La disciplina giuridica delle biobanche di ricerca
Transcript
La disciplina giuridica delle biobanche di ricerca
INDICE LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE BIOBANCHE DI RICERCA Introduzione………………………………………………………………………………………5 CAPITOLO I – LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA BIOBANCHE: LA CORNICE NORMATIVA. 1. Introduzione……………………………………………………………………11 2. Oggetto della ricerca……………………………………………………….......12 3. Alla ricerca delle fonti………………………………………………………….16 4. La disciplina internazionale……………………………………………………16 4.1 Le Dichiarazioni UNESCO………………………………………………...17 4.2 Gli atti del Consiglio d’Europa…………………………………………….21 4.3 Gli strumenti di soft law……………………………………………………27 5. La disciplina comunitaria………………………………………………………29 6. La disciplina italiana……………………………………………………………37 6.1. L’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici………………………....40 7. Conclusioni……………………………………………………………… …….46 CAPITOLO II – LA NATURA GIURIDICA DEI CAMPIONI BIOLOGICI STOCCATI NELLE BIOBANCHE 1. Il rapporto biobanca-donatore: nuove interpretazioni v. nuove regolamentazioni……………………………………………………………….47 1.1. Ipotesi sulla natura giuridica del consenso informato nel contesto delle biobanche di ricerca……………………………………………………….48 1.2. Il dovere di feedback da parte della biobanca……………………………..50 2. Lo statuto giuridico del corpo e delle sue parti: tra proprietà e privacy………..51 3. Le elaborazioni dottrinali sui tessuti umani staccati dal corpo…………………57 4. La risposta della giurisprudenza………………………………………………..61 1 4.1. Il caso John Moore. “Only property can be converted”..............................61 4.2. Il caso Greenberg. L’“evaporazione” del diritto di proprietà……………..66 4.3. Il caso del dott. Catalona e l’ “exculpatory language” del consenso informato…………………………………………………………………..68 4.4. Distinti indirizzi giurisprudenziali: la respuesta española…… ………….70 5. Possibili modelli di governance………………………………………………..72 5.1. Il modello contrattuale…………………………………………………….73 5.2. Non market compensation model………………………………………….74 5.3. Global public model……………………………………………………… 75 6. Il modello del Biotrust………………………………………………………….76 CAPITOLO III – SCENARI CONDIVISI TRA BIOBANCA E RICERCATORI: MATERIAL TRANSFER AGREEMENT E DATA SHARING 1. Il rapporto sinallagmatico tra biobanca e ricercatori…………………………...83 2. Il Material Transfer Agreement………………………………………………...85 3. La struttura del Material Transfer Agreement………………………………….89 4. MTA: un gigante dai piedi d’argilla?................................................................ 99 5. Sharing the data: possibili modelli…………………………… ……………..103 5.1. Open Source Biobank…………………………………........……………..105 5.2. Protocolli Open Access………………………………........……….……...109 5.3. Open Access Governance………………........……………………………110 6. Conclusioni……………………………………………………………………113 2 CAPITOLO IV – DUE MODELLI RICERCA: TRENTINO BIOBANK A CONFRONTO NEL PANORAMA EUROPEO DELLE BIOBANCHE DI ED IL BIOBANCO VASCO PARA LA INVESTIGACIÓN O+EHUN. UN’ANALISI SPERIMENTALE. 1. Le ragioni del confronto………………………………………………………121 2. L’esperienza italiana: la Trentino Biobank…………………………………...122 3. Los biobancos en España……………………………………………………..128 3.1. Banche nazionali…………………………………… …………….....….135 3.2. Biobanche ospedaliere…………………………...……………….....……136 3.3. Reti di Biobanche………………………...……………………….....…...137 4. Biobanche in rete: O+ehun, el biobanco vasco para la investigación………..138 5. Conclusioni……………………………………………………………………144 Conclusioni……………………………………………..……………………………..149 Appendice…………………………………………….……………………………….155 Bibliografia…………………………………………….……………………………...163 3 4 Introduzione «Anche i giuristi, come ho detto ormai molte volte, hanno da saper manovrare il microscopio»1. Così il prof. Francesco Carnelutti, in un suo articolo del 1938, suggeriva allo studioso del diritto di acquisire ed utilizzare il metodo proprio di un’altra scienza. Tale lungimirante invito si rivela quantomai attuale nell’era digitale. Negli ultimi decenni, infatti, abbiamo assistito all’esplosione dei saperi, sia sotto il profilo quantitativo che, forse più importante, qualitativo. Anche la scienza giuridica è chiamata ora a confrontarsi con i nuovi traguardi dell’innovazione, intrecciando con essa una relazione che potremmo definire sinallagmatica. Da un lato, infatti, le nuove tecnologie impongono al diritto una revisione ed un aggiornamento della sue tradizionali categorie: intorno alla tecnologia si ridefinisce l’identità stessa del soggetto, a partire dalla modalità della procreazione fino alla rete di relazioni interpersonali costruita attraverso le varie tipologie di informazioni2; dall’altro, però, è lo stesso diritto a servirsi della tecnologia per il perseguimento dei suoi scopi, come nel caso dell’enforcement realizzato dai Digital Rights Management. La convergenza tra differenti saperi ha posto, negli ultimi decenni, le basi e reso possibile la messa a punto di tecniche e tecnologie sempre più sofisticate e all’avanguardia in vari ambiti scientifici, con ricadute spesso significative sulla nostra quotidianità. Come auspicato dal prof. Giovanni Pascuzzi dovrebbe instaurarsi un dialogo tra il diritto e gli altri saperi quali la biologia, la medicina, le neuroscienze, l’informatica, l’ingegneria, l’economia, la filosofia, la sociologia e la storia3. In un simile contesto, infatti, emerge con forza la necessità di una chiave comune di interpretazione, di un elemento di connessione tra le diverse branche del sapere tale da gestirne le complessità, favorirne lo sviluppo reciproco e indirizzarne le ricadute benefiche sull’intera collettività. Il diritto ed i suoi specialisti si trovano, pertanto, nella posizione ottimale per agire da cerniera tra i saperi defininendo quell’appropriato 1 CARNELUTTI F., Problema giuridico della trasfusione del sangue, in Foro Italiano, IV, 89, (1938). 2 3 RODOTÀ S., Tecnologie e diritti, Bologna, Il mulino, 2005, 15. Si veda sul punto, PASCUZZI G., Giuristi si diventa, Bologna, Il mulino, 2008. 5 framework normativo, operativo e strumentale capace di mettere in comunicazione le diverse discipline alla stregua di un “adattatore universale”. Mentre l’economia globale si rinnova costantemente davanti ai nostri occhi e la tecnologia modella nuovi scenari fino a poco tempo fa anche solo difficilmente ipotizzabili o prevedibili, uno dei settori che forse più di altri è stato in grado di raccogliere tali sfide è quello biomedico. Negli ultimi anni la ricerca in questo campo ha focalizzato il proprio interesse scientifico sullo studio biologico-molecolare delle forme di vita e delle loro alterazioni, dimostrando inoltre una notevole capacità di attrazione di investimenti pubblici e privati. E non è forse un caso se, nella cosiddetta società dell’informazione, abbia finito col costituire un elemento d’indagine privilegiato il dato informazionale contenuto nei geni umani. Infatti, i progressi raggiunti nella biologia molecolare permettono oggi l’analisi di una grande quantità di dati ed informazioni ma si impone, al contempo, la necessità di disporre di una massa critica di campioni biologici (ordinati in collezioni organizzate secondo criteri scientifici ed elevati standard qualitativi) di tessuti, neoplasie, embrioni, cordoni ombelicali, cellule, proteine, DNA, RNA, fluidi e altri materiali biologici di origine umana, indispensabili per le analisi stesse. A tal fine si è resa necessaria la creazione di apposite strutture destinate a raccogliere ordinatamente questi materiali: le biobanche di ricerca. La disciplina giuridica delle biobanche ed i rapporti reciproci che esse instaurano con gli altri attori della complessa attività di biobanking (pazienti-donatori, da un lato, e ricercatori e industrie biomediche, dall’altro) sarà specifico oggetto di approfondimento nel corso della prossime pagine del presente lavoro di tesi. La situazione normativa si presenta quantomai composita. Manca ancora una definizione condivisa di biobanca e nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines ed altri strumenti non vincolanti. Il ruolo del giurista, in un simile frangente, è pertanto quello di ricomporre le tessere di questo variegato mosaico, applicando alla disciplina giuridica della biobanca quella regolamentazione, contenuta in altri atti, che può riguardarla sotto alcuni profili. Sotto questa luce, dunque, nel corso del Capitolo I si analizzeranno i documenti più significativi a livello internazionale, comunitario e nazionale riguardo la natura delle biobanche, la protezione dell’individuo che conferisce i propri tessuti – attraverso lo strumento del consenso informato e la tutela della riservatezza dei dati personali e sanitari - nonché la commercializzazione del materiale biologico. Ci si soffermerà, in 6 particolare, sulla disciplina nazionale italiana e sul regime previsto per il trattamento dei dati genetici dall’Autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali del 2007. Nel Capitolo II sarà oggetto di approfondimento la relazione che lega la biobanca ed i pazienti-donatori, filtrata alla luce della delicata questione, tutta civilistica, della natura giuridica dei tessuti staccati dal corpo. Tale nuova situazione, che necessita di essere regolata in maniera equa ed efficiente, riguarda principalmente la configurazione di un diritto di proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy (con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici) ed il particolare ruolo del consenso informato al trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti. Partendo dall’innegabile constatazione dell’invecchiamento di alcune categorie concettuali si procederà alla rivisitazione di alcuni strumenti dell’armamentario giuridico nell’ottica delle nuove problematiche (pro)poste dalle biotecnologie. L’iter seguito prevede in primo luogo l’analisi delle elaborazione dottrinali italiane e spagnole al riguardo per concentrarsi, poi, sulla risposta fornita dalla giurisprudenza in alcune note sentenze statunitensi e, seppur dalla minor eco, da due interessanti decisioni iberiche. Alla ricerca di possibili nuovi modelli interpretativi e prendendo come spunto i principi alla base dell’analisi economica del diritto opportunamente applicati alle tematiche in oggetto, si proporranno in conclusione di capitolo alcuni input per superare la spinosa dicotomia proprietà/privacy delle parti staccate dal corpo. Verrà proposto, quindi, l’innovativo modello di matrice nordamericana definito, dai suoi promotori, Biotrust, illustrandone punti di forza e di debolezza. Infatti, si avrà modo di approfondire come l’inquadramento dei campioni biologici nella categoria dei commons e l’adozione del modello del Biotrust, quale struttura giuridica indipendente che gestisce queste risorse in maniera efficiente nell’interesse delle collettività, rappresentino una soluzione in grado di assicurare ai pazienti la tutela della riservatezza ed ai ricercatori il materiale biologico e i dati associati necessari per i loro scopi speculativi. Nel Capitolo III, invece, l’attenzione sarà focalizzata sulla relazione che si instaura tra la biobanca ed i ricercatori ad essa esterni, affrontando l’analisi dello strumento giuridico che suggella tale rapporto: il Material Transfer Agreement. Si tratta, infatti, del contratto generalmente impiegato per il trasferimento a soggetti esterni (università, 7 centro di ricerca privato o altra biobanca) dei materiali biologici di origine umana conservati in una biobanca. E’ un documento complesso, in quanto sullo stesso campione possono incardinarsi diritti differenti. La dimensione materiale del tessuto ricade nell’ambito dei diritti di proprietà; le sequenze genetiche contenute o sviluppate a partire da quel campione possono costituire oggetto di brevetto o di segreto industriale; l’uso del database contente le informazioni genetiche, cliniche, anagrafiche, ambientali o di follow up rientra nella disciplina del copyright; i possibili trattamenti di tali informazioni devono essere conformi alla tutela della privacy del paziente-donatore. La biobanca, dunque, si trova ad instaurare un rete complessa di relazioni con soggetti differenti, ognuna della quali governata da un diverso regime giuridico. Non solo. Provando a ragionare sulle potenzialità che questa nuova struttura ci presenta per promuovere la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico, si illustreranno le più moderne teorizzazioni proposte in letteratura sul data sharing ed il ruolo che la biobanca potrebbe giocare in proposito. Lambendo i territori della proprietà intellettuale, come il copyright sui database, i brevetti biotecnologici ed i meccanismi per agire sul patenting, si prenderanno in considerazione i modelli open source, i protocolli open access e le modalità di governance open access adattati allo specifico contesto della ricerca biomedica, illustrando per ciascuna tipologia luci ed ombre. Infine, nel Capitolo IV si procederà alla descrizione in chiave comparatistica e alla concreta analisi delle realtà istituzionali, operative e funzionali di due biobanche di ricerca: la Trentino Biobank ed il Biobanco Vasco para la Investigación O+ehun. Alla base di tale confronto non vi è solo l’opportunità di descrivere due scenari d’avanguardia nell’ambito della ricerca medico-scientifica, ma anche la volontà di condividere le esperienze e le informazioni acquisite durante una serie di incontri personali con esponenti e personale operativo delle due biobanche in esame. Si partirà dalla descrizione di una realtà d’eccellenza italiana nell’ambito della raccolta e conservazione di tessuti e sangue a fini di ricerca: la Trentino Biobank. Si procederà, poi, ad una panoramica sullo stato dell’arte della ricerca biomedica e dell’attività di biobanking in Spagna, recentemente innovata da un provvedimento legislativo del 2007. In particolare, ci si soffermerà sulle tipologie di biobanche sviluppatesi nel contesto spagnolo, individuando nell’esperienza basca della O+Ehun un valido modello di eccellenza da investigare. 8 La scelta di rapportare questi due Paesi non è casuale ma affonda le sue ragioni nell’analisi di condizioni e strutture giuridiche che, seppur omogenee, hanno portato ad esiti differenti. Ci si soffermerà, pertanto, sulla disamina dei casi di studio alla luce degli ordinamenti giuridici nazionali e del contesto politico e sociale di riferimento. Tale comparazione non si pone pretese di esaustività ma vuole rappresentare un utile punto di partenza per una riflessione sullo stato della ricerca scientifica e biomedica in Italia e in Spagna e sulle possibili best practices internazionali cui guardare e con cui confrontarsi. 9 10 CAPITOLO I LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE BIOBANCHE DI RICERCA: LA CORNICE NORMATIVA “Le tre regole di lavoro: 1. Esci dalla confusione, trova semplicità. 2. Dalla discordia, trova armonia. 3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole”. ALBERT EINSTEIN 1. Introduzione L’innovazione è al centro delle trasformazioni attuali dell’economia e della società. Nelle attività innovative si uniscono e si sviluppano conoscenze e processi di apprendimento, competenze per utilizzare le tecnologie esistenti e adottarne di nuove, capacità e risorse per introdurre nuovi processi produttivi e realizzare nuovi prodotti capaci di affermarsi sui mercati. In questo percorso si intrecciano competenze individuali, aspetti strutturali e comportamentali di imprese, organizzazioni pubbliche (università, centri di ricerca, soggetti governativi), dei settori produttivi e, più in generale, dei contesti economici e istituzionali. Tali caratteristiche rendono l’innovazione un fenomeno complesso e dai molteplici aspetti: tecnologici, economici, aziendali, organizzativi, legali, sociali, politici. Si tratta di un fenomeno dinamico, caratterizzato da cambiamenti di lungo periodo, con effetti profondi sull’evoluzione socio-economico-istituzionale di un “Sistema Paese”. Mutamenti profondi sono tuttora in atto nell’economia globale: l’aumentata dinamicità ambientale sta influenzando le basi del vantaggio competitivo a livello di Paesi, territori e imprese; l’entrata nell’economia della conoscenza si caratterizza per un’accelerazione ed intensificazione del ritmo delle innovazioni, del dinamismo competitivo ed una conseguente riduzione del tempo di sfruttamento dei vantaggi competitivi; le maggiori spinte competitive, oltre ad accelerare il ritmo delle innovazioni, dei processi, dei prodotti e dei servizi, creano l’esigenza di continue trasformazioni strutturali ed organizzative delle imprese stesse. L’innovazione non 11 investe più solo il sistema tecnologico, ma anche il capitale cognitivo e l’intera organizzazione delle strutture imprenditoriali, con rilevanti implicazioni sul ruolo, sulla qualità e sulle competenze del capitale umano. Per fronteggiare la competizione internazionale, la bassa crescita economica, l’allargamento dell’Unione Europea e la conseguente diminuzione del reddito medio pro-capite, nel Marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio Europeo ha deliberato un nuovo obiettivo strategico per il decennio 2000-2010: diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale puntando, inoltre, alla realizzazione di uno “spazio europeo della ricerca” al fine di integrare e coordinare in maniera più efficace ed efficiente le attività di ricerca a livello nazionale e dell’Unione4. In una moderna economia della conoscenza alla costante ricerca di nuovi e significativi assets competitivamente strategici, mentre la tecnologia delinea orizzonti difficilmente ipotizzabili fino a poco tempo prima, l’importanza ed il valore crescente dell’attività di biobanking lancia una nuova sfida innovativa alla società civile e alla comunità scientifica internazionale in toto. Non è, quindi, da ritenersi un caso se recentemente, un articolo apparso su Time Magazine ha consacrato le biobanche nell’Olimpo delle 10 idee in grado di cambiare il mondo5. Come affermato dalla Dr.a Carolyn Compton, direttrice dell’ Office of Biorepositories and Biospecimen Research del NCI statunitense: «Biobanks will transform the way we see disease developing»6. 2. Oggetto della ricerca. Il termine biobanca è di conio recente: compare per la prima volta nella letteratura scientifica a metà degli anni ‘90 in un articolo di Steffen Loft ed Henrick Enghusen Poulsen7, due docenti di clinica farmacologica dell’Università di Copenhagen. Nel 4 Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione – Consiglio europeo straordinario di Lisbona, 23-24 marzo 2000, Documento di sintesi. 5 http://www.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,1884779_1884782_1884766,00.html, ultima visita: 24 agosto 2010. 6 Ibidem. 7 LOFT S., POULSEN H.E., Cancer Risk and Oxidative DNA Damage in Man, 74 J. Mol. Med. 297 (1996). 12 lavoro in questione si faceva riferimento al termine - peraltro solo in un’occasione - nel contesto della ricerca biomedica; bisognerà attendere parecchi anni prima che questo si affermi e venga utilizzato in maniera generalizzata8. La prima definizione legislativa è, infatti, del 2002 ed è contenuta nella Lag (2002:297) om biobanker i hälso- och sjukvården m.m. All’art. 2, il legislatore svedese descrive la biobanca come: «biological material from one or several human beings collected and stored indefinitely or for a specified time and whose origin can be traced to the human or humans from whom it originates»9. Rilevante al fine di individuare una possibile definizione di biobanca è poi il documento di lavoro sui dati genetici prodotto dal Gruppo 2910: tale report, facendo proprio quanto elaborato dal gruppo istituito dal governo danese per valutare l’esigenza di nuove proposte di legge in Danimarca, ha descritto la biobanca come «raccolta strutturata di materiale biologico umano accessibile in base a determinati criteri, e in cui le informazioni contenute nel materiale biologico possono essere collegate a una determinata persona»11. Definizione che riecheggia quella fornita dal Consiglio d’Europa nella Raccomandazione R (94) 1. In questo atto, però, si prevede che la banca di tessuti adotti la forma giuridica dell’«l’organizzazione no-profit ufficialmente riconosciuta dalle autorità sanitarie competenti degli Stati membri». Sulla scorta dei documenti citati e di quelli che saranno analizzati tra breve, si può convenire sulla nozione base di biobanca come luogo, fisicamente individuato, in cui viene stoccato materiale biologico in maniera organizzata12. 8 Così ROMEO MALANDA S., Biobancos, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa. 9 La lettera della legge è debitrice del documento del 1999 predisposto dallo Swedish Medical Research Council, interamente riproposto. Nonostante siffatta previsione legislativa evidenzi già nella sua formulazione alcune contraddizioni (si parla di materiale biologico umano «stoccato per un tempo indeterminato o per un periodo limitato») e non precisi se la natura della biobanca sia pubblica o privata, ha sicuramente il merito di aver tracciato un discrimen tra questa nuova entità ed i precedenti archivi medici. 10 Si tratta del Gruppo di lavoro per la tutela dei dati personali , istituito sulla base della direttiva europea 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riferimento al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, in G.U.C.E. serie L, 24 ottobre 1995, n. 281, p.31. 11 Art. 29-Gruppo di lavoro per la tutela dei dati personali, Documento di lavoro sui dati genetici, adottato il 17 marzo 2004, p. 11. 12 La legge sulla ricerca biomedica spagnola è chiara sul punto: la biobanca deve dotarsi di una struttura, un’organizzazione, una direzione scientifica ed un regolamento scritto sul proprio funzionamento che contenga sia l’indicazione dei responsabili per la qualità e la protezione dei dati, sia un protocollo per l’incorporazione, il ritiro o la cessione di campioni. Così ROMEO MALANDA S., Biobancos, cit. 13 A scopo esclusivamente esemplificativo (vedi fig.1), esse possono essere distinte in funzione del tipo di materiale che collezionano e dello scopo per cui sono state istituite. Con riferimento al primo profilo, le biobanche possono ospitare collezioni di campioni di origine umana o di altre specie animali, vegetali o microrganismi. Le biobanche di tessuti umani, poi, possono differenziarsi, in relazione allo scopo che si prefiggono, in diagnostiche, terapeutiche (banche del sangue, di midollo osseo, di cellule staminali, di organi), forensi, di sicurezza 13, di ricerca biomedica o genetica. Queste ultime, a loro volta, posso focalizzarsi sugli studi genetici di una determinata popolazione o ceppo etnico (biobanche di popolazione) oppure concentrarsi su una o più infermità (rispettivamente oriented e general diseases). Figura 1. Quadro esemplificativo 13 L’Italia aderendo nel 2005 al Trattato in Prüm sulla cooperazione trasnfrontaliera per contrastare terrorismo, criminalità e migrazione illegale, ha emanato la legge n. 85 del 30 giugno 2009 che prevede l’istituzione della banca dati nazionale del Dna presso il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero dell’interno e la creazione del laboratorio centrale della banca dati nazionale del DNA presso il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. 14 Se la biobanca è il genus, si rende a questo punto doveroso delineare la species che in questa trattazione mi propongo di analizzare. Il termine biobanca, infatti, conosce diverse declinazioni all’interno del panorama scientifico ma, tale lavoro, lungi dall’ambizione di scandagliarne ogni singola tipologia, si focalizzerà sulle banche di tessuti umani raccolti e conservati a scopo di ricerca. Le collezioni di materiale biologico possono avere ad oggetto tessuti, sangue, urine, cellule, DNA. Nel caso di banche di tessuti, i campioni consistono per la maggior parte nei residui di materiale biologico rispetto a quello asportato dopo un’operazione chirurgica e necessario per il controllo diagnostico (cd. left over tissues), al materiale donato con il fine di effettuare un trapianto e poi non utilizzato o ritenuto inadatto, oppure ancora al materiale proveniente da persone decedute e sottoposte ad autopsia14. La ricerca biomedica trova proprio in queste collezioni la sua più grande fonte di informazioni. Lo studio massiccio di campioni biologici offre la possibilità di progredire nell’analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione, nell’identificazione di alterazioni lungo la linea germinale verosimilmente associate a malattie genetiche, nella proposizione di nuovi obiettivi per la farmacogenetica nonché nell’identificazione e sperimentazione dei biomarcatori per terapie individualizzate. Essi rappresentano la risorsa chiave per gli sviluppi della medicina personalizzata e potrebbero rivoluzionare il concetto stesso di terapia/cura tradizionalmente inteso. Gli standards finora utilizzati per il trattamento di campioni di origine clinica devono dunque essere adeguati al cambiamento avvenuto nella ricerca medica: si rende, infatti, indispensabile che i campioni siano trattati in forma appropriata, omogenea e collegati ai dati associati. Ecco perché la biobanca non può essere confusa con le collezioni di campioni biologici, né deve essere appiattita sulla figura degli archivi di anatomia patologica. Da questi si distingue per l’organizzazione di cui si dota, le regole di accesso, la professionalizzazione nella raccolta e l’assicurazione della qualità dei campioni, adeguatamente classificati e stoccati. Come efficacemente proposto nello studio condotto dal prof. Romeo Casabona, la biobanca ha come obiettivi precipui: «la promozione della ricerca scientifica di avanguardia nel settore biomedico, mettendo a disposizione della comunità scientifica 14 Come evidenziato in Allegato III, Linee Guida per la certificazione delle biobanche, Gruppo di lavoro del CNBB, 19 aprile 2006. 15 materiale biologico di origine umana; la prevenzione del traffico illecito di tali materiali, mediante la cessione gratuita ai ricercatori - senza ripercussioni sui costi per il suo ottenimento, processo, conservazione e consegna – e la predisposizione di sistemi per garantirne le tracciabilità; l’adozione di procedimenti per la richiesta e l’ottenimento del consenso dei soggetti donatori e per la tutela di altri diritti di cui questi potrebbero essere titolari riguardo ai campioni e dati personali, affrancando il ricercatore da quest’onere»15. 3. Alla ricerca della fonti La situazione normativa si presenta quantomai composita: manca ancora una definizione condivisa di biobanca e nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines e altri strumenti non vincolanti. Il ruolo dell’interprete, in un simile frangente, è pertanto quello di ricomporre le tessere di questo variegato mosaico, applicando alla disciplina giuridica della biobanca quella regolamentazione, contenuta in altri atti, che può interessarla sotto alcuni profili. Sotto questa luce, dunque, si analizzeranno i documenti più significativi a livello internazionale, comunitario e nazionale riguardo la natura delle biobanche, la protezione dell’individuo – attraverso lo strumento del consenso informato e la tutela della riservatezza dei dati personali e sanitari - nonché la commercializzazione del materiale biologico. 4. Il panorama internazionale A livello internazionale le fonti che interessano la regolamentazione delle biobanche sono molteplici, dall’ampio respiro e dal diverso valore giuridico ma essenzialmente riconducibili a due istituzioni: l’UNESCO e il Consiglio d’Europa. Di portata più specifica è, invece, la Recommendation on Human Biobanks and Genetic Research Databases (HBGRD) dell’OCSE, che si propone di fornire dei principi-guida per la 15 ROMEO CASABONA C.M., Utilización de maestra biológicas humanas con fines de investigación en biomédica y regulación de biobancos, in ROMEO CASABONA C.M (ed.), Retos de la investigación y comercialización de nuevos fármacos, Bilbao, Comares, 2008, 284. 16 creazione, governance, gestione, attività, accesso, uso ed eventuale interruzione dei servizi di biobanca e database genetico con fini di ricerca 16. Da segnalare al riguardo, sono anche le Best Practice Guidelines for BRCs (Biological Research Centres) dell’OCSE, le quali si preoccupano sia di fornire una prassi per la raccolta, lo stoccaggio e l’approvvigionamento dei materiali biologici, sia di fissare gli standards qualitativi per i BRC17. Trattandosi di strumenti di soft law, occorre, però, tenere presente la loro natura e considerare la loro effettiva vincolatività. La stessa Raccomandazione dell’OCSE afferma come « [it] has been developed to aid policymakers and practitioners who are establishing new HBGRDs, although many of the principles and best practices can also be usefully applied to HBGRDs already in existence». Tali strumenti internazionali potranno esclusivamente fungere da modello per la normativa nazionale e comunitaria fornendo linee guida e best practice elaborate a seguito di un processo di interazione con organismi di tipo scientifico. Pertanto, seppur non vincolanti, rappresentano comunque documenti di cui tener conto data l’autorevolezza degli organismi dai quali provengono. 4.1 Le Dichiarazioni UNESCO La Dichiarazione universale sul genoma umano e dei diritti dell’uomo, adottata all’unanimità dall’Unesco nel 1997, rappresenta il primo strumento di portata universale in materia bioetica. Essa è stata emanata allo scopo di fornire principi etici e giuridici utili alla promozione della libertà di ricerca, della dignità umana, della solidarietà e della cooperazione internazionale. Il suo primo articolo, dichiarando simbolicamente il genoma umano patrimonio dell’umanità, afferma che esso «sottende l’unità fondamentale di tutti i membri della famiglia umana, come pure il riconoscimento della loro intrinseca dignità e della loro diversità». Tale comune eredità non è, però, un talento da sotterrare né una fonte di conoscenza da rendere impenetrabile: come esplicitato dalla successiva lettera b dell’art. 12 «la libertà della ricerca […] deriva dalla libertà di pensiero. Le applicazioni della ricerca soprattutto in ambito biologico, 16 http://www.oecd.org/dataoecd/41/47/44054609.pdf. Ultima visita: 24 agosto 2010. Tale documento era stato preceduto dalla Guidance for the Operation Of Biological Research Centres (BRCs). 17 17 genetico e medico, concernenti il genoma umano, devono tendere ad alleviare la sofferenza ed a migliorare la salute dell’individuo e di tutta l’umanità». Per quanto attiene al tema di cui ci stiamo occupando la Dichiarazione internazionale sui dati genetici umani dell’UNESCO (2003) è rilevante sotto alcuni profili. In particolare, l’art.8 lett.a introduce uno dei punti nodali in tema di biobanche: per raccogliere dati genetici e proteomici umani o materiali biologici - e per il seguente trattamento, uso e conservazione - è imprescindibile che venga prestato un consenso libero, preventivo, informato18 ed espresso, non condizionato da incentivi di natura economica o di profitto. I successivi paragrafi b e c dell’art.8 rinviano alle normative nazionali per la definizione delle modalità di prestazione del consenso di persona incapace, preoccupandosi, però, di sottolineare l’importanza di coinvolgere nella maniera più ampia possibile tale soggetto e di tenere in considerazione l’opinione del minore. Inoltre, il consenso, se prestato riguardo dati genetici o proteomici o materiali biologici raccolti con finalità mediche o di ricerca scientifica, può sempre essere revocato dalla persona interessata, «a meno che tali dati siano irrevocabilmente dissociati da una persona identificabile» (art.9 lett.a). Se così non fosse, tali dati e materiali dovrebbero essere trattati solo previo consenso informato della persona. Se le volontà del soggetto non dovessero risultare praticabili o sicure, dati e materiali andrebbero irrimediabilmente dissociati o distrutti (art.9 lett.c). Si tenga presente poi che al momento del consenso la persona interessata deve essere messa a conoscenza del diritto ad essere informata o meno dei risultati che potrebbero derivare dalla ricerca effettuata sul proprio campione. Tale regola, però, come enunciato all’art.10, non si applica alla «ricerca sui dati irrimediabilmente dissociati da persone identificabili o a dati che portano a risultati univoci riguardo alle persone che hanno partecipato 18 La medesima Dichiarazione precisa all’art. 6 lett. d che: «è un imperativo etico che informazioni chiare, imparziali, sufficienti e adeguate siano fornite alla persona di cui si richiede il consenso informato, espresso libero e preventivo. Queste informazioni devono, oltre a fornire altri dettagli necessari, specificare le finalità per cui i dati genetici e proteomici umani sono raccolti dai materiali biologici e sono utilizzati e conservati. Queste informazioni dovrebbero indicare, se necessario, i rischi e le conseguenze. Queste informazioni dovrebbero anche indicare che la persona interessata può revocare il suo consenso, senza costrizione, e che la revoca non implica nessun tipo di sanzione o effetto negativo per la persona interessata». Tale disposizione sembra disegnare un narrow consent: il «purpose» dell’utilizzo del dato genetico ricavato dal campione biologico deve essere specificatamente indicato e comunicato al soggetto consenziente; indicazione, questa, che trova eco nei successivi artt. 16 e 22 che prescrivono l’ottenimento di un nuovo e diverso consenso nel caso di ricerche scientifiche con scopi diversi da quelli per i quali il consenso era stato originariamente prestato e nel caso in cui i dati debbano essere utilizzati e confrontati con altri derivanti da ricerche con finalità differenti. 18 all’esperimento di ricerca». La norma si preoccupa di precisare come il diritto a non essere informati dei risultati della ricerca dovrebbe estendersi ai parenti identificabili che possano risentire delle conseguenze derivanti dalle informazioni. Il profilo del consenso, entra in gioco anche sotto un ulteriore aspetto. Qualora, si prospetti un cambio di finalità riguardo all’uso dei dati genetici ricavati 19, tale mutamento non deve essere incompatibile con il consenso originalmente prestato, a meno che non intervengano «motivi importanti di interesse pubblico» (art. 16 lett.a), risulti impossibile ottenere un consenso libero, preventivo, espresso ed informato o i dati genetici siano irrimediabilmente dissociati dalla persona identificabile (art. 16 lett. b). Anche i materiali biologici sottostanno al principio del consenso informato, ma la normativa nazionale può disporre che essi siano ugualmente utilizzati se i dati da essi ricavati rivestano un’importanza particolare per la ricerca o la sanità pubblica (art. 17.a). Vedremo nel proseguio della trattazione come la somministrazione, da un lato, e la prestazione del consenso, dall’altro, costituiscano un punto nevralgico nella relazione biobanca-paziente. Per ciò che concerne l’accesso ai dati genetici e ai materiali biologici, la regola generale prevede che essi, se associati ad un soggetto identificabile, non possano essere resi noti né accessibili a terzi - quali, ad esempio, i datori di lavoro, le compagnie assicurative o la famiglia stessa – a meno che il loro accesso sia motivato da importanti ragioni di interesse pubblico legislativamente previste o sia stato ottenuto un adeguato consenso informato conforme alle disposizioni nazionali e al diritto internazionale relativo ai diritti umani (art.14). Infatti, come successivamente precisato «la riservatezza di un individuo che partecipa in uno studio basato sui dati genetici o dei dati proteomici deve essere protetta e i dati dovrebbero avere un carattere di segretezza». Analoghe cautele si riverberano sulla disciplina del trattamento dei dati genetici o proteomici nonché dei materiali biologici raccolti a fini di ricerca: in primo luogo, essi dovrebbero essere dissociati così da non essere riconducibili in alcun modo all’identità 19 Le finalità per cui i dati genetici e proteo mici umani possono essere raccolti, trattati, utilizzati e collezionati sono così indicate all’art.5: «(i) diagnosi e assistenza sanitaria, incluso lo screening e i test genetici predittivi; (ii) ricerca medica e scientifica, incluso epidemiologica, specialmente per studi genetici su una popolazione, così come studi antropologici e archeologici, cui ci si riferisce collettivamente come “ricerca medica e scientifica”; (iii) medicina legale e civile, procedimenti penali e altri procedimenti giudiziari, nel rispetto delle disposizioni dell’art.1 par. c); (iv) qualsiasi altro scopo conforme alla Dichiarazione universale sul Genoma Umano e i Diritti Umani e il diritto internazionale relativo ai diritti umani». 19 del soggetto e, in aggiunta, dovrebbero essere predisposte tutte le precauzioni necessarie per assicurarne la riservatezza e sicurezza (art. 14 lett.c). L’unica eccezione alla dissociazione dato-persona potrebbe verificarsi solo se il materiale in questione sia necessario per portate avanti la ricerca (fermo restando il rispetto delle garanzie previste dal legislatore nazionale in tema di riservatezza dell’individuo e segretezza dei dati o dei materiali biologici). In ogni caso, dati genetici e proteomici umani non dovrebbero essere conservati in modo da consentire l’identificazione del soggetto cui corrispondono oltre il tempo strettamente necessario al raggiungimento dello scopo per cui sono stati raccolti e trattati (art.14 lett.e). Il successivo art. 15 sembra rivolgersi proprio alle biobanche, sottolineando il ruolo da esse rivestito in qualità di garanti dell’accuratezza, affidabilità e sicurezza: «le persone e le entità responsabili […] dovrebbero altresì dimostrare rigore, cautela, onestà e integrità nel trattamento e nell’interpretazione dei dati genetici e proteomici umani e di altri materiali biologici, in considerazione delle implicazioni etiche, giuridiche e sociali». Nella medesima direzione sembrano orientarsi gli artt. 18 e 19 che promuovono la circolazione transazionale dei dati genetici e dei materiali biologici al fine di favorire la cooperazione internazionale medica, scientifica e culturale, assicurare un equo accesso a tali risorse, incoraggiare la condivisione delle conoscenze da parte dei ricercatori e condividere i benefici risultanti dalla ricerca condotta su tali materiali. Il benefit sharing, in particolare, potrebbe essere determinato sì da una scelta del legislatore nazionale, come sembra suggerire il dettato della norma in esame20, ma potrebbe anche dipendere come conseguenza della scelta di un determinato modello di governance da parte della biobanca e dal sistema dei diritti di proprietà intellettuale delle eventuali invenzioni biotecnologiche. Per completare il quadro internazionale è d’obbligo fare cenno alla Dichiarazione Universale sulla bioetica e i diritti umani, promulgata dall’UNESCO nel 2005. Anche 20 L’art. 19 prevede a titolo esemplificativo come forme in cui tale condivisione di benefici con la società civile e la comunità scientifica si possano concretizzare: «assistenza speciale alle persone e ai gruppi che hanno preso parte alla ricerca; accesso alle cure mediche; nuovi mezzi diagnostici, strutture per nuovi trattamenti sanitari o medicinali che sono stati resi possibili grazie alla ricerca effettuata; sostegno per i servizi sanitari; strutture e servizi per rafforzare la capacità di far ricerca; sviluppo e rafforzamento della capacità per i paesi in via di sviluppo di raccogliere e trattare i dati genetici umani, prendendo in considerazione i loro specifici problemi; qualsiasi altra forma compatibile con i principi stabiliti in questa Dichiarazione». 20 questo documento sottolinea l’importanza - nel campo della ricerca scientifica - del consenso previo, libero, espresso ed informato della persona coinvolta (art.6.2). Viene ribadita la possibilità di revocare il consenso in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, a meno che non sia diversamente stabilito a livello nazionale per l’interesse della sicurezza pubblica, per le indagini, detenzioni o procedimenti penali, per la protezione della salute pubblica o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui (art.27). Inoltre, si precisa che nei casi particolari di ricerca condotta su un determinato gruppo o su una comunità può essere richiesto l’ulteriore accordo dei rappresentanti legali di tale gruppo o comunità, ma l’accordo collettivo non può in alcun modo sostituire il consenso informato dell’individuo (art. 6.3). Anche tale documento internazionale si preoccupa di tutelare la riservatezza delle persone interessate e la confidenzialità dei loro dati personali (art.9) e di “sensibilizzare” gli Stati ed i ricercatori alla condivisione dei benefici derivanti dalla ricerca scientifica e dalle sue applicazioni (art.15). 4.2 Gli atti del Consiglio d’Europa Centrale nel panorama normativo continentale è la Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e della dignità dell’essere umano con riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina del 1997, meglio nota come Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina o Convenzione di Oviedo. Nata con l’obiettivo di costruire una bioetica comune all’interno del vecchio continente, in realtà è un documento normativo dal respiro più ampio e dalla vocazione universalistica 21. La Convenzione si preoccupa di preservare l’integrità, i diritti, le libertà fondamentali, la dignità e l’identità dell’essere umano con riferimento alle applicazioni della biologia e della medicina, imponendo agli Stati firmatari di adottare le misure necessarie per rendere effettive le disposizioni della Convenzione nel proprio diritto interno (art.1). Un profilo che sembra riferirsi implicitamente alle biobanche è quello delineato all’art. 22 della Convenzione. Tale disposizione, infatti, prevede che quando una parte del corpo umano è stata prelevata a seguito di un intervento chirurgico, essa non possa 21 Per una disamina più approfondita si veda PICIOCCHI C., La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., III, 1301, (2001). 21 essere conservata ed utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è stato prestato il consenso. Ciò significa che il tessuto stoccato nella biobanca non potrà essere destinato alla ricerca se non sia intervenuto per iscritto il consenso, preceduto dalle appropriate procedure di informazione. A conclusione di questa breve ricognizione del dato normativo e dei profili rilevanti per questa indagine, occorre precisare che la Convenzione di Oviedo non è efficace nel nostro paese, anche se talvolta viene recuperata in via interpretativa. Questo perché, pur essendo stata sottoscritta dall’Italia, il processo di ratifica formale non può dirsi compiutamente realizzato, in quanto manca a tutt’oggi il deposito degli strumenti di ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa22. Il paradosso di un trattato quasi-ratificato, sembra doversi risolvere alla luce degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, che tende a conferire alle norme di derivazione internazionale un valore via via crescente23. Inoltre, a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona lo scorso 1° dicembre, la Convenzione di Oviedo dovrebbe fare ingresso nel nostro ordinamento attraverso i punti espressamente richiamati nella Carta di Nizza, il cui valore è stato equiparato a quello dei Trattati dell’Unione. La Carta dei diritti fondamentali dell’UE, infatti, include il principio del consenso libero ed informato nell’ambito della medicina e della biologia (art.3.2) e le Spiegazioni del Praesidium, divenute vincolanti per l’interpretazione della Carta da parte delle corti nazionali a seguito del Trattato di Lisbona, esplicitano che tale principio vada letto alla luce della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa. La vincolatività delle disposizioni in tema di consenso informato e degli altri principi della Convenzione di Oviedo espressamente richiamati, pertanto, non dovrebbe più essere messa in discussione. Oltre alla Convenzione testè analizzata, il Consiglio d’Europa ha affrontato specificatamente le tematiche legate alla raccolta e conservazione dei campioni 22 Si tratta, questa, di una condizione imprescindibile ed espressamente prevista dall’art.11 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati. L’emanazione dello strumento diplomatico in cui la ratifica si manifesta è, sì, necessaria, ma non sufficiente a che lo Stato si possa ritenere vincolato al trattato internazionale: ove si tratti di accordi internazionali plurilaterali, come la Convenzione di Oviedo, l’adempimento diplomatico-protocollario consiste nel deposito degli strumenti di ratifica. Cfr. MARESCA A., Il diritto dei Trattati. La Convenzione codificatrice di Vienna del 23 Maggio 1969, Milano, Giuffrè, 1971, TREVES T., Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, Giuffrè, 2005 e PALAZZOLO E., Ordinamento costituzionale e formazione dei Trattati internazionali, Milano, Giuffrè, 2003. 23 Corte Costituzionale, 20 gennaio 2005, n. 45. 22 biologici nella Raccomandazione R (2006) 424. Tale Raccomandazione disciplina l’attività di ricerca medico-scientifica condotta attraverso il materiale biologico di origine umana25, rimosso e conservato sia ai fini di uno specifico progetto di ricerca, che per fini differenti, ma comunque utile all’attività di ricerca (art.2). La disposizione certamente più discussa della Raccomandazione è senz’altro rappresentata dall’art. 10.2, il quale dispone che ai fini dell’utilizzo dei tessuti è necessario che sia prestato idoneo consenso in cui si renda edotto il soggetto donatore dei progetti di ricerca in cui verrà utilizzato il campione, nella maniera più dettagliata possibile (art.10.2). Una simile previsione, però, fin dalla sua formulazione, suscita alcuni interrogativi: appare, infatti, difficilmente praticabile l’ipotesi di un’informazione «as specific as possible with regard to any foreseen research uses and the choices available in that respect». Come sottolineato dagli esperti nel settore medico e scientifico, risulta particolarmente complesso illustrare al momento del prelievo del campione i suoi possibili impieghi futuri, soprattutto nel lungo periodo. Le scienze e la tecnica avanzano rapidamente e si rinnovano continuamente, delineando sempre nuovi orizzonti e rendendo possibili scenari prima inesplorati: la previsione di un siffatto onere informativo in capo ai professionisti della salute e della ricerca significherebbe voler loro attribuire doti quasi divinatorie. Per completare il quadro, si evidenzia come anche il documento in esame preveda il diritto di ritirare o cambiare lo scopo per cui il consenso è stato prestato. L’esercizio di tale diritto può avvenire in qualsiasi momento e non può causare al soggetto nessuna forma di discriminazione o pregiudizio, in particolare con riguardo al diritto all’assistenza sanitaria. Inoltre, nel caso in cui venga ritirato il consenso inerente a materiale biologico identificabile e raccolto esclusivamente con fini di ricerca, si dovrebbe provvedere alla distruzione del campione o alla sua completa anonimizzazione (art. 15). Proseguendo sul piano definitorio, la Raccomandazione risulta particolarmente interessante per alcune distinzioni che traccia circa l’identificabilità dei materiali biologici. Essa precisa che per «tessuti identificabili» devono intendersi quei materiali biologici che, da soli o correlati dai dati associati, permettono l’identificazione delle 24 La Raccomandazione ha trasposto praticamente senza modificazioni il Progetto elaborato nel 2005 dal Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI). 25 E’ esclusa esplicitamente l’applicabilità della Raccomandazione ai tessuti di origine embrionica e fetale (art. 2.4). 23 persone cui si riferiscono, direttamente o attraverso l’utilizzo di un codice. In quest’ultima ipotesi, la Raccomandazione compie un’ulteriore specificazione distinguendo tra «coded materials», il cui codice è conosciuto da chi utilizza il tessuto, e «linked anonimysed materials», per cui il codice è noto solo a soggetti terzi rispetto al diretto utilizzatore. I materiali biologici non identificabili («unlinked anonimysed materials») sono, invece, quelli che non consentono, con sforzi ragionevoli, di identificare la persona cui appartenevano. Sulla questione dell’identificabilità, l’atto del Comitato dei Ministri sembra prendere una posizione ben definita, prevedendo come principio generale l’anonimizzazione dei materiali biologici e dei dati associati impiegati nella ricerca. Viene, infatti, precisato che il ricercatore debba giustificare qualsiasi loro eventuale utilizzo in forma identificata, codificata o «linked anonimysed» (art. 8). Per ciò che concerne nello specifico, la disciplina dell’utilizzo dei materiali biologici a scopo di ricerca, l’art. 21 ribadisce che tale impiego non può eccedere i limiti espressi nel consenso, pur prevedendo un’eccezione. Infatti, all’art. 22 viene formulata le seguente regola procedurale: qualora l’utilizzo del materiale biologico identificabile non rispetti i limiti fissati nel consenso, bisognerà compiere ragionevoli sforzi per contattare la persona coinvolta ed ottenere un nuovo consenso. Se l’operazione non andasse a buon fine o se risultasse eccessivamente oneroso ricontattare l’interessato, i materiali biologici potranno comunque essere impiegati in quel progetto di ricerca sulla base di tre requisiti: a. la ricerca deve affrontare un importante interesse scientifico; b. l’obiettivo della ricerca non può essere ragionevolmente conseguito utilizzando materiali biologici per i quali il consenso è già stato ottenuto; c. non c’è nessuna prova che lasci presumere che la persona coinvolta si sarebbe espressamente opposta ad un simile utilizzo scientifico. In ogni caso, viene fatta salva la possibilità di rifiutare o di ritirare il consenso all’utilizzo del proprio materiale biologico identificabile in un progetto di ricerca. Invece, per quanto riguarda i materiali biologici non identificabili, essi potranno essere utilizzati a fini di ricerca con l’unico limite del rispetto delle restrizioni eventualmente poste dalla persona interessata prima dell’anonimizzazione (art. 23). 24 Le successive disposizioni dettano alcune indicazioni generali in tema di approvazione dei progetti di ricerca, di valutazione del loro merito scientifico e di verifica dei requisiti di «ethical acceptability». La Raccomandazione rinvia esplicitamente al Protocollo Addizionale sulla ricerca biomedica per quanto riguarda l’applicabilità delle previsioni relative ai comitati etici e alla tutela dei principi di confidenzialità e diritto all’informazione. Ma il Capitolo IV della Raccomandazione, interamente dedicato alle collezioni di materiali biologici, fornisce alcuni principi-base valevoli in linea generale anche per le biobanche. All’art.14 si prevede che: sia nominata una persona e/o un’istituzione responsabile per la collezione; siano specificati gli scopi e la gestione della collezione secondo principi di trasparenza e responsabilità, compresi l’accesso, l’utilizzo, il trasferimento dei materiali biologici e la «disclosure» delle informazioni; sia documentato ed annotato in maniera appropriata ogni campione biologico, anche con riferimento al tipo di consenso o di autorizzazioni prestati; siano stabilite condizioni chiare di accesso ed uso dei campioni; siano adottate le idonee misure di garanzia, come le condizioni di sicurezza e confidenzialità durante lo stoccaggio e la manipolazione dei materiali biologici. E’ poi prescritta la cautela, nel caso di trasferimenti transfrontalieri, che i tessuti e i dati personali associati “viaggino” verso Stati che assicurino un adeguato livello di protezione (art. 16). Questa tematica è centrale nell’attuale panorama internazionale, dominato dall’esigenza di stabilire network di biobanche e di condividere in rete tessuti e conoscenze. Una simile esigenza nasce proprio dalla presa di coscienza della necessaria collaborazione in questo settore ma anche dalla consapevolezza che non potrà realizzarsi un’effettiva circolazione di dati e materiali in assenza di standards comuni e riconosciuti dalla comunità scientifica. La Raccomandazione, però, conosce bene il discrimen tra semplice collezione di materiali biologici e biobanca di ricerca: il valore di questa viene riconosciuto nella possibilità di collegare i materiali biologici ed i dati personali associati a dati genealogici, medici o a fattori ambientali, di aggiornare periodicamente questi dati (informazioni di follow-up) e di organizzarli in maniera ordinata (art.17.1). Anche se la Raccomandazione prende in considerazione solo la tipologia delle biobanche di popolazione, alcuni dei suoi principi in tema di controllo e di accesso, avendo una portata generale, possono essere applicati in via analogica anche agli altri 25 tipi di biobanca. In particolare, per salvaguardare i diritti e gli interessi delle persone interessate nel biobanking dovrebbe essere previsto un sistema di controllo indipendente ed autonomo; tali controlli andrebbero condotti in maniera regolare al fine di sviluppare le procedure di accesso e di uso dei campioni; dovrebbero stabilirsi delle procedure idonee per il trasferimento o la chiusura della biobanca; dovrebbero essere pubblicati reports periodici sia sulle attività svolte che su quelle programmate (art. 19). Infine, si esortano gli Stati a prendere le misure appropriate per facilitare i ricercatori nell’accesso al materiale biologico ed ai dati associati stoccati nelle biobanche (art. 20). Per concludere il quadro delle fonti europee è da menzionare la Raccomandazione R(97)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa alla raccolta e al trattamento automatizzato dei dati sanitari. Essi, definiti come i dati a carattere personale relativi alla salute di una persona o aventi un collegamento stretto e manifesto con la salute, possono essere raccolti e trattati a fini di salute pubblica, di prevenzione di un pericolo concreto o per la repressione di una determinata infrazione penale ovvero ancora ai fini di un altro importante interesse pubblico (art. 4.3 lett.a). La Raccomandazione, però, non esclude che tali dati vengano utilizzati anche a fini di medicina preventiva nei limiti fissati dal legislatore nazionale. Per ciò che concerne i dati genetici, ossia tutti dati che riguardano i caratteri ereditari di un individuo o che sono in rapporto con quei caratteri che formano il patrimonio di un gruppo di individui affini, essi possono essere raccolti e trattati non solo a fini di prevenzione, diagnosi o terapia nei confronti della persona interessata, ma anche per ricerca scientifica purché venga rispettato il fine per cui la persona aveva prestato il consenso (art. 4.7). Anche questo documento naturalmente considera il consenso quale adempimento necessario per la raccolta e l’utilizzo dei dati (art. 6). Ma è soprattutto la disciplina relativa alle scoperte inattese a costituire un punto innovativo. Si prevede, infatti, che la persona sottoposta ad uno screening genetico dovrà essere informata delle scoperte impreviste qualora: ciò non sia vietato dal diritto interno, la persona abbia esplicitamente richiesto tale informazione nell’atto di consenso e l’informazione in questione possa causare un danno grave alla salute della persona o ad un suo parente consanguineo o uterino, ad un membro della sua famiglia sociale o ad una persona avente un legame diretto con la linea genetica della persona. A meno che il 26 diritto interno non vieti categoricamente di comunicare una simile informazione alla persona interessata, essa dovrà essere comunque avvisata se queste scoperte rivestano per lei un’importanza terapeutica o preventiva diretta (art. 8.4). Vedremo in seguito come le scoperte inattese e la possibilità di ricontattare il paziente costituiscano al momento un aspetto cruciale per le biobanche. La difficoltà consiste nel capire se sulla biobanca gravi un onere, un dovere, un obbligo, una facoltà, un diritto to feedback al paziente le informazioni derivanti dallo studio e dall’analisi del suo campione una volta che questo sia stato ceduto a scopo di ricerca. 