La disciplina giuridica delle biobanche di ricerca

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La disciplina giuridica delle biobanche di ricerca
INDICE
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE BIOBANCHE DI RICERCA
Introduzione………………………………………………………………………………………5
CAPITOLO I – LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLA BIOBANCHE: LA CORNICE NORMATIVA.
1. Introduzione……………………………………………………………………11
2. Oggetto della ricerca……………………………………………………….......12
3. Alla ricerca delle fonti………………………………………………………….16
4. La disciplina internazionale……………………………………………………16
4.1 Le Dichiarazioni UNESCO………………………………………………...17
4.2 Gli atti del Consiglio d’Europa…………………………………………….21
4.3 Gli strumenti di soft law……………………………………………………27
5. La disciplina comunitaria………………………………………………………29
6. La disciplina italiana……………………………………………………………37
6.1. L’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici………………………....40
7. Conclusioni……………………………………………………………… …….46
CAPITOLO II – LA NATURA GIURIDICA DEI CAMPIONI BIOLOGICI STOCCATI NELLE BIOBANCHE
1. Il
rapporto
biobanca-donatore:
nuove
interpretazioni
v.
nuove
regolamentazioni……………………………………………………………….47
1.1. Ipotesi sulla natura giuridica del consenso informato nel contesto delle
biobanche di ricerca……………………………………………………….48
1.2. Il dovere di feedback da parte della biobanca……………………………..50
2. Lo statuto giuridico del corpo e delle sue parti: tra proprietà e privacy………..51
3. Le elaborazioni dottrinali sui tessuti umani staccati dal corpo…………………57
4. La risposta della giurisprudenza………………………………………………..61
1
4.1. Il caso John Moore. “Only property can be converted”..............................61
4.2. Il caso Greenberg. L’“evaporazione” del diritto di proprietà……………..66
4.3. Il caso del dott. Catalona e l’ “exculpatory language” del consenso
informato…………………………………………………………………..68
4.4. Distinti indirizzi giurisprudenziali: la respuesta española…… ………….70
5. Possibili modelli di governance………………………………………………..72
5.1. Il modello contrattuale…………………………………………………….73
5.2. Non market compensation model………………………………………….74
5.3. Global public model……………………………………………………… 75
6. Il modello del Biotrust………………………………………………………….76
CAPITOLO III – SCENARI
CONDIVISI
TRA
BIOBANCA
E
RICERCATORI:
MATERIAL TRANSFER
AGREEMENT E DATA SHARING
1. Il rapporto sinallagmatico tra biobanca e ricercatori…………………………...83
2. Il Material Transfer Agreement………………………………………………...85
3. La struttura del Material Transfer Agreement………………………………….89
4. MTA: un gigante dai piedi d’argilla?................................................................ 99
5. Sharing the data: possibili modelli…………………………… ……………..103
5.1. Open Source Biobank…………………………………........……………..105
5.2. Protocolli Open Access………………………………........……….……...109
5.3. Open Access Governance………………........……………………………110
6. Conclusioni……………………………………………………………………113
2
CAPITOLO IV – DUE MODELLI
RICERCA:
TRENTINO BIOBANK
A CONFRONTO NEL PANORAMA EUROPEO DELLE BIOBANCHE DI
ED
IL
BIOBANCO VASCO
PARA
LA
INVESTIGACIÓN O+EHUN.
UN’ANALISI SPERIMENTALE.
1. Le ragioni del confronto………………………………………………………121
2. L’esperienza italiana: la Trentino Biobank…………………………………...122
3. Los biobancos en España……………………………………………………..128
3.1. Banche nazionali…………………………………… …………….....….135
3.2. Biobanche ospedaliere…………………………...……………….....……136
3.3. Reti di Biobanche………………………...……………………….....…...137
4. Biobanche in rete: O+ehun, el biobanco vasco para la investigación………..138
5. Conclusioni……………………………………………………………………144
Conclusioni……………………………………………..……………………………..149
Appendice…………………………………………….……………………………….155
Bibliografia…………………………………………….……………………………...163
3
4
Introduzione
«Anche i giuristi, come ho detto ormai molte volte, hanno da saper manovrare il
microscopio»1. Così il prof. Francesco Carnelutti, in un suo articolo del 1938, suggeriva
allo studioso del diritto di acquisire ed utilizzare il metodo proprio di un’altra scienza.
Tale lungimirante invito si rivela quantomai attuale nell’era digitale. Negli ultimi
decenni, infatti, abbiamo assistito all’esplosione dei saperi, sia sotto il profilo
quantitativo che, forse più importante, qualitativo. Anche la scienza giuridica è chiamata
ora a confrontarsi con i nuovi traguardi dell’innovazione, intrecciando con essa una
relazione che potremmo definire sinallagmatica. Da un lato, infatti, le nuove tecnologie
impongono al diritto una revisione ed un aggiornamento della sue tradizionali categorie:
intorno alla tecnologia si ridefinisce l’identità stessa del soggetto, a partire dalla
modalità della procreazione fino alla rete di relazioni interpersonali costruita attraverso
le varie tipologie di informazioni2; dall’altro, però, è lo stesso diritto a servirsi della
tecnologia per il perseguimento dei suoi scopi, come nel caso dell’enforcement
realizzato dai Digital Rights Management.
La convergenza tra differenti saperi ha posto, negli ultimi decenni, le basi e reso
possibile la messa a punto di tecniche e tecnologie sempre più sofisticate e
all’avanguardia in vari ambiti scientifici, con ricadute spesso significative sulla nostra
quotidianità. Come auspicato dal prof. Giovanni Pascuzzi dovrebbe instaurarsi un
dialogo tra il diritto e gli altri saperi quali la biologia, la medicina, le neuroscienze,
l’informatica, l’ingegneria, l’economia, la filosofia, la sociologia e la storia3.
In un simile contesto, infatti, emerge con forza la necessità di una chiave comune di
interpretazione, di un elemento di connessione tra le diverse branche del sapere tale da
gestirne le complessità, favorirne lo sviluppo reciproco e indirizzarne le ricadute
benefiche sull’intera collettività. Il diritto ed i suoi specialisti si trovano, pertanto, nella
posizione ottimale per agire da cerniera tra i saperi defininendo quell’appropriato
1
CARNELUTTI F., Problema giuridico della trasfusione del sangue, in Foro Italiano, IV, 89,
(1938).
2
3
RODOTÀ S., Tecnologie e diritti, Bologna, Il mulino, 2005, 15.
Si veda sul punto, PASCUZZI G., Giuristi si diventa, Bologna, Il mulino, 2008.
5
framework normativo, operativo e strumentale capace di mettere in comunicazione le
diverse discipline alla stregua di un “adattatore universale”.
Mentre l’economia globale si rinnova costantemente davanti ai nostri occhi e la
tecnologia modella nuovi scenari fino a poco tempo fa anche solo difficilmente
ipotizzabili o prevedibili, uno dei settori che forse più di altri è stato in grado di
raccogliere tali sfide è quello biomedico. Negli ultimi anni la ricerca in questo campo ha
focalizzato il proprio interesse scientifico sullo studio biologico-molecolare delle forme
di vita e delle loro alterazioni, dimostrando inoltre una notevole capacità di attrazione di
investimenti pubblici e privati. E non è forse un caso se, nella cosiddetta società
dell’informazione, abbia finito col costituire un elemento d’indagine privilegiato il dato
informazionale contenuto nei geni umani. Infatti, i progressi raggiunti nella biologia
molecolare permettono oggi l’analisi di una grande quantità di dati ed informazioni ma
si impone, al contempo, la necessità di disporre di una massa critica di campioni
biologici (ordinati in collezioni organizzate secondo criteri scientifici ed elevati standard
qualitativi) di tessuti, neoplasie, embrioni, cordoni ombelicali, cellule, proteine, DNA,
RNA, fluidi e altri materiali biologici di origine umana, indispensabili per le analisi
stesse. A tal fine si è resa necessaria la creazione di apposite strutture destinate a
raccogliere ordinatamente questi materiali: le biobanche di ricerca.
La disciplina giuridica delle biobanche ed i rapporti reciproci che esse instaurano
con gli altri attori della complessa attività di biobanking (pazienti-donatori, da un lato, e
ricercatori e industrie biomediche, dall’altro) sarà specifico oggetto di approfondimento
nel corso della prossime pagine del presente lavoro di tesi. La situazione normativa si
presenta quantomai composita. Manca ancora una definizione condivisa di biobanca e
nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines ed altri strumenti non vincolanti. Il
ruolo del giurista, in un simile frangente, è pertanto quello di ricomporre le tessere di
questo variegato mosaico, applicando alla disciplina giuridica della biobanca quella
regolamentazione, contenuta in altri atti, che può riguardarla sotto alcuni profili.
Sotto questa luce, dunque, nel corso del Capitolo I si analizzeranno i documenti più
significativi a livello internazionale, comunitario e nazionale riguardo la natura delle
biobanche, la protezione dell’individuo che conferisce i propri tessuti – attraverso lo
strumento del consenso informato e la tutela della riservatezza dei dati personali e
sanitari - nonché la commercializzazione del materiale biologico. Ci si soffermerà, in
6
particolare, sulla disciplina nazionale italiana e sul regime previsto per il trattamento dei
dati genetici dall’Autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali del
2007.
Nel Capitolo II sarà oggetto di approfondimento la relazione che lega la biobanca
ed i pazienti-donatori, filtrata alla luce della delicata questione, tutta civilistica, della
natura giuridica dei tessuti staccati dal corpo. Tale nuova situazione, che necessita di
essere regolata in maniera equa ed efficiente, riguarda principalmente la configurazione
di un diritto di proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy (con riferimento
ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici) ed il particolare ruolo del
consenso informato al trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni
in essi contenuti. Partendo dall’innegabile constatazione dell’invecchiamento di alcune
categorie
concettuali
si
procederà
alla
rivisitazione
di
alcuni
strumenti
dell’armamentario giuridico nell’ottica delle nuove problematiche (pro)poste dalle
biotecnologie. L’iter seguito prevede in primo luogo l’analisi delle elaborazione
dottrinali italiane e spagnole al riguardo per concentrarsi, poi, sulla risposta fornita dalla
giurisprudenza in alcune note sentenze statunitensi e, seppur dalla minor eco, da due
interessanti decisioni iberiche. Alla ricerca di possibili nuovi modelli interpretativi e
prendendo come spunto i principi alla base dell’analisi economica del diritto
opportunamente applicati alle tematiche in oggetto, si proporranno in conclusione di
capitolo alcuni input per superare la spinosa dicotomia proprietà/privacy delle parti
staccate dal corpo. Verrà proposto, quindi, l’innovativo modello di matrice
nordamericana definito, dai suoi promotori, Biotrust, illustrandone punti di forza e di
debolezza. Infatti, si avrà modo di approfondire come l’inquadramento dei campioni
biologici nella categoria dei commons e l’adozione del modello del Biotrust, quale
struttura giuridica indipendente che gestisce queste risorse in maniera efficiente
nell’interesse delle collettività, rappresentino una soluzione in grado di assicurare ai
pazienti la tutela della riservatezza ed ai ricercatori il materiale biologico e i dati
associati necessari per i loro scopi speculativi.
Nel Capitolo III, invece, l’attenzione sarà focalizzata sulla relazione che si instaura
tra la biobanca ed i ricercatori ad essa esterni, affrontando l’analisi dello strumento
giuridico che suggella tale rapporto: il Material Transfer Agreement. Si tratta, infatti,
del contratto generalmente impiegato per il trasferimento a soggetti esterni (università,
7
centro di ricerca privato o altra biobanca) dei materiali biologici di origine umana
conservati in una biobanca. E’ un documento complesso, in quanto sullo stesso
campione possono incardinarsi diritti differenti. La dimensione materiale del tessuto
ricade nell’ambito dei diritti di proprietà; le sequenze genetiche contenute o sviluppate a
partire da quel campione possono costituire oggetto di brevetto o di segreto industriale;
l’uso del database contente le informazioni genetiche, cliniche, anagrafiche, ambientali
o di follow up rientra nella disciplina del copyright; i possibili trattamenti di tali
informazioni devono essere conformi alla tutela della privacy del paziente-donatore. La
biobanca, dunque, si trova ad instaurare un rete complessa di relazioni con soggetti
differenti, ognuna della quali governata da un diverso regime giuridico. Non solo.
Provando a ragionare sulle potenzialità che questa nuova struttura ci presenta per
promuovere la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento tecnologico, si illustreranno le
più moderne teorizzazioni proposte in letteratura sul data sharing ed il ruolo che la
biobanca potrebbe giocare in proposito. Lambendo i territori della proprietà
intellettuale, come il copyright sui database, i brevetti biotecnologici ed i meccanismi
per agire sul patenting, si prenderanno in considerazione i modelli open source, i
protocolli open access e le modalità di governance open access adattati allo specifico
contesto della ricerca biomedica, illustrando per ciascuna tipologia luci ed ombre.
Infine, nel Capitolo IV si procederà alla descrizione in chiave comparatistica e alla
concreta analisi delle realtà istituzionali, operative e funzionali di due biobanche di
ricerca: la Trentino Biobank ed il Biobanco Vasco para la Investigación O+ehun. Alla
base di tale confronto non vi è solo l’opportunità di descrivere due scenari
d’avanguardia nell’ambito della ricerca medico-scientifica, ma anche la volontà di
condividere le esperienze e le informazioni acquisite durante una serie di incontri
personali con esponenti e personale operativo delle due biobanche in esame. Si partirà
dalla descrizione di una realtà d’eccellenza italiana nell’ambito della raccolta e
conservazione di tessuti e sangue a fini di ricerca: la Trentino Biobank. Si procederà,
poi, ad una panoramica sullo stato dell’arte della ricerca biomedica e dell’attività di
biobanking in Spagna, recentemente innovata da un provvedimento legislativo del 2007.
In particolare, ci si soffermerà sulle tipologie di biobanche sviluppatesi nel contesto
spagnolo, individuando nell’esperienza basca della O+Ehun un valido modello di
eccellenza da investigare.
8
La scelta di rapportare questi due Paesi non è casuale ma affonda le sue ragioni
nell’analisi di condizioni e strutture giuridiche che, seppur omogenee, hanno portato ad
esiti differenti. Ci si soffermerà, pertanto, sulla disamina dei casi di studio alla luce
degli ordinamenti giuridici nazionali e del contesto politico e sociale di riferimento.
Tale comparazione non si pone pretese di esaustività ma vuole rappresentare un utile
punto di partenza per una riflessione sullo stato della ricerca scientifica e biomedica in
Italia e in Spagna e sulle possibili best practices internazionali cui guardare e con cui
confrontarsi.
9
10
CAPITOLO I
LA DISCIPLINA GIURIDICA DELLE BIOBANCHE DI RICERCA:
LA CORNICE NORMATIVA
“Le tre regole di lavoro:
1. Esci dalla confusione, trova semplicità.
2. Dalla discordia, trova armonia.
3. Nel pieno delle difficoltà risiede l’occasione favorevole”.
ALBERT EINSTEIN
1. Introduzione
L’innovazione è al centro delle trasformazioni attuali dell’economia e della
società. Nelle attività innovative si uniscono e si sviluppano conoscenze e processi di
apprendimento, competenze per utilizzare le tecnologie esistenti e adottarne di nuove,
capacità e risorse per introdurre nuovi processi produttivi e realizzare nuovi prodotti
capaci di affermarsi sui mercati. In questo percorso si intrecciano competenze
individuali, aspetti strutturali e comportamentali di imprese, organizzazioni pubbliche
(università, centri di ricerca, soggetti governativi), dei settori produttivi e, più in
generale, dei contesti economici e istituzionali. Tali caratteristiche rendono
l’innovazione un fenomeno complesso e dai molteplici aspetti: tecnologici, economici,
aziendali, organizzativi, legali, sociali, politici. Si tratta di un fenomeno dinamico,
caratterizzato da cambiamenti di lungo periodo, con effetti profondi sull’evoluzione
socio-economico-istituzionale di un “Sistema Paese”.
Mutamenti profondi sono tuttora in atto nell’economia globale: l’aumentata
dinamicità ambientale sta influenzando le basi del vantaggio competitivo a livello di
Paesi, territori e imprese; l’entrata nell’economia della conoscenza si caratterizza per
un’accelerazione ed intensificazione del ritmo delle innovazioni, del dinamismo
competitivo ed una conseguente riduzione del tempo di sfruttamento dei vantaggi
competitivi; le maggiori spinte competitive, oltre ad accelerare il ritmo delle
innovazioni, dei processi, dei prodotti e dei servizi, creano l’esigenza di continue
trasformazioni strutturali ed organizzative delle imprese stesse. L’innovazione non
11
investe più solo il sistema tecnologico, ma anche il capitale cognitivo e l’intera
organizzazione delle strutture imprenditoriali, con rilevanti implicazioni sul ruolo, sulla
qualità e sulle competenze del capitale umano.
Per fronteggiare la competizione internazionale, la bassa crescita economica,
l’allargamento dell’Unione Europea e la conseguente diminuzione del reddito medio
pro-capite, nel Marzo del 2000, a Lisbona, il Consiglio Europeo ha deliberato un nuovo
obiettivo strategico per il decennio 2000-2010: diventare l’economia basata sulla
conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita
economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione
sociale puntando, inoltre, alla realizzazione di uno “spazio europeo della ricerca” al fine
di integrare e coordinare in maniera più efficace ed efficiente le attività di ricerca a
livello nazionale e dell’Unione4.
In una moderna economia della conoscenza alla costante ricerca di nuovi e
significativi assets competitivamente strategici, mentre la tecnologia delinea orizzonti
difficilmente ipotizzabili fino a poco tempo prima, l’importanza ed il valore crescente
dell’attività di biobanking lancia una nuova sfida innovativa alla società civile e alla
comunità scientifica internazionale in toto. Non è, quindi, da ritenersi un caso se
recentemente, un articolo apparso su Time Magazine ha consacrato le biobanche
nell’Olimpo delle 10 idee in grado di cambiare il mondo5. Come affermato dalla Dr.a
Carolyn Compton, direttrice dell’ Office of Biorepositories and Biospecimen Research
del NCI statunitense: «Biobanks will transform the way we see disease developing»6.
2. Oggetto della ricerca.
Il termine biobanca è di conio recente: compare per la prima volta nella letteratura
scientifica a metà degli anni ‘90 in un articolo di Steffen Loft ed Henrick Enghusen
Poulsen7, due docenti di clinica farmacologica dell’Università di Copenhagen. Nel
4
Ministero per la Pubblica Amministrazione e l’Innovazione – Consiglio europeo straordinario di
Lisbona, 23-24 marzo 2000, Documento di sintesi.
5
http://www.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,1884779_1884782_1884766,00.html,
ultima visita: 24 agosto 2010.
6
Ibidem.
7
LOFT S., POULSEN H.E., Cancer Risk and Oxidative DNA Damage in Man, 74 J. Mol. Med. 297
(1996).
12
lavoro in questione si faceva riferimento al termine - peraltro solo in un’occasione - nel
contesto della ricerca biomedica; bisognerà attendere parecchi anni prima che questo si
affermi e venga utilizzato in maniera generalizzata8. La prima definizione legislativa è,
infatti, del 2002 ed è contenuta nella Lag (2002:297) om biobanker i hälso- och
sjukvården m.m. All’art. 2, il legislatore svedese descrive la biobanca come: «biological
material from one or several human beings collected and stored indefinitely or for a
specified time and whose origin can be traced to the human or humans from whom it
originates»9.
Rilevante al fine di individuare una possibile definizione di biobanca è poi il
documento di lavoro sui dati genetici prodotto dal Gruppo 2910: tale report, facendo
proprio quanto elaborato dal gruppo istituito dal governo danese per valutare l’esigenza
di nuove proposte di legge in Danimarca, ha descritto la biobanca come «raccolta
strutturata di materiale biologico umano accessibile in base a determinati criteri, e in cui
le informazioni contenute nel materiale biologico possono essere collegate a una
determinata persona»11. Definizione che riecheggia quella fornita dal Consiglio
d’Europa nella Raccomandazione R (94) 1. In questo atto, però, si prevede che la banca
di tessuti adotti la forma giuridica dell’«l’organizzazione no-profit ufficialmente
riconosciuta dalle autorità sanitarie competenti degli Stati membri».
Sulla scorta dei documenti citati e di quelli che saranno analizzati tra breve, si può
convenire sulla nozione base di biobanca come luogo, fisicamente individuato, in cui
viene stoccato materiale biologico in maniera organizzata12.
8
Così ROMEO MALANDA S., Biobancos, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho
y Genoma Humano, en prensa.
9
La lettera della legge è debitrice del documento del 1999 predisposto dallo Swedish Medical
Research Council, interamente riproposto. Nonostante siffatta previsione legislativa evidenzi già nella sua
formulazione alcune contraddizioni (si parla di materiale biologico umano «stoccato per un tempo
indeterminato o per un periodo limitato») e non precisi se la natura della biobanca sia pubblica o privata,
ha sicuramente il merito di aver tracciato un discrimen tra questa nuova entità ed i precedenti archivi
medici.
10
Si tratta del Gruppo di lavoro per la tutela dei dati personali , istituito sulla base della direttiva
europea 95/46/CE, relativa alla tutela delle persone fisiche con riferimento al trattamento dei dati
personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, in G.U.C.E. serie L, 24 ottobre 1995, n. 281, p.31.
11
Art. 29-Gruppo di lavoro per la tutela dei dati personali, Documento di lavoro sui dati genetici,
adottato il 17 marzo 2004, p. 11.
12
La legge sulla ricerca biomedica spagnola è chiara sul punto: la biobanca deve dotarsi di una
struttura, un’organizzazione, una direzione scientifica ed un regolamento scritto sul proprio
funzionamento che contenga sia l’indicazione dei responsabili per la qualità e la protezione dei dati, sia
un protocollo per l’incorporazione, il ritiro o la cessione di campioni. Così ROMEO MALANDA S.,
Biobancos, cit.
13
A scopo esclusivamente esemplificativo (vedi fig.1), esse possono essere distinte in
funzione del tipo di materiale che collezionano e dello scopo per cui sono state istituite.
Con riferimento al primo profilo, le biobanche possono ospitare collezioni di
campioni di origine umana o di altre specie animali, vegetali o microrganismi. Le
biobanche di tessuti umani, poi, possono differenziarsi, in relazione allo scopo che si
prefiggono, in diagnostiche, terapeutiche (banche del sangue, di midollo osseo, di
cellule staminali, di organi), forensi, di sicurezza 13, di ricerca biomedica o genetica.
Queste ultime, a loro volta, posso focalizzarsi sugli studi genetici di una determinata
popolazione o ceppo etnico (biobanche di popolazione) oppure concentrarsi su una o più
infermità (rispettivamente oriented e general diseases).
Figura 1. Quadro esemplificativo
13
L’Italia aderendo nel 2005 al Trattato in Prüm sulla cooperazione trasnfrontaliera per contrastare
terrorismo, criminalità e migrazione illegale, ha emanato la legge n. 85 del 30 giugno 2009 che prevede
l’istituzione della banca dati nazionale del Dna presso il Dipartimento di pubblica sicurezza del ministero
dell’interno e la creazione del laboratorio centrale della banca dati nazionale del DNA presso il
dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia.
14
Se la biobanca è il genus, si rende a questo punto doveroso delineare la species che
in questa trattazione mi propongo di analizzare. Il termine biobanca, infatti, conosce
diverse declinazioni all’interno del panorama scientifico ma, tale lavoro, lungi
dall’ambizione di scandagliarne ogni singola tipologia, si focalizzerà sulle banche di
tessuti umani raccolti e conservati a scopo di ricerca.
Le collezioni di materiale biologico possono avere ad oggetto tessuti, sangue, urine,
cellule, DNA. Nel caso di banche di tessuti, i campioni consistono per la maggior parte
nei residui di materiale biologico rispetto a quello asportato dopo un’operazione
chirurgica e necessario per il controllo diagnostico (cd. left over tissues), al materiale
donato con il fine di effettuare un trapianto e poi non utilizzato o ritenuto inadatto,
oppure ancora al materiale proveniente da persone decedute e sottoposte ad autopsia14.
La ricerca biomedica trova proprio in queste collezioni la sua più grande fonte di
informazioni. Lo studio massiccio di campioni biologici offre la possibilità di
progredire nell’analisi di un gene, del suo prodotto o della sua funzione,
nell’identificazione di alterazioni lungo la linea germinale verosimilmente associate a
malattie genetiche, nella proposizione di nuovi obiettivi per la farmacogenetica nonché
nell’identificazione e sperimentazione dei biomarcatori per terapie individualizzate. Essi
rappresentano la risorsa chiave per gli sviluppi della medicina personalizzata e
potrebbero rivoluzionare il concetto stesso di terapia/cura tradizionalmente inteso. Gli
standards finora utilizzati per il trattamento di campioni di origine clinica devono
dunque essere adeguati al cambiamento avvenuto nella ricerca medica: si rende, infatti,
indispensabile che i campioni siano trattati in forma appropriata, omogenea e collegati
ai dati associati.
Ecco perché la biobanca non può essere confusa con le collezioni di campioni
biologici, né deve essere appiattita sulla figura degli archivi di anatomia patologica. Da
questi si distingue per l’organizzazione di cui si dota, le regole di accesso, la
professionalizzazione nella raccolta e l’assicurazione della qualità dei campioni,
adeguatamente classificati e stoccati.
Come efficacemente proposto nello studio condotto dal prof. Romeo Casabona, la
biobanca ha come obiettivi precipui: «la promozione della ricerca scientifica di
avanguardia nel settore biomedico, mettendo a disposizione della comunità scientifica
14
Come evidenziato in Allegato III, Linee Guida per la certificazione delle biobanche, Gruppo di
lavoro del CNBB, 19 aprile 2006.
15
materiale biologico di origine umana; la prevenzione del traffico illecito di tali
materiali, mediante la cessione gratuita ai ricercatori - senza ripercussioni sui costi per il
suo ottenimento, processo, conservazione e consegna – e la predisposizione di sistemi
per garantirne le tracciabilità; l’adozione di procedimenti per la richiesta e l’ottenimento
del consenso dei soggetti donatori e per la tutela di altri diritti di cui questi potrebbero
essere titolari riguardo ai campioni e dati personali, affrancando il ricercatore da
quest’onere»15.
3. Alla ricerca della fonti
La situazione normativa si presenta quantomai composita: manca ancora una
definizione condivisa di biobanca e nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines
e altri strumenti non vincolanti. Il ruolo dell’interprete, in un simile frangente, è
pertanto quello di ricomporre le tessere di questo variegato mosaico, applicando alla
disciplina giuridica della biobanca quella regolamentazione, contenuta in altri atti, che
può interessarla sotto alcuni profili.
Sotto questa luce, dunque, si analizzeranno i documenti più significativi a livello
internazionale, comunitario e nazionale riguardo la natura delle biobanche, la protezione
dell’individuo – attraverso lo strumento del consenso informato e la tutela della
riservatezza dei dati personali e sanitari - nonché la commercializzazione del materiale
biologico.
4. Il panorama internazionale
A livello internazionale le fonti che interessano la regolamentazione delle biobanche
sono molteplici, dall’ampio respiro e dal diverso valore giuridico ma essenzialmente
riconducibili a due istituzioni: l’UNESCO e il Consiglio d’Europa. Di portata più
specifica è, invece, la Recommendation on Human Biobanks and Genetic Research
Databases (HBGRD) dell’OCSE, che si propone di fornire dei principi-guida per la
15
ROMEO CASABONA C.M., Utilización de maestra biológicas humanas con fines de investigación en
biomédica y regulación de biobancos, in ROMEO CASABONA C.M (ed.), Retos de la investigación y
comercialización de nuevos fármacos, Bilbao, Comares, 2008, 284.
16
creazione, governance, gestione, attività, accesso, uso ed eventuale interruzione dei
servizi di biobanca e database genetico con fini di ricerca 16. Da segnalare al riguardo,
sono anche le Best Practice Guidelines for BRCs (Biological Research Centres)
dell’OCSE, le quali si preoccupano sia di fornire una prassi per la raccolta, lo
stoccaggio e l’approvvigionamento dei materiali biologici, sia di fissare gli standards
qualitativi per i BRC17.
Trattandosi di strumenti di soft law, occorre, però, tenere presente la loro natura e
considerare la loro effettiva vincolatività. La stessa Raccomandazione dell’OCSE
afferma come « [it] has been developed to aid policymakers and practitioners who are
establishing new HBGRDs, although many of the principles and best practices can also
be usefully applied to HBGRDs already in existence». Tali strumenti internazionali
potranno esclusivamente fungere da modello per la normativa nazionale e comunitaria
fornendo linee guida e best practice elaborate a seguito di un processo di interazione
con organismi di tipo scientifico. Pertanto, seppur non vincolanti, rappresentano
comunque documenti di cui tener conto data l’autorevolezza degli organismi dai quali
provengono.
4.1 Le Dichiarazioni UNESCO
La Dichiarazione universale sul genoma umano e dei diritti dell’uomo, adottata
all’unanimità dall’Unesco nel 1997, rappresenta il primo strumento di portata universale
in materia bioetica. Essa è stata emanata allo scopo di fornire principi etici e giuridici
utili alla promozione della libertà di ricerca, della dignità umana, della solidarietà e
della cooperazione internazionale. Il suo primo articolo, dichiarando simbolicamente il
genoma umano patrimonio dell’umanità, afferma che esso «sottende l’unità
fondamentale di tutti i membri della famiglia umana, come pure il riconoscimento della
loro intrinseca dignità e della loro diversità». Tale comune eredità non è, però, un
talento da sotterrare né una fonte di conoscenza da rendere impenetrabile: come
esplicitato dalla successiva lettera b dell’art. 12 «la libertà della ricerca […] deriva dalla
libertà di pensiero. Le applicazioni della ricerca soprattutto in ambito biologico,
16
http://www.oecd.org/dataoecd/41/47/44054609.pdf. Ultima visita: 24 agosto 2010.
Tale documento era stato preceduto dalla Guidance for the Operation Of Biological Research
Centres (BRCs).
17
17
genetico e medico, concernenti il genoma umano, devono tendere ad alleviare la
sofferenza ed a migliorare la salute dell’individuo e di tutta l’umanità».
Per quanto attiene al tema di cui ci stiamo occupando la Dichiarazione
internazionale sui dati genetici umani dell’UNESCO (2003) è rilevante sotto alcuni
profili. In particolare, l’art.8 lett.a introduce uno dei punti nodali in tema di biobanche:
per raccogliere dati genetici e proteomici umani o materiali biologici - e per il seguente
trattamento, uso e conservazione - è imprescindibile che venga prestato un consenso
libero, preventivo, informato18 ed espresso, non condizionato da incentivi di natura
economica o di profitto. I successivi paragrafi b e c dell’art.8 rinviano alle normative
nazionali per la definizione delle modalità di prestazione del consenso di persona
incapace, preoccupandosi, però, di sottolineare l’importanza di coinvolgere nella
maniera più ampia possibile tale soggetto e di tenere in considerazione l’opinione del
minore.
Inoltre, il consenso, se prestato riguardo dati genetici o proteomici o materiali
biologici raccolti con finalità mediche o di ricerca scientifica, può sempre essere
revocato dalla persona interessata, «a meno che tali dati siano irrevocabilmente
dissociati da una persona identificabile» (art.9 lett.a). Se così non fosse, tali dati e
materiali dovrebbero essere trattati solo previo consenso informato della persona. Se le
volontà del soggetto non dovessero risultare praticabili o sicure, dati e materiali
andrebbero irrimediabilmente dissociati o distrutti (art.9 lett.c). Si tenga presente poi
che al momento del consenso la persona interessata deve essere messa a conoscenza del
diritto ad essere informata o meno dei risultati che potrebbero derivare dalla ricerca
effettuata sul proprio campione. Tale regola, però, come enunciato all’art.10, non si
applica alla «ricerca sui dati irrimediabilmente dissociati da persone identificabili o a
dati che portano a risultati univoci riguardo alle persone che hanno partecipato
18
La medesima Dichiarazione precisa all’art. 6 lett. d che: «è un imperativo etico che
informazioni chiare, imparziali, sufficienti e adeguate siano fornite alla persona di cui si richiede il
consenso informato, espresso libero e preventivo. Queste informazioni devono, oltre a fornire altri
dettagli necessari, specificare le finalità per cui i dati genetici e proteomici umani sono raccolti dai
materiali biologici e sono utilizzati e conservati. Queste informazioni dovrebbero indicare, se necessario, i
rischi e le conseguenze. Queste informazioni dovrebbero anche indicare che la persona interessata può
revocare il suo consenso, senza costrizione, e che la revoca non implica nessun tipo di sanzione o effetto
negativo per la persona interessata». Tale disposizione sembra disegnare un narrow consent: il «purpose»
dell’utilizzo del dato genetico ricavato dal campione biologico deve essere specificatamente indicato e
comunicato al soggetto consenziente; indicazione, questa, che trova eco nei successivi artt. 16 e 22 che
prescrivono l’ottenimento di un nuovo e diverso consenso nel caso di ricerche scientifiche con scopi
diversi da quelli per i quali il consenso era stato originariamente prestato e nel caso in cui i dati debbano
essere utilizzati e confrontati con altri derivanti da ricerche con finalità differenti.
18
all’esperimento di ricerca». La norma si preoccupa di precisare come il diritto a non
essere informati dei risultati della ricerca dovrebbe estendersi ai parenti identificabili
che possano risentire delle conseguenze derivanti dalle informazioni.
Il profilo del consenso, entra in gioco anche sotto un ulteriore aspetto. Qualora, si
prospetti un cambio di finalità riguardo all’uso dei dati genetici ricavati 19, tale
mutamento non deve essere incompatibile con il consenso originalmente prestato, a
meno che non intervengano «motivi importanti di interesse pubblico» (art. 16 lett.a),
risulti impossibile ottenere un consenso libero, preventivo, espresso ed informato o i
dati genetici siano irrimediabilmente dissociati dalla persona identificabile (art. 16 lett.
b). Anche i materiali biologici sottostanno al principio del consenso informato, ma la
normativa nazionale può disporre che essi siano ugualmente utilizzati se i dati da essi
ricavati rivestano un’importanza particolare per la ricerca o la sanità pubblica (art. 17.a).
Vedremo nel proseguio della trattazione come la somministrazione, da un lato, e la
prestazione del consenso, dall’altro, costituiscano un punto nevralgico nella relazione
biobanca-paziente.
Per ciò che concerne l’accesso ai dati genetici e ai materiali biologici, la regola
generale prevede che essi, se associati ad un soggetto identificabile, non possano essere
resi noti né accessibili a terzi - quali, ad esempio, i datori di lavoro, le compagnie
assicurative o la famiglia stessa – a meno che il loro accesso sia motivato da importanti
ragioni di interesse pubblico legislativamente previste o sia stato ottenuto un adeguato
consenso informato conforme alle disposizioni nazionali e al diritto internazionale
relativo ai diritti umani (art.14). Infatti, come successivamente precisato «la riservatezza
di un individuo che partecipa in uno studio basato sui dati genetici o dei dati proteomici
deve essere protetta e i dati dovrebbero avere un carattere di segretezza».
Analoghe cautele si riverberano sulla disciplina del trattamento dei dati genetici o
proteomici nonché dei materiali biologici raccolti a fini di ricerca: in primo luogo, essi
dovrebbero essere dissociati così da non essere riconducibili in alcun modo all’identità
19
Le finalità per cui i dati genetici e proteo mici umani possono essere raccolti, trattati, utilizzati
e collezionati sono così indicate all’art.5: «(i) diagnosi e assistenza sanitaria, incluso lo screening e i test
genetici predittivi; (ii) ricerca medica e scientifica, incluso epidemiologica, specialmente per studi
genetici su una popolazione, così come studi antropologici e archeologici, cui ci si riferisce
collettivamente come “ricerca medica e scientifica”; (iii) medicina legale e civile, procedimenti penali e
altri procedimenti giudiziari, nel rispetto delle disposizioni dell’art.1 par. c); (iv) qualsiasi altro scopo
conforme alla Dichiarazione universale sul Genoma Umano e i Diritti Umani e il diritto internazionale
relativo ai diritti umani».
19
del soggetto e, in aggiunta, dovrebbero essere predisposte tutte le precauzioni necessarie
per assicurarne la riservatezza e sicurezza (art. 14 lett.c). L’unica eccezione alla
dissociazione dato-persona potrebbe verificarsi solo se il materiale in questione sia
necessario per portate avanti la ricerca (fermo restando il rispetto delle garanzie previste
dal legislatore nazionale in tema di riservatezza dell’individuo e segretezza dei dati o
dei materiali biologici). In ogni caso, dati genetici e proteomici umani non dovrebbero
essere conservati in modo da consentire l’identificazione del soggetto cui corrispondono
oltre il tempo strettamente necessario al raggiungimento dello scopo per cui sono stati
raccolti e trattati (art.14 lett.e).
Il successivo art. 15 sembra rivolgersi proprio alle biobanche, sottolineando il ruolo
da esse rivestito in qualità di garanti dell’accuratezza, affidabilità e sicurezza: «le
persone e le entità responsabili […] dovrebbero altresì dimostrare rigore, cautela, onestà
e integrità nel trattamento e nell’interpretazione dei dati genetici e proteomici umani e
di altri materiali biologici, in considerazione delle implicazioni etiche, giuridiche e
sociali».
Nella medesima direzione sembrano orientarsi gli artt. 18 e 19 che promuovono la
circolazione transazionale dei dati genetici e dei materiali biologici al fine di favorire la
cooperazione internazionale medica, scientifica e culturale, assicurare un equo accesso a
tali risorse, incoraggiare la condivisione delle conoscenze da parte dei ricercatori e
condividere i benefici risultanti dalla ricerca condotta su tali materiali. Il benefit
sharing, in particolare, potrebbe essere determinato sì da una scelta del legislatore
nazionale, come sembra suggerire il dettato della norma in esame20, ma potrebbe anche
dipendere come conseguenza della scelta di un determinato modello di governance da
parte della biobanca e dal sistema dei diritti di proprietà intellettuale delle eventuali
invenzioni biotecnologiche.
Per completare il quadro internazionale è d’obbligo fare cenno alla Dichiarazione
Universale sulla bioetica e i diritti umani, promulgata dall’UNESCO nel 2005. Anche
20
L’art. 19 prevede a titolo esemplificativo come forme in cui tale condivisione di benefici con
la società civile e la comunità scientifica si possano concretizzare: «assistenza speciale alle persone e ai
gruppi che hanno preso parte alla ricerca; accesso alle cure mediche; nuovi mezzi diagnostici, strutture
per nuovi trattamenti sanitari o medicinali che sono stati resi possibili grazie alla ricerca effettuata;
sostegno per i servizi sanitari; strutture e servizi per rafforzare la capacità di far ricerca; sviluppo e
rafforzamento della capacità per i paesi in via di sviluppo di raccogliere e trattare i dati genetici umani,
prendendo in considerazione i loro specifici problemi; qualsiasi altra forma compatibile con i principi
stabiliti in questa Dichiarazione».
20
questo documento sottolinea l’importanza - nel campo della ricerca scientifica - del
consenso previo, libero, espresso ed informato della persona coinvolta (art.6.2). Viene
ribadita la possibilità di revocare il consenso in qualsiasi momento e per qualsiasi
ragione, a meno che non sia diversamente stabilito a livello nazionale per l’interesse
della sicurezza pubblica, per le indagini, detenzioni o procedimenti penali, per la
protezione della salute pubblica o per la protezione dei diritti e delle libertà altrui
(art.27). Inoltre, si precisa che nei casi particolari di ricerca condotta su un determinato
gruppo o su una comunità può essere richiesto l’ulteriore accordo dei rappresentanti
legali di tale gruppo o comunità, ma l’accordo collettivo non può in alcun modo
sostituire il consenso informato dell’individuo (art. 6.3).
Anche tale documento internazionale si preoccupa di tutelare la riservatezza delle
persone interessate e la confidenzialità dei loro dati personali (art.9) e di
“sensibilizzare” gli Stati ed i ricercatori alla condivisione dei benefici derivanti dalla
ricerca scientifica e dalle sue applicazioni (art.15).
4.2 Gli atti del Consiglio d’Europa
Centrale nel panorama normativo continentale è la Convenzione europea per la
protezione dei diritti umani e della dignità dell’essere umano con riguardo alle
applicazioni della biologia e della medicina del 1997, meglio nota come Convenzione
sui diritti dell’uomo e la biomedicina o Convenzione di Oviedo. Nata con l’obiettivo di
costruire una bioetica comune all’interno del vecchio continente, in realtà è un
documento normativo dal respiro più ampio e dalla vocazione universalistica 21. La
Convenzione si preoccupa di preservare l’integrità, i diritti, le libertà fondamentali, la
dignità e l’identità dell’essere umano con riferimento alle applicazioni della biologia e
della medicina, imponendo agli Stati firmatari di adottare le misure necessarie per
rendere effettive le disposizioni della Convenzione nel proprio diritto interno (art.1).
Un profilo che sembra riferirsi implicitamente alle biobanche è quello delineato
all’art. 22 della Convenzione. Tale disposizione, infatti, prevede che quando una parte
del corpo umano è stata prelevata a seguito di un intervento chirurgico, essa non possa
21
Per una disamina più approfondita si veda PICIOCCHI C., La Convenzione di Oviedo sui diritti
dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea?, in Dir. Pubbl. Comp. Eur., III, 1301, (2001).
21
essere conservata ed utilizzata per scopi diversi da quelli per cui è stato prestato il
consenso. Ciò significa che il tessuto stoccato nella biobanca non potrà essere destinato
alla ricerca se non sia intervenuto per iscritto il consenso, preceduto dalle appropriate
procedure di informazione.
A conclusione di questa breve ricognizione del dato normativo e dei profili rilevanti
per questa indagine, occorre precisare che la Convenzione di Oviedo non è efficace nel
nostro paese, anche se talvolta viene recuperata in via interpretativa. Questo perché, pur
essendo stata sottoscritta dall’Italia, il processo di ratifica formale non può dirsi
compiutamente realizzato, in quanto manca a tutt’oggi il deposito degli strumenti di
ratifica presso il Segretariato Generale del Consiglio d’Europa22.
Il paradosso di un trattato quasi-ratificato, sembra doversi risolvere alla luce
degli orientamenti della giurisprudenza costituzionale, che tende a conferire alle norme
di derivazione internazionale un valore via via crescente23. Inoltre, a seguito dell’entrata
in vigore del Trattato di Lisbona lo scorso 1° dicembre, la Convenzione di Oviedo
dovrebbe fare ingresso nel nostro ordinamento attraverso i punti espressamente
richiamati nella Carta di Nizza, il cui valore è stato equiparato a quello dei Trattati
dell’Unione. La Carta dei diritti fondamentali dell’UE, infatti, include il principio del
consenso libero ed informato nell’ambito della medicina e della biologia (art.3.2) e le
Spiegazioni del Praesidium, divenute vincolanti per l’interpretazione della Carta da
parte delle corti nazionali a seguito del Trattato di Lisbona, esplicitano che tale principio
vada letto alla luce della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina adottata
nell’ambito del Consiglio d’Europa. La vincolatività delle disposizioni in tema di
consenso informato e degli altri principi della Convenzione di Oviedo espressamente
richiamati, pertanto, non dovrebbe più essere messa in discussione.
