto il mondo: il dio della New Age. Ne deriva un Gesù che continua a sentirsi peccatore (domanda perdono di qua e di là, a Maddalena, alla Madre,…); un Gesù tormentato da angosce interiori e da crisi di identità; un Gesù alienato che non sa neppure lui quel che dice, secondo quel che confida a Giuda, dopo la sua “conversione” al monastero: “Avrei voluto uccidere tutti, invece quando ho aperto la bocca è uscita la parola Amore: non so perché”; un Gesù che ama la morte più che la vita, e perciò cerca il sostegno di Giuda più che degli altri (l’abbraccio di Gesù a Giuda nell’orto degli ulivi assomiglia all’abbraccio di due amici nel giorno della laurea!…). E infine – ma è forse una delle spie più evidenti della non comprensione della fede cattolica propria di Scorsese quanto egli mette sulla bocca dell’apostolo Paolo: non importa se Gesù di Nazaret sia veramente morto o meno sulla croce e sia risorto, ciò che importa è quel che l’apostolo predica! Così infatti dice Paolo nel film: “Non m’importa se tu sei Gesù o no… Io predico la verità che la gente vuole ascoltare e se occorre farti morire sulla croce io lo farò e ti farò risorgere (s’intende nella predicazione). Siamo nella linea di quei teologi protestanti, alla Bultmann e della teologia protestante degli anni ’20-30 del secolo scorso. In Scorsese ritroviamo la posizione - che ritorna ciclicamente fin dal gnosticismo dei primi secoli dell’era cristiana – di chi volendo rendere credibile la fede all’uomo nella risurrezione, la nega o la ignora. Anche l’esito conclusivo del film – Gesù che muore finalmente rasserenato - ciò che rappresenta l’ideale traguardo dell’uomo Martin Scorsese non ha nulla del Cristo predicato dalla Chiesa. Stupisce per questo la dichiarazione del Manzardo, allorché scrive che “nella sostanza i Vangeli non sono travisati, ma c’è molto di apocrifo, di romanzato, di inventato” (p. 26): troppo benevola! È certamente il Cristo di Kanzatzakis, colui che ha vinto il peccato e la tentazione in maniera sublime e assurge dunque a modello universale di grandezza umana, superuomo. Ma questo Gesù “eroico”, se pure ha degli aspetti fascinosi per i giovani specialmente, è quanto mai lontano dal Gesù dei vangeli, la cui santità risplende nella ordinarietà dei suoi gesti, nella normalità della sua vita, nel fascino di un equilibrio che viene a lui da una coscienza certa della propria identità e del suo rapporto con Dio. Il dramma dell’accertata mancanza di identità e dunque di unità interiore che si riconosce nel Gesù di Scorsese ( o per meglio dire in Scorsese-Gesù), è tutt’altra cosa dall’affidamento drammatico di Gesù che in quanto uomo misura e sperimenta progressivamente la “fatica” dell’affidarsi ad un disegno di amore che dovrà attuarsi, perché grande, attraverso una grande sofferenza. 58 Valutazioni conclusive Il fine perseguito dall’A. con i 13-14enni a scuola durante l’ora di religione appariva e appare didatticamente interessante: per l’intento di portare gli alunni a contatto con un film a soggetto religioso, per l’impegno di fornire ai ragazzi strumenti di analisi di un film, e per la comparazione con film di altri registi che si sono parimenti cimentati sulla figura di Gesù di Nazaret. Secondo i risultati registrati dall’A., sembra che una buona parte dei ragazzi abbia manifestato evidente interesse ed alcuni abbiano anche acquisito un certo apprendimento critico dei criteri ermeneutici dell’opera filmica. Rimane però a nostro avviso qualche perplessità. L’analisi semiotica svolta dal Manzardo evidenzia accanto all’autore implicito, anche “lo spettatore implicito, ossia la chiave di accesso al testo, le condizioni di lettura dettate dal film stesso” (p. 56). Anche Dario Viganò, in Prefazione al libro, avvalora l’analisi necessaria per individuare come il “testo [filmico] vada a profilare i contorni del suo spettatore… Un cinema [quello di Scorsese] che non riposa mai su un senso ostentato ma che reclama con forza la cooperazione di un lettore/partner intelligente e acuto, capace di intraprendere un preciso cammino ermeneutico” (p. 14). È legittimo domandarsi se, mediamente, un preadolescente possa acquisire l’abilità e competenza dello spettatore intelligente e acuto che lo Scorsese esige per “il necessario cammino ermeneutico”. Inoltre, il cartello posto all’inizio della pellicola che dice: Questo film non è basato sui Vangeli. È solo una ricerca fantastica sugli eterni conflitti dello spirito non assolve il regista dall’aver compiuto una mistificazione, dal momento che ha assunto la vicenda del personaggio romanzato che Nikos Kazantzakis ha chiamato Gesù, per raccontare i suoi propri conflitti, la sua personale “angoscia dominante”, la sua “lotta spietata e incessante fra la carne e lo spirito” (sono espressioni che si leggono su un altro cartello in apertura del film). Per raccontare di sé, dunque, Scorsese ha raccontato Gesù: non però il Gesù dei Vangeli, ma il Gesù di Kazantzakis. Per questo noi non condividiamo quella valutazione piuttosto benevola, sul film, che come più sopra si è fatto notare il Manzardo ripetutamente esprime. Con questi rilievi non si vuol negare quegli aspetti di positivo interesse didattico che il prof. Manzardo ha potuto raccogliere e recensire nelle ultime pagine del volumetto. E si vuole soprattutto rendere omaggio alla fatica del giovane insegnante di religione che si è cimentato in una esperienza didattica sicuramente nuova, ma anche impervia e forse rischiosa. Non è in dubbio peraltro il rigore del docente nell’aiutare i giovanissimi studenti a non cadere nelle trappole delle ambiguità e degli incerti contorni della personalità di Gesù presenti nel film, per salvaguardare chiaramente ciò che la fede della Chiesa professa del Figlio di Maria. Don Franco Costa Vicario Episcopale - Direttore Ufficio Scuola – Diocesi di Padova 59