4.3 Gli strumenti di soft law Se il diritto è chiamato a disciplinare le scienze, esso non può prescindere dal penetrare la logica e le leggi che le governano. L’invito a questo dialogo tra i saperi non sembra essere caduto nel vuoto: si annoverano, infatti, una serie di documenti elaborati da organi scientifici, quali la World Medical Association (WMA), il Council for International Organization of Medical Sciences (CIOMS), la Human Genome Organization (HUGO), l’European Medicine Agency o l’European Society of Human Genetics. In particolare, la WMA si è fatta promotrice di un numero cospicuo di questi atti: dalla dichiarazione di Helsinki - un atto contenente principi sulla sperimentazione umana ed essenzialmente rivolto alla comunità medica - alla Declaration on Ethical Consideration regarding Health Databases. Quest’ultima in particolare, investe le biobanche in quanto database genetici che raccolgono, annotano, registrano ed utilizzano i dati personali di salute di una pluralità di individui. La Dichiarazione si preoccupa di garantire il right to privacy del paziente sui propri dati medici, ponendo in capo al professionista della salute un duty of confidantiality. Proprio la confidenzialità viene indicata come il cuore della pratica medica e ne viene sottolineata l’importanza per il mantenimento della fiducia e dell’integrità della relazione medico-paziente. Il documento detta una serie di principi applicabili a tutti gli health databases, quali: il diritto di accesso del paziente alle informazioni relative alla propria salute; il diritto di decidere che queste informazioni siano cancellate dal database (cd. clausola di optingout); il dovere di confidenzialità del medico rispetto ai dati medici che raccoglie e che 27 inserisce nel database; il consenso informato del paziente all’inclusione dei propri dati sulla salute nel database e all’eventuale accesso a queste informazioni da parte di soggetti terzi; la dissociazione dell’identità del soggetto dal dato mediante l’utilizzo di un codice o di un alias; la responsabilità del medico nell’assicurare l’accuratezza del dato inserito nel database; la predisposizione di un’adeguata documentazione che spieghi quali informazioni sono contenute nel database e con quale scopo, il tipo di consenso che è stato ottenuto dal paziente, chi può accedere ai dati, le finalità e le modalità con cui il dato può essere collegato ad altre informazioni, le circostanze nelle quali il dato può essere messo a disposizione di soggetti terzi; l’individuazione dei soggetti responsabili delle procedure e della gestione del database, cui eventualmente fare ricorso. Documenti della stessa portata sono stati emanati anche dalla HUGO. E’ il caso degli Statement on the Principled Conduct of Genetic Research, Statement on DNA Sampling e Statement on human genomic databases, emanati dall’Ethics Committee rispettivamente nel 1996, 1998 e 2002; nonché delle Etichal Guidelines for Biomedical Research Involving Human Subjects, redatte dal CIOMS in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002. Ma proliferano anche le iniziative degli stessi “tecnici” del settore per creare al loro interno un canale di comunicazione con l’obiettivo di fissare alcuni principi cardine o un modus procedendi condiviso. E’ il caso della International Stem Cell Banking Initiative (ISCBI), erede della International Society for Stem Cell Research (ISSCR)26 e dell’ International Stem Cell Forum, che si è fatta promotrice della necessità di avviare un confronto fra ricercatori con l’intento di creare un global network di banche di cellule staminali 27. L’iniziativa si è concretizzata nel Consensus Guidance for Banking and Supply of Human Embryonic Stem Cell Lines for Research Purposes28. Si propagano anche iniziative come la hESCreg (European Human Embryonic Stem Cell Registry), un database costantemente aggiornato, che si offre di fornire alla La International Society for Stem Cell Research (ISSCR) è un’organizzazione non-profit che promuove la ricerca e la diffusione della conoscenza in merito alle cellule staminali; sue sono le Guidelines for the Conduct of Human Embrionic Stem Cell Research del 2006. 27 Vedi CROOK J.M., HEJ D., STACEY G., The International Stem Cell Banking Initiative (ISCBI): raising standards to bank on, Vitro Cell Dev Biol Anim, 46 (3-4), 169 (2010). 28 Consensus Guidance for Banking and Supply of Human Embryonic Stem Cell Lines for Research Purposes, Stem Cell Rev, 5(4), 301 (2009). 26 28 comunità scientifica, ai legislatori, ai policy makers e alla collettività in genere una panoramica approfondita sullo stato attuale della ricerca sulle cellule staminali in Europa29. 5. La disciplina comunitaria Anche i Trattati Europei non offrono delle risposte specificamente pensate per le biobanche e la Commissione europea non ha ancora promosso alcun strumento normativo in grado di risolvere alcune questioni nodali che si registrano nel tema di cui stiamo parlando. E’ possibile comunque rinvenire, in atti comunitari dalla portata più ampia e generale, alcuni principi che possono valere anche in tema di biobanche. Iniziando l’analisi dalla fonte gerarchicamente sovraordinata30, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, afferma nell’ambito della medicina e della biologia alcuni principi cardine posti a tutela dell’integrità della persona quali: il consenso libero e informato della persona interessata, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti in quanto tali una fonte di lucro (art. 3.2), la protezione dei dati di carattere personale sul cui rispetto dovrebbe vigilare un’autorità indipendente (art. 8). Per quanto sia stata equiparata ai Trattati istitutivi, la Carta e le sue norme di principio hanno trovato una più compiuta e dettagliata disciplina in atti di diritto derivato dell’Unione. Come sottolineato da Tobias Schulte in den Bäumen, Daniele Paci e Dolores Ibarreta31, alcune direttive esistenti potrebbero già applicarsi a specifiche tipologie di biobanca, come la direttiva 2002/98/CE32 sulle norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti; oppure, con riferimento all’attività di biobanking nelle 29 La hESCreg è stata creata come azione specifica di supporto per implementare la ‘Life Sciences, Genomics, and Biotechnology for Human Health’ Priority del sesto Framework Programme for Research and Technological Development della Commissione Europea. 30 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è divenuta giuridicamente vincolante tramite il rimando operato dall’art. 6.1 del Trattato di Lisbona. 31 SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., PACI D., IBARRETA D., Data Protection in Biobanks – A European challenge for the long-term sustainability of Biobanking, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.31, 13:16, (2009). 32 Direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE, in G.U.C.E., serie L, 8 febbraio 2002, n. 33, p. 30. 29 sperimentazioni cliniche, potrebbe ipotizzarsi l’applicabilità della direttiva 2005/28/CE33 che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali. Nel calderone normativo potrebbero anche rientrare le direttive 98/79/CE 34 sugli strumenti di diagnosi in vitro e la direttiva 96/9/CE 35 relativa alla tutela giuridica delle banche di dati. Tuttavia, se l’applicabilità della prima al contesto della biobanca sembra essere esclusa dai consideranda 8 e 10 della direttiva stessa, la seconda potrebbe trovare un margine di applicazione attraverso la disciplina del database sui generis. Anche la direttiva 2004/23/CE36 sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e di cellule umane, insieme alle direttive 2006/17/CE37 e 2006/86/CE38, attuative della precedente, costituiscono un punto di riferimento in tema di tracciabilità dei tessuti e delle cellule donate. Anche se esse non sono applicabili all’attività di ricerca e non hanno come scopo quello di armonizzare la disciplina delle collezioni di tessuti stoccati con tale finalità, forniscono alcune indicazioni normative da tenere in considerazione. Per quanto attiene alla rintracciabilità, la direttiva 2004/23/CE prescrive l’obbligo di utilizzare codici di identificazione, e chiarisce che l’identificabilità riguarda 33 Direttiva 2005/28/CE della Commissione che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali, in G.U.C.E., serie L, 9 aprile 2005, n. 91, p.13. 34 Direttiva 98/79/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai dispositivi medicodiagnostici in vitro, in G.U.C.E., serie L., 7 dicembre 1998, n. 331, p.1. 35 Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 1996, relativa alla tutela giuridica delle banche dati, in G.U.C.E., serie L, 27 marzo 1996, n.77, p. 20 36 Direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, controllo, lavorazione, conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 7 aprile 2004, n. 102, p. 48. 37 Direttiva 2006/17/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche per la donazione, l’approvvigionamento e il controllo di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 8 febbraio 2006, n. 38, p.40. 38 Direttiva 2006/86/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 24 ottobre 2004, n. 294, p.32. 30 non solo il campione nella sua materialità ma anche i dati pertinenti che entrano in contatto con esso (art. 8)39. L’art. 13 enuncia il principio del consenso informato alla donazione, ma è la direttiva 2006/17/CE ad elaborarlo più compiutamente. Essa prevede, infatti, che l’operatore sanitario incaricato di ottenere informazioni sull’anamnesi sanitaria debba accertarsi in primis che il donatore abbia compreso le informazioni da lui fornite, abbia avuto l’opportunità di porre domande e abbia ricevuto risposte esaurienti ed, infine, che egli abbia confermato, in fede, che tutte le informazioni fornite sono veritiere. Centrale, in tema di trattamento dei dati, è la già menzionata direttiva 95/46/CE, sovente indicata come il maggior ostacolo alla cooperazione nel campo della ricerca biomedica. La direttiva del 1995 costituisce indubbiamente l’architrave nel panorama normativo comunitario in materia, ma la sua applicabilità ai campioni biologici di origine umana non era un dato pacifico in dottrina fino alla sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani, che nel caso Marper40 afferma che i principi sul trattamento dei dati devono essere visti nel più ampio contesto del diritto al rispetto della vita privata e familiare. La direttiva chiarisce che per dato personale deve intendersi qualsiasi informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (cd. persona interessata). Da una simile formulazione sembrerebbe, dunque, escluso il materiale biologico quale supporto fisico, ma non l’informazione in esso contenuta. Sotto l’ombrello di questa definizione è pacifico, invece, che ricadano altri dati - ad esempio quelli identificativi - che accompagnino il campione. La direttiva, però, potrebbe avere un’incidenza sulla disciplina dei campioni tessutali qualora i dati siano estratti da un materiale biologico di una persona identificata o identificabile. La biobanca verrebbe, dunque, investita da questa disciplina nel momento in cui processi, compia ricerche o trasferisca a soggetti terzi dati di persone identificabili41. La dissociazione tessuto-dato appare artificiale - soprattutto agli 39 Per quanto riguarda, poi, il periodo di conservazione di tali dati ai fini della completa rintracciabilità non può essere inferiore a 30 anni. La disposizione immediatamente successiva che prevede la possibilità che tali dati siano organizzati in maniera informatizzata potrebbe risultare dal sapore pleonastico, se non obsoleto. 40 Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 dicembre 2008, ricorsi n. 30562/04 e 30566/04, S. and Marper v. UK. 41 Così SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., PACI D., IBARRETA D., Data Protection in Biobanks – A European challenge for the long-term sustainability of Biobanking, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.31, 13:18, (2009). 31 operatori del settore che non avevano mai incontrato limiti all’utilizzo dei campioni biologici prima dell’arrivo dei giuristi - ma non è manichea: appare necessaria per qualificare con chiarezza la fattispecie ed effettuare un contemperamento tra il ricco armamentario normativo approntato per il trattamento dei dati e il far west del dominium sui campioni, evitando assimilazioni di situazioni giuridiche distinte. Ci si è chiesti, comunque, se i dati contenuti nella biobanca siano automaticamente dati sensibili e riconducibili, pertanto, alla disciplina prevista all’art.8 della direttiva. Questa fa una distinzione, innanzitutto, sulla base del contenuto del dato e dello scopo per cui questo è raccolto. In relazione al contenuto, l’art.8.1 allestisce una lista esemplificativa di categorie di dati sensibili (dati personali che rivelano l’origine razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati relativi alla salute e alla vita sessuale), oggetto di critiche per i contorni evanescenti del «dato relativo alla salute». Non si distingue, infatti, tra dato sulla salute per se e dati che diventano inerenti alla salute se analizzati in riferimento ad una malattia complessa42. È un problema, come già detto in precedenza, che investe anche il biobanking. I campioni biologici non sono “sensibili” di per se ma i dati in essi contenuti, in quanto descrivono lo stato fisiologico del soggetto. In ogni caso, i dati ricavabili dal campione non sono considerati sensibili se non contengono nessuna informazione riguardante la salute. Gli eventuali altri dati associati al campione potrebbero invece essere qualificati come sensibili a seconda dello scopo per cui sono processati. In definitiva l’applicazione dell’art. 8 dipende dal tipo di ricerca condotta sui campioni biologici e sui dati raccolti. Sempre secondo lo studio condotto da Schulte in Den Bäumen, Paci e Ibarreta, la classificazione rigorosa operata dalla direttiva escluderebbe dal suo raggio d’azione quelle collezioni di dati concernenti lo stile di vita e le condizioni ambientali e di lavoro del soggetto interessato43. Ma il vero grande assente è il dato genetico. Il concetto di scopo per cui il dato viene raccolto è, invece, descritto al considerando 28 della direttiva. Uno dei presupposti necessari per il trattamento dei dati è proprio il perseguimento di una finalità che deve essere esplicita, legittima e specificata al momento della raccolta dei dati. Inoltre, la finalità dei trattamenti 42 43 Ibidem. Ibid., 19. 32 successivi non può essere incompatibile con quella originariamente indicata 44. Il punto è evidentemente rilevante per la biobanche che per il perseguimento dei propri scopi si servono di database contenenti dati genetici. Al fine di assicurare le sicurezza nella circolazione dei dati, la direttiva prevede che siano adottate misure di protezione tecnologica quali le Privacy Enhancing technologies (PETs), i PRM (Privacy Rights Management) o, nel contesto specifico del software, i DRM (Digital Rights Management) ossia sistemi che permettono di controllare e gestire il flusso dei dati, garantendo al contempo l’efficienza del sistema informativo adoperato45. La direttiva 95/46/CE si occupa anche della libera circolazione dei dati personali esprimendo la consapevolezza che l’uniformità di trattamento sia un obiettivo fondamentale per il mercato interno da realizzarsi mediante azioni congiunte da parte degli Stati volte al coordinamento del flusso transfrontaliero dei dati (considerando 8). La direttiva è stata emanata sulla scorta dell’art. 286 TCE, di recente sostituito dal nuovo art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europa (TFUE) 46. Tale norma impone la protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati di 44 Analogamente dispone l’art. 6.1: «Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere: a) trattati lealmente e lecitamente; b) rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Il trattamento successivo dei dati per scopi storici, statistici o scientifici non è ritenuto incompatibile, purché gli Stati membri forniscano garanzie appropriate; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati; d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati; e) conservati in modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo per motivi storici, statistici o scientifici». 45 La Direzione generale giustizia, libertà e sicurezza della Commissione Europea sta conducendo, con l’ausilio della London Economics, un’indagine sui possibili benefici economici derivanti dall’introduzione delle PETs. La prima fase della ricerca si è conclusa lo scorso 12 novembre con la presentazione dei primi risultati e delle posizioni delle Autorità di protezione dei dati e dei soggetti pubblici nazionali. La seconda fase, tuttora in corso, si sta focalizzando sul possibile impatto delle PETs nel settore aziendale. L’implementazione del sistema di protezione della privacy attraverso i PETs comporta un impiego notevole di risorse tecnologiche e know-how che deve essere supportato da corposi investimenti finanziari. Come affermato da Viviane Reding, Commissaria europea per le Telecomunicazioni ed i Media, in occasione del Data Protection Day del 28 gennaio 2010: «Abbiamo […] un solido set di principi stabiliti dalla nostra Direttiva Generale sulla Protezione dei Dati del 1995. Tuttavia non possiamo riposare sugli allori. Il mondo è cambiato profondamente dal 1995. L’EU deve essere la guida del mondo intero quando si parla di protezione dei dati personali. Dunque l’EU si deve fornire di strumenti legali robusti per rispondere in modo efficace alle sfide poste dal rapido sviluppo delle nuove tecnologie e dall’evolversi delle minacce di sicurezza». 46 Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in G.U.C.E., serie C, 9 maggio 2008, n. 115, p. 47. 33 carattere personale che le riguardano, non solo da parte delle istituzioni dell’Unione, ma anche da parte degli Stati membri nell’esercizio delle attività che rientrano nel campo di applicazione del diritto comunitario. Con una simile formulazione, la circolazione dei dati personali verrebbe configurata come una della 4 Libertà Fondamentali dell’Unione47. Un altro provvedimento comunitario risulta di particolare importanza in riferimento alla relazione biobanca-ricercatori-industrie. Si tratta della discussa direttiva 98/44/CE48, ribattezzata dai verdi europei “direttiva Frankestein”. Con riferimento all’oggetto di questa di analisi, la direttiva rileva in tema di brevettabilità delle invenzioni sviluppate a partire dalla ricerca condotta sui materiali biologici di origine umana forniti dalla biobanche. La direttiva è chiara sul divieto di brevettabilità del corpo umano, nei vari stadi della sua formazione sviluppo, nonché la semplice scoperta di uno dei suoi elementi, inclusa la sequenza totale o parziale di un gene (art. 5.1). Tale previsione, però, non riguarda un elemento isolato dal corpo o prodotto con un processo tecnico, ivi compresa la sequenza totale o parziale di un gene, che, quindi, può costituire oggetto di un’invenzione brevettabile anche se presenti una struttura identica a quella di un elemento naturale (art. 5.2). In quest’ultimo caso è richiesto che nella disclosure del brevetto venga indicata la sua applicazione industriale (art. 5.3). Il successivo art. 6, ribattezzato “ethical clause”, prevede che siano escluse dalla brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine pubblico o al buon costume. Per supplire alla generalità intrinsecamente caratterizzante queste due categorie, la direttiva ha elencato una serie di invenzioni che non potranno essere coperte da brevetto. Si tratta dei procedimenti di clonazione di esseri umani, dei 47 Il Trattato di Lisbona ha innovato la disciplina della ricerca e dello sviluppo scientifico e tecnologico con l’introduzione del titolo XIX del TFUE il cui obiettivo è quello di rafforzare le basi scientifiche e tecnologiche dell’Unione al fine di creare uno spazio europeo per la ricerca, in cui ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente (art. 179). Per raggiungere questa meta l’Unione si è prefissata come strategia la: «a) attuazione di programmi di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, promuovendo la cooperazione con e tra le imprese, i centri di ricerca e le università; b) promozione della cooperazione in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione dell’Unione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali; c) diffusione e valorizzazione dei risultati delle attività in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione dell’Unione; d) impulso alla formazione e alla mobilità dei ricercatori dell’Unione» (art. 180). Bisogna sottolineare che al momento non è stato ancora intrapreso nessun programma quadro: queste previsioni non hanno ancora avuto concreta attuazione. 48 Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione legale delle invenzioni biotecnologiche, in G.U.C.E., serie L, 30 luglio 1998, n. 213, p.13. 34 procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano, delle utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali, dei procedimenti di modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale (art. 6.2)49. Al fine di rispondere alle esigenze etiche nella concessione dei brevetti, la direttiva europea sulle biotecnologie impone delle condizioni aggiuntive per la brevettabilità di determinate invenzioni, come nel caso dell’obbligo di ottenere il consenso informato. Il considerando 26, infatti, prevede che «nell’ambito del deposito di una domanda di brevetto, se un’invenzione ha per oggetto materiale biologico di origine umana o lo utilizza, alla persona da cui e stato prelevato il materiale deve essere stata garantita la possibilità di esprimere il proprio consenso libero e informato a tale prelievo in base al diritto nazionale». Nonostante la direttiva si sforzi di chiarire la differenza tra materiale di origine umana brevettabile e non, appare evidente quella che Mariachiara Tallacchini chiama l’«ambiguità del corpo»50, il cui status vacilla verso una paradossale situazione di non commerciabilità brevettabile. E questa ambiguità si riflette, secondo lo studio di Geertrui Van Overwalle51, in due differenti approcci: una prima scuola di pensiero vede il DNA semplicemente come polimero organico composto da nucleotidi e lo considera alla stregua di qualsiasi altro composto chimico brevettabile; mentre un altro orientamento considera il DNA come qualcosa di ulteriore e diverso rispetto ad una struttura chimica. Ritenendolo il codice della vita e una eredità comune del genere umano, questi rigettano qualsiasi forma di appropriazione o di brevetto sul genoma. In primo luogo, bisogna chiarire se il gene costituisca un’invenzione. Né le direttiva né la European Patent Convention (EPC) danno una definizione di invenzione ma indicano i requisiti che questa deve avere per essere brevettata: novità, inventiva e 49 Celeberrima al riguardo è la vicenda dell’Oncomouse di Harvard, un topo da laboratorio geneticamente modificato per sviluppare il cancro alla mammella. Nonostante le proteste, lo European Patent Office ha riconosciuto la brevettabilità di questo organismo complesso perché, pur considerando le sofferenze indotte nell’animale, questo avrebbe rappresentato un’importantissima risorsa per la ricerca contro il cancro. Il brevetto, invece, è stato rifiutato in Canada. 50 TALLACCHINI M., Habeas Corpus? Il corpo umano tra non-commerciabilità e brevettabilità, in Bioetica, 531:533, (1998). 51 VAN OVERWALLE G., Bio-Patents, law and ethics. Critical analysis of the EU biotechnology Directive, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.19, 187,(2003). 35 applicabilità industriale52. Restano esplicitamente esclusi della definizione: «discoveries, scientific theories and mathematical methods»53. La Rules 23 e EPC, riecheggiando quanto disposto dalla direttiva 98/44/CE, prevede che: «il corpo umano, nei vari stadi della sua formazione e sviluppo, nonché la mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili. Un elemento isolato dal corpo umano o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile, anche se la struttura di tale elemento è identica a quella di un naturale elemento. L’applicazione industriale di una sequenza o una sequenza parziale di un gene deve essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto». Nonostante sia evidente che si tratti di un nervo scoperto nella riflessione bioetica e che il discrimen proposto tra scoperta e invenzione nell’isolamento di un gene appaia quantomai sofisticato, la questione non sembrerebbe controversa. Un’altra questione non del tutto pacifica riguarda l’applicazione industriale dei geni isolati. I geni in quanto tali sono una fonte potenzialmente illimitata di qualsivoglia tipo di informazione, mentre il requisito della «industrial application» impone una concreta indicazione dell’impiego industriale. La EPC non si dilunga sul punto: la Rule 23e si limita a prevedere che la sequenza totale o parziale di un gene venga descritta dettagliatamente nella richiesta di deposito del brevetto e l’art.83 precisa che tale descrizione sia chiara completa in maniera tale che possa essere applicata da un soggetto esperto. Più puntuale è la previsione fornita dalla direttiva europea sulle biotecnologie. Dopo aver chiarito preliminarmente che una sequenza di DNA per essere brevettata 52 L’art.52 della EPC prevede che: «European patents shall be granted for any inventions, in all fields of technology, provided that they are new, involve an inventive step and are susceptible of industrial application». L’art.83 aggiunge un ulteriore requisito: l’invenzione deve essere sufficientemente «disclosed». Il concetto di novità è inteso in senso ampio: l’invenzione non deve essere già ricompresa nello «stato dell’arte» e, cioè, non deve essere già nota presso il pubblico prima della data di deposito del brevetto (art. 54); mentre l’«inventive step» comporta che l’invenzione non sia ovvia per una persona «skilled in the art» (art. 56). L’applicazione industriale si risolve nella possibilità di riprodurre od utilizzare l’invenzione in qualsiasi tipo di processo produttivo (art.57). 53 La proposta di direttiva COM (95) 66 conteneva un art. 3.1 di siffatta formulazione: «the human body and its elements in their natural state shall not be considered patentable inventions». Questo riferimento non è stato inserito nel testo definitivo della direttiva. Le disciplina europea sembra essersi uniformata su quella statunitense che dal 1966, con la sentenza della Corte Suprema sul caso Brenner v. Manson e la pubblica consultazione avviata, ammette senza particolari limitazioni la brevettabilità delle sequenze del DNA. 36 deve indicare la funzione a cui è rivolta (considerando 23), aggiunge, con riferimento all’applicabilità industriale, che occorre indicare «in caso di sequenza parziale di un gene utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, quale sia la proteina o la proteina parziale prodotta o quale funzione essa assolva» (considerando 24)54. 6. La disciplina italiana Se a livello internazionale possiamo parlare di un quadro normativo, a livello interno siamo ancora al bozzetto preparatorio. La situazione in Italia è estremamente frammentata: alcuni riferimenti parziali e non specifici sono stati individuati dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie nel Regolamento di polizia mortuaria (DPR 285/90)55, nell’art. 413 c.p.56, nella legislazione relativa ai trapianti d’organo57, ai servizi emotrasfusionali58 ed alla fecondazione assistita59. Nel silenzio della legge, infatti, si è assistito alla proliferazione di strumenti di soft law. Uno dei documenti più noti al riguardo è rappresentato dalla proposta di Linee Guida per la creazione, il mantenimento e l’utilizzo di Biobanche Genetiche elaborata già nel 2003 nell’ambito della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e della Fondazione Telethon60. Ulteriori linee guida sono quelle approvate dal sopracitato Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, istituito presso il Consiglio dei Ministri, per 54 La descrizione della funzione della proteina non è, invece, richiesta dal titolo 35 dello US Code. 55 In proposito l’art. 41.2 prevede che: «Il prelevamento e la conservazione di cadaveri e di pezzi anatomici, ivi compresi i prodotti fetali, devono essere di volta in volta autorizzati dall’autorità sanitaria locale semprechè nulla osti da parte degli aventi titolo». 56 Recita l’art. 413 c.p.: «Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere, o una parte di esso, a scopi scientifici o didattici in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire un milione […]». 57 Legge 1.04.1999, n. 91, “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti”. 58 D.m. n. 78 del 25.01.2001, “Caratteristiche e modalità per la donazione di sangue e di emocomponenti”. 59 L. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita. 60 S.I.G.U., Telethon Fondazione onlus, Biobanche genetiche. Linee Guida, pubblicato in Analysis, 5/6 (2003). In questo documento, le biobanche genetiche sono definite come unità di servizio, senza scopo di lucro diretto, finalizzate alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano utilizzato per diagnosi genetica, per studi sulla biodiversità e per ricerca. La peculiarità delle biobanche genetiche richiede che i campioni conservati siano collegabili ai dati anagrafici, genealogici e clinici relativi ai soggetti da cui deriva il materiale depositato. 37 l’istituzione e l’accreditamento delle biobanche. Tale documento, che si ispira espressamente alla raccomandazione R (2006) 4 del Consiglio d’Europa e alla First Generation Guidelines for NCI Supported Biorepositories del Cancer Advisory Board (2005), si propone di «definire le tipologie e i ruoli delle diverse biobanche umane, indicarne, sulla base di documenti nazionali e internazionali, le modalità per la loro istituzione e accreditamento». Il Comitato, dopo aver rapidamente passato in rassegna alcune regolamentazioni internazionali, definisce la biobanca come «unità di servizio senza scopo di lucro diretto, finalizzata alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano utilizzato per diagnosi, per studi sulla biodiversità e per ricerca». Questo documento equipara, dunque, la biobanca al modello organizzativo dei centri di risorse biologiche, definiti dall’OCSE come «centri che forniscono servizi di conservazione di cellule viventi, genomi di organismi e informazioni relative all’ereditarietà e alle funzioni dei sistemi biologici. Conservano banche di organismi coltivabili (microrganismi, cellule vegetali, animali e umane), parti replicabili di essi (genomi, plasmidi, virus, DNA), organismi vitali ma non più coltivabili, cellule tessuti, così come anche banche dati contenenti informazioni molecolari, fisiologiche e strutturali rilevanti per quelle collezioni». Le Linee Guida elencano quale tipologia di materiale possa essere conservato all’interno della biobanca (cellule, colture cellulari sia primarie che derivate e/o immortalizzate, tessuti adulti e se tali normali e patologici, acidi nucleici, proteine e liquidi biologici), mentre, con riferimento alla tipologia di biobanche e delle loro finalità, tale documento effettua una macro bipartizione tra biobanche genetiche e biobanche tessutali. Esso suggerisce poi alcuni criteri minimi che dovrebbero essere condivisi a livello nazionale e propone61, in assenza di criteri di certificazione specifici, alcune 61 Si elencano a titolo esemplificativo: «l’appartenenza ad un ente pubblico o privato già accreditato a livello regionale o nazionale che dia garanzie di sostenere tale struttura lungo termine; definizione di un documento programmatico con gli obiettivi della struttura in riferimento alle specifiche funzioni da svolgere, tipologia del materiale conservato, entità dei campioni previsti, modalità di conservazione dei campioni, modalità di gestione delle informazioni, modalità di trasporto dei campioni; definizione della logistica e locali dedicati con caratteristiche adeguate alle specifiche funzioni; utilizzo di personale qualificato dedicato con una formazione specifica alle funzioni da svolgere; responsabile della struttura o titoli adeguati alle funzioni definite nel documento programmatico, in accordo con la 38 indicazioni essenziali per assicurare la trasparenza della procedura di certificazione e adeguati meccanismi di garanzia a tutela degli interessi del richiedente lesi da un eventuale parere negativo dell’organismo certificatore. Il documento non trascura gli aspetti etici e giuridici coinvolti, quali la tutela della riservatezza, la rintracciabilità del campione, la proprietà del materiale biologico, il divieto di commercializzazione dello stesso, l’informativa e il consenso, l’accesso e il controllo dell’interessato sulle proprie informazioni. In questi casi viene effettuato semplicemente un rimando alla normativa internazionale e comunitaria in materia. Gli allegati alle Linee Guida entrano poi nello specifico in riferimento all’attività dei CRB, alle infrastrutture, alle banche di tessuti umani per la ricerca e all’allestimento del sistema informativo della biobanca. A queste ha fatto seguito il decreto 15 maggio 2006 del Ministero delle attività produttive, ora Ministero dello sviluppo economico, attraverso il quale sono state determinate le procedure per l’abilitazione degli organismi di certificazione dei CRB ed il riconoscimento di biobanche come «Centri di risorse biologiche». Il decreto, però, non risulta definitivamente esaustivo. Esso si limita a definire le biobanche con la nozione elaborata dall’OCSE per i Centri di Risorse Biologiche mentre definisce i CRB come quelle biobanche che hanno chiesto ed ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione per la qualità da parte di un organismo di certificazione dei centri di risorse biologiche (art. 2). Per l’individuazione dei criteri di certificazione si rinvia alla disciplina stabilita dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione all’ispettorato tecnico dell’industria della Direzione generale dello sviluppo produttivo e competitività del Ministero delle attività produttive (art. 6). Al di là dello scarno contenuto di queste disposizioni, lascia interdetti l’adozione di una fonte secondaria, quale un decreto ministeriale, per disciplinare un fenomeno così complesso62. 6.1. L’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici legislazione nazionale per la dirigenza; utilizzo di un sistema qualità certificato». 62 Così MACILOTTI M., IZZO U., PASCUZZI G., BARBARESCHI M., La disciplina giuridica delle biobanche, cit., p. 86:90. 39 Il Codice della privacy è rilevante ai fini della nostra indagine per la tutela accordata alla categoria dei dati genetici. Il Capo V del Codice, costituito da un unico articolo, prevede che il trattamento dei dati genetici avvenga previa autorizzazione, rilasciata dal Garante di concerto con il Ministro della salute, dopo aver acquisito il parere del Consiglio superiore di sanità (art. 90.1). Detta autorizzazione è stata adottata nel marzo del 2007. Si tratta in ogni caso dell’unico documento vincolante nel nostro ordinamento riferibile alla materia delle biobanche. L’autorizzazione dà una definizione di dato genetico e lo identifica con quel dato che «indipendentemente dalla tipologia, riguarda la costituzione genotipica di un individuo, ovvero i caratteri genetici trasmissibili nell’ambito di un gruppo di individui legati da vincoli di parentela» e al contempo individua il campione biologico come qualsiasi «campione di materiale biologico che attiene alle informazioni genotipiche caratteristiche di un individuo». Nonostante la specificità delle definizioni, l’autorizzazione predispone la medesima disciplina per entrambi e sembra considerare il campione biologico quale mero supporto dei dati genetici in esso contenuti63. I dati genetici possono essere trattati per «scopi di ricerca scientifica e statistica finalizzata alla tutela della salute della collettività in campo medico, biomedico ed epidemiologico (sempre che la disponibilità di dati solo anonimi su campioni della popolazione non permetta alla ricerca di raggiungere i suoi scopi), da svolgersi con il consenso dell’interessato salvo che nei casi di indagine statistiche o di ricerca scientifica previste dalla legge» (punto 3 lett. c). L’autorizzazione, sottoponendo il trattamento dei dati genetici alla condicio dell’impossibilità dell’adempimento della finalità mediante il trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa, sembra considerare il dato genetico come una categoria di dato “particolarmente sensibile”, in quanto qualsiasi operazione collegata al loro trattamento esigerebbe questa cautela preventiva. Il punto 3 dell’Autorizzazione prosegue sancendo l’obbligatorietà del consenso dell’interessato per l’utilizzo dei dati genetici, a meno che si tratti di indagini statistiche o di ricerca scientifica previste dalla legge. 63 Ibidem. Sul punto si veda, inoltre, l’analisi condotta in MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca (Property, Informations and Interests in the Regulation of Research Biobank), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 7-8, 222, (2008); ID., Consenso informato e biobanche di ricerca (Informed Consent and Research Biobanks), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 3, 153, (2009). 40 Con riferimento alla modalità di raccolta e conservazione, qualora le finalità del trattamento di dati genetici non possano essere realizzate senza l’identificazione anche temporanea degli interessati, il titolare deve adottare specifiche misure per mantenere separati i dati identificativi già al momento della raccolta, salvo che ciò risulti impossibile in ragione delle particolari caratteristiche del trattamento o richieda un impiego di mezzi manifestamente sproporzionato (punto 4.1). In tema di ricerca scientifica e statistica, per il cui svolgimento sia consentito il trattamento dei dati genetici e l’utilizzo dei campioni biologici, è stabilita la predisposizione di un progetto redatto conformemente agli standard del pertinente settore disciplinare, anche al fine di documentare che il trattamento dei dati e l’utilizzo dei campioni biologici si effettuato per idonei ed effettivi scopi scientifici 64. I dati e campioni utilizzabili sono esclusivamente quelli strettamente pertinenti agli scopi perseguiti, avendo sempre riguardo a che tali scopi non possano essere raggiunti mediante dati personali diversi da quelli identificativi e genetici o che non comportino il prelievo di campioni biologici (art. 4.2). A presidio di dati genetici e campioni biologici l’Autorizzazione del Garante stabilisce misure di sicurezza e custodia particolarmente rigide65. Per quanto attiene ai dati genetici e ai campioni biologici contenuti in elenchi, registri o banche dati, essi sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che li rendano temporaneamente intellegibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettano di identificare gli interessati solo in caso di necessità, così da ridurre il più possibile i rischi di conoscenza accidentale e di accesso abusivo o non autorizzato. Nel caso in cui questi elenchi, registri o banche di dati contengano anche dati collegati (riguardanti, cioè, la 64 Il progetto in questione, qualora preveda il prelievo e/o l’utilizzo di campioni biologici, deve indicare l’origine, la natura e le modalità di prelievo e di conservazione dei campioni, nonché le misure adottate per garantire la volontarietà del conferimento del materiale biologico da parte dell’interessato. 65 Stando al dettato della norma, le “cautele” che sempre devono essere adottate riguardano il controllo dell’accesso ai locali «mediante incaricati della vigilanza o strumenti elettronici che prevedano specifiche procedure di identificazione anche mediante dispositivi biometrici. Le persone ammesse, a qualunque titolo, dopo l’orario di chiusura, sono identificate e registrate. La conservazione, l’utilizzo e il trasporto dei campioni biologici sono posti in essere con modalità volte anche a garantirne la qualità, l’integrità, la disponibilità e la tracciabilità. Il trasferimento dei dati genetici in formato elettronico è effettuato con posta elettronica certificata previa cifratura delle informazioni trasmesse da realizzarsi con firma digitale. É ammesso il ricorso a canali di comunicazione di tipo "web application" che prevedano protocolli di comunicazione sicuri e garantiscano, previa verifica, l’identità digitale del server che eroga il servizio e della postazione client da cui si effettua l’accesso ai dati, ricorrendo a certificati digitali emessi in conformità alla legge da un’autorità di certificazione» (punto 4.3). 41 genealogia o lo stato di salute degli interessati) le predette tecniche devono consentire il trattamento disgiunto dei dati genetici e sanitari dagli altri dati personali identificativi (punto 4.3). L’autorizzazione proseguendo poi in tema di informativa66, richiede un quid pluris qualora il trattamento sia effettuato per scopi di ricerca scientifica e statistica: il consenso dovrà essere manifestato liberamente e potrà essere revocato in ogni momento senza arrecare pregiudizio alcuno per l’interessato67; dovranno essere indicati gli accorgimenti adottati per consentire l’identificabilità degli interessati soltanto per il tempo necessario agli scopi della raccolta o del successivo trattamento; dovrà essere precisata l’eventualità che i dati e/o i campioni vengano conservati ed utilizzati per altri scopi di ricerca scientifica e adeguatamente specificato, per quanto noto, anche con riguardo alle categorie di soggetti ai quali possono essere eventualmente comunicati i dati oppure trasferiti i campioni; dovranno essere indicate le modalità con cui gli interessati, che ne facciano richiesta, possano accedere alle informazioni contenute nel progetto di ricerca. Inoltre, si prevede che nel caso in cui i trattamenti siano effettuati mediante test e screening genetici68 per fini di ricerca, l’informativa sia resa all’interessato anche in forma scritta, in modo specifico e comprensibile, prima del prelievo o dell’utilizzo del suo campione biologico qualora lo stesso sia stato già prelevato (punto 5)69. 66 Dopo aver richiamato gli artt. 13, 77 e 78 del Codice della privacy, l’Autorizzazione prevede che tale informativa debba contenere: l’esplicitazione analitica di tutte le specifiche finalità perseguite, i risultati conseguibili anche in relazione alle notizie inattese che possono essere conosciute per effetto del trattamento dei dati genetici, il diritto dell’interessato di opporsi al trattamento dei dati genetici per motivi legittimi, la facoltà o meno, per l’interessato, di limitare l’ambito di comunicazione dei dati genetici e il trasferimento dei campioni biologici, nonché l’eventuale utilizzo di questi per ulteriori scopi, il periodo di conservazione dei dati genetici e dei campioni biologici. 67 La facoltà di revoca non è accordata qualora i dati e i campioni biologici, in origine o a seguito di trattamento, non consentano più di identificare il soggetto interessato. 68 L’Autorizzazione intende per test genetico «l’analisi a scopo clinico di uno specifico gene o del suo prodotto o funzione o di altre parti del DNA o di un cromosoma, volta effettuare una diagnosi o confermare un sospetto clinico in un individuo già affetto (test diagnostico), oppure a individuare o escludere la presenza di una mutazione associata ad una malattia genetica che possa svilupparsi in un individuo sano (test presintomatico) o, ancora, a valutare la maggiore o minore suscettibilità di un individuo a sviluppare patologie comuni (test predittivo)» (punto 1.c); mentre lo screening genetico è quel particolare test genetico che viene effettuato solo su popolazioni o gruppi definiti con il fine di delinearne le caratteristiche genetiche comuni o di identificare precocemente soggetti affetti o portatori di patologie genetiche o di altre caratteristiche ereditarie (punto 1.f). 69 L’onere di informazione è più pregnante qualora le ricerche scientifiche debbano essere condotte su campioni di popolazione: in queste ipotesi, l’attività di informazione deve essere svolta presso le comunità interessate con mezzi idonei (anche mezzi di comunicazione di massa su base locale e presentazioni pubbliche), al fine di illustrare la natura della ricerca, le finalità perseguite, le modalità di 42 Con riferimento all’altra grande tematica, che ha costituito un po’ il file rouge tra tutti i documenti finora analizzati, l’Autorizzazione del Garante prevede che il trattamento dei dati genetici e l’utilizzazione dei campioni biologici possa avvenire soltanto previa manifestazione del consenso informato in forma scritta. In quest’occasione viene, altresì, ribadito il contenuto dell’art. 23 del Codice riguardo la validità del consenso - che permane solo qualora l’interessato sia libero da ogni condizionamento o coercizione - e la sua possibilità di revoca. Nel caso in cui quest’ultima venga esercitata con riferimento a dati trattati per scopi di ricerca, è distrutto anche il campione biologico sempre che sia stato prelevato per tali scopi, a meno che il campione non possa più essere riferito ad una persona identificata o identificabile (punto 6). L’autorizzazione sembra compiere qui una scelta ben precisa, dando prevalenza alla tutela dei dati personali e sacrificando quella dei campioni biologici, equiparati ad un mero supporto, un hard drive contenente dati genetici. Il rapporto soggetto-campione sembrerebbe dunque essere attratto nella categoria dei diritti della personalità, perdendo tutte quelle sfumature e semplificando quella profondità e peculiarità che sono proprie di questa entità, giuridicamente nuova70. L’unica eccezione, che però riconferma la prevalenza accordata al dato genetico, è costituita dal fatto che il campione non sia più riferibile al soggetto interessato. Apparentemente sembrerebbe un buon compromesso ed una soluzione ragionevole se non si tenesse conto del fatto che una completa dissociazione del dato dal campione sia al momento irrealizzabile e, per quanto i processi di anonimizzazione si stiano specializzando, non sono ancora in grado di separare in compartimenti stagni la dimensione materiale da quella informazionale del tessuto. Proseguendo nella metafora informatica, una formattazione del disco rigido non può garantire la tutela della privacy: attuazione, le fonti di finanziamento e i rischi o i benefici attesi per le popolazioni coinvolte. Inoltre, l’attività di informazione deve evidenziare anche i possibili “effetti collaterali” come i rischi di discriminazione o stigmatizzazione delle comunità interessate ovvero quelli inerenti alla conoscibilità di inattesi rapporti di consanguineità e le azioni intraprese per ridurre al minimo tali rischi (punto 5.1). È evidente come una siffatta previsione sia pertinente alla disciplina di una biobanca di popolazione. 70 Sul punto si veda l’approfondita analisi di MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit. 43 l’unico modo è quello di distruggere fisicamente i dati sensibili cominciando dall’hard disk71. L’Autorizzazione conclude in tema di consenso, prevedendo che per i trattamenti effettuati mediante test genetici anche a fini di ricerca debba essere acquisito il consenso informato dei soggetti cui viene prelevato il materiale biologico necessario all’esecuzione dell’analisi. In questi casi, l’interessato dovrà dichiarare se vuole conoscere o meno i risultati dell’esame o della ricerca, comprese eventuali notizie inattese che lo riguardano, qualora queste ultime rappresentino per l’interessato un beneficio concreto e diretto in termini di terapia o di prevenzione o di consapevolezza delle scelte riproduttive. Il punto non è particolarmente chiaro: con una simile formulazione sembra che le uniche notizie inattese oggetto di comunicazione sottostiano ai requisiti da ultimo elencati. Con la conseguenza che altre notizie parimenti delicate ma non direttamente incidenti sulla salute dell’individuo siano in definitiva lasciate alla discrezionalità del medico. Per quanto attiene alla conservazione dei dati e dei campioni, essi possono essere conservati per un periodo di tempo non superiore a quello strettamente necessario per adempiere agli obblighi o ai compiti per cui sono stati raccolti o trattati (punto 8). Non prevedendo, però, un limite massimo possiamo ipotizzare per assurdo che la conservazione sia possibile in perpetuum. Questa previsione appare in contrasto con il parere e la circolare del Consiglio Superiore della Sanità in base ai quali il periodo massimo di conservazione dei campioni è di 20 anni. Qualora poi i campioni biologici e i dati genetici siano stati rispettivamente prelevati e raccolti per scopi di tutela della salute, essi possono anche essere conservati ed utilizzati a fini di ricerca scientifica, previo ottenimento del consenso informato dalle persone interessate. Invece, è resa possibile una conservazione ed utilizzazione “non consensuale” di campioni e dati nel caso in cui essi vengano impiegati limitatamente al perseguimento di scopi scientifici direttamente collegati con quelli dei progetti di ricerca per cui era stato prestato originariamente il consenso. 71 Raccolgo qui la provocazione della rivista britannica Which? Computing che provocatoriamente invitava a distruggere il disco rigido del proprio computer, con buona pace dell’ ewaste, per evitare “furti di identità”. L’articolo in questione è consultabile all’indirizzo http://www.which.co.uk/news/2009/01/smash-up-your-hard-drive-to-avoid-id-theft-166079.jsp 44 L’Autorizzazione precisa successivamente, delineando il quadro normativo per la comunicazione e diffusione dei dati, che i dati genetici e i campioni biologici raccolti per scopi di ricerca scientifica possono essere comunicati o trasferiti ad enti ed istituti di ricerca, alle associazioni e agli altri organismi pubblici e privati aventi finalità di ricerca, esclusivamente nell’ambito di progetti congiunti. Possono altresì essere comunicati o trasferiti anche a soggetti non partecipanti a progetti congiunti ma in questo caso limitatamente alle informazioni prive di dati identificativi, per scopi scientifici direttamente collegati a quelli per i quali sono stati originariamente raccolti e chiaramente determinati per iscritto nella richiesta dei dati e/o dei campioni. Viene nuovamente previsto che i risultati delle ricerche - nel caso in cui comportino un beneficio concreto diretto in termini di terapia, prevenzione o di consapevolezza delle scelte riproduttive - devono essere comunicati al medesimo interessato, eventualmente assistito da un’appropriata consulenza genetica, secondo quanto espresso nel consenso. I risultati delle ricerche però possono essere comunicati anche agli appartenenti della stessa linea genetica dell’interessato, qualora ne facciano richiesta e l’interessato vi abbia acconsentito espressamente72. Con riferimento alle ricerche condotte su popolazioni isolate, gli eventuali risultati che rivestano un’importanza terapeutica o preventiva per la tutela della salute collettiva dovranno essere resi noti alle comunità interessate e alle autorità locali. Tutte queste finora descritte sono previsioni speciali. La regola generale è che i dati genetici non possano essere diffusi. I risultati delle ricerche possono circolare solo in forma aggregata, ovvero secondo modalità che non rendano identificabili gli interessati neppure tramite dati identificativi e indiretti, anche nell’ambito di pubblicazioni. L’Autorizzazione emanata dal Garante rappresenta indubbiamente uno strumento di grande rilevanza nel panorama nazionale ma, come si è visto, permangono alcuni interrogativi che potrebbero essere risolti soltanto da interpretazioni giurisprudenziali o precisazioni del Garante stesso. L’autorità indipendente, tuttavia, ha 72 Nel caso in cui il soggetto sia deceduto occorrerà ricostruire la sua presunta volontà verificando se avesse manifestato in vita la propria opposizione ad una simile comunicazione di dati (punto 9). 