Oltre alla Convenzione testè analizzata, il Consiglio d’Europa ha affrontato
specificatamente le tematiche legate alla raccolta e conservazione dei campioni
22
Si tratta, questa, di una condizione imprescindibile ed espressamente prevista dall’art.11 della
Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati. L’emanazione dello strumento diplomatico in cui la ratifica
si manifesta è, sì, necessaria, ma non sufficiente a che lo Stato si possa ritenere vincolato al trattato
internazionale: ove si tratti di accordi internazionali plurilaterali, come la Convenzione di Oviedo,
l’adempimento diplomatico-protocollario consiste nel deposito degli strumenti di ratifica. Cfr. MARESCA
A., Il diritto dei Trattati. La Convenzione codificatrice di Vienna del 23 Maggio 1969, Milano, Giuffrè,
1971, TREVES T., Diritto internazionale. Problemi fondamentali, Milano, Giuffrè, 2005 e PALAZZOLO E.,
Ordinamento costituzionale e formazione dei Trattati internazionali, Milano, Giuffrè, 2003.
23
Corte Costituzionale, 20 gennaio 2005, n. 45.
22
biologici nella Raccomandazione R (2006) 424. Tale Raccomandazione disciplina
l’attività di ricerca medico-scientifica condotta attraverso il materiale biologico di
origine umana25, rimosso e conservato sia ai fini di uno specifico progetto di ricerca, che
per fini differenti, ma comunque utile all’attività di ricerca (art.2).
La disposizione certamente più discussa della Raccomandazione è senz’altro
rappresentata dall’art. 10.2, il quale dispone che ai fini dell’utilizzo dei tessuti è
necessario che sia prestato idoneo consenso in cui si renda edotto il soggetto donatore
dei progetti di ricerca in cui verrà utilizzato il campione, nella maniera più dettagliata
possibile (art.10.2). Una simile previsione, però, fin dalla sua formulazione, suscita
alcuni interrogativi: appare, infatti, difficilmente praticabile l’ipotesi di un’informazione
«as specific as possible with regard to any foreseen research uses and the choices
available in that respect». Come sottolineato dagli esperti nel settore medico e
scientifico, risulta particolarmente complesso illustrare al momento del prelievo del
campione i suoi possibili impieghi futuri, soprattutto nel lungo periodo. Le scienze e la
tecnica avanzano rapidamente e si rinnovano continuamente, delineando sempre nuovi
orizzonti e rendendo possibili scenari prima inesplorati: la previsione di un siffatto
onere informativo in capo ai professionisti della salute e della ricerca significherebbe
voler loro attribuire doti quasi divinatorie.
Per completare il quadro, si evidenzia come anche il documento in esame
preveda il diritto di ritirare o cambiare lo scopo per cui il consenso è stato prestato.
L’esercizio di tale diritto può avvenire in qualsiasi momento e non può causare al
soggetto nessuna forma di discriminazione o pregiudizio, in particolare con riguardo al
diritto all’assistenza sanitaria. Inoltre, nel caso in cui venga ritirato il consenso inerente
a materiale biologico identificabile e raccolto esclusivamente con fini di ricerca, si
dovrebbe provvedere alla distruzione del campione o alla sua completa anonimizzazione
(art. 15).
Proseguendo sul piano definitorio, la Raccomandazione risulta particolarmente
interessante per alcune distinzioni che traccia circa l’identificabilità dei materiali
biologici. Essa precisa che per «tessuti identificabili» devono intendersi quei materiali
biologici che, da soli o correlati dai dati associati, permettono l’identificazione delle
24
La Raccomandazione ha trasposto praticamente senza modificazioni il Progetto elaborato nel
2005 dal Comitato Direttivo di Bioetica del Consiglio d’Europa (CDBI).
25
E’ esclusa esplicitamente l’applicabilità della Raccomandazione ai tessuti di origine
embrionica e fetale (art. 2.4).
23
persone cui si riferiscono, direttamente o attraverso l’utilizzo di un codice. In
quest’ultima
ipotesi,
la
Raccomandazione
compie
un’ulteriore
specificazione
distinguendo tra «coded materials», il cui codice è conosciuto da chi utilizza il tessuto, e
«linked anonimysed materials», per cui il codice è noto solo a soggetti terzi rispetto al
diretto utilizzatore.
I materiali biologici non identificabili («unlinked anonimysed materials») sono,
invece, quelli che non consentono, con sforzi ragionevoli, di identificare la persona cui
appartenevano.
Sulla questione dell’identificabilità, l’atto del Comitato dei Ministri sembra
prendere
una
posizione
ben
definita,
prevedendo
come
principio
generale
l’anonimizzazione dei materiali biologici e dei dati associati impiegati nella ricerca.
Viene, infatti, precisato che il ricercatore debba giustificare qualsiasi loro eventuale
utilizzo in forma identificata, codificata o «linked anonimysed» (art. 8).
Per ciò che concerne nello specifico, la disciplina dell’utilizzo dei materiali
biologici a scopo di ricerca, l’art. 21 ribadisce che tale impiego non può eccedere i limiti
espressi nel consenso, pur prevedendo un’eccezione. Infatti, all’art. 22 viene formulata
le seguente regola procedurale: qualora l’utilizzo del materiale biologico identificabile
non rispetti i limiti fissati nel consenso, bisognerà compiere ragionevoli sforzi per
contattare la persona coinvolta ed ottenere un nuovo consenso. Se l’operazione non
andasse a buon fine o se risultasse eccessivamente oneroso ricontattare l’interessato, i
materiali biologici potranno comunque essere impiegati in quel progetto di ricerca sulla
base di tre requisiti:
a. la ricerca deve affrontare un importante interesse scientifico;
b. l’obiettivo della ricerca non può essere ragionevolmente conseguito utilizzando
materiali biologici per i quali il consenso è già stato ottenuto;
c. non c’è nessuna prova che lasci presumere che la persona coinvolta si sarebbe
espressamente opposta ad un simile utilizzo scientifico.
In ogni caso, viene fatta salva la possibilità di rifiutare o di ritirare il consenso
all’utilizzo del proprio materiale biologico identificabile in un progetto di ricerca.
Invece, per quanto riguarda i materiali biologici non identificabili, essi potranno
essere utilizzati a fini di ricerca con l’unico limite del rispetto delle restrizioni
eventualmente poste dalla persona interessata prima dell’anonimizzazione (art. 23).
24
Le successive disposizioni dettano alcune indicazioni generali in tema di
approvazione dei progetti di ricerca, di valutazione del loro merito scientifico e di
verifica dei requisiti di «ethical acceptability». La Raccomandazione rinvia
esplicitamente al Protocollo Addizionale sulla ricerca biomedica per quanto riguarda
l’applicabilità delle previsioni relative ai comitati etici e alla tutela dei principi di
confidenzialità e diritto all’informazione.
Ma il Capitolo IV della Raccomandazione, interamente dedicato alle collezioni
di materiali biologici, fornisce alcuni principi-base valevoli in linea generale anche per
le biobanche. All’art.14 si prevede che: sia nominata una persona e/o un’istituzione
responsabile per la collezione; siano specificati gli scopi e la gestione della collezione
secondo principi di trasparenza e responsabilità, compresi l’accesso, l’utilizzo, il
trasferimento dei materiali biologici e la «disclosure» delle informazioni; sia
documentato ed annotato in maniera appropriata ogni campione biologico, anche con
riferimento al tipo di consenso o di autorizzazioni prestati; siano stabilite condizioni
chiare di accesso ed uso dei campioni; siano adottate le idonee misure di garanzia, come
le condizioni di sicurezza e confidenzialità durante lo stoccaggio e la manipolazione dei
materiali biologici. E’ poi prescritta la cautela, nel caso di trasferimenti transfrontalieri,
che i tessuti e i dati personali associati “viaggino” verso Stati che assicurino un
adeguato livello di protezione (art. 16). Questa tematica è centrale nell’attuale panorama
internazionale, dominato dall’esigenza di stabilire network di biobanche e di
condividere in rete tessuti e conoscenze. Una simile esigenza nasce proprio dalla presa
di coscienza della necessaria collaborazione in questo settore ma anche dalla
consapevolezza che non potrà realizzarsi un’effettiva circolazione di dati e materiali in
assenza di standards comuni e riconosciuti dalla comunità scientifica.
La Raccomandazione, però, conosce bene il discrimen tra semplice collezione di
materiali biologici e biobanca di ricerca: il valore di questa viene riconosciuto nella
possibilità di collegare i materiali biologici ed i dati personali associati a dati
genealogici, medici o a fattori ambientali, di aggiornare periodicamente questi dati
(informazioni di follow-up) e di organizzarli in maniera ordinata (art.17.1).
Anche se la Raccomandazione prende in considerazione solo la tipologia delle
biobanche di popolazione, alcuni dei suoi principi in tema di controllo e di accesso,
avendo una portata generale, possono essere applicati in via analogica anche agli altri
25
tipi di biobanca. In particolare, per salvaguardare i diritti e gli interessi delle persone
interessate nel biobanking dovrebbe essere previsto un sistema di controllo indipendente
ed autonomo; tali controlli andrebbero condotti in maniera regolare al fine di sviluppare
le procedure di accesso e di uso dei campioni; dovrebbero stabilirsi delle procedure
idonee per il trasferimento o la chiusura della biobanca; dovrebbero essere pubblicati
reports periodici sia sulle attività svolte che su quelle programmate (art. 19).
Infine, si esortano gli Stati a prendere le misure appropriate per facilitare i
ricercatori nell’accesso al materiale biologico ed ai dati associati stoccati nelle
biobanche (art. 20).
Per concludere il quadro delle fonti europee è da menzionare la
Raccomandazione R(97)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa relativa alla
raccolta e al trattamento automatizzato dei dati sanitari. Essi, definiti come i dati a
carattere personale relativi alla salute di una persona o aventi un collegamento stretto e
manifesto con la salute, possono essere raccolti e trattati a fini di salute pubblica, di
prevenzione di un pericolo concreto o per la repressione di una determinata infrazione
penale ovvero ancora ai fini di un altro importante interesse pubblico (art. 4.3 lett.a). La
Raccomandazione, però, non esclude che tali dati vengano utilizzati anche a fini di
medicina preventiva nei limiti fissati dal legislatore nazionale.
Per ciò che concerne i dati genetici, ossia tutti dati che riguardano i caratteri
ereditari di un individuo o che sono in rapporto con quei caratteri che formano il
patrimonio di un gruppo di individui affini, essi possono essere raccolti e trattati non
solo a fini di prevenzione, diagnosi o terapia nei confronti della persona interessata, ma
anche per ricerca scientifica purché venga rispettato il fine per cui la persona aveva
prestato il consenso (art. 4.7). Anche questo documento naturalmente considera il
consenso quale adempimento necessario per la raccolta e l’utilizzo dei dati (art. 6).
Ma è soprattutto la disciplina relativa alle scoperte inattese a costituire un punto
innovativo. Si prevede, infatti, che la persona sottoposta ad uno screening genetico
dovrà essere informata delle scoperte impreviste qualora: ciò non sia vietato dal diritto
interno, la persona abbia esplicitamente richiesto tale informazione nell’atto di consenso
e l’informazione in questione possa causare un danno grave alla salute della persona o
ad un suo parente consanguineo o uterino, ad un membro della sua famiglia sociale o ad
una persona avente un legame diretto con la linea genetica della persona. A meno che il
26
diritto interno non vieti categoricamente di comunicare una simile informazione alla
persona interessata, essa dovrà essere comunque avvisata se queste scoperte rivestano
per lei un’importanza terapeutica o preventiva diretta (art. 8.4).
Vedremo in seguito come le scoperte inattese e la possibilità di ricontattare il
paziente costituiscano al momento un aspetto cruciale per le biobanche. La difficoltà
consiste nel capire se sulla biobanca gravi un onere, un dovere, un obbligo, una facoltà,
un diritto to feedback al paziente le informazioni derivanti dallo studio e dall’analisi del
suo campione una volta che questo sia stato ceduto a scopo di ricerca.
4.3 Gli strumenti di soft law
Se il diritto è chiamato a disciplinare le scienze, esso non può prescindere dal
penetrare la logica e le leggi che le governano. L’invito a questo dialogo tra i saperi non
sembra essere caduto nel vuoto: si annoverano, infatti, una serie di documenti elaborati
da organi scientifici, quali la World Medical Association (WMA), il Council for
International Organization of Medical Sciences (CIOMS), la Human Genome
Organization (HUGO), l’European Medicine Agency o l’European Society of Human
Genetics.
In particolare, la WMA si è fatta promotrice di un numero cospicuo di questi atti:
dalla dichiarazione di Helsinki - un atto contenente principi sulla sperimentazione
umana ed essenzialmente rivolto alla comunità medica - alla Declaration on Ethical
Consideration regarding Health Databases. Quest’ultima in particolare, investe le
biobanche in quanto database genetici che raccolgono, annotano, registrano ed
utilizzano i dati personali di salute di una pluralità di individui. La Dichiarazione si
preoccupa di garantire il right to privacy del paziente sui propri dati medici, ponendo in
capo al professionista della salute un duty of confidantiality. Proprio la confidenzialità
viene indicata come il cuore della pratica medica e ne viene sottolineata l’importanza
per il mantenimento della fiducia e dell’integrità della relazione medico-paziente.
Il documento detta una serie di principi applicabili a tutti gli health databases, quali:
il diritto di accesso del paziente alle informazioni relative alla propria salute; il diritto di
decidere che queste informazioni siano cancellate dal database (cd. clausola di optingout); il dovere di confidenzialità del medico rispetto ai dati medici che raccoglie e che
27
inserisce nel database; il consenso informato del paziente all’inclusione dei propri dati
sulla salute nel database e all’eventuale accesso a queste informazioni da parte di
soggetti terzi; la dissociazione dell’identità del soggetto dal dato mediante l’utilizzo di
un codice o di un alias; la responsabilità del medico nell’assicurare l’accuratezza del
dato inserito nel database; la predisposizione di un’adeguata documentazione che
spieghi quali informazioni sono contenute nel database e con quale scopo, il tipo di
consenso che è stato ottenuto dal paziente, chi può accedere ai dati, le finalità e le
modalità con cui il dato può essere collegato ad altre informazioni, le circostanze nelle
quali il dato può essere messo a disposizione di soggetti terzi; l’individuazione dei
soggetti responsabili delle procedure e della gestione del database, cui eventualmente
fare ricorso.
Documenti della stessa portata sono stati emanati anche dalla HUGO. E’ il caso
degli Statement on the Principled Conduct of Genetic Research, Statement on DNA
Sampling e Statement on human genomic databases, emanati dall’Ethics Committee
rispettivamente nel 1996, 1998 e 2002; nonché delle Etichal Guidelines for Biomedical
Research Involving Human Subjects, redatte dal CIOMS in collaborazione con
l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2002.
Ma proliferano anche le iniziative degli stessi “tecnici” del settore per creare al loro
interno un canale di comunicazione con l’obiettivo di fissare alcuni principi cardine o
un modus procedendi condiviso.
E’ il caso della International Stem Cell Banking Initiative (ISCBI), erede della
International Society for Stem Cell Research (ISSCR)26 e dell’ International Stem Cell
Forum, che si è fatta promotrice della necessità di avviare un confronto fra ricercatori
con l’intento di creare un global network di banche di cellule staminali 27. L’iniziativa si
è concretizzata nel Consensus Guidance for Banking and Supply of Human Embryonic
Stem Cell Lines for Research Purposes28.
Si propagano anche iniziative come la hESCreg (European Human Embryonic Stem
Cell Registry), un database costantemente aggiornato, che si offre di fornire alla
La International Society for Stem Cell Research (ISSCR) è un’organizzazione non-profit che
promuove la ricerca e la diffusione della conoscenza in merito alle cellule staminali; sue sono le
Guidelines for the Conduct of Human Embrionic Stem Cell Research del 2006.
27
Vedi CROOK J.M., HEJ D., STACEY G., The International Stem Cell Banking Initiative (ISCBI):
raising standards to bank on, Vitro Cell Dev Biol Anim, 46 (3-4), 169 (2010).
28
Consensus Guidance for Banking and Supply of Human Embryonic Stem Cell Lines for Research
Purposes, Stem Cell Rev, 5(4), 301 (2009).
26
28
comunità scientifica, ai legislatori, ai policy makers e alla collettività in genere una
panoramica approfondita sullo stato attuale della ricerca sulle cellule staminali in
Europa29.
5. La disciplina comunitaria
Anche i Trattati Europei non offrono delle risposte specificamente pensate per le
biobanche e la Commissione europea non ha ancora promosso alcun strumento
normativo in grado di risolvere alcune questioni nodali che si registrano nel tema di cui
stiamo parlando. E’ possibile comunque rinvenire, in atti comunitari dalla portata più
ampia e generale, alcuni principi che possono valere anche in tema di biobanche.
Iniziando l’analisi dalla fonte gerarchicamente sovraordinata30, la Carta dei Diritti
Fondamentali dell’Unione Europea, afferma nell’ambito della medicina e della biologia
alcuni principi cardine posti a tutela dell’integrità della persona quali: il consenso libero
e informato della persona interessata, il divieto di fare del corpo umano e delle sue parti
in quanto tali una fonte di lucro (art. 3.2), la protezione dei dati di carattere personale
sul cui rispetto dovrebbe vigilare un’autorità indipendente (art. 8).
Per quanto sia stata equiparata ai Trattati istitutivi, la Carta e le sue norme di
principio hanno trovato una più compiuta e dettagliata disciplina in atti di diritto
derivato dell’Unione.
Come sottolineato da Tobias Schulte in den Bäumen, Daniele Paci e Dolores
Ibarreta31, alcune direttive esistenti potrebbero già applicarsi a specifiche tipologie di
biobanca, come la direttiva 2002/98/CE32 sulle norme di qualità e di sicurezza per la
raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue
umano e dei suoi componenti; oppure, con riferimento all’attività di biobanking nelle
29
La hESCreg è stata creata come azione specifica di supporto per implementare la ‘Life Sciences,
Genomics, and Biotechnology for Human Health’ Priority del sesto Framework Programme for Research
and Technological Development della Commissione Europea.
30
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea è divenuta giuridicamente vincolante tramite
il rimando operato dall’art. 6.1 del Trattato di Lisbona.
31
SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., PACI D., IBARRETA D., Data Protection in Biobanks – A European
challenge for the long-term sustainability of Biobanking, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.31,
13:16, (2009).
32
Direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,che stabilisce norme di qualità e di
sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano
e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE, in G.U.C.E., serie L, 8 febbraio 2002, n.
33, p. 30.
29
sperimentazioni
cliniche,
potrebbe
ipotizzarsi
l’applicabilità
della
direttiva
2005/28/CE33 che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la buona pratica
clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti
per l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali.
Nel calderone normativo potrebbero anche rientrare le direttive 98/79/CE 34 sugli
strumenti di diagnosi in vitro e la direttiva 96/9/CE 35 relativa alla tutela giuridica delle
banche di dati. Tuttavia, se l’applicabilità della prima al contesto della biobanca sembra
essere esclusa dai consideranda 8 e 10 della direttiva stessa, la seconda potrebbe trovare
un margine di applicazione attraverso la disciplina del database sui generis.
Anche la direttiva 2004/23/CE36 sulla definizione di norme di qualità e di
sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la
conservazione, lo stoccaggio e la distribuzione di tessuti e di cellule umane, insieme
alle direttive 2006/17/CE37 e 2006/86/CE38, attuative della precedente, costituiscono un
punto di riferimento in tema di tracciabilità dei tessuti e delle cellule donate. Anche se
esse non sono applicabili all’attività di ricerca e non hanno come scopo quello di
armonizzare la disciplina delle collezioni di tessuti stoccati con tale finalità, forniscono
alcune indicazioni normative da tenere in considerazione.
Per quanto attiene alla rintracciabilità, la direttiva 2004/23/CE prescrive
l’obbligo di utilizzare codici di identificazione, e chiarisce che l’identificabilità riguarda
33
Direttiva 2005/28/CE della Commissione che stabilisce i principi e le linee guida dettagliate per la
buona pratica clinica relativa ai medicinali in fase di sperimentazione a uso umano nonché i requisiti per
l’autorizzazione alla fabbricazione o importazione di tali medicinali, in G.U.C.E., serie L, 9 aprile 2005,
n. 91, p.13.
34
Direttiva 98/79/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, relativa ai dispositivi medicodiagnostici in vitro, in G.U.C.E., serie L., 7 dicembre 1998, n. 331, p.1.
35
Direttiva 96/9/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 11 marzo 1996, relativa alla tutela
giuridica delle banche dati, in G.U.C.E., serie L, 27 marzo 1996, n.77, p. 20
36
Direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla definizione di norme di qualità
e di sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento, controllo, lavorazione, conservazione, lo
stoccaggio e la distribuzione di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 7 aprile 2004, n. 102, p. 48.
37
Direttiva 2006/17/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
per quanto riguarda determinate prescrizioni tecniche per la donazione, l’approvvigionamento e il
controllo di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 8 febbraio 2006, n. 38, p.40.
38
Direttiva 2006/86/CE, che attua la direttiva 2004/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
per quanto riguarda le prescrizioni in tema di rintracciabilità, la notifica di reazioni ed eventi avversi gravi
e determinate prescrizioni tecniche per la codifica, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la
distribuzione di tessuti e cellule umani, in G.U.C.E., serie L, 24 ottobre 2004, n. 294, p.32.
30
non solo il campione nella sua materialità ma anche i dati pertinenti che entrano in
contatto con esso (art. 8)39.
L’art. 13 enuncia il principio del consenso informato alla donazione, ma è la
direttiva 2006/17/CE ad elaborarlo più compiutamente. Essa prevede, infatti, che
l’operatore sanitario incaricato di ottenere informazioni sull’anamnesi sanitaria debba
accertarsi in primis che il donatore abbia compreso le informazioni da lui fornite, abbia
avuto l’opportunità di porre domande e abbia ricevuto risposte esaurienti ed, infine, che
egli abbia confermato, in fede, che tutte le informazioni fornite sono veritiere.
Centrale, in tema di trattamento dei dati, è la già menzionata direttiva 95/46/CE,
sovente indicata come il maggior ostacolo alla cooperazione nel campo della ricerca
biomedica. La direttiva del 1995 costituisce indubbiamente l’architrave nel panorama
normativo comunitario in materia, ma la sua applicabilità ai campioni biologici di
origine umana non era un dato pacifico in dottrina fino alla sentenza della Corte
Europea dei Diritti Umani, che nel caso Marper40 afferma che i principi sul trattamento
dei dati devono essere visti nel più ampio contesto del diritto al rispetto della vita
privata e familiare.
La direttiva chiarisce che per dato personale deve intendersi qualsiasi
informazione concernente una persona fisica identificata o identificabile (cd. persona
interessata). Da una simile formulazione sembrerebbe, dunque, escluso il materiale
biologico quale supporto fisico, ma non l’informazione in esso contenuta. Sotto
l’ombrello di questa definizione è pacifico, invece, che ricadano altri dati - ad esempio
quelli identificativi - che accompagnino il campione.
La direttiva, però, potrebbe avere un’incidenza sulla disciplina dei campioni
tessutali qualora i dati siano estratti da un materiale biologico di una persona identificata
o identificabile. La biobanca verrebbe, dunque, investita da questa disciplina nel
momento in cui processi, compia ricerche o trasferisca a soggetti terzi dati di persone
identificabili41. La dissociazione tessuto-dato appare artificiale - soprattutto agli
39
Per quanto riguarda, poi, il periodo di conservazione di tali dati ai fini della completa
rintracciabilità non può essere inferiore a 30 anni. La disposizione immediatamente successiva che
prevede la possibilità che tali dati siano organizzati in maniera informatizzata potrebbe risultare dal
sapore pleonastico, se non obsoleto.
40
Corte europea dei diritti dell’uomo, 4 dicembre 2008, ricorsi n. 30562/04 e 30566/04, S. and
Marper v. UK.
41
Così SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., PACI D., IBARRETA D., Data Protection in Biobanks – A European
challenge for the long-term sustainability of Biobanking, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.31,
13:18, (2009).
31
operatori del settore che non avevano mai incontrato limiti all’utilizzo dei campioni
biologici prima dell’arrivo dei giuristi - ma non è manichea: appare necessaria per
qualificare con chiarezza la fattispecie ed effettuare un contemperamento tra il ricco
armamentario normativo approntato per il trattamento dei dati e il far west del
dominium sui campioni, evitando assimilazioni di situazioni giuridiche distinte.
Ci si è chiesti, comunque, se i dati contenuti nella biobanca siano
automaticamente dati sensibili e riconducibili, pertanto, alla disciplina prevista all’art.8
della direttiva. Questa fa una distinzione, innanzitutto, sulla base del contenuto del dato
e dello scopo per cui questo è raccolto. In relazione al contenuto, l’art.8.1 allestisce una
lista esemplificativa di categorie di dati sensibili (dati personali che rivelano l’origine
razziale o etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche,
l’appartenenza sindacale, nonché il trattamento di dati relativi alla salute e alla vita
sessuale), oggetto di critiche per i contorni evanescenti del «dato relativo alla salute».
Non si distingue, infatti, tra dato sulla salute per se e dati che diventano inerenti alla
salute se analizzati in riferimento ad una malattia complessa42.
È un problema, come già detto in precedenza, che investe anche il biobanking. I
campioni biologici non sono “sensibili” di per se ma i dati in essi contenuti, in quanto
descrivono lo stato fisiologico del soggetto. In ogni caso, i dati ricavabili dal campione
non sono considerati sensibili se non contengono nessuna informazione riguardante la
salute. Gli eventuali altri dati associati al campione potrebbero invece essere qualificati
come sensibili a seconda dello scopo per cui sono processati. In definitiva
l’applicazione dell’art. 8 dipende dal tipo di ricerca condotta sui campioni biologici e
sui dati raccolti. Sempre secondo lo studio condotto da Schulte in Den Bäumen, Paci e
Ibarreta, la classificazione rigorosa operata dalla direttiva escluderebbe dal suo raggio
d’azione quelle collezioni di dati concernenti lo stile di vita e le condizioni ambientali e
di lavoro del soggetto interessato43. Ma il vero grande assente è il dato genetico.
Il concetto di scopo per cui il dato viene raccolto è, invece, descritto al
considerando 28 della direttiva. Uno dei presupposti necessari per il trattamento dei dati
è proprio il perseguimento di una finalità che deve essere esplicita, legittima e
specificata al momento della raccolta dei dati. Inoltre, la finalità dei trattamenti
42
43
Ibidem.
Ibid., 19.
32
successivi non può essere incompatibile con quella originariamente indicata 44. Il punto è
evidentemente rilevante per la biobanche che per il perseguimento dei propri scopi si
servono di database contenenti dati genetici.
Al fine di assicurare le sicurezza nella circolazione dei dati, la direttiva prevede
che siano adottate misure di protezione tecnologica quali le Privacy Enhancing
technologies (PETs), i PRM (Privacy Rights Management) o, nel contesto specifico del
software, i DRM (Digital Rights Management) ossia sistemi che permettono di
controllare e gestire il flusso dei dati, garantendo al contempo l’efficienza del sistema
informativo adoperato45.
La direttiva 95/46/CE si occupa anche della libera circolazione dei dati personali
esprimendo la consapevolezza che l’uniformità di trattamento sia un obiettivo
fondamentale per il mercato interno da realizzarsi mediante azioni congiunte da parte
degli Stati volte al coordinamento del flusso transfrontaliero dei dati (considerando 8).
La direttiva è stata emanata sulla scorta dell’art. 286 TCE, di recente sostituito dal
nuovo art. 16 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europa (TFUE) 46. Tale norma
impone la protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati di
44
Analogamente dispone l’art. 6.1: «Gli Stati membri dispongono che i dati personali devono essere:
a) trattati lealmente e lecitamente; b) rilevati per finalità determinate, esplicite e legittime, e
successivamente trattati in modo non incompatibile con tali finalità. Il trattamento successivo dei dati per
scopi storici, statistici o scientifici non è ritenuto incompatibile, purché gli Stati membri forniscano
garanzie appropriate; c) adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali vengono
rilevati e/o per le quali vengono successivamente trattati; d) esatti e, se necessario, aggiornati; devono
essere prese tutte le misure ragionevoli per cancellare o rettificare i dati inesatti o incompleti rispetto alle
finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati, cancellati o rettificati; e) conservati in
modo da consentire l’identificazione delle persone interessate per un arco di tempo non superiore a quello
necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono rilevati o sono successivamente trattati. Gli
Stati membri prevedono garanzie adeguate per i dati personali conservati oltre il suddetto arco di tempo
per motivi storici, statistici o scientifici».
45
La Direzione generale giustizia, libertà e sicurezza della Commissione Europea sta
conducendo, con l’ausilio della London Economics, un’indagine sui possibili benefici economici derivanti
dall’introduzione delle PETs. La prima fase della ricerca si è conclusa lo scorso 12 novembre con la
presentazione dei primi risultati e delle posizioni delle Autorità di protezione dei dati e dei soggetti
pubblici nazionali. La seconda fase, tuttora in corso, si sta focalizzando sul possibile impatto delle PETs
nel settore aziendale. L’implementazione del sistema di protezione della privacy attraverso i PETs
comporta un impiego notevole di risorse tecnologiche e know-how che deve essere supportato da corposi
investimenti finanziari. Come affermato da Viviane Reding, Commissaria europea per le
Telecomunicazioni ed i Media, in occasione del Data Protection Day del 28 gennaio 2010: «Abbiamo
[…] un solido set di principi stabiliti dalla nostra Direttiva Generale sulla Protezione dei Dati del 1995.
Tuttavia non possiamo riposare sugli allori. Il mondo è cambiato profondamente dal 1995. L’EU deve
essere la guida del mondo intero quando si parla di protezione dei dati personali. Dunque l’EU si deve
fornire di strumenti legali robusti per rispondere in modo efficace alle sfide poste dal rapido sviluppo
delle nuove tecnologie e dall’evolversi delle minacce di sicurezza».
46
Versione consolidata del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, in G.U.C.E., serie
C, 9 maggio 2008, n. 115, p. 47.
33
carattere personale che le riguardano, non solo da parte delle istituzioni dell’Unione, ma
anche da parte degli Stati membri nell’esercizio delle attività che rientrano nel campo di
applicazione del diritto comunitario. Con una simile formulazione, la circolazione dei
dati personali verrebbe configurata come una della 4 Libertà Fondamentali
dell’Unione47.
Un altro provvedimento comunitario risulta di particolare importanza in
riferimento alla relazione biobanca-ricercatori-industrie. Si tratta della discussa direttiva
98/44/CE48, ribattezzata dai verdi europei “direttiva Frankestein”. Con riferimento
all’oggetto di questa di analisi, la direttiva rileva in tema di brevettabilità delle
invenzioni sviluppate a partire dalla ricerca condotta sui materiali biologici di origine
umana forniti dalla biobanche.
La direttiva è chiara sul divieto di brevettabilità del corpo umano, nei vari stadi
della sua formazione sviluppo, nonché la semplice scoperta di uno dei suoi elementi,
inclusa la sequenza totale o parziale di un gene (art. 5.1). Tale previsione, però, non
riguarda un elemento isolato dal corpo o prodotto con un processo tecnico, ivi compresa
la sequenza totale o parziale di un gene, che, quindi, può costituire oggetto di
un’invenzione brevettabile anche se presenti una struttura identica a quella di un
elemento naturale (art. 5.2). In quest’ultimo caso è richiesto che nella disclosure del
brevetto venga indicata la sua applicazione industriale (art. 5.3).
Il successivo art. 6, ribattezzato “ethical clause”, prevede che siano escluse dalla
brevettabilità le invenzioni il cui sfruttamento commerciale sia contrario all’ordine
pubblico o al buon costume. Per supplire alla generalità intrinsecamente caratterizzante
queste due categorie, la direttiva ha elencato una serie di invenzioni che non potranno
essere coperte da brevetto. Si tratta dei procedimenti di clonazione di esseri umani, dei
47
Il Trattato di Lisbona ha innovato la disciplina della ricerca e dello sviluppo scientifico e
tecnologico con l’introduzione del titolo XIX del TFUE il cui obiettivo è quello di rafforzare le basi
scientifiche e tecnologiche dell’Unione al fine di creare uno spazio europeo per la ricerca, in cui
ricercatori, le conoscenze scientifiche e le tecnologie circolino liberamente (art. 179). Per raggiungere
questa meta l’Unione si è prefissata come strategia la: «a) attuazione di programmi di ricerca, sviluppo
tecnologico e dimostrazione, promuovendo la cooperazione con e tra le imprese, i centri di ricerca e le
università; b) promozione della cooperazione in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione
dell’Unione con i paesi terzi e le organizzazioni internazionali; c) diffusione e valorizzazione dei risultati
delle attività in materia di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione dell’Unione; d) impulso alla
formazione e alla mobilità dei ricercatori dell’Unione» (art. 180). Bisogna sottolineare che al momento
non è stato ancora intrapreso nessun programma quadro: queste previsioni non hanno ancora avuto
concreta attuazione.
48
Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione legale delle
invenzioni biotecnologiche, in G.U.C.E., serie L, 30 luglio 1998, n. 213, p.13.
34
procedimenti di modificazione dell’identità genetica germinale dell’essere umano, delle
utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali, dei procedimenti di
modificazione dell’identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze
senza utilità medica sostanziale per l’uomo o l’animale (art. 6.2)49.
Al fine di rispondere alle esigenze etiche nella concessione dei brevetti, la
direttiva europea sulle biotecnologie impone delle condizioni aggiuntive per la
brevettabilità di determinate invenzioni, come nel caso dell’obbligo di ottenere il
consenso informato. Il considerando 26, infatti, prevede che «nell’ambito del deposito
di una domanda di brevetto, se un’invenzione ha per oggetto materiale biologico di
origine umana o lo utilizza, alla persona da cui e stato prelevato il materiale deve essere
stata garantita la possibilità di esprimere il proprio consenso libero e informato a tale
prelievo in base al diritto nazionale».
Nonostante la direttiva si sforzi di chiarire la differenza tra materiale di origine
umana brevettabile e non, appare evidente quella che Mariachiara Tallacchini chiama
l’«ambiguità del corpo»50, il cui status vacilla verso una paradossale situazione di non
commerciabilità brevettabile. E questa ambiguità si riflette, secondo lo studio di
Geertrui Van Overwalle51, in due differenti approcci: una prima scuola di pensiero vede
il DNA semplicemente come polimero organico composto da nucleotidi e lo considera
alla stregua di qualsiasi altro composto chimico brevettabile; mentre un altro
orientamento considera il DNA come qualcosa di ulteriore e diverso rispetto ad una
struttura chimica. Ritenendolo il codice della vita e una eredità comune del genere
umano, questi rigettano qualsiasi forma di appropriazione o di brevetto sul genoma.
In primo luogo, bisogna chiarire se il gene costituisca un’invenzione. Né le
direttiva né la European Patent Convention (EPC) danno una definizione di invenzione
ma indicano i requisiti che questa deve avere per essere brevettata: novità, inventiva e
49
Celeberrima al riguardo è la vicenda dell’Oncomouse di Harvard, un topo da laboratorio
geneticamente modificato per sviluppare il cancro alla mammella. Nonostante le proteste, lo European
Patent Office ha riconosciuto la brevettabilità di questo organismo complesso perché, pur considerando
le sofferenze indotte nell’animale, questo avrebbe rappresentato un’importantissima risorsa per la ricerca
contro il cancro. Il brevetto, invece, è stato rifiutato in Canada.
50
TALLACCHINI M., Habeas Corpus? Il corpo umano tra non-commerciabilità e brevettabilità, in
Bioetica, 531:533, (1998).
51
VAN OVERWALLE G., Bio-Patents, law and ethics. Critical analysis of the EU biotechnology
Directive, Revista de Derecho y Genoma Humano, n.19, 187,(2003).
35
applicabilità industriale52. Restano esplicitamente esclusi della definizione: «discoveries,
scientific theories and mathematical methods»53.
La Rules 23 e EPC, riecheggiando quanto disposto dalla direttiva 98/44/CE,
prevede che: «il corpo umano, nei vari stadi della sua formazione e sviluppo, nonché la
mera scoperta di uno dei suoi elementi, ivi compresa la sequenza o la sequenza parziale
di un gene, non possono costituire invenzioni brevettabili. Un elemento isolato dal
corpo umano o diversamente prodotto, mediante un procedimento tecnico, ivi compresa
la sequenza o la sequenza parziale di un gene, può costituire un’invenzione brevettabile,
anche se la struttura di tale elemento è identica a quella di un naturale elemento.
L’applicazione industriale di una sequenza o una sequenza parziale di un gene deve
essere concretamente indicata nella richiesta di brevetto». Nonostante sia evidente che si
tratti di un nervo scoperto nella riflessione bioetica e che il discrimen proposto tra
scoperta e invenzione nell’isolamento di un gene appaia quantomai sofisticato, la
questione non sembrerebbe controversa.
Un’altra questione non del tutto pacifica riguarda l’applicazione industriale dei
geni isolati. I geni in quanto tali sono una fonte potenzialmente illimitata di qualsivoglia
tipo di informazione, mentre il requisito della «industrial application» impone una
concreta indicazione dell’impiego industriale. La EPC non si dilunga sul punto: la Rule
23e si limita a prevedere che la sequenza totale o parziale di un gene venga descritta
dettagliatamente nella richiesta di deposito del brevetto e l’art.83 precisa che tale
descrizione sia chiara completa in maniera tale che possa essere applicata da un
soggetto esperto.
Più puntuale è la previsione fornita dalla direttiva europea sulle biotecnologie.
Dopo aver chiarito preliminarmente che una sequenza di DNA per essere brevettata
52
L’art.52 della EPC prevede che: «European patents shall be granted for any inventions, in all
fields of technology, provided that they are new, involve an inventive step and are susceptible of
industrial application». L’art.83 aggiunge un ulteriore requisito: l’invenzione deve essere
sufficientemente «disclosed». Il concetto di novità è inteso in senso ampio: l’invenzione non deve essere
già ricompresa nello «stato dell’arte» e, cioè, non deve essere già nota presso il pubblico prima della data
di deposito del brevetto (art. 54); mentre l’«inventive step» comporta che l’invenzione non sia ovvia per
una persona «skilled in the art» (art. 56). L’applicazione industriale si risolve nella possibilità di
riprodurre od utilizzare l’invenzione in qualsiasi tipo di processo produttivo (art.57).
53
La proposta di direttiva COM (95) 66 conteneva un art. 3.1 di siffatta formulazione: «the
human body and its elements in their natural state shall not be considered patentable inventions». Questo
riferimento non è stato inserito nel testo definitivo della direttiva. Le disciplina europea sembra essersi
uniformata su quella statunitense che dal 1966, con la sentenza della Corte Suprema sul caso Brenner v.
Manson e la pubblica consultazione avviata, ammette senza particolari limitazioni la brevettabilità delle
sequenze del DNA.
36
deve indicare la funzione a cui è rivolta (considerando 23), aggiunge, con riferimento
all’applicabilità industriale, che occorre indicare «in caso di sequenza parziale di un
gene utilizzata per produrre una proteina o una proteina parziale, quale sia la proteina o
la proteina parziale prodotta o quale funzione essa assolva» (considerando 24)54.
6. La disciplina italiana
Se a livello internazionale possiamo parlare di un quadro normativo, a livello
interno siamo ancora al bozzetto preparatorio. La situazione in Italia è estremamente
frammentata: alcuni riferimenti parziali e non specifici sono stati individuati dal
Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie nel Regolamento di polizia
mortuaria (DPR 285/90)55, nell’art. 413 c.p.56, nella legislazione relativa ai trapianti
d’organo57, ai servizi emotrasfusionali58 ed alla fecondazione assistita59.
Nel silenzio della legge, infatti, si è assistito alla proliferazione di strumenti di
soft law. Uno dei documenti più noti al riguardo è rappresentato dalla proposta di Linee
Guida per la creazione, il mantenimento e l’utilizzo di Biobanche Genetiche elaborata
già nel 2003 nell’ambito della Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e della
Fondazione Telethon60.
Ulteriori linee guida sono quelle approvate dal sopracitato Comitato Nazionale
per la Biosicurezza e le Biotecnologie, istituito presso il Consiglio dei Ministri, per
54
La descrizione della funzione della proteina non è, invece, richiesta dal titolo 35 dello US
Code.
55
In proposito l’art. 41.2 prevede che: «Il prelevamento e la conservazione di cadaveri e di pezzi
anatomici, ivi compresi i prodotti fetali, devono essere di volta in volta autorizzati dall’autorità sanitaria
locale semprechè nulla osti da parte degli aventi titolo».
56
Recita l’art. 413 c.p.: «Chiunque disseziona o altrimenti adopera un cadavere, o una parte di
esso, a scopi scientifici o didattici in casi non consentiti dalla legge, è punito con la reclusione fino a sei
mesi o con la multa fino a lire un milione […]».
57
Legge 1.04.1999, n. 91, “Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e tessuti”.
58
D.m. n. 78 del 25.01.2001, “Caratteristiche e modalità per la donazione di sangue e di
emocomponenti”.
59
L. 40/2004, “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita.
60
S.I.G.U., Telethon Fondazione onlus, Biobanche genetiche. Linee Guida, pubblicato in
Analysis, 5/6 (2003). In questo documento, le biobanche genetiche sono definite come unità di servizio,
senza scopo di lucro diretto, finalizzate alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano
utilizzato per diagnosi genetica, per studi sulla biodiversità e per ricerca. La peculiarità delle biobanche
genetiche richiede che i campioni conservati siano collegabili ai dati anagrafici, genealogici e clinici
relativi ai soggetti da cui deriva il materiale depositato.
37
l’istituzione e l’accreditamento delle biobanche. Tale documento, che si ispira
espressamente alla raccomandazione R (2006) 4 del Consiglio d’Europa e alla First
Generation Guidelines for NCI Supported Biorepositories del Cancer Advisory Board
(2005), si propone di «definire le tipologie e i ruoli delle diverse biobanche umane,
indicarne, sulla base di documenti nazionali e internazionali, le modalità per la loro
istituzione e accreditamento».
Il Comitato, dopo aver rapidamente passato in rassegna alcune regolamentazioni
internazionali, definisce la biobanca come «unità di servizio senza scopo di lucro
diretto, finalizzata alla raccolta e alla conservazione di materiale biologico umano
utilizzato per diagnosi, per studi sulla biodiversità e per ricerca». Questo documento
equipara, dunque, la biobanca al modello organizzativo dei centri di risorse biologiche,
definiti dall’OCSE come «centri che forniscono servizi di conservazione di cellule
viventi, genomi di organismi e informazioni relative all’ereditarietà e alle funzioni dei
sistemi biologici. Conservano banche di organismi coltivabili (microrganismi, cellule
vegetali, animali e umane), parti replicabili di essi (genomi, plasmidi, virus, DNA),
organismi vitali ma non più coltivabili, cellule tessuti, così come anche banche dati
contenenti informazioni molecolari, fisiologiche e strutturali rilevanti per quelle
collezioni».
Le Linee Guida elencano quale tipologia di materiale possa essere conservato
all’interno della biobanca (cellule, colture cellulari sia primarie che derivate e/o
immortalizzate, tessuti adulti e se tali normali e patologici, acidi nucleici, proteine e
liquidi biologici), mentre, con riferimento alla tipologia di biobanche e delle loro
finalità, tale documento effettua una macro bipartizione tra biobanche genetiche e
biobanche tessutali.
Esso suggerisce poi alcuni criteri minimi che dovrebbero essere condivisi a
livello nazionale e propone61, in assenza di criteri di certificazione specifici, alcune
61
Si elencano a titolo esemplificativo: «l’appartenenza ad un ente pubblico o privato già
accreditato a livello regionale o nazionale che dia garanzie di sostenere tale struttura lungo termine;
definizione di un documento programmatico con gli obiettivi della struttura in riferimento alle specifiche
funzioni da svolgere, tipologia del materiale conservato, entità dei campioni previsti, modalità di
conservazione dei campioni, modalità di gestione delle informazioni, modalità di trasporto dei campioni;
definizione della logistica e locali dedicati con caratteristiche adeguate alle specifiche funzioni; utilizzo di
personale qualificato dedicato con una formazione specifica alle funzioni da svolgere; responsabile della
struttura o titoli adeguati alle funzioni definite nel documento programmatico, in accordo con la
38
indicazioni essenziali per assicurare la trasparenza della procedura di certificazione e
adeguati meccanismi di garanzia a tutela degli interessi del richiedente lesi da un
eventuale parere negativo dell’organismo certificatore.
Il documento non trascura gli aspetti etici e giuridici coinvolti, quali la tutela
della riservatezza, la rintracciabilità del campione, la proprietà del materiale biologico,
il divieto di commercializzazione dello stesso, l’informativa e il consenso, l’accesso e il
controllo dell’interessato sulle proprie informazioni. In questi casi viene effettuato
semplicemente un rimando alla normativa internazionale e comunitaria in materia.
Gli allegati alle Linee Guida entrano poi nello specifico in riferimento all’attività
dei CRB, alle infrastrutture, alle banche di tessuti umani per la ricerca e all’allestimento
del sistema informativo della biobanca.
A queste ha fatto seguito il decreto 15 maggio 2006 del Ministero delle attività
produttive, ora Ministero dello sviluppo economico, attraverso il quale sono state
determinate le procedure per l’abilitazione degli organismi di certificazione dei CRB ed
il riconoscimento di biobanche come «Centri di risorse biologiche». Il decreto, però,
non risulta definitivamente esaustivo. Esso si limita a definire le biobanche con la
nozione elaborata dall’OCSE per i Centri di Risorse Biologiche mentre definisce i CRB
come quelle biobanche che hanno chiesto ed ottenuto la certificazione del proprio
sistema di gestione per la qualità da parte di un organismo di certificazione dei centri di
risorse biologiche (art. 2). Per l’individuazione dei criteri di certificazione si rinvia alla
disciplina stabilita dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per
l’approvazione all’ispettorato tecnico dell’industria della Direzione generale dello
sviluppo produttivo e competitività del Ministero delle attività produttive (art. 6).
Al di là dello scarno contenuto di queste disposizioni, lascia interdetti l’adozione
di una fonte secondaria, quale un decreto ministeriale, per disciplinare un fenomeno così
complesso62.
6.1. L’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici
legislazione nazionale per la dirigenza; utilizzo di un sistema qualità certificato».
62
Così MACILOTTI M., IZZO U., PASCUZZI G., BARBARESCHI M., La disciplina giuridica delle
biobanche, cit., p. 86:90.
39
Il Codice della privacy è rilevante ai fini della nostra indagine per la tutela
accordata alla categoria dei dati genetici. Il Capo V del Codice, costituito da un unico
articolo, prevede che il trattamento dei dati genetici avvenga previa autorizzazione,
rilasciata dal Garante di concerto con il Ministro della salute, dopo aver acquisito il
parere del Consiglio superiore di sanità (art. 90.1).
Detta autorizzazione è stata adottata nel marzo del 2007. Si tratta in ogni caso
dell’unico documento vincolante nel nostro ordinamento riferibile alla materia delle
biobanche.
L’autorizzazione dà una definizione di dato genetico e lo identifica con quel dato
che «indipendentemente dalla tipologia, riguarda la costituzione genotipica di un
individuo, ovvero i caratteri genetici trasmissibili nell’ambito di un gruppo di individui
legati da vincoli di parentela» e al contempo individua il campione biologico come
qualsiasi «campione di materiale biologico che attiene alle informazioni genotipiche
caratteristiche di un individuo». Nonostante la specificità delle definizioni,
l’autorizzazione predispone la medesima disciplina per entrambi e sembra considerare il
campione biologico quale mero supporto dei dati genetici in esso contenuti63.
I dati genetici possono essere trattati per «scopi di ricerca scientifica e statistica
finalizzata alla tutela della salute della collettività in campo medico, biomedico ed
epidemiologico (sempre che la disponibilità di dati solo anonimi su campioni della
popolazione non permetta alla ricerca di raggiungere i suoi scopi), da svolgersi con il
consenso dell’interessato salvo che nei casi di indagine statistiche o di ricerca scientifica
previste dalla legge» (punto 3 lett. c). L’autorizzazione, sottoponendo il trattamento dei
dati genetici alla condicio dell’impossibilità dell’adempimento della finalità mediante il
trattamento di dati anonimi o di dati personali di natura diversa, sembra considerare il
dato genetico come una categoria di dato “particolarmente sensibile”, in quanto
qualsiasi operazione collegata al loro trattamento esigerebbe questa cautela preventiva.
Il punto 3 dell’Autorizzazione prosegue sancendo l’obbligatorietà del consenso
dell’interessato per l’utilizzo dei dati genetici, a meno che si tratti di indagini statistiche
o di ricerca scientifica previste dalla legge.
63
Ibidem. Sul punto si veda, inoltre, l’analisi condotta in MACILOTTI M., Proprietà, Informazione
ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca (Property, Informations and Interests in the
Regulation of Research Biobank), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 7-8, 222, (2008); ID.,
Consenso informato e biobanche di ricerca (Informed Consent and Research Biobanks), in Nuova
giurisprudenza civile commentata, v. 3, 153, (2009).
40
Con riferimento alla modalità di raccolta e conservazione, qualora le finalità del
trattamento di dati genetici non possano essere realizzate senza l’identificazione anche
temporanea degli interessati, il titolare deve adottare specifiche misure per mantenere
separati i dati identificativi già al momento della raccolta, salvo che ciò risulti
impossibile in ragione delle particolari caratteristiche del trattamento o richieda un
impiego di mezzi manifestamente sproporzionato (punto 4.1).
In tema di ricerca scientifica e statistica, per il cui svolgimento sia consentito il
trattamento dei dati genetici e l’utilizzo dei campioni biologici, è stabilita la
predisposizione di un progetto redatto conformemente agli standard del pertinente
settore disciplinare, anche al fine di documentare che il trattamento dei dati e l’utilizzo
dei campioni biologici si effettuato per idonei ed effettivi scopi scientifici 64. I dati e
campioni utilizzabili sono esclusivamente quelli strettamente pertinenti agli scopi
perseguiti, avendo sempre riguardo a che tali scopi non possano essere raggiunti
mediante dati personali diversi da quelli identificativi e genetici o che non comportino il
prelievo di campioni biologici (art. 4.2).
A presidio di dati genetici e campioni biologici l’Autorizzazione del Garante
stabilisce misure di sicurezza e custodia particolarmente rigide65.
Per quanto attiene ai dati genetici e ai campioni biologici contenuti in elenchi,
registri o banche dati, essi sono trattati con tecniche di cifratura o mediante
l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che li rendano
temporaneamente intellegibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettano di
identificare gli interessati solo in caso di necessità, così da ridurre il più possibile i rischi
di conoscenza accidentale e di accesso abusivo o non autorizzato. Nel caso in cui questi
elenchi, registri o banche di dati contengano anche dati collegati (riguardanti, cioè, la
64
Il progetto in questione, qualora preveda il prelievo e/o l’utilizzo di campioni biologici, deve
indicare l’origine, la natura e le modalità di prelievo e di conservazione dei campioni, nonché le misure
adottate per garantire la volontarietà del conferimento del materiale biologico da parte dell’interessato.
65
Stando al dettato della norma, le “cautele” che sempre devono essere adottate riguardano il
controllo dell’accesso ai locali «mediante incaricati della vigilanza o strumenti elettronici che prevedano
specifiche procedure di identificazione anche mediante dispositivi biometrici. Le persone ammesse, a
qualunque titolo, dopo l’orario di chiusura, sono identificate e registrate. La conservazione, l’utilizzo e il
trasporto dei campioni biologici sono posti in essere con modalità volte anche a garantirne la qualità,
l’integrità, la disponibilità e la tracciabilità. Il trasferimento dei dati genetici in formato elettronico è
effettuato con posta elettronica certificata previa cifratura delle informazioni trasmesse da realizzarsi con
firma digitale. É ammesso il ricorso a canali di comunicazione di tipo "web application" che prevedano
protocolli di comunicazione sicuri e garantiscano, previa verifica, l’identità digitale del server che eroga il
servizio e della postazione client da cui si effettua l’accesso ai dati, ricorrendo a certificati digitali emessi
in conformità alla legge da un’autorità di certificazione» (punto 4.3).
41
genealogia o lo stato di salute degli interessati) le predette tecniche devono consentire il
trattamento disgiunto dei dati genetici e sanitari dagli altri dati personali identificativi
(punto 4.3).
L’autorizzazione proseguendo poi in tema di informativa66, richiede un quid
pluris qualora il trattamento sia effettuato per scopi di ricerca scientifica e statistica: il
consenso dovrà essere manifestato liberamente e potrà essere revocato in ogni momento
senza arrecare pregiudizio alcuno per l’interessato67; dovranno essere indicati gli
accorgimenti adottati per consentire l’identificabilità degli interessati soltanto per il
tempo necessario agli scopi della raccolta o del successivo trattamento; dovrà essere
precisata l’eventualità che i dati e/o i campioni vengano conservati ed utilizzati per altri
scopi di ricerca scientifica e adeguatamente specificato, per quanto noto, anche con
riguardo alle categorie di soggetti ai quali possono essere eventualmente comunicati i
dati oppure trasferiti i campioni; dovranno essere indicate le modalità con cui gli
interessati, che ne facciano richiesta, possano accedere alle informazioni contenute nel
progetto di ricerca.
Inoltre, si prevede che nel caso in cui i trattamenti siano effettuati mediante test e
screening genetici68 per fini di ricerca, l’informativa sia resa all’interessato anche in
forma scritta, in modo specifico e comprensibile, prima del prelievo o dell’utilizzo del
suo campione biologico qualora lo stesso sia stato già prelevato (punto 5)69.
66
Dopo aver richiamato gli artt. 13, 77 e 78 del Codice della privacy, l’Autorizzazione prevede
che tale informativa debba contenere: l’esplicitazione analitica di tutte le specifiche finalità perseguite, i
risultati conseguibili anche in relazione alle notizie inattese che possono essere conosciute per effetto del
trattamento dei dati genetici, il diritto dell’interessato di opporsi al trattamento dei dati genetici per motivi
legittimi, la facoltà o meno, per l’interessato, di limitare l’ambito di comunicazione dei dati genetici e il
trasferimento dei campioni biologici, nonché l’eventuale utilizzo di questi per ulteriori scopi, il periodo di
conservazione dei dati genetici e dei campioni biologici.
67
La facoltà di revoca non è accordata qualora i dati e i campioni biologici, in origine o a seguito
di trattamento, non consentano più di identificare il soggetto interessato.
68
L’Autorizzazione intende per test genetico «l’analisi a scopo clinico di uno specifico gene o
del suo prodotto o funzione o di altre parti del DNA o di un cromosoma, volta effettuare una diagnosi o
confermare un sospetto clinico in un individuo già affetto (test diagnostico), oppure a individuare o
escludere la presenza di una mutazione associata ad una malattia genetica che possa svilupparsi in un
individuo sano (test presintomatico) o, ancora, a valutare la maggiore o minore suscettibilità di un
individuo a sviluppare patologie comuni (test predittivo)» (punto 1.c); mentre lo screening genetico è quel
particolare test genetico che viene effettuato solo su popolazioni o gruppi definiti con il fine di delinearne
le caratteristiche genetiche comuni o di identificare precocemente soggetti affetti o portatori di patologie
genetiche o di altre caratteristiche ereditarie (punto 1.f).
69
L’onere di informazione è più pregnante qualora le ricerche scientifiche debbano essere
condotte su campioni di popolazione: in queste ipotesi, l’attività di informazione deve essere svolta presso
le comunità interessate con mezzi idonei (anche mezzi di comunicazione di massa su base locale e
presentazioni pubbliche), al fine di illustrare la natura della ricerca, le finalità perseguite, le modalità di
42
Con riferimento all’altra grande tematica, che ha costituito un po’ il file rouge
tra tutti i documenti finora analizzati, l’Autorizzazione del Garante prevede che il
trattamento dei dati genetici e l’utilizzazione dei campioni biologici possa avvenire
soltanto previa manifestazione del consenso informato in forma scritta. In
quest’occasione viene, altresì, ribadito il contenuto dell’art. 23 del Codice riguardo la
validità del consenso - che permane solo qualora l’interessato sia libero da ogni
condizionamento o coercizione - e la sua possibilità di revoca. Nel caso in cui
quest’ultima venga esercitata con riferimento a dati trattati per scopi di ricerca, è
distrutto anche il campione biologico sempre che sia stato prelevato per tali scopi, a
meno che il campione non possa più essere riferito ad una persona identificata o
identificabile (punto 6).
L’autorizzazione sembra compiere qui una scelta ben precisa, dando prevalenza
alla tutela dei dati personali e sacrificando quella dei campioni biologici, equiparati ad
un mero supporto, un hard drive contenente dati genetici. Il rapporto soggetto-campione
sembrerebbe dunque essere attratto nella categoria dei diritti della personalità, perdendo
tutte quelle sfumature e semplificando quella profondità e peculiarità che sono proprie
di questa entità, giuridicamente nuova70.
L’unica eccezione, che però riconferma la prevalenza accordata al dato genetico,
è costituita dal fatto che il campione non sia più riferibile al soggetto interessato.
Apparentemente sembrerebbe un buon compromesso ed una soluzione ragionevole se
non si tenesse conto del fatto che una completa dissociazione del dato dal campione sia
al momento irrealizzabile e, per quanto i processi di anonimizzazione si stiano
specializzando, non sono ancora in grado di separare in compartimenti stagni la
dimensione materiale da quella informazionale del tessuto. Proseguendo nella metafora
informatica, una formattazione del disco rigido non può garantire la tutela della privacy:
attuazione, le fonti di finanziamento e i rischi o i benefici attesi per le popolazioni coinvolte. Inoltre,
l’attività di informazione deve evidenziare anche i possibili “effetti collaterali” come i rischi di
discriminazione o stigmatizzazione delle comunità interessate ovvero quelli inerenti alla conoscibilità di
inattesi rapporti di consanguineità e le azioni intraprese per ridurre al minimo tali rischi (punto 5.1). È
evidente come una siffatta previsione sia pertinente alla disciplina di una biobanca di popolazione.
70
Sul punto si veda l’approfondita analisi di MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi
nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit.
43
l’unico modo è quello di distruggere fisicamente i dati sensibili cominciando dall’hard
disk71.
L’Autorizzazione conclude in tema di consenso, prevedendo che per i
trattamenti effettuati mediante test genetici anche a fini di ricerca debba essere acquisito
il consenso informato dei soggetti cui viene prelevato il materiale biologico necessario
all’esecuzione dell’analisi. In questi casi, l’interessato dovrà dichiarare se vuole
conoscere o meno i risultati dell’esame o della ricerca, comprese eventuali notizie
inattese che lo riguardano, qualora queste ultime rappresentino per l’interessato un
beneficio concreto e diretto in termini di terapia o di prevenzione o di consapevolezza
delle scelte riproduttive. Il punto non è particolarmente chiaro: con una simile
formulazione sembra che le uniche notizie inattese oggetto di comunicazione sottostiano
ai requisiti da ultimo elencati. Con la conseguenza che altre notizie parimenti delicate
ma non direttamente incidenti sulla salute dell’individuo siano in definitiva lasciate alla
discrezionalità del medico.
Per quanto attiene alla conservazione dei dati e dei campioni, essi possono essere
conservati per un periodo di tempo non superiore a quello strettamente necessario per
adempiere agli obblighi o ai compiti per cui sono stati raccolti o trattati (punto 8). Non
prevedendo, però, un limite massimo possiamo ipotizzare per assurdo che la
conservazione sia possibile in perpetuum. Questa previsione appare in contrasto con il
parere e la circolare del Consiglio Superiore della Sanità in base ai quali il periodo
massimo di conservazione dei campioni è di 20 anni.
Qualora poi i campioni biologici e i dati genetici siano stati rispettivamente
prelevati e raccolti per scopi di tutela della salute, essi possono anche essere conservati
ed utilizzati a fini di ricerca scientifica, previo ottenimento del consenso informato dalle
persone interessate. Invece, è resa possibile una conservazione ed utilizzazione “non
consensuale” di campioni e dati nel caso in cui essi vengano impiegati limitatamente al
perseguimento di scopi scientifici direttamente collegati con quelli dei progetti di
ricerca per cui era stato prestato originariamente il consenso.
71
Raccolgo qui la provocazione della rivista britannica Which? Computing che
provocatoriamente invitava a distruggere il disco rigido del proprio computer, con buona pace dell’ ewaste, per evitare “furti di identità”. L’articolo in questione è consultabile all’indirizzo
http://www.which.co.uk/news/2009/01/smash-up-your-hard-drive-to-avoid-id-theft-166079.jsp
44
L’Autorizzazione precisa successivamente, delineando il quadro normativo per
la comunicazione e diffusione dei dati, che i dati genetici e i campioni biologici raccolti
per scopi di ricerca scientifica possono essere comunicati o trasferiti ad enti ed istituti di
ricerca, alle associazioni e agli altri organismi pubblici e privati aventi finalità di
ricerca, esclusivamente nell’ambito di progetti congiunti. Possono altresì essere
comunicati o trasferiti anche a soggetti non partecipanti a progetti congiunti ma in
questo caso limitatamente alle informazioni prive di dati identificativi, per scopi
scientifici direttamente collegati a quelli per i quali sono stati originariamente raccolti e
chiaramente determinati per iscritto nella richiesta dei dati e/o dei campioni. Viene
nuovamente previsto che i risultati delle ricerche - nel caso in cui comportino un
beneficio concreto diretto in termini di terapia, prevenzione o di consapevolezza delle
scelte riproduttive - devono essere comunicati al medesimo interessato, eventualmente
assistito da un’appropriata consulenza genetica, secondo quanto espresso nel consenso.
I risultati delle ricerche però possono essere comunicati anche agli appartenenti della
stessa linea genetica dell’interessato, qualora ne facciano richiesta e l’interessato vi
abbia acconsentito espressamente72.
Con riferimento alle ricerche condotte su popolazioni isolate, gli eventuali
risultati che rivestano un’importanza terapeutica o preventiva per la tutela della salute
collettiva dovranno essere resi noti alle comunità interessate e alle autorità locali.
Tutte queste finora descritte sono previsioni speciali. La regola generale è che i
dati genetici non possano essere diffusi. I risultati delle ricerche possono circolare solo
in forma aggregata, ovvero secondo modalità che non rendano identificabili gli
interessati neppure tramite dati identificativi e indiretti, anche nell’ambito di
pubblicazioni.
L’Autorizzazione emanata dal Garante rappresenta indubbiamente uno
strumento di grande rilevanza nel panorama nazionale ma, come si è visto, permangono
alcuni interrogativi che potrebbero essere risolti soltanto da interpretazioni
giurisprudenziali o precisazioni del Garante stesso. L’autorità indipendente, tuttavia, ha
72
Nel caso in cui il soggetto sia deceduto occorrerà ricostruire la sua presunta volontà
verificando se avesse manifestato in vita la propria opposizione ad una simile comunicazione di dati
(punto 9).
45
sospeso il giudizio: l’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici rilasciata il 22
febbraio 2007 è stata ulteriormente differita fino alla fine del 2010.
7. Conclusioni
Dall’analisi fin qui condotta emerge la forte esigenza di creare tassonomie
comuni e di predisporre un quadro omogeneo capace di rispondere alle sfide etiche e
giurisprudenziali più pressanti sollevate dalle biobanche. Un argomento così complesso
non può che essere affrontato a livello multidisciplinare, tenendo conto di tutti i soggetti
coinvolti. Se dal punto di vista medico-scientifico è ormai assodata l’importanza del
ruolo delle biobanche, dal punto di vista legislativo occorre creare un’adeguata cornice
normativa internazionale e nazionale che tuteli sia gli interessi del paziente predisponendo una disciplina chiara ed equilibrata che regoli le differenti fasi del
materiale biologico umano “dalla sala operatoria al laboratorio del ricercatore” - sia
degli operatori sanitari e dei ricercatori, facendo in modo che questa stessa disciplina sia
dotata della flessibilità necessaria per non imbrigliare lo sviluppo scientifico e
tecnologico che può essere propiziato dalle biobanche.
46
CAPITOLO II
LA NATURA GIURIDICA DEI CAMPIONI BIOLOGICI STOCCATI NELLE BIOBANCHE
Our bodies are our gardens,
to the which our wills are gardeners
WILLIAM SHAKESPEARE, Otello.
1. Il rapporto biobanca-donatore: nuove interpretazioni v. nuove regolamentazioni
La rivoluzione scientifica e lo sviluppo delle nuove tecnologie ci obbligano ad
aggiornare o, quantomeno, ad adeguare le tradizionali categorie del diritto civile. Come
affermato da Stefano Rodotà – che mette in guardia il giurista ed il legislatore dal
rischio di pensare al diritto come ad una scorciatoia, o come ad un mezzo autoritario per
imporre valori che la dinamica collettiva fatica ad individuare - « è pericolosa la pretesa
di regolare tutto, e una volta per sempre, così com’è pericoloso il tentativo di far
sopravvivere ad ogni costo categorie giuridiche superate»73. Queste considerazioni,
però, non devono far propendere per una resa incondizionata del diritto di fronte alla
genomica, alla genetica o alle biotecnologie: l’invito è quello a riscoprire «una
dimensione giuridica capace di fare i conti con una realtà tanto cambiata, evitando così
tanto la tentazione autoritaria, quanto la marginalizzazione»74.
Anche il rapporto che si instaura tra la biobanca ed i pazienti-donatori non esula da
questa dinamica. Le “questioni giuridiche nuove” che necessitano di essere regolate
riguardano, principalmente, la configurazione di un diritto di proprietà sul campione
biologico, la tutela della privacy (con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai
campioni biologici) ed il delicato ruolo del consenso informato al trasferimento dei
campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti. Gli effetti giuridici
derivanti dalla prestazione del consenso alla conservazione e all’utilizzo dei campioni a
73
74
RODOTÀ S., Ipotesi sul corpo «giuridificato», in Riv. crit. dir. priv., 467:490 (1994).
Ibidem.
47
scopo di ricerca, sono al momento ancora piuttosto nebulosi. Il Legislatore, come
evidenziato nel precedente capitolo, non è intervenuto, tanto che ad oggi è possibile
soltanto abbozzare alcune ipotesi utilizzando le categorie tradizionali offerte dal diritto
civile. In particolare, come sarà meglio illustrato nei prossimi paragrafi, chiarire la
natura giuridica dei campioni biologici è una quaestio di non facile soluzione. La parte
staccata dal corpo è sì qualcosa che appartiene al soggetto e che contiene le sue
informazioni genetiche, ma al contempo è separata dallo stesso: il campione è insieme
parte del corpo e supporto informazionale. Inoltre, i dati che possono essere ricavati
presentano delle caratteristiche peculiari che li rendono diversi dai dati clinici, in quanto
forniscono informazioni sulla predisposizione a determinate patologie; sono uguali ed
immutabili durante il corso della vita e possono essere ottenuti anche dopo il decesso
della persona; sono ereditari e, pertanto, riferibili non solo al singolo ma all’intera
famiglia biologica. Tali problematiche si riflettono in primo luogo sullo strumento
giuridico che costituisce il primo tassello della complessa attività del biobanking: il
consenso informato del paziente-donatore alla cessione del tessuto asportatogli ed al
trattamento delle informazioni in esso contenuti e dei dati allo stesso associati.
1.1 Ipotesi sulla natura giuridica del consenso informato nel contesto delle biobanche
di ricerca
In prima battuta si potrebbe supporre che il consenso del paziente perfezioni un
negozio atipico ad effetti reali (ex art. 1376 c.c.) avente ad oggetto il trasferimento della
proprietà del campione, od eventualmente la costituzione o il trasferimento di un diritto
reale minore alla biobanca75. Si tratterebbe, in linea generale, di una prestazione di cosa
futura (ex art. 1348 c.c.), dato che il tessuto da destinarsi alla ricerca verrà ad esistenza
solo in seguito agli accertamenti clinici volti a comprovare la buona riuscita di un
intervento chirurgico: in sostanza, potrà essere stoccato nella biobanca esclusivamente il
surplus eccedente il materiale necessario allo studio anatomo-patologico. Naturalmente
tale passaggio e tale alea verrebbero superate qualora il consenso venisse prestato in
seguito all’operazione chirurgica ed all’eventuale disponibilità del materiale residuo.
75
MACILOTTI M., Consenso informato e biobanche di ricerca (Informed Consent and Research
Biobanks), in Nuova giurisprudenza civile commentata, v. 3, 153:158 (2009).
48
Quest’impostazione, in ogni caso, muoverebbe dall’assunto per cui i campioni
biologici sono da considerarsi quali res, oggetto di un’obbligazione deducibile in
contratto.
Sempre nella stessa ottica, si potrebbe avanzare anche l’ipotesi della donazione
(ex art. 769 c.c.), anche se sarebbe difficile vedere nella cessione del campione un
depauperamento delle condizioni del donante: il paziente, infatti, avrebbe dovuto in
ogni caso sottoporsi all’intervento chirurgico previsto per asportare, ad esempio, una
neoplasia e lo scarto operatorio smaltito regolarmente come rifiuto speciale.
A tale fattispecie di consenso, che vincola l’utilizzo del campione agli scopi di
ricerca che sono stati illustrati al paziente, potrebbe sovrapporsi l’istituto della
donazione modale, quale particolare forma di donazione gravata da un onere. Oppure
ancora, se considerassimo i campioni biologici umani come frutti naturali (ex art. 820
c.c.) potremmo fare riferimento alla disciplina della donazione di beni futuri (ex art. 771
c.c.)76.
Infine, se escludessimo a priori che i tessuti umani da destinare alla ricerca
possano costituire oggetto di diritti di proprietà, allora il consenso perfezionerebbe un
negozio con effetti obbligatori: la biobanca, dunque, destinerebbe il campione secondo
l’uso concordato nell’informativa, che integrerebbe un regolamento negoziale77.
La questione, però, posta in questi termini è comunque monoprospettica e tiene
in considerazione soltanto il campione dal punto di vista materiale. Il paziente, tuttavia,
con la cessione del campione conferisce non solo la possibilità di effettuare attività di
ricerca sul campione in quanto bene materiale, ma anche la facoltà di trattare i dati di
carattere personale derivanti dal campione. Dunque, il consenso alla cessione dei
materiali biologici è uno strumento complesso che oltre a trasferire una res sembra
offrire alla biobanca la possibilità di trattare i suddetti dati.
76
In tutte queste ipotesi, comunque, si porrebbe il problema della forma della donazione: il
codice prescrive l’atto pubblico a pena di nullità (ex art. 782 c.c.) a meno che il contratto abbia ad oggetto
beni modico valore (art.783 c.c.); il calcolo del valore del campione ex ante apparirebbe, però,
un’operazione leziosa e di difficile determinazione.
77
MACILOTTI M., Consenso informato e biobanche di ricerca, cit., 159.
49
1.2 Il dovere di feedback da parte della biobanca
Il rapporto paziente-biobanca dovrebbe, però, essere di tipo “sinallagmatico”: alle
informazioni aggiornate di follow up fornite dal paziente dovrebbe corrispondere un
dovere da parte della biobanca di restituire un feedback al donatore qualora, nel corso
della ricerca, si verificassero scoperte inattese relative al suo stato di salute e lei avesse
espresso il desiderio di essere ricontattata in tali circostanze. Alcuni autori hanno
ricondotto tale dovere della biobanca al vincolo nascente da un duty of care: la biobanca
potrebbe essere citata per negligenza «for loss of chance»78 qualora non avvertisse il
partecipante alla ricerca delle scoperte inattese sulle sue condizioni di salute.
Se in capo alla biobanca viene teorizzata l’esistenza di un duty of care, il
soggetto, invece, sarebbe titolare di un right to feedback in forza dell’art. 2 della CEDU
che imporrebbe agli stati membri un obbligo positivo di protezione del diritto alla vita.
Lo stato, infatti, dovrebbe adottare misure di prevenzione a carattere generale e, in
circostanze ed in condizioni particolari, anche misure operative per contrastare specifici
pericoli del diritto alla vita. All’interno di tale obbligo di protezione è compresa anche
la tutela della salute79. Quest’obbligo positivo, quindi, potrebbe essere esteso alla
previsione di restituire un feedback al soggetto, informandolo dei rischi legati ad una
grave infermità genetica scoperta nel corso della ricerca80.
Secondo altra parte della dottrina il dovere di notificare i significant findings ai
partecipanti potrebbe essere imposto attraverso una previsione statutaria della biobanca
o mediante una clausola del contratto stipulato tra biobanca e paziente81. Ciò comunque
implicherebbe che la parte vanti un interesse proprietario sul proprio tessuto.
A prescindere dall’instaurazione di una relazione contrattuale tra la biobanca e il
paziente, invece, potrebbe residuare una responsabilità a titolo extracontrattuale, sulla
base del duty to warn in capo alla biobanca e ai ricercatori che utilizzano il campione
biologico82.
78
JOHNSTON C., KAYE J., Does the UK Biobank Have a Legal Obligation to Feedback Individual
Findings to Participants?, 12 Med. Law Rev., 239:258 (2004).
79
PITEA C., Diritto alla vita, in PINESCHI L., La tutela internazionale dei diritti umani. Norme,
garanzie, prassi, Milano, Giuffrè, 2006, 319-320.
80
JOHNSTON C., KAYE J., Does the UK Biobank Have a Legal Obligation to Feedback Individual
Findings to Participants?, cit., 262-263.
81
SKENE L., Feeding back Significant Findings to Participants and Relatives, in KAYE J.,
STRANGER M., eds., Principle and Practice in Biobank Governance, Farnham, Ashgate, 2009, 163-166.
82
Ibid., 167-169.
50
Inoltre, l’obbligo, questa volta in capo alla biobanca, di fornire informazioni di
“follow up” circa le scoperte inattese si addentra nella selva oscura della definizione di
«significant findings». L’interpretazione potrebbe apparire abbastanza semplice nel caso
in cui venisse scoperto un collegamento diretto tra una mutazione genetica e le
condizioni mediche di soggetti che, se avvertiti, potrebbero intervenire con adeguate
terapie o trattamenti. Ma le scoperte inattese potrebbero non essere direttamente
relazionate alla salute del donatore: potrebbero riguardare eventuali scelte riproduttive o
essere importanti sotto altri profili (si pensi alla scoperta, o meno, di un legame di
paternità). In questi ultimi casi la decisione di feedback delle scoperte al paziente
deriverebbe da un scelta inevitabilmente discrezionale della biobanca.
Da questi brevi spunti dovrebbe apparire chiaro come uno dei primi nodi da
sciogliere sia lo spauracchio della questione, tutta civilistica, della proprietà dei tessuti
staccati dal corpo. Partendo dall’innegabile constatazione dell’invecchiamento di alcune
categorie concettuali sarà bene rivisitare alcuni strumenti dell’armamentario giuridico
nell’ottica delle nuove problematiche (pro)poste dalla biotecnologia e della scienza
2.083.
2. Lo statuto giuridico del corpo e delle sue parti: tra proprietà e privacy
Il luogo più buio è ai piedi della candela, verrebbe da pensare. Il corpo è stato
considerato come l’anello debole della nostra condizione umana. Prigione dell’anima,
83
Il neologismo “Scienza 2.0” indica il nuovo processo di ricerca scientifica supportato dall’uso
delle nuove tecnologie, quali internet ed il web 2.0. Le iniziative per incoraggiare e coadiuvare lo
sviluppo scientifico sono innumerevoli e spaziano da riviste scientifiche e archivi open access per la
scienza collaborativa on line a piattaforme che mettono in comunicazione gli scienziati creando team di
ricerca, da blog e podcast alla definizione di progetti e protocolli di ricerca. Si segnalano a titolo
esemplificativo: LabMeeting (per l’organizzazione e la gestione degli articoli scientifici), Open Genius e
Innocentive (per la ricerca e l’offerta di finanziamenti), Pubmed, NextBio, Google Scholar, Google Books
e Connotea (per l’analisi bibliografica), Vassarstats, FightAIDS e SOCR (per l’analisi dei dati), Open
Clinica, Sciencestage, My Experiment, NeuroVR (per lo svolgimento di attività clinica e di ricerca),
DOAJ, Plos One, Scientstage, Scivee, Scribd, Slideshare (per la presentazione dei risultati). Fonte:
http://www.scienza20.org/. Per un ulteriore approfondimento si vedano SHNEIDERMAN B., Science 2.0,
Science, Vol. 319. no. 5868, 1349(2008); WALDROP M.M., Science 2.0: Great New Tool, or Great Risk??,
Scientific American, January 9, (2008); ID., Is Open Access Science the Future?, Scientific American,
April 4, (2008); TRAVIS J., Science by the Masses, Science, Vol. 319. no. 5871, 1750(2008); DELFANTI A.,
Collaborative web between open and closed science, Journal of Science Communication 7, 2 (2007);
HUANG S.T., KAMEL BOULOS M.N., DELLAVALLE R.P., Scientific discourse 2.0. Will your next poster session
be in Second Life?, EMBO reports 9, 6, 496 (2008); EYSENBACH G., Medicine 2.0: Social Networking,
Collaboration, Participation, Apomediation and Openess, Journal of Medical Internet Research 10, 3
(2008).
51
elemento materiale che ci appesantisce e ci allontana dalla ricerca dello spirituale, che ci
rende schiavi dei sensi e così profondamente contingenti da negarci il sogno
dell’immortalità: la retorica della dimensione corporea e dei limiti che essa ci impone
affonda le proprie radici nella notte dei tempi ed è connaturata al nostro essere. Eppure,
i progressi della biotecnologia sembrano aver portato i venti della rivoluzione anche in
questo settore.
Ad onor del vero, la ricerca sul corpo umano è stata oggetto di controversie fin dai
primi studi anatomici durante il Rinascimento e la pratica del body snatching84 - diffusa
per quanto proibita tanto nel vecchio continente quanto nel nuovo - fino agli albori del
XIX secolo testimoniavano, da un lato, le paure concernenti la violazione dell’integrità
del corpo, la sua desacralizzazione ed i possibili interessi commerciali ad esso
riconducibili; dall’altro, manifestavano l’attenzione via via crescente per la ricerca e
l’avanzamento della conoscenza85.
Le nuove tecniche biomediche hanno esteso drasticamente lo spettro della
riflessione ai profili essenziali della persona ed al suo rapporto con la corporeità. Il
corpo umano sta diventando una hot property: una risorsa che può essere sfruttata,
brevettata ed utilizzata sia a scopo di lucro che a fini scientifici e terapeutici86.
84
La storia del body snatching è correlata allo studio dell’anatomia e alla dissezione dei corpi
che veniva praticata già nel XIV secolo presso l’Università di Bologna. Sebbene nell’antichità classica la
dissezione era accettata come componente essenziale per gli studi medici ed anatomici, tale pratica fu
bandita dalla Chiesa che permise soltanto la dissezione degli animali e lo studio dei testi antichi.
Nonostante i divieti, il primo episodio di body snatching in Europa viene fatto risalire al 1319, quando
quattro studenti bolognesi furono arrestati per il trafugamento di un cadavere. La dissezione umana fu
gradatamente accettata nel Vecchio Continente solo nel corso dei secoli. In Inghilterra, ad esempio, prima
dell’Anatomy Act del 1832 gli unici cadaveri che potevano essere oggetto di studio anatomico erano
quelli dei condannati a morte e a sezionamento da parte dei tribunali. La domanda, però, da parte delle
scuole di medicina e delle scuole private di anatomia rimaneva insoddisfatta; si era così sviluppato un
vero e proprio mercato dei corpi che trovò nei cd. resurrezionisti di Edimburgo, come Burke e Hare, il
loro culmine più tetro e ripugnante: uccidevano le proprie vittime per venderle come cadaveri da
dissezionare. BESS FRANK J., Body Snatching: a Grave Medical Problem, Yale Journal of Biology and
Medicine 49, 399 (1976); SHULTZ S.M., Body Snatching: the Robbing of Graves for the Education of
Physicians in Early Nineteenth Century America, McFarland, 2005.
85
Già Jeremy Bentham aveva perfettamente capito il valore strumentale del corpo: egli riteneva
che le spoglie umane sarebbero state di gran lunga più utili se studiate invece che sepolte. Come riporta
Harvey Richlin, Bentham sosteneva che «un cadavere conservato, mostrato ed esibito poteva servire a fini
morali, politici, onorifici, infamanti, di risparmio, di guadagno, commemorativi, genealogici,
architettonici, teatrali e frenologici». La storia narra che il corpo del filosofo venne esposto in una teca
presso l’University College of London, secondo le sue ultime volontà. RICHLIN H., Lucy’s Bones, Sacred
Stones and Einstein’s Brain: the Remarkable Stories Behind the Great Object and Artifacts of History,
from Antiquity to the Modern Era, New York, Henry Holt & Co., 1996, 205.
86
ANDREWS L., NELKIN D., Homo economicus. The commercialization of body tissue in the age of
biotechnology, Hastings Cent. Rep., 1998, 30.
52
Un simile cambiamento di paradigma non poteva che scuotere gli animi ed agitare le
coscienze: «il linguaggio della scienza è sempre più imbevuto del linguaggio economico
della domanda e dell’offerta, dei contratti, dello scambio e della contropartita. Le parti
del corpo sono estratte come un minerale, raccolte come un frutto, sfruttate come un
bene. I tessuti sono qualcosa che ci si procura - termine, questo, di solito usato per la
terra, i beni e le prostitute. Cellule, embrioni e tessuti vengono congelati, archiviati,
legati in biblioteche depositi commercializzati, brevettati, venduti o comprati. I cordoni
ombelicali, le cui cellule staminali sono utili per finalità terapeutiche, sono descritti
come una “ proprietà clinica strategica”»87.
In questo particolare ambito è quantomai inopportuno condurre crociate ideologiche
e imporre verità assolute. È auspicabile invece un approccio metodologico cauto che
consideri gli interessi in gioco quando ci si trova davanti a tali bivi primordiali.
Tradizionalmente l’immagine del corpo come qualcosa su cui vantare diritti di
proprietà è ricondotta al pensiero lockiano. Il padre dell’empirismo, infatti, scriveva nel
suo trattato sul governo civile che: «Sebbene la terra e tutte le creature inferiori siano
comuni a tutti gli uomini, pure ognuno ha la proprietà della propria persona, alla quale
ha diritto nessun altro che lui»88. Una simile concezione, però, non si spingeva fino ad
identificare un diritto di proprietà puro sul proprio corpo: per Locke, l’individuo era
solo un custode (uno steward) delle propria integrità corporea e la questione della
proprietà veniva sublimata e risolta nell’appartenenza al divino.
Al contrario, se non volessimo riesumare il «dominus membrorum suorum nemo
videtur»89 ulpianeo, la concezione continentale veniva così esplicitata con particolare
forza letteraria da Immanuel Kant: «l’uomo non può disporre di se stesso, poiché non è
una cosa; egli non è una proprietà di sé stesso, poiché ciò sarebbe contraddittorio. Nella
misura, infatti, in cui è una persona, egli è un soggetto, cui può spettare la proprietà di
altre cose. Se, invece, fosse una proprietà di sé stesso, egli sarebbe una cosa, di cui
87
Ibidem.
LOCKE J., Il secondo trattato sul governo : saggio concernente la vera origine, l’estensione e il
fine del governo civile, Milano, Rizzoli, 2002. Appare interessante notare come alcuni commentatori del
pensiero politico di Locke abbiano ravvisato una visione proprietaristica del corpo, quanto l’instaurazione
di una sorta di trust relationship: «Locke’s “real view” seems to be that our lives are held in trust. We
function as the trustees and major beneficiaries, but not as owners. Under the deed of trust we are
empowered to make certain decisions about the disposal of the trust (e.g., wheter to sell our labour power
to another for limited time) but we may not trade it away for keeps even if the trade is voluntary». STELL
L. K., Dueling and the Right to Life, 90 Ethics ,16 (1979).
89
D.,9.2.13.
88
53
potrebbe rivendicare il possesso. Ora, però, egli è una persona, il che differisce da una
proprietà; perciò egli non è una cosa, di cui possa rivendicare il possesso, perché è
impossibile essere insieme una cosa e una persona, facendo coincidere il proprietario
con la proprietà. In base a ciò l’uomo non può disporre di sé stesso. Non gli è consentito
di vendere un dente o un’altra parte di sé stesso... Non è autorizzato a vendere per
denaro le sue membra, neanche per un dito ricevesse 10.000 talleri, altrimenti si
potrebbe acquistare da un uomo tutte le sue membra»90.
Con un volo pindarico dall’empirismo filosofico e dall’agnosticismo kantiano
all’osservazione della realtà empirica di alcuni ordinamenti giuridici, appare evidente
come il corpo umano e le sue parti siano trattati come oggetti di diritti proprietari in
molti contesti: si pensi, ad esempio al sangue o al liquido spermatico che oltreoceano
alimentano un fruttuoso mercato di scambio oppure alla donazione inter vivos/post
mortem degli organi. Tutti questi elementi alimentano una visione del corpo in un’ottica
decisamente proprietaria.
In altri contesti, invece, l’autonomia dei singoli e la tutela del corpo e delle sue
parti ricevono attenzione sotto il profilo della privacy. Questo diritto nella tradizione
nordamericana si compone essenzialmente di due elementi: il «right of personal
privacy» e il «right of relational privacy» 91. Il primo di questi si riferisce principalmente
a quelle situazioni in cui il bene da tutelare consiste nell’integrità fisica o
nell’inviolabilità del corpo. Vi rientrerebbero, quindi, il diritto di resistere alle indebite
invasioni nella propria sfera corporea ed il diritto di prevenire qualsiasi alterazione
fisica: sarebbe un diritto a contenuto negativo non comprendendo necessariamente
l’esercizio effettivo di un potere sul corpo. Mentre il right to relational privacy
garantisce un «mantle of immunity from state interference around certain intimate and
consensual relationships»92. Entrambe le sfumature del concetto di privacy, però, non
attribuiscono nessun tipo di potere in capo agli individui che vengono protetti solo dalle
indebite ingerenze dello stato.
E dunque, se possiamo definire la proprietà come quel fascio di diritti tra una
persona e un bene93, la privacy potrebbe essere definita come quel «grappolo»94 di
interessi personali che riguardano il possesso del proprio corpo e, per dirla con Warren
90
KANT I., Lezioni di etica, Roma, Bari, Laterza, 1998.
RAO R., Property, privacy and the human body, Boston Univ. Law Rev., 359:388 (2000).
92
ID., Reconceiving Privacy: Relationships and Reproductive Techonology, 45 UCLA Law Rev,
1078 (1998).