45 sospeso il giudizio: l’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici rilasciata il 22 febbraio 2007 è stata ulteriormente differita fino alla fine del 2010. 7. Conclusioni Dall’analisi fin qui condotta emerge la forte esigenza di creare tassonomie comuni e di predisporre un quadro omogeneo capace di rispondere alle sfide etiche e giurisprudenziali più pressanti sollevate dalle biobanche. Un argomento così complesso non può che essere affrontato a livello multidisciplinare, tenendo conto di tutti i soggetti coinvolti. Se dal punto di vista medico-scientifico è ormai assodata l’importanza del ruolo delle biobanche, dal punto di vista legislativo occorre creare un’adeguata cornice normativa internazionale e nazionale che tuteli sia gli interessi del paziente predisponendo una disciplina chiara ed equilibrata che regoli le differenti fasi del materiale biologico umano “dalla sala operatoria al laboratorio del ricercatore” - sia degli operatori sanitari e dei ricercatori, facendo in modo che questa stessa disciplina sia dotata della flessibilità necessaria per non imbrigliare lo sviluppo scientifico e tecnologico che può essere propiziato dalle biobanche. 46 CAPITOLO II LA NATURA GIURIDICA DEI CAMPIONI BIOLOGICI STOCCATI NELLE BIOBANCHE Our bodies are our gardens, to the which our wills are gardeners WILLIAM SHAKESPEARE, Otello. 1. Il rapporto biobanca-donatore: nuove interpretazioni v. nuove regolamentazioni La rivoluzione scientifica e lo sviluppo delle nuove tecnologie ci obbligano ad aggiornare o, quantomeno, ad adeguare le tradizionali categorie del diritto civile. Come affermato da Stefano Rodotà – che mette in guardia il giurista ed il legislatore dal rischio di pensare al diritto come ad una scorciatoia, o come ad un mezzo autoritario per imporre valori che la dinamica collettiva fatica ad individuare - « è pericolosa la pretesa di regolare tutto, e una volta per sempre, così com’è pericoloso il tentativo di far sopravvivere ad ogni costo categorie giuridiche superate»73. Queste considerazioni, però, non devono far propendere per una resa incondizionata del diritto di fronte alla genomica, alla genetica o alle biotecnologie: l’invito è quello a riscoprire «una dimensione giuridica capace di fare i conti con una realtà tanto cambiata, evitando così tanto la tentazione autoritaria, quanto la marginalizzazione»74. Anche il rapporto che si instaura tra la biobanca ed i pazienti-donatori non esula da questa dinamica. Le “questioni giuridiche nuove” che necessitano di essere regolate riguardano, principalmente, la configurazione di un diritto di proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy (con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici) ed il delicato ruolo del consenso informato al trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti. Gli effetti giuridici derivanti dalla prestazione del consenso alla conservazione e all’utilizzo dei campioni a 73 74 RODOTÀ S., Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Riv. crit. dir. priv., 467:490 (1994). Ibidem. 47 scopo di ricerca, sono al momento ancora piuttosto nebulosi. Il Legislatore, come evidenziato nel precedente capitolo, non è intervenuto, tanto che ad oggi è possibile soltanto abbozzare alcune ipotesi utilizzando le categorie tradizionali offerte dal diritto civile. In particolare, come sarà meglio illustrato nei prossimi paragrafi, chiarire la natura giuridica dei campioni biologici è una quaestio di non facile soluzione. La parte staccata dal corpo è sì qualcosa che appartiene al soggetto e che contiene le sue informazioni genetiche, ma al contempo è separata dallo stesso: il campione è insieme parte del corpo e supporto informazionale. Inoltre, i dati che possono essere ricavati presentano delle caratteristiche peculiari che li rendono diversi dai dati clinici, in quanto forniscono informazioni sulla predisposizione a determinate patologie; sono uguali ed immutabili durante il corso della vita e possono essere ottenuti anche dopo il decesso della persona; sono ereditari e, pertanto, riferibili non solo al singolo ma all’intera famiglia biologica. Tali problematiche si riflettono in primo luogo sullo strumento giuridico che costituisce il primo tassello della complessa attività del biobanking: il consenso informato del paziente-donatore alla cessione del tessuto asportatogli ed al trattamento delle informazioni in esso contenuti e dei dati allo stesso associati. 1.1 Ipotesi sulla natura giuridica del consenso informato nel contesto delle biobanche di ricerca In prima battuta si potrebbe supporre che il consenso del paziente perfezioni un negozio atipico ad effetti reali (ex art. 1376 c.c.) avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del campione, od eventualmente la costituzione o il trasferimento di un diritto reale minore alla biobanca75. Si tratterebbe, in linea generale, di una prestazione di cosa futura (ex art. 1348 c.c.), dato che il tessuto da destinarsi alla ricerca verrà ad esistenza solo in seguito agli accertamenti clinici volti a comprovare la buona riuscita di un intervento chirurgico: in sostanza, potrà essere stoccato nella biobanca esclusivamente il surplus eccedente il materiale necessario allo studio anatomo-patologico. Naturalmente tale passaggio e tale alea verrebbero superate qualora il consenso venisse prestato in seguito all’operazione chirurgica ed all’eventuale disponibilità del materiale residuo. 75 MACILOTTI M., Consenso informato e biobanche di ricerca (Informed Consent and Research Biobanks), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 3, 153:158 (2009). 48 Quest’impostazione, in ogni caso, muoverebbe dall’assunto per cui i campioni biologici sono da considerarsi quali res, oggetto di un’obbligazione deducibile in contratto. Sempre nella stessa ottica, si potrebbe avanzare anche l’ipotesi della donazione (ex art. 769 c.c.), anche se sarebbe difficile vedere nella cessione del campione un depauperamento delle condizioni del donante: il paziente, infatti, avrebbe dovuto in ogni caso sottoporsi all’intervento chirurgico previsto per asportare, ad esempio, una neoplasia e lo scarto operatorio smaltito regolarmente come rifiuto speciale. A tale fattispecie di consenso, che vincola l’utilizzo del campione agli scopi di ricerca che sono stati illustrati al paziente, potrebbe sovrapporsi l’istituto della donazione modale, quale particolare forma di donazione gravata da un onere. Oppure ancora, se considerassimo i campioni biologici umani come frutti naturali (ex art. 820 c.c.) potremmo fare riferimento alla disciplina della donazione di beni futuri (ex art. 771 c.c.)76. Infine, se escludessimo a priori che i tessuti umani da destinare alla ricerca possano costituire oggetto di diritti di proprietà, allora il consenso perfezionerebbe un negozio con effetti obbligatori: la biobanca, dunque, destinerebbe il campione secondo l’uso concordato nell’informativa, che integrerebbe un regolamento negoziale77. La questione, però, posta in questi termini è comunque monoprospettica e tiene in considerazione soltanto il campione dal punto di vista materiale. Il paziente, tuttavia, con la cessione del campione conferisce non solo la possibilità di effettuare attività di ricerca sul campione in quanto bene materiale, ma anche la facoltà di trattare i dati di carattere personale derivanti dal campione. Dunque, il consenso alla cessione dei materiali biologici è uno strumento complesso che oltre a trasferire una res sembra offrire alla biobanca la possibilità di trattare i suddetti dati. 76 In tutte queste ipotesi, comunque, si porrebbe il problema della forma della donazione: il codice prescrive l’atto pubblico a pena di nullità (ex art. 782 c.c.) a meno che il contratto abbia ad oggetto beni modico valore (art.783 c.c.); il calcolo del valore del campione ex ante apparirebbe, però, un’operazione leziosa e di difficile determinazione. 77 MACILOTTI M., Consenso informato e biobanche di ricerca, cit., 159. 49 1.2 Il dovere di feedback da parte della biobanca Il rapporto paziente-biobanca dovrebbe, però, essere di tipo “sinallagmatico”: alle informazioni aggiornate di follow up fornite dal paziente dovrebbe corrispondere un dovere da parte della biobanca di restituire un feedback al donatore qualora, nel corso della ricerca, si verificassero scoperte inattese relative al suo stato di salute e lei avesse espresso il desiderio di essere ricontattata in tali circostanze. Alcuni autori hanno ricondotto tale dovere della biobanca al vincolo nascente da un duty of care: la biobanca potrebbe essere citata per negligenza «for loss of chance»78 qualora non avvertisse il partecipante alla ricerca delle scoperte inattese sulle sue condizioni di salute. Se in capo alla biobanca viene teorizzata l’esistenza di un duty of care, il soggetto, invece, sarebbe titolare di un right to feedback in forza dell’art. 2 della CEDU che imporrebbe agli stati membri un obbligo positivo di protezione del diritto alla vita. Lo stato, infatti, dovrebbe adottare misure di prevenzione a carattere generale e, in circostanze ed in condizioni particolari, anche misure operative per contrastare specifici pericoli del diritto alla vita. All’interno di tale obbligo di protezione è compresa anche la tutela della salute79. Quest’obbligo positivo, quindi, potrebbe essere esteso alla previsione di restituire un feedback al soggetto, informandolo dei rischi legati ad una grave infermità genetica scoperta nel corso della ricerca80. Secondo altra parte della dottrina il dovere di notificare i significant findings ai partecipanti potrebbe essere imposto attraverso una previsione statutaria della biobanca o mediante una clausola del contratto stipulato tra biobanca e paziente81. Ciò comunque implicherebbe che la parte vanti un interesse proprietario sul proprio tessuto. A prescindere dall’instaurazione di una relazione contrattuale tra la biobanca e il paziente, invece, potrebbe residuare una responsabilità a titolo extracontrattuale, sulla base del duty to warn in capo alla biobanca e ai ricercatori che utilizzano il campione biologico82. 78 JOHNSTON C., KAYE J., Does the UK Biobank Have a Legal Obligation to Feedback Individual Findings to Participants?, 12 Med. Law Rev., 239:258 (2004). 79 PITEA C., Diritto alla vita, in PINESCHI L., La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Milano, Giuffrè, 2006, 319-320. 80 JOHNSTON C., KAYE J., Does the UK Biobank Have a Legal Obligation to Feedback Individual Findings to Participants?, cit., 262-263. 81 SKENE L., Feeding back Significant Findings to Participants and Relatives, in KAYE J., STRANGER M., eds., Principle and Practice in Biobank Governance, Farnham, Ashgate, 2009, 163-166. 82 Ibid., 167-169. 50 Inoltre, l’obbligo, questa volta in capo alla biobanca, di fornire informazioni di “follow up” circa le scoperte inattese si addentra nella selva oscura della definizione di «significant findings». L’interpretazione potrebbe apparire abbastanza semplice nel caso in cui venisse scoperto un collegamento diretto tra una mutazione genetica e le condizioni mediche di soggetti che, se avvertiti, potrebbero intervenire con adeguate terapie o trattamenti. Ma le scoperte inattese potrebbero non essere direttamente relazionate alla salute del donatore: potrebbero riguardare eventuali scelte riproduttive o essere importanti sotto altri profili (si pensi alla scoperta, o meno, di un legame di paternità). In questi ultimi casi la decisione di feedback delle scoperte al paziente deriverebbe da un scelta inevitabilmente discrezionale della biobanca. Da questi brevi spunti dovrebbe apparire chiaro come uno dei primi nodi da sciogliere sia lo spauracchio della questione, tutta civilistica, della proprietà dei tessuti staccati dal corpo. Partendo dall’innegabile constatazione dell’invecchiamento di alcune categorie concettuali sarà bene rivisitare alcuni strumenti dell’armamentario giuridico nell’ottica delle nuove problematiche (pro)poste dalla biotecnologia e della scienza 2.083. 2. Lo statuto giuridico del corpo e delle sue parti: tra proprietà e privacy Il luogo più buio è ai piedi della candela, verrebbe da pensare. Il corpo è stato considerato come l’anello debole della nostra condizione umana. Prigione dell’anima, 83 Il neologismo “Scienza 2.0” indica il nuovo processo di ricerca scientifica supportato dall’uso delle nuove tecnologie, quali internet ed il web 2.0. Le iniziative per incoraggiare e coadiuvare lo sviluppo scientifico sono innumerevoli e spaziano da riviste scientifiche e archivi open access per la scienza collaborativa on line a piattaforme che mettono in comunicazione gli scienziati creando team di ricerca, da blog e podcast alla definizione di progetti e protocolli di ricerca. Si segnalano a titolo esemplificativo: LabMeeting (per l’organizzazione e la gestione degli articoli scientifici), Open Genius e Innocentive (per la ricerca e l’offerta di finanziamenti), Pubmed, NextBio, Google Scholar, Google Books e Connotea (per l’analisi bibliografica), Vassarstats, FightAIDS e SOCR (per l’analisi dei dati), Open Clinica, Sciencestage, My Experiment, NeuroVR (per lo svolgimento di attività clinica e di ricerca), DOAJ, Plos One, Scientstage, Scivee, Scribd, Slideshare (per la presentazione dei risultati). Fonte: http://www.scienza20.org/. Per un ulteriore approfondimento si vedano SHNEIDERMAN B., Science 2.0, Science, Vol. 319. no. 5868, 1349(2008); WALDROP M.M., Science 2.0: Great New Tool, or Great Risk??, Scientific American, January 9, (2008); ID., Is Open Access Science the Future?, Scientific American, April 4, (2008); TRAVIS J., Science by the Masses, Science, Vol. 319. no. 5871, 1750(2008); DELFANTI A., Collaborative web between open and closed science, Journal of Science Communication 7, 2 (2007); HUANG S.T., KAMEL BOULOS M.N., DELLAVALLE R.P., Scientific discourse 2.0. Will your next poster session be in Second Life?, EMBO reports 9, 6, 496 (2008); EYSENBACH G., Medicine 2.0: Social Networking, Collaboration, Participation, Apomediation and Openess, Journal of Medical Internet Research 10, 3 (2008). 51 elemento materiale che ci appesantisce e ci allontana dalla ricerca dello spirituale, che ci rende schiavi dei sensi e così profondamente contingenti da negarci il sogno dell’immortalità: la retorica della dimensione corporea e dei limiti che essa ci impone affonda le proprie radici nella notte dei tempi ed è connaturata al nostro essere. Eppure, i progressi della biotecnologia sembrano aver portato i venti della rivoluzione anche in questo settore. Ad onor del vero, la ricerca sul corpo umano è stata oggetto di controversie fin dai primi studi anatomici durante il Rinascimento e la pratica del body snatching84 - diffusa per quanto proibita tanto nel vecchio continente quanto nel nuovo - fino agli albori del XIX secolo testimoniavano, da un lato, le paure concernenti la violazione dell’integrità del corpo, la sua desacralizzazione ed i possibili interessi commerciali ad esso riconducibili; dall’altro, manifestavano l’attenzione via via crescente per la ricerca e l’avanzamento della conoscenza85. Le nuove tecniche biomediche hanno esteso drasticamente lo spettro della riflessione ai profili essenziali della persona ed al suo rapporto con la corporeità. Il corpo umano sta diventando una hot property: una risorsa che può essere sfruttata, brevettata ed utilizzata sia a scopo di lucro che a fini scientifici e terapeutici86. 84 La storia del body snatching è correlata allo studio dell’anatomia e alla dissezione dei corpi che veniva praticata già nel XIV secolo presso l’Università di Bologna. Sebbene nell’antichità classica la dissezione era accettata come componente essenziale per gli studi medici ed anatomici, tale pratica fu bandita dalla Chiesa che permise soltanto la dissezione degli animali e lo studio dei testi antichi. Nonostante i divieti, il primo episodio di body snatching in Europa viene fatto risalire al 1319, quando quattro studenti bolognesi furono arrestati per il trafugamento di un cadavere. La dissezione umana fu gradatamente accettata nel Vecchio Continente solo nel corso dei secoli. In Inghilterra, ad esempio, prima dell’Anatomy Act del 1832 gli unici cadaveri che potevano essere oggetto di studio anatomico erano quelli dei condannati a morte e a sezionamento da parte dei tribunali. La domanda, però, da parte delle scuole di medicina e delle scuole private di anatomia rimaneva insoddisfatta; si era così sviluppato un vero e proprio mercato dei corpi che trovò nei cd. resurrezionisti di Edimburgo, come Burke e Hare, il loro culmine più tetro e ripugnante: uccidevano le proprie vittime per venderle come cadaveri da dissezionare. BESS FRANK J., Body Snatching: a Grave Medical Problem, Yale Journal of Biology and Medicine 49, 399 (1976); SHULTZ S.M., Body Snatching: the Robbing of Graves for the Education of Physicians in Early Nineteenth Century America, McFarland, 2005. 85 Già Jeremy Bentham aveva perfettamente capito il valore strumentale del corpo: egli riteneva che le spoglie umane sarebbero state di gran lunga più utili se studiate invece che sepolte. Come riporta Harvey Richlin, Bentham sosteneva che «un cadavere conservato, mostrato ed esibito poteva servire a fini morali, politici, onorifici, infamanti, di risparmio, di guadagno, commemorativi, genealogici, architettonici, teatrali e frenologici». La storia narra che il corpo del filosofo venne esposto in una teca presso l’University College of London, secondo le sue ultime volontà. RICHLIN H., Lucy’s Bones, Sacred Stones and Einstein’s Brain: the Remarkable Stories Behind the Great Object and Artifacts of History, from Antiquity to the Modern Era, New York, Henry Holt & Co., 1996, 205. 86 ANDREWS L., NELKIN D., Homo economicus. The commercialization of body tissue in the age of biotechnology, Hastings Cent. Rep., 1998, 30. 52 Un simile cambiamento di paradigma non poteva che scuotere gli animi ed agitare le coscienze: «il linguaggio della scienza è sempre più imbevuto del linguaggio economico della domanda e dell’offerta, dei contratti, dello scambio e della contropartita. Le parti del corpo sono estratte come un minerale, raccolte come un frutto, sfruttate come un bene. I tessuti sono qualcosa che ci si procura - termine, questo, di solito usato per la terra, i beni e le prostitute. Cellule, embrioni e tessuti vengono congelati, archiviati, legati in biblioteche depositi commercializzati, brevettati, venduti o comprati. I cordoni ombelicali, le cui cellule staminali sono utili per finalità terapeutiche, sono descritti come una “ proprietà clinica strategica”»87. In questo particolare ambito è quantomai inopportuno condurre crociate ideologiche e imporre verità assolute. È auspicabile invece un approccio metodologico cauto che consideri gli interessi in gioco quando ci si trova davanti a tali bivi primordiali. Tradizionalmente l’immagine del corpo come qualcosa su cui vantare diritti di proprietà è ricondotta al pensiero lockiano. Il padre dell’empirismo, infatti, scriveva nel suo trattato sul governo civile che: «Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale ha diritto nessun altro che lui»88. Una simile concezione, però, non si spingeva fino ad identificare un diritto di proprietà puro sul proprio corpo: per Locke, l’individuo era solo un custode (uno steward) delle propria integrità corporea e la questione della proprietà veniva sublimata e risolta nell’appartenenza al divino. Al contrario, se non volessimo riesumare il «dominus membrorum suorum nemo videtur»89 ulpianeo, la concezione continentale veniva così esplicitata con particolare forza letteraria da Immanuel Kant: «l’uomo non può disporre di se stesso, poiché non è una cosa; egli non è una proprietà di sé stesso, poiché ciò sarebbe contraddittorio. Nella misura, infatti, in cui è una persona, egli è un soggetto, cui può spettare la proprietà di altre cose. Se, invece, fosse una proprietà di sé stesso, egli sarebbe una cosa, di cui 87 Ibidem. LOCKE J., Il secondo trattato sul governo : saggio concernente la vera origine, l’estensione e il fine del governo civile, Milano, Rizzoli, 2002. Appare interessante notare come alcuni commentatori del pensiero politico di Locke abbiano ravvisato una visione proprietaristica del corpo, quanto l’instaurazione di una sorta di trust relationship: «Locke’s “real view” seems to be that our lives are held in trust. We function as the trustees and major beneficiaries, but not as owners. Under the deed of trust we are empowered to make certain decisions about the disposal of the trust (e.g., wheter to sell our labour power to another for limited time) but we may not trade it away for keeps even if the trade is voluntary». STELL L. K., Dueling and the Right to Life, 90 Ethics ,16 (1979). 89 D.,9.2.13. 88 53 potrebbe rivendicare il possesso. Ora, però, egli è una persona, il che differisce da una proprietà; perciò egli non è una cosa, di cui possa rivendicare il possesso, perché è impossibile essere insieme una cosa e una persona, facendo coincidere il proprietario con la proprietà. In base a ciò l’uomo non può disporre di sé stesso. Non gli è consentito di vendere un dente o un’altra parte di sé stesso... Non è autorizzato a vendere per denaro le sue membra, neanche per un dito ricevesse 10.000 talleri, altrimenti si potrebbe acquistare da un uomo tutte le sue membra»90. Con un volo pindarico dall’empirismo filosofico e dall’agnosticismo kantiano all’osservazione della realtà empirica di alcuni ordinamenti giuridici, appare evidente come il corpo umano e le sue parti siano trattati come oggetti di diritti proprietari in molti contesti: si pensi, ad esempio al sangue o al liquido spermatico che oltreoceano alimentano un fruttuoso mercato di scambio oppure alla donazione inter vivos/post mortem degli organi. Tutti questi elementi alimentano una visione del corpo in un’ottica decisamente proprietaria. In altri contesti, invece, l’autonomia dei singoli e la tutela del corpo e delle sue parti ricevono attenzione sotto il profilo della privacy. Questo diritto nella tradizione nordamericana si compone essenzialmente di due elementi: il «right of personal privacy» e il «right of relational privacy» 91. Il primo di questi si riferisce principalmente a quelle situazioni in cui il bene da tutelare consiste nell’integrità fisica o nell’inviolabilità del corpo. Vi rientrerebbero, quindi, il diritto di resistere alle indebite invasioni nella propria sfera corporea ed il diritto di prevenire qualsiasi alterazione fisica: sarebbe un diritto a contenuto negativo non comprendendo necessariamente l’esercizio effettivo di un potere sul corpo. Mentre il right to relational privacy garantisce un «mantle of immunity from state interference around certain intimate and consensual relationships»92. Entrambe le sfumature del concetto di privacy, però, non attribuiscono nessun tipo di potere in capo agli individui che vengono protetti solo dalle indebite ingerenze dello stato. E dunque, se possiamo definire la proprietà come quel fascio di diritti tra una persona e un bene93, la privacy potrebbe essere definita come quel «grappolo»94 di interessi personali che riguardano il possesso del proprio corpo e, per dirla con Warren 90 KANT I., Lezioni di etica, Roma, Bari, Laterza, 1998. RAO R., Property, privacy and the human body, Boston Univ. Law Rev., 359:388 (2000). 92 ID., Reconceiving Privacy: Relationships and Reproductive Techonology, 45 UCLA Law Rev, 1078 (1998). 91 54 e Brandeis, di «let to be alone» 95 escludendo altri soggetti dal godimento. A differenza della proprietà, però, la privacy non contiene nel suo armamentario concettuale i diritti di uso o di trasferimento; al loro posto possiamo semmai individuare un diritto «di includere» qualcuno, facendolo accedere alla propria sfera personale. Sulla base di queste considerazioni, infatti, Radhika Rao individua una serie di situazioni che hanno trovato riparo sotto l’ombrello della privacy: il diritto alla contraccezione per prevenire il concepimento96, all’aborto per terminare la gravidanza97, all’opposizione davanti alla sterilizzazione forzata98, al rifiuto dei trattamenti sanitari-salva vita 99, al divieto di compiere intrusioni illegittime nella sfera corporea di un soggetto, come una lavanda gastrica o la rimozione chirurgica di una pallottola, con l’intento di cercare degli indizi riguardanti la commissione di un reato 100. Proprio come suggerito da un’efficace metafora sempre della professoressa Rao, proprietà e privacy sono binari che corrono paralleli verso differenti destinazioni: privacy e proprietà, ritagliano uno spazio protetto dalle interferenze dei pubblici poteri e degli altri soggetti privati. Queste analogie e queste combinazioni sarebbero dovute al fatto che il concetto di privacy sia stato costruito a partire dalle categorie ideate per la proprietà. I due concetti possiedono infatti una struttura comune: «the core of both “privacy” and “property” involves the same abstract right: the right to exclude un wanted interference by third parties. The only real difference between the two concepts is the kind of relationship that is protected from interference – “property” principally protects market relationships while “privacy” protects more spiritual one»101. 93 Il prof. David Lametti definisce così il concetto di proprietà per il common lawyer: «Private property is a social institution that comprises a variety of contextual relationships among individuals through objects of social wealth and is meant to serve a variety of individual and collective purposes». LAMETTI D., The Concept of Property: Relations Through Objects of Social Wealth, 53 U of Toronto LJ, 325 (2003). 94 RAO R, Property, privacy and the human body, cit., 389. 95 WARREN S.M., BRANDEIS L.D., The right to privacy, IV Harvard Law Review 5, 193 (1890). 96 Cfr Eisenstadt v. Baird, 405 U.S. 438 (1972); Grisworld v. Conneticut, 381 U.S. 479 (1965); Poe v. Ullman, 367 U.S. 497 (1961). 97 Si veda Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992); Roe v. Wade, 410 U.S. 113 (1973). 98 Fu il caso Skinner v. Oklaoma, 316 U.S. 535 (1942). 99 Ad esempio in Cruzan v. Missouri, 497 U.S. 261 (1990). 100 Vedi Winston v. Lee, 470 U.S. 753 (1997); Rochin v. California, 342 U.S. 165 (1952). 101 Così ACKERMAN B., Liberating Abstraction, 59 U. Chi. Law Rev., 317:347 (1992). 55 Nonostante gli evidenti punti di contatto, i due diritti si declinano in maniera assai differente nel dominio del corpo. La visione proprietaria individua nel corpo e nelle parti da esso separate delle entità distinte dal soggetto-proprietario che le possiede, mentre la privacy soggettivizza le stesse, incorporandole nelle sfera della personalità. Il corpo-proprietà può dunque essere diviso e scomposto nelle sue parti che possono essere manipolate, trasformate, vendute od espropriate102. La privacy, invece, non permetterebbe questa parcellizzazione perché crea un’identità corporea indivisibile103. Il paradigma proprietario entra in conflitto con quello della privacy proprio sul terreno del corpo umano104. La compresenza di entrambe queste anime genera confusione ed altera la tradizionale concezione della corporeità. La questione diventa di particolare momento con riferimento alle parti staccate dal corpo: esse sono materialmente separate, ma profondamente connesse alla sfera più intima e personale del soggetto, anche dopo il distacco. Nei materiali biologici, infatti, si fondono e si confondono le antinomie soggetto-oggetto e proprietà-privacy. Il legame “bi-fronte” che si instaura tra il soggetto ed i suoi tessuti, in quanto supporto materiale, ed il medesimo soggetto e i dati derivanti dal campione deve essere sussunto, come è stato notato da alcuni autori 105, nella categoria giuridica dell’appartenenza. Se la dimensione materiale (rapporto individuo-tessuto) può essere ricondotta allo schema proprietario, la dimensione informazionale (rapporto individuo-dati) cadrebbe all’interno dei diritti della personalità. Nei diritti della personalità assistiamo 102 CARNELUTTI F., Problema giuridico della trasfusione del sangue, in Foro Italiano, IV, 89, (1938). 103 RAO R., Property, privacy and the human body, cit., 349. Il problema del distacco delle parti dal corpo veniva affrontato dal civilista italiano nella prospettiva fornita dall’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume. Ma l’unico appiglio codistico del giurista risulta inadeguato al contesto dei campioni biologici prelevati a seguito di un intervento chirurgico che abbia come fine esclusivo la salute del paziente e la successiva destinazione alla ricerca del campione prelevato. In questa fattispecie, infatti, l’interesse non è più la tutela dell’integrità fisica, che già è stata menomata nel contesto dell’operazione chirurgica a seguito dell’ablazione del tessuto dal corpo. Il distacco rappresenta il momento in cui il trattamento giuridico si biforca: le sorti del tessuto non avranno più alcuna diretta influenza sul bene “salute” del soggetto che ha subito l’asportazione del campione. 105 Cfr MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca (Property, Informations and Interests in the Regulation of Research Biobank), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 7-8, 222, (2008); ZATTI, Il Corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in Nuova giurisprudenza civile commentata, II, 3, (2007); GAMBARO A., La proprietà. Beni, proprietà, comunione, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, Giuffrè, 1990; GROSSI P., La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006. 104 56 alla fictio dell’ipostatizzazione della cosa appartenuta, che, anche dopo il distacco, continua a riferirsi al soggetto106. La proprietà, però, ha finito con l’incarnare l’unico schema dell’appartenenza ed oggi appare quantomai limitante, non perché sia inadatto in sé a regolare la relazione soggetto-corpo, ma piuttosto perché le possibilità di separazione hanno conquistato terreni sempre più vicini al nucleo della corporeità e, contemporaneamente, si è diffusa in maniera lapalissiana la constatazione che la parte staccata dal corpo costituisca uno strumento di identità biologica107. Allo stesso tempo, però, ammantare la dimensione materiale del tessuto sotto la categoria dei diritti della personalità, significherebbe trascurare una componente essenziale ed ontologicamente differente. Per cercare di salvare entrambe le dimensioni è stata avanzata l’ipotesi di dare origine ad una nuova categoria: i diritti della corporeità, diritti del corpo che non sono più corpo ma che mantengono ancora un legame di appartenenza dal punto di vista informazionale108. Le biobanche, sotto questo aspetto, offrirebbero non pochi spunti di riflessione in merito allo status giuridico delle parti separate dal corpo ed alla loro autonoma rilevanza. Per provare a fornire una risposta, sarà bene ripercorrere le evoluzioni dottrinali e giurisprudenziali che si sono interrogate (o che sono state chiamate a farlo) su questa complessa tematica. 3. Le elaborazioni dottrinali sui tessuti umani staccati dal corpo Per quanto si immagini che i cultori del diritto civile si siano potuti interrogare su una simile tematica in tempi relativamente recenti, la dottrina italiana già aveva provato a fornire alcune soluzioni a tali quesiti sul finire degli anni’30109. Uno dei primi giuristi a misurarsi con la questione della proprietà delle parti staccate dal corpo è stato Francesco Carnelutti. Egli sosteneva come «una parte di uomo diventa cosa quando si separa in modo definitivo dall’uomo medesimo», ravvisando nella separazione quel tertium genus - ulteriore rispetto all’occupazione e alla specificazione 106 Si veda in proposito ZATTI, Il Corpo e la nebulosa dell’appartenenza, cit. Ibid., 9. 108 Come già può intravedersi in nuce in MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit. 109 Quest’analisi è debitrice dello studio condotto da MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit. 107 57 dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario. Parafrasando Carnelutti, la proprietà del quid - che prima era uomo e poi con il distacco è divenuto esteriore se non è estraneo ad esso - spetta comunque al soggetto che la possedeva naturalmente (tesi della separazione)110. Tale ius in se ipsum ha trovato accoglimento anche nella dottrina più recente che vede nelle parti staccate dal corpo un oggetto nella sfera di disponibilità dell’individuofonte111. Se, infatti, il corpo in sé non può formare oggetto di proprietà, altrettanto non può dirsi quando la parte sia ormai irrimediabilmente staccata: il distacco costituirebbe, infatti, un’idonea causa d’acquisto della proprietà. Si precisa però come, qualora manchi la possibilità di godimento della res, appaia ragionevole presupporne l’appropriazione da parte di quei soggetti che possono trarne un’utilità. Per Bianca, infatti, il distacco qualificherebbe giuridicamente i tessuti come res nullius a seguito della derelectio da parte del paziente: il medico operante può pertanto appropriarsene mediante adprehensio (teoria dell’occupazione)112. Tale concezione è stata però avversata da parte della dottrina che ravvisava nel momento del distacco l’acquisto della proprietà con effetto immediato. Secondo il De Cupis, infatti, a seguito dell’ablazione, il materiale biologico uscirebbe dalla sfera giuridica strettamente personale per entrare immediatamente in quella patrimoniale del soggetto medesimo, senza per questo passare attraverso la condizione intermedia di res nullius. Si tratterebbe di un diritto che «si sostituisce all’altro senza soluzione di continuità: la coscienza giuridica non può ammettere che al diritto personale succeda, sia pure transitoriamente, l’assenza di qualsiasi diritto dell’individuo»113. Un’altra tesi, sulla base di un’interpretazione “originale” dell’articolo 2576 c.c., ravvisava un’analogia fra idee e tessuti: «le parti staccate del proprio corpo diventano dal momento del distacco oggetto di proprietà della persona per un modo d’acquisto originario, cui fa in un certo senso riscontro l’acquisto delle opere dell’ingegno» 114. I campioni biologici, quindi, non sarebbero altro che un nuovo oggetto creato dal 110 Macilotti riporta come sulla base di questa concezione il Tribunale di Milano accolse nel 1961 la richiesta di un paziente che pretendeva la consegna dei pezzi anatomici asportatigli durante l’intervento chirurgico cui si era sottoposto. Ibid., 226. 111 DOGLIOTTI M., Atti di disposizione del corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., I, 241, (1990). 112 BIANCA C. M., Diritto civile. I soggetti, Milano, Giuffrè, 1978, 163-164. 113 DE CUPIS A., I diritti della personalità, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, 1982, 178. 114 Così SANTORO-PASSARELLI F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, Jovene, 1971, 52. 58 paziente-titolare con l’aiuto del chirurgo. Questa ricostruzione però pare opinabile in quanto ad essa osta lo stesso dato codicistico 115: «il titolo originario dell’acquisto del diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale»116. Il Criscuoli, invece, espandendo il concetto di fruttificazione, aveva cercato di ricomprendere la disciplina giuridica delle parti staccate dal corpo negli artt. 820 e 821 c.c117. Mentre, con riferimento al particolare rapporto che si viene ad istaurare nella relazione medico-paziente, è stato sostenuto l’acquisto per specificazione ex art. 940 c.c. da parte di colui che materialmente asporta il tessuto biologico, dietro corresponsione del prezzo118. La dottrina italiana è pressoché concorde nel considerare le parti staccate dal corpo umano alla stregua di beni ex art. 810 c.c. 119 su cui il titolare possa vantare un interesse di tipo proprietario, mentre divergono solamente le soluzioni in merito al suo modo di acquisto. Anche la dottrina spagnola ha di recente fornito delle soluzioni interessanti riguardo alla natura giuridica della “muestra biológica” ed al suo impiego nella ricerca biomedica120. Assodato che i campioni biologici - grazie alla valorizzazione che hanno acquisito negli ultimi anni sia dal punto di vista medico che commerciale - vadano classificati come beni in senso giuridico, il loro godimento può essere sottoposto a restrizioni in funzione della loro particolare natura: se, dunque, si può affermare che le parti separate dal corpo sono di proprietà del soggetto fonte, gli ordinamenti possono disciplinare il loro regime di circolazione o determinare la possibilità che divengano oggetto di un’obbligazione contrattuale. 115 MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit., 227. 116 Cfr artt. 6-7 della l. 360/1941 sul diritto d’autore. 117 CRISCUOLI G., L’acquisto delle parti staccate del proprio corpo e gli art. 820-821 c.c., in Riv. dir. di fam. e pers., XIV, 266 (1985). 118 PIRIA C., Interessi scientifici e patrimoniali su parti staccate dal corpo oggetto di ricerche biotecnologiche, in Rass. di dir. farm., XXI, 808 (1990). 119 Si veda DE CUPIS A., I diritti della personalità, cit. 120 Cfr NICOLÁS JIMÉNEZ P., La protección jurídica de los datos genéticos de carácter personal, Bilbao, Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano, 2006; I D., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa; DE ÁVALA E., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit. 59 Si rileva come molti ordinamenti giuridici si siano preoccupati di porre delle restrizioni al commercio del materiale umano - a causa dei rischi che un uso potenzialmente distorto potrebbe causare - e abbiano previsto con una disciplina speciale per gli atti di disposizione su organi, tessuti, sangue, cellule o gameti121. Tuttavia, dall’analisi comparata emergono almeno tre modelli di trasmissione di tali diritti: l’appropriazione del campione abbandonato, la presunzione di consenso alla trasmissione dei diritti di uso sul campione, la trasmissione dei diritti sul campione mediante contratto gratuito122. Il primo di questi sembrerebbe criticabile alla luce dell’impossibilità di configurare una presunzione di abbandono nel contesto di un’operazione chirurgica: in una simile fattispecie, l’asportazione del tessuto è qualificabile come una trasmissione del possesso necessaria all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di assistenza sanitaria. Infatti, il medico dovrebbe utilizzare quel campione nei termini previsti da tale contratto. L’applicazione di questa fattispecie sembrerebbe, però, risultare adeguata soltanto ai tessuti staccati dal corpo per motivi diagnostici o terapeutici. Escludendo quest’ipotesi, si dovrebbe ritenere allora che la trasmissione dei diritti sul campione biologico avvenga attraverso il consenso del titolare; ma ad una presunzione se ne sostituisce un’altra: il soggetto acconsentirebbe implicitamente all’utilizzo del materiale a fini di ricerca biomedica 123. Come evidenziato dall’analisi normativa finora condotta, il consenso deve essere specifico ed espresso con riferimento alle finalità per cui verrà effettivamente utilizzato il campione: un consenso “open” o “blanket” contrasterebbe, ad esempio, con la previsione di cui all’art. 22 della Convenzione di Oviedo124. La via che appare più facilmente percorribile pare comunque quella del contratto gratuito tra le parti (soggetto-fonte, da un lato, e istituzione medica o di ricerca, dall’altro) avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del campione o di altri diritti, ad esempio il diritto d’uso. Naturalmente si tratterebbe di un negozio giuridico atipico, non potendosi sovrapporre all’istituto della donazione vista la mancanza del 121 NICOLÁS JIMÉNEZ P., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit. Ibidem. 123 Ibidem. 124 Sul punto ci si è già intrattenuti a proposito della Raccomandazione R (2006) 4 del Consiglio d’Europa. 122 60 requisito dell’impoverimento patrimoniale e l’esclusione della responsabilità per revoca125. 4. La risposta della giurisprudenza Anche la giurisprudenza, dal canto suo, ha cercato di fornire una risposta agli interrogativi testé affrontati, sollecitata da alcune vicende che si sono verificate oltreoceano. In particolare, ci si riferisce ai 3 famosi leading case Moore v. Regents of University of California (1990), Greenberg v. Miami Children’s Hospital Research Institute (2003) e Washington University v. William J. Catalona (2006). Pur essendo tutti riconducibili alla medesima tematica, essi forniscono risposte differenti ed illuminano un particolare aspetto della questione. Anche ai giudici continentali, per quanto in misura minore, sono stati sottoposti casi inerenti la proprietà dei materiali biologici di origine umana con alcune analogie; ci si occuperà, in particolare, di due recenti sentenze spagnole: la Sentencia de la Audiencia Provincial núm. 719/2000 Vizcaya (Sección V) e la Sentencia del Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de lo Contencioso-Administrativo) del 16 maggio del 2001. 4.1 Il caso John Moore. “Only property can be converted” La vicenda Moore risulta per certi versi paradigmatica. Tutto ebbe inizio nel 1976 quando a John Moore, un ingegnere di Seattle, venne diagnosticata una hairy cell leukemia, una rara forma di leucemia cronica. In quello stesso anno Moore decise di sottoporsi ad un ulteriore test diagnostico presso il medical center dell’Università di Los Angeles, che confermò la diagnosi. Il dott. Golde, il medico che lo prese in cura, consigliò una splenectomia per arrestare il corso della malattia e Moore firmò il consenso per sottoporsi all’intervento di asportazione chirurgica della milza. Prima dell’intervento, però, il dott. Golde e la collega Shirley Quan avevano già intuito le eccezionali proprietà delle «supercellule»126 di Moore. I due medici, tenendo all’oscuro 125 NICOLÁS JIMÉNEZ P., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit. Così ribattezzate da PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo, Foro it., IV, 417:419 (1989). 126 61 di tutto il diretto interessato, iniziarono così a coltivare una nuova linea cellulare a partire dalla milza asportata. Tra il 1976 e il 1983 John Moore fece spesso ritorno all’ospedale della UCLA nell’erronea convinzione che quelle analisi fossero trattamenti terapeutici o visite di controllo legate alla sua leucemia: in realtà, fu sottoposto a una serie di prelievi di sangue, plasma, midollo osseo, pelle e liquido spermatico che Golde e Quan utilizzarono per le loro ricerche. Stando alla ricostruzione della corte, infatti, i Tlinfociti di Moore secernevano un’incredibile quantità di T-linfochini, dotati di particolari proprietà terapeutiche per la cura del cancro. Queste iperproduzione, inoltre, aveva reso possibile l’isolamento di una linea cellulare immortale, ribattezzata neanche troppo originalmente “Mo cell”, per la quale i suoi scopritori si affrettarono a depositare una richiesta di brevetto. Il brevetto fu ottenuto nel 1984 ed il suo valore commerciale fu stimato intorno ai 3 bilioni di dollari. Il dott. Golde e i Regents della UCLA si affrettarono anche a stipulare accordi con le famose case farmaceutiche Sandoz e Genetics Institute per la commercializzazione della linea cellulare. John Moore nel frattempo era ancora ignaro di tutto e continuava sottoporsi alle sue visite routinarie, fino a quando nel settembre del 1983 venne sottoposto alla sua attenzione un nuovo modello di consenso diverso da quelli che gli erano stati somministrati fino a quel momento. In tale modulo, infatti, era stata inserita un clausola dal seguente tenore: «voluntarly grant to the University of California any and all rights [he or his heirs] may have in the cell line or any other potential product which might be developed from the blood and/or bone marrow obteined from [him]»127. Il sign. Moore si limitò a segnare la casella “I do not” restituendo il modulo debitamente firmato. A questo punto la vicenda inizia ad assumere tratti caricaturali. Dopo aver ricevuto una telefonata dal dott. Golde, che lamentava una compilazione imprecisa dell’atto, Moore ricevette a Seattle un pacco contenente un nuovo modulo di consenso informato con disegnata una freccia in corrispondenza della casella che non aveva barrato l’ultima volta e la scritta «Please, circle ‘I do’»128. 127 Questo modulo è stato riprodotto in Patient’s Informed Consent – John Moore, Biotechnology Law Report, 7, 425, (1988). 128 BURROW B., Second Thoughts about U.S. Patent #4,438,032, Genewatch 10, 4:8(1996). 62 Queste eccessive attenzioni e queste improvvise insistenze insospettirono Moore che decise di rivolgersi ad uno studio legale, venendo così a conoscenza delle pubblicazioni e del brevetto ottenuti da Golde a partire dalla linea cellulare “Mo” derivata dalle cellule di un paziente di Seattle129. L’11 settembre del 1984 John Moore iniziò la causa contro Golde, Quan, i Regents della UCLA e le due case farmaceutiche per aver utilizzato e sfruttato a fini commerciali le sue cellule senza previa autorizzazione, allegando come claims: 1) mancanza di consenso informato e violazione dell’obbligo fiduciario da parte del medico curante; 2) conversion per appropriazione illegittima delle cellule rimosse dal suo corpo. Il caso, finito davanti la Corte Suprema130, risulta particolarmente rilevante ai fini di una riflessione sulla proprietà delle parti staccate dal corpo. Secondo Moore, infatti, le cellule asportate erano di sua proprietà e l’utilizzo che ne era stato fatto da parte degli specialisti dell’UCLA costituiva una forma di interferenza con i suoi interessi proprietari. Ecco perché Moore agisce in conversion, un’azione che fornisce un rimedio contro le indebite invasioni nella proprietà privata, ed invoca un interesse proprietario su ciascuno dei prodotti che i convenuti hanno creato a partire dalle sue cellule, compresa la linea cellulare brevettata. La corte, consapevole di affrontare per la prima volta una tematica così delicata e complessa, si trova unita nell’asserire la responsabilità del medico e la rottura del fiduciary duty, ma profondamente divisa sulla richiesta di conversion131. È per questo interessante addentrarci nelle differenti opinions redatte dai giudici Panelli (majority), Arabian (concurring) e Mosk (dissenting). L’opinione maggioritaria della corte asserisce, in primo luogo, come il case law non offra alcun precedente in grado di supportare la richiesta di conversion di Moore. Un’eventuale applicazione della teoria della conversion ai materiali biologici di origine umana costituirebbe un’estensione ad un nuovo oggetto per il diritto di proprietà 132. In secondo luogo, viene fatto notare che per invocare correttamente la conversion 129 Ibid., 5. In primo grado la corte respinse le richieste di Moore ritenendo di non poter estendere la teoria della conversion al suo caso; mentre in appello, le doglianze trovarono accoglimento presso i giudici che qualificarono giuridicamente il rapporto tra l’attore e le sue cellule in termini di proprietà. 131 In appello la richiesta di Moore aveva trovato accoglimento. Vedi l’interessante commento di PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo,cit. 132 BURROW B., Second Thoughts about U.S. Patent #4,438,032, cit., 6. 130 63 graverebbe sull’attore l’onere di dimostrare un’interferenza con la sua ownership o right to possession133. Tale condizione è, però, esclusa dal dato legislativo 134 che, limitando notevolmente i diritti del paziente sui tessuti rimossi, priva Moore della possibilità di rientrare nel possesso degli stessi. Inoltre, la corte trova che l’oggetto del brevetto sia diverso e ulteriore - «factually and legally» - rispetto al materiale prelevato dal corpo di Moore. Le conclusioni dei giudici non si basano, quindi, su una distinzione scientifica, ma ripropongono quella fornita dalla federal law che permette la brevettabilità di organismi prodotti dalla “human ingenuity” e dall’”inventive effort”. Sulla base di ciò le allegazioni di Moore circa la proprietà della linea cellulare e la prospettiva di accedere ai proventi brevettuali, sono da respingersi in quanto viene stabilito che la linea cellulare costituisca un’invenzione. Dalla lettura complessiva dell’opinion emerge come la maggioranza neghi qualsiasi interesse di tipo proprietario di Moore sulle cellule “abandoned” quando furono rimosse (senza il suo consenso). La corte sembra attribuire un “superior right” ai convenuti, che con la loro ricerca hanno aggiunto quel quid pluris alla “materia prima”. Dalla penna del giudice Panelli escono poi ulteriori argomenti di evidente impronta utilitaristica, circa l’opportunità di attribuire ad un soggetto un diritto di proprietà sulle parti staccate dal corpo. Una siffatta previsione avrebbe ripercussioni negative sulla ricerca scientifica, completamente sacrificata da un eventuale estensione della teoria della conversion. Inoltre, viene fatto rilevare come i pazienti siano già adeguatamente protetti dalla tort doctrine tramite la previsione del consenso informato. Il giudice estensore, comunque, tiene a sottolineare come i problemi di questa delicata area dovrebbero essere regolati da un intervento legislativo piuttosto che da una sentenza. L’opinione concorrente del giudice Arabian vuole riportare l’attenzione sulla sacralità del corpo umano, definito come «human vessel –the single most venerated and protected subject in any civilized society – as equal with the basest commercial commodity». Arabian, di fatto, si astiene: egli adduce che la questione, implicando 133 Ibid., 7. La legislazione statale prevede, infatti, che gli organi ed i tessuti rimossi debbano essere smaltiti come rifiuti dopo il loro uso. L’Health and Safety Code sec. 7054.4 dispone precisamente che «human tissue […] following conclusion of scientific use shall be disposed of by interment, incineration, or any other method determined by the state department [of health services] protect the public health and safety». 134 64 scelte che non solo riflettono ma definiscono l’essenza stessa del genere umano, esulano dal compito dei giuristi. In entrambe le opinion è comunque evidente il rimando al dibattito politico e all’intervento del legislatore per disciplinare un simile ambito. L’opinione del giudice Mosk differisce dalle precedenti sotto numerosi punti di vista. Innanzitutto, egli richiama lo Uniform Anatomical Gift Act nella parte in cui afferma il diritto di ciascuno al controllo sul proprio corpo: è proibita la vendita delle parti del corpo umano, ma non è interdetta né la donazione né la cessione di queste per fini terapeutici o di ricerca. Inoltre, la prospettiva del diritto di proprietà da lui delineata è aperta e flessibile: tale diritto è sufficientemente ampio da includere qualsiasi tipo di «estate, real and personal, and everything which one person can own and transfer to another. It extend to every species of right and interest capable of being enjoyed as such upon which is practicable to place a money value»135. Il concetto di proprietà, per Mosk, è dotato di un certo carattere di astrattezza in quanto, oltre che potersi riferire direttamente ad un oggetto materiale e facilmente identificabile nella sua fisicità, come un campo da arare, molto più spesso rimanda ad un «bundle of rights»136 che può essere esercitato in riferimento a quell’oggetto. Per il giudice dissenziente il contributo di Moore è stato fondamentale per la realizzazione dell’invenzione: negare il suo apporto equivarrebbe a rendere quel brevetto una «licenza su una frode»137. La legge dovrebbe prendere seriamente in considerazione il principio etico e giuridico per cui ognuno detiene un diritto di tipo proprietario sul proprio corpo, le sue parti e i suoi prodotti. Il consenso informato non è di per sé sufficiente a garantire questa protezione: è solo un «paper tiger» 138, un rimedio illusoriamente forte. Il riconoscimento di un interesse proprietario potrebbe, invece, favorire il fair dealing e promuovere la collaborazione tra pazienti e ricercatori139. 135 Moore v. Regents of University of California, 51 Cal.3d 120, Supreme Court of California, July 9, 1990. 136 Ibidem. 137 Ibidem. 138 Ibidem. 139 Le conclusioni del giudice Mosk, in realtà, erano già state raggiunte nel precedente grado di appello che aveva ritenuto fondata la pretesa dell’attore, circa il diritto di proprietà sul suo tessuto, sulla base del dettato dell’art. 654 del codice civile californiano. Anche in questo caso però la decisione non era stata priva di attriti: l’opinion “caustica” del giudice dissenziente George irrideva ad un’equiparazione della milza umana alle interiora del pollame domestico. In proposito si veda il bel commento in PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo,cit., 438 e ss. 65 Probabilmente la vicenda Moore avrebbe avuto un esito diverso ai giorni nostri, ma rimane emblematica della tensione tra l’avanzamento delle biotecnologie e gli strumenti del diritto e dell’etica. Risulta, inoltre, un caso paradigmatico per aver posto nella casistica giurisprudenziale il dilemma salomonico della titolarità del diritto di proprietà sulle parti staccate dal corpo. 4.2. Il caso Greenberg. L’“evaporazione” del diritto di proprietà Un altro leading case è rappresentato da Greenberg v. Miami Children’s Hospital. In breve, questi i fatti di causa: alla fine degli anni ‘80, Daniel Greenberg, padre di due bambini affetti dal morbo di Canavan - un disordine ereditario raro, a trasmissione autosomica recessiva, con degenerazione neurologica - aveva proposto al dott. Reuben Matalon, ricercatore presso l’Università dell’Illinois, una collaborazione con il Miami Children’s Hospital per l’ambizioso progetto volto ad isolare il gene responsabile di questa malattia genetica. Greenberg aveva coinvolto altre famiglie colpite da quest’infermità riuscendo a reclutare donatori di campioni biologici e fondi per 100.000 dollari. Con il supporto della National Tay-Sachs and Allied Disease Association Inc. (NTSAD) era stato anche creato il “Canavan registry”, un database contenente informazioni personali, sanitarie ed epidemiologiche delle famiglie coinvolte. Nel 1993 il dott. Matalon riuscì ad identificare il gene responsabile del morbo di Canavan nel cromosoma 17, sviluppando altresì un nuovo tipo di screening genetico prenatale. Il Miami Children’s Hospital, che aveva speso nella ricerca ingenti risorse economiche ed umane, depositò la patent application per quella sequenza genomica ed ottenne il brevetto nel 1997. Greenberg e gli altri partecipanti vennero a scoprire i risvolti brevettuali della ricerca solo nel novembre del 1998 quando il Miami Children hospital rivelò l’intenzione di voler limitare il testing sul morbo di Canavan, promuovendo una campagna restrittiva sulla concessione delle licenze d’uso sul test diagnostico prenatale. Greengberg e gli altri partecipanti, che nel frattempo si erano uniti nella Canavan Foundation, decisero così di promuovere un’azione contro il Miami Children’s 66 Hospital, che non aveva mai manifestato loro l’intenzione di sfruttare economicamente i frutti eventualmente derivanti dalla ricerca né tanto meno la volontà di limitare l’accesso al test capace di diagnosticare il morbo di Canavan. Gli attori pertanto citano il Miami Children’s Hospital per: 1) lack of informed consent; 2) breach of fiduciary duty; 3) unjust enrichment; 4) fraudulent concealment; 5) conversion; 6) misappropriation of trade secret. La corte sfronda tutti i petita degli attori ed accoglie solamente il claim of unjust enrichment conseguito a danno dei donatori, basandosi sulla considerazione che «the facts paint a picture of a continuing research collaboration that involved Plaintiffs also investing time and significant resources»140. Ma ai fini di questa indagine è interessante svolgere qualche breve riflessione sugli obiter dicta della sentenza. Gli attori, infatti, allegano di vantare un interesse proprietario non solo sui tessuti e sulle informazioni genetiche ma anche sul Canavan registry, indebitamente utilizzato dal Miami Children’s Hospital e dal dott. Matalon a beneficio esclusivo dell’ospedale. La corte però non accoglie la richiesta non rinvenendo alcun interesse proprietario sui tessuti e le informazioni genetiche volontariamente donate ai convenuti a scopo di ricerca: manca, quindi, un elemento essenziale della cause of action. È un caso che per certi aspetti richiama Moore v. Regents of the University of California, dove la corte si era rifiutata di estendere la teoria della conversion al campione biologico staccato dal corpo. Anche in Greenberg, infatti, non viene riconosciuto alcun interesse di tipo proprietario né sui tessuti né sulle informazioni genetiche. Inoltre, la Corte rileva come l’offerta di sangue ed altri tessuti per contribuire alla ricerca dipinga gli attori «more accurately as donors rather than objects of human experimentation»141, dimostrando come nella partecipazione alla ricerca «the property right in blood and tissue samples also evaporates once the sample is voluntarily given to a third party»142. La Corte, facendo riferimento alla legislazione dello stato della Florida, afferma che non esiste alcuna previsione che garantista un rimedio contro le donazioni di 140 Greenberg v. Miami Children’s Hospital Research Institute, United States District Court, S.D. Florida, Miami Division 264 Federal Supplement, 2d Series 1064; 2003 May 29. 141 Ibidem. 142 Ibidem. 67 materiale biologico umano alla luce della conversion liability. Nell’opinione della corte, estendere una simile dottrina anche a questa fattispecie finirebbe per ingabbiare la ricerca medica e per conferire ai donatori un «continuing right to possess»143 su tutti i risultati ottenuti a partire dal tessuto ceduto. L’azione di conversion viene respinta anche con riferimento alla proprietà sul Canavan registry. A giudizio della corte i fatti allegati non supportano sufficientemente la pretesa attorea, non essendo stato dimostrato in che modo ed in quali circostanze i convenuti abbiano utilizzato il registro in maniera non autorizzata. 4.3 Il caso del dott. Catalona e l’ “exculpatory language” del consenso informato Sull’allocazione della proprietà del materiale biologico in capo al paziente o al ricercatore verte anche il recente caso del dr. William Catalona. All’inizio degli anni ‘80 il famoso urologo e ricercatore presso l’Università di Washington (WU) iniziò a raccogliere a scopo di ricerca gli “scarti operatori”, per i quali aveva chiesto ed ottenuto il consenso informato dei pazienti. Tali tessuti venivano via via stoccati nei congelatori della Genito-Urinary (GU) Biorepository insieme agli altri materiali biologici provenienti dal reparto di urologia dell’ospedale universitario. Il casus belli che dette origine alla controversia si verificò nel 2001, quando il dott. Catalona chiese all’università che un limitato numero di campioni fosse inviato ad un’industria biotecnologica al fine di verificare la validità di un nuovo test per identificare il cancro alla prostata. La WU disattese tale richiesta per il costo che avrebbe comportato e per la mancanza di un effettivo ritorno economico dell’operazione. Per sottrarsi alle interferenze con le sue attività di investigazione e alle condizioni poste dall’Università, il dr. Catalona preferì trasferirsi presso la Northwestern University’s Medical School di Chicago. Per continuare la sua ricerca inviò una lettera ai suoi pazienti chiedendo loro di sottoscrivere il modulo che aveva allegato affinché il proprio campione venisse trasferito presso la Nothwestern. Seimila dei suoi pazienti indirizzano il form debitamente compilato alla WU che, però, non accolse la loro richiesta. 143 Ibidem. 68 In più, l’Università si rivolse alla District Court for the Eastern District of Missouri affinché stabilisse con pronuncia dichiarativa la proprietà dei campioni in capo ad essa e decidesse al fine di prevenire qualsiasi futura ingerenza dell’urologo sui campioni ceduti dai pazienti. La WU, infatti, sostenne che tali soggetti all’atto del consenso avessero trasferito - mediante gift of property - tutti i diritti proprietari alla GU Biorepository, che infatti sopportò interamente i costi di conservazione e gestione dei campioni. Il dr. Catalona, dal canto suo, obiettò che il modulo di consenso che i pazienti avevano firmato prevedeva esplicitamente la possibilità di partecipare alla ricerca senza per questo essere defraudati di alcun diritto di tipo proprietario sul sample: oltretutto era prevista espressamente la possibilità di revoca del consenso o di distruzione del campione in qualsiasi momento. Si allega così un argomento decisivo per avvalorare la tesi della proprietà in capo al paziente dei tessuti conservati nel biorepository: ne derivava la logica conseguenza per cui i legittimi proprietari potevano disporre del campione e decidere di trasferirlo al nuovo centro di ricerca del dott. Catalona. Il convenuto, inoltre, confuta il presunto perfezionamento di un negozio di gift of property, qualificando meglio la fattispecie come rapporto di bailment, in base al quale la WU avrebbe acquisito solo il possesso ma non la proprietà dei campioni. La sentenza della corte del Missouri diede ragione alla WU, indicandola come unica proprietaria di tutti i materiali biologici contenuti all’interno del proprio biorepository. La decisione appellata non approda ad un esito differente davanti alla Corte d’appello dell’VIII circuito: si negò nuovamente al dottor Catalona qualsiasi pretesa sui tessuti oggetto della controversia, asserendo che la cessione fatta dai pazienti costituisce un dono libero e gratuito alla ricerca per il beneficio della società. Questa vicenda giudiziaria dimostra, però, l’importanza ed il valore della banca di tessuti, che deve essere preservata di fronte alle pretese dei singoli privati - donatori e ricercatori - capaci di menomarne l’effettiva potenzialità, smembrando le collezioni in essa conservate. 4.4 Distinti indirizzi giurisprudenziali: la respuesta española 69 La risposta europea alla vexata quaestio della proprietà dei materiali biologici di origine umana arriva da due sentenze iberiche pronunciate rispettivamente dalla sezione V della Audiencia provincial de Vizcaya (jurisdicción civil) e dalla Sala de lo Contencioso-Administrativo del Tribunal Superior de Justicia de Cantabria144. Nel primo caso145, Jesús E. A. e Begoña H.P. promuovevano un’azione di risarcimento danni contro gli specialisti di oncologia pediatrica e di anatomia patologica dell’ospedale di Basurto (Bilbao) che, per condotta negligente, avevano causato la morte del loro figlio: i due medici, infatti, avevano erroneamente diagnosticato al minore un sarcoma osteogenico invece del sarcoma di Edwig, eseguendo così una terapia inadatta. I genitori, inoltre, lamentavano l’occultamento dei blocchi di paraffina della biopsia del tumore estratto durante l’intervento chirurgico e la mancanza di collaborazione da parte del reparto di anatomia patologica con la clinica universitaria della Navarra, che i genitori avevano contattato per effettuare ulteriori studi anatomopatologi. Il tribunale basco non rintraccia nessuna condotta negligente da parte dei medici, ritenendo che avessero agito secondo la lex artis146, ma rinviene un anormale funzionamento del servizio di anatomia patologica dell’ospedale di Basurto con riferimento alla mancanza di collaborazione medico-sanitaria e al diniego del diritto all’informazione clinica: la Sala accoglie, dunque, il secondo motivo di impugnazione, riconoscendo ai genitori il danno morale causato «dalle difficoltà ed opposizioni conseguenti all’ostruzionismo relativo all’ottenimento del campione di paraffina della biopsia del tumore cerebrale del figlio Manuel, nonché dalle conseguenze derivanti dall’effettuazione di nuovi studi anatomopatologi»147. La Audiencia provincial accoglie così parzialmente ricorso: assolve il pediatra, ma ritiene solidalmente responsabili il medico di anatomia patologica ed il Servicio Vasco de Salud-Osakidetza, tenuti a risarcire i genitori della somma di 500.000 pesetas per la 144 Per un’analisi più approfondita si rimanda a NICOLÁS JIMÉNEZ P., Los derechos del paciente sobre su muestra biológica: distintas opiniones jurisprudenciales, Revista de derecho y genoma humano, n.19, 207, (2003). 145 Si tratta dell’appello (recurso de Apelación n. 538/1998) contro la sentenza del Juzgado de Primeria Istancia n. 13 di Bilbao che in primo grado aveva respinto la domanda risarcitoria promossa dai genitori. 146 La Audiencia specifica come l’assistenza sanitaria fornita fosse stata corretta e adeguata con riferimento ai mezzi sanitari a disposizione nel 1993: in particolare, erano stati utilizzati tutti i mezzi clinici disponibili per la diagnosi ed era stata anche ottenuta una consulenza da parte di un esperto nordamericano. 147 Sentencia Audiencia Provincial núm. 719/2000 Vizcaya (Sección V), de 21 de julio. 70 violazione del diritto all’informazione clinica e per la mancata consegna dei campioni di paraffina della biopsia del minore. Nel secondo caso, la ricorrente Pilar M.R. promuoveva un ricorso davanti al giudice amministrativo di Santander a fronte del silenzio-rifiuto formatosi sulla sua richiesta di consegna dei campioni istologici prelevati durante la sua degenza presso l’Ospedale Universitario Marques de Valdecilla nel 1994. Il ricorso giunge fino alla suprema istanza amministrativa della Comunità Autonoma della Cantabria che accoglie l’appello promosso dall’Instituto Nacional de la Salud. Nello specifico, vengono cassate le osservazioni del Magistrado de instancia che nel grado precedente aveva ritenuto che: «il diritto del paziente all’informazione clinica implica il diritto a conoscere ed essere informato della propria storia clinica, comprendendo di conseguenza la consegna dei campioni istologici conservati nell’ospedale universitario»148. Il Tribunale Supremo obietta che l’accesso alla storia clinica del paziente non implica in alcun modo il diritto alla consegna dei campioni istologici, trattandosi di concetti di ben distinti: la storia clinica è, infatti, un «documento imprescindibile nell’assistenza medico-sanitaria che contiene i dati riguardanti la salute del titolare, tra cui le prove complementari e dati analitici (prove analitiche, radiologiche, o di altro tipo), rispetto alle quali il malato ha così diritto a ottenere i risultati» 149. Tra questi, però, non rientrano i campioni istologici di una biopsia. Essi, infatti, sono porzioni di tessuto ottenute da un individuo e finalizzate unicamente allo studio anatomopatologico necessario per la formulazione della diagnosi. La Corte, dunque, di fronte al diverso ed «antagónico» 150 significato dei due concetti ritiene che la consegna dei campioni istologici esuli dal diritto all’informazione clinica, che riguarda solamente la documentazione medica ed i risultati delle analisi. Entrambe queste sentenze sembrano situare il rapporto paziente-campione biologico non tanto sotto l’egida dei diritti di proprietà quanto all’interno del diritto all’informazione sanitaria. Come efficacemente individuato dalla dottrina spagnola: «dai ragionamenti utilizzati si deduce che i tribunali attribuiscano la proprietà del 148 Sentencia del Juzgado de lo Contencioso-Administrativo núm. 3 de Santader, 12 de febrero de 2001. 149 Sentencia Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de lo Contencioso-Administrativo), de 16 mayo 2001. 150 Ibidem. 71 campione al centro di raccolta piuttosto che al soggetto-fonte che l’ha abbandonato» 151. Inoltre, appare interessante notare come la questione della proprietà dei tessuti sia fatta rientrare dal giudice civile della Vizcaya entro i confini del diritto all’informazione sanitaria, di fatto riconducendo la dimensione materiale a quelle informazionale. Ad una soluzione radicalmente diversa giunge il tribunale amministrativo che mantiene distinte le due situazioni. 5. Possibili modelli di governance I casi fin qui analizzati hanno messo in evidenza l’inadeguatezza delle risposte e delle soluzioni fornite. Si può ragionare in termini astratti su come sia meglio impiegare le risorse e su dove sia più efficiente allocare i beni scarsi, avendo cura di non trascurare nel concreto i protagonisti di questa tragedia dei commons; non si tratta solo della promozione della ricerca e del progresso scientifico, ma anche della tutela e del riconoscimento di quei soggetti che ad essa contribuiscono o che si interpongono nei nessi causali: i dott. Golde e Quan non avrebbero sviluppato la loro linea cellulare senza la milza del sign. Moore; il Miami Children’s Hospital non sarebbe stato nelle condizioni di brevettare il test diagnostico prenatale per il morbo di Canavan senza il contributo di Greenberg e delle famiglie patecipanti; la WU non avrebbe avuto a disposizione un vero e proprio tesoro nel proprio biorepository se non grazie alle donazioni di migliaia di pazienti coinvolti dal dr. Catalona di turno. Il modello di governance di cui la biobanca si dota può risolvere il problema del doppio standard garantendo, da un lato, risultati anche nel breve periodo - alimentando altresì la fiducia dell’opinione pubblica - e, dall’altro, rendendo possibile il raggiungimento di obiettivi strategici e significativi nel campo della ricerca medica sul lungo periodo. Come brillantemente enunciato da Herbert Gottweis e Alan Petersen «the governance of biobanks is inseparably and necessarily tightly connected with governance through biobanks»152. L’argomento della governance si articola, infatti, in 151 NICOLÁS JIMÉNEZ P., Los derechos del paciente sobre su muestra biológica: distintas opiniones jurisprudenciales, cit., 223. 152 GOTTWEIS H., PETERSEN A., (eds.), Biobanks. Governance in a comparative perspective, London, New York, Routledge, 2008, 7. 72 un processo complesso che coinvolge non solo gli elementi strutturali dell’organizzazione statutaria ma anche elementi esterni ed adiacenti come la scienza, il corpo umano, la medicina e la tecnologia. Le biobanche sono divenute una forma «of governing life»153 e afferiscono a soggetti distinti: dagli scienziati ai pazienti, dai medici alle industrie farmaceutiche. Esse, dunque, non possono essere strutturate come strumenti passivi di governance, ma devono essere utilizzate ed organizzate come piattaforme in grado di potenziare e gestire gli interessi sottostanti. Le biobanche devono assurgere, nelle prospettiva che qui si vuole promuovere, a canale di comunicazione preferenziale per il paziente, il cittadino, la società, la ricerca medica e l’industria al fine di costruire una nuova visione, condivisa e partecipativa, del progresso medico-scientifico. I modelli di governance che sono stati proposti in letteratura possono essere raggruppati secondo i seguenti schemi: contrattuale, non market compensation, global public e trust154. 5.1. Il modello contrattuale Il modello contrattuale sarebbe quello teoricamente più idoneo a tutelare gli interessi delle parti. Facendo perno sul concetto di autonomia, garantirebbe al singolo la possibilità di negoziare individualmente i benefici derivanti dall’utilizzo del tessuto da parte del ricercatore. Allo stato dei fatti, il donatore-paziente sembrerebbe avere un ruolo attivo nella gestione dei left over tissue, ma lo strumento del consenso informato non è, in realtà, un meccanismo sufficientemente adeguato a salvaguardare l’autonomia del singolo. Il donatore, infatti, viene messo a conoscenza degli usi futuri del campione effettuando una scelta in termini di “I agree/I do not”. Non ha alcuna voce in capitolo riguardo allo sfruttamento commerciale di un’invenzione, alle politiche industriali, alla diffusione o limitazione delle licenze d’uso sul brevetto. Il suo unico contributo consiste nel fornire un mero, ma indispensabile, supporto materiale alla ricerca155. 153 Ibid., 22. I non market compensation e global public models rappresentano al momento una prospettiva utopica e vengono riportati solo per spirito di completezza. A giudizio di chi scrive, si tratta di ipotesi poco praticabili e di corto raggio. Sul modello del trust ci si soffermerà, invece, in maniera analitica nel prossimo paragrafo, prendendo in considerazione la particolare categoria del Biotrust. 155 NOIVILLE C., Preventing Conflicts of Interests in the Field of Human Biological Materials: the ‘contractual Model’ as an Avant-garde, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered. 154 73 E’, questa, un’asimmetria che potrebbe essere corretta grazie allo strumento contrattuale: esso sarebbe capace di riequilibrare la relazione tra donors e users of biological materiales156. La problematica è patente nel caso Greenberg: nelle loro argomentazioni gli attori sostengono che non si sarebbero spesi per la ricerca se avessero conosciuto le intenzioni di lucro del Miami Children’s Hospital. Queste condizioni (riservatezza, condizioni di brevettabilità e di licenza) avrebbero potuto regolarle tramite apposite clausole all’interno dell’agreement. Un esempio del modello contrattuale è costituito dalla PXE International, una “disease-community” statunitense, che ha stipulato con l’Università delle Hawai un contratto in cui si prevede la co-proprietà sui brevetti rilasciati, la partecipazione alle royalties e agli indirizzi d’impresa. Le aziende, infatti, vedono nello strumento contrattuale un mezzo flessibile in grado di rispondere alle loro esigenze, di prevenire i conflitti di interesse e di supplire ai vuoti normativi. Ciò naturalmente non equivale a dispensare il legislatore dal fornire un framework adeguato né si intende auspicare l’”anarchia” contrattuale. Anche il modello in questione, infatti, avrebbe il suo tallone d’Achille: è improbabile che funzioni in maniera efficiente per i pazienti singolarmente considerati, mancando un effettivo potere di contrattazione collettiva. I pazienti si troverebbero, così, in una situazione di inferiorità e non sarebbero nelle condizioni o non avrebbero le conoscenze per negoziare individualmente adeguati accordi che prevedano la condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo dei loro tessuti. Questo modello potrebbe anche non funzionare per ampi gruppi di popolazione, in quanto la loro eterogeneità genetica e fenotipica potrebbe causare conflitti di interesse ed inibire un’effettiva contrattazione157. 5.2 Non market compensation model In un modello così strutturato, il ritorno al paziente-donatore avverrebbe soltanto nei casi in cui il suo tessuto acquisisse (o gli venisse attribuito) un valore commerciale. I Exploring New Approches to Property in Human Tissue, Farnham, Ashgate, 2009, 145. 156 Ibid., 146. 157 Come ben espresso in BOVENBERG J.A., Moore’s Law and the Taxman: Some Thesis on the Regulation of Property in Human Tissue, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered., cit., 164. 74 ricercatori e gli istituti di ricerca, quindi, potrebbero utilizzare i campioni biologici per cui sia stato prestato un adeguato consenso informato rispettando una particolare obbligazione: qualora i risultati della propria ricerca dovessero approdare ad uno sbocco sul mercato, sarebbero tenuti a pagare per il materiale che ha contribuito significativamente alla loro attività. Una determinazione del valore del tessuto potrebbe essere effettuata in via compensativa dal tribunale, utilizzando una griglia di criteri stabiliti per legge. L’obbligo di indicare i tessuti utilizzati e la loro tracciabilità potrebbe, ad esempio, essere posto come requisito della patent application. Inoltre, nel caso in cui la rintracciabilità del soggetto non fosse possibile o il donatore non volesse ricevere alcuna compensazione, il ricercatore potrebbe destinare la somma in questione ad un “charity fund”158. Questo modello, al momento, è solo teorico. Porta con sé una serie di ostacoli e necessita di un’adeguata implementazione per essere realizzato. Occorre una dettagliata normativa a livello statale ed un’idonea regolamentazione a livello statutario e interno all’ente di ricerca: basti pensare alle difficoltà di dover individuare una soglia minima a partire dalla quale si possa affermare che il tessuto abbia costituito un significativo contributo alla ricerca, alla determinazione del “premio”, o agli effetti negativi che si ripercuoterebbero sulla ricerca e sulle donazioni159. 5.3 Global public model Un’altra struttura proposta è quella del global public model: partendo dal presupposto che il genoma è patrimonio dell’umanità e nostra comune eredità, i benefici ottenuti nel campo della salute dovrebbero essere resi disponibili alla collettività intera. Ai ricercatori, agli istituti ed alle società spetterebbe comunque una compensazione “equa” per gli sforzi intellettuali profusi ed i contributi finanziari forniti. Il benefit sharing, in questo modello, dovrebbe concretizzarsi in forme speciali di assistenza sanitaria alle persone e ai gruppi che hanno preso parte alla ricerca, 158 Ibid., 165. E’ stato dimostrato come l’introduzione di una qualsiasi forma di remunerazione o premio abbia un effetto negativo sulle donazioni. Infatti, con la creazione di un mercato, i soggetti che naturalmente sono portati a donare per spirito di liberalità, vedendo svilire il valore altruistico dell’atto che compiono, smetterebbero di donare. Si veda in proposito l’analisi economica contenuta in THORNE E.D., When Private Parts are Made Public Goods: The Economics of Market-Inalienability, 15 Yale J. on Reg, 149, (1998). 159 75 nell’accesso agevolato alle cure mediche; nella predisposizione di nuovi metodi diagnostici e facilitazioni riguardo nuovi trattamenti o farmaci sviluppati dalla ricerca; nella promozione dello sviluppo e della cooperazione con i paesi svantaggiati. È quanto auspicato dalle linee guida approntate dalla HUGO, in virtù delle quali le società e le industrie farmaceutiche dovrebbero investire una quota tra l’1 e il 3% dei propri profitti annui in infrastrutture mediche o altri scopi umanitari. Naturalmente le problematiche legate a una simile struttura concernono il modus relativo alla determinazione dei benefici (si dovrebbe decidere, ad esempio, se sia preferibile investire nell’accesso ai medicinali o nella costruzione di un ospedale), alla loro distribuzione presso i partecipanti ed alla loro ripartizione tra donatori e ricercatori. 6. Il modello del Biotrust Questo modello, teorizzato da David Winickoff160, offre una struttura legale idonea a contemperare gli interessi potenzialmente confliggenti tra gli attori del biobanking, promuovendo la partecipazione dei donatori negli assetti di governance e stimolando al contempo la ricerca ed il benefit sharing161. Il charitable trust rappresenta, dunque, un «elegant and flexible model»162 capace di fornire un’alternativa valida ed efficiente ai modelli finora proposti. Il modello ricalca la struttura classica del charitable trust (vedi Figura 1): i pazientidonatori, nella veste di settlors, cedono i loro interessi proprietari (il modulo di consenso potrebbe costituire un titolo idoneo allo scopo) alla biobanca, che in qualità di trustee è investita del legal fiduciary duty consistente nell’amministrare ed utilizzare i beni nell’interesse della collettività, “unica” beneficiary. 160 WINICKOFF D.E., WINICKOFF R.N., The charitable biotrust as a model for genomic biobanks, 349 N Engl J Med, 1180, (2003); WINICKOFF D.E., From Benefit Sharing to Power Sharing: Partnership Governance in Population Genomics Research, in KAYE J., STRANGER M., eds., Principle and Practice in Biobank Governance, cit.; WINICKOFF D.E, Partnership in U.K. Biobank: A Third Way for Genomic Property, J. of Law, Med. & Ethics, 440, (2007); WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the public in the ‘biotrust’ model, Genom Soc Policy, 8, (2005); MULLEN C., The model of trust, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered., cit. 161 Alcune strutture hanno già adottato ed implementato questo modello. Si vedano, ad esempio, l’esperienza dell’Irlanda www.biobankireland.com e dello stato del Michigan http://www.michigan.gov/mdch/0,1607,7-132-2942_4911_4916_53246---,00.html. 162 Come viene definito dai suoi autori in WINICKOFF D.E., WINICKOFF R.N., The charitable biotrust as a model for genomic biobanks, cit., 1182. 76 Fig.1. Struttura “base” del Trust La creazione del trust, dunque, prevede l’istituzione di una «fiduciary relationship in «which a trustee holds title to property, subject to en equitable obligation to keep or use the property for the benefit of the beneficiary» 163. Compito precipuo del bio-trustee sarebbe quello di approntare sistemi adeguati per garantire: l’utilizzazione del campione, la qualità della conservazione del materiale, la protezione dei dati, la riservatezza dei soggetti coinvolti, l’accesso da parte dei ricercatori, la possibilità di poter utilizzare i campioni per ricerche non previste inizialmente.A livello strutturale il Biotrust si caratterizzerebbe per alcune peculiarità (vedi Figura 2): sarebbe costituito da una pluralità di trust instruments creati dai singoli pazienti-donatori in favore della Biotrust Foundation, un ente non-profit incaricato di gestire la biobanca secondo la finalità charitable e il beneficio per la collettività stabiliti nello statuto della Fondazione. Quest’ultima, inoltre, sarebbe affiancata nella gestione dei beni-campioni biologici da altri due organi che avrebbero il merito di coinvolgere i donatori, alimentando così il senso di partnership: l’Etichal Review Committee (ERC) ed il Donor Advisory Committee (DAC). L’ERC della biobanca si occuperebbe di vagliare l’ammissibilità dei progetti di ricerca alla luce di parametri etici e strumenti di peer review. Rispetto ad un 163 WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the public in the ‘biotrust’ model, cit., 10. 77 Fig. 2. La struttura del Biotrust Institutional Review Board (IRB)164, l’ERC si caratterizzerebbe per la presenza di una rappresentanza di donatori al suo interno. Il DAC, invece, sarebbe quell’organo, composto da soli rappresentanti del gruppo dei donatori, deputato ad assicurare la massimizzazione dell’utilità pubblica dei campioni biologici. Questo organo avrebbe il compito di approvare i protocolli di ricerca e, data la sua composizione “democratica”, fungerebbe da raccordo tra il gruppo 164 David Winickoff riporta come la cd. “Common rule” statunitense che si occupa della protezione dei soggetti coinvolti nella ricerca richieda la presenza «at least of one member who is not otherwise affiliated with the insitution and who is not part of the immediate family of a person who is affiliated with the insitution». Ibid., nota 23. 78 di donatori, i trustees ed i ricercatori. Il DAC rappresenterebbe, dunque, un meccanismo flessibile attraverso il quale verrebbero potenziate la comunicazione e l’interazione tra i soggetti coinvolti nel biobanking165. Secondo gli autori citati, la rappresentatività andrebbe garantita mediante voto per delega sul modello dell’elezione dei membri del Board da parte degli azionisti di una s.p.a.166. I vantaggi di una simile organizzazione sarebbero evidenti innanzitutto in relazione ai donatori, il cui intento altruistico verrebbe rispettato per mezzo di una gestione dei beni volta a prevenire qualsiasi sfruttamento; sugli amministratori, invece, graverebbe il dovere di gestire le risorse in maniera produttiva. Inoltre, tale sistema avrebbe il pregio di effettuare la separazione tra stoccaggio e utilizzo dei materiali biologici, riducendo il pericolo di possibili conflitti di interesse: chi detiene il controllo della collezione e lo gestisce nell’interesse pubblico dovrebbe statuire delle priorità riguardo all’utilizzo dei materiali ed i requisiti di accesso al database da parte di soggetti terzi ed esterni rispetto alla biobanca. A tutela della privacy, la cessione dei campioni a terzi avverrebbe naturalmente solo in forma codificata. Il modello del biotrust permetterebbe, in aggiunta, l’affrancamento da una visione paternalistica della relazione medico-paziente, predisponendo un sistema in cui l’individuo interessato possa accedere in qualsiasi momento alle informazioni che lo riguardano e partecipare attivamente: alla semplice “permission”167, richiesta per ogni progetto di ricerca, si affiancherebbero altri due strumenti previsti a tutela dell’autonomia del paziente. Il biotrust, in primo luogo, manterrebbe informati i donatori su tutti i progetti di ricerca attraverso un sito web, lasciando aperta una finestra durante la quale il donatore potrebbe esercitare la sua facoltà di opting-out168. Ciò incoraggerebbe una 165 Così Winickoff e Neumann, che riferiscono dell’esistenza di un organo similmente strutturato nell’ambito del Framingham Hearth Study, un progetto di ricerca avviato più di cinquant’anni fa dal National Health, Lung and Blood Institute e dall’Università di Boston in cui i gruppi coinvolti hanno assunto un interessante ruolo partecipativo e decisionale. 166 Ibidem. 167 Winickoff impiega questo termine - utilizzato per la prima volta da GREELY H.T., Breaking the Stalemate: a prospective regulatory framework for unforeseen research uses of human tissue samples and health information, Wake Forest Law Rev 34, 737 (1999) – evitando i pericoli e le incongruenze del termine consenso informato. Contra BOGGIO A., Charitable Trust and Human Genetic Databases: The Way Forward?, Genomic Soc. Policy, 41, (2005). 168 Questo meccanismo permetterebbe di non sovraccaricare la biobanca con le operazioni di ricontatto e ri-consenso. Attraverso il sito web, la newsletter o la posta ordinaria metterebbe i donatori nelle condizioni di effettuare, prima che la ricerca abbia inizio, una scelta informata in relazione al singolo 79 partecipazione “open-ended” ed un effettivo esercizio del ritiro del consenso. In secondo luogo, qualora si volesse intraprendere uno studio su un determinato gruppo etnico od una determinata popolazione con caratteristiche genetiche omogenee, il biotrust avvierebbe delle consultazioni per richiedere il consenso dell’intera comunità coinvolta (la soluzione sarebbe ovviamente funzionale nel caso delle biobanche di popolazione). Se costruito bene, il biotrust infonderebbe nei donatori quella fiducia tale da attivare la loro spontanea collaborazione e la volontaria “donazione” di tutte quelle informazioni - fenotipiche, ambientali, comportamentali, nutrizionali – e dati clinici aggiornati che rappresentano uno strumento imprescindibile per il buon esito di una ricerca. Questo modello, inoltre, permetterebbe di eclissare il problema della proprietà dei tessuti, dei dati derivati e del database: la struttura si basa sul riconoscimento di un diritto di proprietà (cd. quasi-property rights) che si sostanzia nell’interesse del soggetto alla donazione del materiale biologico solo con la finalità per cui è stato costituito il singolo trust. I campioni possono, dunque, essere utilizzati dal trustee nei limiti fissati nell’accordo. Il settlor continua a mantenere una forma di controllo potendo esercitare il recesso. Nella teorizzazione delle «revocable trust relationships» 169 di Winickoff, infatti, si assicura al soggetto un interesse «equitable» rispetto alla donazione effettuata, prospettando una sorta di controllo condiviso170. La struttura così congegnata non escluderebbe aprioristicamente l’intervento del settore privato né il sistema dei diritti di proprietà intellettuale. Per Winickoff, però, a fare da apripista dovrebbero essere gli academic medical centers (i nostrani policlinici universitari) in ossequio agli obiettivi del teaching hospital e soprattutto per la loro consolidata esperienza nel catalizzare sovvenzioni e fondi. Non per questo si deve immaginare un’esclusione del mercato: i privati arriverebbero in un secondo momento per finanziare delle strutture ed un modus operandi già rodati secondo gli schemi del charitable trust. protocollo in cui verrà impiegato il proprio campione. 169 WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the public in the ‘biotrust’ model, cit., 13. 170 Quest’ultima, secondo l’autore, non sarebbe d’ostacolo: «here the land analogy helps: a person can give a mortgaged property to be held in trust even thugh they do not own a complete inalienable right to that property» . Ibid., 14. 80 Come si è visto, il biotrust è un modello che racchiude in sé gli ideali di altruismo, “buona governance” e benefici per la collettività nel lungo periodo. Permetterebbe la protezione dei diritti dei partecipanti, la propensione a creare fiducia tra le varie anime dell’attività e la massimizzazione del potenziale scientifico delle collezioni di campioni biologici. La circolazione di un simile modello naturalmente sconterebbe le ben note problematiche del trapianto dell’istituto di common law per antonomasia nel nostro ordinamento171. Eppure, se la biobanca venisse sottoposta al controllo pubblico e si emancipasse, anche a livello infrastrutturale, dai reparti ospedalieri o dagli enti di ricerca pubblici in cui operano i ricercatori, allora anche in Italia potremmo avere questo preziosissimo strumento di mera ricerca172. Lo scopo fondamentale di una biobanca, infatti, non si sostanzia solo nel raccogliere campioni e nel tutelare la loro dimensione materiale ed informazionale: essa deve essere inserita in un’organizzazione tale per cui può diventare il centro di qualcosa di più ampio così da permettere la condivisione dei dati a beneficio di chi fa ricerca. Le biobanche potrebbero contribuire significativamente al dibattito sulle policies di data sharing e, con l’autorizzazione dei governing bodies (rappresentanti anche dei donatori-pazienti) potrebbero giocare un ruolo di primo piano partecipando a ricerche di tipo collaborativo. La proprietà e i diritti di proprietà intellettuale non dovrebbero, dunque, essere più uno scudo dietro cui ripararsi né dei fendicula: la biobanca potrebbe concedere licenze d’uso sui propri dati e materiali, utilizzando gli strumenti legali all’interno di una strategia comunicativa più ampia, capace di attrarre potenziali partners e di raggiungere obiettivi comuni alle istituzioni di ricerca, alle industrie, al pubblico173. Il problema, come già sottolineato, è che nel nostro ordinamento manca ancora una definizione di biobanca ed il registro nazionale è lungi dall’essere realizzato. 171 Nutrita è la bibliografia sul punto. Si vedano in particolare GAMBARO A., SACCO R., Sistemi giuridici comparati, Torino, UTET, 2008; SACCO R., Introduzione al diritto comparato, Torino, UTET, 1992; WATSON A., Il trapianto di norme giuridiche: un approccio al diritto comparato, Napoli, Esi, 1984; OPPENHAIM L., INGRAM S. P., Trusts, St. Paul, West publishing, 1977; SONNEVELDT F., VAN MENS H.L., eds., The trust: a bridge or abyss between common law and civil law jurisdictions?, Boston, Kluwer, 1992; SANTORO L., Il negozio fiduciario, Torino, Giappichelli, 2002. 172 E’ quello che già accade in Spagna con la Ley 14/2007, 3 de julio, de Investigación biomédica (LIB). 173 Come suggeriscono HEANEY C., CARBONE J., GOLD R., BUBELA T., HOLMAN C. M., COLAIANNI A., LEWIS T., COOK-DEGAN R., The Perils of Taking Property Too Far, Sanford Journal of Law, Science and Policy 1, 46:64 (2009). 81 Questa, però, potrebbe essere l’occasione propizia per avviare una riflessione dall’ampio respiro che coinvolga tutti i settori della società. Il modello di Biotrust ci mette di fronte ad un ripensamento delle vecchie categorie e ci offre la chance di rinegoziare un nuovo contratto sociale per la ricerca biomedica. 82 CAPITOLO III SCENARI CONDIVISI TRA BIOBANCA E RICERCATORI: MATERIAL TRANSFER AGREEMENT E DATA SHARING He who receives an idea from me, receives instruction himself without lessening mine; as he who lights his candle at mine, receives light without darkening me. THOMAS JEFFERSON 1. Il rapporto sinallagmatico tra biobanca e ricercatori L’inquadramento dei campioni biologici nella categoria dei commons e l’adozione del modello del Biotrust, quale struttura giuridica indipendente che gestisce queste risorse in maniera efficiente nell’interesse delle collettività, è una prospettiva in grado di arginare i pericolosi straripamenti cui si è fin qui accennato. Agendo da interfaccia tra pazienti e ricercatori, la biobanca assicurerebbe ai primi la tutela della riservatezza ed ai secondi il materiale biologico e i dati associati necessari per i loro fini speculativi 174. A garanzia ulteriore, vengono previsti in funzione di controllo comitati ad hoc incaricati di valutare la scientificità e l’eticità dei protocolli di ricerca175. Nel concreto, poi, ogni istituto dovrebbe elaborare un proprio regolamento interno che disciplini gli aspetti più tecnici e pratici stabilendo, ad esempio, chi possa richiedere il campione, quali requisiti debba avere il richiedente e chi sia deputato a decidere sulle richieste (competenza tecnica, merito del progetto, rispondenza ai principi etici del Comitato), quali obbligazioni siano imputabili ai ricercatori e quali responsabilità siano invece attribuibili alla biobanca, chi supervisioni l’accesso al database e quali siano le 174 Vedi MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit., 233; MACILOTTI M., IZZO U., PASCUZZI G., BARBARESCHI M., La disciplina giuridica delle biobanche, cit., 94. 175 In particolare, si veda sui Comitati Etici, il loro ruolo e le problematiche connesse PORTIGLIATTI BARBOS M., Comitati etici tra urgenza e disincanto, Dir. Pen. e Processo, 11, 1246 (1995) e HYMAN D.A., Institutional Review Boards: is this the least worst we can do?, 101 Northwestern University Law Review, 2, 749 (2007). 83 condizioni per accedervi, chi controlli l’uso che viene fatto del campione e la capacità di utilizzare i dati da parte del ricercatore. La natura ambigua ed ambivalente dei campioni biologici si riflette per certi aspetti anche sul regime giuridico della biobanca, in quanto sullo stesso materiale possono incardinarsi diritti differenti. Si rende necessario, innanzitutto, individuare il bene oggetto di protezione: nel caso dei campioni biologici (sangue, cellule, tessuti cordoni ombelicali…) il controllo del materiale nella sua fisicità ricade nell’ambito dei diritti di proprietà; le sequenze genetiche contenute o sviluppate a partire da quel materiale possono costituire oggetto di brevetto o di segreto industriale; l’uso del database contente le informazioni genetiche, cliniche, anagrafiche, ambientali o di follow up rientra nella disciplina del copyright; i possibili trattamenti di tali informazioni devono tutelare la privacy del paziente-donatore. La biobanca deve, dunque, tenere in considerazione tutti i possibili profili e gli eventuali scenari che si potrebbero prospettare: il paziente potrebbe imporre determinate condizioni all’utilizzo del proprio campione o al trattamento dei propri dati nel modulo di consenso informato (come nel caso Catalona)176, il detentore di un brevetto sviluppato a partire dai materiali forniti dalla biobanca potrebbe imporre pesanti limitazioni o perseguire una politica restrittiva di concessione della licenza (esempio significativo in proposito è la vicenda Greenberg)177 oppure il titolare del copyright sul database potrebbe controllare e determinare l’accesso alle informazioni in esso contenute. Appare evidente, pertanto, come la biobanca instauri un rete di relazioni con soggetti differenti, ognuna della quali governata da un diverso regime giuridico. Bisogna richiamare a questo proposito quanto già detto circa la condizione di terzietà ed indipendenza della biobanca e dei suoi professionisti rispetto ai soggetti che concretamente utilizzeranno i campioni per condurre le proprie indagini previste e descritte nel protocollo di ricerca. Come è stato efficacemente notato in dottrina, se non venisse realizzata questa condizione di indipendenza, verrebbe meno quella funzione essenziale di garanzia posta a tutela della riservatezza dei dati dei pazienti-donatori, i cui tessuti e le cui informazioni verrebbero utilizzati dagli stessi soggetti che provvedono alla loro anonimizzazione178. La contraddizione nell’adottare un sistema di 176 Come accennato nel §4.3, cap.II, p. Vedi §4.2, Cap. II, p. 178 MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit., 232. 177 84 accesso esclusivo – cioè ristretto ai soli custodi o agli stretti collaboratori della biobanca - sarebbe evidente. Il problema dell’accesso alla biobanca rappresenta una delle questioni più scottanti179. Potrebbe ipotizzarsi un sistema in cui la biobanca agisca da service provider e cioè non lasci accedere direttamente al campione ma fornisca le analisi su richiesta dei ricercatori esterni; oppure, la biobanca potrebbe optare per un accesso controllato alle risorse, lasciando condurre autonomamente ed in prima persona ai ricercatori le analisi sul campione; in alternativa, ed è l’ipotesi più frequente, i dati ed i materiali vengono trasferiti, ed eventualmente accompagnati dalle istruzioni per effettuare le analisi o dalle modalità di conservazione, secondo le condizioni stabilite nel Material Transfer Agreement (MTA). 2. Il Material Transfer Agreement La condivisione e la circolazione dei materiali hanno assunto una dimensione complessa, dal momento in cui le risorse biologiche possono connotarsi anche come scoperte economicamente remunerative e lo sharing costituisce oramai il fulcro dello sviluppo scientifico contemporaneo. Il trasferimento di informazioni e materiali non è più gestito in maniera libera ed informale secondo le regole consuetudinarie della comunità scientifica in quanto il gap tra la ricerca pura e l’applicazione commerciale si è andato assottigliando180: si rende, pertanto, necessaria l’adozione di strumenti contrattuali, i c.d. Material Transfer Agreements (d’ora in poi MTA), che bilancino gli interessi delle parti. L’MTA è proprio il negozio che regola i rapporti tra la biobanca e soggetti ad essa esterni (potrebbe trattarsi di un’altra biobanca, un’università od un ente di ricerca privato). E’, infatti, lo strumento generalmente utilizzato per il trasferimento dei materiali biologici di origine umana da destinarsi alla ricerca. Accogliendo la GIBBONS S.M.C., Regulating Biobanks: A Twelve-Point Typological Tool, cit., 324. BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L., THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D., FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds., Intellectual Property Management in Health and Agricultural Innovation: A Handbook of Best Practices, Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007, 698. 179 180 85 definizione di Alan Bennett, Wendy Streitz e Rafael Gacel, si tratta, in particolare, di un bailment con il quale si realizza il trasferimento tra le parti di una cosa tangibile181. Il bailment rappresenta nella tradizione di common law una delle «commonest transactions of every day life»182 ed è alla base di una pluralità di negozi: dal deposito al mandato, dal comodato al pegno, dal contratto di trasporto a quello di albergo. Tale istituto si situa nell’intersezione delle grandi categorie dei contract, property e tort: nella sua forma più semplice, infatti, costituisce un «conveyance of personal property, created by contract and enforceable in tort»183. Come svelato dalla sua etimologia, l’elemento essenziale nel bailment è il possesso184: il proprietario può trasferire solo il possesso dei propri beni al bailee per un periodo di tempo limitato ed il bailee può creare, a sua volta, un bailment per ritrasferire i beni in questione al proprietario originale. Un accordo che conferisse contemporaneamente il possesso e la proprietà su un bene non potrebbe mai creare una relazione di bailment185. Occorre però precisare che il possesso è un elemento necessario ma non sufficiente a costituire il bailment. In primo luogo perché il possesso potrebbe essere una manifestazione della materiale disponibilità del bene derivante dal diritto di proprietà - che abbiamo visto essere incompatibile con l’idea stessa di bailment - ed, in secondo luogo, è necessario che sia accompagnato da un determinato elemento soggettivo. Il bailee, in particolare, deve essere consapevole di avere la disponibilità di determinati beni di proprietà altrui (quello che tradizionalmente nel diritto italiano viene indicato come animus detinendi ex art. 1140 co. 2 c.c.)186. L’istituto del bailment ha vissuto una lenta ma continua evoluzione. Dalle primigenie sei forme - che il Chief Justice Holt aveva individuato in: 1) custodia gratuita di beni; 2) prestito; 3) locazione; 4) pegno; 5) trasporto o prestazione di altri Ibidem. PALMER N.E., Bailment, London, Sweet and Maxwell, 1991, 1. 183 Ibidem. 184 Per Blackstone il termine deriva dal verbo francese «bailler» che significa, appunto, «dare, consegnare»: «Bailment, from the French bailler, to deliver, is a delivery of goods in trust, upon a contract expressed or implied, that the trust shall be faithfully executed on the part of the bailee». BLACKSTONE W., Commentaries on the Laws of England, edited by W. Morrison, London, Cavendish, 2001, vol. II, 365. 185 PALMER N.E., Bailment, cit., 2. 186 Ibid., 3. Come sottolineato dallo stesso autore la natura di tale «mental element» rappresenta uno dei punti più controversi nella law of bailment. 181 182 86 servizi a titolo gratuito; 6) trasporto o prestazione di altri servizi a titolo oneroso187 - la moderna dottrina è arrivata ad ammettere accordi di bailment che prescindano dalla consegna, dalla stipulazione di un contratto ed apparentemente anche dal consenso del bailor. Inoltre, tradizionalmente il bailment richiedeva che venissero restituiti al bailor gli stessi identici beni, una volta raggiunto lo scopo per il quale erano stati bailed. Col tempo si è andata però affermando l’idea che l’identità dei beni potesse essere alterata dal bailee - si pensi ai grappoli di uva restituiti sotto forma di vino – o che i beni potessero non essere restituiti affatto, ad esempio perché consegnati ad un soggetto terzo o venduti per conto del bailor188. Il bailment può avere ad oggetto solo beni mobili: infatti, attraverso l’MTA, vengono trasferiti i campioni biologici, ma la proprietà di questi – nel modello così prospettato - rimane in capo alla biobanca. Il contratto in questione ha, però, natura ibrida189: se da un lato lo strumento negoziale determina le condizioni alle quali il materiale biologico, in quanto tangible property, deve essere trasferito, dall’altro questo stesso materiale può essere oggetto di un brevetto o di una patent application. L’MTA dovrà, dunque, considerare e disciplinare l’aspetto dei diritti di proprietà intellettuale che si vengono ad instaurare sul campione190. L’MTA è, dunque, lo strumento principe per trasferire “materiali di ricerca” da un’organizzazione - cd. provider - ad un’altra - cd. recipient - affinchè quest’ultima possa perseguire determinate finalità di studio e di investigazione. I “materiali di ricerca” possono consistere in composti chimici od in alcuni tipi di software, ma l’MTA viene impiegato prevalentemente per la cessione di materiali biologici. La negoziazione del MTA varia notevolmente a seconda dei soggetti o delle istituzioni coinvolte. Gli agreement conclusi tra università od organizzazioni no-profit sono quasi unanimemente considerati i meno problematici grazie alla comunione di 187 Coggs v. Bernard (1703) 2 Ld Raym 909. PALMER N.E., Bailment, cit., 3-4. 189 BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, 188 cit., 698. 190 Non si prenderanno qui in considerazione i cosiddetti collaboration agreement che di solito accompagnano l’MTA. Sulla tematica si rimanda a GOLD E.R., BUBELA T., Drafting Effective Collaborative Research Agreement and Related Contracts, in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L., THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D., FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds., Intellectual Property Management in Health and Agricultural Innovation: A Handbook of Best Practices, Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007, 725. 87 intenti e di interessi tra questi soggetti 191. Negli Stati Uniti, ad esempio, è prassi che il trasferimento dei materiali biologici tra le università avvenga sulla base di un legame di fiducia e venga formalizzato in accordi molto semplici aventi come unico limite il divieto di cessione del campione a soggetti esterni al mondo accademico senza la previa approvazione o notificazione all’istituzione-provider192. I Material Transfer Agreement conclusi, invece, tra università e soggetti provenienti dal mondo dell’industria sono, di regola, i più complessi. Le questioni più delicate da risolvere concernono la circolazione e la diffusione dei risultati delle ricerche, la possibilità di utilizzare tali risultati in altri e diversi progetti, i potenziali conflitti tra le obbligazioni derivanti dall’MTA e gli obblighi cui è sottoposto, ad esempio, il microbiologo che riceve il grant per condurre la sua ricerca. Come dimostrato dallo studio di Alan Bennett, Wendy Streitz e Rafael Gacel, negli Stati Uniti le Università hanno, poi, un obbligo di condividere conoscenze e invenzioni in maniera diligente e tempestiva con la generalità del pubblico193. In tal senso, dispone il Patent and Trademark Law Amendments Act, meglio noto come BayhDole Act, ossia la legge del 1980 che consente agli atenei statunitensi di brevettare autonomamente i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici. Tale provvedimento legislativo ha avuto il merito di creare gli incentivi necessari per la commercializzazione di nuove tecnologie sviluppate grazie agli sforzi congiunti di università, industria e governo e, al contempo, ha assicurato la funzione istituzionale propria dei centri universitari stabilendo la promozione e la diffusione pubblica delle invenzioni194. Questo benefit sharing, però, potrebbe essere ostacolato da un MTA deputato a conciliare visioni e priorità profondamente divergenti: il raggiungimento dell’accordo 191 Contra STREITZ W., BENNETT A., Material Transfer Agreements: A University Perspective, Plant Phisiology, 133, 10 (2003). Gli autori, infatti, sostengono che la situazione non è così rosea quando il trasferimento avviene da un’istituzione accademica verso un altro ente di ricerca di un paese in via di sviluppo oppure quando il materiale ceduto è coperto da brevetto. In quest’ultimo caso, però, gli stessi autori evidenziano in un loro articolo successivo come il problema sia facilmente arginabile inserendo nell’accordo di licenza una clausola con cui ci si riserva il diritto di utilizzare il materiale esclusivamente per finalità di ricerca interna. BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, cit., 703. 192 Un esempio di ciò è costituito dal Simple Letter Agreement for Transfer Materials, predisposto dai NIH (National Institutes of Health), organismi federali del Dipartimento di Salute e Servizi Umani degli U.S.A. che realizzano e promuovono la ricerca scientifica. Fonte: http://www.nih.gov/, ultima visita: 24 agosto 2010. 193 Ibid., 704. 194 Ibid., 704. 88 potrebbe richiedere molto tempo, comportare enormi costi di transazione finendo col risultare un business poco appetibile per le imprese private. 