91
54
e Brandeis, di «let to be alone» 95 escludendo altri soggetti dal godimento. A differenza
della proprietà, però, la privacy non contiene nel suo armamentario concettuale i diritti
di uso o di trasferimento; al loro posto possiamo semmai individuare un diritto «di
includere» qualcuno, facendolo accedere alla propria sfera personale. Sulla base di
queste considerazioni, infatti, Radhika Rao individua una serie di situazioni che hanno
trovato riparo sotto l’ombrello della privacy: il diritto alla contraccezione per prevenire
il concepimento96, all’aborto per terminare la gravidanza97, all’opposizione davanti alla
sterilizzazione forzata98, al rifiuto dei trattamenti sanitari-salva vita 99, al divieto di
compiere intrusioni illegittime nella sfera corporea di un soggetto, come una lavanda
gastrica o la rimozione chirurgica di una pallottola, con l’intento di cercare degli indizi
riguardanti la commissione di un reato 100.
Proprio come suggerito da un’efficace metafora sempre della professoressa Rao,
proprietà e privacy sono binari che corrono paralleli verso differenti destinazioni:
privacy e proprietà, ritagliano uno spazio protetto dalle interferenze dei pubblici poteri e
degli altri soggetti privati. Queste analogie e queste combinazioni sarebbero dovute al
fatto che il concetto di privacy sia stato costruito a partire dalle categorie ideate per la
proprietà.
I due concetti possiedono infatti una struttura comune: «the core of both
“privacy” and “property” involves the same abstract right: the right to exclude un
wanted interference by third parties. The only real difference between the two concepts
is the kind of relationship that is protected from interference – “property” principally
protects market relationships while “privacy” protects more spiritual one»101.
93
Il prof. David Lametti definisce così il concetto di proprietà per il common lawyer: «Private
property is a social institution that comprises a variety of contextual relationships among individuals
through objects of social wealth and is meant to serve a variety of individual and collective purposes».
LAMETTI D., The Concept of Property: Relations Through Objects of Social Wealth, 53 U of Toronto LJ,
325 (2003).
94
RAO R, Property, privacy and the human body, cit., 389.
95
WARREN S.M., BRANDEIS L.D., The right to privacy, IV Harvard Law Review 5, 193 (1890).
96
Cfr Eisenstadt v. Baird, 405 U.S. 438 (1972); Grisworld v. Conneticut, 381 U.S. 479 (1965);
Poe v. Ullman, 367 U.S. 497 (1961).
97
Si veda Planned Parenthood v. Casey, 505 U.S. 833 (1992); Roe v. Wade, 410 U.S. 113
(1973).
98
Fu il caso Skinner v. Oklaoma, 316 U.S. 535 (1942).
99
Ad esempio in Cruzan v. Missouri, 497 U.S. 261 (1990).
100
Vedi Winston v. Lee, 470 U.S. 753 (1997); Rochin v. California, 342 U.S. 165 (1952).
101
Così ACKERMAN B., Liberating Abstraction, 59 U. Chi. Law Rev., 317:347 (1992).
55
Nonostante gli evidenti punti di contatto, i due diritti si declinano in maniera
assai differente nel dominio del corpo. La visione proprietaria individua nel corpo e
nelle parti da esso separate delle entità distinte dal soggetto-proprietario che le possiede,
mentre la privacy soggettivizza le stesse, incorporandole nelle sfera della personalità. Il
corpo-proprietà può dunque essere diviso e scomposto nelle sue parti che possono
essere manipolate, trasformate, vendute od espropriate102. La privacy, invece, non
permetterebbe questa parcellizzazione perché crea un’identità corporea indivisibile103.
Il paradigma proprietario entra in conflitto con quello della privacy proprio sul
terreno del corpo umano104. La compresenza di entrambe queste anime genera
confusione ed altera la tradizionale concezione della corporeità. La questione diventa di
particolare momento con riferimento alle parti staccate dal corpo: esse sono
materialmente separate, ma profondamente connesse alla sfera più intima e personale
del soggetto, anche dopo il distacco.
Nei materiali biologici, infatti, si fondono e si confondono le antinomie
soggetto-oggetto e proprietà-privacy. Il legame “bi-fronte” che si instaura tra il soggetto
ed i suoi tessuti, in quanto supporto materiale, ed il medesimo soggetto e i dati derivanti
dal campione deve essere sussunto, come è stato notato da alcuni autori 105, nella
categoria giuridica dell’appartenenza.
Se la dimensione materiale (rapporto individuo-tessuto) può essere ricondotta
allo schema proprietario, la dimensione informazionale (rapporto individuo-dati)
cadrebbe all’interno dei diritti della personalità. Nei diritti della personalità assistiamo
102
CARNELUTTI F., Problema giuridico della trasfusione del sangue, in Foro Italiano, IV, 89,
(1938).
103
RAO R., Property, privacy and the human body, cit., 349.
Il problema del distacco delle parti dal corpo veniva affrontato dal civilista italiano nella
prospettiva fornita dall’art. 5 c.c., che vieta gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino
una diminuzione permanente dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine
pubblico o al buon costume. Ma l’unico appiglio codistico del giurista risulta inadeguato al contesto dei
campioni biologici prelevati a seguito di un intervento chirurgico che abbia come fine esclusivo la salute
del paziente e la successiva destinazione alla ricerca del campione prelevato. In questa fattispecie, infatti,
l’interesse non è più la tutela dell’integrità fisica, che già è stata menomata nel contesto dell’operazione
chirurgica a seguito dell’ablazione del tessuto dal corpo. Il distacco rappresenta il momento in cui il
trattamento giuridico si biforca: le sorti del tessuto non avranno più alcuna diretta influenza sul bene
“salute” del soggetto che ha subito l’asportazione del campione.
105
Cfr MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini
di ricerca (Property, Informations and Interests in the Regulation of Research Biobank), in Nuova
giurisprudenza civile commentata, v. 7-8, 222, (2008); ZATTI, Il Corpo e la nebulosa dell’appartenenza,
in Nuova giurisprudenza civile commentata, II, 3, (2007); GAMBARO A., La proprietà. Beni, proprietà,
comunione, in Trattato Iudica-Zatti, Milano, Giuffrè, 1990; GROSSI P., La proprietà e le proprietà
nell’officina dello storico, Napoli, Editoriale Scientifica, 2006.
104
56
alla fictio dell’ipostatizzazione della cosa appartenuta, che, anche dopo il distacco,
continua a riferirsi al soggetto106. La proprietà, però, ha finito con l’incarnare l’unico
schema dell’appartenenza ed oggi appare quantomai limitante, non perché sia inadatto
in sé a regolare la relazione soggetto-corpo, ma piuttosto perché le possibilità di
separazione hanno conquistato terreni sempre più vicini al nucleo della corporeità e,
contemporaneamente, si è diffusa in maniera lapalissiana la constatazione che la parte
staccata dal corpo costituisca uno strumento di identità biologica107.
Allo stesso tempo, però, ammantare la dimensione materiale del tessuto sotto la
categoria dei diritti della personalità, significherebbe trascurare una componente
essenziale ed ontologicamente differente. Per cercare di salvare entrambe le dimensioni
è stata avanzata l’ipotesi di dare origine ad una nuova categoria: i diritti della corporeità,
diritti del corpo che non sono più corpo ma che mantengono ancora un legame di
appartenenza dal punto di vista informazionale108.
Le biobanche, sotto questo aspetto, offrirebbero non pochi spunti di riflessione
in merito allo status giuridico delle parti separate dal corpo ed alla loro autonoma
rilevanza. Per provare a fornire una risposta, sarà bene ripercorrere le evoluzioni
dottrinali e giurisprudenziali che si sono interrogate (o che sono state chiamate a farlo)
su questa complessa tematica.
3. Le elaborazioni dottrinali sui tessuti umani staccati dal corpo
Per quanto si immagini che i cultori del diritto civile si siano potuti interrogare su
una simile tematica in tempi relativamente recenti, la dottrina italiana già aveva provato
a fornire alcune soluzioni a tali quesiti sul finire degli anni’30109.
Uno dei primi giuristi a misurarsi con la questione della proprietà delle parti staccate
dal corpo è stato Francesco Carnelutti. Egli sosteneva come «una parte di uomo diventa
cosa quando si separa in modo definitivo dall’uomo medesimo», ravvisando nella
separazione quel tertium genus - ulteriore rispetto all’occupazione e alla specificazione 106
Si veda in proposito ZATTI, Il Corpo e la nebulosa dell’appartenenza, cit.
Ibid., 9.
108
Come già può intravedersi in nuce in MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella
disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit.
109
Quest’analisi è debitrice dello studio condotto da MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed
interessi nella disciplina delle biobanche a fini di ricerca, cit.
107
57
dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario. Parafrasando Carnelutti, la
proprietà del quid - che prima era uomo e poi con il distacco è divenuto esteriore se non
è estraneo ad esso - spetta comunque al soggetto che la possedeva naturalmente (tesi
della separazione)110.
Tale ius in se ipsum ha trovato accoglimento anche nella dottrina più recente che
vede nelle parti staccate dal corpo un oggetto nella sfera di disponibilità dell’individuofonte111. Se, infatti, il corpo in sé non può formare oggetto di proprietà, altrettanto non
può dirsi quando la parte sia ormai irrimediabilmente staccata: il distacco costituirebbe,
infatti, un’idonea causa d’acquisto della proprietà. Si precisa però come, qualora manchi
la possibilità di godimento della res, appaia ragionevole presupporne l’appropriazione
da parte di quei soggetti che possono trarne un’utilità. Per Bianca, infatti, il distacco
qualificherebbe giuridicamente i tessuti come res nullius a seguito della derelectio da
parte del paziente: il medico operante può pertanto appropriarsene mediante
adprehensio (teoria dell’occupazione)112.
Tale concezione è stata però avversata da parte della dottrina che ravvisava nel
momento del distacco l’acquisto della proprietà con effetto immediato. Secondo il De
Cupis, infatti, a seguito dell’ablazione, il materiale biologico uscirebbe dalla sfera
giuridica strettamente personale per entrare immediatamente in quella patrimoniale del
soggetto medesimo, senza per questo passare attraverso la condizione intermedia di res
nullius. Si tratterebbe di un diritto che «si sostituisce all’altro senza soluzione di
continuità: la coscienza giuridica non può ammettere che al diritto personale succeda,
sia pure transitoriamente, l’assenza di qualsiasi diritto dell’individuo»113.
Un’altra tesi, sulla base di un’interpretazione “originale” dell’articolo 2576 c.c.,
ravvisava un’analogia fra idee e tessuti: «le parti staccate del proprio corpo diventano
dal momento del distacco oggetto di proprietà della persona per un modo d’acquisto
originario, cui fa in un certo senso riscontro l’acquisto delle opere dell’ingegno» 114. I
campioni biologici, quindi, non sarebbero altro che un nuovo oggetto creato dal
110
Macilotti riporta come sulla base di questa concezione il Tribunale di Milano accolse nel 1961
la richiesta di un paziente che pretendeva la consegna dei pezzi anatomici asportatigli durante l’intervento
chirurgico cui si era sottoposto. Ibid., 226.
111
DOGLIOTTI M., Atti di disposizione del corpo e teoria contrattuale, in Rass. dir. civ., I, 241,
(1990).
112
BIANCA C. M., Diritto civile. I soggetti, Milano, Giuffrè, 1978, 163-164.
113
DE CUPIS A., I diritti della personalità, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e
commerciale, Milano, 1982, 178.
114
Così SANTORO-PASSARELLI F., Dottrine generali del diritto civile, Napoli, Jovene, 1971, 52.
58
paziente-titolare con l’aiuto del chirurgo. Questa ricostruzione però pare opinabile in
quanto ad essa osta lo stesso dato codicistico 115: «il titolo originario dell’acquisto del
diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del
lavoro intellettuale»116.
Il Criscuoli, invece, espandendo il concetto di fruttificazione, aveva cercato di
ricomprendere la disciplina giuridica delle parti staccate dal corpo negli artt. 820 e 821
c.c117.
Mentre, con riferimento al particolare rapporto che si viene ad istaurare nella
relazione medico-paziente, è stato sostenuto l’acquisto per specificazione ex art. 940
c.c. da parte di colui che materialmente asporta il tessuto biologico, dietro
corresponsione del prezzo118.
La dottrina italiana è pressoché concorde nel considerare le parti staccate dal corpo
umano alla stregua di beni ex art. 810 c.c. 119 su cui il titolare possa vantare un interesse
di tipo proprietario, mentre divergono solamente le soluzioni in merito al suo modo di
acquisto.
Anche la dottrina spagnola ha di recente fornito delle soluzioni interessanti riguardo
alla natura giuridica della “muestra biológica” ed al suo impiego nella ricerca
biomedica120. Assodato che i campioni biologici - grazie alla valorizzazione che hanno
acquisito negli ultimi anni sia dal punto di vista medico che commerciale - vadano
classificati come beni in senso giuridico, il loro godimento può essere sottoposto a
restrizioni in funzione della loro particolare natura: se, dunque, si può affermare che le
parti separate dal corpo sono di proprietà del soggetto fonte, gli ordinamenti possono
disciplinare il loro regime di circolazione o determinare la possibilità che divengano
oggetto di un’obbligazione contrattuale.
115
MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di
ricerca, cit., 227.
116
Cfr artt. 6-7 della l. 360/1941 sul diritto d’autore.
117
CRISCUOLI G., L’acquisto delle parti staccate del proprio corpo e gli art. 820-821 c.c., in
Riv. dir. di fam. e pers., XIV, 266 (1985).
118
PIRIA C., Interessi scientifici e patrimoniali su parti staccate dal corpo oggetto di ricerche
biotecnologiche, in Rass. di dir. farm., XXI, 808 (1990).
119
Si veda DE CUPIS A., I diritti della personalità, cit.
120
Cfr NICOLÁS JIMÉNEZ P., La protección jurídica de los datos genéticos de carácter personal,
Bilbao, Cátedra Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano, 2006; I D., Muestra biológica, en
Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, Cátedra de Derecho y Genoma Humano, en prensa; DE ÁVALA E.,
Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit.
59
Si rileva come molti ordinamenti giuridici si siano preoccupati di porre delle
restrizioni al commercio del materiale umano - a causa dei rischi che un uso
potenzialmente distorto potrebbe causare - e abbiano previsto con una disciplina
speciale per gli atti di disposizione su organi, tessuti, sangue, cellule o gameti121.
Tuttavia, dall’analisi comparata emergono almeno tre modelli di trasmissione di tali
diritti: l’appropriazione del campione abbandonato, la presunzione di consenso alla
trasmissione dei diritti di uso sul campione, la trasmissione dei diritti sul campione
mediante contratto gratuito122.
Il primo di questi sembrerebbe criticabile alla luce dell’impossibilità di configurare
una presunzione di abbandono nel contesto di un’operazione chirurgica: in una simile
fattispecie, l’asportazione del tessuto è qualificabile come una trasmissione del possesso
necessaria all’adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di assistenza
sanitaria. Infatti, il medico dovrebbe utilizzare quel campione nei termini previsti da tale
contratto. L’applicazione di questa fattispecie sembrerebbe, però, risultare adeguata
soltanto ai tessuti staccati dal corpo per motivi diagnostici o terapeutici.
Escludendo quest’ipotesi, si dovrebbe ritenere allora che la trasmissione dei diritti
sul campione biologico avvenga attraverso il consenso del titolare; ma ad una
presunzione se ne sostituisce un’altra: il soggetto acconsentirebbe implicitamente
all’utilizzo del materiale a fini di ricerca biomedica 123. Come evidenziato dall’analisi
normativa finora condotta, il consenso deve essere specifico ed espresso con riferimento
alle finalità per cui verrà effettivamente utilizzato il campione: un consenso “open” o
“blanket” contrasterebbe, ad esempio, con la previsione di cui all’art. 22 della
Convenzione di Oviedo124.
La via che appare più facilmente percorribile pare comunque quella del contratto
gratuito tra le parti (soggetto-fonte, da un lato, e istituzione medica o di ricerca,
dall’altro) avente ad oggetto il trasferimento della proprietà del campione o di altri
diritti, ad esempio il diritto d’uso. Naturalmente si tratterebbe di un negozio giuridico
atipico, non potendosi sovrapporre all’istituto della donazione vista la mancanza del
121
NICOLÁS JIMÉNEZ P., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit.
Ibidem.
123
Ibidem.
124
Sul punto ci si è già intrattenuti a proposito della Raccomandazione R (2006) 4 del Consiglio
d’Europa.
122
60
requisito dell’impoverimento patrimoniale e l’esclusione della responsabilità per
revoca125.
4. La risposta della giurisprudenza
Anche la giurisprudenza, dal canto suo, ha cercato di fornire una risposta agli
interrogativi testé affrontati, sollecitata da alcune vicende che si sono verificate
oltreoceano. In particolare, ci si riferisce ai 3 famosi leading case Moore v. Regents of
University of California (1990), Greenberg v. Miami Children’s Hospital Research
Institute (2003) e Washington University v. William J. Catalona (2006). Pur essendo
tutti riconducibili alla medesima tematica, essi forniscono risposte differenti ed
illuminano un particolare aspetto della questione. Anche ai giudici continentali, per
quanto in misura minore, sono stati sottoposti casi inerenti la proprietà dei materiali
biologici di origine umana con alcune analogie; ci si occuperà, in particolare, di due
recenti sentenze spagnole: la Sentencia de la Audiencia Provincial núm. 719/2000
Vizcaya (Sección V) e la Sentencia del Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de
lo Contencioso-Administrativo) del 16 maggio del 2001.
4.1 Il caso John Moore. “Only property can be converted”
La vicenda Moore risulta per certi versi paradigmatica. Tutto ebbe inizio nel
1976 quando a John Moore, un ingegnere di Seattle, venne diagnosticata una hairy cell
leukemia, una rara forma di leucemia cronica. In quello stesso anno Moore decise di
sottoporsi ad un ulteriore test diagnostico presso il medical center dell’Università di Los
Angeles, che confermò la diagnosi. Il dott. Golde, il medico che lo prese in cura,
consigliò una splenectomia per arrestare il corso della malattia e Moore firmò il
consenso per sottoporsi all’intervento di asportazione chirurgica della milza. Prima
dell’intervento, però, il dott. Golde e la collega Shirley Quan avevano già intuito le
eccezionali proprietà delle «supercellule»126 di Moore. I due medici, tenendo all’oscuro
125
NICOLÁS JIMÉNEZ P., Muestra biológica, en Enciclopedia de Bioderecho y Bioética, cit.
Così ribattezzate da PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di
parti) del corpo, Foro it., IV, 417:419 (1989).
126
61
di tutto il diretto interessato, iniziarono così a coltivare una nuova linea cellulare a
partire dalla milza asportata.
Tra il 1976 e il 1983 John Moore fece spesso ritorno all’ospedale della UCLA
nell’erronea convinzione che quelle analisi fossero trattamenti terapeutici o visite di
controllo legate alla sua leucemia: in realtà, fu sottoposto a una serie di prelievi di
sangue, plasma, midollo osseo, pelle e liquido spermatico che Golde e Quan
utilizzarono per le loro ricerche. Stando alla ricostruzione della corte, infatti, i Tlinfociti di Moore secernevano un’incredibile quantità di T-linfochini, dotati di
particolari proprietà terapeutiche per la cura del cancro. Queste iperproduzione, inoltre,
aveva reso possibile l’isolamento di una linea cellulare immortale, ribattezzata neanche
troppo originalmente “Mo cell”, per la quale i suoi scopritori si affrettarono a depositare
una richiesta di brevetto.
Il brevetto fu ottenuto nel 1984 ed il suo valore commerciale fu stimato intorno
ai 3 bilioni di dollari. Il dott. Golde e i Regents della UCLA si affrettarono anche a
stipulare accordi con le famose case farmaceutiche Sandoz e Genetics Institute per la
commercializzazione della linea cellulare.
John Moore nel frattempo era ancora ignaro di tutto e continuava sottoporsi alle
sue visite routinarie, fino a quando nel settembre del 1983 venne sottoposto alla sua
attenzione un nuovo modello di consenso diverso da quelli che gli erano stati
somministrati fino a quel momento. In tale modulo, infatti, era stata inserita un clausola
dal seguente tenore: «voluntarly grant to the University of California any and all rights
[he or his heirs] may have in the cell line or any other potential product which might be
developed from the blood and/or bone marrow obteined from [him]»127. Il sign. Moore
si limitò a segnare la casella “I do not” restituendo il modulo debitamente firmato.
A questo punto la vicenda inizia ad assumere tratti caricaturali. Dopo aver
ricevuto una telefonata dal dott. Golde, che lamentava una compilazione imprecisa
dell’atto, Moore ricevette a Seattle un pacco contenente un nuovo modulo di consenso
informato con disegnata una freccia in corrispondenza della casella che non aveva
barrato l’ultima volta e la scritta «Please, circle ‘I do’»128.
127
Questo modulo è stato riprodotto in Patient’s Informed Consent – John Moore, Biotechnology
Law Report, 7, 425, (1988).
128
BURROW B., Second Thoughts about U.S. Patent #4,438,032, Genewatch 10, 4:8(1996).
62
Queste eccessive attenzioni e queste improvvise insistenze insospettirono Moore
che decise di rivolgersi ad uno studio legale, venendo così a conoscenza delle
pubblicazioni e del brevetto ottenuti da Golde a partire dalla linea cellulare “Mo”
derivata dalle cellule di un paziente di Seattle129.
L’11 settembre del 1984 John Moore iniziò la causa contro Golde, Quan, i
Regents della UCLA e le due case farmaceutiche per aver utilizzato e sfruttato a fini
commerciali le sue cellule senza previa autorizzazione, allegando come claims: 1)
mancanza di consenso informato e violazione dell’obbligo fiduciario da parte del
medico curante; 2) conversion per appropriazione illegittima delle cellule rimosse dal
suo corpo.
Il caso, finito davanti la Corte Suprema130, risulta particolarmente rilevante ai
fini di una riflessione sulla proprietà delle parti staccate dal corpo. Secondo Moore,
infatti, le cellule asportate erano di sua proprietà e l’utilizzo che ne era stato fatto da
parte degli specialisti dell’UCLA costituiva una forma di interferenza con i suoi
interessi proprietari. Ecco perché Moore agisce in conversion, un’azione che fornisce un
rimedio contro le indebite invasioni nella proprietà privata, ed invoca un interesse
proprietario su ciascuno dei prodotti che i convenuti hanno creato a partire dalle sue
cellule, compresa la linea cellulare brevettata.
La corte, consapevole di affrontare per la prima volta una tematica così delicata
e complessa, si trova unita nell’asserire la responsabilità del medico e la rottura del
fiduciary duty, ma profondamente divisa sulla richiesta di conversion131.
È per questo interessante addentrarci nelle differenti opinions redatte dai giudici
Panelli (majority), Arabian (concurring) e Mosk (dissenting).
L’opinione maggioritaria della corte asserisce, in primo luogo, come il case law
non offra alcun precedente in grado di supportare la richiesta di conversion di Moore.
Un’eventuale applicazione della teoria della conversion ai materiali biologici di origine
umana costituirebbe un’estensione ad un nuovo oggetto per il diritto di proprietà 132. In
secondo luogo, viene fatto notare che per invocare correttamente la conversion
129
Ibid., 5.
In primo grado la corte respinse le richieste di Moore ritenendo di non poter estendere la
teoria della conversion al suo caso; mentre in appello, le doglianze trovarono accoglimento presso i
giudici che qualificarono giuridicamente il rapporto tra l’attore e le sue cellule in termini di proprietà.
131
In appello la richiesta di Moore aveva trovato accoglimento. Vedi l’interessante commento di
PAGANELLI M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo,cit.
132
BURROW B., Second Thoughts about U.S. Patent #4,438,032, cit., 6.
130
63
graverebbe sull’attore l’onere di dimostrare un’interferenza con la sua ownership o
right to possession133. Tale condizione è, però, esclusa dal dato legislativo 134 che,
limitando notevolmente i diritti del paziente sui tessuti rimossi, priva Moore della
possibilità di rientrare nel possesso degli stessi. Inoltre, la corte trova che l’oggetto del
brevetto sia diverso e ulteriore - «factually and legally» - rispetto al materiale prelevato
dal corpo di Moore. Le conclusioni dei giudici non si basano, quindi, su una distinzione
scientifica, ma ripropongono quella fornita dalla federal law che permette la
brevettabilità di organismi prodotti dalla “human ingenuity” e dall’”inventive effort”.
Sulla base di ciò le allegazioni di Moore circa la proprietà della linea cellulare e la
prospettiva di accedere ai proventi brevettuali, sono da respingersi in quanto viene
stabilito che la linea cellulare costituisca un’invenzione.
Dalla lettura complessiva dell’opinion emerge come la maggioranza neghi
qualsiasi interesse di tipo proprietario di Moore sulle cellule “abandoned” quando
furono rimosse (senza il suo consenso). La corte sembra attribuire un “superior right” ai
convenuti, che con la loro ricerca hanno aggiunto quel quid pluris alla “materia prima”.
Dalla penna del giudice Panelli escono poi ulteriori argomenti di evidente
impronta utilitaristica, circa l’opportunità di attribuire ad un soggetto un diritto di
proprietà sulle parti staccate dal corpo. Una siffatta previsione avrebbe ripercussioni
negative sulla ricerca scientifica, completamente sacrificata da un eventuale estensione
della teoria della conversion. Inoltre, viene fatto rilevare come i pazienti siano già
adeguatamente protetti dalla tort doctrine tramite la previsione del consenso informato.
Il giudice estensore, comunque, tiene a sottolineare come i problemi di questa delicata
area dovrebbero essere regolati da un intervento legislativo piuttosto che da una
sentenza.
L’opinione concorrente del giudice Arabian vuole riportare l’attenzione sulla
sacralità del corpo umano, definito come «human vessel –the single most venerated and
protected subject in any civilized society – as equal with the basest commercial
commodity». Arabian, di fatto, si astiene: egli adduce che la questione, implicando
133
Ibid., 7.
La legislazione statale prevede, infatti, che gli organi ed i tessuti rimossi debbano essere
smaltiti come rifiuti dopo il loro uso. L’Health and Safety Code sec. 7054.4 dispone precisamente che
«human tissue […] following conclusion of scientific use shall be disposed of by interment, incineration,
or any other method determined by the state department [of health services] protect the public health and
safety».
134
64
scelte che non solo riflettono ma definiscono l’essenza stessa del genere umano, esulano
dal compito dei giuristi.
In entrambe le opinion è comunque evidente il rimando al dibattito politico e
all’intervento del legislatore per disciplinare un simile ambito.
L’opinione del giudice Mosk differisce dalle precedenti sotto numerosi punti di
vista. Innanzitutto, egli richiama lo Uniform Anatomical Gift Act nella parte in cui
afferma il diritto di ciascuno al controllo sul proprio corpo: è proibita la vendita delle
parti del corpo umano, ma non è interdetta né la donazione né la cessione di queste per
fini terapeutici o di ricerca.
Inoltre, la prospettiva del diritto di proprietà da lui delineata è aperta e flessibile:
tale diritto è sufficientemente ampio da includere qualsiasi tipo di «estate, real and
personal, and everything which one person can own and transfer to another. It extend to
every species of right and interest capable of being enjoyed as such upon which is
practicable to place a money value»135. Il concetto di proprietà, per Mosk, è dotato di un
certo carattere di astrattezza in quanto, oltre che potersi riferire direttamente ad un
oggetto materiale e facilmente identificabile nella sua fisicità, come un campo da arare,
molto più spesso rimanda ad un «bundle of rights»136 che può essere esercitato in
riferimento a quell’oggetto.
Per il giudice dissenziente il contributo di Moore è stato fondamentale per la
realizzazione dell’invenzione: negare il suo apporto equivarrebbe a rendere quel
brevetto una «licenza su una frode»137. La legge dovrebbe prendere seriamente in
considerazione il principio etico e giuridico per cui ognuno detiene un diritto di tipo
proprietario sul proprio corpo, le sue parti e i suoi prodotti. Il consenso informato non è
di per sé sufficiente a garantire questa protezione: è solo un «paper tiger» 138, un rimedio
illusoriamente forte. Il riconoscimento di un interesse proprietario potrebbe, invece,
favorire il fair dealing e promuovere la collaborazione tra pazienti e ricercatori139.
135
Moore v. Regents of University of California, 51 Cal.3d 120, Supreme Court of California,
July 9, 1990.
136
Ibidem.
137
Ibidem.
138
Ibidem.
139
Le conclusioni del giudice Mosk, in realtà, erano già state raggiunte nel precedente grado di
appello che aveva ritenuto fondata la pretesa dell’attore, circa il diritto di proprietà sul suo tessuto, sulla
base del dettato dell’art. 654 del codice civile californiano. Anche in questo caso però la decisione non era
stata priva di attriti: l’opinion “caustica” del giudice dissenziente George irrideva ad un’equiparazione
della milza umana alle interiora del pollame domestico. In proposito si veda il bel commento in PAGANELLI
M., Alla volta di Frankestein: biotecnologie e proprietà (di parti) del corpo,cit., 438 e ss.
65
Probabilmente la vicenda Moore avrebbe avuto un esito diverso ai giorni nostri,
ma rimane emblematica della tensione tra l’avanzamento delle biotecnologie e gli
strumenti del diritto e dell’etica. Risulta, inoltre, un caso paradigmatico per aver posto
nella casistica giurisprudenziale il dilemma salomonico della titolarità del diritto di
proprietà sulle parti staccate dal corpo.
4.2. Il caso Greenberg. L’“evaporazione” del diritto di proprietà
Un altro leading case è rappresentato da Greenberg v. Miami Children’s
Hospital.
In breve, questi i fatti di causa: alla fine degli anni ‘80, Daniel Greenberg, padre
di due bambini affetti dal morbo di Canavan - un disordine ereditario raro, a
trasmissione autosomica recessiva, con degenerazione neurologica - aveva proposto al
dott. Reuben Matalon, ricercatore presso l’Università dell’Illinois, una collaborazione
con il Miami Children’s Hospital per l’ambizioso progetto volto ad isolare il gene
responsabile di questa malattia genetica.
Greenberg aveva coinvolto altre famiglie colpite da quest’infermità riuscendo a
reclutare donatori di campioni biologici e fondi per 100.000 dollari. Con il supporto
della National Tay-Sachs and Allied Disease Association Inc. (NTSAD) era stato anche
creato il “Canavan registry”, un database contenente informazioni personali, sanitarie
ed epidemiologiche delle famiglie coinvolte.
Nel 1993 il dott. Matalon riuscì ad identificare il gene responsabile del morbo di
Canavan nel cromosoma 17, sviluppando altresì un nuovo tipo di screening genetico
prenatale. Il Miami Children’s Hospital, che aveva speso nella ricerca ingenti risorse
economiche ed umane, depositò la patent application per quella sequenza genomica ed
ottenne il brevetto nel 1997.
Greenberg e gli altri partecipanti vennero a scoprire i risvolti brevettuali della
ricerca solo nel novembre del 1998 quando il Miami Children hospital rivelò
l’intenzione di voler limitare il testing sul morbo di Canavan, promuovendo una
campagna restrittiva sulla concessione delle licenze d’uso sul test diagnostico prenatale.
Greengberg e gli altri partecipanti, che nel frattempo si erano uniti nella Canavan
Foundation, decisero così di promuovere un’azione contro il Miami Children’s
66
Hospital, che non aveva mai manifestato loro l’intenzione di sfruttare economicamente i
frutti eventualmente derivanti dalla ricerca né tanto meno la volontà di limitare
l’accesso al test capace di diagnosticare il morbo di Canavan.
Gli attori pertanto citano il Miami Children’s Hospital per: 1) lack of informed
consent; 2) breach of fiduciary duty; 3) unjust enrichment; 4) fraudulent concealment;
5) conversion; 6) misappropriation of trade secret.
La corte sfronda tutti i petita degli attori ed accoglie solamente il claim of unjust
enrichment conseguito a danno dei donatori, basandosi sulla considerazione che «the
facts paint a picture of a continuing research collaboration that involved Plaintiffs also
investing time and significant resources»140.
Ma ai fini di questa indagine è interessante svolgere qualche breve riflessione
sugli obiter dicta della sentenza.
Gli attori, infatti, allegano di vantare un interesse proprietario non solo sui
tessuti e sulle informazioni genetiche ma anche sul Canavan registry, indebitamente
utilizzato dal Miami Children’s Hospital e dal dott. Matalon a beneficio esclusivo
dell’ospedale. La corte però non accoglie la richiesta non rinvenendo alcun interesse
proprietario sui tessuti e le informazioni genetiche volontariamente donate ai convenuti
a scopo di ricerca: manca, quindi, un elemento essenziale della cause of action.
È un caso che per certi aspetti richiama Moore v. Regents of the University of
California, dove la corte si era rifiutata di estendere la teoria della conversion al
campione biologico staccato dal corpo. Anche in Greenberg, infatti, non viene
riconosciuto alcun interesse di tipo proprietario né sui tessuti né sulle informazioni
genetiche.
Inoltre, la Corte rileva come l’offerta di sangue ed altri tessuti per contribuire
alla ricerca dipinga gli attori «more accurately as donors rather than objects of human
experimentation»141, dimostrando come nella partecipazione alla ricerca «the property
right in blood and tissue samples also evaporates once the sample is voluntarily given to
a third party»142.
La Corte, facendo riferimento alla legislazione dello stato della Florida, afferma
che non esiste alcuna previsione che garantista un rimedio contro le donazioni di
140
Greenberg v. Miami Children’s Hospital Research Institute, United States District Court, S.D.
Florida, Miami Division 264 Federal Supplement, 2d Series 1064; 2003 May 29.
141
Ibidem.
142
Ibidem.
67
materiale biologico umano alla luce della conversion liability. Nell’opinione della corte,
estendere una simile dottrina anche a questa fattispecie finirebbe per ingabbiare la
ricerca medica e per conferire ai donatori un «continuing right to possess»143 su tutti i
risultati ottenuti a partire dal tessuto ceduto.
L’azione di conversion viene respinta anche con riferimento alla proprietà sul
Canavan registry. A giudizio della corte i fatti allegati non supportano sufficientemente
la pretesa attorea, non essendo stato dimostrato in che modo ed in quali circostanze i
convenuti abbiano utilizzato il registro in maniera non autorizzata.
4.3 Il caso del dott. Catalona e l’ “exculpatory language” del consenso informato
Sull’allocazione della proprietà del materiale biologico in capo al paziente o al
ricercatore verte anche il recente caso del dr. William Catalona. All’inizio degli anni ‘80
il famoso urologo e ricercatore presso l’Università di Washington (WU) iniziò a
raccogliere a scopo di ricerca gli “scarti operatori”, per i quali aveva chiesto ed ottenuto
il consenso informato dei pazienti. Tali tessuti venivano via via stoccati nei congelatori
della Genito-Urinary (GU) Biorepository insieme agli altri materiali biologici
provenienti dal reparto di urologia dell’ospedale universitario.
Il casus belli che dette origine alla controversia si verificò nel 2001, quando il
dott. Catalona chiese all’università che un limitato numero di campioni fosse inviato ad
un’industria biotecnologica al fine di verificare la validità di un nuovo test per
identificare il cancro alla prostata. La WU disattese tale richiesta per il costo che
avrebbe comportato e per la mancanza di un effettivo ritorno economico
dell’operazione.
Per sottrarsi alle interferenze con le sue attività di investigazione e alle
condizioni poste dall’Università, il dr. Catalona preferì trasferirsi presso la
Northwestern University’s Medical School di Chicago. Per continuare la sua ricerca
inviò una lettera ai suoi pazienti chiedendo loro di sottoscrivere il modulo che aveva
allegato affinché il proprio campione venisse trasferito presso la Nothwestern. Seimila
dei suoi pazienti indirizzano il form debitamente compilato alla WU che, però, non
accolse la loro richiesta.
143
Ibidem.
68
In più, l’Università si rivolse alla District Court for the Eastern District of
Missouri affinché stabilisse con pronuncia dichiarativa la proprietà dei campioni in capo
ad essa e decidesse al fine di prevenire qualsiasi futura ingerenza dell’urologo sui
campioni ceduti dai pazienti.
La WU, infatti, sostenne che tali soggetti all’atto del consenso avessero trasferito
- mediante gift of property - tutti i diritti proprietari alla GU Biorepository, che infatti
sopportò interamente i costi di conservazione e gestione dei campioni.
Il dr. Catalona, dal canto suo, obiettò che il modulo di consenso che i pazienti
avevano firmato prevedeva esplicitamente la possibilità di partecipare alla ricerca senza
per questo essere defraudati di alcun diritto di tipo proprietario sul sample: oltretutto era
prevista espressamente la possibilità di revoca del consenso o di distruzione del
campione in qualsiasi momento. Si allega così un argomento decisivo per avvalorare la
tesi della proprietà in capo al paziente dei tessuti conservati nel biorepository: ne
derivava la logica conseguenza per cui i legittimi proprietari potevano disporre del
campione e decidere di trasferirlo al nuovo centro di ricerca del dott. Catalona. Il
convenuto, inoltre, confuta il presunto perfezionamento di un negozio di gift of
property, qualificando meglio la fattispecie come rapporto di bailment, in base al quale
la WU avrebbe acquisito solo il possesso ma non la proprietà dei campioni.
La sentenza della corte del Missouri diede ragione alla WU, indicandola come
unica proprietaria di tutti i materiali biologici contenuti all’interno del proprio
biorepository.
La decisione appellata non approda ad un esito differente davanti alla Corte
d’appello dell’VIII circuito: si negò nuovamente al dottor Catalona qualsiasi pretesa sui
tessuti oggetto della controversia, asserendo che la cessione fatta dai pazienti costituisce
un dono libero e gratuito alla ricerca per il beneficio della società.
Questa vicenda giudiziaria dimostra, però, l’importanza ed il valore della banca
di tessuti, che deve essere preservata di fronte alle pretese dei singoli privati - donatori e
ricercatori - capaci di menomarne l’effettiva potenzialità, smembrando le collezioni in
essa conservate.
4.4 Distinti indirizzi giurisprudenziali: la respuesta española
69
La risposta europea alla vexata quaestio della proprietà dei materiali biologici di
origine umana arriva da due sentenze iberiche pronunciate rispettivamente dalla sezione
V della Audiencia provincial de Vizcaya (jurisdicción civil) e dalla Sala de lo
Contencioso-Administrativo del Tribunal Superior de Justicia de Cantabria144.
Nel primo caso145, Jesús E. A. e Begoña H.P. promuovevano un’azione di
risarcimento danni contro gli specialisti di oncologia pediatrica e di anatomia patologica
dell’ospedale di Basurto (Bilbao) che, per condotta negligente, avevano causato la
morte del loro figlio: i due medici, infatti, avevano erroneamente diagnosticato al
minore un sarcoma osteogenico invece del sarcoma di Edwig, eseguendo così una
terapia inadatta. I genitori, inoltre, lamentavano l’occultamento dei blocchi di paraffina
della biopsia del tumore estratto durante l’intervento chirurgico e la mancanza di
collaborazione da parte del reparto di anatomia patologica con la clinica universitaria
della Navarra, che i genitori avevano contattato per effettuare ulteriori studi
anatomopatologi.
Il tribunale basco non rintraccia nessuna condotta negligente da parte dei medici,
ritenendo che avessero agito secondo la lex artis146, ma rinviene un anormale
funzionamento del servizio di anatomia patologica dell’ospedale di Basurto con
riferimento alla mancanza di collaborazione medico-sanitaria e al diniego del diritto
all’informazione clinica: la Sala accoglie, dunque, il secondo motivo di impugnazione,
riconoscendo ai genitori il danno morale causato «dalle difficoltà ed opposizioni
conseguenti all’ostruzionismo relativo all’ottenimento del campione di paraffina della
biopsia del tumore cerebrale del figlio Manuel, nonché dalle conseguenze derivanti
dall’effettuazione di nuovi studi anatomopatologi»147.
La Audiencia provincial accoglie così parzialmente ricorso: assolve il pediatra, ma
ritiene solidalmente responsabili il medico di anatomia patologica ed il Servicio Vasco
de Salud-Osakidetza, tenuti a risarcire i genitori della somma di 500.000 pesetas per la
144
Per un’analisi più approfondita si rimanda a NICOLÁS JIMÉNEZ P., Los derechos del paciente
sobre su muestra biológica: distintas opiniones jurisprudenciales, Revista de derecho y genoma humano,
n.19, 207, (2003).
145
Si tratta dell’appello (recurso de Apelación n. 538/1998) contro la sentenza del Juzgado de
Primeria Istancia n. 13 di Bilbao che in primo grado aveva respinto la domanda risarcitoria promossa dai
genitori.
146
La Audiencia specifica come l’assistenza sanitaria fornita fosse stata corretta e adeguata con
riferimento ai mezzi sanitari a disposizione nel 1993: in particolare, erano stati utilizzati tutti i mezzi
clinici disponibili per la diagnosi ed era stata anche ottenuta una consulenza da parte di un esperto
nordamericano.
147
Sentencia Audiencia Provincial núm. 719/2000 Vizcaya (Sección V), de 21 de julio.
70
violazione del diritto all’informazione clinica e per la mancata consegna dei campioni di
paraffina della biopsia del minore.
Nel secondo caso, la ricorrente Pilar M.R. promuoveva un ricorso davanti al giudice
amministrativo di Santander a fronte del silenzio-rifiuto formatosi sulla sua richiesta di
consegna dei campioni istologici prelevati durante la sua degenza presso l’Ospedale
Universitario Marques de Valdecilla nel 1994.
Il ricorso giunge fino alla suprema istanza amministrativa della Comunità
Autonoma della Cantabria che accoglie l’appello promosso dall’Instituto Nacional de la
Salud. Nello specifico, vengono cassate le osservazioni del Magistrado de instancia che
nel grado precedente aveva ritenuto che: «il diritto del paziente all’informazione clinica
implica il diritto a conoscere ed essere informato della propria storia clinica,
comprendendo di conseguenza la consegna dei campioni istologici conservati
nell’ospedale universitario»148.
Il Tribunale Supremo obietta che l’accesso alla storia clinica del paziente non
implica in alcun modo il diritto alla consegna dei campioni istologici, trattandosi di
concetti di ben distinti: la storia clinica è, infatti, un «documento imprescindibile
nell’assistenza medico-sanitaria che contiene i dati riguardanti la salute del titolare, tra
cui le prove complementari e dati analitici (prove analitiche, radiologiche, o di altro
tipo), rispetto alle quali il malato ha così diritto a ottenere i risultati» 149. Tra questi, però,
non rientrano i campioni istologici di una biopsia. Essi, infatti, sono porzioni di tessuto
ottenute da un individuo e finalizzate unicamente allo studio anatomopatologico
necessario per la formulazione della diagnosi.
La Corte, dunque, di fronte al diverso ed «antagónico» 150 significato dei due concetti
ritiene che la consegna dei campioni istologici esuli dal diritto all’informazione clinica,
che riguarda solamente la documentazione medica ed i risultati delle analisi.
Entrambe queste sentenze sembrano situare il rapporto paziente-campione biologico
non tanto sotto l’egida dei diritti di proprietà quanto all’interno del diritto
all’informazione sanitaria. Come efficacemente individuato dalla dottrina spagnola:
«dai ragionamenti utilizzati si deduce che i tribunali attribuiscano la proprietà del
148
Sentencia del Juzgado de lo Contencioso-Administrativo núm. 3 de Santader, 12 de febrero de
2001.