3. La struttura del Material Transfer Agreement Per quanto riguarda la struttura dell’MTA, essa può variare da un semplice ed agile contratto standardizzato - come ad esempio il modello di Simple Letter Agreement for Transfer of Materials stilato dai National Institutes of Health statunitensi, solitamente utilizzato dalle università nordamericane per trasferire materiali (vedi in Appendice 1) - a complessi ed elaborati documenti, la cui negoziazione può anche richiedere anni195. Generalmente gli MTA conclusi tra le biobanche ed i ricercatori si articolano nei seguenti punti: (a) descrizione del materiale da trasferire, (b) dovere di riservatezza circa le informazioni fornite ed il know-how, (c) limitazioni all’uso del campione, (d) divieto o restrizioni alla sua successiva cessione a terzi, (e) esclusione della responsabilità da parte della biobanca, (f) gestione dei diritti di proprietà intellettuale derivanti dalla ricerca, (g) diritti di pubblicazione, (h) obbligo di report, (i) requisiti aggiuntivi con riferimento al tipo di materiale trasferito. Può, dunque, risultare utile analizzare concretamente e nel dettaglio un Material Transfer Agreement non solo per capirne la struttura ma anche (e soprattutto) per comprenderne i bilanciamenti e le scelte di policy che riflette. A questo fine, costituirà oggetto di analisi l’MTA utilizzato da EuroBioBank, un network di biobanche creato a livello europeo per fornire – attraverso un catalogo online - DNA, cellule e tessuti biologici di origine umana come servizio alla comunità scientifica che conduce ricerche nell’ambito delle malattie rare196. La scelta è maturata a 195 Ibid., 700. Il network è stato istituito nel 2001 a partire da due organizzazioni di pazienti: l’Associazione francese contro le miopatie (AFM) e l’Organizzazione europea per le malattie rare (Eurordis), divenuta poi la coordinatrice del network. Inizialmente finanziata con fondi europei, EuroBioBank è stata successivamente inclusa - insieme a Eurordis che è a capo del WP04.1 dedicato allo “Sviluppo e coordinamento di biobanche sovranazionali” - nello European Network of Excellence TREAT-NMD (Neuro Muscular Disease network) nell’ambito del Sesto Framework Programme (FP6) della Commissione europea. EuroBioBank si propone di identificare e localizzare materiale biologico di interesse per i ricercatori, costituire una massa critica di collezioni di campioni biologici provenienti da pazienti affetti da malattie rare, distribuire materiale di qualità e relativi dati agli utilizzatori, promuovere pratiche di biobanking di qualità, disseminare conoscenze e know-how presso la comunità scientifica attraverso corsi di formazione, incentivare la collaborazione all’interno della comunità medica e 196 89 seguito della comparazione di un’ampia rosa di contratti di trasferimento del materiale adottati da Università e biobanche sia a livello europeo che internazionale 197: l’MTA predisposto dalla EuroBioBank appare il modello più appropriato e più funzionale - per chiarezza e completezza – per tentare un primo approccio alla problematica. Il preambolo del Material Transfer Agreement in esame consta di una clausola introduttiva che contiene l’enunciazione del tipo di accordo, la data e le parti. Esso si compone solitamente di recitals o whereas clauses, che forniscono informazioni ritenute rilevanti con riguardo alle parti, al tipo di materiale, agli obiettivi della ricerca, all’intento dei contraenti198. Secondo il P³G Ethics and Policymaking Core coordinato da Saminda Pathmasiri e Bartha Maria Knoppers, dovrebbero essere parti del contratto sia il ricercatore principale sia il suo ente di appartenenza 199. In questo modo, scientifica nell’ambito delle malattie rare. Allo scopo di facilitare l’interazione tra medici e pazienti e di agevolare l’accesso ai campioni è stato predisposto un catalogo on-line che elenca le collezioni di campioni disponibili e che possono essere richiesti semplicemente via mail. Naturalmente il richiedente dovrà comunque rispondere ai requisiti previsti dalla Carta del network EuroBioBank e sottostare alle condizioni contenute nell’MTA. Fonte: http://www.eurobiobank.org/index.html, ultima visita: 24 agosto 2010. 197 Sono stati visionati, in particolare, il Simple Letter Agreement for the Transfer of Materials, il Material Transfer Agreement for the Transfer of Organisms (MTA-TO) to Academic/Not-for Profit Organizations, lo Human Material Transfer Agreement (hMTA) for Non-Profit Research Purposes, redatti dall’NIH (http://www.ott.nih.gov/forms_model_agreements/forms_model_agreements.aspx#MTACTA); l’UBMTA, il Master Agreement Regarding Use of the Uniform Biological Material Transfer Agreement (http://www.nhlbi.nih.gov/resources/tt/docs/ubmta.pdf); lo Uniform Access Agreement di CARTaGENE (http://www.cartagene.qc.ca/index.php?option=com_content&task=view&id=94&Itemid=83); il Confidential Information e Material Transfer Agreement del Network of Centres of Excellence (http://epi.helmholtz-muenchen.de/kora-gen/seiten/angebot_regel_e.php); il Biological MTA utilizzato dall’Università McGill di Montreal (http://www.techtransfer.mcgill.ca/downloads/pdf/MTAMcGilltoCorp.pdf); il Data Access Agreement del Wellcome Trust-Case Contral Consortium (http://www.wtccc.org.uk/docs/Data_Access_Agreement_v14.pdf); l’Acuerdo de Trasferencia de muestras y tejidos humanos del Comité de Ética e Investigación spagnolo (www.isciii.es/htdocs/terapia/pdf_comite/cesion- transferencia.doc); l’Application form S601E Access to Data del Norwegian Insitute of Public Health (http://www.fhi.no/eway/default.aspx? pid=238&trg=MainArea_5811&MainArea_5811=5903:0:15,4278:1:0:0:::0:0); il Project Agreement of Data and/or Biosamples Transfer della tedesca Kora-gen (http://epi.helmholtz-muenchen.de/koragen/seiten/angebot_regel_e.php); il Material Transfer Agreement del Centro di risorse biologiche dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (http://www.istge.it/). 198 Così BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, cit., 700. 199 Il P³G (Public Population Project in Genomics) è un consorzio internazionale (tra i suoi membri fondatori si annoverano CARTaGENE, l’Estonian Genome Project e GenomEUtwin) senza scopo di lucro che si propone di offrire alla comunità internazionale un accesso facilitato alle conoscenze, alle risorse, agli strumenti innovativi ed alle informazioni più aggiornate in tema di genomica e studi di popolazione. Per raggiungere i suoi obiettivi e favorire la collaborazione tra le biobanche e la comunità scientifica ha messo a punto alcuni strumenti open-access come, ad esempio, il DataSHaPER (DataSchema and Harmonization Platform for Epidemiological Research). Fonte: http://www.p3g.org/, ultima visita: 24 agosto 2010. 90 l’istituzione si fa carico delle eventuali responsabilità derivanti dalla ricerca condotta dal proprio dipendente che, invece, rimane personalmente responsabile in caso di condotta illegale o di comportamenti contrari al proprio codice deontologico: MATERIAL TRANSFER AGREEMENT (MTA) This Agreement is made the…………..day of ………. 2010 between ………………….. whose registered office is situated at …………………………. (hereinafter called "Recipient") and ………………………….., having its principal offices …………………………., (hereinafter "Provider") in the frame of EuroBioBank network. Α. Β. Χ. ∆. WHEREAS: EuroBioBank (EBB) is a European network of biological banks, which provides human DNA, cell and tissue samples as a service to the scientific community conducting research on rare diseases. Provider is a member of the EuroBioBank network and as such has adhered to the EuroBioBank Charter Recipient is a ………… whose principal object is to research and develop …………….. in the field of rare diseases. Recipient acknowledge that this agreement is entered into in order to encourage scientific collaboration and exchange of data and material in the field of rare diseases. Ad esso segue la consideration, la cui funzione è quella di rafforzare l’MTA che altrimenti rimarrebbe privo della sua causa200: NOW IT IS HEREBY AGREED AS FOLLOWS: Pursuant to Recipient’s request that certain research material be made available for research and/or testing purposes, Provider agrees to provide to Recipient this biological material under the following terms and conditions. L’MTA può avere una sezione separata nella quale vengono definiti termini specifici come “materiale”, “materiale biologico”, “invenzione” oppure può provvedere alla definizione non appena tali termini compaiono. Come esplicitato nello Uniform Biological Material Transfer Agreement (UBMTA)201, il materiale biologico può consistere nel materiale originario (MO), nella progenie del MO o nei derivati non 200 Sull’equiparazione del concetto di consideration angloamericano alla causa continentale si veda ALPA G., BESSONE M., (a cura di), Causa e Consideration, Padova, CEDAM, 1984. 201 L’UBMTA è un altro modello standard stilato dai NIH e dall’Association of University Technology Managers per favorire ed accelerare il processo di condivisione degli strumenti di ricerca tra le istituzioni accademiche. A differenza del Simple Letter Agreement di cui sopra, l’UBMTA ha ad oggetto, in particolare, il trasferimento di materiale biologico. 91 modificati, quali ad esempio, le proteine espresse dal DNA o dall’RNA. Pertanto, rientrano nella definizione di materiale originario anche le modifiche al materiale originario, eventuali sostanze che lo incorporassero o quelle ottenute attraverso il suo utilizzo. Lo strumento contrattuale della EuroBioBank propende comunque per la prima soluzione formale: 1. The research material covered by this agreement, hereinafter “Biological Material” is identified in the Request Form (Appendix A). L’MTA specifica, dunque, gli obblighi della biobanca e le responsabilità del ricercatore circa l’utilizzo del materiale. Il documento può semplicemente prevedere che il ricercatore inserisca la descrizione dell’uso che farà del campione oppure può essere predisposta un’appendice separata nella quale verrà minuziosamente descritto il tipo di impiego che si prospetta nella ricerca. Si prevedono, poi, alcune restrizioni - che sono solitamente inserite in un MTA e che possono essere dettate anche dal consenso prestato dal donatore-paziente - come il divieto di utilizzare il materiale per un progetto di ricerca diverso da quello per cui è stato originariamente concesso, la vendita o il trasferimento a terzi del campione, il divieto di utilizzo per scopi commerciali o l’impiego nella sperimentazione umana202: 2. Within sixty (60) days from the date of this Agreement above, Provider shall provide Recipient with samples of the Biological Material, in good condition along with associated information and data developed by Provider as appropriate. The samples shall be sent to the attention of: ……………., or his designee, at Recipient’s site; …………………. (address of the site for delivery). All custodianship of the Biological Material will pass to Recipient from the point of delivery of the sample to the Recipient’ site. Recipient will then be responsible for its use, storage and disposal for the term of the Agreement. Recipient agrees not to take or send the Biological Material to any other location or to a third party without advance written approval of Provider. 3. Recipient hereby accepts, upon the terms and conditions herein specified, the custodianship of the Biological Material to enable Recipient to use the Biological Material for the sole purpose of conducting experimental research to the exclusion of any commercial use of the Biological Material. The experimental research conducted by Recipient with the Biological Material, hereinafter the “Research”, is described in Appendix B. 202 Il grassetto è mio. 92 Nel caso in cui l’accordo – ed è questo il caso - abbia carattere transnazionale e coinvolga soggetti provenienti da differenti stati ed ordinamenti giuridici, l’MTA deve specificare quale sia la legge applicabile. Il documento della EuroBioBank, infatti, prescrive che: 4. Recipient shall use the Biological Material in compliance with all applicable laws and government regulations. Under no conditions will the Material be used in human subjects. 5. The Biological Material has been collected and processed by Provider in compliance with all applicable laws, rules, regulations and other requirements of any applicable governmental authority, including without limitation those applicable to patient informed consent. La biobanca, in quanto garante della riservatezza dei dati, assicura il trasferimento dei campioni in forma codificata od anonimizzata, impedendo al ricercatore di accedere all’identità del paziente: 6. Prior to the transfer of the Biological Material to Recipient, Provider will ensure that the samples are either coded or anonymised, so that under no circumstances will Recipient be supplied with the identity of the patient, or any basic clinical information, that in Provider’s opinion could identify the patient. In ossequio alle finalità di ricerca, si intima al recipient un uso prudente ed appropriato dei campioni ricevuti. Altri MTAs per rafforzare questo duty of care impongono l’adozione di determinate tecnologie informatiche o misure di sicurezza per la protezione del materiale biologico; oppure ancora, includono nell’accordo un obbligo di reporting per monitorare l’utilizzo del campione. L’MTA della EuroBioBank prevede, poi, una clausola che pone in capo al ricercatore qualsiasi tipo di responsabilità per danni che potrebbero derivare dall’utilizzo, conservazione o manipolazione del materiale biologico e dei suoi derivati: 7. Recipient understands that the Biological Material delivered hereby is experimental in nature and should be used with prudence and appropriate caution since not all of its characteristics are known. Recipient assumes all liability for damages, which 93 may arise from the use, storage, handling or disposal of the Biological Material or its derivatives. In alternativa, alcuni providers prevedono un indennizzo, una sorta di clausola penale, che protegge la biobanca da eventuali ricorsi o spese derivanti dall’attività condotta dal ricercatore203. Alcuni MTAs inseriscono, poi, una clausola di esclusione della responsabilità del proprietario della biobanca sulla qualità di conservazione dei campioni ceduti. Molto spesso, però, questa declinatoria non fa breccia nei ragionamenti della corti e non protegge necessariamente la biobanca nei confronti dei terzi 204. Ecco perché nella maggior parte degli accordi si prevede la responsabilità solidale della biobanca in caso di azioni promosse contro il ricercatore, dovute alla negligenza o all’imperizia della biobanca stessa. L’MTA solitamente evidenzia a chiare lettere (si utilizza il maiuscolo in genere) 205 che il materiale biologico non è accompagnato da warranties: 8. Provider makes no representations and extends no warranties of any kind, either expressed or implied. Provider and its directors, officers, employees, or agents assume no liability and make no representations in connection with the Biological Material or the derivatives or the information or their use by Recipient or its investigators. Recipient will defend, indemnify and hold harmless Provider, its directors, officers, employees, and agents from any damages, claims, or other liabilities which may be alleged to result in connection with the Biological Material, derivatives or information. There are no expressed or implied warranties of merchantability or fitness for a particular purpose, or that the use of the Biological Material and related information will not infringe any patent, copyright, trademark or other rights. Il Material Transfer Agreement, per non risultare eccessivamente penalizzante, dovrebbe permettere al ricercatore la pubblicazione o la presentazione dei risultati della propria ricerca senza l’approvazione da parte della biobanca. Esso, però, rappresenta uno strumento chiave per favorire e propiziare la condivisione dei dati e degli esiti della ricerca. I ricercatori, infatti, hanno la possibilità di arricchire il biorepository e di agevolare le ricerche successive già con la semplice restituzione delle analisi genetiche effettuate sui campioni o dei risultati ottenuti alla fine della ricerca. Inserire una clausola di grant-back, cioè un obbligo condividere i risultati ottenuti con la biobanca, ridurrebbe drasticamente il pericolo di duplicazione delle ricerche e potrebbe viralizzare 203 Per quanto una clausola del genere sia proibita in alcuni stati. Cfr BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, cit., 702. 204 Ibidem. 205 Ibidem. 94 il vecchio principio di reciprocità e mutuo scambio delle conoscenze in ambito scientifico206. I ricercatori dovrebbero restituire alla biobanca non solo i risultati positivi ottenuti, ma anche l’analisi completa (affinché la comunità scientifica possa monitorare la correttezza dell’indagine) ed i “vicoli ciechi”, cioè quelle ricerche che non abbiano condotto al risultato prefissato207. Una clausola del genere, però, rischierebbe di innescare un pericoloso meccanismo di “biobank shopping”: il ricercatore intenzionato a lucrare sulla propria invenzione cercherebbe la biobanca che gli ponesse meno limitazioni possibili riguardo l’uso dei campioni e che non prevedesse una clausola di grant back208. Nei Material Transfer Agreement, quindi, è solitamente inserita una clausola che richieda al ricercatore l’invio di una copia di ciascun manoscritto, abstract, slides, bozza preparatoria della pubblicazione realizzata grazie allo studio dei materiali biologici ceduti. Si prevede, inoltre, che il ricercatore citi espressamente, se del caso come coautrice, la biobanca. In questo specifico caso, inoltre, l’obbligo si estende anche al network europeo209: 9. Recipient shall share the results of the Research obtained through use of the Biological Material with Provider. In particular, Recipient undertakes to send a copy of any such publication based on use of the Biological Material (or derivative), promptly after it is published, to Provider, and to EuroBioBank at the following email address [email protected] 10. In accordance with scientific customs, the contributions of those who have made Biological Material available or of the EuroBioBank Scientists if appropriate, will be reflected expressly in all written or oral public disclosures concerning the Research using the Biological Material, by acknowledgment or co-authorship, as appropriate. The origin of the Biological Material must be included in such 206 BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on Researchers, in ELGER B., BILLER -ANDORNO N., MAURON A., CAPRON A., eds., Ethical Issues in Governing Biobanks: Global Perspectives, Ashgate, 2008, 231. 207 «The negative findings ought also to be shared because these are perhaps the most interesting findings». Ibidem. 208 GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, International Conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property and the Role of Technology, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Trento, 7 e 8 maggio 2010. 209 Il grassetto, questa volta, non è mio. Anche la formattazione evidenzia e sottolinea l’attenzione con cui la biobanca cura la diffusione delle nuove conoscenze scientifiche sviluppate grazie al supporto materiale fornito. Le pubblicazioni rappresentano uno strumento chiave per sponsorizzare la biobanca, testimoniare la qualità e professionalità della raccolta di tessuti ed aumentare il proprio ranking nel panorama scientifico internazionale. 95 disclosures, as follows: “We thank [bank X] for providing the samples. [bank X] is a partner of the EuroBioBank Network established in 2001 thanks to EC funding (01/2003-03/2006), www.eurobiobank.org" L’MTA, poi, contiene una clausola per proteggere le informazioni sensibili che possono essere scambiate tra la biobanca ed il ricercatore insieme al materiale. Il dovere di riservatezza copre tutte quelle «informazioni, dati o materiali, in forma scritta o in un’altra forma tangibile collegata al materiale, che è identificata come confidenziale al momento dell’accordo»210. In ogni caso il dovere di riservatezza non si estende a quelle ipotesi in cui l’informazione sia già in pubblico dominio, sia in possesso del ricercatore al momento dell’accordo, sia stata svelata al ricercatore da un soggetto terzo che aveva il potere di farlo, sia stata raggiunta dal ricercatore indipendentemente e senza l’utilizzo dell’informazione confidenziale fornita dalla biobanca, debba essere resa nota sulla base di una previsione legislativa o di un regolamento del governo211. La clausola di confidentiality, a seconda della sua formulazione, può avere un ruolo particolarmente pregnante ed invasivo sull’attività di ricerca: potrebbe inibire il soggetto che ha accettato l’accordo dal pubblicare qualsiasi risultato del proprio lavoro ottenuto grazie al materiale biologico della biobanca. Il dovere di riservatezza, proprio per le limitazioni che impone, non è mai ad semper ed il periodo di non divulgazione generalmente non supera i cinque anni dal termine del progetto di ricerca212: Confidentiality 11. Each of Recipient and Provider undertakes to retain in confidence and not disclose to any third party any confidential information and samples received from the other party. Such information may, however, be disclosed insofar as such disclosure is necessary to allow a party, or its employees to defend against litigation, to file and prosecute patent applications, or to comply with governmental regulations. Such obligation of confidentiality shall be waived as to information and samples which (i) is in the public domain; (ii) comes into the public domain through no fault of the receiving party; (iii) was known prior to its disclosure by the receiving party, as evidenced by written records; or (iv) is disclosed to the receiving party by a third party having a lawful right to make such disclosure. Such obligations of confidentiality shall continue for five (5) years from the completion or termination of the Research. 210 BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, 211 Ibidem. Ibidem. cit., 701. 212 96 Inoltre, l’MTA pone a carico del ricercatore ricevente i costi “amministrativi” che, però, non costituiscono in alcun modo il prezzo del campione. La cessione di quest’ultimo, infatti, non perfeziona una vendita e la somma pagata serve solo a coprire (parzialmente o totalmente) i costi sostenuti dalla biobanca per la raccolta, la conservazione ed il trasporto del campione. Si prevede, altresì, l’indicazione di un termine finale entro cui il contratto cesserà di produrre i suoi effetti. Generalmente si stabilisce che allo spirare del termine il ricercatore ricevente interrompa lo studio sul materiale biologico e restituisca o distrugga gli eventuali residui. Alcuni effetti, però, potrebbero protrarsi anche dopo la scadenza del termine: potrebbe, infatti, essere prevista la sopravvivenza di obbligazioni collegate al dovere di riservatezza o riferibili alla proprietà intellettuale, ai warranties o ai profili di responsabilità213: Costs 12. Recipient will make appropriate payment to cover reasonable administration costs in the supply and transport of the samples but will make no payments for the samples themselves. Term and Termination 13. This agreement will terminate on the earliest of the following dates : (a) XXX years from the date of signing this agreement, or (b) on completion of the Recipient’s current Research with the Biological Material, or (c) on thirty (30) days written notice by either party to the other. 14. On termination for any reason, Recipient agrees to return or dispose of any remaining Biological Material, in accordance with the Provider’s directions. Come in ogni contratto, dopo il corpo del documento, è inserita una concluding clause che statuisce il momento a partire dal quale l’accordo assume rilevanza legale. Inoltre, sono apposte le firme del rappresentante legale della biobanca e del ricercatore ricevente - (ed eventualmente del rappresentante legale o del delegato dell’ente di 213 Ibid., 703. 97 ricerca di cui fa parte o della società per cui opera214)-, nonché gli allegati richiesti (che potrebbero consistere, ad esempio, nel protocollo di ricerca, nella lista dei materiali ceduti o nelle informazioni da mantenere riservate): In witness whereof, Recipient and Provider have executed this agreement as of the date below written. PROVIDER By : Name : Title Date RECIPIENT By : Name : Title : Date : Documents attached : -Request Form -Project description L’MTA della EuroBioBank, testé analizzato, pur rappresentando uno dei modelli più completi, non prende in considerazione un elemento fondamentale, per quanto scivoloso, che viene fatto rientrare nella natura ibrida dell’agreement: i diritti di proprietà intellettuale. Il campione stoccato nella biobanca non può essere coperto da nessuna forma di proprietà intellettuale, dato che si trova in uno stadio precedente rispetto all’attività di ricerca. Con la cessione al ricercatore ed il suo impiego in un determinato protocollo di ricerca, però, il campione costituisce un’invenzione in potenza. L’MTA serve a risolvere e a disciplinare proprio questa prospettiva, per quanto si tratti indubbiamente della questione più articolata da negoziare in tali contratti di ricerca215. La biobanca stipulerà l’MTA secondo la propria policy adottata in tema di downstream IP216. Quest’ultima è, però, solo un aspetto dei diritti di proprietà intellettuale che possono riguardarla. La biobanca, infatti, potrebbe anche detenere il copyright sul database a seconda del grado di organizzazione o di originalità nell’annotazione dei campioni217. 214 Per l’Università sono sottoscritti dal Magnifico Rettore. L’MTA viene fatto rientrare dal prof. Gold nella categoria dei Research Contract. Vedi GOLD E.R., BUBELA T., Drafting Effective Collaborative Research Agreement and Related Contracts, cit. 216 Secondo la definizione fornita da Saminda Pathmasiri e Bartha Maria Knoppers nel P³G Ethics and Policymaking Core si tratta della proprietà intellettuale che si origina a seguito dell’utilizzo da parte di un ricercatore dei dati e dei campioni stoccati nelle biobanche. 217 Sullo standard di originalità si veda il caso Feist Publication Inc. v. Rural Telephone Service Company, 916 F.2d 718 (CA 10 1990). 215 98 Per concludere l’analisi dell’MTA predisposto dalla EuroBioBank, il modello in esame non prevede alcuna clausola che indichi le conseguenze derivanti dall’inadempimento delle obbligazioni contrattuali. Tale lacuna può essere agilmente colmata facendo riferimento ai tipici rimedi previsti dall’ordinamento, ma potrebbe anche non essere casuale. Il rispetto delle obbligazioni potrebbe essere “coartato” dalle norme sociali che nel campo della ricerca scientifica esercitano una funzione di deterrenza e controllo. In caso di grave inadempimento, la reputazione di un ricercatore inadempiente sarebbe irrimediabilmente compromessa e difficilmente tale soggetto potrebbe accedere nuovamente alle risorse di una biobanca218. 4. MTA: un gigante dai piedi d’argilla? Il Material Transfer Agreement sembra essere lo strumento in grado di fornire una soluzione ai problemi connessi al trasferimento dei materiali biologici: delinea i limiti del loro utilizzo, definisce le obbligazioni tra le parti, assicura che l’uso del materiale corrisponda a quello originariamente contemplato, dirime anticipatamente le questioni riguardanti le eventuali responsabilità derivanti dal materiale, tutela i diritti di proprietà intellettuale e promuove la condivisione dei risultati delle ricerche. Eppure, come già si è avuto modo di sottolineare, l’MTA è spesso il campo di battaglia in cui si affrontano le diverse ideologie e mission che animano l’industria, da un parte, e le accademie, dall’altra: interessi commerciali e proprietari volti al conseguimento dell’esclusiva sul mercato grazie a brevetti e segreti industriali, da un lato, e protezione del flusso di idee attraverso la pubblicazione, dall’altro219. Quando le imprese private e le università perdono di vista il loro mutuo interesse nel supportare l’avanzamento della ricerca e della conoscenza e le volontà dei contraenti non collimano, allora la negoziazione di un MTA può rivelarsi difficoltosa e dispendiosa sia sotto il profilo economico che sotto quello temporale. Oltre ad avere una ripercussione negativa sui costi di transazione, dato che un contratto del genere non 218 Cfr BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on Researchers, cit. 219 RODRIGUEZ V., Material transfer agreements: open science vs. proprietary claims , 23 Nature Biotechnology 4, 489 (2005). 99 riuscirebbe a garantire quella flessibilità necessaria per permettere la condivisione dei dati. Alcuni studi hanno dimostrato come i Material Transfer Agreement ed i diritti di proprietà intellettuale siano causa di un malcontento comune e generalizzato tra i ricercatori. Questi ultimi attribuiscono l’impantanamento dei propri progetti ai ritardi nell’accesso agli strumenti ed ai materiali di ricerca causati proprio dagli strumenti contrattuali, la cui negoziazione è imposta dagli amministratori delle università per proteggere i propri diritti di proprietà intellettuale o per prevenire controversie legali 220. La “tragedia” degli MTAs è stata così ironicamente descritta da Wendy Streitz ed Alan Bennett dell’Ufficio Trasferimento Tecnologico della UCLA: «una delle tue colleghe alla BigAg, Inc. (o alla BigAg University) è entusiasta di poterti inviare le sue sequenze di inserzione del trasposone che saturano il braccio destro del cromosoma 9; tu hai solo bisogno di un MTA firmato dalla tua istituzione. Sei mesi dopo, i termini dell’accordo sono ancora in fase di negoziazione, tu hai perso il semestre, il tuo assegno di ricerca è scaduto e adesso c’è una risorsa più interessante che è stata sviluppata alla LittleAg University – e se inizi a negoziare un MTA adesso… Benvenuto nell’incredibilmente complicato mondo dello sharing dei materiali di ricerca – quei materiali o reagenti che sono spesso essenziali, o quantomento utili, ad accelerare la propria ricerca»221. Per alcuni autori la lunghezza della procedura è dovuta alla lentezza cronica ed alla farraginosità dei meccanismi universitari222, per altri il vero problema è costituito dalle limitazioni di responsabilità e dal tempo che inevitabilmente richiede la negoziazione dei diritti di proprietà intellettuale223 oppure dalla mancanza di collaborazione del settore industriale che difficilmente tende a concedere i propri ritrovati224. 220 LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property protection for biological research, 27 Nature Biotechnology, 1, 36 (2009); NOONAN K., Conflating MTAs and patents, 27 Nature Biotechnology, 504 (2009); LEI Z., WRIGHT B., Reply to Conflating MTAs and patents, 27 Nature Biotechnology, 505 (2009); KU K., Point: MTAs are the bane of our existence!, 25 Nature Biotechnology, 721 (2007); RODRIGUEZ V., Governance of material transfer agreements, Technology in Society 30, 122 (2008); ID., Material Transfer Agreements: A Review of Modes and Impacts, Prometheus 27, 2, 141(2009); ID., Material transfer agreements: open science vs. proprietary claims , cit. 221 Non senza una punta polemica, così STREITZ W., BENNETT A., Material Transfer Agreements: A University Perspective, Plant Phisiology, 133, 10 (2003). 222 NOONAN K., Conflating MTAs and patents, cit. 223 LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property protection for biological research, cit. 224 LEI Z., WRIGHT B., Reply to Conflating MTAs and patents, cit. 100 La dottrina internazionale sembra essere concorde nell’additare allo strumento del Material Transfer Agreement un’eccessiva lentezza che ostacola i tempi della ricerca e non si confà alle esigenze della scienza: eppure, molte università che non si servite dell’MTA hanno registrato perdite significative225. L’MTA oramai è un «fact of life»226 che, però, non deve minare le fondamenta delle biobanche. Esso dovrebbe diventare un mezzo più agile e favorire l’accessibilità dei materiali di ricerca. Il sample – data sharing è, infatti, di importanza capitale nel campo delle biotecnologie, in quanto molti risultati non possono essere «invented around»227: esso dovrebbe costituire la pietra angolare di una biobanca piuttosto che una pietra d’inciampo. Esso dovrebbe essere la corsia preferenziale per favorire la circolazione dei campioni e dei dati associati così da eliminare o, quantomeno, diminuire il rischio della sottoutilizzazione di informazioni preziose quali quelle contenute nelle biobanche. Secondo il prof. Richard Gold, le condizioni minime per permettere lo sharing dovrebbero consistere nell’accesso in larga scala ai materiali ed ai dati associati per qualsiasi scopo di ricerca, nella possibilità di condurre ricerca sugli stessi, modificandoli o traducendoli in invenzioni, nella condivisione di tali apporti ed il contenimento dei costi228. Per raggiungere questi obiettivi, allora, la tecnologia potrebbe approntare una soluzione alternativa ed in tal senso si è mossa Science Commons229. Tale iniziativa, servendosi delle licenze open Creative Commons (CC), ha sviluppato non solo delle piattaforme open source per la diffusione della conoscenza e la visualizzazione dei dati, ma anche modelli contrattuali appositamente creati per il trasferimento dei materiali di 225 HENDERSON J., Counterpoint: MTAs are a practical necessitiy, 25 Nature Biotechnology, 722 226 GOLD R., Models for Sharing, Biobank Lab, Università di Trento, 13 maggio 2010. GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. (2007). 227 228 GOLD R., Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing, International Conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property and the Role of Technology, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Trento, 7 e 8 maggio 2010. 229 Science Commons è un’iniziativa gemmata dai Creative Commons (CC) a partire dal 2005. Utilizzando le licenze open CC, il commons deed (sommario della licenza) ed i metadati (la versione elettronica della licenza) si propone di estendere nella maniera più appropriata la filosofia e le strutture Creative Commons al mondo della scienza: per fare ciò predispone modelli contrattuali per il trasferimento dei materiali di ricerca o la costruzione di piattaforme open source per la diffusione della conoscenza e la visualizzazione dei dati. L’intento è quello di fornire strumenti chiari sia dal punto di vista legale che dal punto di vista tecnico per promuovere il progresso scientifico e la ricerca. WILBANKS J., BOYLE J., An introduction to Science Commons, reperibile all’indirizzo http://sciencecommons.org/wpcontent/uploads/ScienceCommons_Concept_Paper.pdf, ultima visita: 24 agosto 2010. 101 ricerca. Infatti, con il Biological Material Transfer Agreement Project (MTA) è stato sviluppato un MTA standard, flessibile e modulare, per risolvere il problema degli alti costi di transazione nel trasferimento del materiale biologico a scopi di ricerca. Tale strumento risulta particolarmente agevole perché il suo linguaggio “parla” contemporaneamente a tre interlocutori differenti: al ricercatore (tramite il commons deed) al giurista (attraverso il legal code) e alla macchina (con il codice html). Tale MTA, infatti, possiede un’interfaccia che lo rende facilmente comprensibile anche agli operatori del mondo della scienza (non- lawyers); il codice informatico, invece, provvede ad associare i termini contrattuali desiderati ai materiali facilitandone, inoltre, la tracciabilità. Tale contratto non sarebbe monolitico come altri “standard form” perché offre, attraverso delle semplici schermate volutamente user-friendly, alcune opzioni relative al tipo di condizioni da inserire nel documento. E’ un’iniziativa indubbiamente interessante. Science Commons è riuscita a predisporre uno strumento partecipativo, web based, facilmente accessibile ed intuitivo che può aiutare la diffusione della conoscenza biotecnologica contenendo al minimo i costi di transazione. Tale modello, però, non è del tutto privo dei consueti svantaggi propri della standardizzazione e la sua modularità allevia il problema solo parzialmente, offrendo uno spazio di autonomia limitato solo ad alcuni aspetti ritenuti più importanti da regolare. La standardization aiuta a ridurre i costi di transazione, garantendo uniformità e favorendo la circolazione, ma pone problemi anche nel campo delle licenze aperte 230. Anche in questo caso, il contratto risulta sempre deficitario sotto il profilo “democratico” e partecipativo, dato che il contenuto dell’accordo, infatti, non deriva da una trattativa, ma è predisposto unilateralmente. In questo modo si assiste alla menomazione del ruolo volitivo di una della parti che può così soltanto aderire231. 230 E’ stato notato come la standardizzazione del contratto sia anche un modo per far circolare (imporre?) un determinato modello giuridico straniero, tenuto conto del fatto che queste licenze sono tutte made in U.S.A. 231 Sulla standardizzazione del contratto si vedano ROPPO E., Contratti standard: autonomia e controlli nella disciplina delle attività negoziali di impresa, Milano, Giuffrè, 1975; ROPPO V., Il contratto, cit.; TORRENTE A., SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, cit.; MAIORCA S., Contratti standard, Torino, UTET, 1981; ALPA G. BESSONE M., eds., Il contratto standard nel diritto interno e comunitario, a c. di F. Toriello, Torino, Giappichelli, 1997; ID., Tecnica e controllo dei contratti standard, Rimini, Maggioli, 1984; PATTI G., PATTI S., Responsabilità precontrattuale e contratti standard, Milano, Giuffrè, 1993; BOGGIANO A., International standard contracts: the price of fairness, Grham & Trotman, Dordrecht, 1991; YATES S., HAWKINS A.J., Standard business contracts: exclusions and related devices, London, Sweet & Maxwell, 1986; VOSKUIL C.C.A., WADE J.A., eds., International sales, standard forms-general conditions, the sole distributor, International arbitration-national adjudication, La Hague, TCM Asser Institute, 102 Inoltre, tale modello continua a non soddisfare né risolvere il punto cruciale circa la natura dell’accesso alla biobanca. 5. Sharing the data: possibili modelli Si è avuto più volte modo di ricordare come la ricerca collaborativa sia diventata la chiave di volta della scienza contemporanea. La possibilità del confronto tra comunità di pratiche, dei controlli incrociati dei dati e dei risultati e, soprattutto, le interazioni con esperti di altri campi del sapere consentono il raggiungimento di obiettivi sempre più alti ed ambiziosi. Lo sharing permette di ripartire i costi analitici ed aiuta i ricercatori ad ottenere quei risultati che non avrebbero potuto realizzare lavorando individualmente ed isolatamente232. Inoltre, la condivisione dei risultati con un organismo come la biobanca ridurrebbe sensibilmente il fenomeno della duplicazione delle ricerche, evitando anche gli sprechi di risorse biologiche, per loro natura, limitate ed esauribili. Tale possibilità è oggi agevolata da strumenti tecnologici che la rendono un’opportunità concreta, percorribile ed efficiente. Il linguaggio dell’efficienza e la cultura della condivisione, però, sono quantomai estranei a quella lunga tradizione, dettata forse anche da un atavico istinto umano, per cui lo studioso ha sempre cercato di proteggere i risultati del proprio lavoro intellettuale con lo strumento più potente e penetrante per controllare l’informazione: il segreto. Come scrive Paolo Rossi, filosofo e storico della scienza: «Comunicazione e trasmissione del sapere, per potersi affermare, hanno dovuto superare non pochi ostacoli […] ma ciò che noi chiamiamo “comunicazione del sapere” (per noi pratica corrente), non è stata sempre avvertita come un valore. E’ invece diventata un valore. Alla comunicazione come valore si è sempre contrapposta una differente immagine del sapere: concepito come iniziazione, segretezza, come un patrimonio che solo pochi possono attingere, come una realtà che va rivelata ai profani con estrema cautela»233. La segretezza della scienza è entrata in crisi quando la necessità di validazione della conoscenza scientifica ha reso indispensabile la divulgazione dei dati, dei risultati Dordrecht, 1983. 232 233 GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. ROSSI P., La tecnica non ha morale, spetta agli uomini guidarla. Telèma, 13, 65(1998). 103 ottenuti, dei metodi utilizzati e la pubblica discussione delle teorie per consentire la ripetibilità dell’esperimento. Le riviste scientifiche sono state lo strumento tecnologico che ha reso possibile la “comunicazione” della scienza e la pubblicazione è divenuta il mezzo attraverso cui lo scienziato riceveva un ritorno in termini di reputazione e prestigio personali. La scienza “aperta” è un concetto novecentesco che è stato emblematicamente sintetizzato da Robert King Merton nei quattro imperativi istituzionali dell’ ἦθος scientifico moderno capaci, altresì, di accrescere il κũδος (fama, stima, prestigio) del ricercatore: Comunitarismo, Universalismo, Disinteresse, Scetticismo organizzato (CUDOS) 234. Secondo il sociologo americano la concezione istituzionale della scienza, come parte del pubblico dominio, è connessa inevitabilmente all’imperativo di condividerne i risultati. La pressione per la diffusione delle informazioni è rafforzata dall’obiettivo istituzionale di continuare ad estendere i confini della conoscenza e dall’incentivo fornito dalla pubblicazione235. I ricercatori di oggi, per dirla con Newton, siedono sulle spalle dei giganti: il loro bagaglio conoscitivo è frutto della comune eredità culturale e della qualità dei risultati scientifici ottenuti in maniera cooperativa e selettivamente cumulativa236. Il segreto e la comunicazione non integrale delle ricerche sono sempre stati fenomeni fisiologici del mondo della scienza, ma la consuetudine voleva che il flusso di informazioni fosse completo dopo il first filing (la prima pubblicazione od il brevetto). Eppure, i principi mertoniani sembrano essersi eclissati di fronte al nuovo modo di fare scienza e con la sentenza Diamond (1980)237, storica decisione della Corte Suprema che ha riconosciuto per la prima volta la brevettabilità degli organismi viventi, sembrano allungarsi di nuovo le vecchie ombre del passato. D’altronde, la “closed science” è espressione di una preoccupazione comprensibile soprattutto nell’odierna ricerca biomedica. Dopo aver lavorato ad un progetto per anni, reperito i fondi, ottenute le debite approvazioni da parte di comitati etici e scientifici, reclutato i partecipanti, collezionato dati e materiali, effettuato le analisi, controllato la 234 MERTON R.K., The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Investigations, Chicago, London, University of Chicago Press, 1973. 235 Ibid., 274. 236 Ibid., 275. 237 Diamond, Commissioner of Patents and Trademarks v. Chakrabarty, 447 U.S. 303, (1980). 104 qualità tecnica e curato ogni singolo aspetto, un ricercatore potrebbe essere riluttante all’idea di mettere a disposizione liberamente il frutto delle proprie fatiche238. La prospettiva è ancora meno allettante se si considera, poi, che i fruitori dei dati sarebbero anche i potenziali concorrenti, in grado di scoprire relazioni che il ricercatore originario non aveva individuato o di inventare qualcosa di nuovo a partire da quegli studi239. I ricercatori, inoltre, con lo sharing temono di compromettere la loro capacità di accedere a futuri grant e assegni di ricerca, che dipendono in larga parte dalle scoperte provenienti dal set di dati che hanno ottenuto ed accresciuto nel tempo. La tecnologia e le norme sociali offrono, però, una soluzione per tutelare i ricercatori e accrescere la loro reputazione, preservando l’attribuzione, cioè il nome dell’autore. La tecnologia fornisce oggi nuovi modi per interpretare la proprietà intellettuale, che saranno oggetto di analisi nei prossimi paragrafi. 5.1 Open Source Biobank L’open source, concetto per certi versi rivoluzionario e provocatorio, sviluppatasi già a partire dagli anni ’70 nell’ambito della computer science, rappresenta un modo nuovo di concepire la programmazione informatica e l’idea stessa di software nella sua interezza: dall’ideazione al rilascio finale e alle varie distribuzioni. Oltre al codice binario viene diffuso anche il codice sorgente presso il pubblico di utentiprogrammatori che possono, così, non solo utilizzare il software, ma copiarlo, modificarlo e ridistribuirlo240. Il software libero si distingue per il particolare regime 238 GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. NELSON B., Data Sharing Empty Archives, 461 Nature, 160, (2009). 240 L’idea del software libero è inevitabilmente collegate ad un nome: Richard Stallman. Egli mise a punto il progetto GNU nel settembre del 1983: si trattava della creazione del sistema operativo GNU compatibile con Unix, un altro software esistente divenuto il simbolo delle inefficienze associate alle restrizioni di tipo proprietario. L’idea vincente di Stallman fu quella di creare una licenza (copyleft, “all rights reversed”) che concedesse più potere all’utente del software piuttosto che al suo proprietario. Sulle origini del movimento open source si vedano STALLMAN R., Software Libero Pensiero Libero, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2004; HOPE J., Open source genetics. Conceptual framework, in VAN OVERWALLE G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models and liability regimes, cit., 171; ALIPRANDI S., Copyleft & opencontent. L’altra faccia del copyright, disponibile on line su http://www.copyleft-italia.it/libri/Aliprandi-copyleft.pdf; BISI S., DI COCCO C., Open source e proprietà intellettuale. Fondamenti filosofici, tecnologie informatiche e gestione dei diritti, Bologna, Gedit, 2008; CASO R., Le licenze software, in PASCUZZI G. (a cura di), Pacta sunt servanda. Giornale didattico e selezione di giurisprudenza sul diritto dei contratti, Bologna, Zanichelli, 2006; ROSSATO A., Le ragioni del libero accesso, in ZICCARDI G. (a cura di), Nuove tecnologie e diritti di libertà nelle teorie nordamericane: open access, creative commons, software libero, DRM, terrorismo, contenuti 239 105 giuridico di circolazione che ne consente il progressivo sviluppo. Esso assicura all’utente, secondo il manifesto delle General Public License (GPL), le quattro “libertà fondamentali” di usare il programma per qualsiasi scopo, di studiare come funziona e adattarlo alle proprie necessità, di distribuire copie, di migliorare il programma e di distribuire pubblicamente i miglioramenti. Tali licenze, però, obbligano il licenziatario a concedere le stesse facoltà di cui gode ai suoi aventi causa. L’idea di Richard Stallman, fondatore di questo movimento, circumnaviga, quindi, la tentazione di qualsiasi fruitore del software licenziato GNU GPL di distribuire il programma da lui modificato con una licenza di tipo proprietario241. Tradotto nel campo della biomedicina, la filosofia dell’open source si trasforma nell’ “open source biotechnology” ovvero nell’ “open science”242. Secondo tale interpretazione i dati ed i risultati di una ricerca dovrebbero ricadere nel pubblico dominio, ma solo a certe condizioni come, ad esempio, la rinuncia da parte dei fruitori e degli utenti ad un esercizio “unfair” dei diritti di proprietà intellettuale, tale cioè da escludere altri soggetti dall’accesso al database. I partecipanti, dunque, acconsentirebbero a concedere licenze o ad esercitare i loro diritti in modo da rendere disponibili le invenzioni ed i possibili miglioramenti243. In quest’ipotesi, il detentore del brevetto dovrebbe concederlo in licenza con una clausola virale, un clausola in grado di generati dagli utenti, copyright, Modena, Mucchi, 2007, 51. 241 La licenza proprietaria è il modello tradizionalmente utilizzato dalle case produttrici di software: la licenza viene concessa dietro pagamento di un prezzo, permette l’utilizzo di un determinato software e specifica le regole per l’attribuzione, la possibilità di modifica, di utilizzo per scopi commerciali o di ricerca, etc. Le licenze di tipo proprietario si caratterizzano per il divieto di distribuzione, copia, modifica ed integrazione del software. Per un approfondimento cfr PASCUZZI G., Il diritto dell’era digitale: tecnologie informatiche e regole privatistiche, Bologna, Il mulino, 2008; CASO R., Digital Rights Management –Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, CEDAM, 2004; Digital Rights Management: problemi teorici e prospettive applicative, atti del convegno tenuto presso la Facoltà di giurisprudenza di Trento il 21 ed il 22 marzo 2007, a c. di Roberto Caso, Trento, Università di Trento. Dipartimento di scienze giuridiche, 2008; DE SANCTIS V.M., FABIANI M., I contratti di diritto d’autore, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e commerciale, cit.; MUSTI B., Il contratto di «licenza d’uso» del software, in Contratto e Impresa, 1289 (1998); PICARO R., Contratti ad oggetto informatico, in Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, a c. di F. Bocchini, I, Torino, Giappichelli, 2003; ROSSATO A., Diritto e architettura nello spazio digitale. Il ruolo del software libero, Padova, CEDAM, 2006. 242 GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. 243 Ibidem. Sull’adozione del modello open source per le biotecnologie si veda inoltre HOPE J., Biobazaar: The Open Source Revolution and Biotechnology, London, Harvard University Press, 2008; ID., Open source genetics. Conceptual framework, in OVERWALLE G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models and liability regimes, cit., 171; BERTHELS N., Case 8. CAMBIA’s Biological Open Source initiative (BiOS), in Ibid., 194; KILIAN A., Case 9. Diversity Arrays Tachnology Pty Ltd (DArT). Applying the open source philosophy in agriculture, in Ibid., 204; TAUBMAN A.S., Several kind of ‘should’. The ethics of open source in life science innovation, in Ibid., 219. Contra RAI A.K., Critical commentary on ‘open source’ in the life sciences, in Ibid., 213. 106 proteggere le suddette invenzioni e miglioramenti futuri dai possibili tentativi di appropriazione da parte, ad esempio, dei concorrenti commerciali.. E’ quanto già avviato dalla Cambia’s BIOS, un istituto di ricerca no-profit australiano che ha esteso questo modello anche ai campioni biologici244. In base a questa iniziativa coloro che utilizzano il BiOS ‘concordance’ si impegnano a non rivendicare diritti di proprietà intellettuale contro l’uso della tecnologia da parte di altri soggetti per fini di ricerca o per sviluppare nuovi prodotti, anche a scopo di lucro. Di conseguenza, i miglioramenti apportati ad un determinata tecnologia devono essere condivisi secondo una licenza virale BiOs, mentre i prodotti e le invenzioni sviluppate a partire dalla stessa possono essere brevettati. In quest’ultima ipotesi, però, i miglioramenti brevettati devono ritornare (clausola di grant back) alla BiOS e agli altri licenziatari alle medesime condizioni di open source245. Negli Stati Uniti sono state promosse una serie di iniziative, a livello governativo e federale, per portare la logica dell’open source nelle biotecnologie, sulla scorta di alcuni importanti documenti internazionali come il Bermuda Statement (1996)246 ed il Fort Lauderdale Agreement (2003)247, gli organismi e gli enti finanziati con fondi federali stanno spingendo i ricercatori affinché depositino i dati genetici raccolti in repositories centralizzati ed accessibili liberamente248. 244 L’ambizioso progetto fondato una quindicina di anni fa dal biologo molecolare Richard Jefferson, non solo si preoccupa di sviluppare nuove risorse biotecnologiche, ma è anche una struttura pioniera costruita per favorire un “fair access” agli strumenti dell’innovazione. Attraverso internet ed i mezzi open source BiOS si propone di raggiungere i suoi obiettivi su tre fronti con tre diverse iniziative: trasparenza sui diritti di proprietà intellettuale attraverso Patent Lens, sviluppo di una tecnologia open access tramite BioForge, riforma strutturale del sistema dell’innovazione con le BiOs Licenses. Cfr BERTHELS N., Case 8. CAMBIA’s Biological Open Source initiative (BiOS), cit., 194. 245 Ibid., 199. Il modello della CAMBIA’s BiOS è stato oggetto di critiche in quanto non sarebbe interamente ispirato alla logica pura dell’open source. Come sostenuto in HOPE J., Open source genetics. Conceptual framework, cit., 191-192. 246 Il documento contiene un insieme di principi finalizzati alla promozione della condivisione all’interno della comunità scientifica dei dati e delle sequenze annotate del genoma umano. Cfr EDWARDS A.M., Bermuda Principles meet structural biology, Nature Structural and Molecular Biology, 15, 116 (2008). 247 Si tratta, nello specifico, di linee guida per favorire un accesso ed un uso “fair” rispettivamente dei databases genetici e dei dati in essi contenuti. 248 Come notato dalla prof.ssa Donna Gitter, questa tendenza coinvolge maggiormente la cd. “big science” in cui le government science agencies raccolgono collezioni di dati e campioni e le organizzano in databases resi pubblici e messi a disposizione della comunità scientifica internazionale: è il caso dell’International HapMap Project e dello Human Genome Project. Al contrario, la “small science”, ossia la ricerca condotta da operatori indipendenti o da piccoli ed autonomi gruppi di ricerca o mediante programmi organizzati di ricerca ma non finanziati a livello federale, non sono influenzati dalle regole dell’open access e dello sharing basandosi, invece, su uno scambio informale di dati e campioni. GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. 107 Una biobanca open source potrebbe costituire una soluzione efficiente in grado di garantire il data sharing ed al contempo preservare i diritti dei ricercatori sotto il profilo dell’attribution, così come ideato per i Creative Commons 249. Un’idea del genere se applicata al contesto della speculazione scientifica, riconoscerebbe il giusto merito al ricercatore, la cui produttività sarebbe dimostrabile ai potenziali finanziatori grazie all’adozione, ad esempio, di un sistema che permetta alle Università e agli organismi a vario titolo coinvolti di tracciare il numero di accessi e, quindi, il valore e l’utilità di determinati dati di una ricerca250. Un meccanismo analogo è stato proposto dalla prof.ssa Anne Cambon-Thomsen per misurare l’utilità di una biobanca, con la creazione di un BIF (Biobank Impact Factor), ottenuto sulla falsa riga del citation impact factor. Tale strumento permetterebbe di quantificare l’uso di una biobanca, visionare il numero di accessi, calcolare la misura e l’impatto della ricerca ottenuta grazie al suo database e riconoscere così il merito a coloro che hanno creato e mantenuto una risorsa valida251. Inoltre, una biobanca open source non comporterebbe costi aggiuntivi e la sua natura aperta sarebbe garantita dalla licenza virale. L’adozione di un simile approccio, però, non scioglie alcune questioni nodali come il coinvolgimento (se ed in quale misura) del settore privato negli eventuali sviluppi commerciali, la proprietà del materiale e dei dati e il beneficio per i partecipanti alla ricerca. Inoltre, un’impostazione del genere sembra trascurare gli esosi costi della proprietà intellettuale (nella versione del brevetto, il cui deposito necessita ingenti investimenti), gli enormi costi di innovazione nel settore biomedico e gli effetti che deriverebbero dall’adozione di differenti licenze open source252. Il trapianto dell’open source nel campo della biotecnologia avrebbe, dunque, un alto rischio di rigetto253. Nato nella hacker community, l’open source è una cultura dello sharing che risponde ad esigenze diverse rispetto a quelle degli attori del mondo biotech. Le industrie farmaceutiche puntano a depositare brevetti e concedere licenze il 249 Creative Commons (CC) è una charitable corporation che promuove la condivisione e la circolazione della conoscenza nel rispetto delle norme sul diritto d’autore. Anche se offre modelli standardizzati, le sue licenze modulari (attribuzione, non commerciale, non opere derivate, condividi allo stesso modo) e le loro combinazioni riescono a garantire una certa flessibilità. Fonte: http://creativecommons.org/, ultima visita: 24 agosto 2010. 250 GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit. 251 CAMBON-THOMSEN A., Assesing the Impact of Biobanks, 34 Nature Genetics, 25 (2006). 252 GOLD R., Models for Sharing, Biobank Lab, Università di Trento, 13 maggio 2010. 253 Ibidem. 108 più possibile lucrative ed i ricercatori, che investono il proprio know-how e mettono in gioco la propria reputazione254. Inoltre, se ottenere il copyright è gratuito e conferisce un diritto sull’opera per tutta la vita dell’autore più, a seconda degli ordinamenti, ulteriori cinquanta o settanta anni, altrettanto non può dirsi per il brevetto: per sviluppare un nuovo farmaco od un nuovo metodo diagnostico sono necessari tempo, fondi, infrastrutture, personale altamente specializzato e occorre conformarsi alla normativa vigente, che nella maggior parte dei casi costituisce una voce significativa di spesa255. L’open source, dunque, potrebbe non garantire i giusti incentivi per effettive ricerche collaborative. 5.2 Protocolli Open Access E’ stata allora avanzata l’ipotesi di utilizzare protocolli open access, soprattutto nel campo della ricerca bio-chimica. La logica dell’open access, al contrario di quella open source, ha alla base una peculiare concezione della proprietà intellettuale: i dati e le informazioni sono di pubblico dominio ed ogni utente è libero di utilizzarle, modificarle ed apportarvi miglioramenti. A differenza del modello open source, però, il fruitore non è a sua volta forzato a condividere i propri risultati. Dunque, eventuali limitazioni ai diritti di proprietà intellettuale potrebbero, semmai, essere imposte tramite lo strumento contrattuale o le norme sociali. Science Commons, come già si è avuto modo di vedere, ha messo a disposizione alcuni protocolli per la circolazione e la diffusione dei dati scientifici256. Un’iniziativa lanciata nel 2008 dallo Zurich Center for Medical Research e l’Institute of Integrative Molecular Medicine dell’Università di Zurigo ha provato a mettere in pratica questo modello: lo SciClyc (www.sciclyc.com) è un dabatase di materiali biologici online che permette ai ricercatori (accreditati presso industrie biomediche o Università) di collezionare e condividere dati relativi a protocolli, pubblicazioni, colture cellulari, biopsie, reagenti, software, anticorpi, etc.; è, dunque, una piattaforma open-access per 254 GOLD R., Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing, cit. Ibidem. 256 Si veda in proposito: http://sciencecommons.org/projects/publishing/open-access-dataprotocol/, ultima visita: 24 agosto 2010. 255 109 l’organizzazione, la gestione e la condivisione di materiali di ricerca che si fonda sulle collaborazioni definite dall’utente attraverso dispositivi mobili, come personal computer o telefoni cellulari. Una soluzione del genere avrebbe l’indiscutibile vantaggio di contenere al minimo i costi di transazione, permettere un’adeguata flessibilità e rendere possibile l’aggregazione dei dati. Tuttavia, questi protocolli non impediscono la brevettabilità di un’invenzione ottenuta a partire da quei dati e non sembrano offrire incentivi evidenti257. 5.3 Open Access Governance Sulla scorta degli studi del professore - nonché direttore esecutivo del Center for Open Innovation dell’Università di Berkley - Henry Chesbrough, lo spettro delle alternative dovrebbe essere esteso e portato oltre il tradizionale modello “verticale” di interazione tra una singola azienda ed un’istituzione di ricerca, come l’Università o la biobanca. La sua idea di “open innovation” prende le mosse proprio dalla considerazione per cui gli ideali confini delle società commerciali dovrebbero essere dotati delle cd. porte “va e vieni”, capaci cioè di permettere l’afflusso ed il deflusso delle conoscenze e dei brevetti258. Quest’impostazione è stata ulteriormente implementata dai recenti lavori di Johan Weightel, direttore associato dello Structural Genomics Consortium (SGC)259, e dal dr. Aled M. Edwards260, che vedono nell’ “osmosi” tra il settore pubblico e privato e nell’adozione di strutture open access le migliori premesse per supportare la drug discovery. 257 GOLD R., Models for Sharing, cit. CHESBROUGH H., Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, Boston, Harvard Business School Press, 2003,2. Si vedano inoltre, ID., The Era of Open Innovation, Sloan Management Review, 44, 3, 35(2003); ID., Open Innovation: How Companies Actually Do It, Harvard Business Review, 81, 7, 12 (2003); ID., Open Platform Innovation: Creating Value from Internal and External Innovation, Intel Technology Journal, 7, 3, 5(2003); ID., Managing Open Innovation: Chess and Poker, Research Technology Management, 47, 1, 23 (2004); CHESBROUGH H., VANHAVERBEKE W., WEST J. (eds.), Open Innovation: Researching a New Paradigm, Oxford, Oxford University Press, 2006. 259 WEIGELT J., The case for open-access chemical biology, 10 EMBO reports, 9, 941 (2009). 260 EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical probes to support drug discovery, 5 Nature Chemical Biology, 7, 436 (2009). 258 110 Questa strategia, ribattezzata da Richard Gold «open access governance» 261, si basa, su protocolli open access ma, in aggiunta, si fonda anche su strutture di governance e strumenti legali. La forza della biobanca, infatti, sarebbe alimentata non tanto dallo sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale, quanto piuttosto dai contratti e dalle norme sociali, quali quelle proprie della comunità scientifica. Un modello del genere, a differenza di una biobanca open source, sarebbe inoltre meno condizionato da eventuali licenze precedenti262. Il contesto da cui trae origine il modello open access governance è quello della ricerca biochimica. In questo settore è particolarmente sentita la frustrazione di non poter accedere liberamente ai cd. “chemical probes”, sofisticati composti chimici, creati in laboratorio da personale altamente specializzato, che consentono al ricercatore di simulare in vitro le interazioni di una singola proteina in un contesto biologico più ampio (cellule o organismi). Attorno questi reagenti si è venuto a creare un circolo vizioso: le industrie dipendono dalle università per scoprire e validare nuovi target, ma tale validazione è effettuata in maniera appropriata solo grazie alle chemical probes, realizzati dalle industrie263. Questo nuovo tipo di partnership tra settore pubblico e privato è stato adottato dallo Structural Genomics Consortium (SGC), un’organizzazione no-profit fondata nel 2004 con lo scopo di promuovere lo sviluppo di nuovi farmaci potenziando la ricerca di base e rilasciando al pubblico dominio ogni tipologia di informazione, dai reagenti al knowhow264. L’obiettivo primario dell’SGC è quello di determinare la struttura tridimensionale e ad alta risoluzione di alcune proteine, così da capire i meccanismi molecolari della loro funzione biologica265. I dati così ottenuti vengono inseriti nella 261 Come presentata nel suo intervento “Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing” tenuto in occasione della già citata Conferenza internazionale svoltasi a Trento lo scorso maggio 2010. 262 Ibidem. 263 EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical probes to support drug discovery, cit., 437. 264 http://www.thesgc.org/, ultima visita: 24 agosto 2010. Il consorzio, che include i laboratori dell’Università di Oxford, dell’Università di Toronto e del Karolinska Insitutet di Stoccolma, è composto da 11 membri: il Wellcome Trust, il Canadian Institute of Health Research, la Canadian Foundation for Innovation, Genome Canada, l’Ontario Genomics Institute, l’Ontario Ministry of Research and Innovation, Novartis, Merck, GlaxoSmithKline, la Vinnova Swedish Agency for Innovation, la Swedish Foundation for Strategic Research e la Knut and Alice Wallenberg Foundation. 265 La SGC sta espandendo il proprio progetto fino a ricomprendere lo sviluppo di sonde per la ricerca epigenetica, quella branca della biologia molecolare che studia le modifiche ereditarie nella funzione del genoma, e ad estendere la logica open access anche alle sperimentazioni cliniche. 111 Protein Data Bank (PDB), un archivio liberamente accessibile che dal 1971 raccoglie informazioni sulle strutture 3D di molecole grosse, comprese proteine e acidi nucleici266. Il modello organizzativo garantisce ai finanziatori il diritto di indicare le priorità nella Target List, di nominare un membro del Comitato Scientifico e del Board of Directors e di assumere i ricercatori all’interno dei laboratori SGC con accordi di confidenzialità (confidentiality agreement), ma non offre alcuna precedenza nell’accesso ai dati, all’attività di ricerca o ai suoi risultati. La caratteristica saliente della policy dell’SGC prevede che il consorzio ed i ricercatori che ne fanno parte devono rilasciare i propri prodotti (materiali e know how) in pubblico dominio, senza apporre alcun tipo di restrizione. Di conseguenza, l’SGC ed i suoi collaboratori si astengono dal richiedere la protezione brevettuale su qualsiasi risultato derivante dalla ricerca (vedi Figura 1). Fig.1 Modello del consorzio open access, tratto da WEIGELT J., The case for open-access chemical biology, 10 EMBO reports, 9, 941:944 (2009). Questa enunciazione di principio si esplica in una serie di regole operazionali che si sostanziano nel rifiuto di entrare in progetti di ricerca in cui si ottengano brevetti che limitino od impediscano ricerche successive (ricerca competitiva), nella rinuncia all’attribuzione della paternità dell’invenzione, nella messa a disposizione dei risultati a 266 http://www.pdb.org/pdb/home/home.do, ultima visita: 24 agosto 2010. 112 favore della collettività, nel dovere di comunicare tempestivamente i dati ottenuti e di inserirli in archivi digitali liberi e accessibili nel rispetto delle norme applicabili in tema di riservatezza, nella garanzia che i dati, dopo la loro disclosure, rimarranno a disposizione della collettività ed i materiali saranno resi accessibili a costi ragionevoli267. 6. Conclusioni E’ oramai chiaro che le biobanche stanno acquisendo un ruolo strategico nel panorama scientifico internazionale. Tali biorepositories contengono una massa critica di informazioni fondamentali in ambito clinico e farmacologico che deve essere utilizzata in maniera lungimirante ed economicamente efficiente. Rebus sic stantibus, un sistema rigido di protezione dei diritti di proprietà intellettuale delle invenzioni, che possono essere realizzate sui campioni biologici, rischia di imbrigliare la ricerca. Scienziati e ricercatori sono ostacolati nell’accesso al materiale di ricerca quando esso è incorporato in una proprietà fisica, controllata e non facilmente duplicabile (com’è il caso del campione biologico). In tal senso, la paura di infrangere un brevetto esistente e l’alto costo per ottenere una licenza costituiscono due fattori paralizzanti268. È, dunque, necessario ripensare il sistema di proprietà intellettuale? Come promuovere e realizzare quell’“encouragment of learning” che i Padri Fondatori avevano ben espresso nella IP clause della Carta costituzionale americana? In che modo riuscire a coniugare le opposte esigenze dell’avanzamento tecnologico e degli incentivi alle industrie per investire nella ricerca, nella circolazione della conoscenza nella comunità scientifica e nel “benefit sharing” a favore dell’intera collettività? Il professore Gideon Parchomosvsky durante il convegno “Comparative issues in the governance of research biobanks: property, privacy, intellectual property and the role of technology”, tenutosi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento lo scorso 7 e 8 maggio 2010, ha proposto un innovativo modello che ispirandosi ai principi della ricerca collaborativa, della condivisione di dati ed 267 GOLD R., Models for Sharing, cit. LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property protection for biological research, cit., 36. 268 113 informazioni, della predisposizione di un contesto sufficientemente flessibile da permettere la partecipazione delle società e la commercializzazione delle applicazioni ed, infine, della minimizzazione dei costi di transazione – combina in maniera originale governance e strutture proprietarie. La sua proposta è quella di affidare la gestione dei campioni biologici e dei dati ad un consorzio di Università e di enti di ricerca non-profit. Le regole di governance dovrebbero predisporre un modello che faciliti l’accesso delle società commerciali ai dati e ai campioni a fini di ricerca (naturalmente le società dovrebbero conformarsi agli standard imposti da tale consorzio). Secondo Parchomosvsky, infatti, proprio le Università e gli enti di ricerca si troverebbero nella situazione ottimale per interpretare e realizzare all’interno delle biobanche gli interessi pubblici. In questo modello, il consorzio dovrebbe concentrarsi sulla ricerca di base, finanziata attraverso sovvenzioni pubbliche. Mentre, le applicazioni industriali, alle quali tradizionalmente le Università sono meno interessate, potrebbero essere incoraggiate mediante specifici incentivi per le imprese private. Come realizzare questi incentivi? Parchomosvsky offre una soluzione introducendo due nuovi concetti, appositamente pensati per le biobanche, in grado di assicurare l’allocazione ottimale per i diritti di proprietà intellettuale: i quasi-patent ed i semi-patent. Entrambi queste creazioni offrirebbero una protezione più limitata rispetto al brevetto tradizionale. Il quasi-patent costituirebbe una forma di proprietà intellettuale che assicura una protezione solo nei confronti dei concorrenti. Anche se il brevetto tradizionale garantisce al suo detentore un diritto assoluto di esclusiva e fornisce una garanzia erga omnes, il quasi-patent dà al titolare del brevetto un potere di azione solo nei confronti dei concorrenti che utilizzano l’invenzione senza permesso. Tale rimedio, però, non potrebbe essere concesso nei confronti di altri enti, quali associazioni noprofit o Università. Il semi-patent, invece, è più simile nello scopo al brevetto comunemente inteso. La protezione che esso offre è condizionata all’esplicito consenso del titolare del brevetto alla pubblicazione di tutti i risultati e delle informazioni derivanti dalla sua ricerca. Qui è, dunque, presente il requisito aggiuntivo dell’obbligo di condividere l’informazione. Secondo Parchomosvsky, tali concetti potrebbero essere 114 immediatamente inseriti nel contesto delle biobanca attraverso la negoziazione di apposite licenze. Le industrie e le società interessate all’utilizzo dei campioni biologici stoccati nelle biobanche vedrebbero limitato il proprio diritto ad ottenere un brevetto pieno e dovrebbero optare per un quasi-patent od un semi-patent. Questa teorizzazione, secondo il suo autore, potrebbe risolvere le tensioni tra il bisogno dei ricercatori di accedere ai dati, la necessità di una gestione attenta dei tessuti umani e le importanti prospettive di commercializzazione offerte dai brevetti. La breve esperienza delle biobanca ha finora dimostrato che queste differenti tendenze non hanno trovato una conciliazione attraverso i tradizionali modelli proprietari. L’affascinante argomentazione che combina governance della biobanca e proprietà, alla ricerca di una posizione intermedia, vuole fornire una possibile soluzione alla questione dell’allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nelle biobanche. Tuttavia, la tesi lascia aperti parecchi interrogativi che necessitano un’indagine approfondita. Intervenire esclusivamente sulle strutture della proprietà intellettuale, quali i brevetti, potrebbe ridurre la flessibilità o limitare gli interessi nel settore. Il brevetto, infatti, conferendo un monopolio di vent’anni, fornisce alle società commerciali quegli incentivi necessari per investire nella ricerca: in assenza della protezione data dal brevetto, tali società non potrebbero recuperare i costi sostenuti269. Piuttosto che intervenire sul brevetto in quanto tale si potrebbe allora agire sul patenting270. È quello che, del resto, già accade con le compulsory licenses negli USA, in Francia, in Canada ed in Israele. Tali strumenti permettono al governo di concedere in licenza ad una compagnia, ad un’agenzia governativa o a terzi il diritto di utilizzare un brevetto senza il consenso del titolare, che, in questi casi riceve solo una compensazione. Tutto ciò viene effettuato quando la risorsa farmaceutica in questione non è disponibile in quantità o qualità sufficiente presso il pubblico ovvero è distribuita ad un prezzo elevato271. A livello internazionale sono stati proposti ulteriori strumenti legali per facilitare l’accesso alle risorse. In particolare, è opportuno ricordare: 269 Addirittura il brevetto di per se non offrirebbe incentivi sufficienti ad investire nella ricerca, come provocatoriamente affermato da Pier Franco Conte, Direttore del Dipartimento di Oncologia dell’Università di Modena e Reggio Emilia: «Meglio scrivere una canzone che brevettare un farmaco». 270 Come sembra suggerire l’articolo di LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property protection for biological research, 27 Nature Biotechnology, 1, 36 (2009). 115 – la Cross license. Si tratta di un contratto tra due o più soggetti in cui ciascuna parte concede all’altra dei diritti sulla propria invenzione coperta da proprietà intellettuale. È un vero e proprio scambio che si ha soltanto quando due società sono detentrici di brevetti utili ed indispensabili per sviluppare la medesima tecnologia. Questa soluzione dovrebbe portare alla conclusione di un accordo perfettamente calzante alla volontà delle parti. Di contro, un simile contratto comporterebbe dei costi di transazione notevoli. – i Patent pools. Tale strumento prevede la creazione di un consorzio di almeno due società che si accordano per scambiarsi licenze brevettuali, in riferimento ad una particolare tecnologia, per creare delle risorse che siano di beneficio collettivo. Esempi di questa tecnologia li abbiamo soprattutto nel settore informatico (si pensi ai formati video MPEG-2 ed audio Mp3). Il “lato oscuro”, in questo caso, è costituito dal fatto che per creare una collaborazione effettiva tali patent pools devono trovarsi su una piattaforma tecnologica ben definita: una condizione, questa, che manca nel campo delle biotecnologie. Un ulteriore rischio è che i detentori dei brevetti abbiano bisogno di accedere ad altre invenzioni al di fuori del loro consorzio (inclusi anche altri patent pools), riproponendo, dunque, il problema iniziale272. Non solo. I patent pools presentano problemi di accesso e di antitrust. Il rischio è che si venga a creare una situazione di monopolio o supremazia nel mercato di riferimento che faccia aumentare il prezzo del 271 La compulsory license è stata, però, oggetto di critiche soprattutto da parte delle industrie al farmaceutiche, in quanto scoraggerebbe gli investimenti nel settore. 272 Cfr VERBEURE B., Patent Pooling for gene-based diagnostic testing. Conceptual framework, in OVERWALLE G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models and liability regimes, cit., 3; HORN L.A., Case 1. The MPEG LA® Licensing Model. What problem does it solve in biopharma and genetics?, in Ibid., 33; CORREA C.E., Case 2. The SARS case. IP fragmentation and patent pools, in Ibid., 42; GOLDSTEIN J.A., Critical analysis of patentpools, in Ibid., 50; AOKI R., NAGAOKA S., The consortium standard and patent pools, 55 The Economic Review, 345 (2004); CLARK J., PICCOLO J., STANTON B., TYSON K., Patent pools: a solution to the problem of access in biotechnology patents?, in White Paper commissioned by Q. Todd Dickinson, the Under Secretary of Commerce for IP and Director of US Patent and Trademark Office, 2000; GRASSLER F., CAPRIA M.A., Patent Pooling: uncorking a technology transfer bottleneck and creating value in the biomedical research field, 9 Journal of Commercial Biotechnology, 2, 111 (2003); MERGES R., Institutions for intellectual property transactions: the case of patent pools, in DREYFUSS R., ZIMMERMAN D.L., FIRST H., (eds), Expanding the Boundaries of Intellectual Property, Oxford University Press, 2001; VERBEURE B., VAN ZIMMEREN E., MATTHIJS G., VAN OVERWALLE G., Patent pools and diagnostic testing, 24 Trends in Biotechnology, 3, 115 (2006). 116 prodotto elaborato. Inoltre, nel caso di condivisione di brevetti futuri, il pool ridurrebbe la possibilità che i membri investano maggiormente in ricerca e sviluppo273. - Clearinghouse model. La clearing house è un organismo che riunisce richiedenti e fornitori di beni, servizi o informazioni, preoccupandosi di coniugare domanda e offerta. E’ un ente terzo che agevola la contrattazione: amministra i diritti dei detentori del brevetto, e negozia un set of rights che permettano ad altri ricercatori di utilizzare quel brevetto. La patent clearinghouse metterebbe a disposizione di tutti gli utenti una determinata tecnologia ed essi pagherebbero soltanto per il brevetto che richiedono. Le tasse per l’utilizzazione di quel brevetto sarebbero stabilite in maniera equa ed i costi di transazione sarebbero minimi274. I diritti di proprietà intellettuale, quindi, non andrebbero demonizzati in toto. Il monopolio garantito dal brevetto è ancora una molla capace di mettere in moto gli investimenti nella ricerca e di catalizzare i finanziamenti dei colossi industriali; mentre le esternalità negative sulla collettività potrebbero essere mitigate da meccanismi come quelli appena illustrati. Bisogna, dunque, interrogarsi sul possibile ruolo della biobanca in questo contesto. Il modello open source e la governance open access finora esaminate sono indubbiamente prospettive affascinanti e costituiscono alternative che vale la pena indagare. Ma la soluzione, forse, potrebbe essere persino più semplice. La biobanca dovrebbe acquisire la consapevolezza del proprio valore e, di conseguenza, del proprio potere contrattuale. La professionalità nella raccolta dei campioni, la garanzia di qualità del materiale e soprattutto la possibilità di fornire dati di follow-up costituiscono i suoi punti di forza che la rendono una risorsa inestimabile per il ricercatore. Lo strumento per operare il trasferimento dei materiali potrebbe essere il 273 Come prospettato nella Scheda Tecnica. I pool di brevetti negli Stati Uniti, stilata dall’IPRDESK dell’Ufficio ICE di New York, del giugno 2009, reperibile all’indirizzo http://www.mincomes.it/ipr_desk/america/newyork/altri_documenti/Scheda%20tecnica%20sul%20Pool %20di%20brevetti%20negli%20USA%20%282%29.pdf, ultima visita: 24 agosto 2010. 274 Per un’analisi più approfondita si rimanda a VAN ZIMMEREN E., Clearinghouse mechanism in genetic diagnostic. Conceptual framework, in Ibid., 63; EDWARDS J.L., Case 3. The Global Biodiversity Information Facility (GBIF). An example of information clearinghouse, in Ibid., 120; VAN ZIMMEREN E., AVAU D., Case 4. BirchBob. An example of technology exchange clearinghouse, in Ibid., 125; BENNETT A.B., BOETTIGER S., Case 5. The Public Intellectual Property Resource for Agriculture (PIPRA). A standard license public sector clearinghouse for agricultural IP, in Ibid., 135; NGUYEN T., Case 6. The Science Commons Material Transfer Agreement Project. A standard license clearinghouse?, in Ibid., 143; CORBET J., Case 7. The collective management of copyright and neighbouring rights. An example of royalty collection clearinghouse, in Ibid., 151; SPENCE M., Comment on the conceptual framework for a clearinghouse mechanism, in Ibid., 161. 117 tanto criticato MTA. Non è il contratto a costituire la fonte del problema. Dovrebbero essere snellite le procedure per ottenere il trasferimento del materiale attraverso la predisposizione di regole a livello statutario. La biobanca dovrebbe indicare l’organo deputato a esaminare i protocolli di ricerca (in genere il Comitato Etico) ed imporre alla procedura un iter cadenzato per evitare ritardi. Dovrebbe stabilire, se del caso, eventuali criteri per definire priorità o precedenze nell’accesso ai materiali biologici ed una griglia di requisiti preordinati per determinare agevolmente la validità del progetti di ricerca. Per evitare il pericoloso fenomeno del “biobank shopping”, ossia la scelta della biobanca che offra le condizioni di trasferimento meno gravose, occorrerebbe l’uniformazione dei MTA ad un core di principi stabiliti a livello sovranazionale da organizzazioni o network come EuroBioBank o Biobanking and Biomolecular Resources Research Infrastructure (BBMRI). Inoltre, sarebbe perfettamente coerente con l’idea originaria di bailment che prevede la restituzione del bene al bailor, inserire nell’MTA una clausola di grant back: i ricercatori sono nella posizione ottimale per arricchire il patrimonio informazionale della biobanca e per facilitare gli sviluppi futuri della ricerca fornendo dati (screening genetici o analisi del campione) alla collezione contenuta nel biorepository. Come sostenuto da Andrea Boggio, graverebbe sul ricercatore una vera e propria obbligazione di condividere con la biobanca tutti i risultati della ricerca ed i dati prodotti da ogni campione275. La dimensione materiale del tessuto, del resto, è destinata a scomparire, ma ad essa sopravviverà quella informazionale: la biobanca, potrebbe stoccare le informazioni pre-competitive granted back dai ricercatori e condividerle. Come è stato dimostrato, è preferibile che questo genere di dati di natura pre-competitiva rimangano “common” e liberamente fruibili all’interno della comunità dei ricercatori, non solo dal punto di vista etico/virtuoso come direbbe il prof. David Lametti, ma anche da punto di vista economico276. Si è visto come paradossalmente, a causa degli alti costi e del rischio di duplicazione della ricerca, alle imprese conviene condividere queste informazioni di 275 BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on Researchers, cit. 276 Cfr LAMETTI D., The (Virtue) Ethics of Private Property: A Framework & Implications, in HUDSON A. (ed.), New Perspectives on Property Law, Obligations and Restitution, London, Cavendish Press, 2003, 39; ID., The Concept of Property: Relations through Objects of Social Wealth, 53 University of Toronto Law Journal 325 (2003). 118 base con i propri concorrenti piuttosto che ottenerle ex novo in maniera autonoma277. Questo genere di dati, inoltre, sono tra i più articolati e costosi da ricavare 278. Mettendoli a disposizione, la biobanca diventerebbe una risorsa strategica fornendo quegli strumenti capaci di accelerare la validazione preclinica del target e di prevenire il dispendioso fenomeno della duplicazione delle ricerche. Le informazioni dovrebbero essere condivise in maniera corretta e leale con l’istituto della biobanca, così da permettere un’effettiva verifica dell’indagine e la correttezza dei dati279. Lasciando libero il ricercatore o l’industria per cui lavora di brevettare un’invenzione ottenuta grazie allo studio dei materiali forniti dalla biobanca, l’MTA potrebbe ragionavolmente prevedere una clausola con cui il detentore del brevetto accordi al biorepository una licenza di ricerca non esclusiva ed esente da royalties per ciascuna invenzione. La collaborazione, la peer review, le pubblicazione e lo scambio di informazioni pre-competitive sono diventati i nuovi imperativi categorici dell’economia basata sulla conoscenza ed il fattore determinante è rappresentato dalla digitalizzazione dell’informazione: quest’ultima permette la condivisione dei dati, la possibilità di modificarli o di compiere riferimenti incrociati. La conoscenza, in definitiva, può circolare rapidamente ed essere implementata dall’apporto dei singoli, delle aziende e delle istituzioni280. La biobanca, dunque, avrebbe il potenziale per promuovere la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico fungendo da connettore e catalizzatore tra università, centri di ricerca, enti pubblici ed imprese private. 277 Vedi BARNES M.R., HARLAND L., FOORD S.M., HALL M.D., DIX I., THOMAS S., WILLIAMS-JONES B.I., BROUWER C.R., Lowering industry firewalls: pre-competitive informatics initiatives in drug discovery, Nature Rev. Drug Discovery, 8, 701 (2009); WEIGELT J., The case for open-access chemical biology, cit. e EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical probes to support drug discovery, cit.; WOOSLEY R.L., MYERS R.T., GOODSAID F., The Critical Path Institute’s Approach to Precompetitive Sharing and Advancing Regulatory Science, Clinical Pharmacology & Therapeutics, 87, 530 (2010); PERAKSLIS E.D., VAN DAM J., SZALMA S., How Informatics Can Potentiate Precompetitive Open-Source Collaboration to Jump-Start Drug Discovery and Development, Clinical Pharmacology & Therapeutics, 87, 614 (2010). 278 EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical probes to support drug discovery, cit., 437. 279 Uno dei grandi problemi della condivisione dei dati e materiali nei sistemi open source è la possibilità di perpetrare gli errori. La preoccupazione è espressa in EKINS S., WILLIAMS J.A., Precompetitive preclinical ADME/Tox data: set it free on the web to facilitate computational model building and assist drug development. Tools and Resources, Lab Chip,10, 13 (2010). 280 Cfr TAPSCOTT D., WILLIAMS A.D., Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo, Bergamo, Bur, 2010. 119 120 CAPITOLO IV DUE MODELLI A CONFRONTO NEL PANORAMA EUROPEO DELLE BIOBANCHE DI RICERCA: TRENTINO BIOBANK ED IL BIOBANCO VASCO PARA LA INVESTIGACIÓN O+EHUN. UN’ANALISI SPERIMENTALE. 1. Le ragioni del confronto Nel presente capitolo si procederà alla descrizione e all’analisi in chiave comparatistica delle realtà istituzionali, operative e funzionali di due biobanche di ricerca: la Trentino Biobank ed il Biobanco Vasco para la Investigación O+ehun. Alla base di tale confronto non vi è solo l’opportunità di descrivere due scenari d’avanguardia nell’ambito della ricerca medico-scientifica, ma anche la volontà di condividere le esperienze e le informazioni acquisite durante una serie di incontri con esponenti e personale operativo delle due biobanche in esame. Tale comparazione nasce da un’analisi sperimentale, idealmente suddivisa in due filoni, che ha avuto inizio nei primi mesi del 2010 con la visita presso la biobanca trentina. Ad essa ha fatto seguito un breve periodo di ricerca presso la biobanca basca e la Cátedra de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto (Bilbao), che ha collaborato, curandone gli aspetti giuridici, con O+ehun. Si partirà dalla descrizione di una realtà d’eccellenza italiana nell’ambito della raccolta e conservazione di tessuti e sangue a fini di ricerca: la Trentino Biobank. Nata nel 2008, ha raggiunto traguardi importanti grazie al supporto della locale Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e alla preziosa attività di analisi e studio dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica dell’Ospedale S.Chiara di Trento. Si procederà, poi, ad una panoramica sullo stato dell’arte della ricerca biomedica e dell’attività di biobanking in Spagna, recentemente innovata da un provvedimento legislativo del 2007. In particolare, ci si soffermerà sulle tipologie di biobanche sviluppatesi nel contesto spagnolo, individuando nell’esperienza basca della O+Ehun un valido modello di eccellenza da investigare. 121 La scelta di comparare l’esperienza di questi due Paesi non è casuale ma trova le sue ragioni nell’analisi di condizioni e strutture giuridiche che, seppur partendo da un background simile, sono approdate ad esiti differenti. Ci si soffermerà, pertanto, sulla disamina dei casi di studio alla luce degli ordinamenti giuridici nazionali e del contesto politico e sociale di riferimento. Tale comparazione non si pone pretese di esaustività ma vuole rappresentare un utile punto di partenza per una riflessione sullo stato della ricerca scientifica e biomedica in Italia e in Spagna e sulle possibili best practices internazionali cui guardare e con cui confrontarsi. 2. L’esperienza italiana: la Trentino Biobank Il primo contatto con Trentino Biobank è avvenuto all’interno dei laboratori del reparto di Anatomia Patologica dell’Ospedale S. Chiara di Trento alla presenza della dott.ssa Silvia Fasanella, biologa e Responsabile della qualità, che da due anni partecipa attivamente alla realizzazione degli aspetti gestionali del progetto “Trentino Biobank”281. Il progetto, anche se di recente avvio, costituisce già una realtà all’avanguardia nella conservazione di biomateriali tumorali in forma sistematica a livello nazionale. E’stato, infatti, annoverato nel documento – elaborato in materia di biobanche dal gruppo composto da esponenti del Comitato nazionale di Bioetica e da esponenti del Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze per la Vita del 16 febbraio 2009 come una delle esperienze più significative a livello interno282. Trentino Biobank è la biobanca di ricerca istituita presso l’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS) della Provincia Autonoma di Trento. Attualmente organizzata come struttura funzionale dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, raccoglie e stocca per fini di ricerca medica 281 www.tissuebank.it, ultima visita: 24 agosto 2010. «Altre iniziative per la messa in rete delle biobanche sono state intraprese dal Centro nazionale per le risorse biologiche, al fine di costituire una rete nell’ambito della Regione Liguria e dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, per la realizzazione di una banca di tessuti e sangue umano, denominata Trentino Biobank». Come riportato nella Relazione sullo stato di avanzamento del progetto Trentino Biobank a 1 anno di attività (31 luglio 2009), redatta dal dr. Mattia Barbareschi, la dott.ssa Chiara Cantaloni e la dott.ssa Silvia Fasanella con la collaborazione del dott. Matteo Macilotti, la dott.ssa Lucia Galvagni ed il dott. Michele Galvagni. 282 122 materiale biologico umano. Essa tratta principalmente frammenti di neoplasie asportate chirurgicamente, che risultano sovrabbondanti rispetto alla quantità necessaria per la diagnosi post-operatoria (cd. left over tissue), ma l’obiettivo è quello di raccogliere in futuro anche campioni tessutali provenienti da materiale donato per trapianto e non utilizzato o provenienti da persone decedute e sottoposte ad autopsia nonché campioni citologici, sangue, urine ed altri liquidi biologici. Consapevole del proprio ruolo e del proprio valore, Trentino Biobank si prefigge di supportare la ricerca medico-scientifica stoccando campioni biologici di elevata qualità, accuratamente annotati, da fornire - dietro approvazione del Comitato Etico agli istituti di ricerca che ne facciano richiesta. La biobanca trentina fornisce le adeguate garanzie giuridiche, etiche e tecnologiche circa la raccolta, la conservazione dei materiali biologici oltre alla sicurezza e alla riservatezza del trattamento dei dati sensibili dei donatori283. Trentino Biobank è stata strutturata secondo il seguente organigramma 284: il Responsabile della biobanca, avente compiti gestionali e di controllo sulle attività di biobanking, è affiancato dal Responsabile della qualità e dal Responsabile dell’archiviazione del materiale biologico. Queste tre figure si avvalgono della collaborazione del personale di anatomia patologica, dei reparti chirurgici di degenza e delle sale operatorie. Il Responsabile della qualità deve controllare l’adeguatezza delle procedure operative standard nonché delle procedure di raccolta, conservazione e documentazione del consenso prestato dai donatori-pazienti. Inoltre, coadiuvato dal personale dei reparti di chirurgia, si occupa di acquisire il consenso dei pazienti e di conservare ed archiviare i relativi documenti. Il Responsabile dell’archiviazione del materiale biologico provvede, invece, al processo di archiviazione del campione. Egli recupera gli “scarti” direttamente dalle sale operatorie, li consegna all’anatomo-patologo e, dopo aver proceduto ai microarrays tissutali (una tecnologia per lo screening ad alta efficienza di biopsie), e alla corretta 283 A tal fine, si avvale della consulenza e della collaborazione del gruppo Lawtech del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Trento, di esperti di bioetica della Fondazione Bruno Kessler e del direttore dell’Unità Operativa di Medicina Legale. 284 Secondo la dott.ssa Fasanella dotarsi di un organigramma del genere non è da considerare un requisito scontato a fronte del disomogeneo panorama nazionale. 123 conservazione del materiale negli appositi congelatori, registra il campione nel database della biobanca (che rimane distinto e separato da quello dell’ospedale)285. Ad essi si affiancano un consulente legale, che si interfaccia direttamente con i Responsabili della biobanca e della qualità, ed un consulente informatico, che si relaziona sempre con il Responsabile della biobanca e con il Responsabile dell’archiviazione del materiale. Il processo di biobanking, come ideato a livello trentino, può essere sintetizzato nelle seguenti tre macrofasi: 1) identificazione del paziente e somministrazione del modulo di consenso informato; 2) raccolta del biomateriale; 3) archiviazione del biomateriale. L’identificazione del paziente, potenziale donatore, viene effettuata dal Responsabile della qualità su segnalazione del chirurgo. Quest’ultimo, infatti, è in grado di fornire informazioni utili relative alla tipologia della patologia e all’intervento cui il paziente deve sottoporsi. Il Responsabile della qualità, dunque, deve recarsi dal potenziale donatore prima dell’intervento chirurgico al fine di illustrare il progetto Trentino Biobank e di fornire la documentazione informativa. Al paziente, viene somministrato il modulo di consenso (appendice 3), che si compone dell’informativa sull’uso dei campioni e dei dati della biobanca trentina - i cui punti devono essere accuratamente esplicati al paziente - del modulo di consenso alla cessione dei campioni biologici ad enti privati, del modulo di consenso alla conservazione di materiale biologico per scopi di ricerca medica - che si articola in una serie di esplicite autorizzazioni - e di uno spazio in bianco per eventuali restrizioni al consenso prestato. Inoltre, il paziente può esprimere delle indicazioni specifiche relative, ad esempio, al trattamento dei dati personali, anche di carattere genetico relativi al tessuto in oggetto, alla possibilità di essere informato delle eventuali notizie inattese derivanti dallo studio del suo campione e alle modalità con cui desidera essere contattato. 285 La tecnologia dei tissue microarrays ha rappresentato una svolta nello studio della patenogenesi molecolare: è un sistema che consente di preservare il campione, che viene utilizzato in quantità limitate (cilindri di tessuto del diametro di 0.6 mm), di minimizzare il consumo di reagenti e di automatizzare buona parte dei passaggi. 124 Qualora il paziente decida di acconsentire alla conservazione per scopi di ricerca medica del materiale biologico che gli verrà asportato, egli sottoscrive il consenso in duplice copia (una per il paziente e l’altra per l’archiviazione). In ogni caso, coerentemente con la disciplina giuridica internazionale, europea e nazionale sul consenso, il paziente può in ogni momento ritirare il consenso prestato o comunicare eventuali cambiamenti di opinioni circa le singole autorizzazioni contattando il Responsabile della biobanca286. Come testimoniato dall’esperienza della dott.ssa Fasanella, incaricata della somministrazione dei consensi, le difficoltà riscontrate nel richiedere il consenso informato al paziente prima dell’intervento chirurgico, per la delicatezza del momento e le condizioni psicofisiche del soggetto, hanno fatto optare per la posticipazione della somministrazione del documento ad un momento successivo all’operazione. Nella maggior parte dei casi, dunque, il Responsabile della raccolta del consenso informato (al momento il Responsabile della qualità), si reca direttamente in reparto dopo essersi sincerato delle condizioni di salute e di piena coscienza del paziente. Una simile prassi, infatti, oltre che dimostrare il debito riguardo per le particolari condizioni psicologiche del paziente oncologico, non viola i requisiti di legge, in quanto il materiale potrà essere utilizzato per scopi di ricerca solo se accompagnato dal relativo consenso informato. Nel caso in cui il paziente risulti dimesso, il Responsabile ha il compito di contattarlo quando questo torni per le visite di controllo. Qualora invece non sia possibile in alcun modo contattare il paziente, il relativo materiale biologico potrà essere utilizzato solo se opportunamente anonimizzato, secondo la procedura operativa standard. Ottenuto il consenso, questo deve essere registrato nel database della biobanca. Questa operazione rappresenta una delle fasi più delicate, in quanto dalle modalità di inserimento dei dati dipende l’effettiva tutela della riservatezza del paziente. Andando nel dettaglio operativo, al momento dell’inserimento di un nuovo campione sulla schermata relativa al paziente comparirà un’icona relativa al consenso, cliccando sulla quale potranno essere visualizzate le autorizzazioni o le eventuali restrizioni apposte dal donatore. Dopo questa fase, si potrà così procedere all’archiviazione del campione presso il locale accessibile solo al personale autorizzato. 286 Si rimanda in proposito a quanto già trattato nel I Capitolo di questa tesi. 125 Il processo di raccolta del biomateriale comincia con il controllo delle liste operatorie giornaliere. Il Responsabile del materiale deve verificare nelle liste se vi sono potenziali pazienti il cui materiale può essere stoccato nella biobanca. Il personale delle sale operatorie deve quindi segnalare tempestivamente la massa asportabile al Responsabile dell’archiviazione che, nel più breve tempo possibile, deve provvedere al suo ritiro e trasferimento nel reparto di Anatomia Patologica. I tempi per la raccolta dei tessuti, infatti, sono particolarmente ristretti (il tutto deve avvenire entro 20 minuti circa dall’asportazione) per preservare le caratteristiche e le componenti maggiormente deteriorabili del materiale, come gli antigeni e gli acidi nucleici. Il materiale “a fresco” viene dunque accettato dal personale addetto e consegnato all’anatomo-patologo di turno che procede all’analisi. Se si ritiene che la zona neoplasta sia in eccesso rispetto a quella necessaria per le procedure valutative diagnostiche, si procede al prelievo di frammenti di tessuto patologico e non patologico che il Responsabile dell’archiviazione del materiale pone nelle apposite provette (criovials) dotate di codice a barre287. Se dovesse residuare ulteriore materiale, questo verrebbe conservato nelle apposite cryomolds, identificate anch’esse da un bar code288. Criovials e cryomolds devono essere immersi nel contenitore con isopentano raffreddato a -80°C e successivamente trasferiti nei congelatori. Il campione così acquisito, viene registrato nel database della biobanca dove viene specificato: il tipo di tessuto prelevato, il tipo di intervento, la data e l’ora del prelievo e dell’arrivo in Anatomia Patologica, la modalità di conservazione ed i codici a barre di ciascuna provetta tramite un dispositivo a lettura ottica. Si procede inoltre a registrare il codice a barre della scatola che contiene le singole provette nonché la localizzazione delle singole scatole con la posizione esatta nei congelatori verticali a -80°C. Questa procedura fa sì che il materiale risulti anonimo ed identificabile solo dal personale della biobanca attraverso il database cui si accede con login e password strettamente personali. Infatti, assegnando un codice identificativo univoco al materiale 287 Si tratta di contenitori in polipropilene resistenti a temperature di -196°C, studiati per resistere ad aggressivi chimici e per conservare cellule, sangue, siero ed altri fluidi biologici a temperature ultrabasse. 288 La procedura di conservazione del biomateriale nel cryomold consiste nel porre il prelievo nel liquido conservante OCT, nel congelamento in azoto liquido per circa un minuto e, quindi, nella conservazione nei congelatori a -80°C. Questa procedura, differenza della fissazione ordinaria in formalina, garantisce l’ottimale conservazione degli acidi nucleici. 126 (diverso dal numero istologico dell’esame inserito nel sistema gestionale delle unità operative di anatomia patologica), unicamente il Responsabile della biobanca, od un suo delegato, può correlare il materiale conservato e l’identità del donatore. Per soddisfare le prescrizioni contenute nell’autorizzazione al trattamento dei dati genetici del garante della privacy, i dati clinici, personali e “bio” (cioè i dati biologici, molecolari e di stoccaggio propri del tessuto analizzato) sono mantenuti separati in diversi archivi fisici. La procedura di binding, ovvero di collegamento o automatizzato dei dati di diverso tipo, può essere condotta soltanto dal personale autorizzato della biobanca. Il sistema informatico della biobanca, accessibile solo dagli amministratori di sistema, è interfacciato con il sistema gestionale dell’unità operativa di anatomia patologica dell’Ospedale Santa Chiara e prossimamente con eventuali altri sistemi, come le cartelle cliniche informatizzate. Il software di gestione, inoltre, permette la registrazione dei movimenti del materiale – come, ad esempio, il quantum prelevato ed utilizzato per finalità di ricerca e gli estremi dello studio stesso - e la registrazione dei dati molecolari progressivamente prodotti dall’analisi dei materiali stessi. Trentino Biobank è dunque una realtà che ambisce a fornire materiale biologico di qualità per lo studio da parte dei ricercatori delle strutture dell’azienda provinciale per i servizi sanitari della provincia autonoma di Trento e di enti di ricerca pubblici o, a seconda del consenso prestato dal paziente, anche privati. La cessione dei campioni dovrà comunque sempre essere subordinata all’approvazione del progetto di ricerca da parte del comitato etico. I ricercatori riceveranno dati e campioni in forma codificata, non potendo in alcun modo risalire all’identità di donatori. Le uniche eccezioni si potranno verificare, con un’apposita procedura avviata da Responsabile della biobanca o da un suo delegato, soltanto quando l’associazione del campione all’identità del soggetto sia indispensabile per condurre uno specifico progetto di ricerca o quando risponda a precise esigenze cliniche nell’interesse del donatore. Il Material Transfer Agreement che si sta stilando prevederà, nello specifico, le modalità di trasferimento e cessione dei campioni e le obbligazioni in capo al ricercatore. Il punto di forza della Trentino Biobank - oltre alla professionalità nella raccolta, al controllo della qualità dei campioni e al rispetto della normativa vigente che già la 127 rendono una risorsa preziosa agli occhi dei ricercatori - consiste nella possibilità di aggiornare continuamente i dati ed i campioni. Secondo la dott.ssa Fasanella, infatti, la biobanca trentina gode, di riflesso, dei vantaggi derivanti dal forte legame di territorialità tra l’Ospedale S. Chiara e l’utenza residente. Tale legame si concretizza in un rapporto duraturo che vede l’utente rivolgersi al medesimo presidio sanitario per ulteriori visite e controlli. 3. Los biobancos en España L’attuale panorama delle biobanche in Spagna è stato di recente fotografato dall’Informe curato, nell’ambito del progetto LatinBanks, dal prof. Carlos Maria Romeo Casabona, Pilar Nicolás Jiménez e Sergio Romeo Malanda, docenti della Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto (Bilbao)289. Tale studio, di prossima pubblicazione, testimonia le difficoltà nel fornire un quadro generale in tema di biobanche, a livello spagnolo, dovuto alla mancanza di un catalogo sistematico cui fare riferimento. Con un intervento legislativo del 2007 è stata prevista, infatti, la creazione di un Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca - in cui l’autorità competente dovrà iscrivere la biobanca elencandone le caratteristiche salienti come la proprietà, la struttura, il tipo di collezioni in essa conservate - ma la previsione non è stata ancora implementata290. L’unico tentativo di censimento delle biobanche è stato condotto nel 2005 dalla Banca Nazionale di DNA dell’Instituto de Salud Carlos III (ISCIII). Anche se datato, 289 ROMEO CASABONA C.M., NICOLÁS JIMÉNEZ P., ROMEO MALANDA S., Biobanks in Spain, in ROMEO CASABONA C.M., SIMON J., (coord.), LatinBanks. Study on the legal and social implications of creating banks of biological material, Bruxelles, Ed. Bruylant, in printing. LatinBanks è un progetto sviluppato nell’ambito del Programma Alfa della Commissione Europea e rappresenta la prima tappa della cooperazione tra dodici università europee e latinoamericane, costituitesi nella rete MEDNET, con lo scopo di promuovere lo studio delle implicazioni giuridiche e sociali riguardanti la creazione di banche di materiale biologico umano in America Latina. La rete, coordinata dal prof. dr. Carlos Maria Romeo Casabona (Cátedra de Derecho y Genoma Humano, Universidad de Deusto) e dal prof. dr. Jürge Simon (Lüneburg Universität) si propone di comparare il funzionamento, l’organizzazione e le strutture giuridiche delle biobanche sudamericane con gli esempi più significativi a livello europeo. Elaborando proposte per l’ottimizzazione delle strutture di governance e delle forme partecipative, si punta a fondare le basi comuni per una futura integrazione anche con altri attori sociali, come le associazioni dei pazienti o le autorità sanitarie, al fine di implementare le raccomandazioni che dovessero scaturire dal progetto LatinBanks e che la rete possa supervisionare in quanto organo imparziale. Fonte: http://www.latinbanks.catedraderechoygenomahumano.es/, ultima visita: 24 agosto 2010. 290 Sul punto ci si soffermerà oltre. 128 gli autori sottolineano come i suoi risultati rivelino alcuni aspetti interessanti: la prassi di somministrare il consenso informato era già ampiamente diffusa, le strutture erano per la maggior parte sicure e funzionali, ma solo alcune di esse erano dotate di sistemi di certificazione della qualità o di applicativi informatici specializzati. Questa situazione ha rappresentato il quadro di partenza. In Spagna la disciplina giuridica delle biobanche ha trovato di recente la sua regolamentazione nella Ley de Investigación Biomédica (LIB) n.14 del 3 luglio 2007 (Ley 14/2007, BOE de 4 de julio), uno strumento giuridico pregevole e particolarmente significativo che promuove la ricerca scientifica in particolari settori di avanguardia nel campo della biomedicina291. Questa legge ordinaria si preoccupa in particolare di regolare, nel rispetto della dignità, dell’identità e dei diritti di fondamentali della persona, le ricerche relative alla salute umana che implichino procedimenti invasivi per il soggetto coinvolto nella sperimentazione, la donazione ed utilizzazione di ovuli, spermatozoi, pre-embrioni, embrioni, feti o tessuti fetali con fini di ricerca biomedica o di applicazione clinica. Viene anche normata non solo la raccolta, la conservazione ed il trasferimento dei campioni biologici, ma anche le biobanche, il Comitato di Bioetica spagnolo e gli altri organi competenti in materia di ricerca biomedica nonché i meccanismi di sviluppo e promozione, pianificazione, controllo e coordinamento della stessa (art. 1.1)292. La legge del 2007 dedica il Titolo V a “Analisi genetiche, campioni biologici e biobanche” e consta di quattro di capitoli. L’ultimo di questi si occupa nello specifico della regolamentazione del “biobanco” e, distinguendo l’istituto giuridico dalle altre collezioni di campioni biologici, lo definisce come: «la struttura pubblica o privata, senza scopo di lucro, che raccoglie una collezione di campioni biologici con finalità diagnostiche o di ricerca biomedica, ed organizzata come un’unità tecnica dotata di criteri di qualità, ordine e destinazione» (art.3.1 lett.d). Di conseguenza, sono inclusi in tale definizione non solo le biobanche già fondate o che possono orientare il proprio 291 Cfr ROMEO CASABONA C.M., Ley de Investigación Biomédica, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.26, 1, (2007); ID., Utilización de muestras biológicas humanas con fines de investigación biomédica y regulación de biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, Granada, Comares, 2007; MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, cit. 292 La ricerca biomedica cui si riferisce la LIB comprende sia la ricerca di base sia quella clinica (art.1.3). 