149
Sentencia Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de lo Contencioso-Administrativo), de
16 mayo 2001.
150
Ibidem.
71
campione al centro di raccolta piuttosto che al soggetto-fonte che l’ha abbandonato» 151.
Inoltre, appare interessante notare come la questione della proprietà dei tessuti sia fatta
rientrare dal giudice civile della Vizcaya entro i confini del diritto all’informazione
sanitaria, di fatto riconducendo la dimensione materiale a quelle informazionale. Ad una
soluzione radicalmente diversa giunge il tribunale amministrativo che mantiene distinte
le due situazioni.
5. Possibili modelli di governance
I casi fin qui analizzati hanno messo in evidenza l’inadeguatezza delle risposte e
delle soluzioni fornite. Si può ragionare in termini astratti su come sia meglio impiegare
le risorse e su dove sia più efficiente allocare i beni scarsi, avendo cura di non trascurare
nel concreto i protagonisti di questa tragedia dei commons; non si tratta solo della
promozione della ricerca e del progresso scientifico, ma anche della tutela e del
riconoscimento di quei soggetti che ad essa contribuiscono o che si interpongono nei
nessi causali: i dott. Golde e Quan non avrebbero sviluppato la loro linea cellulare senza
la milza del sign. Moore; il Miami Children’s Hospital non sarebbe stato nelle
condizioni di brevettare il test diagnostico prenatale per il morbo di Canavan senza il
contributo di Greenberg e delle famiglie patecipanti; la WU non avrebbe avuto a
disposizione un vero e proprio tesoro nel proprio biorepository se non grazie alle
donazioni di migliaia di pazienti coinvolti dal dr. Catalona di turno.
Il modello di governance di cui la biobanca si dota può risolvere il problema del
doppio standard garantendo, da un lato, risultati anche nel breve periodo - alimentando
altresì la fiducia dell’opinione pubblica - e, dall’altro, rendendo possibile il
raggiungimento di obiettivi strategici e significativi nel campo della ricerca medica sul
lungo periodo.
Come brillantemente enunciato da Herbert Gottweis e Alan Petersen «the
governance of biobanks is inseparably and necessarily tightly connected with
governance through biobanks»152. L’argomento della governance si articola, infatti, in
151
NICOLÁS JIMÉNEZ P., Los derechos del paciente sobre su muestra biológica: distintas opiniones
jurisprudenciales, cit., 223.
152
GOTTWEIS H., PETERSEN A., (eds.), Biobanks. Governance in a comparative perspective,
London, New York, Routledge, 2008, 7.
72
un
processo
complesso
che
coinvolge
non
solo
gli
elementi
strutturali
dell’organizzazione statutaria ma anche elementi esterni ed adiacenti come la scienza, il
corpo umano, la medicina e la tecnologia. Le biobanche sono divenute una forma «of
governing life»153 e afferiscono a soggetti distinti: dagli scienziati ai pazienti, dai medici
alle industrie farmaceutiche. Esse, dunque, non possono essere strutturate come
strumenti passivi di governance, ma devono essere utilizzate ed organizzate come
piattaforme in grado di potenziare e gestire gli interessi sottostanti. Le biobanche
devono assurgere, nelle prospettiva che qui si vuole promuovere, a canale di
comunicazione preferenziale per il paziente, il cittadino, la società, la ricerca medica e
l’industria al fine di costruire una nuova visione, condivisa e partecipativa, del
progresso medico-scientifico.
I modelli di governance che sono stati proposti in letteratura possono essere
raggruppati secondo i seguenti schemi: contrattuale, non market compensation, global
public e trust154.
5.1. Il modello contrattuale
Il modello contrattuale sarebbe quello teoricamente più idoneo a tutelare gli interessi
delle parti. Facendo perno sul concetto di autonomia, garantirebbe al singolo la
possibilità di negoziare individualmente i benefici derivanti dall’utilizzo del tessuto da
parte del ricercatore.
Allo stato dei fatti, il donatore-paziente sembrerebbe avere un ruolo attivo nella
gestione dei left over tissue, ma lo strumento del consenso informato non è, in realtà, un
meccanismo sufficientemente adeguato a salvaguardare l’autonomia del singolo. Il
donatore, infatti, viene messo a conoscenza degli usi futuri del campione effettuando
una scelta in termini di “I agree/I do not”. Non ha alcuna voce in capitolo riguardo allo
sfruttamento commerciale di un’invenzione, alle politiche industriali, alla diffusione o
limitazione delle licenze d’uso sul brevetto. Il suo unico contributo consiste nel fornire
un mero, ma indispensabile, supporto materiale alla ricerca155.
153
Ibid., 22.
I non market compensation e global public models rappresentano al momento una prospettiva
utopica e vengono riportati solo per spirito di completezza. A giudizio di chi scrive, si tratta di ipotesi
poco praticabili e di corto raggio. Sul modello del trust ci si soffermerà, invece, in maniera analitica nel
prossimo paragrafo, prendendo in considerazione la particolare categoria del Biotrust.
155
NOIVILLE C., Preventing Conflicts of Interests in the Field of Human Biological Materials: the
‘contractual Model’ as an Avant-garde, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered.
154
73
E’, questa, un’asimmetria che potrebbe essere corretta grazie allo strumento
contrattuale: esso sarebbe capace di riequilibrare la relazione tra donors e users of
biological materiales156. La problematica è patente nel caso Greenberg: nelle loro
argomentazioni gli attori sostengono che non si sarebbero spesi per la ricerca se
avessero conosciuto le intenzioni di lucro del Miami Children’s Hospital. Queste
condizioni (riservatezza, condizioni di brevettabilità e di licenza) avrebbero potuto
regolarle tramite apposite clausole all’interno dell’agreement.
Un esempio del modello contrattuale è costituito dalla PXE International, una
“disease-community” statunitense, che ha stipulato con l’Università delle Hawai un
contratto in cui si prevede la co-proprietà sui brevetti rilasciati, la partecipazione alle
royalties e agli indirizzi d’impresa.
Le aziende, infatti, vedono nello strumento contrattuale un mezzo flessibile in grado
di rispondere alle loro esigenze, di prevenire i conflitti di interesse e di supplire ai vuoti
normativi. Ciò naturalmente non equivale a dispensare il legislatore dal fornire un
framework adeguato né si intende auspicare l’”anarchia” contrattuale.
Anche il modello in questione, infatti, avrebbe il suo tallone d’Achille: è
improbabile che funzioni in maniera efficiente per i pazienti singolarmente considerati,
mancando un effettivo potere di contrattazione collettiva. I pazienti si troverebbero,
così, in una situazione di inferiorità e non sarebbero nelle condizioni o non avrebbero le
conoscenze per negoziare individualmente adeguati accordi che prevedano la
condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo dei loro tessuti. Questo modello
potrebbe anche non funzionare per ampi gruppi di popolazione, in quanto la loro
eterogeneità genetica e fenotipica potrebbe causare conflitti di interesse ed inibire
un’effettiva contrattazione157.
5.2 Non market compensation model
In un modello così strutturato, il ritorno al paziente-donatore avverrebbe soltanto nei
casi in cui il suo tessuto acquisisse (o gli venisse attribuito) un valore commerciale. I
Exploring New Approches to Property in Human Tissue, Farnham, Ashgate, 2009, 145.
156
Ibid., 146.
157
Come ben espresso in BOVENBERG J.A., Moore’s Law and the Taxman: Some Thesis on the
Regulation of Property in Human Tissue, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism
Reconsidered., cit., 164.
74
ricercatori e gli istituti di ricerca, quindi, potrebbero utilizzare i campioni biologici per
cui sia stato prestato un adeguato consenso informato rispettando una particolare
obbligazione: qualora i risultati della propria ricerca dovessero approdare ad uno sbocco
sul mercato, sarebbero tenuti a pagare per il materiale che ha contribuito
significativamente alla loro attività. Una determinazione del valore del tessuto potrebbe
essere effettuata in via compensativa dal tribunale, utilizzando una griglia di criteri
stabiliti per legge. L’obbligo di indicare i tessuti utilizzati e la loro tracciabilità
potrebbe, ad esempio, essere posto come requisito della patent application. Inoltre, nel
caso in cui la rintracciabilità del soggetto non fosse possibile o il donatore non volesse
ricevere alcuna compensazione, il ricercatore potrebbe destinare la somma in questione
ad un “charity fund”158.
Questo modello, al momento, è solo teorico. Porta con sé una serie di ostacoli e
necessita di un’adeguata implementazione per essere realizzato. Occorre una dettagliata
normativa a livello statale ed un’idonea regolamentazione a livello statutario e interno
all’ente di ricerca: basti pensare alle difficoltà di dover individuare una soglia minima a
partire dalla quale si possa affermare che il tessuto abbia costituito un significativo
contributo alla ricerca, alla determinazione del “premio”, o agli effetti negativi che si
ripercuoterebbero sulla ricerca e sulle donazioni159.
5.3 Global public model
Un’altra struttura proposta è quella del global public model: partendo dal
presupposto che il genoma è patrimonio dell’umanità e nostra comune eredità, i benefici
ottenuti nel campo della salute dovrebbero essere resi disponibili alla collettività intera.
Ai ricercatori, agli istituti ed alle società spetterebbe comunque una compensazione
“equa” per gli sforzi intellettuali profusi ed i contributi finanziari forniti.
Il benefit sharing, in questo modello, dovrebbe concretizzarsi in forme speciali di
assistenza sanitaria alle persone e ai gruppi che hanno preso parte alla ricerca,
158
Ibid., 165.
E’ stato dimostrato come l’introduzione di una qualsiasi forma di remunerazione o premio
abbia un effetto negativo sulle donazioni. Infatti, con la creazione di un mercato, i soggetti che
naturalmente sono portati a donare per spirito di liberalità, vedendo svilire il valore altruistico dell’atto
che compiono, smetterebbero di donare. Si veda in proposito l’analisi economica contenuta in THORNE
E.D., When Private Parts are Made Public Goods: The Economics of Market-Inalienability, 15 Yale J. on
Reg, 149, (1998).
159
75
nell’accesso agevolato alle cure mediche; nella predisposizione di nuovi metodi
diagnostici e facilitazioni riguardo nuovi trattamenti o farmaci sviluppati dalla ricerca;
nella promozione dello sviluppo e della cooperazione con i paesi svantaggiati. È quanto
auspicato dalle linee guida approntate dalla HUGO, in virtù delle quali le società e le
industrie farmaceutiche dovrebbero investire una quota tra l’1 e il 3% dei propri profitti
annui in infrastrutture mediche o altri scopi umanitari.
Naturalmente le problematiche legate a una simile struttura concernono il modus
relativo alla determinazione dei benefici (si dovrebbe decidere, ad esempio, se sia
preferibile investire nell’accesso ai medicinali o nella costruzione di un ospedale), alla
loro distribuzione presso i partecipanti ed alla loro ripartizione tra donatori e ricercatori.
6. Il modello del Biotrust
Questo modello, teorizzato da David Winickoff160, offre una struttura legale idonea a
contemperare gli interessi potenzialmente confliggenti tra gli attori del biobanking,
promuovendo la partecipazione dei donatori negli assetti di governance e stimolando al
contempo la ricerca ed il benefit sharing161. Il charitable trust rappresenta, dunque, un
«elegant and flexible model»162 capace di fornire un’alternativa valida ed efficiente ai
modelli finora proposti.
Il modello ricalca la struttura classica del charitable trust (vedi Figura 1): i pazientidonatori, nella veste di settlors, cedono i loro interessi proprietari (il modulo di
consenso potrebbe costituire un titolo idoneo allo scopo) alla biobanca, che in qualità di
trustee è investita del legal fiduciary duty consistente nell’amministrare ed utilizzare i
beni nell’interesse della collettività, “unica” beneficiary.
160
WINICKOFF D.E., WINICKOFF R.N., The charitable biotrust as a model for genomic biobanks,
349 N Engl J Med, 1180, (2003); WINICKOFF D.E., From Benefit Sharing to Power Sharing: Partnership
Governance in Population Genomics Research, in KAYE J., STRANGER M., eds., Principle and Practice in
Biobank Governance, cit.; WINICKOFF D.E, Partnership in U.K. Biobank: A Third Way for Genomic
Property, J. of Law, Med. & Ethics, 440, (2007); WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social
contract for genomics: property and the public in the ‘biotrust’ model, Genom Soc Policy, 8, (2005);
MULLEN C., The model of trust, in STEINMANN M., SÝKORA P., WIESING U., Altruism Reconsidered., cit.
161
Alcune strutture hanno già adottato ed implementato questo modello. Si vedano, ad esempio,
l’esperienza
dell’Irlanda
www.biobankireland.com
e
dello
stato
del
Michigan
http://www.michigan.gov/mdch/0,1607,7-132-2942_4911_4916_53246---,00.html.
162
Come viene definito dai suoi autori in WINICKOFF D.E., WINICKOFF R.N., The charitable
biotrust as a model for genomic biobanks, cit., 1182.
76
Fig.1. Struttura “base” del Trust
La creazione del trust, dunque, prevede l’istituzione di una «fiduciary relationship in
«which a trustee holds title to property, subject to en equitable obligation to keep or use
the property for the benefit of the beneficiary» 163. Compito precipuo del bio-trustee
sarebbe quello di approntare sistemi adeguati per garantire: l’utilizzazione del
campione, la qualità della conservazione del materiale, la protezione dei dati, la
riservatezza dei soggetti coinvolti, l’accesso da parte dei ricercatori, la possibilità di
poter utilizzare i campioni per ricerche non previste inizialmente.A livello strutturale il
Biotrust si caratterizzerebbe per alcune peculiarità (vedi Figura 2): sarebbe costituito da
una pluralità di trust instruments creati dai singoli pazienti-donatori in favore della
Biotrust Foundation, un ente non-profit incaricato di gestire la biobanca secondo la
finalità charitable e il beneficio per la collettività stabiliti
nello statuto della Fondazione. Quest’ultima, inoltre, sarebbe affiancata nella gestione
dei beni-campioni biologici da altri due organi che avrebbero il merito di coinvolgere i
donatori, alimentando così il senso di partnership: l’Etichal Review Committee (ERC)
ed il Donor Advisory Committee (DAC).
L’ERC della biobanca si occuperebbe di vagliare l’ammissibilità dei progetti di
ricerca alla luce di parametri etici e strumenti di peer review. Rispetto ad un
163
WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the
public in the ‘biotrust’ model, cit., 10.
77
Fig. 2. La struttura del Biotrust
Institutional Review Board (IRB)164, l’ERC si caratterizzerebbe per la presenza di una
rappresentanza di donatori al suo interno.
Il DAC, invece, sarebbe quell’organo, composto da soli rappresentanti del gruppo
dei donatori, deputato ad assicurare la massimizzazione dell’utilità pubblica dei
campioni biologici. Questo organo avrebbe il compito di approvare i protocolli di
ricerca e, data la sua composizione “democratica”, fungerebbe da raccordo tra il gruppo
164
David Winickoff riporta come la cd. “Common rule” statunitense che si occupa della
protezione dei soggetti coinvolti nella ricerca richieda la presenza «at least of one member who is not
otherwise affiliated with the insitution and who is not part of the immediate family of a person who is
affiliated with the insitution». Ibid., nota 23.
78
di donatori, i trustees ed i ricercatori. Il DAC rappresenterebbe, dunque, un meccanismo
flessibile attraverso il quale verrebbero potenziate la comunicazione e l’interazione tra i
soggetti coinvolti nel biobanking165. Secondo gli autori citati, la rappresentatività
andrebbe garantita mediante voto per delega sul modello dell’elezione dei membri del
Board da parte degli azionisti di una s.p.a.166.
I vantaggi di una simile organizzazione sarebbero evidenti innanzitutto in relazione
ai donatori, il cui intento altruistico verrebbe rispettato per mezzo di una gestione dei
beni volta a prevenire qualsiasi sfruttamento; sugli amministratori, invece, graverebbe il
dovere di gestire le risorse in maniera produttiva.
Inoltre, tale sistema avrebbe il pregio di effettuare la separazione tra stoccaggio e
utilizzo dei materiali biologici, riducendo il pericolo di possibili conflitti di interesse:
chi detiene il controllo della collezione e lo gestisce nell’interesse pubblico dovrebbe
statuire delle priorità riguardo all’utilizzo dei materiali ed i requisiti di accesso al
database da parte di soggetti terzi ed esterni rispetto alla biobanca. A tutela della
privacy, la cessione dei campioni a terzi avverrebbe naturalmente solo in forma
codificata.
Il modello del biotrust permetterebbe, in aggiunta, l’affrancamento da una
visione paternalistica della relazione medico-paziente, predisponendo un sistema in cui
l’individuo interessato possa accedere in qualsiasi momento alle informazioni che lo
riguardano e partecipare attivamente: alla semplice “permission”167, richiesta per ogni
progetto di ricerca, si affiancherebbero altri due strumenti previsti a tutela
dell’autonomia del paziente.
Il biotrust, in primo luogo, manterrebbe informati i donatori su tutti i progetti di
ricerca attraverso un sito web, lasciando aperta una finestra durante la quale il donatore
potrebbe esercitare la sua facoltà di opting-out168. Ciò incoraggerebbe una
165
Così Winickoff e Neumann, che riferiscono dell’esistenza di un organo similmente strutturato
nell’ambito del Framingham Hearth Study, un progetto di ricerca avviato più di cinquant’anni fa dal
National Health, Lung and Blood Institute e dall’Università di Boston in cui i gruppi coinvolti hanno
assunto un interessante ruolo partecipativo e decisionale.
166
Ibidem.
167
Winickoff impiega questo termine - utilizzato per la prima volta da GREELY H.T., Breaking
the Stalemate: a prospective regulatory framework for unforeseen research uses of human tissue samples
and health information, Wake Forest Law Rev 34, 737 (1999) – evitando i pericoli e le incongruenze del
termine consenso informato. Contra BOGGIO A., Charitable Trust and Human Genetic Databases: The
Way Forward?, Genomic Soc. Policy, 41, (2005).
168
Questo meccanismo permetterebbe di non sovraccaricare la biobanca con le operazioni di ricontatto e ri-consenso. Attraverso il sito web, la newsletter o la posta ordinaria metterebbe i donatori nelle
condizioni di effettuare, prima che la ricerca abbia inizio, una scelta informata in relazione al singolo
79
partecipazione “open-ended” ed un effettivo esercizio del ritiro del consenso. In
secondo luogo, qualora si volesse intraprendere uno studio su un determinato gruppo
etnico od una determinata popolazione con caratteristiche genetiche omogenee, il
biotrust avvierebbe delle consultazioni per richiedere il consenso dell’intera comunità
coinvolta (la soluzione sarebbe ovviamente funzionale nel caso delle biobanche di
popolazione).
Se costruito bene, il biotrust infonderebbe nei donatori quella fiducia tale da
attivare la loro spontanea collaborazione e la volontaria “donazione” di tutte quelle
informazioni - fenotipiche, ambientali, comportamentali, nutrizionali – e dati clinici
aggiornati che rappresentano uno strumento imprescindibile per il buon esito di una
ricerca.
Questo modello, inoltre, permetterebbe di eclissare il problema della proprietà
dei tessuti, dei dati derivati e del database: la struttura si basa sul riconoscimento di un
diritto di proprietà (cd. quasi-property rights) che si sostanzia nell’interesse del soggetto
alla donazione del materiale biologico solo con la finalità per cui è stato costituito il
singolo trust. I campioni possono, dunque, essere utilizzati dal trustee nei limiti fissati
nell’accordo. Il settlor continua a mantenere una forma di controllo potendo esercitare il
recesso. Nella teorizzazione delle «revocable trust relationships» 169 di Winickoff, infatti,
si assicura al soggetto un interesse «equitable» rispetto alla donazione effettuata,
prospettando una sorta di controllo condiviso170.
La struttura così congegnata non escluderebbe aprioristicamente l’intervento del
settore privato né il sistema dei diritti di proprietà intellettuale. Per Winickoff, però, a
fare da apripista dovrebbero essere gli academic medical centers (i nostrani policlinici
universitari) in ossequio agli obiettivi del teaching hospital e soprattutto per la loro
consolidata esperienza nel catalizzare sovvenzioni e fondi. Non per questo si deve
immaginare un’esclusione del mercato: i privati arriverebbero in un secondo momento
per finanziare delle strutture ed un modus operandi già rodati secondo gli schemi del
charitable trust.
protocollo in cui verrà impiegato il proprio campione.
169
WINICKOFF D.E., NEUMANN B.L., Towards a social contract for genomics: property and the
public in the ‘biotrust’ model, cit., 13.
170
Quest’ultima, secondo l’autore, non sarebbe d’ostacolo: «here the land analogy helps: a
person can give a mortgaged property to be held in trust even thugh they do not own a complete
inalienable right to that property» . Ibid., 14.
80
Come si è visto, il biotrust è un modello che racchiude in sé gli ideali di
altruismo, “buona governance” e benefici per la collettività nel lungo periodo.
Permetterebbe la protezione dei diritti dei partecipanti, la propensione a creare fiducia
tra le varie anime dell’attività e la massimizzazione del potenziale scientifico delle
collezioni di campioni biologici.
La circolazione di un simile modello naturalmente sconterebbe le ben note
problematiche del trapianto dell’istituto di common law per antonomasia nel nostro
ordinamento171. Eppure, se la biobanca venisse sottoposta al controllo pubblico e si
emancipasse, anche a livello infrastrutturale, dai reparti ospedalieri o dagli enti di
ricerca pubblici in cui operano i ricercatori, allora anche in Italia potremmo avere questo
preziosissimo strumento di mera ricerca172.
Lo scopo fondamentale di una biobanca, infatti, non si sostanzia solo nel
raccogliere campioni e nel tutelare la loro dimensione materiale ed informazionale: essa
deve essere inserita in un’organizzazione tale per cui può diventare il centro di qualcosa
di più ampio così da permettere la condivisione dei dati a beneficio di chi fa ricerca. Le
biobanche potrebbero contribuire significativamente al dibattito sulle policies di data
sharing e, con l’autorizzazione
dei governing bodies (rappresentanti anche dei
donatori-pazienti) potrebbero giocare un ruolo di primo piano partecipando a ricerche di
tipo collaborativo. La proprietà e i diritti di proprietà intellettuale non dovrebbero,
dunque, essere più uno scudo dietro cui ripararsi né dei fendicula: la biobanca potrebbe
concedere licenze d’uso sui propri dati e materiali, utilizzando gli strumenti legali
all’interno di una strategia comunicativa più ampia, capace di attrarre potenziali
partners e di raggiungere obiettivi comuni alle istituzioni di ricerca, alle industrie, al
pubblico173.
Il problema, come già sottolineato, è che nel nostro ordinamento manca ancora
una definizione di biobanca ed il registro nazionale è lungi dall’essere realizzato.
171
Nutrita è la bibliografia sul punto. Si vedano in particolare GAMBARO A., SACCO R., Sistemi
giuridici comparati, Torino, UTET, 2008; SACCO R., Introduzione al diritto comparato, Torino, UTET,
1992; WATSON A., Il trapianto di norme giuridiche: un approccio al diritto comparato, Napoli, Esi, 1984;
OPPENHAIM L., INGRAM S. P., Trusts, St. Paul, West publishing, 1977; SONNEVELDT F., VAN MENS H.L., eds.,
The trust: a bridge or abyss between common law and civil law jurisdictions?, Boston, Kluwer, 1992;
SANTORO L., Il negozio fiduciario, Torino, Giappichelli, 2002.
172
E’ quello che già accade in Spagna con la Ley 14/2007, 3 de julio, de Investigación biomédica
(LIB).
173
Come suggeriscono HEANEY C., CARBONE J., GOLD R., BUBELA T., HOLMAN C. M., COLAIANNI A.,
LEWIS T., COOK-DEGAN R., The Perils of Taking Property Too Far, Sanford Journal of Law, Science and
Policy 1, 46:64 (2009).
81
Questa, però, potrebbe essere l’occasione propizia per avviare una riflessione
dall’ampio respiro che coinvolga tutti i settori della società. Il modello di Biotrust ci
mette di fronte ad un ripensamento delle vecchie categorie e ci offre la chance di
rinegoziare un nuovo contratto sociale per la ricerca biomedica.
82
CAPITOLO III
SCENARI CONDIVISI TRA BIOBANCA E RICERCATORI: MATERIAL TRANSFER AGREEMENT
E
DATA SHARING
He who receives an idea from me,
receives instruction himself without lessening mine;
as he who lights his candle at mine,
receives light without darkening me.
THOMAS JEFFERSON
1. Il rapporto sinallagmatico tra biobanca e ricercatori
L’inquadramento dei campioni biologici nella categoria dei commons e l’adozione
del modello del Biotrust, quale struttura giuridica indipendente che gestisce queste
risorse in maniera efficiente nell’interesse delle collettività, è una prospettiva in grado di
arginare i pericolosi straripamenti cui si è fin qui accennato. Agendo da interfaccia tra
pazienti e ricercatori, la biobanca assicurerebbe ai primi la tutela della riservatezza ed ai
secondi il materiale biologico e i dati associati necessari per i loro fini speculativi 174. A
garanzia ulteriore, vengono previsti in funzione di controllo comitati ad hoc incaricati di
valutare la scientificità e l’eticità dei protocolli di ricerca175.
Nel concreto, poi, ogni istituto dovrebbe elaborare un proprio regolamento interno
che disciplini gli aspetti più tecnici e pratici stabilendo, ad esempio, chi possa richiedere
il campione, quali requisiti debba avere il richiedente e chi sia deputato a decidere sulle
richieste (competenza tecnica, merito del progetto, rispondenza ai principi etici del
Comitato), quali obbligazioni siano imputabili ai ricercatori e quali responsabilità siano
invece attribuibili alla biobanca, chi supervisioni l’accesso al database e quali siano le
174
Vedi MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a
fini di ricerca, cit., 233; MACILOTTI M., IZZO U., PASCUZZI G., BARBARESCHI M., La disciplina giuridica delle
biobanche, cit., 94.
175
In particolare, si veda sui Comitati Etici, il loro ruolo e le problematiche connesse PORTIGLIATTI
BARBOS M., Comitati etici tra urgenza e disincanto, Dir. Pen. e Processo, 11, 1246 (1995) e HYMAN D.A.,
Institutional Review Boards: is this the least worst we can do?, 101 Northwestern University Law Review,
2, 749 (2007).
83
condizioni per accedervi, chi controlli l’uso che viene fatto del campione e la capacità di
utilizzare i dati da parte del ricercatore.
La natura ambigua ed ambivalente dei campioni biologici si riflette per certi aspetti
anche sul regime giuridico della biobanca, in quanto sullo stesso materiale possono
incardinarsi diritti differenti. Si rende necessario, innanzitutto, individuare il bene
oggetto di protezione: nel caso dei campioni biologici (sangue, cellule, tessuti cordoni
ombelicali…) il controllo del materiale nella sua fisicità ricade nell’ambito dei diritti di
proprietà; le sequenze genetiche contenute o sviluppate a partire da quel materiale
possono costituire oggetto di brevetto o di segreto industriale; l’uso del database
contente le informazioni genetiche, cliniche, anagrafiche, ambientali o di follow up
rientra nella disciplina del copyright; i possibili trattamenti di tali informazioni devono
tutelare la privacy del paziente-donatore.
La biobanca deve, dunque, tenere in considerazione tutti i possibili profili e gli
eventuali scenari che si potrebbero prospettare: il paziente potrebbe imporre determinate
condizioni all’utilizzo del proprio campione o al trattamento dei propri dati nel modulo
di consenso informato (come nel caso Catalona)176, il detentore di un brevetto sviluppato
a partire dai materiali forniti dalla biobanca potrebbe imporre pesanti limitazioni o
perseguire una politica restrittiva di concessione della licenza (esempio significativo in
proposito è la vicenda Greenberg)177 oppure il titolare del copyright sul database
potrebbe controllare e determinare l’accesso alle informazioni in esso contenute.
Appare evidente, pertanto, come la biobanca instauri un rete di relazioni con
soggetti differenti, ognuna della quali governata da un diverso regime giuridico.
Bisogna richiamare a questo proposito quanto già detto circa la condizione di terzietà ed
indipendenza della biobanca e dei suoi professionisti rispetto ai soggetti che
concretamente utilizzeranno i campioni per condurre le proprie indagini previste e
descritte nel protocollo di ricerca. Come è stato efficacemente notato in dottrina, se non
venisse realizzata questa condizione di indipendenza, verrebbe meno quella funzione
essenziale di garanzia posta a tutela della riservatezza dei dati dei pazienti-donatori, i
cui tessuti e le cui informazioni verrebbero utilizzati dagli stessi soggetti che
provvedono alla loro anonimizzazione178. La contraddizione nell’adottare un sistema di
176
Come accennato nel §4.3, cap.II, p.
Vedi §4.2, Cap. II, p.
178
MACILOTTI M., Proprietà, Informazione ed interessi nella disciplina delle biobanche a fini di
ricerca, cit., 232.
177
84
accesso esclusivo – cioè ristretto ai soli custodi o agli stretti collaboratori della biobanca
- sarebbe evidente.
Il problema dell’accesso alla biobanca rappresenta una delle questioni più
scottanti179. Potrebbe ipotizzarsi un sistema in cui la biobanca agisca da service provider
e cioè non lasci accedere direttamente al campione ma fornisca le analisi su richiesta dei
ricercatori esterni; oppure, la biobanca potrebbe optare per un accesso controllato alle
risorse, lasciando condurre autonomamente ed in prima persona ai ricercatori le analisi
sul campione; in alternativa, ed è l’ipotesi più frequente, i dati ed i materiali vengono
trasferiti, ed eventualmente accompagnati dalle istruzioni per effettuare le analisi o dalle
modalità di conservazione, secondo le condizioni stabilite nel Material Transfer
Agreement (MTA).
2. Il Material Transfer Agreement
La condivisione e la circolazione dei materiali hanno assunto una dimensione
complessa, dal momento in cui le risorse biologiche possono connotarsi anche come
scoperte economicamente remunerative e lo sharing costituisce oramai il fulcro dello
sviluppo scientifico contemporaneo. Il trasferimento di informazioni e materiali non è
più gestito in maniera libera ed informale secondo le regole consuetudinarie della
comunità scientifica in quanto il gap tra la ricerca pura e l’applicazione commerciale si
è andato assottigliando180: si rende, pertanto, necessaria l’adozione di strumenti
contrattuali, i c.d. Material Transfer Agreements (d’ora in poi MTA), che bilancino gli
interessi delle parti.
L’MTA è proprio il negozio che regola i rapporti tra la biobanca e soggetti ad essa
esterni (potrebbe trattarsi di un’altra biobanca, un’università od un ente di ricerca
privato). E’, infatti, lo strumento generalmente utilizzato per il trasferimento dei
materiali biologici di origine umana da destinarsi alla ricerca. Accogliendo la
GIBBONS S.M.C., Regulating Biobanks: A Twelve-Point Typological Tool, cit., 324.
BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements,
in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L., THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D.,
FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds., Intellectual Property Management in Health and Agricultural
Innovation: A Handbook of Best Practices, Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007, 698.
179
180
85
definizione di Alan Bennett, Wendy Streitz e Rafael Gacel, si tratta, in particolare, di un
bailment con il quale si realizza il trasferimento tra le parti di una cosa tangibile181.
Il bailment rappresenta nella tradizione di common law una delle «commonest
transactions of every day life»182 ed è alla base di una pluralità di negozi: dal deposito al
mandato, dal comodato al pegno, dal contratto di trasporto a quello di albergo. Tale
istituto si situa nell’intersezione delle grandi categorie dei contract, property e tort:
nella sua forma più semplice, infatti, costituisce un «conveyance of personal property,
created by contract and enforceable in tort»183.
Come svelato dalla sua etimologia, l’elemento essenziale nel bailment è il
possesso184: il proprietario può trasferire solo il possesso dei propri beni al bailee per un
periodo di tempo limitato ed il bailee può creare, a sua volta, un bailment per ritrasferire
i beni in questione al proprietario originale. Un accordo che conferisse
contemporaneamente il possesso e la proprietà su un bene non potrebbe mai creare una
relazione di bailment185.
Occorre però precisare che il possesso è un elemento necessario ma non
sufficiente a costituire il bailment. In primo luogo perché il possesso potrebbe essere
una manifestazione della materiale disponibilità del bene derivante dal diritto di
proprietà - che abbiamo visto essere incompatibile con l’idea stessa di bailment - ed, in
secondo luogo, è necessario che sia accompagnato da un determinato elemento
soggettivo. Il bailee, in particolare, deve essere consapevole di avere la disponibilità di
determinati beni di proprietà altrui (quello che tradizionalmente nel diritto italiano viene
indicato come animus detinendi ex art. 1140 co. 2 c.c.)186.
L’istituto del bailment ha vissuto una lenta ma continua evoluzione. Dalle
primigenie sei forme - che il Chief Justice Holt aveva individuato in: 1) custodia
gratuita di beni; 2) prestito; 3) locazione; 4) pegno; 5) trasporto o prestazione di altri
Ibidem.
PALMER N.E., Bailment, London, Sweet and Maxwell, 1991, 1.
183
Ibidem.
184
Per Blackstone il termine deriva dal verbo francese «bailler» che significa, appunto, «dare,
consegnare»: «Bailment, from the French bailler, to deliver, is a delivery of goods in trust, upon a
contract expressed or implied, that the trust shall be faithfully executed on the part of the bailee».
BLACKSTONE W., Commentaries on the Laws of England, edited by W. Morrison, London, Cavendish,
2001, vol. II, 365.
185
PALMER N.E., Bailment, cit., 2.
186
Ibid., 3. Come sottolineato dallo stesso autore la natura di tale «mental element» rappresenta
uno dei punti più controversi nella law of bailment.
181
182
86
servizi a titolo gratuito; 6) trasporto o prestazione di altri servizi a titolo oneroso187 - la
moderna dottrina è arrivata ad ammettere accordi di bailment che prescindano dalla
consegna, dalla stipulazione di un contratto ed apparentemente anche dal consenso del
bailor. Inoltre, tradizionalmente il bailment richiedeva che venissero restituiti al bailor
gli stessi identici beni, una volta raggiunto lo scopo per il quale erano stati bailed. Col
tempo si è andata però affermando l’idea che l’identità dei beni potesse essere alterata
dal bailee - si pensi ai grappoli di uva restituiti sotto forma di vino – o che i beni
potessero non essere restituiti affatto, ad esempio perché consegnati ad un soggetto
terzo o venduti per conto del bailor188.
Il bailment può avere ad oggetto solo beni mobili: infatti, attraverso l’MTA,
vengono trasferiti i campioni biologici, ma la proprietà di questi – nel modello così
prospettato - rimane in capo alla biobanca. Il contratto in questione ha, però, natura
ibrida189: se da un lato lo strumento negoziale determina le condizioni alle quali il
materiale biologico, in quanto tangible property, deve essere trasferito, dall’altro questo
stesso materiale può essere oggetto di un brevetto o di una patent application. L’MTA
dovrà, dunque, considerare e disciplinare l’aspetto dei diritti di proprietà intellettuale
che si vengono ad instaurare sul campione190.
L’MTA è, dunque, lo strumento principe per trasferire “materiali di ricerca” da
un’organizzazione - cd. provider - ad un’altra - cd. recipient - affinchè quest’ultima
possa perseguire determinate finalità di studio e di investigazione. I “materiali di
ricerca” possono consistere in composti chimici od in alcuni tipi di software, ma l’MTA
viene impiegato prevalentemente per la cessione di materiali biologici.
La negoziazione del MTA varia notevolmente a seconda dei soggetti o delle
istituzioni coinvolte. Gli agreement conclusi tra università od organizzazioni no-profit
sono quasi unanimemente considerati i meno problematici grazie alla comunione di
187
Coggs v. Bernard (1703) 2 Ld Raym 909.
PALMER N.E., Bailment, cit., 3-4.
189
BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements,
188
cit., 698.
190
Non si prenderanno qui in considerazione i cosiddetti collaboration agreement che di solito
accompagnano l’MTA. Sulla tematica si rimanda a GOLD E.R., BUBELA T., Drafting Effective
Collaborative Research Agreement and Related Contracts, in KRATTIGER A., MAHONEY R.T., NELSEN L.,
THOMSON J.A., BENNETT A.B., SATYNARAYANA K., GRAFF G.D., FERNANDEZ C., KOWALSKI S.P., eds.,
Intellectual Property Management in Health and Agricultural Innovation: A Handbook of Best Practices,
Oxford, MIHR, Davis, PIPRA, 2007, 725.
87
intenti e di interessi tra questi soggetti 191. Negli Stati Uniti, ad esempio, è prassi che il
trasferimento dei materiali biologici tra le università avvenga sulla base di un legame di
fiducia e venga formalizzato in accordi molto semplici aventi come unico limite il
divieto di cessione del campione a soggetti esterni al mondo accademico senza la previa
approvazione o notificazione all’istituzione-provider192.
I Material Transfer Agreement conclusi, invece, tra università e soggetti
provenienti dal mondo dell’industria sono, di regola, i più complessi. Le questioni più
delicate da risolvere concernono la circolazione e la diffusione dei risultati delle
ricerche, la possibilità di utilizzare tali risultati in altri e diversi progetti, i potenziali
conflitti tra le obbligazioni derivanti dall’MTA e gli obblighi cui è sottoposto, ad
esempio, il microbiologo che riceve il grant per condurre la sua ricerca.
Come dimostrato dallo studio di Alan Bennett, Wendy Streitz e Rafael Gacel,
negli Stati Uniti le Università hanno, poi, un obbligo di condividere conoscenze e
invenzioni in maniera diligente e tempestiva con la generalità del pubblico193. In tal
senso, dispone il Patent and Trademark Law Amendments Act, meglio noto come BayhDole Act, ossia la legge del 1980 che consente agli atenei statunitensi di brevettare
autonomamente i risultati delle ricerche finanziate con fondi pubblici. Tale
provvedimento legislativo ha avuto il merito di creare gli incentivi necessari per la
commercializzazione di nuove tecnologie sviluppate grazie agli sforzi congiunti di
università, industria e governo e, al contempo, ha assicurato la funzione istituzionale
propria dei centri universitari stabilendo la promozione e la diffusione pubblica delle
invenzioni194.
Questo benefit sharing, però, potrebbe essere ostacolato da un MTA deputato a
conciliare visioni e priorità profondamente divergenti: il raggiungimento dell’accordo
191
Contra STREITZ W., BENNETT A., Material Transfer Agreements: A University Perspective,
Plant Phisiology, 133, 10 (2003). Gli autori, infatti, sostengono che la situazione non è così rosea quando
il trasferimento avviene da un’istituzione accademica verso un altro ente di ricerca di un paese in via di
sviluppo oppure quando il materiale ceduto è coperto da brevetto. In quest’ultimo caso, però, gli stessi
autori evidenziano in un loro articolo successivo come il problema sia facilmente arginabile inserendo
nell’accordo di licenza una clausola con cui ci si riserva il diritto di utilizzare il materiale esclusivamente
per finalità di ricerca interna. BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material
Transfer Agreements, cit., 703.
192
Un esempio di ciò è costituito dal Simple Letter Agreement for Transfer Materials,
predisposto dai NIH (National Institutes of Health), organismi federali del Dipartimento di Salute e
Servizi Umani degli U.S.A. che realizzano e promuovono la ricerca scientifica. Fonte:
http://www.nih.gov/, ultima visita: 24 agosto 2010.
193
Ibid., 704.
194
Ibid., 704.
88
potrebbe richiedere molto tempo, comportare enormi costi di transazione finendo col
risultare un business poco appetibile per le imprese private.
3. La struttura del Material Transfer Agreement
Per quanto riguarda la struttura dell’MTA, essa può variare da un semplice ed
agile contratto standardizzato - come ad esempio il modello di Simple Letter Agreement
for Transfer of Materials stilato dai National Institutes of Health statunitensi,
solitamente utilizzato dalle università nordamericane per trasferire materiali (vedi in
Appendice 1) - a complessi ed elaborati documenti, la cui negoziazione può anche
richiedere anni195.
Generalmente gli MTA conclusi tra le biobanche ed i ricercatori si articolano nei
seguenti punti: (a) descrizione del materiale da trasferire, (b) dovere di riservatezza
circa le informazioni fornite ed il know-how, (c) limitazioni all’uso del campione, (d)
divieto o restrizioni alla sua successiva cessione a terzi, (e) esclusione della
responsabilità da parte della biobanca, (f) gestione dei diritti di proprietà intellettuale
derivanti dalla ricerca, (g) diritti di pubblicazione, (h) obbligo di report, (i) requisiti
aggiuntivi con riferimento al tipo di materiale trasferito.
Può, dunque, risultare utile analizzare concretamente e nel dettaglio un Material
Transfer Agreement non solo per capirne la struttura ma anche (e soprattutto) per
comprenderne i bilanciamenti e le scelte di policy che riflette.
A questo fine, costituirà oggetto di analisi l’MTA utilizzato da EuroBioBank, un
network di biobanche creato a livello europeo per fornire – attraverso un catalogo online - DNA, cellule e tessuti biologici di origine umana come servizio alla comunità
scientifica che conduce ricerche nell’ambito delle malattie rare196. La scelta è maturata a
195
Ibid., 700.
Il network è stato istituito nel 2001 a partire da due organizzazioni di pazienti: l’Associazione
francese contro le miopatie (AFM) e l’Organizzazione europea per le malattie rare (Eurordis), divenuta
poi la coordinatrice del network. Inizialmente finanziata con fondi europei, EuroBioBank è stata
successivamente inclusa - insieme a Eurordis che è a capo del WP04.1 dedicato allo “Sviluppo e
coordinamento di biobanche sovranazionali” - nello European Network of Excellence TREAT-NMD
(Neuro Muscular Disease network) nell’ambito del Sesto Framework Programme (FP6) della
Commissione europea. EuroBioBank si propone di identificare e localizzare materiale biologico di
interesse per i ricercatori, costituire una massa critica di collezioni di campioni biologici provenienti da
pazienti affetti da malattie rare, distribuire materiale di qualità e relativi dati agli utilizzatori, promuovere
pratiche di biobanking di qualità, disseminare conoscenze e know-how presso la comunità scientifica
attraverso corsi di formazione, incentivare la collaborazione all’interno della comunità medica e
196
89
seguito della comparazione di un’ampia rosa di contratti di trasferimento del materiale
adottati da Università e biobanche sia a livello europeo che internazionale 197: l’MTA
predisposto dalla EuroBioBank appare il modello più appropriato e più funzionale - per
chiarezza e completezza – per tentare un primo approccio alla problematica.
Il preambolo del Material Transfer Agreement in esame consta di una clausola
introduttiva che contiene l’enunciazione del tipo di accordo, la data e le parti. Esso si
compone solitamente di recitals o whereas clauses, che forniscono informazioni
ritenute rilevanti con riguardo alle parti, al tipo di materiale, agli obiettivi della ricerca,
all’intento dei contraenti198. Secondo il P³G Ethics and Policymaking Core coordinato
da Saminda Pathmasiri e Bartha Maria Knoppers, dovrebbero essere parti del contratto
sia il ricercatore principale sia il suo ente di appartenenza 199. In questo modo,
scientifica nell’ambito delle malattie rare. Allo scopo di facilitare l’interazione tra medici e pazienti e di
agevolare l’accesso ai campioni è stato predisposto un catalogo on-line che elenca le collezioni di
campioni disponibili e che possono essere richiesti semplicemente via mail. Naturalmente il richiedente
dovrà comunque rispondere ai requisiti previsti dalla Carta del network EuroBioBank e sottostare alle
condizioni contenute nell’MTA. Fonte: http://www.eurobiobank.org/index.html, ultima visita: 24 agosto
2010.
197
Sono stati visionati, in particolare, il Simple Letter Agreement for the Transfer of Materials, il
Material Transfer Agreement for the Transfer of Organisms (MTA-TO) to Academic/Not-for Profit
Organizations, lo Human Material Transfer Agreement (hMTA) for Non-Profit Research Purposes,
redatti
dall’NIH
(http://www.ott.nih.gov/forms_model_agreements/forms_model_agreements.aspx#MTACTA);
l’UBMTA, il Master Agreement Regarding Use of the Uniform Biological Material Transfer Agreement
(http://www.nhlbi.nih.gov/resources/tt/docs/ubmta.pdf); lo Uniform Access Agreement di CARTaGENE
(http://www.cartagene.qc.ca/index.php?option=com_content&task=view&id=94&Itemid=83);
il
Confidential Information e Material Transfer Agreement del Network of Centres of Excellence
(http://epi.helmholtz-muenchen.de/kora-gen/seiten/angebot_regel_e.php); il Biological MTA utilizzato
dall’Università
McGill
di
Montreal
(http://www.techtransfer.mcgill.ca/downloads/pdf/MTAMcGilltoCorp.pdf); il Data Access Agreement del
Wellcome
Trust-Case
Contral
Consortium
(http://www.wtccc.org.uk/docs/Data_Access_Agreement_v14.pdf); l’Acuerdo de Trasferencia de
muestras
y
tejidos
humanos
del
Comité
de
Ética
e
Investigación
spagnolo
(www.isciii.es/htdocs/terapia/pdf_comite/cesion- transferencia.doc); l’Application form S601E Access to
Data del Norwegian Insitute of Public Health
(http://www.fhi.no/eway/default.aspx?
pid=238&trg=MainArea_5811&MainArea_5811=5903:0:15,4278:1:0:0:::0:0); il Project Agreement of
Data and/or Biosamples Transfer della tedesca Kora-gen (http://epi.helmholtz-muenchen.de/koragen/seiten/angebot_regel_e.php); il Material Transfer Agreement del Centro di risorse biologiche
dell’Istituto nazionale per la ricerca sul cancro (http://www.istge.it/).
198
Così BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer
Agreements, cit., 700.
199
Il P³G (Public Population Project in Genomics) è un consorzio internazionale (tra i suoi
membri fondatori si annoverano CARTaGENE, l’Estonian Genome Project e GenomEUtwin) senza scopo
di lucro che si propone di offrire alla comunità internazionale un accesso facilitato alle conoscenze, alle
risorse, agli strumenti innovativi ed alle informazioni più aggiornate in tema di genomica e studi di
popolazione. Per raggiungere i suoi obiettivi e favorire la collaborazione tra le biobanche e la comunità
scientifica ha messo a punto alcuni strumenti open-access come, ad esempio, il DataSHaPER
(DataSchema and Harmonization Platform for Epidemiological Research). Fonte: http://www.p3g.org/,
ultima visita: 24 agosto 2010.
90
l’istituzione si fa carico delle eventuali responsabilità derivanti dalla ricerca condotta
dal proprio dipendente che, invece, rimane personalmente responsabile in caso di
condotta illegale o di comportamenti contrari al proprio codice deontologico:
MATERIAL TRANSFER AGREEMENT (MTA)
This Agreement is made the…………..day of ………. 2010 between
………………….. whose registered office is situated at ………………………….
(hereinafter called "Recipient") and ………………………….., having its principal
offices …………………………., (hereinafter "Provider") in the frame of
EuroBioBank network.
Α.
Β.
Χ.
∆.
WHEREAS:
EuroBioBank (EBB) is a European network of biological banks, which
provides human DNA, cell and tissue samples as a service to the scientific
community conducting research on rare diseases.
Provider is a member of the EuroBioBank network and as such has adhered
to the EuroBioBank Charter
Recipient is a ………… whose principal object is to research and develop
…………….. in the field of rare diseases.
Recipient acknowledge that this agreement is entered into in order to
encourage scientific collaboration and exchange of data and material in the field of
rare diseases.
Ad esso segue la consideration, la cui funzione è quella di rafforzare l’MTA che
altrimenti rimarrebbe privo della sua causa200:
NOW IT IS HEREBY AGREED AS FOLLOWS:
Pursuant to Recipient’s request that certain research material be made available for
research and/or testing purposes, Provider agrees to provide to Recipient this
biological material under the following terms and conditions.
L’MTA può avere una sezione separata nella quale vengono definiti termini
specifici come “materiale”, “materiale biologico”, “invenzione” oppure può provvedere
alla definizione non appena tali termini compaiono. Come esplicitato nello Uniform
Biological Material Transfer Agreement (UBMTA)201, il materiale biologico può
consistere nel materiale originario (MO), nella progenie del MO o nei derivati non
200
Sull’equiparazione del concetto di consideration angloamericano alla causa continentale si
veda ALPA G., BESSONE M., (a cura di), Causa e Consideration, Padova, CEDAM, 1984.
201
L’UBMTA è un altro modello standard stilato dai NIH e dall’Association of University
Technology Managers per favorire ed accelerare il processo di condivisione degli strumenti di ricerca tra
le istituzioni accademiche. A differenza del Simple Letter Agreement di cui sopra, l’UBMTA ha ad
oggetto, in particolare, il trasferimento di materiale biologico.
91
modificati, quali ad esempio, le proteine espresse dal DNA o dall’RNA. Pertanto,
rientrano nella definizione di materiale originario anche le modifiche al materiale
originario, eventuali sostanze che lo incorporassero o quelle ottenute attraverso il suo
utilizzo. Lo strumento contrattuale della EuroBioBank propende comunque per la prima
soluzione formale:
1. The research material covered by this agreement, hereinafter “Biological
Material” is identified in the Request Form (Appendix A).
L’MTA specifica, dunque, gli obblighi della biobanca e le responsabilità del
ricercatore circa l’utilizzo del materiale. Il documento può semplicemente prevedere che
il ricercatore inserisca la descrizione dell’uso che farà del campione oppure può essere
predisposta un’appendice separata nella quale verrà minuziosamente descritto il tipo di
impiego che si prospetta nella ricerca. Si prevedono, poi, alcune restrizioni - che sono
solitamente inserite in un MTA e che possono essere dettate anche dal consenso prestato
dal donatore-paziente - come il divieto di utilizzare il materiale per un progetto di
ricerca diverso da quello per cui è stato originariamente concesso, la vendita o il
trasferimento a terzi del campione, il divieto di utilizzo per scopi commerciali o
l’impiego nella sperimentazione umana202:
2.
Within sixty (60) days from the date of this Agreement above, Provider
shall provide Recipient with samples of the Biological Material, in good
condition along with associated information and data developed by Provider as
appropriate. The samples shall be sent to the attention of: ……………., or his
designee, at Recipient’s site; …………………. (address of the site for delivery).
All custodianship of the Biological Material will pass to Recipient from the point
of delivery of the sample to the Recipient’ site. Recipient will then be
responsible for its use, storage and disposal for the term of the Agreement.
Recipient agrees not to take or send the Biological Material to any other
location or to a third party without advance written approval of Provider.
3.
Recipient hereby accepts, upon the terms and conditions herein specified, the
custodianship of the Biological Material to enable Recipient to use the Biological
Material for the sole purpose of conducting experimental research to the exclusion of any
commercial use of the Biological Material. The experimental research conducted by
Recipient with the Biological Material, hereinafter the “Research”, is described in
Appendix B.
202
Il grassetto è mio.
92
Nel caso in cui l’accordo – ed è questo il caso - abbia carattere transnazionale e
coinvolga soggetti provenienti da differenti stati ed ordinamenti giuridici, l’MTA deve
specificare quale sia la legge applicabile. Il documento della EuroBioBank, infatti,
prescrive che:
4.
Recipient shall use the Biological Material in compliance with all applicable laws
and government regulations. Under no conditions will the Material be used in human
subjects.
5.
The Biological Material has been collected and processed by Provider in
compliance with all applicable laws, rules, regulations and other requirements of any
applicable governmental authority, including without limitation those applicable to
patient informed consent.
La biobanca, in quanto garante della riservatezza dei dati, assicura il trasferimento
dei campioni in forma codificata od anonimizzata, impedendo al ricercatore di accedere
all’identità del paziente:
6.
Prior to the transfer of the Biological Material to Recipient, Provider will ensure
that the samples are either coded or anonymised, so that under no circumstances will
Recipient be supplied with the identity of the patient, or any basic clinical information,
that in Provider’s opinion could identify the patient.
In ossequio alle finalità di ricerca, si intima al recipient un uso prudente ed
appropriato dei campioni ricevuti. Altri MTAs per rafforzare questo duty of care
impongono l’adozione di determinate tecnologie informatiche o misure di sicurezza per
la protezione del materiale biologico; oppure ancora, includono nell’accordo un obbligo
di reporting per monitorare l’utilizzo del campione. L’MTA della EuroBioBank
prevede, poi, una clausola che pone in capo al ricercatore qualsiasi tipo di responsabilità
per danni che potrebbero derivare dall’utilizzo, conservazione o manipolazione del
materiale biologico e dei suoi derivati:
7.
Recipient understands that the Biological Material delivered hereby is
experimental in nature and should be used with prudence and appropriate caution since
not all of its characteristics are known. Recipient assumes all liability for damages, which
93
may arise from the use, storage, handling or disposal of the Biological Material or its
derivatives.
In alternativa, alcuni providers prevedono un indennizzo, una sorta di clausola
penale, che protegge la biobanca da eventuali ricorsi o spese derivanti dall’attività
condotta dal ricercatore203. Alcuni MTAs inseriscono, poi, una clausola di esclusione
della responsabilità del proprietario della biobanca sulla qualità di conservazione dei
campioni ceduti. Molto spesso, però, questa declinatoria non fa breccia nei ragionamenti
della corti e non protegge necessariamente la biobanca nei confronti dei terzi 204. Ecco
perché nella maggior parte degli accordi si prevede la responsabilità solidale della
biobanca in caso di azioni promosse contro il ricercatore, dovute alla negligenza o
all’imperizia della biobanca stessa.
L’MTA solitamente evidenzia a chiare lettere (si utilizza il maiuscolo in genere) 205
che il materiale biologico non è accompagnato da warranties:
8.
Provider makes no representations and extends no warranties of any kind, either
expressed or implied. Provider and its directors, officers, employees, or agents assume no
liability and make no representations in connection with the Biological Material or the
derivatives or the information or their use by Recipient or its investigators. Recipient will
defend, indemnify and hold harmless Provider, its directors, officers, employees, and
agents from any damages, claims, or other liabilities which may be alleged to result in
connection with the Biological Material, derivatives or information. There are no
expressed or implied warranties of merchantability or fitness for a particular purpose, or
that the use of the Biological Material and related information will not infringe any
patent, copyright, trademark or other rights.
Il Material Transfer Agreement, per non risultare eccessivamente penalizzante,
dovrebbe permettere al ricercatore la pubblicazione o la presentazione dei risultati della
propria ricerca senza l’approvazione da parte della biobanca. Esso, però, rappresenta
uno strumento chiave per favorire e propiziare la condivisione dei dati e degli esiti della
ricerca. I ricercatori, infatti, hanno la possibilità di arricchire il biorepository e di
agevolare le ricerche successive già con la semplice restituzione delle analisi genetiche
effettuate sui campioni o dei risultati ottenuti alla fine della ricerca. Inserire una clausola
di grant-back, cioè un obbligo condividere i risultati ottenuti con la biobanca,
ridurrebbe drasticamente il pericolo di duplicazione delle ricerche e potrebbe viralizzare
203
Per quanto una clausola del genere sia proibita in alcuni stati. Cfr BENNETT A.B., STREITZ
W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements, cit., 702.
204
Ibidem.
205
Ibidem.
94
il vecchio principio di reciprocità e mutuo scambio delle conoscenze in ambito
scientifico206.
I ricercatori dovrebbero restituire alla biobanca non solo i risultati positivi ottenuti,
ma anche l’analisi completa (affinché la comunità scientifica possa monitorare la
correttezza dell’indagine) ed i “vicoli ciechi”, cioè quelle ricerche che non abbiano
condotto al risultato prefissato207.
Una clausola del genere, però, rischierebbe di innescare un pericoloso meccanismo
di “biobank shopping”: il ricercatore intenzionato a lucrare sulla propria invenzione
cercherebbe la biobanca che gli ponesse meno limitazioni possibili riguardo l’uso dei
campioni e che non prevedesse una clausola di grant back208.
Nei Material Transfer Agreement, quindi, è solitamente inserita una clausola che
richieda al ricercatore l’invio di una copia di ciascun manoscritto, abstract, slides, bozza
preparatoria della pubblicazione realizzata grazie allo studio dei materiali biologici
ceduti. Si prevede, inoltre, che il ricercatore citi espressamente, se del caso come coautrice, la biobanca. In questo specifico caso, inoltre, l’obbligo si estende anche al
network europeo209:
9.
Recipient shall share the results of the Research obtained through use of the
Biological Material with Provider. In particular, Recipient undertakes to send a
copy of any such publication based on use of the Biological Material (or derivative),
promptly after it is published, to Provider, and to EuroBioBank at the following email address [email protected]
10.
In accordance with scientific customs, the contributions of those who have
made Biological Material available or of the EuroBioBank Scientists if appropriate,
will be reflected expressly in all written or oral public disclosures concerning the
Research using the Biological Material, by acknowledgment or co-authorship, as
appropriate. The origin of the Biological Material must be included in such
206
BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on
Researchers, in ELGER B., BILLER -ANDORNO N., MAURON A., CAPRON A., eds., Ethical Issues in Governing
Biobanks: Global Perspectives, Ashgate, 2008, 231.
207
«The negative findings ought also to be shared because these are perhaps the most interesting
findings». Ibidem.
208
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, International
Conference Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual
Property and the Role of Technology, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Trento, 7 e 8
maggio 2010.
209
Il grassetto, questa volta, non è mio. Anche la formattazione evidenzia e sottolinea
l’attenzione con cui la biobanca cura la diffusione delle nuove conoscenze scientifiche sviluppate grazie
al supporto materiale fornito. Le pubblicazioni rappresentano uno strumento chiave per sponsorizzare la
biobanca, testimoniare la qualità e professionalità della raccolta di tessuti ed aumentare il proprio ranking
nel panorama scientifico internazionale.
95
disclosures, as follows: “We thank [bank X] for providing the samples. [bank X] is a
partner of the EuroBioBank Network established in 2001 thanks to EC funding
(01/2003-03/2006), www.eurobiobank.org"
L’MTA, poi, contiene una clausola per proteggere le informazioni sensibili che
possono essere scambiate tra la biobanca ed il ricercatore insieme al materiale. Il dovere
di riservatezza copre tutte quelle «informazioni, dati o materiali, in forma scritta o in
un’altra forma tangibile collegata al materiale, che è identificata come confidenziale al
momento dell’accordo»210. In ogni caso il dovere di riservatezza non si estende a quelle
ipotesi in cui l’informazione sia già in pubblico dominio, sia in possesso del ricercatore
al momento dell’accordo, sia stata svelata al ricercatore da un soggetto terzo che aveva
il potere di farlo, sia stata raggiunta dal ricercatore indipendentemente e senza l’utilizzo
dell’informazione confidenziale fornita dalla biobanca, debba essere resa nota sulla base
di una previsione legislativa o di un regolamento del governo211.
La clausola di confidentiality, a seconda della sua formulazione, può avere un
ruolo particolarmente pregnante ed invasivo sull’attività di ricerca: potrebbe inibire il
soggetto che ha accettato l’accordo dal pubblicare qualsiasi risultato del proprio lavoro
ottenuto grazie al materiale biologico della biobanca. Il dovere di riservatezza, proprio
per le limitazioni che impone, non è mai ad semper ed il periodo di non divulgazione
generalmente non supera i cinque anni dal termine del progetto di ricerca212:
Confidentiality
11.
Each of Recipient and Provider undertakes to retain in confidence and not
disclose to any third party any confidential information and samples received from the
other party. Such information may, however, be disclosed insofar as such disclosure is
necessary to allow a party, or its employees to defend against litigation, to file and
prosecute patent applications, or to comply with governmental regulations. Such
obligation of confidentiality shall be waived as to information and samples which (i) is in
the public domain; (ii) comes into the public domain through no fault of the receiving
party; (iii) was known prior to its disclosure by the receiving party, as evidenced by
written records; or (iv) is disclosed to the receiving party by a third party having a lawful
right to make such disclosure. Such obligations of confidentiality shall continue for five
(5) years from the completion or termination of the Research.
210
BENNETT A.B., STREITZ W.D., GACEL R.A., Specific Issues with Material Transfer Agreements,
211
Ibidem.
Ibidem.
cit., 701.
212
96
Inoltre, l’MTA pone a carico del ricercatore ricevente i costi “amministrativi” che,
però, non costituiscono in alcun modo il prezzo del campione. La cessione di
quest’ultimo, infatti, non perfeziona una vendita e la somma pagata serve solo a coprire
(parzialmente o totalmente) i costi sostenuti dalla biobanca per la raccolta, la
conservazione ed il trasporto del campione.
Si prevede, altresì, l’indicazione di un termine finale entro cui il contratto cesserà
di produrre i suoi effetti. Generalmente si stabilisce che allo spirare del termine il
ricercatore ricevente interrompa lo studio sul materiale biologico e restituisca o
distrugga gli eventuali residui.
Alcuni effetti, però, potrebbero protrarsi anche dopo la scadenza del termine:
potrebbe, infatti, essere prevista la sopravvivenza di obbligazioni collegate al dovere di
riservatezza o riferibili alla proprietà intellettuale, ai warranties o ai profili di
responsabilità213:
Costs
12.
Recipient will make appropriate payment to cover reasonable administration
costs in the supply and transport of the samples but will make no payments for the
samples themselves.
Term and Termination
13.
This agreement will terminate on the earliest of the following dates : (a) XXX
years from the date of signing this agreement, or (b) on completion of the Recipient’s
current Research with the Biological Material, or (c) on thirty (30) days written notice by
either party to the other.
14.
On termination for any reason, Recipient agrees to return or dispose of any
remaining Biological Material, in accordance with the Provider’s directions.
Come in ogni contratto, dopo il corpo del documento, è inserita una concluding
clause che statuisce il momento a partire dal quale l’accordo assume rilevanza legale.
Inoltre, sono apposte le firme del rappresentante legale della biobanca e del ricercatore
ricevente - (ed eventualmente del rappresentante legale o del delegato dell’ente di
213
Ibid., 703.
97
ricerca di cui fa parte o della società per cui opera214)-, nonché gli allegati richiesti (che
potrebbero consistere, ad esempio, nel protocollo di ricerca, nella lista dei materiali
ceduti o nelle informazioni da mantenere riservate):
In witness whereof, Recipient and Provider have executed this agreement as of the
date below written.
PROVIDER
By :
Name :
Title
Date
RECIPIENT
By :
Name :
Title :
Date :
Documents attached :
-Request Form
-Project description
L’MTA della EuroBioBank, testé analizzato, pur rappresentando uno dei modelli
più completi, non prende in considerazione un elemento fondamentale, per quanto
scivoloso, che viene fatto rientrare nella natura ibrida dell’agreement: i diritti di
proprietà intellettuale.
Il campione stoccato nella biobanca non può essere coperto da nessuna forma di
proprietà intellettuale, dato che si trova in uno stadio precedente rispetto all’attività di
ricerca. Con la cessione al ricercatore ed il suo impiego in un determinato protocollo di
ricerca, però, il campione costituisce un’invenzione in potenza. L’MTA serve a
risolvere e a disciplinare proprio questa prospettiva, per quanto si tratti indubbiamente
della questione più articolata da negoziare in tali contratti di ricerca215.
La biobanca stipulerà l’MTA secondo la propria policy adottata in tema di
downstream IP216. Quest’ultima è, però, solo un aspetto dei diritti di proprietà
intellettuale che possono riguardarla. La biobanca, infatti, potrebbe anche detenere il
copyright sul database a seconda del grado di organizzazione o di originalità
nell’annotazione dei campioni217.
214
Per l’Università sono sottoscritti dal Magnifico Rettore.
L’MTA viene fatto rientrare dal prof. Gold nella categoria dei Research Contract. Vedi GOLD
E.R., BUBELA T., Drafting Effective Collaborative Research Agreement and Related Contracts, cit.
216
Secondo la definizione fornita da Saminda Pathmasiri e Bartha Maria Knoppers nel P³G
Ethics and Policymaking Core si tratta della proprietà intellettuale che si origina a seguito dell’utilizzo da
parte di un ricercatore dei dati e dei campioni stoccati nelle biobanche.
217
Sullo standard di originalità si veda il caso Feist Publication Inc. v. Rural Telephone Service
Company, 916 F.2d 718 (CA 10 1990).
215
98
Per concludere l’analisi dell’MTA predisposto dalla EuroBioBank, il modello in
esame non prevede alcuna clausola che indichi le conseguenze derivanti
dall’inadempimento delle obbligazioni contrattuali. Tale lacuna può essere agilmente
colmata facendo riferimento ai tipici rimedi previsti dall’ordinamento, ma potrebbe
anche non essere casuale. Il rispetto delle obbligazioni potrebbe essere “coartato” dalle
norme sociali che nel campo della ricerca scientifica esercitano una funzione di
deterrenza e controllo. In caso di grave inadempimento, la reputazione di un ricercatore
inadempiente sarebbe irrimediabilmente compromessa e difficilmente tale soggetto
potrebbe accedere nuovamente alle risorse di una biobanca218.
4. MTA: un gigante dai piedi d’argilla?
Il Material Transfer Agreement sembra essere lo strumento in grado di fornire una
soluzione ai problemi connessi al trasferimento dei materiali biologici: delinea i limiti
del loro utilizzo, definisce le obbligazioni tra le parti, assicura che l’uso del materiale
corrisponda a quello originariamente contemplato, dirime anticipatamente le questioni
riguardanti le eventuali responsabilità derivanti dal materiale, tutela i diritti di proprietà
intellettuale e promuove la condivisione dei risultati delle ricerche.
Eppure, come già si è avuto modo di sottolineare, l’MTA è spesso il campo di
battaglia in cui si affrontano le diverse ideologie e mission che animano l’industria, da
un parte, e le accademie, dall’altra: interessi commerciali e proprietari volti al
conseguimento dell’esclusiva sul mercato grazie a brevetti e segreti industriali, da un
lato, e protezione del flusso di idee attraverso la pubblicazione, dall’altro219.
Quando le imprese private e le università perdono di vista il loro mutuo interesse
nel supportare l’avanzamento della ricerca e della conoscenza e le volontà dei contraenti
non collimano, allora la negoziazione di un MTA può rivelarsi difficoltosa e
dispendiosa sia sotto il profilo economico che sotto quello temporale. Oltre ad avere una
ripercussione negativa sui costi di transazione, dato che un contratto del genere non
218
Cfr BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on
Researchers, cit.
219
RODRIGUEZ V., Material transfer agreements: open science vs. proprietary claims , 23 Nature
Biotechnology 4, 489 (2005).
99
riuscirebbe a garantire quella flessibilità necessaria per permettere la condivisione dei
dati.
Alcuni studi hanno dimostrato come i Material Transfer Agreement ed i diritti di
proprietà intellettuale siano causa di un malcontento comune e generalizzato tra i
ricercatori. Questi ultimi attribuiscono l’impantanamento dei propri progetti ai ritardi
nell’accesso agli strumenti ed ai materiali di ricerca causati proprio dagli strumenti
contrattuali, la cui negoziazione è imposta dagli amministratori delle università per
proteggere i propri diritti di proprietà intellettuale o per prevenire controversie legali 220.
La “tragedia” degli MTAs è stata così ironicamente descritta da Wendy Streitz ed Alan
Bennett dell’Ufficio Trasferimento Tecnologico della UCLA: «una delle tue colleghe
alla BigAg, Inc. (o alla BigAg University) è entusiasta di poterti inviare le sue sequenze
di inserzione del trasposone che saturano il braccio destro del cromosoma 9; tu hai solo
bisogno di un MTA firmato dalla tua istituzione. Sei mesi dopo, i termini dell’accordo
sono ancora in fase di negoziazione, tu hai perso il semestre, il tuo assegno di ricerca è
scaduto e adesso c’è una risorsa più interessante che è stata sviluppata alla LittleAg
University – e se inizi a negoziare un MTA adesso… Benvenuto nell’incredibilmente
complicato mondo dello sharing dei materiali di ricerca – quei materiali o reagenti che
sono spesso essenziali, o quantomento utili, ad accelerare la propria ricerca»221.
Per alcuni autori la lunghezza della procedura è dovuta alla lentezza cronica ed
alla farraginosità dei meccanismi universitari222, per altri il vero problema è costituito
dalle limitazioni di responsabilità e dal tempo che inevitabilmente richiede la
negoziazione dei diritti di proprietà intellettuale223 oppure dalla mancanza di
collaborazione del settore industriale che difficilmente tende a concedere i propri
ritrovati224.
220
LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property
protection for biological research, 27 Nature Biotechnology, 1, 36 (2009); NOONAN K., Conflating MTAs
and patents, 27 Nature Biotechnology, 504 (2009); LEI Z., WRIGHT B., Reply to Conflating MTAs and
patents, 27 Nature Biotechnology, 505 (2009); KU K., Point: MTAs are the bane of our existence!, 25
Nature Biotechnology, 721 (2007); RODRIGUEZ V., Governance of material transfer agreements,
Technology in Society 30, 122 (2008); ID., Material Transfer Agreements: A Review of Modes and
Impacts, Prometheus 27, 2, 141(2009); ID., Material transfer agreements: open science vs. proprietary
claims , cit.
221
Non senza una punta polemica, così STREITZ W., BENNETT A., Material Transfer Agreements: A
University Perspective, Plant Phisiology, 133, 10 (2003).
222
NOONAN K., Conflating MTAs and patents, cit.
223
LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property
protection for biological research, cit.
224
LEI Z., WRIGHT B., Reply to Conflating MTAs and patents, cit.
100
La dottrina internazionale sembra essere concorde nell’additare allo strumento
del Material Transfer Agreement un’eccessiva lentezza che ostacola i tempi della
ricerca e non si confà alle esigenze della scienza: eppure, molte università che non si
servite dell’MTA hanno registrato perdite significative225.
L’MTA oramai è un «fact of life»226 che, però, non deve minare le fondamenta
delle biobanche. Esso dovrebbe diventare un mezzo più agile e favorire l’accessibilità
dei materiali di ricerca. Il sample – data sharing è, infatti, di importanza capitale nel
campo delle biotecnologie, in quanto molti risultati non possono essere «invented
around»227: esso dovrebbe costituire la pietra angolare di una biobanca piuttosto che una
pietra d’inciampo. Esso dovrebbe essere la corsia preferenziale per favorire la
circolazione dei campioni e dei dati associati così da eliminare o, quantomeno,
diminuire il rischio della sottoutilizzazione di informazioni preziose quali quelle
contenute nelle biobanche.
Secondo il prof. Richard Gold, le condizioni minime per permettere lo sharing
dovrebbero consistere nell’accesso in larga scala ai materiali ed ai dati associati per
qualsiasi scopo di ricerca, nella possibilità di condurre ricerca sugli stessi, modificandoli
o traducendoli in invenzioni, nella condivisione di tali apporti ed il contenimento dei
costi228.
Per raggiungere questi obiettivi, allora, la tecnologia potrebbe approntare una
soluzione alternativa ed in tal senso si è mossa Science Commons229. Tale iniziativa,
servendosi delle licenze open Creative Commons (CC), ha sviluppato non solo delle
piattaforme open source per la diffusione della conoscenza e la visualizzazione dei dati,
ma anche modelli contrattuali appositamente creati per il trasferimento dei materiali di
225
HENDERSON J., Counterpoint: MTAs are a practical necessitiy, 25 Nature Biotechnology, 722
226
GOLD R., Models for Sharing, Biobank Lab, Università di Trento, 13 maggio 2010.
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
(2007).
227
228
GOLD R., Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing, International Conference
Comparative Issues in the Governance of Research Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property and
the Role of Technology, Facoltà di Giurisprudenza, Università degli Studi di Trento, 7 e 8 maggio 2010.
229
Science Commons è un’iniziativa gemmata dai Creative Commons (CC) a partire dal 2005.
Utilizzando le licenze open CC, il commons deed (sommario della licenza) ed i metadati (la versione
elettronica della licenza) si propone di estendere nella maniera più appropriata la filosofia e le strutture
Creative Commons al mondo della scienza: per fare ciò predispone modelli contrattuali per il
trasferimento dei materiali di ricerca o la costruzione di piattaforme open source per la diffusione della
conoscenza e la visualizzazione dei dati. L’intento è quello di fornire strumenti chiari sia dal punto di
vista legale che dal punto di vista tecnico per promuovere il progresso scientifico e la ricerca. WILBANKS J.,
BOYLE J., An introduction to Science Commons, reperibile all’indirizzo http://sciencecommons.org/wpcontent/uploads/ScienceCommons_Concept_Paper.pdf, ultima visita: 24 agosto 2010.
101
ricerca. Infatti, con il Biological Material Transfer Agreement Project (MTA) è stato
sviluppato un MTA standard, flessibile e modulare, per risolvere il problema degli alti
costi di transazione nel trasferimento del materiale biologico a scopi di ricerca. Tale
strumento risulta particolarmente agevole perché il suo linguaggio “parla”
contemporaneamente a tre interlocutori differenti: al ricercatore (tramite il commons
deed) al giurista (attraverso il legal code) e alla macchina (con il codice html). Tale
MTA, infatti, possiede un’interfaccia che lo rende facilmente comprensibile anche agli
operatori del mondo della scienza (non- lawyers); il codice informatico, invece,
provvede ad associare i termini contrattuali desiderati ai materiali facilitandone, inoltre,
la tracciabilità.
Tale contratto non sarebbe monolitico come altri “standard form” perché offre,
attraverso delle semplici schermate volutamente user-friendly, alcune opzioni relative al
tipo di condizioni da inserire nel documento. E’ un’iniziativa indubbiamente
interessante. Science Commons è riuscita a predisporre uno strumento partecipativo,
web based, facilmente accessibile ed intuitivo che può aiutare la diffusione della
conoscenza biotecnologica contenendo al minimo i costi di transazione.
Tale modello, però, non è del tutto privo dei consueti svantaggi propri della
standardizzazione e la sua modularità allevia il problema solo parzialmente, offrendo
uno spazio di autonomia limitato solo ad alcuni aspetti ritenuti più importanti da
regolare. La standardization aiuta a ridurre i costi di transazione, garantendo uniformità
e favorendo la circolazione, ma pone problemi anche nel campo delle licenze aperte 230.
Anche in questo caso, il contratto risulta sempre deficitario sotto il profilo
“democratico” e partecipativo, dato che il contenuto dell’accordo, infatti, non deriva da
una trattativa, ma è predisposto unilateralmente. In questo modo si assiste alla
menomazione del ruolo volitivo di una della parti che può così soltanto aderire231.
230
E’ stato notato come la standardizzazione del contratto sia anche un modo per far circolare
(imporre?) un determinato modello giuridico straniero, tenuto conto del fatto che queste licenze sono tutte
made in U.S.A.
231
Sulla standardizzazione del contratto si vedano ROPPO E., Contratti standard: autonomia e
controlli nella disciplina delle attività negoziali di impresa, Milano, Giuffrè, 1975; ROPPO V., Il contratto,
cit.; TORRENTE A., SCHLESINGER P., Manuale di diritto privato, cit.; MAIORCA S., Contratti standard, Torino,
UTET, 1981; ALPA G. BESSONE M., eds., Il contratto standard nel diritto interno e comunitario, a c. di F.
Toriello, Torino, Giappichelli, 1997; ID., Tecnica e controllo dei contratti standard, Rimini, Maggioli,
1984; PATTI G., PATTI S., Responsabilità precontrattuale e contratti standard, Milano, Giuffrè, 1993;
BOGGIANO A., International standard contracts: the price of fairness, Grham & Trotman, Dordrecht, 1991;
YATES S., HAWKINS A.J., Standard business contracts: exclusions and related devices, London, Sweet &
Maxwell, 1986; VOSKUIL C.C.A., WADE J.A., eds., International sales, standard forms-general conditions,
the sole distributor, International arbitration-national adjudication, La Hague, TCM Asser Institute,
102
Inoltre, tale modello continua a non soddisfare né risolvere il punto cruciale
circa la natura dell’accesso alla biobanca.
5. Sharing the data: possibili modelli
Si è avuto più volte modo di ricordare come la ricerca collaborativa sia diventata la
chiave di volta della scienza contemporanea. La possibilità del confronto tra comunità
di pratiche, dei controlli incrociati dei dati e dei risultati e, soprattutto, le interazioni con
esperti di altri campi del sapere consentono il raggiungimento di obiettivi sempre più
alti ed ambiziosi. Lo sharing permette di ripartire i costi analitici ed aiuta i ricercatori ad
ottenere quei risultati che non avrebbero potuto realizzare lavorando individualmente ed
isolatamente232. Inoltre, la condivisione dei risultati con un organismo come la biobanca
ridurrebbe sensibilmente il fenomeno della duplicazione delle ricerche, evitando anche
gli sprechi di risorse biologiche, per loro natura, limitate ed esauribili. Tale possibilità è
oggi agevolata da strumenti tecnologici che la rendono un’opportunità concreta,
percorribile ed efficiente.
Il linguaggio dell’efficienza e la cultura della condivisione, però, sono quantomai
estranei a quella lunga tradizione, dettata forse anche da un atavico istinto umano, per
cui lo studioso ha sempre cercato di proteggere i risultati del proprio lavoro intellettuale
con lo strumento più potente e penetrante per controllare l’informazione: il segreto.
Come scrive Paolo Rossi, filosofo e storico della scienza: «Comunicazione e
trasmissione del sapere, per potersi affermare, hanno dovuto superare non pochi ostacoli
[…] ma ciò che noi chiamiamo “comunicazione del sapere” (per noi pratica corrente),
non è stata sempre avvertita come un valore. E’ invece diventata un valore. Alla
comunicazione come valore si è sempre contrapposta una differente immagine del
sapere: concepito come iniziazione, segretezza, come un patrimonio che solo pochi
possono attingere, come una realtà che va rivelata ai profani con estrema cautela»233.
La segretezza della scienza è entrata in crisi quando la necessità di validazione
della conoscenza scientifica ha reso indispensabile la divulgazione dei dati, dei risultati
Dordrecht, 1983.
232
233
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
ROSSI P., La tecnica non ha morale, spetta agli uomini guidarla. Telèma, 13, 65(1998).
103
ottenuti, dei metodi utilizzati e la pubblica discussione delle teorie per consentire la
ripetibilità dell’esperimento. Le riviste scientifiche sono state lo strumento tecnologico
che ha reso possibile la “comunicazione” della scienza e la pubblicazione è divenuta il
mezzo attraverso cui lo scienziato riceveva un ritorno in termini di reputazione e
prestigio personali.
La scienza “aperta” è un concetto novecentesco che è stato emblematicamente
sintetizzato da Robert King Merton nei quattro imperativi istituzionali dell’ ἦθος
scientifico moderno capaci, altresì, di accrescere il κũδος (fama, stima, prestigio) del
ricercatore: Comunitarismo, Universalismo, Disinteresse, Scetticismo organizzato
(CUDOS) 234. Secondo il sociologo americano la concezione istituzionale della scienza,
come parte del pubblico dominio, è connessa inevitabilmente all’imperativo di
condividerne i risultati. La pressione per la diffusione delle informazioni è rafforzata
dall’obiettivo istituzionale di continuare ad estendere i confini della conoscenza e
dall’incentivo fornito dalla pubblicazione235. I ricercatori di oggi, per dirla con Newton,
siedono sulle spalle dei giganti: il loro bagaglio conoscitivo è frutto della comune
eredità culturale e della qualità dei risultati scientifici ottenuti in maniera cooperativa e
selettivamente cumulativa236.
Il segreto e la comunicazione non integrale delle ricerche sono sempre stati
fenomeni fisiologici del mondo della scienza, ma la consuetudine voleva che il flusso di
informazioni fosse completo dopo il first filing (la prima pubblicazione od il brevetto).
Eppure, i principi mertoniani sembrano essersi eclissati di fronte al nuovo modo di fare
scienza e con la sentenza Diamond (1980)237, storica decisione della Corte Suprema che
ha riconosciuto per la prima volta la brevettabilità degli organismi viventi, sembrano
allungarsi di nuovo le vecchie ombre del passato.
D’altronde, la “closed science” è espressione di una preoccupazione comprensibile
soprattutto nell’odierna ricerca biomedica. Dopo aver lavorato ad un progetto per anni,
reperito i fondi, ottenute le debite approvazioni da parte di comitati etici e scientifici,
reclutato i partecipanti, collezionato dati e materiali, effettuato le analisi, controllato la
234
MERTON R.K., The Sociology of Science. Theoretical and Empirical Investigations, Chicago,
London, University of Chicago Press, 1973.
235
Ibid., 274.
236
Ibid., 275.
237
Diamond, Commissioner of Patents and Trademarks v. Chakrabarty, 447 U.S. 303, (1980).
104
qualità tecnica e curato ogni singolo aspetto, un ricercatore potrebbe essere riluttante
all’idea di mettere a disposizione liberamente il frutto delle proprie fatiche238.
La prospettiva è ancora meno allettante se si considera, poi, che i fruitori dei dati
sarebbero anche i potenziali concorrenti, in grado di scoprire relazioni che il ricercatore
originario non aveva individuato o di inventare qualcosa di nuovo a partire da quegli
studi239. I ricercatori, inoltre, con lo sharing temono di compromettere la loro capacità di
accedere a futuri grant e assegni di ricerca, che dipendono in larga parte dalle scoperte
provenienti dal set di dati che hanno ottenuto ed accresciuto nel tempo.
La tecnologia e le norme sociali offrono, però, una soluzione per tutelare i
ricercatori e accrescere la loro reputazione, preservando l’attribuzione, cioè il nome
dell’autore. La tecnologia fornisce oggi nuovi modi per interpretare la proprietà
intellettuale, che saranno oggetto di analisi nei prossimi paragrafi.
5.1 Open Source Biobank
L’open source, concetto per certi versi rivoluzionario e provocatorio, sviluppatasi
già a partire dagli anni ’70 nell’ambito della computer science, rappresenta un modo
nuovo di concepire la programmazione informatica e l’idea stessa di software nella sua
interezza: dall’ideazione al rilascio finale e alle varie distribuzioni. Oltre al codice
binario viene diffuso anche il codice sorgente presso il pubblico di utentiprogrammatori che possono, così, non solo utilizzare il software, ma copiarlo,
modificarlo e ridistribuirlo240. Il software libero si distingue per il particolare regime
238
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
NELSON B., Data Sharing Empty Archives, 461 Nature, 160, (2009).
240
L’idea del software libero è inevitabilmente collegate ad un nome: Richard Stallman. Egli
mise a punto il progetto GNU nel settembre del 1983: si trattava della creazione del sistema operativo
GNU compatibile con Unix, un altro software esistente divenuto il simbolo delle inefficienze associate
alle restrizioni di tipo proprietario. L’idea vincente di Stallman fu quella di creare una licenza (copyleft,
“all rights reversed”) che concedesse più potere all’utente del software piuttosto che al suo proprietario.
Sulle origini del movimento open source si vedano STALLMAN R., Software Libero Pensiero Libero,
Viterbo, Nuovi Equilibri, 2004; HOPE J., Open source genetics. Conceptual framework, in VAN OVERWALLE
G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models
and liability regimes, cit., 171; ALIPRANDI S., Copyleft & opencontent. L’altra faccia del copyright,
disponibile on line su http://www.copyleft-italia.it/libri/Aliprandi-copyleft.pdf; BISI S., DI COCCO C., Open
source e proprietà intellettuale. Fondamenti filosofici, tecnologie informatiche e gestione dei diritti,
Bologna, Gedit, 2008; CASO R., Le licenze software, in PASCUZZI G. (a cura di), Pacta sunt servanda.
Giornale didattico e selezione di giurisprudenza sul diritto dei contratti, Bologna, Zanichelli, 2006;
ROSSATO A., Le ragioni del libero accesso, in ZICCARDI G. (a cura di), Nuove tecnologie e diritti di libertà
nelle teorie nordamericane: open access, creative commons, software libero, DRM, terrorismo, contenuti
239
105
giuridico di circolazione che ne consente il progressivo sviluppo. Esso assicura
all’utente, secondo il manifesto delle General Public License (GPL), le quattro “libertà
fondamentali” di usare il programma per qualsiasi scopo, di studiare come funziona e
adattarlo alle proprie necessità, di distribuire copie, di migliorare il programma e di
distribuire pubblicamente i miglioramenti. Tali licenze, però, obbligano il licenziatario a
concedere le stesse facoltà di cui gode ai suoi aventi causa. L’idea di Richard Stallman,
fondatore di questo movimento, circumnaviga, quindi, la tentazione di qualsiasi fruitore
del software licenziato GNU GPL di distribuire il programma da lui modificato con una
licenza di tipo proprietario241.
Tradotto nel campo della biomedicina, la filosofia dell’open source si trasforma nell’
“open source biotechnology” ovvero nell’ “open science”242. Secondo tale
interpretazione i dati ed i risultati di una ricerca dovrebbero ricadere nel pubblico
dominio, ma solo a certe condizioni come, ad esempio, la rinuncia da parte dei fruitori e
degli utenti ad un esercizio “unfair” dei diritti di proprietà intellettuale, tale cioè da
escludere
altri
soggetti
dall’accesso
al
database.
I
partecipanti,
dunque,
acconsentirebbero a concedere licenze o ad esercitare i loro diritti in modo da rendere
disponibili le invenzioni ed i possibili miglioramenti243. In quest’ipotesi, il detentore del
brevetto dovrebbe concederlo in licenza con una clausola virale, un clausola in grado di
generati dagli utenti, copyright, Modena, Mucchi, 2007, 51.
241
La licenza proprietaria è il modello tradizionalmente utilizzato dalle case produttrici di
software: la licenza viene concessa dietro pagamento di un prezzo, permette l’utilizzo di un determinato
software e specifica le regole per l’attribuzione, la possibilità di modifica, di utilizzo per scopi
commerciali o di ricerca, etc. Le licenze di tipo proprietario si caratterizzano per il divieto di
distribuzione, copia, modifica ed integrazione del software. Per un approfondimento cfr PASCUZZI G., Il
diritto dell’era digitale: tecnologie informatiche e regole privatistiche, Bologna, Il mulino, 2008; CASO
R., Digital Rights Management –Il commercio delle informazioni digitali tra contratto e diritto d’autore,
Padova, CEDAM, 2004; Digital Rights Management: problemi teorici e prospettive applicative, atti del
convegno tenuto presso la Facoltà di giurisprudenza di Trento il 21 ed il 22 marzo 2007, a c. di Roberto
Caso, Trento, Università di Trento. Dipartimento di scienze giuridiche, 2008; DE SANCTIS V.M., FABIANI
M., I contratti di diritto d’autore, in CICU A., MESSINEO F., eds. Trattato di diritto civile e commerciale,
cit.; MUSTI B., Il contratto di «licenza d’uso» del software, in Contratto e Impresa, 1289 (1998); PICARO
R., Contratti ad oggetto informatico, in Diritto dei consumatori e nuove tecnologie, a c. di F. Bocchini, I,
Torino, Giappichelli, 2003; ROSSATO A., Diritto e architettura nello spazio digitale. Il ruolo del software
libero, Padova, CEDAM, 2006.