129 servizio a fini di ricerca, ma anche gli archivi delle Unità Operative di Anatomia Patologica293. La LIB, infatti, traccia la seguente tripartizione delle possibili classi di collezioni, ad ognuna delle quali è collegato uno status giuridico differente: 1) collezioni di campioni per usi esclusivamente personali294; 2) collezioni ordinate di campioni295; 3) biobanche in senso stretto. Questa suddivisione lascia intendere la scelta politica di mantenere la pluralità delle risorse per soddisfare funzioni differenti e specifiche nella ricerca biomedica, per quanto si riconosca una posizione giuridica di rilievo alle biobanche in senso stretto, considerate come gli strumenti maggiormente qualificati nel supporto alla ricerca296. La LIB prevede che le biobanche in senso stretto possano essere istituite per il perseguimento di almeno due finalità: clinica – e quindi con scopi diagnostici o terapeutici - e di ricerca biomedica. La creazione di una biobanca potrà essere autorizzata solo se la sua organizzazione, i suoi obiettivi e i mezzi disponibili ne giustificheranno l’interesse biomedico (art. 63). Dal punto di vista organizzativo, le biobanche potranno essere fondate previa autorizzazione delle Comunidades Autónomas competenti per territorio, a meno che non si tratti della creazione delle banche nazionali di campioni biologici, che devono essere promosse direttamente dall’Instituto de Salud Carlos III297. In quest’ipotesi, infatti, si 293 MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, cit., 187. Le collezioni di campioni per usi esclusivamente personali, cui allude la legge, devono essere dotate delle seguenti caratteristiche: i campioni devono essere organizzati come collezione; devono essere custoditi da una persona fisica, che ne risulta la cessionaria o proprietaria; devono essere destinati ad un uso esclusivamente personale. Quest’ultimo punto è il più controverso: se appare chiaro che i campioni in questione non potranno essere ceduti a terzi, il dubbio sorge se si pensa alla possibilità che sia la stessa persona fisica ad utilizzarli per le proprie ricerche “personali”. Tali collezioni di campioni non sottostanno all’obbligo di iscrizione nel Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca Biomedica (art. 67.1). Sul punto si veda ROMEO CASABONA C.M., Utilización de muestras biológicas humanas con fines de investigación biomédica y regulación de biobancos, cit. 287. 295 Queste ultime, a differenza delle precedenti, dovranno essere iscritte, come le biobanche, al Registro Nazionale. Si tratta di quelle collezioni che incorporano campioni o materiale biologico di origine umana riferiti a persone identificate o identificabili e che sono organizzate secondo un criterio scientifico. Il titolare della collezione può essere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica, sia di natura pubblica che privata. Con riferimento alle finalità di queste collezioni si può presupporre che possano essere destinate alla ricerca biomedica o ad altri fini, a seconda della loro natura e degli obiettivi per cui sono state create. Anche in questa ipotesi, una delle questioni più controverse riguarda la cessione dei campioni ai ricercatori appartenenti ad altri enti. Tale possibilità, secondo il prof. Carlos Maria Romeo Casabona, non sembrerebbe essere vietata. Ibid., 288-289. 296 Ibid., 285-286. 297 L’art. 64 si riferisce infatti alla compentenza del Ministro della Sanità per la creazione di biobanche nell’interesse generale. 294 130 riconosce l’iniziativa esclusiva al Ministero della Sanità al fine di garantire le risorse necessarie in settori non sufficientemente coperti o di fornire quei materiali di cui le biobanche esistenti risultino carenti298. La biobanca dovrà essere composta da alcune specifiche figure, quali il Direttore Scientifico, il Responsabile dell’archivio (responsable del fichero) e da due Comitati esterni, uno tecnico-scientifico e l’altro etico, che assisteranno il Direttore della biobanca nelle sue funzioni299. La legge attribuisce a quest’ultimo i seguenti compiti: dovrà garantire il rispetto della legislazione vigente, mantenere un registro delle attività della biobanca, assicurare la qualità, la sicurezza, la tracciabilità dei dati e dei campioni biologici stoccati e dei procedimenti associati al funzionamento della biobanca, elaborare una relazione annuale sulle attività di biobanking (inviandola all’organo che ha dato l’autorizzazione alla creazione della biobanca), rispondere ai reclami che possono essere rivolti, stilare il “documento de buena práctica”, preparare la reportistica che descriva le caratteristiche delle collezioni, i criteri di inclusione dei campioni e i fini per i quali la collezione è stata costituita, la forma in cui è stata riunita la collezione storica e le informazioni che possono essere associate ai campioni (art. 66.2). Il Responsabile dell’archivio, invece, dovrà rispondere alle richieste relative all’esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione od opposizione formulate dai donatori, in conformità con quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati di carattere personale (art. 66.3). Le funzioni del Comitato Tecnico non sono descritte dal testo legislativo, eccezion fatta per la previsione di cui all’art.66.1 di «assistere il Direttore della biobanca nelle sue funzioni» e di cui all’art. 69. 5 in base alla quale, in caso di diniego totale o parziale della cessione di campioni biologici per un progetto di ricerca da parte della biobanca, si dovrà tenere conto del parere di questo comitato. In assenza di una disciplina specifica è stato ipotizzato, da parte della dottrina, che il Comitato tecnico possa supervisionare i 298 Ibid., 290. La natura esterna di entrambi i comitati si sostanzia nell’indipendenza rispetto alla struttura e all’organizzazione interna della biobanca: i rispettivi membri, infatti non dipenderanno e non saranno vincolati alla biobanca. Quest’indipendenza, però sembrerebbe venir meno nella composizione del comitato etico che, essendo contemporaneamente un comitato di etica della ricerca potrebbe trovarsi in alcune occasioni in una situazione di conflitto di interessi (se ad esempio, dovesse valutare un progetto di ricerca che gli venisse sottoposto dalla biobanca). Ibid., 292. 299 131 “procedimenti abbreviati” snellendo l’iter, ad esempio, per quei progetti già approvati da un ente di ricerca o non particolarmente complessi300. Il Comité de Ética de la Investigación, che sostituisce i precedenti Comités de Ética e Investigación Clínica (CEIC), assurge ad un ruolo particolarmente significativo nell’utilizzo dei campioni biologici con fini di ricerca e nell’attività di biobanking. Esso, infatti, è deputato a rilasciare un parere obbligatorio e vincolante dal quale dipendono l’autorizzazione e lo sviluppo di qualsiasi progetto di ricerca sugli esseri umani o sul materiale biologico(art. 2) nonché l’esercizio della facoltà di autorizzare eccezioni al principio generale del consenso informato (disposición transitoria segunda). La biobanca, una volta costituita, dovrà essere registrata presso l’Agenzia Spagnola di Protezione dei Dati, secondo quanto prescritto dalla legislazione vigente, e dovrà essere iscritta dall’autorità competente nel Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca biomedica, che verrà costituito presso l’ISCIII (art. 67.1). Il Ministero della Sanità si occuperà di certificare la natura e la portata della collezione (art. 67.3), e l’autorità competente condurrà ispezioni periodiche per garantire il rispetto da parte delle biobanche delle condizioni autorizzate (art. 68)301. Non sussiste, invece, il suddetto obbligo di iscrizione nel Registro per le collezioni destinate ad usi esclusivamente personali e per quei campioni, anche se organizzati come collezione, ottenuti per la realizzazione di analisi con scopi diagnostici o terapeutici, e che non siano conservati per un periodo di tempo superiore al raggiungimento di queste finalità. Con riferimento alla disciplina della circolazione dei campioni, questi potranno essere ceduti solo a titolo gratuito a soggetti terzi che ne facciano richiesta per scopi di ricerca biomedica (art. 69.2). I progetti di ricerca dovranno essere approvati dal punto di vista scientifico; la richiesta dovrà contenere tutte le informazioni relative al progetto e l’impegno, da parte del centro richiedente o dei ricercatori partecipanti al progetto, di non utilizzare il materiale richiesto per un uso differente da quello stabilito. Tale 300 MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, cit., 188. La LIB non definisce espressamente chi sia «l’autorità competente», potendosi riferire sia all’ISCIII che alle Comunità Autonome. A queste autorità, peraltro, spettano una serie di funzioni, come quelle relative al cambio nella titolarità della biobanca, ispezione, controllo e chiusura della biobanca, sia d’ufficio che su richiesta di parte. Probabilmente il dubbio verrà sciolto negli interventi regolamentari successivi. Sull’implementazione in via amministrativa di alcune previsioni della Ley de Investigación Biomédica ci si soffermerà oltre. 301 132 progetto inoltre dovrà ricevere il parere positivo dei Comitati scientifico ed etico della biobanca. Per il trasferimento di ciascun campione potrà essere richiesto il pagamento dei costi di mantenimento, conservazione, invio e trasporto e, in ogni caso, la quantità ceduta sarà sempre quella minima necessaria per la realizzazione del progetto (art. 69.3). La cessione del campione potrà essere accompagnata dall’informazione clinica associata e tale dato sarà, quindi, protetto secondo quanto disposto dalla Ley de Autonomía del Paciente302 e della Ley de Protección de Datos de Carácter Personal303. Con riferimento ai diritti del paziente-donatore, questi sono relazionati alla disciplina del consenso informato. La LIB prevede che nel caso in cui il campione sia ottenuto direttamente per fini di ricerca, il consenso dovrà essere previo, prestato per iscritto ed informato304. Inoltre, anche quando si voglia destinare alla ricerca quei campioni inizialmente raccolti per una finalità differente, ad esempio diagnostica o terapeutica, è comunque imprescindibile il consenso del soggetto fonte, indipendentemente dall’anonimizzazione del materiale (art. 58.2). In alternativa alla regola generale, la LIB prevede però che: «eccezionalmente potranno essere utilizzati campioni codificati o identificati a fini di ricerca biomedica senza il consenso del soggetto fonte, quando l’ottenimento di detto consenso non sia possibile o rappresenti uno sforzo non ragionevole nel senso dell’art. 3.1 di questa Legge. In questi casi sarà necessario il parere favorevole del Comitato etico corrispondente, che dovrà tenere conto dei seguenti requisiti: a) che si tratti di una ricerca di interesse generale; b) che la ricerca sia condotta dalla stessa Istituzione che ha sollecitato il consenso per l’ottenimento dei campioni; c) che la ricerca sia meno significativa o non sia possibile senza i dati identificativi del soggetto fonte; d) che il soggetto non si sia espressamente opposto; e) che venga garantita la confidenzialità dei dati di carattere personale». Il consenso del soggetto fonte o dei suoi rappresentanti legali è comunque ampio, nel senso che i campioni raccolti dalla biobanca potranno essere utilizzati per qualsiasi ricerca biomedica nei termini prescritti dalla LIB (art. 70.2). Infatti, la legge prevede che il donatore, con un unico atto di consenso, possa autorizzare gli utilizzi successivi 302 Ley 41/2002, BOE 274 de 15 de novembre 2002. Ley Orgánica 15/1999, BOE 298 de 14 de diciembre 1999. 304 L’art. 58.1 prescrive, infatti, che il soggetto sia informato delle conseguenze e dei rischi nell’ottenimento del campione possa comportare per la sua salute. 303 133 del campione in «altre linee di ricerca correlate a quella inizialmente proposta, incluse quelle realizzate da terzi», senza che la finalità sia necessariamente espressa (art. 60.2)305; il grado di relazione tra le linee di ricerca è, in definitiva, lasciato all’interpretazione di ciascuna biobanca306. Il Legislatore spagnolo, consapevole di inserirsi in un processo in fieri, ha previsto un regime transitorio per permettere la trasformazione delle collezioni di campioni in biobanche di ricerca, purché soddisfino i requisiti di accreditamento ed autorizzazione previsti per legge o in via regolamentare. In ogni caso la legge necessiterà un’implementazione delle proprie previsioni in via amministrativa. È proprio la disposición final tercera della LIB che enumera i campi di intervento tra cui: le norme di scambio e circolazione interna, infracomunitaria ed extracomunitaria di materiale biologico di origine umana a fini di ricerca; i requisiti di accreditamento e autorizzazione dei Centri, Servizi e gruppi di ricerca, relativi all’ottenimento ed utilizzazione dei campioni; il funzionamento e organizzazione del Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca Biomedica (che sarà istituito presso il Ministero della Sanità). Lo strumento deputato ad accogliere queste previsioni sarà un Real Decreto, che dovrebbe essere emanato nel settembre 2010. Tale regolamento governativo dovrà disciplinare questioni rilevanti come i requisiti di autorizzazione delle biobanche, le relazioni con l’industria farmaceutica e le basi per la creazione del Registro Nazionale. Dopo la necessaria ricognizione del panorama normativo, occorre procedere con la disamina del report Biobanks in Spain sulla situazione delle biobanche e della ricerca scientifica condotta con i campioni biologici di origine umana in Spagna 307. L’attuale quadro regolativo si compone principalmente dei seguenti modelli organizzativi: - banche nazionali; - biobanche ospedaliere; 305 Questa previsione di un consenso generico all’utilizzo secondario dei campioni (campioni degli archivi e/o senza consenso informato in determinati casi), non comportando alcun tipo di rischio per la salute/vita del paziente è stata accolta con favore per il bilanciamento tra le garanzie previste per il soggetto e la necessità di flessibilità imposta dal particolare contesto. Così MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, cit., 193. 306 CASADO DA ROCHA A., ETXEBERRIA AGIRIANO A., El consentimiento informado ante los biobancos y la investigación genética, ARBOR Ciencia, Pensamiento y Cultura, CLXXXIV 730 marzoabril, 249:257, (2008). 307 Il report “The Facts:The position of Biobanks and scientific research with human biological sample in Spain” è stato redatto dal patologo molecolare Enrique de Álava, vicedirettore del Banco Nacional de ADN del Centro di Ricerca sul Cancro IBMCC dell’Università di Salamanca-CSIC. 134 - reti di biobanche; - biobanche in rete308. 3.1 Banche nazionali Nella prima categoria rientrano il Banco Nacional de ADN (BNADN) ed il Banco Nacional de Líneas Celulares. Il primo di questi, creato nel 2004 dalla Fundación Genoma España, costituisce una piattaforma tecnologica di supporto alla ricerca genomica in Spagna309. La biobanca, dopo aver ottenuto la certificazione di qualità ISO 9001:2000, rappresenta oramai il modello di riferimento a livello nazionale per la raccolta, conservazione e stoccaggio dei campioni di DNA310. Durante la sua fase di avvio, la biobanca ha creato una collezione organizzata di campioni di DNA rappresentativa della popolazione sana residente in Spagna associata ad informazioni rilevanti come dati di salute, stile di vita ed abitudini dei donatori 311. A partire dal 2006, il BNADN si è articolato in una struttura centrale che coordina quattro nodi relativi alle patologie maggiormente diffuse sul territorio: ogni nodo, quindi, raccoglie e stocca i campioni provenienti dai pazienti affetti da malattie cardiovascolari, metaboliche, neuropsichiatriche ed oncologiche. L’obiettivo principale della biobanca è quello di ricevere, processare e conservare campioni di DNA, plasma e cellule dei donatori volontari insieme ai dati ad essi associati. Tali campioni sono messi a disposizione dell’intera comunità scientifica, nazionale ed internazionale, al fine di promuovere la ricerca e lo studio dell’evoluzione umana, della diversità genetica ed il suo impatto sulla salute, della medicina personalizzata. Il Banco Nacional de Líneas Celulares è, invece, una struttura organizzata in rete, che coordina e gestisce una pluralità di nodi, afferente alla Direzione Generale della 308 Tale tipologia costituirà titolo per un ulteriore approfondimento successivo. Il BNADN è stato creato ufficialmente il 16 marzo 2004 con il Convenio de Creación firmato dalla Fundación Genoma España, dal Consiglio di Sanità della Castilla y Leon e dall’Università di Salamanca. Fonte: http://www.bancoadn.org/home.htm, ultima visita: 24 agosto 2010. 310 Si tratta della certificazione che il Sistema di Gestione della qualità della biobanca rispetta i requisiti previsti sia in ambito interno all’organizzazione sia nell’ambito dei rapporti contrattuali. 311 La biobanca, avvalendosi della collaborazione dei Centros Regionales de Transfusión y Bancos de Sangre, sta raccogliendo campioni di 1300 individui selezionati in ciascuna provincia in quote proporzionali alla popolazione spagnola. 309 135 Ricerca con Terapia Cellulare e Medicina Rigenerativa dell’ISCIII312. Creata con Real Decreto n.2132 del 2004, questa biobanca si occupa di garantire su tutto il territorio nazionale la disponibilità di linee cellulari provenienti da staminali embrionali ed adulte destinate alla ricerca biomedica. Tale struttura, alla luce dei principi di obiettività, collaborazione, integrazione e solidarietà, aderisce alle Convenzioni ed ai Trattati internazionali sottoscritti dalla Spagna in materia di biomedicina e diritti umani, assicurando altresì la qualità e sicurezza dei processi di sua competenza. 3.2 Biobanche ospedaliere Le biobanche di tipo ospedaliero sono statisticamente le più diffuse sul territorio spagnolo nonché le prime ad essere state realizzate (la prima è stata istituita nel 1985). L’esempio più significativo è rappresentato dalla biobanca dell’Ospedale Clinico dell’Institut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS) di Barcellona313. La biobanca catalana colleziona principalmente campioni di DNA per la realizzazione di studi genetici su larga scala e screening. A questi si aggiungono i campioni di siero e plasma per la determinazione dei profili proteici o metabolici e per l’identificazione di nuovi targets terapeutici. Tale struttura si conforma alla legislazione vigente sulla raccolta ed utilizzazione dei campioni, sul trattamento dei dati personali e sulla disciplina del consenso informato adeguandosi, inoltre, agli standards diffusi circa la conservazione e la gestione della qualità delle collezioni. In aggiunta offre un interessante servizio di assistenza tecnica ai ricercatori che richiedano i suoi campioni. Le informazioni fornite riguardano, in particolare, aspetti cruciali quali: gli standard ed i procedimenti per l’annotazione e la nomenclatura; gli strumenti per l’armonizzazione delle collezioni; il supporto 312 Fonte: http://www.isciii.es/htdocs/terapia/terapia_bancocelular.jsp, ultima visita: 24 agosto 2010. 313 L’IDIBAPS è uno dei centri di ricerca di riferimento per la Catologna, la Spagna e l’Europa meridionale, nonché il maggiore per produzione a livello nazionale. Si avvale della collaborazione con l’Ospedale Clinico di Barcellona, l’Università e l’Istituto di Ricerca Biomedica di Barcellona del Consiglio Superiore di Ricerca Scientifica. Fonte: http://www.clinicbiobanc.org/, ultima visita: 24 agosto 2010. 136 informatico per la tracciabilità dei campioni, dei dati associati e dei dati generali; le ambiguità della legislazione vigente. 3.3.Reti di Biobanche Le prime esperienze di ricerca cooperativa spagnola risalgono già ai primi anni 2000. Con la creazione, nel 2001, dell’Instituto Nacional del Cáncer promossa, nell’ambito del Programa de Patología Molecular del Centro Nacional de Investigaciones Oncoloógicas (CNIO), si afferma la volontà di istituzionalizzare un programma di ricerca collaborativo a livello nazionale, mentre nel 2003 con la nascita della Red Temática de Investigación Cooperativa en Cáncer (RTICC, finanziata e sponsorizzata dall’ISCIII) tale collaborazione viene ulteriormente rafforzata dall’ingresso nel progetto di 23 istituzioni facenti riferimento, a vario titolo, a più di 40 strutture ospedaliere sparse sull’intero territorio spagnolo314. L’obiettivo è quello di promuovere banche tumorali rispondenti ai più elevati standard di qualità internazionali, convogliando le loro singole attività in un network cooperativo. Se da una parte, lo scopo alla base della rete è quello di giungere a procedure tecniche omogenee, requisiti etici condivisi ed un coordinamento centralizzato, dall’altra è opportuno ricordare che tanto le biobanche quanto i tessuti rimangono di pertinenza dei singoli ospedali. Naturalmente la cooperazione ed il coordinamento all’interno della RTICC incontrano le tipiche difficoltà derivanti dall’ampia partecipazione di soggetti ed istituzioni, ma già dal 2003 la struttura del programma della Red Temática de Investigación Cooperativa en Cáncer ha consentito a tutte le Comunità Autonome, nel rispetto dei loro statuti e dei loro ambiti di autonomia, di adottare i medesimi protocolli tecnici ed etici, un sistema comune per l’identificazione e la tracciabilità dei campioni ed un unico sistema di controllo della qualità. Dalla sua creazione, il network spagnolo ha fornito più di 10.000 campioni per circa 180 progetti di ricerca da cui sono scaturiti più di 10 articoli scientifici (con un fattore di impatto medio di 7 punti) in cui la RTICC è espressamente citata come la fonte dei campioni315. 314 315 www.rticc.org, ultima visita: 24 agosto 2010. I dati sono tratti dal già citato Spain’s Report di LatinBanks. 137 4. Biobanche in rete: O+ehun, el biobanco vasco para la investigación316 La biobanca basca di ricerca è una struttura della Fundación Vasca de Innovación e Investigación Sanitarias/ B+I+O eusko fundazioa (BIOEF), promossa dal Dipartimento di Sanità della Comunità Autonoma del País Vasco, e dal 2004, anno della sua fondazione, rappresenta il modello spagnolo più significativo di biobanca in rete 317. O+ehun si struttura come ente strumentale del Sistema Sanitario basco per lo sviluppo della ricerca avanzata nei settori della biomedicina e della biotecnologia attraverso la gestione di campioni biologici classificati318. Il suo “essere in rete” permette la raccolta e la conservazione dei campioni direttamente presso gli ospedali aderenti all’iniziativa: Cruces, Basurto, Galdakao, Donostia, Txagorritxu e Santiago Apóstol (i sei più grandi ospedali pubblici baschi), l’Instituto Oncológico di San Sebastian e il Policlínica Gipuzkoa (due centri sanitari privati) ed il Centro Vasco de Trasfusiones y Tejidos Humanos dell’Osakidetza (servizio sanitario basco). Ciascun nodo è indipendente, ma lavora in maniera coordinata, le risorse sono condivise attraverso una piattaforma informatica dedicata, sotto la supervisione della BIOEF, ed i vari protocolli operativi sono armonizzati tra loro. In questo modo, non solo i pazienti, ma anche i ricercatori, le altre biobanche ed il Sistema Sanitario possono interfacciarsi con un unico interlocutore. 316 Il presente paragrafo trae spunto da una personale esperienza di ricerca condotta nel mese di giugno 2010 presso la Cátedra de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto e la biobanca di ricerca O+ehun. 317 La BIOEF è uno strumento che promuove l’innovazione e la ricerca all’interno del sistema sanitario del Pais Vasco come mezzo per lo sviluppo ed il miglioramento continuo delle capacità di intervento dello stesso nella protezione della salute della popolazione. Questa fondazione aspira ad essere il ponte tra i differenti settori coinvolti nella ricerca, sviluppo ed innovazione sanitaria non solo a livello di comunità autonoma ma anche a livello statale ed internazionale. Per perseguire i suoi obiettivi istituzionali, la fondazione esercita i propri compiti attraverso due istituti (ulteriori rispetto alla O+ehun): l’Instituto Vasco de Investigaciones Sanitarias (o+iker) e l’Instituto Vasco de Innovación Sanitaria (o+berri). Il primo di questi si occupa delle attività della fondazione maggiormente collegate alla ricerca biomedica: rappresenta una piattaforma in grado di innovare il sistema sanitario del Pais Vasco, conformemente al suo livello di eccellenza raggiunto nel campo dell’assistenza, promuovendo la ricerca, destinando le risorse necessarie, facilitando la gestione e dirigendo la stessa verso le priorità strategiche del Sistema. O+berri, invece, si propone come la piattaforma di innovazione permanente del Sistema impegnata nella reinvenzione continua tanto dei suoi sistemi organizzativi quanto degli strumenti e dei sistemi di gestione, favorendo il dibattito, anticipando le tendenze, i cambiamenti ed i bisogni a beneficio della comunità basca sia nel sistema stesso, rafforzando al contempo il proprio prestigio. Fonte: www.bioef.org, ultima visita: 24 agosto 2010. 318 Così in Boletín Oficial del País Vasco (BOPV) orden 21 de febrero 2003. 138 Per meglio garantire la tracciabilità, la sicurezza ed il trasferimento dei campioni, si è deciso di affidare lo sviluppo della piattaforma informatica ad enti o società specializzate nei differenti ambiti di intervento individuati (rapporto etico-legale, progettazione della piattaforma, sviluppo del software, controllo del software e dell’hardware, verifica della sicurezza). E’ lo stesso dott. Roberto Bilbao Urquiola, biologo e Direttore scientifico della biobanca, a descrivere alcuni dei punti chiave dell’istituzione che rappresenta. L’obiettivo che si prefiggono è quello di costruire una piattaforma di condivisione e collaborazione per l’ambito medico, universitario e imprenditoriale, senza dimenticare il fine ultimo di sviluppare strumenti di prevenzione, diagnosi e scoperta di nuovi targets terapeutici. L’organigramma della biobanca basca rispecchia quello delineato dalla Ley de investigación Biomédica. Vi è il Coordinatore scientifico (Direttore scientifico nella LIB), coadiuvato dal Responsabile dell’archivio e dal personale tecnico di supporto alla ricerca. Ad essi si affiancano il Comité científico ed il Comité de Ética de la Investigación. Si tratta della prima struttura in Spagna che raccoglie al suo interno collezioni di cellule tumorali, di DNA, di campioni non patologici e tessuti cerebrali. Alla stregua dell’esperienza trentina, anche in questo caso il legame con il territorio è un punto di forza decisivo. Infatti, i pazienti del territorio basco, per la qualità e l’efficienza del servizio offertogli, tendono a rivolgersi sempre al medesimo centro sanitario locale, a prescindere dall’entità dell’accertamento clinico. I campioni eventualmente prelevati, dunque, non solo sono associati ad un patrimonio informazionale, caratteristico della popolazione locale rendendo così possibili investigazioni a carattere epidemiologico e statistico, ma soprattutto sono correlati ad i preziosi dati aggiornati di follow up. La stessa Fondazione, poi, supporta ed incentiva l’attività di ricerca dei medici degli stessi presidi sanitari appartenenti al network, fornendo loro campioni, dati aggiornati ed il pieno riconoscimento del loro ruolo come attori protagonisti della ricerca scientifica319. Infatti, i campioni possono essere raccolti non solo nell’ambito delle normali procedure cliniche e diagnostiche (left over tissue, biopsie, autopsie), ma anche prelevati sulla base di specifici progetti di ricerca. Una delle caratteristiche peculiari 319 ROMEO CASABONA C.M., NICOLÁS JIMÉNEZ P., ROMEO MALANDA S., Biobanks in Spain, cit. 139 della biobanca basca è proprio, dunque, la compresenza di queste due tipologie di raccolta, per ognuna delle quali è stato predisposto un differente modello di consenso informato. Il consentimiento para donación de muestras al biobanco basco para la investigación viene somministrato al paziente, congiuntamente all’informativa, nell’ambito della procedura di raccolta dei campioni rientrante nella normale routine assistenziale, ossia, a seguito di un’operazione chirurgica o di un intervento diagnostico/ terapeutico in occasione del quale sia stato prelevato del materiale biologico (sangue, biopsia, altri liquidi, DNA o RNA). Considerando la patologia o infermità di cui soffre (che possa soffrire direttamente o di cui soffre un familiare), così come le sue condizioni, si sottopone al paziente un modulo di consenso affinché parte della «muestra excedente» possa essere donata alla biobanca basca per essere conservata e destinata a futuri progetti di ricerca relazionati alle patologie o infermità menzionate o ad esse collegate. Dopo aver illustrato la funzione istituzionale di una biobanca e le specificità organizzative e operative di quella basca, l’informativa chiarisce immediatamente che il paziente non riceverà alcun diretto beneficio dalla ricerca. Muovendo dalla premessa che la donazione del campione a fini di ricerca è un atto volontario ed essenzialmente altruistico, l’unico “ritorno” che spetterà al paziente sarà la consapevolezza di aver partecipato al progresso medico-scientifico per il bene della collettività. Il campione in ogni caso non potrà essere fonte di lucro diretto, ma l’informazione da esso derivata potrà essere oggetto di benefici commerciali. In quest’ultima ipotesi, però, si prevedono (o meglio, si prevederanno) meccanismi compensativi a favore di tutta la comunità. La donazione è e rimane facoltativa, un eventuale diniego non comporterà alcun tipo di pregiudizio e non avrà ripercussioni sul diritto dell’individuo all’assistenza sanitaria. In ogni caso, il paziente, se lo desidera e se il campione non sia stato anonimizzato in maniera irreversibile, ha diritto a conoscere i dati genetici clinicamente rilevanti ottenuti dall’analisi del campione. L’analisi in questione, come si è già avuto modo di sottolineare in precedenza, può riguardare anche i familiari. In quest’ultima ipotesi, però, il paziente dovrà espressamente fornire il proprio consenso per comunicare eventuali informazioni a tali soggetti. 140 Una volta stoccato il campione nella biobanca, il donatore avrà a disposizione tutte le informazioni relative all’utilizzo del materiale nei progetti di ricerca e, qualora, abbia acconsentito, riceverà tali informazioni in maniera individualizzata. Inoltre, l’informativa contiene una clausola che sembra recepire le opinioni giurisprudenziali sulle quali ci si è già intrattenuti 320; il campione sarà messo a disposizione qualora il paziente lo richieda per motivi di salute e sempre che non sia già stato anonimizzato. Con la firma del consenso, il paziente autorizza la biobanca a processare, unitamente al campione, anche i propri dati relativi alle condizioni fisiche e psichiche, se rilevanti ai fini della ricerca. La riservatezza dei pazienti-donatori è assicurata mediante il processo di anonimizzazione e codificazione321. Infatti, i dati del paziente sono associati, al momento del loro primo contatto con la struttura, ad un numero di “storia clinica”. Nel momento in cui tali informazioni vengono inserite nel database della biobanca, al numero di storia clinica viene attribuito il “Codigo 1”. Il nodo centrale (il coordinatore BIOEF) associa a quest’ultimo il “Codigo 2”, che sarà il codice finale con cui il campione circolerà all’esterno. Il Responsabile clinico del campione ed il Coordinatore scientifico saranno gli unici soggetti in grado di relazionare i dati all’identità del paziente-donatore. L’ospedale che conserva fisicamente il campione garantisce che non sarà divulgato a soggetti terzi alcun dato che possa identificare il paziente. In un’ottica di confidenzialità e riservatezza, la biobanca assicura, inoltre, che i risultati degli studi potranno essere presentati in riunioni e congressi medici o potranno essere pubblicati in articoli scientifici mantenendo il più stretto riserbo circa l’identità del soggetto-fonte. Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento ed il donatore potrà chiedere la distruzione o l’anonimizzazione dei campioni. Gli effetti della revoca non si estenderanno, però, ai risultati che siano stati ottenuti prima del suo intervento. Infine, il documento viene firmato dal paziente, o dal suo rappresentante legale, e dal Responsabile clinico. Il modelo de hoja de información para donación expresa de muestra differisce dal precedente solo per il fatto che l’ottenimento del campione da destinare alla ricerca 320 Recurso de Apelación n. 538/1998, Audiencia provincial de Vizcaya (jurisdicción civil) e Sentencia Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de lo Contencioso-Administrativo), de 16 mayo 2001. 321 Il consenso della biobanca basca traccia, però, una differenziazione: il paziente, infatti, può optare, tra la codificazione o la anonimizzazione completa del materiale biologico. In quest’ultimo caso, si romperà in maniera irreversibile il collegamento tra i suoi dati personali ed il campione. 141 viene conseguito tramite un procedimento invasivo. Per ciascun tipo di prelievo devono essere descritti i potenziali rischi od effetti collaterali e, secondo quanto stabilito dall’art. 18 LIB, è prevista un’assicurazione per eventuali danni e pregiudizi che possano essere causati alla persona. Il consentimiento para la realización del proyecto de investigación, invece, è un documento che viene somministrato ad hoc nei casi in cui si voglia richiedere l’utilizzo di un determinato materiale biologico per uno specifico progetto di ricerca. Si compone, in particolare, di due differenti “permisos” (autorizzazioni): il primo per l’utilizzo del campione nell’indagine ed il secondo per depositare il medesimo nella biobanca. L’informativa è speculare alle precedenti ma, in aggiunta, dovrà contenere il titolo e la descrizione generale del progetto, il nome del ricercatore principale, i finanziatori, la durata nonché l’eventuale previsione della possibilità di cedere a terzi il materiale durante il corso della ricerca. Inoltre, si dovranno spiegare in un linguaggio semplice e comprensibile la finalità e gli obiettivi dello studio nonché i procedimenti (questionari, prelievi, studi clinici, prove complementari…) cui verrà sottoposto il paziente, non trascurando di prospettare i possibili rischi ed effetti collaterali. Viene nuovamente precisato che al paziente non spetterà alcun ritorno in termini economici, se non un rimborso per le spese di trasporto. Firmando il consenso, quindi, il donatore rinuncia espressamente a qualsiasi tipo di rivendicazione di tipo economico. Una volta terminata la ricerca, i campioni residui potranno essere, secondo quanto autorizzato dal paziente, distrutti, ceduti alla biobanca (affinché vengano conservati ed utilizzati per futuri progetti di ricerca collegati a quello appena concluso) o anonimizzati. Restano salve tutte le garanzie di confidenzialità e riservatezza e gli aspetti etici già illustrati. Anche in questo caso, il modulo viene sottoscritto dal paziente e dal Responsabile clinico, a cui si aggiunge il ricercatore o la persona incaricata di fornire le informazioni relative al protocollo di ricerca per certificare di aver illustrato le caratteristiche del progetto e le condizioni di conservazione e sicurezza che si applicheranno ai dati ed ai campioni stoccati. La cessione del materiale biologico avviene nel rispetto delle previsioni di cui all’art.69 LIB, il quale dispone che il ricercatore (o equipe di ricerca) debba inviare la richiesta di campioni al Biobanco Vasco de Investigación presentando un progetto che 142 dovrà essere vagliato in primo luogo dal ricercatore responsabile della collezione; qualora il progetto non abbia già ricevuto una valutazione etica e scientifica esterna, dovrà essere esaminato anche dal Comité Científico ed infine dal Comité de Ética de la Investigación della biobanca. In caso di diniego, questo dovrà essere motivato, mentre in caso di accettazione il rappresentante legale del centro ricevente dovrà firmare il “Convenio de trasvase de muestra” (un MTA) con BIOEF ed il ricercatore dirigente del nodo cui appartiene il materiale biologico. Lo sviluppo di tali contratti ed accordi infrasettoriali (sanità) ed intersettoriali (sanità-università-impresa) è auspicato per il conseguimento di massa critica e di risultati rilevanti, per aumentare la disponibilità delle risorse e per promuovere il reperimento di nuove fonti di finanziamento. In particolare, il convenio di ricerca cooperativa con utilizzo di campioni biologici è stato oggetto di un lungo ed articolato processo. Esso nasce nel 2003 quando è stata richiesta dalla Fondazione BIOEF la preparazione, affidata ad uno studio legale specializzato in tematiche bioetiche (Biolex), di un “informe jurídico” che è stato sottoposto all’attenzione dei CEIC, delle Comisiones de Investigación e Direttori dei grandi centri sanitari. Da tale documento e con la consulenza della Dirección de Asuntos Jurídicos del Departamento de Sanidad del Gobierno Vasco ed Osakidetza è stata ricavata la bozza del Convenio marco (convenzione quadro), discussa poi con il Comitato Tecnico di O+iker, i ricercatori, i direttori dei centri sanitari, il Comitato misto BIOEF-Osakidetza ed i CEIC del sistema sanitario. L’approvazione è, infine, avvenuta nel giugno del 2004 da parte del Patronado della Fondazione BIO. Tale Convenio marco definisce, dunque, il contesto etico, legale, di proprietà intellettuale ed industriale che dovrà essere specificato nei singoli convenios específicos (i singoli progetti di ricerca derivanti dal Convenio marco). Questi ultimi dovranno pertanto contenere il tipo e flusso di campioni, i finanziamenti, le spese ed il tipo di compensazione economica, i diritti di proprietà intellettuale e di proprietà industriale, l’eventuale distruzione dei campioni. Come confermatomi dal dott. Roberto Bilbao Urquiola si tratta comunque di un procedimento di aggiornamento continuo. Nell’acuerdo de trasvase, ad esempio, sono previste, al momento, due modalità di supporto della biobanca al progetto: fornitura del solo materiale biologico o ricerca congiunta. In alcuni casi la O+ehun ha preferito 143 optare per la cotitolarità nel brevetto. La biobanca si avvale per questo della consulenza di un gabinete jurídico per migliorare ed adattare gli attuali MTA, senza trascurare le esperienze delle altre realtà europee e internazionali con le quali, tra l’altro, puntano ad estendere la propria rete di relazioni. La stessa velocità con cui bisogna adattarsi ai cambiamenti metodologici, alle innovazioni tecnologiche e alle scoperte scientifiche impone modelli organizzativi agili e snelli ma, al tempo stesso, robusti ed affidabili per gestire le esigenze dei vari stakeholders. La biobanca basca si è, quindi, proposta di creare uno spazio di lavoro condiviso per affrontare al meglio queste nuove sfide, dialogando e collaborando con le istituzioni, la collettività e la comunità scientifica internazionale. E in molti hanno iniziato a seguire questo stesso sentiero, segno che qualcosa sta iniziando a cambiare, forse anche nello stesso modo di intendere la ricerca. Per il dott. Bilabo Urquiola, l’ “essere in rete” rappresenta proprio questo: l’intenzione di crescere con la ricerca e di far crescere la ricerca europea, condividendone i risultati con coloro che possano apportarvi contributi rilevanti. 5.Conclusioni Le due realtà considerate in questo capitolo rappresentano indubbiamente due validi modelli di riferimento nel panorama delle biobanche di ricerca. Le loro procedure operative standard relative alla raccolta, conservazione e stoccaggio dei materiali biologici, alla somministrazione del consenso informato, all’anonimizzazione e codificazione dei campioni si allineano ai più elevati standards etici, giuridici e scientifici internazionali. Si tratta, poi, di biobanche che gravitano intorno alle strutture ospedaliere e ai presidi sanitari: come già sottolineato, questa connessione permette di raccogliere differenti tipologie di tessuti e campioni durante l’intero arco di vita del paziente a seconda della patologia per la quale quest’ultimo si rivolge al servizio sanitario. Ciò rappresenta un indiscutibile valore aggiunto perché fornisce la possibilità di studiare e analizzare le diverse patologie nel tempo, potendo inoltre considerare e correlare queste alle abitudini socio-comportamentali del soggetto e alle caratteristiche ambientali del contesto di riferimento. Entrambi i modelli si propongono efficacemente come istituzioni in grado di garantire al loro Sistema Sanitario di pertinenza la corretta raccolta, annotazione, 144 conservazione e cessione dei campioni a beneficio dell’intera comunità scientifica, così da promuovere la ricerca ed agevolare la collaborazione tra gli esperti del settore. Se l’esperienza basca è già abbastanza rodata, quella trentina è ancora, in fase di avvio. Non potrebbe essere altrimenti, dato che in Italia manca ancora uno strumento legislativo che al pari della Ley de Investigación Biomédica fornisca un quadro giuridico ed etico di riferimento. Come si è sottolineato in altri punti di questa tesi, le Linee Guida per l’istituzione e l’accreditamento delle biobanche, redatte nel 2006 dal Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, sono un utile strumento per avviare nel nostro Paese un percorso di riflessione e discussione relativo alla tematica, tuttavia queste non possono sostituirsi in alcun modo all’opera del Legislatore. Nemmeno il lapidario d.m. del 15 maggio 2006 emanato dal Ministero delle Attività Produttive è utile allo scopo. Esso si limita a definire le biobanche con la nozione elaborata dall’OCSE per i Centri di Risorse Biologiche mentre descrive i CRB come quelle biobanche che hanno chiesto ed ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione per la qualità da parte di un organismo di certificazione dei centri di risorse biologiche (art. 2). Per l’individuazione dei criteri di certificazione si rinvia alla disciplina stabilita dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione all’ispettorato tecnico dell’industria della Direzione generale dello sviluppo produttivo e competitività del Ministero delle attività produttive (art. 6). In questo gioco di rimandi e rinvii si fatica a trovare dei sicuri punti di riferimento. Anche rispetto al consenso informato sorgono, in un contesto giuridico, etico e storico-culturale in profonda trasformazione, esigenze peculiari, sia di carattere generale sia di carattere specifico. In primo luogo, i cambiamenti che intervengono in campo giuridico in materia di regolamentazione dei concetti e degli istituti coinvolti nell’applicazione delle nuove tecnologie comportano la necessità di un adeguamento ed un aggiornamento il più possibile rapido e puntuale. Si pensi alla proprietà dei materiali biologici, delle informazioni individuali o collettive ricavate dallo studio dei campioni, oppure, come precedentemente ricordato, al tema delle invenzioni e dei brevetti prodotti sulla base della ricerca condotta sui materiali ceduti (cd. downstream IP). Ne consegue che ogni struttura presso la quale siano conservati campioni biologici debba adottare una specifica procedura per ogni tipologia di prelievo e conservazione prevista. Tale 145 procedura, possibilmente elaborata con il contributo di esperti di comunicazione, etica e diritto e condivisa dal comitato etico dell’istituzione di riferimento, dovrebbe poi tenere conto non solo delle leggi nazionali, ma anche delle norme dei paesi con i quali i campioni biologici potrebbero potenzialmente essere scambiati. Inoltre, andrebbe conseguito un allineamento progressivo delle strutture italiane che si autoproclamano biobanche alla normativa nazionale sulla protezione dei dati personali - in particolare per ciò che attiene ai dati personali sensibili acquisibili nello svolgimento dell’attività medica - ed all’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici del 2007. Discorso analogo può essere fatto in merito agli aspetti giuridici relativi alla proprietà intellettuale e, più in generale, allo sfruttamento commerciale delle scoperte eventualmente generate dallo studio dei campioni322. Spostandoci in Spagna, è bene precisare che anche la LIB non costituisce la panacea di tutti i mali. Essa è una legge ordinaria, per sua natura generale ed astratta, il cui contenuto attende di essere specificato da regolamenti amministrativi di prossima emanazione. Non risolve e non affronta alcuni nodi cruciali come la proprietà delle parti staccate dal corpo, su cui le stesse opinioni giurisprudenziali non concordano, o la determinazione di criteri tecnici ed etici per valutare il merito di un progetto di ricerca oppure ancora la predisposizione di una scala di priorità nella cessione di campioni rari conservati nella biobanca in caso di una pluralità di richieste. Come è stato evidenziato da alcuni autori323, la previsione della consultazione di diversi comitati, interni ed esterni, etici e tecnici, rischia di produrre più che un controllo effettivo dei progetti di ricerca un’eccessiva burocratizzazione dell’attività di una biobanca. La legge, inoltre, sembra fare riferimento a progetti complessi e ben strutturati trascurando la realtà della ricerca di base ed applicata, che è solitamente preceduta dagli indispensabili progetti pilota e tentativi preliminari (per quanto un’interpretazione funzionale del testo legislativo potrebbe suggerire che per tali fasi preparatorie possano predisporsi delle procedure abbreviate ad hoc)324. Alcune critiche toccano le lacune definitorie della norma come nel caso, ad esempio, della nozione di analisi genetica 325: secondo esperti del settore medico e 322 Si rimanda in proposito a quanto già esposto nel Cap. III. MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, 194. 324 Ibidem. 325 L’analisi genetica, di cui all’art.3.a della LIB è definita come quel «procedimento destinato ad individuare la presenza, assenza o alterazione di uno o vari segmenti di materiale genetico, comprese le prove indirette per rilevare un prodotto genetico o un processo metabolico specifico che sia indicativo 323 146 sanitario si tratterebbe di un’imprecisione tecnica da parte del Legislatore che sembra non avere chiara la differenza tra l’identità genetica della persona e le alterazione sopravvenute che sono alla base di differenti processi326. Così come parimenti imprecisa e riduttiva sarebbe la riduzione esemplificativa dei servizi di Anatomia patologica nel testo della legge, a testimonianza della poca attenzione prestata agli esperti del mondo scientifico ed accademico consultati327. Si è trattato, in definitiva, di un provvedimento legislativo che ha tenuto banco a lungo ed è stato al centro di un animato (ed animoso) dibattito parlamentare, ma testimonia senza dubbio l’interesse del legislatore e della società spagnola per le tematiche bioetiche di cui questa legge rappresenta il compromesso328. Il dibattito politico italiano ha invece, al riguardo, fatto esercizio di raffinata eclissi. La già citata Autorizzazione del Garante al trattamento dei dati genetici viene rinnovata senza variazioni dal 2007, stentandosi a trovare un accordo persino sulle definizioni. L’intervento del Legislatore non viene sollecitato e manca ancora un censimento adeguato delle strutture che potrebbero rientrare nella definizione di biobanca329. Si avverte la mancanza di un meccanismo di certificazione delle biobanche che stabilisca gli idonei standard giuridici oltre che operativi e funzionali. Attraverso un recente studio realizzato dal Joint Research Centre dell’Institute for Prospective Technological Studies presso la Commissione Europea, in Italia è stato possibile identificare con certezza solamente otto biobanche di ricerca ed un Consorzio330. Ma non è da escludere, tuttavia, la possibilità dell’esistenza e dell’attività, spesso avvolta nell’anonimato, di biobanche medio-piccole operanti presso molti ospedali nazionali grazie all’impegno personale di singoli medici e ricercatori o all’interesse di amministrazioni ed enti locali. In Spagna, seppur gradatamente e con le soprattutto di una variazione genetica determinata». 326 MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, 195. 327 Ibidem. 328 Ibid., 196. 329 L’esigenza di un censimento nazionale delle biobanche è avvertita da più parti ed è stata sottolineata, in particolare, nel Parere del CNB su una Raccomandazione del Consiglio d’Europa e su un documento del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, relativa a Biobanche e ricerca sul materiale biologico umano, approvato nella seduta Plenaria del 9 giugno 2006 e nelle Linee Guida sulle biobanche genetiche stilate dalla Fondazione Telethon e dalla SIGU già nel 2003. 330 ZIKA E., PACI D., SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., BRAUN A., RIJKERS-DEFRASNE S., DESCHÊNES M., FORTIER I., LAAGE-HELLMAN J., SCERRI C.A., IBARRETA D., Biobanks in Europe: Prospects for Harmonisation and Networking, European Commission, Joint Research Centre, Institute for Prospective Technological Studies, 2010, 83. 147 difficoltà del caso, grazie alle specificità normative, istituzionali e organizzative è stato invece possibile raggiungere traguardi numerici e operativi molto più significativi, a testimonianza quanto meno di un interesse e di un’attenzione maggiore tanto dell’opinione pubblica quanto della classe dirigente. È difficile individuare con certezza le ragioni di tali differenze. Spesso la stessa necessità di bilanciare gli interessi in gioco posti in essere dai vari stakeholders conduce ad un immobilismo legislativo cui probabilmente si deve una buona parte delle problematicità. Ma non solo. L’esperienza basca ha mostrato come una completa valorizzazione delle opportunità offerte dallo sviluppo delle biotecnologie richieda la massima sinergia negli sforzi e nelle azioni dei diversi operatori che possono concorrere a tale valorizzazione, anche in considerazione della necessità di ottimizzare l’uso delle specifiche risorse disponibili, per loro natura scarse. Come si è avuto modo di vedere, la risposta spagnola è stata la creazione di networks di eccellenza scientifica sufficientemente ampi e in grado di garantire, da una parte quella massa critica indispensabile per sopportare gli ingenti costi della ricerca biomedica e genetica, dall’altra un patrimonio umano, sociale e relazionale indispensabile per alimentare il prosieguo della ricerca stessa. Tutto ciò accompagnato da ordinamenti e normative in grado di supportare tale processo. In Italia, a parere di chi scrive, ancora non sono state poste le basi per un mutuo rapporto fiduciario tra biobanca e ricercatore ed i successi fino ad ora raggiunti sembrano essere più fortunate eccezioni che traguardi sistemici. Trentino Biobank si è sviluppata in un contesto socio-economico e politico pronto a tale sfida innovativa posta in essere dalla modernità e dal continuo progresso scientifico e, per come si sta strutturando, potrà sicuramente porsi alla pari di altre realtà internazionali operanti da più tempo nel medesimo settore. 148 Conclusioni All’interno dei suoi due nanometri, la doppia elica del DNA custodisce la chiave di accesso per la comprensione di malattie ritenute fino ad oggi incurabili. Le sue componenti rappresentano, infatti, una straordinaria fonte di informazioni rilevante dal punto di vista scientifico e di riflesso anche economico. Le speranze della scienza e delle medicina personalizzata non sono, però, riposte esclusivamente nel cosiddetto codice della vita. I progressi della ricerca biomedica, raggiunti negli ultimi anni, sono riconducibili sia agli sviluppi della biologia molecolare, che ha permesso l’analisi massiccia dei dati genetici, sia alla possibilità di disporre di una massa critica di campioni biologici, raccolti, annotati e conservati secondo standard di elevata qualità. Da qui, la necessità di creare strumenti di lavoro e strutture come le biobanche, capaci di collezionare in maniera sistematica, organizzata e professionale materiale biologico di origine umana. Il termine biobanca conosce diverse declinazioni all’interno del panorama scientifico, potendosi distinguere a seconda del tipo di materiale che conservano e dello scopo per cui sono state istituite. Di fronte a questo composito panorama, la disciplina giuridica delle biobanche di ricerca appare altrettanto articolata. Manca ancora una definizione condivisa di biobanca e nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines e altri strumenti non vincolanti. Il ruolo dell’interprete, in un simile frangente, è pertanto quello di ricomporre le tessere di questo variegato mosaico, applicando alla disciplina giuridica della biobanca quella regolamentazione, contenuta in altri atti, che può interessarla sotto alcuni profili. Dal panorama normativo internazionale, europeo ed italiano analizzato, emerge forte l’esigenza di creare tassonomie comuni e di predisporre un quadro omogeneo capace di rispondere alle sfide etiche e giuridiche più pressanti sollevate dalle biobanche. Un argomento così complesso non può che essere affrontato a livello multidisciplinare, tenendo conto di tutti i soggetti coinvolti. Se dal punto di vista medico-scientifico è ormai assodata l’importanza del ruolo delle biobanche, dal punto di vista legislativo occorre creare un’adeguata cornice normativa internazionale e nazionale che tuteli sia gli interessi del paziente - predisponendo una disciplina chiara ed equilibrata che regoli le differenti fasi del trattamento del materiale biologico umano 149 “dalla sala operatoria al laboratorio del ricercatore” - sia degli operatori sanitari e dei ricercatori, facendo in modo che questa stessa disciplina sia dotata della flessibilità necessaria per non imbrigliare lo sviluppo scientifico e tecnologico propiziato dalle biobanche. Le questioni giuridiche nuove che necessitano di essere regolate riguardano, in primo luogo, la rete di relazioni che lega la biobanca ed i pazienti-donatori, quali la configurazione di un diritto di proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy (con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici), il dovere di feedback da parte della biobanca ed il delicato ruolo del consenso informato al trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti. Gli effetti giuridici derivanti dalla prestazione del consenso sono al momento ancora piuttosto nebulosi e si è anche visto quanto chiarire la natura giuridica dei campioni biologici sia una quaestio di non facile soluzione. Nei materiali biologici, infatti, si fondono e si confondono le antinomie soggetto-oggetto e proprietà-privacy. Il legame “bi-fronte” che si instaura tra il soggetto ed i suoi tessuti, in quanto supporto materiale, ed il medesimo soggetto e i dati derivanti dal campione deve essere sussunto, come è stato notato da alcuni autori, nella categoria giuridica dell’appartenenza. Per provare a fornire una risposta, sono state qui esaminate le evoluzioni dottrinali e giurisprudenziali che hanno affrontato questa complessa tematica. La dottrina italiana aveva elaborato, già a partire dagli anni’30, alcune soluzioni. Per Carnelutti, ad esempio, la separazione della parte dal corpo perfezionava la nascita del diritto di proprietà in capo al soggetto-fonte. Per Bianca, al contrario, il distacco qualificava giuridicamente i tessuti come res nullius a seguito della derelectio da parte del paziente: il medico operante può pertanto appropriarsene mediante adprehensio (teoria dell’occupazione). Secondo l’opinione di De Cupis, invece, a seguito dell’ablazione, il materiale biologico esce dalla sfera giuridica strettamente personale per entrare immediatamente in quella patrimoniale del soggetto medesimo, senza per questo passare attraverso la condizione intermedia di res nullius. Altre tesi dottrinali ravvisano analogie con la disciplina dei frutti naturali, delle opere dell’ingegno o dell’acquisto per specificazione. 