242
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
243
Ibidem. Sull’adozione del modello open source per le biotecnologie si veda inoltre HOPE J.,
Biobazaar: The Open Source Revolution and Biotechnology, London, Harvard University Press, 2008;
ID., Open source genetics. Conceptual framework, in OVERWALLE G., Gene patents and collaborative
licensing models: patent pools, clearinghouses, open source models and liability regimes, cit., 171;
BERTHELS N., Case 8. CAMBIA’s Biological Open Source initiative (BiOS), in Ibid., 194; KILIAN A., Case
9. Diversity Arrays Tachnology Pty Ltd (DArT). Applying the open source philosophy in agriculture, in
Ibid., 204; TAUBMAN A.S., Several kind of ‘should’. The ethics of open source in life science innovation, in
Ibid., 219. Contra RAI A.K., Critical commentary on ‘open source’ in the life sciences, in Ibid., 213.
106
proteggere le suddette invenzioni e miglioramenti futuri dai possibili tentativi di
appropriazione da parte, ad esempio, dei concorrenti commerciali.. E’ quanto già
avviato dalla Cambia’s BIOS, un istituto di ricerca no-profit australiano che ha esteso
questo modello anche ai campioni biologici244. In base a questa iniziativa coloro che
utilizzano il BiOS ‘concordance’ si impegnano a non rivendicare diritti di proprietà
intellettuale contro l’uso della tecnologia da parte di altri soggetti per fini di ricerca o
per sviluppare nuovi prodotti, anche a scopo di lucro. Di conseguenza, i miglioramenti
apportati ad un determinata tecnologia devono essere condivisi secondo una licenza
virale BiOs, mentre i prodotti e le invenzioni sviluppate a partire dalla stessa possono
essere brevettati. In quest’ultima ipotesi, però, i miglioramenti brevettati devono
ritornare (clausola di grant back) alla BiOS e agli altri licenziatari alle medesime
condizioni di open source245.
Negli Stati Uniti sono state promosse una serie di iniziative, a livello governativo e
federale, per portare la logica dell’open source nelle biotecnologie, sulla scorta di alcuni
importanti documenti internazionali come il Bermuda Statement (1996)246 ed il Fort
Lauderdale Agreement (2003)247, gli organismi e gli enti finanziati con fondi federali
stanno spingendo i ricercatori affinché depositino i dati genetici raccolti in repositories
centralizzati ed accessibili liberamente248.
244
L’ambizioso progetto fondato una quindicina di anni fa dal biologo molecolare Richard
Jefferson, non solo si preoccupa di sviluppare nuove risorse biotecnologiche, ma è anche una struttura
pioniera costruita per favorire un “fair access” agli strumenti dell’innovazione. Attraverso internet ed i
mezzi open source BiOS si propone di raggiungere i suoi obiettivi su tre fronti con tre diverse iniziative:
trasparenza sui diritti di proprietà intellettuale attraverso Patent Lens, sviluppo di una tecnologia open
access tramite BioForge, riforma strutturale del sistema dell’innovazione con le BiOs Licenses. Cfr
BERTHELS N., Case 8. CAMBIA’s Biological Open Source initiative (BiOS), cit., 194.
245
Ibid., 199. Il modello della CAMBIA’s BiOS è stato oggetto di critiche in quanto non sarebbe
interamente ispirato alla logica pura dell’open source. Come sostenuto in HOPE J., Open source genetics.
Conceptual framework, cit., 191-192.
246
Il documento contiene un insieme di principi finalizzati alla promozione della condivisione
all’interno della comunità scientifica dei dati e delle sequenze annotate del genoma umano. Cfr EDWARDS
A.M., Bermuda Principles meet structural biology, Nature Structural and Molecular Biology, 15, 116
(2008).
247
Si tratta, nello specifico, di linee guida per favorire un accesso ed un uso “fair”
rispettivamente dei databases genetici e dei dati in essi contenuti.
248
Come notato dalla prof.ssa Donna Gitter, questa tendenza coinvolge maggiormente la cd.
“big science” in cui le government science agencies raccolgono collezioni di dati e campioni e le
organizzano in databases resi pubblici e messi a disposizione della comunità scientifica internazionale: è
il caso dell’International HapMap Project e dello Human Genome Project. Al contrario, la “small
science”, ossia la ricerca condotta da operatori indipendenti o da piccoli ed autonomi gruppi di ricerca o
mediante programmi organizzati di ricerca ma non finanziati a livello federale, non sono influenzati dalle
regole dell’open access e dello sharing basandosi, invece, su uno scambio informale di dati e campioni.
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
107
Una biobanca open source potrebbe costituire una soluzione efficiente in grado di
garantire il data sharing ed al contempo preservare i diritti dei ricercatori sotto il profilo
dell’attribution, così come ideato per i Creative Commons 249. Un’idea del genere se
applicata al contesto della speculazione scientifica, riconoscerebbe il giusto merito al
ricercatore, la cui produttività sarebbe dimostrabile ai potenziali finanziatori grazie
all’adozione, ad esempio, di un sistema che permetta alle Università e agli organismi a
vario titolo coinvolti di tracciare il numero di accessi e, quindi, il valore e l’utilità di
determinati dati di una ricerca250.
Un meccanismo analogo è stato proposto dalla prof.ssa Anne Cambon-Thomsen per
misurare l’utilità di una biobanca, con la creazione di un BIF (Biobank Impact Factor),
ottenuto sulla falsa riga del citation impact factor. Tale strumento permetterebbe di
quantificare l’uso di una biobanca, visionare il numero di accessi, calcolare la misura e
l’impatto della ricerca ottenuta grazie al suo database e riconoscere così il merito a
coloro che hanno creato e mantenuto una risorsa valida251.
Inoltre, una biobanca open source non comporterebbe costi aggiuntivi e la sua
natura aperta sarebbe garantita dalla licenza virale.
L’adozione di un simile approccio, però, non scioglie alcune questioni nodali come
il coinvolgimento (se ed in quale misura) del settore privato negli eventuali sviluppi
commerciali, la proprietà del materiale e dei dati e il beneficio per i partecipanti alla
ricerca. Inoltre, un’impostazione del genere sembra trascurare gli esosi costi della
proprietà intellettuale (nella versione del brevetto, il cui deposito necessita ingenti
investimenti), gli enormi costi di innovazione nel settore biomedico e gli effetti che
deriverebbero dall’adozione di differenti licenze open source252.
Il trapianto dell’open source nel campo della biotecnologia avrebbe, dunque, un alto
rischio di rigetto253. Nato nella hacker community, l’open source è una cultura dello
sharing che risponde ad esigenze diverse rispetto a quelle degli attori del mondo
biotech. Le industrie farmaceutiche puntano a depositare brevetti e concedere licenze il
249
Creative Commons (CC) è una charitable corporation che promuove la condivisione e la
circolazione della conoscenza nel rispetto delle norme sul diritto d’autore. Anche se offre modelli
standardizzati, le sue licenze modulari (attribuzione, non commerciale, non opere derivate, condividi allo
stesso modo) e le loro combinazioni riescono a garantire una certa flessibilità. Fonte:
http://creativecommons.org/, ultima visita: 24 agosto 2010.
250
GITTER D., The Challenges of Achieving Open Source Sharing of Biobank Data, cit.
251
CAMBON-THOMSEN A., Assesing the Impact of Biobanks, 34 Nature Genetics, 25 (2006).
252
GOLD R., Models for Sharing, Biobank Lab, Università di Trento, 13 maggio 2010.
253
Ibidem.
108
più possibile lucrative ed i ricercatori, che investono il proprio know-how e mettono in
gioco la propria reputazione254. Inoltre, se ottenere il copyright è gratuito e conferisce un
diritto sull’opera per tutta la vita dell’autore più, a seconda degli ordinamenti, ulteriori
cinquanta o settanta anni, altrettanto non può dirsi per il brevetto: per sviluppare un
nuovo farmaco od un nuovo metodo diagnostico sono necessari tempo, fondi,
infrastrutture, personale altamente specializzato e occorre conformarsi alla normativa
vigente, che nella maggior parte dei casi costituisce una voce significativa di spesa255.
L’open source, dunque, potrebbe non garantire i giusti incentivi per effettive
ricerche collaborative.
5.2 Protocolli Open Access
E’ stata allora avanzata l’ipotesi di utilizzare protocolli open access, soprattutto nel
campo della ricerca bio-chimica. La logica dell’open access, al contrario di quella open
source, ha alla base una peculiare concezione della proprietà intellettuale: i dati e le
informazioni sono di pubblico dominio ed ogni utente è libero di utilizzarle, modificarle
ed apportarvi miglioramenti. A differenza del modello open source, però, il fruitore non
è a sua volta forzato a condividere i propri risultati. Dunque, eventuali limitazioni ai
diritti di proprietà intellettuale potrebbero, semmai, essere imposte tramite lo strumento
contrattuale o le norme sociali.
Science Commons, come già si è avuto modo di vedere, ha messo a disposizione
alcuni protocolli per la circolazione e la diffusione dei dati scientifici256. Un’iniziativa
lanciata nel 2008 dallo Zurich Center for Medical Research e l’Institute of Integrative
Molecular Medicine dell’Università di Zurigo ha provato a mettere in pratica questo
modello: lo SciClyc (www.sciclyc.com) è un dabatase di materiali biologici online che
permette ai ricercatori (accreditati presso industrie biomediche o Università) di
collezionare e condividere dati relativi a protocolli, pubblicazioni, colture cellulari,
biopsie, reagenti, software, anticorpi, etc.; è, dunque, una piattaforma open-access per
254
GOLD R., Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing, cit.
Ibidem.
256
Si veda in proposito: http://sciencecommons.org/projects/publishing/open-access-dataprotocol/, ultima visita: 24 agosto 2010.
255
109
l’organizzazione, la gestione e la condivisione di materiali di ricerca che si fonda sulle
collaborazioni definite dall’utente attraverso dispositivi mobili, come personal computer
o telefoni cellulari.
Una soluzione del genere avrebbe l’indiscutibile vantaggio di contenere al minimo i
costi di transazione, permettere un’adeguata flessibilità e rendere possibile
l’aggregazione dei dati. Tuttavia, questi protocolli non impediscono la brevettabilità di
un’invenzione ottenuta a partire da quei dati e non sembrano offrire incentivi evidenti257.
5.3 Open Access Governance
Sulla scorta degli studi del professore - nonché direttore esecutivo del Center for
Open Innovation dell’Università di Berkley - Henry Chesbrough, lo spettro delle
alternative dovrebbe essere esteso e portato oltre il tradizionale modello “verticale” di
interazione tra una singola azienda ed un’istituzione di ricerca, come l’Università o la
biobanca. La sua idea di “open innovation” prende le mosse proprio dalla
considerazione per cui gli ideali confini delle società commerciali dovrebbero essere
dotati delle cd. porte “va e vieni”, capaci cioè di permettere l’afflusso ed il deflusso
delle conoscenze e dei brevetti258.
Quest’impostazione è stata ulteriormente implementata dai recenti lavori di Johan
Weightel, direttore associato dello Structural Genomics Consortium (SGC)259, e dal dr.
Aled M. Edwards260, che vedono nell’ “osmosi” tra il settore pubblico e privato e
nell’adozione di strutture open access le migliori premesse per supportare la drug
discovery.
257
GOLD R., Models for Sharing, cit.
CHESBROUGH H., Open Innovation: The New Imperative for Creating and Profiting from
Technology, Boston, Harvard Business School Press, 2003,2. Si vedano inoltre, ID., The Era of Open
Innovation, Sloan Management Review, 44, 3, 35(2003); ID., Open Innovation: How Companies Actually
Do It, Harvard Business Review, 81, 7, 12 (2003); ID., Open Platform Innovation: Creating Value from
Internal and External Innovation, Intel Technology Journal, 7, 3, 5(2003); ID., Managing Open
Innovation: Chess and Poker, Research Technology Management, 47, 1, 23 (2004); CHESBROUGH H.,
VANHAVERBEKE W., WEST J. (eds.), Open Innovation: Researching a New Paradigm, Oxford, Oxford
University Press, 2006.
259
WEIGELT J., The case for open-access chemical biology, 10 EMBO reports, 9, 941 (2009).
260
EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical
probes to support drug discovery, 5 Nature Chemical Biology, 7, 436 (2009).
258
110
Questa strategia, ribattezzata da Richard Gold «open access governance» 261, si basa,
su protocolli open access ma, in aggiunta, si fonda anche su strutture di governance e
strumenti legali. La forza della biobanca, infatti, sarebbe alimentata non tanto dallo
sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale, quanto piuttosto dai contratti e dalle
norme sociali, quali quelle proprie della comunità scientifica. Un modello del genere, a
differenza di una biobanca open source, sarebbe inoltre meno condizionato da eventuali
licenze precedenti262.
Il contesto da cui trae origine il modello open access governance è quello della
ricerca biochimica. In questo settore è particolarmente sentita la frustrazione di non
poter accedere liberamente ai cd. “chemical probes”, sofisticati composti chimici, creati
in laboratorio da personale altamente specializzato, che consentono al ricercatore di
simulare in vitro le interazioni di una singola proteina in un contesto biologico più
ampio (cellule o organismi). Attorno questi reagenti si è venuto a creare un circolo
vizioso: le industrie dipendono dalle università per scoprire e validare nuovi target, ma
tale validazione è effettuata in maniera appropriata solo grazie alle chemical probes,
realizzati dalle industrie263.
Questo nuovo tipo di partnership tra settore pubblico e privato è stato adottato dallo
Structural Genomics Consortium (SGC), un’organizzazione no-profit fondata nel 2004
con lo scopo di promuovere lo sviluppo di nuovi farmaci potenziando la ricerca di base
e rilasciando al pubblico dominio ogni tipologia di informazione, dai reagenti al knowhow264. L’obiettivo primario dell’SGC è quello di determinare la struttura
tridimensionale e ad alta risoluzione di alcune proteine, così da capire i meccanismi
molecolari della loro funzione biologica265. I dati così ottenuti vengono inseriti nella
261
Come presentata nel suo intervento “Beyond Open Source: Patents, Biobanks and Sharing”
tenuto in occasione della già citata Conferenza internazionale svoltasi a Trento lo scorso maggio 2010.
262
Ibidem.
263
EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical
probes to support drug discovery, cit., 437.
264
http://www.thesgc.org/, ultima visita: 24 agosto 2010. Il consorzio, che include i laboratori
dell’Università di Oxford, dell’Università di Toronto e del Karolinska Insitutet di Stoccolma, è composto
da 11 membri: il Wellcome Trust, il Canadian Institute of Health Research, la Canadian Foundation for
Innovation, Genome Canada, l’Ontario Genomics Institute, l’Ontario Ministry of Research and
Innovation, Novartis, Merck, GlaxoSmithKline, la Vinnova Swedish Agency for Innovation, la Swedish
Foundation for Strategic Research e la Knut and Alice Wallenberg Foundation.
265
La SGC sta espandendo il proprio progetto fino a ricomprendere lo sviluppo di sonde per la
ricerca epigenetica, quella branca della biologia molecolare che studia le modifiche ereditarie nella
funzione del genoma, e ad estendere la logica open access anche alle sperimentazioni cliniche.
111
Protein Data Bank (PDB), un archivio liberamente accessibile che dal 1971 raccoglie
informazioni sulle strutture 3D di molecole grosse, comprese proteine e acidi nucleici266.
Il modello organizzativo garantisce ai finanziatori il diritto di indicare le priorità
nella Target List, di nominare un membro del Comitato Scientifico e del Board of
Directors e di assumere i ricercatori all’interno dei laboratori SGC con accordi di
confidenzialità (confidentiality agreement), ma non offre alcuna precedenza
nell’accesso ai dati, all’attività di ricerca o ai suoi risultati.
La caratteristica saliente della policy dell’SGC prevede che il consorzio ed i
ricercatori che ne fanno parte devono rilasciare i propri prodotti (materiali e know how)
in pubblico dominio, senza apporre alcun tipo di restrizione. Di conseguenza, l’SGC ed
i suoi collaboratori si astengono dal richiedere la protezione brevettuale su qualsiasi
risultato derivante dalla ricerca (vedi Figura 1).
Fig.1 Modello del consorzio open access, tratto da WEIGELT J., The case for open-access chemical
biology, 10 EMBO reports, 9, 941:944 (2009).
Questa enunciazione di principio si esplica in una serie di regole operazionali che si
sostanziano nel rifiuto di entrare in progetti di ricerca in cui si ottengano brevetti che
limitino od impediscano ricerche successive (ricerca competitiva), nella rinuncia
all’attribuzione della paternità dell’invenzione, nella messa a disposizione dei risultati a
266
http://www.pdb.org/pdb/home/home.do, ultima visita: 24 agosto 2010.
112
favore della collettività, nel dovere di comunicare tempestivamente i dati ottenuti e di
inserirli in archivi digitali liberi e accessibili nel rispetto delle norme applicabili in tema
di riservatezza, nella garanzia che i dati, dopo la loro disclosure, rimarranno a
disposizione della collettività ed i materiali saranno resi accessibili a costi
ragionevoli267.
6. Conclusioni
E’ oramai chiaro che le biobanche stanno acquisendo un ruolo strategico nel
panorama scientifico internazionale. Tali biorepositories contengono una massa critica
di informazioni fondamentali in ambito clinico e farmacologico che deve essere
utilizzata in maniera lungimirante ed economicamente efficiente. Rebus sic stantibus, un
sistema rigido di protezione dei diritti di proprietà intellettuale delle invenzioni, che
possono essere realizzate sui campioni biologici, rischia di imbrigliare la ricerca.
Scienziati e ricercatori sono ostacolati nell’accesso al materiale di ricerca quando esso è
incorporato in una proprietà fisica, controllata e non facilmente duplicabile (com’è il
caso del campione biologico). In tal senso, la paura di infrangere un brevetto esistente e
l’alto costo per ottenere una licenza costituiscono due fattori paralizzanti268.
È, dunque, necessario ripensare il sistema di proprietà intellettuale? Come
promuovere e realizzare quell’“encouragment of learning” che i Padri Fondatori
avevano ben espresso nella IP clause della Carta costituzionale americana? In che modo
riuscire a coniugare le opposte esigenze dell’avanzamento tecnologico e degli incentivi
alle industrie per investire nella ricerca, nella circolazione della conoscenza nella
comunità scientifica e nel “benefit sharing” a favore dell’intera collettività?
Il professore Gideon Parchomosvsky durante il convegno “Comparative issues
in the governance of research biobanks: property, privacy, intellectual property and the
role of technology”, tenutosi presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di
Trento lo scorso 7 e 8 maggio 2010, ha proposto un innovativo modello che ispirandosi ai principi della ricerca collaborativa, della condivisione di dati ed
267
GOLD R., Models for Sharing, cit.
LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting: implications of intellectual property
protection for biological research, cit., 36.
268
113
informazioni, della predisposizione di un contesto sufficientemente flessibile da
permettere la partecipazione delle società e la commercializzazione delle applicazioni
ed, infine, della minimizzazione dei costi di transazione – combina in maniera originale
governance e strutture proprietarie.
La sua proposta è quella di affidare la gestione dei campioni biologici e dei dati
ad un consorzio di Università e di enti di ricerca non-profit. Le regole di governance
dovrebbero predisporre un modello che faciliti l’accesso delle società commerciali ai
dati e ai campioni a fini di ricerca (naturalmente le società dovrebbero conformarsi agli
standard imposti da tale consorzio).
Secondo Parchomosvsky, infatti, proprio le Università e gli enti di ricerca si
troverebbero nella situazione ottimale per interpretare e realizzare all’interno delle
biobanche gli interessi pubblici. In questo modello, il consorzio dovrebbe concentrarsi
sulla ricerca di base, finanziata attraverso sovvenzioni pubbliche. Mentre, le
applicazioni industriali, alle quali tradizionalmente le Università sono meno interessate,
potrebbero essere incoraggiate mediante specifici incentivi per le imprese private.
Come realizzare questi incentivi? Parchomosvsky offre una soluzione
introducendo due nuovi concetti, appositamente pensati per le biobanche, in grado di
assicurare l’allocazione ottimale per i diritti di proprietà intellettuale: i quasi-patent ed i
semi-patent.
Entrambi queste creazioni offrirebbero una protezione più limitata rispetto al
brevetto tradizionale. Il quasi-patent costituirebbe una forma di proprietà intellettuale
che assicura una protezione solo nei confronti dei concorrenti. Anche se il brevetto
tradizionale garantisce al suo detentore un diritto assoluto di esclusiva e fornisce una
garanzia erga omnes, il quasi-patent dà al titolare del brevetto un potere di azione solo
nei confronti dei concorrenti che utilizzano l’invenzione senza permesso. Tale rimedio,
però, non potrebbe essere concesso nei confronti di altri enti, quali associazioni noprofit o Università.
Il semi-patent, invece, è più simile nello scopo al brevetto comunemente inteso.
La protezione che esso offre è condizionata all’esplicito consenso del titolare del
brevetto alla pubblicazione di tutti i risultati e delle informazioni derivanti dalla sua
ricerca. Qui è, dunque, presente il requisito aggiuntivo dell’obbligo di condividere
l’informazione.
Secondo
Parchomosvsky,
tali
concetti
potrebbero
essere
114
immediatamente inseriti nel contesto delle biobanca attraverso la negoziazione di
apposite licenze. Le industrie e le società interessate all’utilizzo dei campioni biologici
stoccati nelle biobanche vedrebbero limitato il proprio diritto ad ottenere un brevetto
pieno e dovrebbero optare per un quasi-patent od un semi-patent.
Questa teorizzazione, secondo il suo autore, potrebbe risolvere le tensioni tra il
bisogno dei ricercatori di accedere ai dati, la necessità di una gestione attenta dei tessuti
umani e le importanti prospettive di commercializzazione offerte dai brevetti. La breve
esperienza delle biobanca ha finora dimostrato che queste differenti tendenze non hanno
trovato una conciliazione attraverso i tradizionali modelli proprietari.
L’affascinante argomentazione che combina governance della biobanca e
proprietà, alla ricerca di una posizione intermedia, vuole fornire una possibile soluzione
alla questione dell’allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nelle biobanche.
Tuttavia, la tesi lascia aperti parecchi interrogativi che necessitano un’indagine
approfondita. Intervenire esclusivamente sulle strutture della proprietà intellettuale,
quali i brevetti, potrebbe ridurre la flessibilità o limitare gli interessi nel settore. Il
brevetto, infatti, conferendo un monopolio di vent’anni, fornisce alle società
commerciali quegli incentivi necessari per investire nella ricerca: in assenza della
protezione data dal brevetto, tali società non potrebbero recuperare i costi sostenuti269.
Piuttosto che intervenire sul brevetto in quanto tale si potrebbe allora agire sul
patenting270. È quello che, del resto, già accade con le compulsory licenses negli USA,
in Francia, in Canada ed in Israele. Tali strumenti permettono al governo di concedere
in licenza ad una compagnia, ad un’agenzia governativa o a terzi il diritto di utilizzare
un brevetto senza il consenso del titolare, che, in questi casi riceve solo una
compensazione. Tutto ciò viene effettuato quando la risorsa farmaceutica in questione
non è disponibile in quantità o qualità sufficiente presso il pubblico ovvero è distribuita
ad un prezzo elevato271.
A livello internazionale sono stati proposti ulteriori strumenti legali per facilitare
l’accesso alle risorse. In particolare, è opportuno ricordare:
269
Addirittura il brevetto di per se non offrirebbe incentivi sufficienti ad investire nella ricerca,
come provocatoriamente affermato da Pier Franco Conte, Direttore del Dipartimento di Oncologia
dell’Università di Modena e Reggio Emilia: «Meglio scrivere una canzone che brevettare un farmaco».
270
Come sembra suggerire l’articolo di LEI Z., JUNEJA R., WRIGHT B.D., Patents versus patenting:
implications of intellectual property protection for biological research, 27 Nature Biotechnology, 1, 36
(2009).
115
– la Cross license. Si tratta di un contratto tra due o più soggetti in cui ciascuna parte
concede all’altra dei diritti sulla propria invenzione coperta da proprietà intellettuale. È
un vero e proprio scambio che si ha soltanto quando due società sono detentrici di
brevetti utili ed indispensabili per sviluppare la medesima tecnologia. Questa soluzione
dovrebbe portare alla conclusione di un accordo perfettamente calzante alla volontà
delle parti. Di contro, un simile contratto comporterebbe dei costi di transazione
notevoli.
– i Patent pools. Tale strumento prevede la creazione di un consorzio di almeno due
società che si accordano per scambiarsi licenze brevettuali, in riferimento ad una
particolare tecnologia, per creare delle risorse che siano di beneficio collettivo. Esempi
di questa tecnologia li abbiamo soprattutto nel settore informatico (si pensi ai formati
video MPEG-2 ed audio Mp3). Il “lato oscuro”, in questo caso, è costituito dal fatto che
per creare una collaborazione effettiva tali patent pools devono trovarsi su una
piattaforma tecnologica ben definita: una condizione, questa, che manca nel campo
delle biotecnologie.
Un ulteriore rischio è che i detentori dei brevetti abbiano bisogno di accedere ad
altre invenzioni al di fuori del loro consorzio (inclusi anche altri patent pools),
riproponendo, dunque, il problema iniziale272. Non solo. I patent pools presentano
problemi di accesso e di antitrust. Il rischio è che si venga a creare una situazione di
monopolio o supremazia nel mercato di riferimento che faccia aumentare il prezzo del
271
La compulsory license è stata, però, oggetto di critiche soprattutto da parte delle industrie al
farmaceutiche, in quanto scoraggerebbe gli investimenti nel settore.
272
Cfr VERBEURE B., Patent Pooling for gene-based diagnostic testing. Conceptual framework, in
OVERWALLE G., Gene patents and collaborative licensing models: patent pools, clearinghouses, open
source models and liability regimes, cit., 3; HORN L.A., Case 1. The MPEG LA® Licensing Model. What
problem does it solve in biopharma and genetics?, in Ibid., 33; CORREA C.E., Case 2. The SARS case. IP
fragmentation and patent pools, in Ibid., 42; GOLDSTEIN J.A., Critical analysis of patentpools, in Ibid., 50;
AOKI R., NAGAOKA S., The consortium standard and patent pools, 55 The Economic Review, 345 (2004);
CLARK J., PICCOLO J., STANTON B., TYSON K., Patent pools: a solution to the problem of access in
biotechnology patents?, in White Paper commissioned by Q. Todd Dickinson, the Under Secretary of
Commerce for IP and Director of US Patent and Trademark Office, 2000; GRASSLER F., CAPRIA M.A.,
Patent Pooling: uncorking a technology transfer bottleneck and creating value in the biomedical
research field, 9 Journal of Commercial Biotechnology, 2, 111 (2003); MERGES R., Institutions for
intellectual property transactions: the case of patent pools, in DREYFUSS R., ZIMMERMAN D.L., FIRST H.,
(eds), Expanding the Boundaries of Intellectual Property, Oxford University Press, 2001; VERBEURE B.,
VAN ZIMMEREN E., MATTHIJS G., VAN OVERWALLE G., Patent pools and diagnostic testing, 24 Trends in
Biotechnology, 3, 115 (2006).
116
prodotto elaborato. Inoltre, nel caso di condivisione di brevetti futuri, il pool ridurrebbe
la possibilità che i membri investano maggiormente in ricerca e sviluppo273.
- Clearinghouse model. La clearing house è un organismo che riunisce richiedenti e
fornitori di beni, servizi o informazioni, preoccupandosi di coniugare domanda e offerta.
E’ un ente terzo che agevola la contrattazione: amministra i diritti dei detentori del
brevetto, e negozia un set of rights che permettano ad altri ricercatori di utilizzare quel
brevetto. La patent clearinghouse metterebbe a disposizione di tutti gli utenti una
determinata tecnologia ed essi pagherebbero soltanto per il brevetto che richiedono. Le
tasse per l’utilizzazione di quel brevetto sarebbero stabilite in maniera equa ed i costi di
transazione sarebbero minimi274.
I diritti di proprietà intellettuale, quindi, non andrebbero demonizzati in toto. Il
monopolio garantito dal brevetto è ancora una molla capace di mettere in moto gli
investimenti nella ricerca e di catalizzare i finanziamenti dei colossi industriali; mentre
le esternalità negative sulla collettività potrebbero essere mitigate da meccanismi come
quelli appena illustrati.
Bisogna, dunque, interrogarsi sul possibile ruolo della biobanca in questo
contesto. Il modello open source e la governance open access finora esaminate sono
indubbiamente prospettive affascinanti e costituiscono alternative che vale la pena
indagare. Ma la soluzione, forse, potrebbe essere persino più semplice.
La biobanca dovrebbe acquisire la consapevolezza del proprio valore e, di
conseguenza, del proprio potere contrattuale. La professionalità nella raccolta dei
campioni, la garanzia di qualità del materiale e soprattutto la possibilità di fornire dati di
follow-up costituiscono i suoi punti di forza che la rendono una risorsa inestimabile per
il ricercatore. Lo strumento per operare il trasferimento dei materiali potrebbe essere il
273
Come prospettato nella Scheda Tecnica. I pool di brevetti negli Stati Uniti, stilata
dall’IPRDESK dell’Ufficio ICE di New York, del giugno 2009, reperibile all’indirizzo
http://www.mincomes.it/ipr_desk/america/newyork/altri_documenti/Scheda%20tecnica%20sul%20Pool
%20di%20brevetti%20negli%20USA%20%282%29.pdf, ultima visita: 24 agosto 2010.
274
Per un’analisi più approfondita si rimanda a VAN ZIMMEREN E., Clearinghouse mechanism in
genetic diagnostic. Conceptual framework, in Ibid., 63; EDWARDS J.L., Case 3. The Global Biodiversity
Information Facility (GBIF). An example of information clearinghouse, in Ibid., 120; VAN ZIMMEREN E.,
AVAU D., Case 4. BirchBob. An example of technology exchange clearinghouse, in Ibid., 125; BENNETT
A.B., BOETTIGER S., Case 5. The Public Intellectual Property Resource for Agriculture (PIPRA). A
standard license public sector clearinghouse for agricultural IP, in Ibid., 135; NGUYEN T., Case 6. The
Science Commons Material Transfer Agreement Project. A standard license clearinghouse?, in Ibid.,
143; CORBET J., Case 7. The collective management of copyright and neighbouring rights. An example of
royalty collection clearinghouse, in Ibid., 151; SPENCE M., Comment on the conceptual framework for a
clearinghouse mechanism, in Ibid., 161.
117
tanto criticato MTA. Non è il contratto a costituire la fonte del problema. Dovrebbero
essere snellite le procedure per ottenere il trasferimento del materiale attraverso la
predisposizione di regole a livello statutario. La biobanca dovrebbe indicare l’organo
deputato a esaminare i protocolli di ricerca (in genere il Comitato Etico) ed imporre alla
procedura un iter cadenzato per evitare ritardi. Dovrebbe stabilire, se del caso, eventuali
criteri per definire priorità o precedenze nell’accesso ai materiali biologici ed una griglia
di requisiti preordinati per determinare agevolmente la validità del progetti di ricerca.
Per evitare il pericoloso fenomeno del “biobank shopping”, ossia la scelta della
biobanca che offra le condizioni di trasferimento meno gravose, occorrerebbe
l’uniformazione dei MTA ad un core di principi stabiliti a livello sovranazionale da
organizzazioni o network come EuroBioBank o Biobanking and Biomolecular
Resources Research Infrastructure (BBMRI).
Inoltre, sarebbe perfettamente coerente con l’idea originaria di bailment che
prevede la restituzione del bene al bailor, inserire nell’MTA una clausola di grant back:
i ricercatori sono nella posizione ottimale per arricchire il patrimonio informazionale
della biobanca e per facilitare gli sviluppi futuri della ricerca fornendo dati (screening
genetici o analisi del campione) alla collezione contenuta nel biorepository. Come
sostenuto da Andrea Boggio, graverebbe sul ricercatore una vera e propria obbligazione
di condividere con la biobanca tutti i risultati della ricerca ed i dati prodotti da ogni
campione275.
La dimensione materiale del tessuto, del resto, è destinata a scomparire, ma ad
essa sopravviverà quella informazionale: la biobanca, potrebbe stoccare le informazioni
pre-competitive granted back dai ricercatori e condividerle. Come è stato dimostrato, è
preferibile che questo genere di dati di natura pre-competitiva rimangano “common” e
liberamente fruibili all’interno della comunità dei ricercatori, non solo dal punto di vista
etico/virtuoso come direbbe il prof. David Lametti, ma anche da punto di vista
economico276. Si è visto come paradossalmente, a causa degli alti costi e del rischio di
duplicazione della ricerca, alle imprese conviene condividere queste informazioni di
275
BOGGIO A., Transfer of Samples and Sharing of Results: Requirements Imposed on
Researchers, cit.
276
Cfr LAMETTI D., The (Virtue) Ethics of Private Property: A Framework & Implications, in
HUDSON A. (ed.), New Perspectives on Property Law, Obligations and Restitution, London, Cavendish
Press, 2003, 39; ID., The Concept of Property: Relations through Objects of Social Wealth, 53 University
of Toronto Law Journal 325 (2003).
118
base con i propri concorrenti piuttosto che ottenerle ex novo in maniera autonoma277.
Questo genere di dati, inoltre, sono tra i più articolati e costosi da ricavare 278. Mettendoli
a disposizione, la biobanca diventerebbe una risorsa strategica fornendo quegli
strumenti capaci di accelerare la validazione preclinica del target e di prevenire il
dispendioso fenomeno della duplicazione delle ricerche. Le informazioni dovrebbero
essere condivise in maniera corretta e leale con l’istituto della biobanca, così da
permettere un’effettiva verifica dell’indagine e la correttezza dei dati279.
Lasciando libero il ricercatore o l’industria per cui lavora di brevettare
un’invenzione ottenuta grazie allo studio dei materiali forniti dalla biobanca, l’MTA
potrebbe ragionavolmente prevedere una clausola con cui il detentore del brevetto
accordi al biorepository una licenza di ricerca non esclusiva ed esente da royalties per
ciascuna invenzione.
La collaborazione, la peer review, le pubblicazione e lo scambio di informazioni
pre-competitive sono diventati i nuovi imperativi categorici dell’economia basata sulla
conoscenza ed il fattore determinante è rappresentato dalla digitalizzazione
dell’informazione: quest’ultima permette la condivisione dei dati, la possibilità di
modificarli o di compiere riferimenti incrociati. La conoscenza, in definitiva, può
circolare rapidamente ed essere implementata dall’apporto dei singoli, delle aziende e
delle istituzioni280.
La biobanca, dunque, avrebbe il potenziale per promuovere la ricerca,
l’innovazione ed il trasferimento tecnologico fungendo da connettore e catalizzatore tra
università, centri di ricerca, enti pubblici ed imprese private.
277
Vedi BARNES M.R., HARLAND L., FOORD S.M., HALL M.D., DIX I., THOMAS S., WILLIAMS-JONES
B.I., BROUWER C.R., Lowering industry firewalls: pre-competitive informatics initiatives in drug
discovery, Nature Rev. Drug Discovery, 8, 701 (2009); WEIGELT J., The case for open-access chemical
biology, cit. e EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical
probes to support drug discovery, cit.; WOOSLEY R.L., MYERS R.T., GOODSAID F., The Critical Path
Institute’s Approach to Precompetitive Sharing and Advancing Regulatory Science, Clinical
Pharmacology & Therapeutics, 87, 530 (2010); PERAKSLIS E.D., VAN DAM J., SZALMA S., How Informatics
Can Potentiate Precompetitive Open-Source Collaboration to Jump-Start Drug Discovery and
Development, Clinical Pharmacology & Therapeutics, 87, 614 (2010).
278
EDWARDS A.M., BOUNTRA C., KERR D.J., WILLSON T.M., Open access chemical and clinical
probes to support drug discovery, cit., 437.
279
Uno dei grandi problemi della condivisione dei dati e materiali nei sistemi open source è la
possibilità di perpetrare gli errori. La preoccupazione è espressa in EKINS S., WILLIAMS J.A.,
Precompetitive preclinical ADME/Tox data: set it free on the web to facilitate computational model
building and assist drug development. Tools and Resources, Lab Chip,10, 13 (2010).
280
Cfr TAPSCOTT D., WILLIAMS A.D., Wikinomics. La collaborazione di massa che sta cambiando
il mondo, Bergamo, Bur, 2010.
119
120
CAPITOLO IV
DUE MODELLI A CONFRONTO NEL PANORAMA EUROPEO DELLE BIOBANCHE DI RICERCA:
TRENTINO BIOBANK ED IL BIOBANCO VASCO PARA LA INVESTIGACIÓN O+EHUN.
UN’ANALISI SPERIMENTALE.
1. Le ragioni del confronto
Nel presente capitolo si procederà alla descrizione e all’analisi in chiave
comparatistica delle realtà istituzionali, operative e funzionali di due biobanche di
ricerca: la Trentino Biobank ed il Biobanco Vasco para la Investigación O+ehun. Alla
base di tale confronto non vi è solo l’opportunità di descrivere due scenari
d’avanguardia nell’ambito della ricerca medico-scientifica, ma anche la volontà di
condividere le esperienze e le informazioni acquisite durante una serie di incontri con
esponenti e personale operativo delle due biobanche in esame.
Tale comparazione nasce da un’analisi sperimentale, idealmente suddivisa in due
filoni, che ha avuto inizio nei primi mesi del 2010 con la visita presso la biobanca
trentina. Ad essa ha fatto seguito un breve periodo di ricerca presso la biobanca basca e
la Cátedra de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto (Bilbao), che ha
collaborato, curandone gli aspetti giuridici, con O+ehun. Si partirà dalla descrizione di
una realtà d’eccellenza italiana nell’ambito della raccolta e conservazione di tessuti e
sangue a fini di ricerca: la Trentino Biobank. Nata nel 2008, ha raggiunto traguardi
importanti grazie al supporto della locale Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari e
alla preziosa attività di analisi e studio dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica
dell’Ospedale S.Chiara di Trento. Si procederà, poi, ad una panoramica sullo stato
dell’arte della ricerca biomedica e dell’attività di biobanking in Spagna, recentemente
innovata da un provvedimento legislativo del 2007. In particolare, ci si soffermerà sulle
tipologie di biobanche sviluppatesi nel contesto spagnolo, individuando nell’esperienza
basca della O+Ehun un valido modello di eccellenza da investigare.
121
La scelta di comparare l’esperienza di questi due Paesi non è casuale ma trova le
sue ragioni nell’analisi di condizioni e strutture giuridiche che, seppur partendo da un
background simile, sono approdate ad esiti differenti. Ci si soffermerà, pertanto, sulla
disamina dei casi di studio alla luce degli ordinamenti giuridici nazionali e del contesto
politico e sociale di riferimento. Tale comparazione non si pone pretese di esaustività
ma vuole rappresentare un utile punto di partenza per una riflessione sullo stato della
ricerca scientifica e biomedica in Italia e in Spagna e sulle possibili best practices
internazionali cui guardare e con cui confrontarsi.
2. L’esperienza italiana: la Trentino Biobank
Il primo contatto con Trentino Biobank è avvenuto all’interno dei laboratori del
reparto di Anatomia Patologica dell’Ospedale S. Chiara di Trento alla presenza della
dott.ssa Silvia Fasanella, biologa e Responsabile della qualità, che da due anni partecipa
attivamente alla realizzazione degli aspetti gestionali del progetto “Trentino
Biobank”281.
Il progetto, anche se di recente avvio, costituisce già una realtà all’avanguardia
nella conservazione di biomateriali tumorali in forma sistematica a livello nazionale.
E’stato, infatti, annoverato nel documento – elaborato in materia di biobanche dal
gruppo composto da esponenti del Comitato nazionale di Bioetica e da esponenti del
Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze per la Vita del 16
febbraio 2009 come una delle esperienze più significative a livello interno282.
Trentino Biobank è la biobanca di ricerca istituita presso l’Azienda Provinciale
per i Servizi Sanitari (APSS) della Provincia Autonoma di Trento. Attualmente
organizzata come struttura funzionale dell’Unità Operativa di Anatomia Patologica
dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, raccoglie e stocca per fini di ricerca medica
281
www.tissuebank.it, ultima visita: 24 agosto 2010.
«Altre iniziative per la messa in rete delle biobanche sono state intraprese dal Centro
nazionale per le risorse biologiche, al fine di costituire una rete nell’ambito della Regione Liguria e dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, per la realizzazione di una banca di tessuti e sangue
umano, denominata Trentino Biobank». Come riportato nella Relazione sullo stato di avanzamento del
progetto Trentino Biobank a 1 anno di attività (31 luglio 2009), redatta dal dr. Mattia Barbareschi, la
dott.ssa Chiara Cantaloni e la dott.ssa Silvia Fasanella con la collaborazione del dott. Matteo Macilotti, la
dott.ssa Lucia Galvagni ed il dott. Michele Galvagni.
282
122
materiale biologico umano. Essa tratta principalmente frammenti di neoplasie asportate
chirurgicamente, che risultano sovrabbondanti rispetto alla quantità necessaria per la
diagnosi post-operatoria (cd. left over tissue), ma l’obiettivo è quello di raccogliere in
futuro anche campioni tessutali provenienti da materiale donato per trapianto e non
utilizzato o provenienti da persone decedute e sottoposte ad autopsia nonché campioni
citologici, sangue, urine ed altri liquidi biologici.
Consapevole del proprio ruolo e del proprio valore, Trentino Biobank si prefigge
di supportare la ricerca medico-scientifica stoccando campioni biologici di elevata
qualità, accuratamente annotati, da fornire - dietro approvazione del Comitato Etico agli istituti di ricerca che ne facciano richiesta. La biobanca trentina fornisce le adeguate
garanzie giuridiche, etiche e tecnologiche circa la raccolta, la conservazione dei
materiali biologici oltre alla sicurezza e alla riservatezza del trattamento dei dati
sensibili dei donatori283.
Trentino Biobank è stata strutturata secondo il seguente organigramma 284: il
Responsabile della biobanca, avente compiti gestionali e di controllo sulle attività di
biobanking, è affiancato dal Responsabile della qualità e dal Responsabile
dell’archiviazione del materiale biologico. Queste tre figure si avvalgono della
collaborazione del personale di anatomia patologica, dei reparti chirurgici di degenza e
delle sale operatorie.
Il Responsabile della qualità deve controllare l’adeguatezza delle procedure
operative standard nonché delle procedure di raccolta, conservazione e documentazione
del consenso prestato dai donatori-pazienti. Inoltre, coadiuvato dal personale dei reparti
di chirurgia, si occupa di acquisire il consenso dei pazienti e di conservare ed archiviare
i relativi documenti.
Il Responsabile dell’archiviazione del materiale biologico provvede, invece, al
processo di archiviazione del campione. Egli recupera gli “scarti” direttamente dalle
sale operatorie, li consegna all’anatomo-patologo e, dopo aver proceduto ai microarrays
tissutali (una tecnologia per lo screening ad alta efficienza di biopsie), e alla corretta
283
A tal fine, si avvale della consulenza e della collaborazione del gruppo Lawtech del
Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Trento, di esperti di bioetica della Fondazione
Bruno Kessler e del direttore dell’Unità Operativa di Medicina Legale.