150 Anche la giurisprudenza, dal canto suo, ha cercato di fornire una risposta come si è avuto modo di appurare dalla dettagliata analisi dei casi Moore, Greenberg, Catalona e delle due sentenze spagnole, che offrono soluzioni differenti ed illuminano un particolare aspetto della questione. Analizzando la complessa tematica dell’allocazione delle risorse biologiche attraverso la lente dell’analisi economica del diritto è stato, però, possibile ipotizzare le biobanche organizzate come strutture esercenti una funzione pubblica. In questo modo, esse non sarebbero vincolate esclusivamente alla logica del profitto ma dovrebbero uniformarsi piuttosto a quella dell’equità, effettuando scelte di lungo periodo per promuovere il benessere della collettività. Le biobanche, quindi, gestendo i campioni biologici alla stregua della categoria economica dei commons garantirebbero, da un lato, la riservatezza dei dati personali e, dall’altro, la fruizione e l’equa distribuzione presso i ricercatori. La difficoltà di inquadrare il regime dei campioni staccati dal corpo all’interno delle categorie della proprietà e delle privacy, come testimoniato dalla dottrina e dalla giurisprudenza analizzate, sorge dall’intrinseca ambiguità del materiale biologico umano. La problematica si rivela particolarmente pregnante nell’ambito delle biobanche. Su tale fronte, la dottrina americana sta svolgendo interessanti esplorazioni riguardo nuovi modelli e forme graduate di proprietà, volti a coniugare la relazione soggetto-oggetto in termini diversi ed ulteriori rispetto alla distruzione fisica del materiale o all’anonimizzazione. Si tratta, come abbiamo visto, dell’idea di veracity, quale valore da sostituire alla concetto di privacy e del modello del Biotrust, che segna un svolta partecipativa nella tradizionale visione delle proprietà. Ecco che per ricomporre il quadro e gli interessi coinvolti vale la pena indagare queste soluzioni e partecipare alla riscrittura di un nuovo statuto giuridico del corpo umano. I materiali biologici umani, in quanto beni di rilevanza collettiva, sollecitano una proprietà di «terzo grado» che la categoria economica dei commons potrebbe aiutare a teorizzare. Tale categoria potrebbe risultare funzionale anche per sciogliere il nodo cruciale dello sharing dei dati e dell’accesso alle risorse biologiche raccolte nelle biobanche di ricerca. Il trasferimento di informazioni e materiali avviene solitamente mediante lo strumento contrattuale dell’Material Transfer Agreement. Sono state, però, indagate le 151 alternative elaborate a livello internazionale, come la biobanca open source, i protocolli open access e la governance open access che aprono prospettive affascinanti. Ma la tesi che qui si sostiene muove la proprie mosse dalla considerazione che la biobanca possiede già il potenziale per promuovere la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico fungendo da connettore e catalizzatore tra università, centri di ricerca, enti pubblici ed imprese private. Lo strumento per operare il trasferimento dei materiali potrebbe essere il tanto criticato MTA purché, però, attraverso la predisposizione di apposite regole a livello statutario, vengano snellite le procedure per ottenere la cessione del campione. Per evitare il prospettato fenomeno del “biobank shopping” si potrebbe procedere all’uniformazione dei MTA ad un core di principi stabiliti a livello sovranazionale da organizzazioni o network come EuroBioBank o BBMRI. Quest’ultima soluzione, ad esempio, è stata adottata con successo dal Biobanco Vasco O+ehun. Inoltre, sarebbe perfettamente coerente con l’idea originaria di bailment, che prevede la restituzione del bene al bailor, inserire nell’MTA una clausola di grant back: anche qui il modello spagnolo costituisce un utile riferimento, avendo imposto ad i ricercatori che ottengono i materiali biologici un obbligo di report circa lo studio effettuato, i dati aggregati ed i risultati. La dimensione materiale del tessuto, del resto, è destinata a scomparire, ma ad essa sopravviverà quella informazionale. La biobanca, a parere di chi scrive, dovrebbe stoccare quei dati che non si prestano ad un diretto utilizzo a scopo commerciale granted back dai ricercatori e condividerle. Come si è avuto modo di sottolineare, è preferibile la gestione dei dati di natura pre-competitiva alla stregua di “commons”, lasciandoli liberamente fruibili all’interno della comunità dei ricercatori. Mettendo a disposizione questo genere di informazioni, la biobanca diventerebbe una risorsa strategica in grado di fornire quegli strumenti capaci di accelerare la validazione preclinica del target e di prevenire il dispendioso fenomeno della duplicazione delle ricerche. Inoltre, non ponendo restrizioni alla brevettabilità di quanto derivato dai campioni ceduti dalla biobanca, l’MTA potrebbe ragionevolmente prevedere una clausola con cui il detentore del brevetto accordi al biorepository una licenza di ricerca non esclusiva ed esente da royalties per ciascuna invenzione. 152 Alla luce di quanto emerso, poter fare riferimento a due esempi concreti di biobanche di ricerca all’avanguardia, oltre alla possibilità di effettuare una comparazione tra due realtà europee, è servito a puntualizzare certi aspetti e a fare emergere alcune criticità, a partire dalle quali sarebbe possibile, oltre che auspicabile, avviare una riflessione ed alimentare il dibattito per implementare il sistema. Grazie alla Ley de Investigación Biomédica ed allo sviluppo di biobanche e network coordinato a livello centrale dall’Instituto de Salud Carlos III, l’ordinamento spagnolo è già pronto ad accogliere la regolamentazione tecnica che sarà dettata a breve; con la creazione del Registro Nazionale si stabiliranno in maniera definitiva i criteri di accreditamento e certificazione delle biobanche, ponendo le basi per un mutuo rapporto fiduciario tra biobanca e ricercatore. In Italia, appare evidente la necessità di uno sforzo normativo ulteriore tale da legittimare gli esempi già operativi sul territorio nazionale, ma non ancora ufficialmente riconosciuti, ed incentivare l’ingresso dei nuovi operatori in un settore ormai determinante. Trentino Biobank si è sviluppata in un contesto socio-economico e politico pronto a tale sfida innovativa e, per come si sta strutturando, potrà sicuramente porsi alla pari di altre realtà internazionali operanti da più tempo nel medesimo settore. Viste le potenzialità, mai pienamente valorizzate, presenti sul nostro territorio sarebbe auspicabile un intervento normativo che, almeno a livello definitorio, supportasse la nascita di un “sistema nazionale della ricerca” così da porci come interlocutori sempre più autorevoli nella scena internazionale. 153 154 APPENDICE 1 Simple Letter Agreement for the Transfer of Materials In response to RECIPIENT’s request for the MATERIAL ___________________________________________ the PROVIDER asks that the RECIPIENT and the RECIPIENT SCIENTIST agree to the following before the RECIPIENT receives the MATERIAL: 1. The above MATERIAL is the property of the PROVIDER and is made available as a service to the research community. 2. THIS MATERIAL IS NOT FOR USE IN HUMAN SUBJECTS. 3. The MATERIAL will be used for teaching or not-for-profit research purposes only. 4. The MATERIAL will not be further distributed to others without the PROVIDER’s written consent. The RECIPIENT shall refer any request for the MATERIAL to the PROVIDER. To the extent supplies are available, the PROVIDER or the PROVIDER SCIENTIST agree to make the MATERIAL available, under a separate Simple Letter Agreement to other scientists for teaching or not-for-profit research purposes only. 5. The RECIPIENT agrees to acknowledge the source of the MATERIAL in any publications reporting use of it. 6. Any MATERIAL delivered pursuant to this Agreement is understood to be experimental in nature and may have hazardous properties. THE PROVIDER MAKES NO REPRESENTATIONS AND EXTENDS NO WARRANTIES OF ANY KIND, EITHER EXPRESSED OR IMPLIED. THERE ARE NO EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES OF MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE, OR THAT THE USE OF THE MATERIAL WILL NOT INFRINGE ANY PATENT, COPYRIGHT, TRADEMARK, OR OTHER PROPRIETARY RIGHTS. Unless prohibited by law, Recipient assumes all liability for claims for damages against it by third parties which may arise from the use, storage or disposal of the Material except that, to the extent permitted by law, the Provider shall be liable to the Recipient when the damage is caused by the gross negligence or willful misconduct of the Provider. 7. The RECIPIENT agrees to use the MATERIAL in compliance with all applicable statutes and regulations. 8. The MATERIAL is provided at no cost, or with an optional transmittal fee solely to reimburse the PROVIDER for its preparation and distribution costs. If a fee is requested, the amount will be indicated here: ______________ The PROVIDER, RECIPIENT and RECIPIENT SCIENTIST must sign both copies of this letter and return one signed copy to the PROVIDER. The PROVIDER will then send the MATERIAL. PROVIDER INFORMATION and AUTHORIZED SIGNATURE 155 Provider Scientist:______________________________________________________________ Provider Organization: __________________________________________________________ Address:______________________________________________________________________ Name of Authorized Official: _____________________________________________________ Title of Authorized Official:______________________________________________________ Certification of Authorized Official: This Simple Letter Agreement has / has not [check one] been modified. If modified, the modifications are attached. ______________________________ _______________________ Signature of Authorized Official Date RECIPIENT INFORMATION and AUTHORIZED SIGNATURE Recipient Scientist: ___________________________________________________________ Recipient Organization: ________________________________________________________ Address: ____________________________________________________________________ Name of Authorized Official: ___________________________________________________ Title of Authorized: ___________________________________________________________ Official:_____________________________________________________________________ Signature of Authorized Official:_________________________________________________ Date: _______________________________________________________________________ Certification of Recipient Scientist: I have read and understood the conditions outlined in this Agreement and I agree to abide by them in the receipt and use of the MATERIAL. ______________________________ _______________________ Recipient Scientist Date 156 APPENDICE 2 MATERIAL TRANSFER AGREEMENT (MTA) This Agreement is made the…………..day of ………. 2006 between………………….. whose registered office is situated at …………………………. (hereinafter called "Recipient") and ………………………….., having its principal offices …………………………., (hereinafter "Provider") in the frame of EuroBioBank network. WHEREAS: Ε. EuroBioBank (EBB) is a European network of biological banks, which provides human DNA, cell and tissue samples as a service to the scientific community conducting research on rare diseases. Φ. Provider is a member of the EuroBioBank network and as such has adhered to the EuroBioBank Charter Γ. Recipient is a ………… whose principal object is to research and develop …………….. in the field of rare diseases. Η. Recipient acknowledge that this agreement is entered into in order to encourage scientific collaboration and exchange of data and material in the field of rare diseases. NOW IT IS HEREBY AGREED AS FOLLOWS: Pursuant to Recipient’s request that certain research material be made available for research and/or testing purposes, Provider agrees to provide to Recipient this biological material under the following terms and conditions: 157 Supply of samples and information 15. The research material covered by this agreement, hereinafter “Biological Material” is identified in the Request Form (Appendix A). 16. Within sixty (60) days from the date of this Agreement above, Provider shall provide Recipient with samples of the Biological Material, in good condition along with associated information and data developed by Provider as appropriate. The samples shall be sent to the attention of: ……………., or his designee, at Recipient’s site; …………………. (address of the site for delivery). All custodianship of the Biological Material will pass to Recipient from the point of delivery of the sample to the Recipient’ site. Recipient will then be responsible for its use, storage and disposal for the term of the Agreement. Recipient agrees not to take or send the Biological Material to any other location or to a third party without advance written approval of Provider 17. Recipient hereby accepts, upon the terms and conditions herein specified, the custodianship of the Biological Material to enable Recipient to use the Biological Material for the sole purpose of conducting experimental research to the exclusion of any commercial use of the Biological Material. The experimental research conducted by Recipient with the Biological Material, hereinafter the “Research”, is described in Appendix B. 18. Recipient shall use the Biological Material in compliance with all applicable laws and government regulations. Under no conditions will the Material be used in human subjects. 19. The Biological Material has been collected and processed by Provider in compliance with all applicable laws, rules, regulations and other requirements of any applicable governmental authority, including without limitation those applicable to patient informed consent. 158 20. Prior to the transfer of the Biological Material to Recipient, Provider will ensure that the samples are either coded or anonymised, so that under no circumstances will Recipient be supplied with the identity of the patient, or any basic clinical information, that in Provider’s opinion could identify the patient. 21. Recipient understands that the Biological Material delivered hereby is experimental in nature and should be used with prudence and appropriate caution since not all of its characteristics are known. Recipient assumes all liability for damages, which may arise from the use, storage, handling or disposal of the Biological Material or its derivatives. 22. Provider makes no representations and extends no warranties of any kind, either expressed or implied. Provider and its directors, officers, employees, or agents assume no liability and make no representations in connection with the Biological Material or the derivatives or the information or their use by Recipient or its investigators. Recipient will defend, indemnify and hold harmless Provider, its directors, officers, employees, and agents from any damages, claims, or other liabilities which may be alleged to result in connection with the Biological Material, derivatives or information. There are no expressed or implied warranties of merchantability or fitness for a particular purpose, or that the use of the Biological Material and related information will not infringe any patent, copyright, trademark or other rights. Research results/publication/acknowledgement of contribution 23. Recipient shall share the results of the Research obtained through use of the Biological Material with Provider. In particular, Recipient undertakes to send a copy of any such publication based on use of the Biological Material (or derivative), promptly after it is published, to Provider, and to EuroBioBank at the following e-mail address [email protected] 159 24. In accordance with scientific customs, the contributions of those who have made Biological Material available or of the EuroBioBank Scientists if appropriate, will be reflected expressly in all written or oral public disclosures concerning the Research using the Biological Material, by acknowledgment or co-authorship, as appropriate. The origin of the Biological Material must be included in such disclosures, as follows: “We thank [bank X] for providing the samples. [bank X] is a partner of the EuroBioBank Network established in 2001 thanks to EC funding (01/2003-03/2006), www.eurobiobank.org" Publicity 25. Neither Recipient nor Provider shall use the name of the other party or any contraction or derivative thereof or the name(s) of the other party’s faculty members, employees, contractors or students, as applicable, in any advertising, promotional, sales literature, or fund-raising documents without prior written consent from the other party. Confidentiality 26. Each of Recipient and Provider undertakes to retain in confidence and not disclose to any third party any confidential information and samples received from the other party. Such information may, however, be disclosed insofar as such disclosure is necessary to allow a party, or its employees to defend against litigation, to file and prosecute patent applications, or to comply with governmental regulations. Such obligation of confidentiality shall be waived as to information and samples which (i) is in the public domain; (ii) comes into the public domain through no fault of the receiving party; (iii) was known prior to its disclosure by the receiving party, as evidenced by written records; or (iv) is disclosed to the receiving party by a third party having a lawful right to make such disclosure. Such obligations of confidentiality shall continue for five (5) years from the completion or termination of the Research. Costs 160 27. Recipient will make appropriate payment to cover reasonable administration costs in the supply and transport of the samples but will make no payments for the samples themselves. Term and Termination 28. This agreement will terminate on the earliest of the following dates : (a) XXX years from the date of signing this agreement, or (b) on completion of the Recipient’s current Research with the Biological Material, or (c) on thirty (30) days written notice by either party to the other. 29. On termination for any reason, Recipient agrees to return or dispose of any remaining Biological Material, in accordance with the Provider’s directions. Miscellaneous 30. This Agreement constitutes the complete and exclusive agreement between Provider and Recipient with respect to the subject matter hereof, and supersedes all prior oral or written understandings, communications or agreements not specifically incorporated herein. This Agreement may not be modified. If any provision of this Agreement is held to be unenforceable for any reason, such provision shall be reformed only to the extent necessary to make it enforceable, and such decision shall not affect the enforceability (i) of such provision under other circumstances, or (ii) of the remaining provisions hereof under all circumstances. In witness whereof, Recipient and Provider have executed this agreement as of the date below written. 161 PROVIDER RECIPIENT By : By : Name : Name : Title Title : Date Date : Documents attached : -Request Form -Project description 162 Bibliografia AA. VV., Guía práctica para la utilización de muestras biológicas en Investigación Biomédica,www.catedraderechoygenomahumano.es/images/monografias/guia_muestra. pdf. AA.VV., Principio de Precaución, Biotecnología y Derecho, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2004. ACKERMAN B., Liberating Abstraction, 59 U. Chi. Law Rev., 317 (1992). ADAMS K.E., A Manual of Style for Contract Drafting, Chicago, American Bar Association, 2004. ALKORTA IDIAKEZ I., Human Tissue and Cells Regulation in Spain: looking at Europe to solve inner contradictions?, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.29 (2008). ALPA G., BESSONE M., (a cura di), Causa e Consideration, Padova, CEDAM, 1984. ALPA G. BESSONE M., (ed.), Il contratto standard nel diritto interno e comunitario, a c. di F. Toriello, Torino, Giappichelli, 1997. ALPA G. BESSONE M., Tecnica e controllo dei contratti standard, Rimini, Maggioli, 1984 ANDREWS L., NELKIN D., Homo economicus. The commercialization of body tissue in the age of biotechnology, Hastings Cent. Rep., 1998. ANDREWS L., NELKIN D., Il mercato del corpo. Il commercio dei tessuti umani nell’era biotecnologica, Milano, Giuffrè, 2002. 163 ANDREWS L., Two Perspective: Rights of Donors: Who Owns Your Body? A Patient’s Perspective on Washington University v. Catalona, 34 J. L. Med. & Ethics, 398, (2006). AOKI R., NAGAOKA S., The consortium standard and patent pools, 55 The Economic Review, 345 (2004). BARBARESCHI M., COTRUPI S., GUARRERA G.M., Biobank: strumentazione, personale e analisi dei costi, in Pathologica, 139, (2008). BARNES M.R., HARLAND L., FOORD S.M., HALL M.D., DIX I., THOMAS S., WILLIAMS-JONES B.I., BROUWER C.R., Lowering industry firewalls: pre-competitive informatics initiatives in drug discovery, Nature Rev. Drug Discovery, 8, 701 (2009). BAUD J.P., Il caso della mano rubata: una storia giuridica del corpo, Milano, Giuffrè, 2002. BEALE H., HARTKAMP A., KÖTZ H., TALLON D., Cases, Materials and Texts on Contract Law, Oxford, Hart Publishing, 2002. BELLANTUONO G., IAMICELI P., Analisi economica del diritto, Trento, Uniservice, 2005. BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L., THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D., FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds., Intellectual Property Management in Health and Agricultural Innovation: A Handbook of Best Practices, Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007. BESS FRANK J., Body Snatching: a Grave Medical Problem, Yale Journal of Biology and Medicine 49, 399 (1976). BHARDWAJ M., Biobank and the notion of Justice in Health, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 267-278. 164 BIANCA C. M., Diritto civile. I soggetti, Milano, Giuffrè, 1978. BISI S., DI COCCO C., Open source e proprietà intellettuale. Fondamenti filosofici, tecnologie informatiche e gestione dei diritti, Bologna, Gedit, 2008. BLACKSTONE W., Commentaries on the Laws of England, edited by W. Morrison, London, Cavendish, 2001, vol. II. BLOHM-SEEWALD C., El acceso y la distribución de beneficios en relación con los biobancos, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 279-315. BOGGIANO A., International standard contracts: the price of fairness, Grham & Trotman, Dordrecht, 1991. BOGGIO A., Charitable Trust and Human Genetic Databases: The Way Forward?, Genomic Soc. Policy, 41, (2005). BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on Researchers, in ELGER B., BILLER-ANDORNO N., MAURON A., CAPRON A., eds., Ethical Issues in Governing Biobanks: Global Perspectives, Farnham, Ashgate, 2008, 231. BORRÀS PENTINAT S., Bioprespección, el acceso a los recursos genéticos y el aprovechamiento compartido de los beneficios, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Retos en la investigación y comercialización de nuevos fármacos, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 133-181. BOULIER W., Sperm, spleens and other valuables: the need to recognize property rights in human body parts, 23 Hofstra Law Rev., 693, (1995). BOYLE J., Shamans, Software and Spleens: Law and the construction of the Information Society, Cambridge, Harvard University Press, 1996. 165 BUDDS B.B., Toward a Just Model of Alienability of Human Tissue, 37 USF Law Rev., 757, (2003). BURROW B., Second Thoughts about U.S. Patent #4,438,032, Genewatch 10, 4(1996). BUSNELLI D., Bioetica e diritto privato: frammenti di un dizionario, Torino, Giappichelli, 2001. CALABRESI G., Do We Own Our Bodies, Health Matrix, 19, (1991). CALABRESI G., Una introduzione al pensiero giuridico: quattro approcci al diritto e al problema del regime giuridico delle parti del corpo umano, in Riv. crit. dir. priv., IV, 755, (1991). CAMBON-THOMSEN A., Assesing the Impact of Biobanks, 34 Nature Genetics, 25 (2006). CAMPBELL A.V., The Body in Bioethics, Routledge-Cavendish, 2009. CAPLAN A.L., ELGER B.S., Consent and Anonymization in Research Involving Biobanks, 7 Embo Reports, 661, (2006). CARNELUTTI F., Problema giuridico della trasfusione del sangue, in Foro Italiano, IV, 89, (1938). CASADO DA ROCHA A., ETXEBERRIA AGIRIANO A., El consentimiento informado ante los biobancos y la investigación genética, ARBOR Ciencia, Pensamiento y Cultura, CLXXXIV 730 marzo-abril, 249, (2008). CASO R., Digital Rights Management –Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore, Padova, CEDAM, 2004. CASO R. (a cura di), Digital Rights Management: problemi teorici e prospettive applicative, Atti del convegno tenuto presso la Facoltà di Giurisprudenza di Trento il 21 166 ed il 22 marzo 2007, Trento, Università di Trento, Dipartimento di scienze giuridiche, 2008. CASONATO C., Introduzione al biodiritto, Torino, Giappichelli, 2009. CHERUBINI M.C., Tutela della salute ed atti di disposizione del corpo, in BUSNELLI F. D., BRECCIA U., eds. Tutela della salute e diritto privato, Milano, 1978, 94. CHESBROUGH H., Managing Open Innovation: Chess and Poker, Research Technology Management, 47, 1, 23 (2004). CHESBROUGH H., Open Innovation: How Companies Actually Do It, Harvard Business Review, 81, 7, 12 (2003). CHESBROUGH H., Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from Technology, Boston, Harvard Business School Press, 2003. CHESBROUGH H., Open Platform Innovation: Creating Value from Internal and External Innovation, Intel Technology Journal, 7, 3, 5(2003). CHESBROUGH H., The Era of Open Innovation, Sloan Management Review, 44, 3, 35(2003). CHESBROUGH H., VANHAVERBEKE W., WEST J. (eds.), Open Innovation: Researching a New Paradigm, Oxford, Oxford University Press, 2006. CHESHIRE G.C., Il concetto del “Trust” secondo la Common Law inglese, Torino, Giappichelli, 1998. CLARK J., PICCOLO J., STANTON B., TYSON K., Patent pools: a solution to the problem of access in biotechnology patents?, in White Paper commissioned by Q. Todd Dickinson, 167 the Under Secretary of Commerce for IP and Director of US Patent and Trademark Office, 2000. COGDELL K., Saving the Leftovers: Models for Biobanking Cord Blood Stem Cells, 39 U. Mem. L. Rev., 229, (2009). COOTER R., MATTEI U., MONATERI P.G., PARDOLESI R., ULEN T., Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile, Bologna, Il Mulino, 1999. CRISCUOLI G., L'acquisto delle parti staccate del proprio corpo e gli art. 820-821 c.c., in Riv. dir. di fam. e pers., XIV, 266 (1985). D’ADDINO SERRAVALLE P., Atti di disposizione del corpo e tutela della persona umana, Camerino - Napoli, Esi, 1983. DARÍO BERGEL S., El principio de precaución como criterio orientador y regulador de la bioseguridad, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 1-22. DE ÁVALA E., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa. DE CUPIS A., I diritti della personalità, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, Giuffrè, 1982. DELFANTI A., Collaborative web between open and closed science, Journal of Science Communication 7, 2 (2007). DE MARTINO F., Dei beni in generale. Artt. 820-821, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca, a c. di F. Galgano, Bologna, Zanichelli, Roma, Il Foro italiano, 1976, 57. 168 DE SANCTIS V.M., FABIANI M., I contratti di diritto d’autore, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e commerciale, Milano, Giuffrè, 2000. DE VELASCO J.M., La biotecnología y el principio de solaridad, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 95-114. DOGLIOTTI M., Atti di disposizione del corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., I, 241, (1990). DOVE A., When Science Ride the MTA, 110 J Clin Invest., 4, 425 (2002). EDWARDS A.M., Bermuda Principles meet structural biology, Nature Structural and Molecular Biology, 15, 116 (2008). EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical probes to support drug discovery, 5 Nature Chemical Biology, 7, 436 (2009). EKINS S., WILLIAMS J.A. Precompetitive preclinical ADME/Tox data: set it free on the web to facilitate computational model building and assist drug development. Tools and Resources, Lab Chip,10, 13 (2010). EVERETT M., The “I” in the gene: Divided property, fragmented personhood, and the making of a genetic privacy law, 34 American Ethnologist, II, 375, (2007). EYSENBACH G., Medicine 2.0: Social Networking, Collaboration, Participation, Apomediation and Openess, Journal of Medical Internet Research 10, 3 (2008). FAURE M., Tort Law and Economics, Cheltenham, Northampton, Elgar, 2009. 169 FERNÁNDEZ BRAÑAS F.J., La Oficina Europea de Patentes y la patente biotecnológica, en ROMEO CASABONA C.M., (ed.), Retos en la investigación y comercialización de nuevos fármacos, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 107-115. FERRANDO G., Il principio di gratuità. Biotecnologie e «Atti di disposizione del corpo», in Eur. dir. priv., 761, (2002). FERRARA F., Teoria del negozio illecito nel diritto civile italiano, Soc. Ed. Libraria, 1914. FROSINI V., «Mors tua vita mea» Accertamento della morte e trapianto di organi e tessuti biologici., Giur. it., (1994). GAMBARO A., La proprietà. Beni, proprietà, comunione, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, Giuffrè, 1990. GAMBARO A., SACCO R., Sistemi giuridici comparati, Torino, UTET, 2008. GILMORE G., Le grandi epoche del diritto americano, Milano, Giuffrè, 1991. GIBBONS S.M.C., Regulating Biobanks: A Twelve-Point Typological Tool, 17 Med. Law Rev., 313, (2009). GITTER D.M., Ownership of Human Tissue: a Proposal for Federal Recognition of Human Research Participants’ Property Rights in Their Biological Material, Wash. Lee Law Rev., 257, (2004). GITTER D.M., Resolving the open source paradox in biotechnology: a proposal for a revised open source policy for publicly funded genomic databases, 43 Hous. L. Rev., 1475, (2007). GOLD E.R., Body Parts, Property Rights and the Ownership of Human Biological Materials, Georgetown University Press, 1998. 170 GOLD E.R., BUBELA T., Drafting Effective Collaborative Research Agreement and Related Contracts, in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L., THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D., FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds., Intellectual Property Management in Health and Agricultural Innovation: A Handbook of Best Practices, Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007, 725. GOTTWEIS H., LAUSS G., Biobank governance in the post-genomic age, Personalized Medicine 7(2), 187 (2010) . GOTTWEIS H., PETERSEN A., (eds.), Biobanks. Governance in a comparative perspective, London, New York, Routledge, 2008. GRASSLER F., CAPRIA M.A., Patent Pooling: uncorking a technology transfer bottleneck and creating value in the biomedical research field, 9 Journal of Commercial Biotechnology, 2, 111 (2003). GREELY H.T., Breaking the Stalemate: a prospective regulatory framework for unforeseen research uses of human tissue samples and health information, Wake Forest Law Rev 34, 737 (1999). GRIGORENKO E.L., BOUREGY S., Biobanking on a Small Scale: Practical Consideration of Establishing a Single-Researcher Biobank, Stanford Journal of Law, Science & Policy, 33, (2009). GROSSI P., La proprietà e le proprietà nell’officina dello storico, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006. GROSSI P., Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Quaderni fiorentini, n.5-6, 265, (1978). GRUBB A., FURMSTON M., eds., Tha Law of Contract, Butterworths, London, 1999. 171 HANEY C., CARBONE J., GOLD R., BUBELA T., HOLMAN C.M., COLAIANNI A., LEWIS T., COOKDEGAN R., The Perils of Taking Property Too Far, Stanford Journal of Law, Science & Policy, 46, (2009). HARDCASTLE R., Law and the Human Body: Property, Rights. Ownership and Control, Oxford, Hart Publishing, 2007. HARDIN H., The Tragedy of the Commons, Science, 1243, (1968). HARRIS D., CAMPBELL D., HALSON R., Remedies in Contract & Tort, London, Edinburgh, Butterwoths, 2002. HARRIS J., Law and regulation of retained organs: the ethical issues, Journal of Law, Medicine & Ethics, 527, (2007). HEINRICHS B., A comparative Analisis of Selected European Guidelines and Recommendations for Biobanks with Special Regard to the Research / Non –Research Distinction, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.27, (2007). HELGESSON G., JONHASSON L., The Right to Withdraw Consent to Research on Biobank Samples, Medicine, Health Care and Philosophy, VIII, 315, (2005). HENDERSON J., Counterpoint: MTAs are a practical necessitiy, 25 Nature Biotechnology, 722 (2007). HERRING J., CHAU P. L., My body, Your Body, Our Body, 15 Med. Law Rev., 34, (2007). HESS C., OSTROM E., La conoscenza come bene comune: dalla teoria alla pratica, Milano, ESBMO, 2009. 172 HOPE J., Biobazaar: The Open Source Revolution and Biotechnology, London, Harvard University Press, 2008. HUANG S.T., KAMEL BOULOS M.N., DELLAVALLE R.P., Scientific discourse 2.0. Will your next poster session be in Second Life?, EMBO reports 9, 6, 496 (2008). HYMAN D.A., Institutional Review Boards: is this the least worst we can do?, 101 Northwestern University Law Review, 2, 749 (2007). INDECH B., The International Harmonization of Human Tissue Use and Tissue Banking in Select Countries and Current State of International Harmonization Effort, 55 Food Drug Law J., 343 (2000). Izzo U., Alle origini del copyright e del diritto d’autore. Tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, Roma, Carocci, 2010. JOHNSTON C., KAYE J., Does the UK Biobank Have a Legal Obligation to Feedback Individual Findings to Participants?, 12 Med. Law Rev., 239, (2004). KANT I., Lezioni di etica, Roma, Bari, Laterza, 1998. KAYE J., STRANGER M., eds., Principle and Practice in Biobank Governance, Farnham, Ashgate, 2009. KNOPPERS B. M., Biobanks: New Challenges for Bioethics and Biolaw, in Justitia, I, 47, (2006). KNOPPERS B.M., L’integrità del patrimonio genetico: diritto soggettivo o diritto dell’umanità?, in Pol. Dir., II, 341, (1990). KU K., Point: MTAs are the bane of our existence!, 25 Nature Biotechnology, 721 (2007). 173 LACADENA J.R., La Ley 14/2007 de Investigación Biomédica: algunos comentarios sobre aspectos éticos y científicos, Revista de Derecho y Genoma Humano, n. 27, (2007). LAMETTI D., The (Virtue) Ethics of Private Property: A Framework & Implications, in HUDSON A. (ed.), New Perspectives on Property Law, Obligations and Restitution, London, Cavendish Press, 2003, 39. LAMETTI D., The Concept of Property: Relations Through Objects of Social Wealth, 53 U of Toronto LJ, 325 (2003). LANDES W.M., POSNER R.A., The economic structure of intellectual property law, Belknap press of Harvard University Press, 2003. LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property protection for biological research, 27 Nature Biotechnology, 1, 36 (2009). LEI Z., WRIGHT B., Reply to Conflating MTAs and patents, 27 Nature Biotechnology, 505 (2009). LEMKE A.A., WOLF W.A., HEBERT-BEIRNE J., SMITH M.E., Public and Biobank Participant Attitudes toward Genetic Research Participation and Data Sharing, Public Health Genomics, (2010). LOCKE J., Il secondo trattato sul governo: saggio concernente la vera origine, l'estensione e il fine del governo civile, Milano, Rizzoli, 2002. LUNSHOF J. E., CHADWICK R., VORHAUS D.B., CHURCH G.M., From genetic privacy to open consent, Nature Reviews Genetics 9, 406(2008). 174 MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca (Property, Informations and Interests in the Regulation of Research Biobank), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 7-8, 222, (2008). MACILOTTI M., Consenso informato e biobanche di ricerca (Informed Consent and Research Biobanks), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 3, 153, (2009). MACILOTTI M., IZZO U., PASCUZZI G., BARBARESCHI M., La disciplina giuridica delle biobanche (The Legal Aspect of Biobanks), in Pathologica, 86, (2008). MAIORCA S., Contratti standard, Torino, UTET, 1981. MALINOWSKI M.J., RAO R., Legal Limitations on Genetic Research and the Commercialization of its Results, The American Journal of Comparative Law, 45, (2006). MARTÍN URANGA A., La protección jurídica de las innovaciones biotecnológicas, Bilbao, Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano, 2003. MARTÍN URANGA A., MARTÍN-ARRIBAS Mª C., DI DONATO J., POSADA DE LA PAZ M., Las cuestiones ético-jurídicas más relevantes en relación con los biobancos. Una visión a la legislación de los países membro del proyecto EuroBioBank, Madrid, Instituto de Salud Carlos III-Ministerio de Sanidad y Consumo, 2005. MASON J.K., LAURIE G.T., Consent or property? Dealing with the body and its parts in the shadow of Bristol and Alder Hey, Mod. Law Rev., 64, (2006). MASTRANDEA M., Artt. 820-821, in Commentario al codice civile, a c. di P. Cendon, Milano, Giuffrè, 2009, 105. MATTEI U., Il modello di common law, Torino, Giappichelli, 2004. 175 MERGES R., Institutions for intellectual property transactions: the case of patent pools, in DREYFUSS R., ZIMMERMAN D.L., FIRST H., (eds), Expanding the Boundaries of Intellectual Property, Oxford University Press, 2001. MERTON R.K., The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Investigations, Chicago, London, University of Chicago Press, 1973. MESSINETTI, Principio di gratuità e atti di disposizione del proprio corpo, in Confini attuali dell’autonomia privata, a c. di Belvedere e Granelli, Padova, Cedam, 2001, 5. MEYER M.N., The Kindness of Strangers: The Donative Contract Between Subjects and Researchers and the Non-Obligation to Return Individual Results of Genetic Research, The American Journal of Bioethics, 44, (2008). MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, Granada, Comares, 2007. MUSTI B., Il contratto di «licenza d’uso» del software, in Contratto e Impresa, 1289 (1998). NELSON B., Data Sharing Empty Archives, 461 Nature, 160, (2009). NEYERS J.M., BRONAUGH R., PITEL S.G.A. (eds.), Exploring Contract Law, Oxford, Hart Publishing, 2009. NICOL D., Public Trust, Intellectual Property and Human Genetic Databanks: The Need to Take Benefit Sharing Seriously, 3 JIBL, 89, (2006). NICOLÁS JIMÉNEZ P., La protección jurídica de los datos genéticos de carácter personal, Bilbao, Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano, 2006. 176 NICOLÁS JIMÉNEZ P., Los derechos del paciente sobre su muestra biológica: distintas opiniones jurisprudenciales, Revista de derecho y genoma humano, n.19, 207, (2003). NICOLÁS JIMÉNEZ P., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa. NOONAN K., Conflating MTAs and patents, 27 Nature Biotechnology, 504 (2009). NYS H., FOBELETS G., The regulation on biobanks in Spain, Revista de derecho y genoma humano, n.29 (2008). NWABUEZE R.N., Donated Organs, Property Rights and the Remedial Quagmire, 16 Med. Law Rev., 201, (2008). OPPENHAIM L., INGRAM S. P., Trusts, St. Paul, West publishing, 1977. ORFAO DE MATOS A., Biobancos, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa. OSTROM E., Governare i beni collettivi, Venezia, Marsilio, 2006. PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo, Foro it., IV, 417, (1989). PALAZZANI L., Le biobanche come problema per il biodiritto, in Justitia, I, 31, (2006). PALMER N.E., Bailment, London, Sweet and Maxwell, 1991. PALMERINI E., Le scelte sul corpo: i confini della libertà di decidere, Atti della relazione tenuta presso il Consiglio Superiore della Magistratura – Roma, 9-10 giugno 2005, pubblicati dal sito del CSM. 177 PARDOLESI R., TASSONE B., I giudici e l’analisi economica del diritto privato, Bologna, Il Mulino, 2003. PASCUZZI G., Cercare il diritto. Come reperire la legislazione, la giurisprudenza e la dottrina consultando libri e periodici specializzati, Bologna, Zanichelli, 2005. PASCUZZI G., Cyberdiritto 2.0. Guida alle banche dati italiane e straniere, alla rete internet e all’apprendimento assistito da calcolatore, Bologna, Zanichelli, 2003. PASCUZZI G., Giuristi si diventa, Bologna, Il mulino, 2008. PASCUZZI G., Il diritto dell’era digitale: tecnologie informatiche e regole privatistiche, Bologna, Il mulino, 2008. PASCUZZI G., (a cura di), Pacta sunt servanda. Giornale didattico e selezione di giurisprudenza sul diritto dei contratti, Bologna, Zanichelli, 2006. PATTI G., PATTI S., Responsabilità precontrattuale e contratti standard, Milano, Giuffrè, 1993. PERAKSLIS E.D., VAN DAM J., SZALMA S., How Informatics Can Potentiate Precompetitive Open-Source Collaboration to Jump-Start Drug Discovery and Development, Clinical Pharmacology & Therapeutics, 87, 614 (2010). PEREZ SALOM J.R., Hacia un régimen internacional sobre el acceso a los recursos genético y la participación en sus beneficios, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, pp. 115-143. PETRINI C., PURIFICATO I., GRISANTI F., (eds.), Convegno. Aspetti etici della ricerca biomedica e sperimentazione clinica. Istituto Superiore di Sanità. Roma 18 marzo 2009. Atti., Roma, Istituto Superiore di Sanità, 2009 (Rapporti ISTISAN 09/40). 178 PIAZZA A., Le biobanche: tra genetica e biodiritto, in Justitia, 1, 41, (2006). PICARO R., Contratti ad oggetto informatico, in Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, a c. di F. Bocchini, I, Torino, Giappichelli, 2003. PICIOCCHI C., La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., III, 1301, (2001). PINESCHI L., La tutela internazionale dei diritti umani. Norme, garanzie, prassi, Milano, Giuffrè, 2006. PIRIA C., Interessi scientifici e patrimoniali su parti staccate dal corpo oggetto di ricerche biotecnologiche, in Rass. di dir. farm., XXI, 808 (1990). PORTIGLIATTI BARBOS M., Comitati etici tra urgenza e disincanto, Dir. Pen. e Processo, 11, 1246 (1995). POSNER R.A., Economic Analysis of Law, New York, Wolters Kluwer, 2007. PRAINSACK B., REARDON J., HINDMARSCH R., GOTTWEIS H., NAUE U., LUNSHOF J.E., Personal genomes: misdirect precaution, Nature 456(7218):34-5(2008). PRICE D., Organ and Tissue Transplantation, Farnham, Ashgate, 2006. QUIGLEY M., Property: The future of Human Tissue?, 17 Med. Law Rev., 457, (2009). RAM N., Assigning Rights and Protecting Interests: Constructing Ethical and Efficient Legal Rights in Human Tissue Research, 23 Harv. J. Law & Tec., 119, (2009). RAO R., Property, privacy and the human body, Boston Univ. Law Rev., 359, (2000). 179 RAO R., Reconceiving Privacy: Relationships and Reproductive Techonology, 45 UCLA Law Rev, 1078 (1998). RICHLIN H., Lucy’s Bones, Sacred Stones and Einstein’s Brain: the Remarkable Stories Behind the Great Object and Artifacts of History, from Antiquity to the Modern Era, New York, Henry Holt & Co., 1996. RIZZO V., Atti di disposizione del corpo e tecniche legislative, in Rass. dir. civ., 618, (1989). RODOTÀ S., Ideologie e tecniche della riforma del diritto civile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2007. RODOTÀ S., Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, Bologna, Il mulino, 1990. RODOTÀ S., Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Riv. crit. dir. priv., 467, (1994). RODOTÀ S., La vita e le regole: tra diritto e non diritto, Milano, Feltrinelli, 2009. RODOTÀ S., Tecnologie e diritti, Bologna, Il mulino, 2005. RODRIGUEZ V., Governance of material transfer agreements, Technology in Society 30, 122 (2008). RODRIGUEZ V., Material Transfer Agreements: A Review of Modes and Impacts, Prometheus 27, 2, 141(2009). RODRIGUEZ V., Material transfer agreements: open science vs. proprietary claims , 23 Nature Biotechnology 4, 489 (2005). ROMEO CASABONA C.M., DE MIGUEL BERIAN I., Ética de la BioTecnología. Una introducción, Granada, Comares, 2010. 180 ROMEO CASABONA C.M., Ley de Investigación Biomédica, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.26, 1, (2007). ROMEO CASABONA C.M., Los genes y sus leyes. El Derecho ante el Genoma Humano, Bilbao, Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano, 2002. ROMEO CASABONA C.M., Utilización de muestras biológicas humanas con fines de investigación biomédica y regulación de biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, Granada, Comares, 2007. ROMEO CASABONA C.M., NICOLÁS JIMÉNEZ P., ROMEO MALANDA S., Biobanks in Spain, in ROMEO CASABONA C.M., SIMON J., (coord.), LatinBanks. Study on the legal and social implications of creating banks of biological material, Bruxelles, Ed. Bruylant, in printing. ROMEO MALANDA S., Biobancos, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa. ROMEO MALANDA S., NICOL D., Protection of Genetic Data in Medical Genetics: A Legal Analysis in the European Context, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.27, (2007). ROPPO E., Contratti standard: autonomia e controlli nella disciplina delle attività negoziali di impresa, Milano, Giuffrè, 1975. ROPPO V., Il contratto, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, Giuffrè, 2001. ROSEN H. S., Scienza delle finanze, McGraw-Hill, 2007. 181 ROSSATO A., Diritto e architettura nello spazio digitale. Il ruolo del software libero, Padova, CEDAM, 2006. ROSSATO A., Le ragioni del libero accesso, in ZICCARDI G. (a cura di), Nuove tecnologie e diritti di libertà nelle teorie nordamericane: open access, creative commons, software libero, DRM, terrorismo, contenuti generati dagli utenti, copyright, Modena, Mucchi, 2007, 51. ROSSI P., La tecnica non ha morale, spetta agli uomini guidarla. Telèma, 13, 65 (1998). ROWE L. B., You Don’t Own Me: Recommendations to Protect Human Contributors of Biological Material After Washington University v. Catalona, 84 Chi.-Kent L. Rev., 227, (2009). SACCO R., Introduzione al diritto comparato, Torino, UTET, 1992. SALARIS M.G., Corpo umano e diritto civile, Milano, Giuffrè, 2007. SÁNCHEZ MORALES M.H., Biotecnología y sociedad en el nuevo siglo, in Revista de Derecho y Genoma Humano, XXVI, 249 (2007). SANTORO L., Il negozio fiduciario, Torino, Giappichelli, 2002. SANTORO-PASSARELLI F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, Jovene, 1971. SANTORO-PASSARELLI F., Istituzioni di diritto civile. Dottrine generali, Napoli, Jovene, 1946. SANTOSUOSSO A., Corpo e libertà. Una storia tra diritto e scienza, Milano, Cortina, 2001. 182 SCHOFIELD P.N., BUBELA T., WEAVER T., PORTILLA L., BROWN S.D., HANCHOCK J.M., EINHORN D., TOCCHINI-VALENTINI G., DE ANGELIS M.H., ROSENTHAL N., Post-publication sharing of data and tools, Nature 461, 171(2009). SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., PACI D., IBARRETA D., Data Protection in Biobanks – A European challenge for the long-term sustainability of Biobanking, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.31, (2009). SELLAROLI V., CUCCA F., SANTOSUOSSO A., Shared genetic data and the rights of involved people, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.26, 193, (2007). SEOANE J.A., CASADO DA ROCHA A., Consentimiento, biobancos y Ley de Investigación Biomédica, Revista de Derecho y Genoma Humano, n. 29, (2008). SHNEIDERMAN B., Science 2.0, Science, Vol. 319. no. 5868, 1349(2008). SHULTZ S.M., Body Snatching: the Robbing of Graves for the Education of Physicians in Early Nineteenth Century America, McFarland, 2005. SIMON J., Biopatents, Intellectual Property Rights and TRIPS, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009, 145. SMITH R.D., THORSTEINDÓTTIR H., DAAR A.D., GOLD E.R., SINGER P.A., Genomics knowledge and equity: a global public goods perspective of the patent system, 82 Bulletin of the World Health Organization, 5, (2004). SONNEVELDT F., VAN MENS H.L., eds., The trust: a bridge or abyss between common law and civil law jurisdictions?, Boston, Kluwer, 1992. SPAGNOLO, CICERONE, MINACORI, Biobanche: aspetti etici della conservazione del materiale biologico umano, in Justitia, I, 63, (2006). 183 STALLMAN R., Software Libero Pensiero Libero, Viterbo, Nuovi Equilibri, 2004. STAYN S., Biobanking of Blastocysts for Research to Improve Human Health: The Need for Coherent National Policy, Stanford Journal of Law, Science & Policy, 7, (2009). STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered. Exploring New Approches to Property in Human Tissue, Farnham, Ashgate, 2009. STELL L. K., Dueling and the Right to Life, 90 Ethics ,16 (1979). STREITZ W., BENNETT A., Material Transfer Agreements: A University Perspective, Plant Phisiology, 133, 10 (2003). SUTER S., Disentangling privacy from property: toward a deeper understanding of genetic privacy, 72 Georg. Wash. Law Rev., 737, (2004). TALLACCHINI M., Habeas Corpus? Il corpo umano tra non-commerciabilità e brevettabilità, in Bioetica, 531, (1998). TALLACCHINI M., Retorica dell’anonimia e proprietà dei materiali biologici, in D’AGOSTINO F. (ed.), Corpo esibito, corpo violato, corpo venduto, corpo donato, Milano, 2003. TAPSCOTT D., WILLIAMS A.D., Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando il mondo, Bergamo, Bur, 2010. TEEVEN K.M., A History of the Anglo-American Common Law of Contract, New York, Greenwood Press, 1990. THORNE E.D., When Private Parts are Made Public Goods: The Economics of MarketInalienability, 15 Yale J. on Reg, 149, (1998). 184 TORRENTE A., SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, Milano, Giuffrè, 2007. TRAVIS J., Science by the Masses, Science, Vol. 319. no. 5871, 1750 (2008). TUTTON R., Biobanking: Social, Political and Ethical Aspects, in Encyclopedia of Life Science, John Wiley & Sons, Chichester, 2010. VAN OVERWALLE G., Bio-Patents, law and ethics. Critical analysis of the EU biotechnology Directive, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.19, 187,(2003). VAN OVERWALLE G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models and liability regimes, Cambridge, Cambridge University Press, 2009. VALERIO C., El consentimiento colectivo en el acceso a recursos genéticos de origen humano: análisis genéticos en poblaciones indígenas, en ROMEO CASABONA C.M. (ed.), Biotecnología, desarrollo y justicia, Bilbao, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, 2009. VERBEURE B., VAN ZIMMEREN E., MATTHIJS G., VAN OVERWALLE G., Patent pools and diagnostic testing, 24 Trends in Biotechnology, 3, 115 (2006). VILLANI L., Biobanche e test rivelatori di informazioni genetiche: spunti di riflessione per un nuovo consenso informato, in Resp. civ., 140, (2010). VOSKUIL C.C.A., WADE J.A., (eds.), International sales, standard forms-general conditions, the sole distributor, International arbitration-national adjudication, La Hague, TCM Asser Institute, Dordrecht, 1983. 185 WALLACE S., BÉDARD K., KENT A., KNOPPERS B.M., Governance mechanisms and population biobanks: building a framework for trust, GenEdit, 6, (2008). WARREN S.M., BRANDEIS L.D., The right to privacy, IV Harvard Law Review 5, 193 (1890). WATSON A., Il trapianto di norme giuridiche: un approccio al diritto comparato, Napoli, Esi, 1984. WEIGELT J., The case for open-access chemical biology, 10 EMBO reports, 9, 941 (2009). WEIR R.F., OLICK R.S., MURRAY J.C., The stored tissue issue: biomedical research, ethics, and the law in the era of genomic medicine, New York-Oxford, Oxford University Press, 2004. WINICKOFF D.E., Biosamples, Genomics and Human Rights: Context and Content of Iceland’s Biobanks Act, J. Biolaw and Buisness, 11, (2001). WINICKOFF D.E., From Benefit Sharing to Power Sharing: Partnership Governance in Population Genomics Research, UC Berkeley, Center for the Study of Law and Society Jurisprudence and Social Policy Program, 2008. WINICKOFF D.E., Genome and Nation. Iceland’s Health Sector Database and its Legacy, Innovation, 80, (2006). WINICKOFF D.E, Partnership in U.K. Biobank: A Third Way for Genomic Property, J. of Law, Med. & Ethics, 440, (2007). WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the public in the ‘biotrust’ model, Genom Soc Policy, 8, (2005). 186 WINICKOFF D.E., WINICKOFF R.N., The charitable biotrust as a model for genomic biobanks, 349 N Engl J Med, 1180, (2003). WOOSLEY R.L., MYERS R.T., GOODSAID F., The Critical Path Institute’s Approach to Precompetitive Sharing and Advancing Regulatory Science, Clinical Pharmacology & Therapeutics, 87, 530 (2010). YATES S., HAWKINS A.J., Standard business contracts: exclusions and related devices, London, Sweet & Maxwell, 1986. ZATTI, Il Corpo e la nebulosa dell’appartenenza, in Nuova giurisprudenza civile commentata, II, 3, (2007). ZIKA E., PACI D., SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., BRAUN A., RIJKERS-DEFRASNE S., DESCHÊNES M., FORTIER I., LAAGE-HELLMAN J., SCERRI C.A., IBARRETA D., Biobanks in Europe: Prospects for Harmonisation and Networking, European Commission, Joint Research Centre, Institute for Prospective Technological Studies, 2010. 187 188