284
Secondo la dott.ssa Fasanella dotarsi di un organigramma del genere non è da considerare un
requisito scontato a fronte del disomogeneo panorama nazionale.
123
conservazione del materiale negli appositi congelatori, registra il campione nel database
della biobanca (che rimane distinto e separato da quello dell’ospedale)285.
Ad essi si affiancano un consulente legale, che si interfaccia direttamente con i
Responsabili della biobanca e della qualità, ed un consulente informatico, che si
relaziona sempre con il Responsabile della biobanca e con il Responsabile
dell’archiviazione del materiale.
Il processo di biobanking, come ideato a livello trentino, può essere sintetizzato
nelle seguenti tre macrofasi:
1) identificazione del paziente e somministrazione del modulo di consenso
informato;
2) raccolta del biomateriale;
3) archiviazione del biomateriale.
L’identificazione del paziente, potenziale donatore, viene effettuata dal
Responsabile della qualità su segnalazione del chirurgo. Quest’ultimo, infatti, è in grado
di fornire informazioni utili relative alla tipologia della patologia e all’intervento cui il
paziente deve sottoporsi. Il Responsabile della qualità, dunque, deve recarsi dal
potenziale donatore prima dell’intervento chirurgico al fine di illustrare il progetto
Trentino Biobank e di fornire la documentazione informativa.
Al paziente, viene somministrato il modulo di consenso (appendice 3), che si
compone dell’informativa sull’uso dei campioni e dei dati della biobanca trentina - i cui
punti devono essere accuratamente esplicati al paziente - del modulo di consenso alla
cessione dei campioni biologici ad enti privati, del modulo di consenso alla
conservazione di materiale biologico per scopi di ricerca medica - che si articola in una
serie di esplicite autorizzazioni - e di uno spazio in bianco per eventuali restrizioni al
consenso prestato. Inoltre, il paziente può esprimere delle indicazioni specifiche
relative, ad esempio, al trattamento dei dati personali, anche di carattere genetico
relativi al tessuto in oggetto, alla possibilità di essere informato delle eventuali notizie
inattese derivanti dallo studio del suo campione e alle modalità con cui desidera essere
contattato.
285
La tecnologia dei tissue microarrays ha rappresentato una svolta nello studio della
patenogenesi molecolare: è un sistema che consente di preservare il campione, che viene utilizzato in
quantità limitate (cilindri di tessuto del diametro di 0.6 mm), di minimizzare il consumo di reagenti e di
automatizzare buona parte dei passaggi.
124
Qualora il paziente decida di acconsentire alla conservazione per scopi di ricerca
medica del materiale biologico che gli verrà asportato, egli sottoscrive il consenso in
duplice copia (una per il paziente e l’altra per l’archiviazione).
In ogni caso, coerentemente con la disciplina giuridica internazionale, europea e
nazionale sul consenso, il paziente può in ogni momento ritirare il consenso prestato o
comunicare eventuali cambiamenti di opinioni circa le singole autorizzazioni
contattando il Responsabile della biobanca286.
Come testimoniato dall’esperienza della dott.ssa Fasanella, incaricata della
somministrazione dei consensi, le difficoltà riscontrate nel richiedere il consenso
informato al paziente prima dell’intervento chirurgico, per la delicatezza del momento e
le condizioni psicofisiche del soggetto, hanno fatto optare per la posticipazione della
somministrazione del documento ad un momento successivo all’operazione. Nella
maggior parte dei casi, dunque, il Responsabile della raccolta del consenso informato (al
momento il Responsabile della qualità), si reca direttamente in reparto dopo essersi
sincerato delle condizioni di salute e di piena coscienza del paziente. Una simile prassi,
infatti, oltre che dimostrare il debito riguardo per le particolari condizioni psicologiche
del paziente oncologico, non viola i requisiti di legge, in quanto il materiale potrà essere
utilizzato per scopi di ricerca solo se accompagnato dal relativo consenso informato.
Nel caso in cui il paziente risulti dimesso, il Responsabile ha il compito di
contattarlo quando questo torni per le visite di controllo. Qualora invece non sia
possibile in alcun modo contattare il paziente, il relativo materiale biologico potrà
essere utilizzato solo se opportunamente anonimizzato, secondo la procedura operativa
standard.
Ottenuto il consenso, questo deve essere registrato nel database della biobanca.
Questa operazione rappresenta una delle fasi più delicate, in quanto dalle modalità di
inserimento dei dati dipende l’effettiva tutela della riservatezza del paziente. Andando
nel dettaglio operativo, al momento dell’inserimento di un nuovo campione sulla
schermata relativa al paziente comparirà un’icona relativa al consenso, cliccando sulla
quale potranno essere visualizzate le autorizzazioni o le eventuali restrizioni apposte dal
donatore. Dopo questa fase, si potrà così procedere all’archiviazione del campione
presso il locale accessibile solo al personale autorizzato.
286
Si rimanda in proposito a quanto già trattato nel I Capitolo di questa tesi.
125
Il processo di raccolta del biomateriale comincia con il controllo delle liste
operatorie giornaliere. Il Responsabile del materiale deve verificare nelle liste se vi sono
potenziali pazienti il cui materiale può essere stoccato nella biobanca. Il personale delle
sale operatorie deve quindi segnalare tempestivamente la massa asportabile al
Responsabile dell’archiviazione che, nel più breve tempo possibile, deve provvedere al
suo ritiro e trasferimento nel reparto di Anatomia Patologica. I tempi per la raccolta dei
tessuti, infatti, sono particolarmente ristretti (il tutto deve avvenire entro 20 minuti circa
dall’asportazione) per preservare le caratteristiche e le componenti maggiormente
deteriorabili del materiale, come gli antigeni e gli acidi nucleici.
Il materiale “a fresco” viene dunque accettato dal personale addetto e consegnato
all’anatomo-patologo di turno che procede all’analisi. Se si ritiene che la zona neoplasta
sia in eccesso rispetto a quella necessaria per le procedure valutative diagnostiche, si
procede al prelievo di frammenti di tessuto patologico e non patologico che il
Responsabile dell’archiviazione del materiale pone nelle apposite provette (criovials)
dotate di codice a barre287. Se dovesse residuare ulteriore materiale, questo verrebbe
conservato nelle apposite cryomolds, identificate anch’esse da un bar code288.
Criovials e cryomolds devono essere immersi nel contenitore con isopentano
raffreddato a -80°C e successivamente trasferiti nei congelatori.
Il campione così acquisito, viene registrato nel database della biobanca dove
viene specificato: il tipo di tessuto prelevato, il tipo di intervento, la data e l’ora del
prelievo e dell’arrivo in Anatomia Patologica, la modalità di conservazione ed i codici a
barre di ciascuna provetta tramite un dispositivo a lettura ottica. Si procede inoltre a
registrare il codice a barre della scatola che contiene le singole provette nonché la
localizzazione delle singole scatole con la posizione esatta nei congelatori verticali a
-80°C.
Questa procedura fa sì che il materiale risulti anonimo ed identificabile solo dal
personale della biobanca attraverso il database cui si accede con login e password
strettamente personali. Infatti, assegnando un codice identificativo univoco al materiale
287
Si tratta di contenitori in polipropilene resistenti a temperature di -196°C, studiati per resistere
ad aggressivi chimici e per conservare cellule, sangue, siero ed altri fluidi biologici a temperature ultrabasse.
288
La procedura di conservazione del biomateriale nel cryomold consiste nel porre il prelievo nel
liquido conservante OCT, nel congelamento in azoto liquido per circa un minuto e, quindi, nella
conservazione nei congelatori a -80°C. Questa procedura, differenza della fissazione ordinaria in
formalina, garantisce l’ottimale conservazione degli acidi nucleici.
126
(diverso dal numero istologico dell’esame inserito nel sistema gestionale delle unità
operative di anatomia patologica), unicamente il Responsabile della biobanca, od un suo
delegato, può correlare il materiale conservato e l’identità del donatore.
Per soddisfare le prescrizioni contenute nell’autorizzazione al trattamento dei
dati genetici del garante della privacy, i dati clinici, personali e “bio” (cioè i dati
biologici, molecolari e di stoccaggio propri del tessuto analizzato) sono mantenuti
separati in diversi archivi fisici. La procedura di binding, ovvero di collegamento o
automatizzato dei dati di diverso tipo, può essere condotta soltanto dal personale
autorizzato della biobanca.
Il sistema informatico della biobanca, accessibile solo dagli amministratori di
sistema, è interfacciato con il sistema gestionale dell’unità operativa di anatomia
patologica dell’Ospedale Santa Chiara e prossimamente con eventuali altri sistemi,
come le cartelle cliniche informatizzate. Il software di gestione, inoltre, permette la
registrazione dei movimenti del materiale – come, ad esempio, il quantum prelevato ed
utilizzato per finalità di ricerca e gli estremi dello studio stesso - e la registrazione dei
dati molecolari progressivamente prodotti dall’analisi dei materiali stessi.
Trentino Biobank è dunque una realtà che ambisce a fornire materiale biologico
di qualità per lo studio da parte dei ricercatori delle strutture dell’azienda provinciale
per i servizi sanitari della provincia autonoma di Trento e di enti di ricerca pubblici o, a
seconda del consenso prestato dal paziente, anche privati.
La cessione dei campioni dovrà comunque sempre essere subordinata
all’approvazione del progetto di ricerca da parte del comitato etico. I ricercatori
riceveranno dati e campioni in forma codificata, non potendo in alcun modo risalire
all’identità di donatori. Le uniche eccezioni si potranno verificare, con un’apposita
procedura avviata da Responsabile della biobanca o da un suo delegato, soltanto quando
l’associazione del campione all’identità del soggetto sia indispensabile per condurre uno
specifico progetto di ricerca o quando risponda a precise esigenze cliniche nell’interesse
del donatore.
Il Material Transfer Agreement che si sta stilando prevederà, nello
specifico, le modalità di trasferimento e cessione dei campioni e le obbligazioni in capo
al ricercatore.
Il punto di forza della Trentino Biobank - oltre alla professionalità nella raccolta,
al controllo della qualità dei campioni e al rispetto della normativa vigente che già la
127
rendono una risorsa preziosa agli occhi dei ricercatori - consiste nella possibilità di
aggiornare continuamente i dati ed i campioni. Secondo la dott.ssa Fasanella, infatti, la
biobanca trentina gode, di riflesso, dei vantaggi derivanti dal forte legame di
territorialità tra l’Ospedale S. Chiara e l’utenza residente. Tale legame si concretizza in
un rapporto duraturo che vede l’utente rivolgersi al medesimo presidio sanitario per
ulteriori visite e controlli.
3. Los biobancos en España
L’attuale panorama delle biobanche in Spagna è stato di recente fotografato
dall’Informe curato, nell’ambito del progetto LatinBanks, dal prof. Carlos Maria Romeo
Casabona, Pilar Nicolás Jiménez e Sergio Romeo Malanda, docenti della Cátedra
Interuniversitaria de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto (Bilbao)289.
Tale studio, di prossima pubblicazione, testimonia le difficoltà nel fornire un quadro
generale in tema di biobanche, a livello spagnolo, dovuto alla mancanza di un catalogo
sistematico cui fare riferimento. Con un intervento legislativo del 2007 è stata prevista,
infatti, la creazione di un Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca - in cui
l’autorità competente dovrà iscrivere la biobanca elencandone le caratteristiche salienti
come la proprietà, la struttura, il tipo di collezioni in essa conservate - ma la previsione
non è stata ancora implementata290.
L’unico tentativo di censimento delle biobanche è stato condotto nel 2005 dalla
Banca Nazionale di DNA dell’Instituto de Salud Carlos III (ISCIII). Anche se datato,
289
ROMEO CASABONA C.M., NICOLÁS JIMÉNEZ P., ROMEO MALANDA S., Biobanks in Spain, in ROMEO
CASABONA C.M., SIMON J., (coord.), LatinBanks. Study on the legal and social implications of creating
banks of biological material, Bruxelles, Ed. Bruylant, in printing. LatinBanks è un progetto sviluppato
nell’ambito del Programma Alfa della Commissione Europea e rappresenta la prima tappa della
cooperazione tra dodici università europee e latinoamericane, costituitesi nella rete MEDNET, con lo
scopo di promuovere lo studio delle implicazioni giuridiche e sociali riguardanti la creazione di banche di
materiale biologico umano in America Latina. La rete, coordinata dal prof. dr. Carlos Maria Romeo
Casabona (Cátedra de Derecho y Genoma Humano, Universidad de Deusto) e dal prof. dr. Jürge Simon
(Lüneburg Universität) si propone di comparare il funzionamento, l’organizzazione e le strutture
giuridiche delle biobanche sudamericane con gli esempi più significativi a livello europeo. Elaborando
proposte per l’ottimizzazione delle strutture di governance e delle forme partecipative, si punta a fondare
le basi comuni per una futura integrazione anche con altri attori sociali, come le associazioni dei pazienti
o le autorità sanitarie, al fine di implementare le raccomandazioni che dovessero scaturire dal progetto
LatinBanks e che la rete possa supervisionare in quanto organo imparziale. Fonte:
http://www.latinbanks.catedraderechoygenomahumano.es/, ultima visita: 24 agosto 2010.
290
Sul punto ci si soffermerà oltre.
128
gli autori sottolineano come i suoi risultati rivelino alcuni aspetti interessanti: la prassi
di somministrare il consenso informato era già ampiamente diffusa, le strutture erano
per la maggior parte sicure e funzionali, ma solo alcune di esse erano dotate di sistemi
di certificazione della qualità o di applicativi informatici specializzati. Questa situazione
ha rappresentato il quadro di partenza.
In Spagna la disciplina giuridica delle biobanche ha trovato di recente la sua
regolamentazione nella Ley de Investigación Biomédica (LIB) n.14 del 3 luglio 2007
(Ley 14/2007, BOE de 4 de julio), uno strumento giuridico pregevole e particolarmente
significativo che promuove la ricerca scientifica in particolari settori di avanguardia nel
campo della biomedicina291.
Questa legge ordinaria si preoccupa in particolare di regolare, nel rispetto della
dignità, dell’identità e dei diritti di fondamentali della persona, le ricerche relative alla
salute umana che implichino procedimenti invasivi per il soggetto coinvolto nella
sperimentazione, la donazione ed utilizzazione di ovuli, spermatozoi, pre-embrioni,
embrioni, feti o tessuti fetali con fini di ricerca biomedica o di applicazione clinica.
Viene anche normata non solo la raccolta, la conservazione ed il trasferimento dei
campioni biologici, ma anche le biobanche, il Comitato di Bioetica spagnolo e gli altri
organi competenti in materia di ricerca biomedica nonché i meccanismi di sviluppo e
promozione, pianificazione, controllo e coordinamento della stessa (art. 1.1)292.
La legge del 2007 dedica il Titolo V a “Analisi genetiche, campioni biologici e
biobanche” e consta di quattro di capitoli. L’ultimo di questi si occupa nello specifico
della regolamentazione del “biobanco” e, distinguendo l’istituto giuridico dalle altre
collezioni di campioni biologici, lo definisce come: «la struttura pubblica o privata,
senza scopo di lucro, che raccoglie una collezione di campioni biologici con finalità
diagnostiche o di ricerca biomedica, ed organizzata come un’unità tecnica dotata di
criteri di qualità, ordine e destinazione» (art.3.1 lett.d). Di conseguenza, sono inclusi in
tale definizione non solo le biobanche già fondate o che possono orientare il proprio
291
Cfr ROMEO CASABONA C.M., Ley de Investigación Biomédica, Revista de Derecho y Genoma
Humano, n.26, 1, (2007); ID., Utilización de muestras biológicas humanas con fines de investigación
biomédica y regulación de biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en
España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, Granada, Comares, 2007; MORENTE M., ESTELLER M.,
Investigación traslacional y biobancos, in SÁNCHEZ-CARO J., ABELLAN F., Investigación biomédica en
España. Aspectos bioéticos, jurídicos y científicos, cit.
292
La ricerca biomedica cui si riferisce la LIB comprende sia la ricerca di base sia quella clinica
(art.1.3).
129
servizio a fini di ricerca, ma anche gli archivi delle Unità Operative di Anatomia
Patologica293.
La LIB, infatti, traccia la seguente tripartizione delle possibili classi di collezioni, ad
ognuna delle quali è collegato uno status giuridico differente:
1) collezioni di campioni per usi esclusivamente personali294;
2) collezioni ordinate di campioni295;
3) biobanche in senso stretto.
Questa suddivisione lascia intendere la scelta politica di mantenere la pluralità delle
risorse per soddisfare funzioni differenti e specifiche nella ricerca biomedica, per quanto
si riconosca una posizione giuridica di rilievo alle biobanche in senso stretto,
considerate come gli strumenti maggiormente qualificati nel supporto alla ricerca296.
La LIB prevede che le biobanche in senso stretto possano essere istituite per il
perseguimento di almeno due finalità: clinica – e quindi con scopi diagnostici o
terapeutici - e di ricerca biomedica.
La creazione di una biobanca potrà essere autorizzata solo se la sua organizzazione,
i suoi obiettivi e i mezzi disponibili ne giustificheranno l’interesse biomedico (art. 63).
Dal punto di vista organizzativo, le biobanche potranno essere fondate previa
autorizzazione delle Comunidades Autónomas competenti per territorio, a meno che non
si tratti della creazione delle banche nazionali di campioni biologici, che devono essere
promosse direttamente dall’Instituto de Salud Carlos III297. In quest’ipotesi, infatti, si
293
MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, cit., 187.
Le collezioni di campioni per usi esclusivamente personali, cui allude la legge, devono essere
dotate delle seguenti caratteristiche: i campioni devono essere organizzati come collezione; devono essere
custoditi da una persona fisica, che ne risulta la cessionaria o proprietaria; devono essere destinati ad un
uso esclusivamente personale. Quest’ultimo punto è il più controverso: se appare chiaro che i campioni in
questione non potranno essere ceduti a terzi, il dubbio sorge se si pensa alla possibilità che sia la stessa
persona fisica ad utilizzarli per le proprie ricerche “personali”. Tali collezioni di campioni non
sottostanno all’obbligo di iscrizione nel Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca Biomedica (art.
67.1). Sul punto si veda ROMEO CASABONA C.M., Utilización de muestras biológicas humanas con fines de
investigación biomédica y regulación de biobancos, cit. 287.
295
Queste ultime, a differenza delle precedenti, dovranno essere iscritte, come le biobanche, al
Registro Nazionale. Si tratta di quelle collezioni che incorporano campioni o materiale biologico di
origine umana riferiti a persone identificate o identificabili e che sono organizzate secondo un criterio
scientifico. Il titolare della collezione può essere tanto una persona fisica quanto una persona giuridica, sia
di natura pubblica che privata. Con riferimento alle finalità di queste collezioni si può presupporre che
possano essere destinate alla ricerca biomedica o ad altri fini, a seconda della loro natura e degli obiettivi
per cui sono state create. Anche in questa ipotesi, una delle questioni più controverse riguarda la cessione
dei campioni ai ricercatori appartenenti ad altri enti. Tale possibilità, secondo il prof. Carlos Maria
Romeo Casabona, non sembrerebbe essere vietata. Ibid., 288-289.
296
Ibid., 285-286.
297
L’art. 64 si riferisce infatti alla compentenza del Ministro della Sanità per la creazione di
biobanche nell’interesse generale.
294
130
riconosce l’iniziativa esclusiva al Ministero della Sanità al fine di garantire le risorse
necessarie in settori non sufficientemente coperti o di fornire quei materiali di cui le
biobanche esistenti risultino carenti298.
La biobanca dovrà essere composta da alcune specifiche figure, quali il Direttore
Scientifico, il Responsabile dell’archivio (responsable del fichero) e da due Comitati
esterni, uno tecnico-scientifico e l’altro etico, che assisteranno il Direttore della
biobanca nelle sue funzioni299. La legge attribuisce a quest’ultimo i seguenti compiti:
dovrà garantire il rispetto della legislazione vigente, mantenere un registro delle attività
della biobanca, assicurare la qualità, la sicurezza, la tracciabilità dei dati e dei campioni
biologici stoccati e dei procedimenti associati al funzionamento della biobanca,
elaborare una relazione annuale sulle attività di biobanking (inviandola all’organo che
ha dato l’autorizzazione alla creazione della biobanca), rispondere ai reclami che
possono essere rivolti, stilare il “documento de buena práctica”, preparare la reportistica
che descriva le caratteristiche delle collezioni, i criteri di inclusione dei campioni e i fini
per i quali la collezione è stata costituita, la forma in cui è stata riunita la collezione
storica e le informazioni che possono essere associate ai campioni (art. 66.2).
Il Responsabile dell’archivio, invece, dovrà rispondere alle richieste relative
all’esercizio dei diritti di accesso, rettifica, cancellazione od opposizione formulate dai
donatori, in conformità con quanto disposto dalla normativa sulla protezione dei dati di
carattere personale (art. 66.3).
Le funzioni del Comitato Tecnico non sono descritte dal testo legislativo, eccezion
fatta per la previsione di cui all’art.66.1 di «assistere il Direttore della biobanca nelle
sue funzioni» e di cui all’art. 69. 5 in base alla quale, in caso di diniego totale o parziale
della cessione di campioni biologici per un progetto di ricerca da parte della biobanca, si
dovrà tenere conto del parere di questo comitato. In assenza di una disciplina specifica è
stato ipotizzato, da parte della dottrina, che il Comitato tecnico possa supervisionare i
298
Ibid., 290.
La natura esterna di entrambi i comitati si sostanzia nell’indipendenza rispetto alla struttura e
all’organizzazione interna della biobanca: i rispettivi membri, infatti non dipenderanno e non saranno
vincolati alla biobanca. Quest’indipendenza, però sembrerebbe venir meno nella composizione del
comitato etico che, essendo contemporaneamente un comitato di etica della ricerca potrebbe trovarsi in
alcune occasioni in una situazione di conflitto di interessi (se ad esempio, dovesse valutare un progetto di
ricerca che gli venisse sottoposto dalla biobanca). Ibid., 292.
299
131
“procedimenti abbreviati” snellendo l’iter, ad esempio, per quei progetti già approvati
da un ente di ricerca o non particolarmente complessi300.
Il Comité de Ética de la Investigación, che sostituisce i precedenti Comités de Ética
e Investigación Clínica (CEIC), assurge ad un ruolo particolarmente significativo
nell’utilizzo dei campioni biologici con fini di ricerca e nell’attività di biobanking. Esso,
infatti, è deputato a rilasciare un parere obbligatorio e vincolante dal quale dipendono
l’autorizzazione e lo sviluppo di qualsiasi progetto di ricerca sugli esseri umani o sul
materiale biologico(art. 2) nonché l’esercizio della facoltà di autorizzare eccezioni al
principio generale del consenso informato (disposición transitoria segunda).
La biobanca, una volta costituita, dovrà essere registrata presso l’Agenzia Spagnola
di Protezione dei Dati, secondo quanto prescritto dalla legislazione vigente, e dovrà
essere iscritta dall’autorità competente nel Registro Nazionale delle Biobanche di
Ricerca biomedica, che verrà costituito presso l’ISCIII (art. 67.1). Il Ministero della
Sanità si occuperà di certificare la natura e la portata della collezione (art. 67.3), e
l’autorità competente condurrà ispezioni periodiche per garantire il rispetto da parte
delle biobanche delle condizioni autorizzate (art. 68)301.
Non sussiste, invece, il suddetto obbligo di iscrizione nel Registro per le collezioni
destinate ad usi esclusivamente personali e per quei campioni, anche se organizzati
come collezione, ottenuti per la realizzazione di analisi con scopi diagnostici o
terapeutici, e che non siano conservati per un periodo di tempo superiore al
raggiungimento di queste finalità.
Con riferimento alla disciplina della circolazione dei campioni, questi potranno
essere ceduti solo a titolo gratuito a soggetti terzi che ne facciano richiesta per scopi di
ricerca biomedica (art. 69.2). I progetti di ricerca dovranno essere approvati dal punto di
vista scientifico; la richiesta dovrà contenere tutte le informazioni relative al progetto e
l’impegno, da parte del centro richiedente o dei ricercatori partecipanti al progetto, di
non utilizzare il materiale richiesto per un uso differente da quello stabilito. Tale
300
MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, cit., 188.
La LIB non definisce espressamente chi sia «l’autorità competente», potendosi riferire sia
all’ISCIII che alle Comunità Autonome. A queste autorità, peraltro, spettano una serie di funzioni, come
quelle relative al cambio nella titolarità della biobanca, ispezione, controllo e chiusura della biobanca, sia
d’ufficio che su richiesta di parte. Probabilmente il dubbio verrà sciolto negli interventi regolamentari
successivi. Sull’implementazione in via amministrativa di alcune previsioni della Ley de Investigación
Biomédica ci si soffermerà oltre.
301
132
progetto inoltre dovrà ricevere il parere positivo dei Comitati scientifico ed etico della
biobanca.
Per il trasferimento di ciascun campione potrà essere richiesto il pagamento dei costi
di mantenimento, conservazione, invio e trasporto e, in ogni caso, la quantità ceduta
sarà sempre quella minima necessaria per la realizzazione del progetto (art. 69.3).
La cessione del campione potrà essere accompagnata dall’informazione clinica
associata e tale dato sarà, quindi, protetto secondo quanto disposto dalla Ley de
Autonomía del Paciente302 e della Ley de Protección de Datos de Carácter Personal303.
Con riferimento ai diritti del paziente-donatore, questi sono relazionati alla
disciplina del consenso informato. La LIB prevede che nel caso in cui il campione sia
ottenuto direttamente per fini di ricerca, il consenso dovrà essere previo, prestato per
iscritto ed informato304. Inoltre, anche quando si voglia destinare alla ricerca quei
campioni inizialmente raccolti per una finalità differente, ad esempio diagnostica o
terapeutica,
è
comunque
imprescindibile
il
consenso
del
soggetto
fonte,
indipendentemente dall’anonimizzazione del materiale (art. 58.2).
In alternativa alla regola generale, la LIB prevede però che: «eccezionalmente
potranno essere utilizzati campioni codificati o identificati a fini di ricerca biomedica
senza il consenso del soggetto fonte, quando l’ottenimento di detto consenso non sia
possibile o rappresenti uno sforzo non ragionevole nel senso dell’art. 3.1 di questa
Legge. In questi casi sarà necessario il parere favorevole del Comitato etico
corrispondente, che dovrà tenere conto dei seguenti requisiti: a) che si tratti di una
ricerca di interesse generale; b) che la ricerca sia condotta dalla stessa Istituzione che ha
sollecitato il consenso per l’ottenimento dei campioni; c) che la ricerca sia meno
significativa o non sia possibile senza i dati identificativi del soggetto fonte; d) che il
soggetto non si sia espressamente opposto; e) che venga garantita la confidenzialità dei
dati di carattere personale».
Il consenso del soggetto fonte o dei suoi rappresentanti legali è comunque ampio,
nel senso che i campioni raccolti dalla biobanca potranno essere utilizzati per qualsiasi
ricerca biomedica nei termini prescritti dalla LIB (art. 70.2). Infatti, la legge prevede
che il donatore, con un unico atto di consenso, possa autorizzare gli utilizzi successivi
302
Ley 41/2002, BOE 274 de 15 de novembre 2002.
Ley Orgánica 15/1999, BOE 298 de 14 de diciembre 1999.
304
L’art. 58.1 prescrive, infatti, che il soggetto sia informato delle conseguenze e dei rischi
nell’ottenimento del campione possa comportare per la sua salute.
303
133
del campione in «altre linee di ricerca correlate a quella inizialmente proposta, incluse
quelle realizzate da terzi», senza che la finalità sia necessariamente espressa (art.
60.2)305; il grado di relazione tra le linee di ricerca è, in definitiva, lasciato
all’interpretazione di ciascuna biobanca306.
Il Legislatore spagnolo, consapevole di inserirsi in un processo in fieri, ha previsto
un regime transitorio per permettere la trasformazione delle collezioni di campioni in
biobanche di ricerca, purché soddisfino i requisiti di accreditamento ed autorizzazione
previsti per legge o in via regolamentare.
In ogni caso la legge necessiterà un’implementazione delle proprie previsioni in via
amministrativa. È proprio la disposición final tercera della LIB che enumera i campi di
intervento tra cui: le norme di scambio e circolazione interna, infracomunitaria ed
extracomunitaria di materiale biologico di origine umana a fini di ricerca; i requisiti di
accreditamento e autorizzazione dei Centri, Servizi e gruppi di ricerca, relativi
all’ottenimento ed utilizzazione dei campioni; il funzionamento e organizzazione del
Registro Nazionale delle Biobanche di Ricerca Biomedica (che sarà istituito presso il
Ministero della Sanità).
Lo strumento deputato ad accogliere queste previsioni sarà un Real Decreto, che
dovrebbe essere emanato nel settembre 2010. Tale regolamento governativo dovrà
disciplinare questioni rilevanti come i requisiti di autorizzazione delle biobanche, le
relazioni con l’industria farmaceutica e le basi per la creazione del Registro Nazionale.
Dopo la necessaria ricognizione del panorama normativo, occorre procedere con la
disamina del report Biobanks in Spain sulla situazione delle biobanche e della ricerca
scientifica condotta con i campioni biologici di origine umana in Spagna 307. L’attuale
quadro regolativo si compone principalmente dei seguenti modelli organizzativi:
-
banche nazionali;
-
biobanche ospedaliere;
305
Questa previsione di un consenso generico all’utilizzo secondario dei campioni (campioni
degli archivi e/o senza consenso informato in determinati casi), non comportando alcun tipo di rischio per
la salute/vita del paziente è stata accolta con favore per il bilanciamento tra le garanzie previste per il
soggetto e la necessità di flessibilità imposta dal particolare contesto. Così MORENTE M., ESTELLER M.,
Investigación traslacional y biobancos, cit., 193.
306
CASADO DA ROCHA A., ETXEBERRIA AGIRIANO A., El consentimiento informado ante los
biobancos y la investigación genética, ARBOR Ciencia, Pensamiento y Cultura, CLXXXIV 730 marzoabril, 249:257, (2008).
307
Il report “The Facts:The position of Biobanks and scientific research with human biological
sample in Spain” è stato redatto dal patologo molecolare Enrique de Álava, vicedirettore del Banco
Nacional de ADN del Centro di Ricerca sul Cancro IBMCC dell’Università di Salamanca-CSIC.
134
-
reti di biobanche;
-
biobanche in rete308.
3.1 Banche nazionali
Nella prima categoria rientrano il Banco Nacional de ADN (BNADN) ed il Banco
Nacional de Líneas Celulares. Il primo di questi, creato nel 2004 dalla Fundación
Genoma España, costituisce una piattaforma tecnologica di supporto alla ricerca
genomica in Spagna309. La biobanca, dopo aver ottenuto la certificazione di qualità ISO
9001:2000, rappresenta oramai il modello di riferimento a livello nazionale per la
raccolta, conservazione e stoccaggio dei campioni di DNA310.
Durante la sua fase di avvio, la biobanca ha creato una collezione organizzata di
campioni di DNA rappresentativa della popolazione sana residente in Spagna associata
ad informazioni rilevanti come dati di salute, stile di vita ed abitudini dei donatori 311. A
partire dal 2006, il BNADN si è articolato in una struttura centrale che coordina quattro
nodi relativi alle patologie maggiormente diffuse sul territorio: ogni nodo, quindi,
raccoglie e stocca i campioni provenienti dai pazienti affetti da malattie cardiovascolari,
metaboliche, neuropsichiatriche ed oncologiche.
L’obiettivo principale della biobanca è quello di ricevere, processare e conservare
campioni di DNA, plasma e cellule dei donatori volontari insieme ai dati ad essi
associati. Tali campioni sono messi a disposizione dell’intera comunità scientifica,
nazionale ed internazionale, al fine di promuovere la ricerca e lo studio dell’evoluzione
umana, della diversità genetica ed il suo impatto sulla salute, della medicina
personalizzata.
Il Banco Nacional de Líneas Celulares è, invece, una struttura organizzata in rete,
che coordina e gestisce una pluralità di nodi, afferente alla Direzione Generale della
308
Tale tipologia costituirà titolo per un ulteriore approfondimento successivo.
Il BNADN è stato creato ufficialmente il 16 marzo 2004 con il Convenio de Creación firmato
dalla Fundación Genoma España, dal Consiglio di Sanità della Castilla y Leon e dall’Università di
Salamanca. Fonte: http://www.bancoadn.org/home.htm, ultima visita: 24 agosto 2010.
310
Si tratta della certificazione che il Sistema di Gestione della qualità della biobanca rispetta i
requisiti previsti sia in ambito interno all’organizzazione sia nell’ambito dei rapporti contrattuali.
311
La biobanca, avvalendosi della collaborazione dei Centros Regionales de Transfusión y
Bancos de Sangre, sta raccogliendo campioni di 1300 individui selezionati in ciascuna provincia in quote
proporzionali alla popolazione spagnola.
309
135
Ricerca con Terapia Cellulare e Medicina Rigenerativa dell’ISCIII312. Creata con Real
Decreto n.2132 del 2004, questa biobanca si occupa di garantire su tutto il territorio
nazionale la disponibilità di linee cellulari provenienti da staminali embrionali ed adulte
destinate alla ricerca biomedica.
Tale struttura, alla luce dei principi di obiettività, collaborazione, integrazione e
solidarietà, aderisce alle Convenzioni ed ai Trattati internazionali sottoscritti dalla
Spagna in materia di biomedicina e diritti umani, assicurando altresì la qualità e
sicurezza dei processi di sua competenza.
3.2 Biobanche ospedaliere
Le biobanche di tipo ospedaliero sono statisticamente le più diffuse sul territorio
spagnolo nonché le prime ad essere state realizzate (la prima è stata istituita nel 1985).
L’esempio più significativo è rappresentato dalla biobanca dell’Ospedale Clinico
dell’Institut d’Investigacions Biomèdiques August Pi i Sunyer (IDIBAPS) di
Barcellona313.
La biobanca catalana colleziona principalmente campioni di DNA per la
realizzazione di studi genetici su larga scala e screening. A questi si aggiungono i
campioni di siero e plasma per la determinazione dei profili proteici o metabolici e per
l’identificazione di nuovi targets terapeutici.
Tale struttura si conforma alla legislazione vigente sulla raccolta ed utilizzazione
dei campioni, sul trattamento dei dati personali e sulla disciplina del consenso informato
adeguandosi, inoltre, agli standards diffusi circa la conservazione e la gestione della
qualità delle collezioni. In aggiunta offre un interessante servizio di assistenza tecnica ai
ricercatori che richiedano i suoi campioni. Le informazioni fornite riguardano, in
particolare, aspetti cruciali quali: gli standard ed i procedimenti per l’annotazione e la
nomenclatura; gli strumenti per l’armonizzazione delle collezioni; il supporto
312
Fonte: http://www.isciii.es/htdocs/terapia/terapia_bancocelular.jsp, ultima visita: 24 agosto
2010.
313
L’IDIBAPS è uno dei centri di ricerca di riferimento per la Catologna, la Spagna e l’Europa
meridionale, nonché il maggiore per produzione a livello nazionale. Si avvale della collaborazione con
l’Ospedale Clinico di Barcellona, l’Università e l’Istituto di Ricerca Biomedica di Barcellona del
Consiglio Superiore di Ricerca Scientifica. Fonte: http://www.clinicbiobanc.org/, ultima visita: 24 agosto
2010.
136
informatico per la tracciabilità dei campioni, dei dati associati e dei dati generali; le
ambiguità della legislazione vigente.
3.3.Reti di Biobanche
Le prime esperienze di ricerca cooperativa spagnola risalgono già ai primi anni
2000. Con la creazione, nel 2001, dell’Instituto Nacional del Cáncer promossa,
nell’ambito del Programa de Patología Molecular del Centro Nacional de
Investigaciones Oncoloógicas (CNIO), si afferma la volontà di istituzionalizzare un
programma di ricerca collaborativo a livello nazionale, mentre nel 2003 con la nascita
della Red Temática de Investigación Cooperativa en Cáncer (RTICC, finanziata e
sponsorizzata
dall’ISCIII)
tale
collaborazione
viene
ulteriormente
rafforzata
dall’ingresso nel progetto di 23 istituzioni facenti riferimento, a vario titolo, a più di 40
strutture ospedaliere sparse sull’intero territorio spagnolo314.
L’obiettivo è quello di promuovere banche tumorali rispondenti ai più elevati
standard di qualità internazionali, convogliando le loro singole attività in un network
cooperativo. Se da una parte, lo scopo alla base della rete è quello di giungere a
procedure tecniche omogenee, requisiti etici condivisi ed un coordinamento
centralizzato, dall’altra è opportuno ricordare che tanto le biobanche quanto i tessuti
rimangono di pertinenza dei singoli ospedali.
Naturalmente la cooperazione ed il coordinamento all’interno della RTICC
incontrano le tipiche difficoltà derivanti dall’ampia partecipazione di soggetti ed
istituzioni, ma già dal 2003 la struttura del programma della Red Temática de
Investigación Cooperativa en Cáncer ha consentito a tutte le Comunità Autonome, nel
rispetto dei loro statuti e dei loro ambiti di autonomia, di adottare i medesimi protocolli
tecnici ed etici, un sistema comune per l’identificazione e la tracciabilità dei campioni
ed un unico sistema di controllo della qualità. Dalla sua creazione, il network spagnolo
ha fornito più di 10.000 campioni per circa 180 progetti di ricerca da cui sono scaturiti
più di 10 articoli scientifici (con un fattore di impatto medio di 7 punti) in cui la RTICC
è espressamente citata come la fonte dei campioni315.
314
315
www.rticc.org, ultima visita: 24 agosto 2010.
I dati sono tratti dal già citato Spain’s Report di LatinBanks.
137
4. Biobanche in rete: O+ehun, el biobanco vasco para la investigación316
La biobanca basca di ricerca è una struttura della Fundación Vasca de Innovación e
Investigación Sanitarias/ B+I+O eusko fundazioa (BIOEF), promossa dal Dipartimento
di Sanità della Comunità Autonoma del País Vasco, e dal 2004, anno della sua
fondazione, rappresenta il modello spagnolo più significativo di biobanca in rete 317.
O+ehun si struttura come ente strumentale del Sistema Sanitario basco per lo sviluppo
della ricerca avanzata nei settori della biomedicina e della biotecnologia attraverso la
gestione di campioni biologici classificati318.
Il suo “essere in rete” permette la raccolta e la conservazione dei campioni
direttamente presso gli ospedali aderenti all’iniziativa: Cruces, Basurto, Galdakao,
Donostia, Txagorritxu e Santiago Apóstol (i sei più grandi ospedali pubblici baschi),
l’Instituto Oncológico di San Sebastian e il Policlínica Gipuzkoa (due centri sanitari
privati) ed il Centro Vasco de Trasfusiones y Tejidos Humanos dell’Osakidetza
(servizio sanitario basco). Ciascun nodo è indipendente, ma lavora in maniera
coordinata, le risorse sono condivise attraverso una piattaforma informatica dedicata,
sotto la supervisione della BIOEF, ed i vari protocolli operativi sono armonizzati tra
loro. In questo modo, non solo i pazienti, ma anche i ricercatori, le altre biobanche ed il
Sistema Sanitario possono interfacciarsi con un unico interlocutore.
316
Il presente paragrafo trae spunto da una personale esperienza di ricerca condotta nel mese di
giugno 2010 presso la Cátedra de Derecho y Genoma Humano dell’Università di Deusto e la biobanca di
ricerca O+ehun.
317
La BIOEF è uno strumento che promuove l’innovazione e la ricerca all’interno del sistema
sanitario del Pais Vasco come mezzo per lo sviluppo ed il miglioramento continuo delle capacità di
intervento dello stesso nella protezione della salute della popolazione. Questa fondazione aspira ad essere
il ponte tra i differenti settori coinvolti nella ricerca, sviluppo ed innovazione sanitaria non solo a livello
di comunità autonoma ma anche a livello statale ed internazionale. Per perseguire i suoi obiettivi
istituzionali, la fondazione esercita i propri compiti attraverso due istituti (ulteriori rispetto alla O+ehun):
l’Instituto Vasco de Investigaciones Sanitarias (o+iker) e l’Instituto Vasco de Innovación Sanitaria
(o+berri). Il primo di questi si occupa delle attività della fondazione maggiormente collegate alla ricerca
biomedica: rappresenta una piattaforma in grado di innovare il sistema sanitario del Pais Vasco,
conformemente al suo livello di eccellenza raggiunto nel campo dell’assistenza, promuovendo la ricerca,
destinando le risorse necessarie, facilitando la gestione e dirigendo la stessa verso le priorità strategiche
del Sistema. O+berri, invece, si propone come la piattaforma di innovazione permanente del Sistema
impegnata nella reinvenzione continua tanto dei suoi sistemi organizzativi quanto degli strumenti e dei
sistemi di gestione, favorendo il dibattito, anticipando le tendenze, i cambiamenti ed i bisogni a beneficio
della comunità basca sia nel sistema stesso, rafforzando al contempo il proprio prestigio. Fonte:
www.bioef.org, ultima visita: 24 agosto 2010.
318
Così in Boletín Oficial del País Vasco (BOPV) orden 21 de febrero 2003.
138
Per meglio garantire la tracciabilità, la sicurezza ed il trasferimento dei campioni, si
è deciso di affidare lo sviluppo della piattaforma informatica ad enti o società
specializzate nei differenti ambiti di intervento individuati (rapporto etico-legale,
progettazione della piattaforma, sviluppo del software, controllo del software e
dell’hardware, verifica della sicurezza).
E’ lo stesso dott. Roberto Bilbao Urquiola, biologo e Direttore scientifico della
biobanca, a descrivere alcuni dei punti chiave dell’istituzione che rappresenta.
L’obiettivo che si prefiggono è quello di costruire una piattaforma di condivisione e
collaborazione per l’ambito medico, universitario e imprenditoriale, senza dimenticare il
fine ultimo di sviluppare strumenti di prevenzione, diagnosi e scoperta di nuovi targets
terapeutici.
L’organigramma della biobanca basca rispecchia quello delineato dalla Ley de
investigación Biomédica. Vi è il Coordinatore scientifico (Direttore scientifico nella
LIB), coadiuvato dal Responsabile dell’archivio e dal personale tecnico di supporto alla
ricerca. Ad essi si affiancano il Comité científico ed il Comité de Ética de la
Investigación.
Si tratta della prima struttura in Spagna che raccoglie al suo interno collezioni di
cellule tumorali, di DNA, di campioni non patologici e tessuti cerebrali. Alla stregua
dell’esperienza trentina, anche in questo caso il legame con il territorio è un punto di
forza decisivo. Infatti, i pazienti del territorio basco, per la qualità e l’efficienza del
servizio offertogli, tendono a rivolgersi sempre al medesimo centro sanitario locale, a
prescindere dall’entità dell’accertamento clinico. I campioni eventualmente prelevati,
dunque, non solo sono associati ad un patrimonio informazionale, caratteristico della
popolazione locale rendendo così possibili investigazioni a carattere epidemiologico e
statistico, ma soprattutto sono correlati ad i preziosi dati aggiornati di follow up.
La stessa Fondazione, poi, supporta ed incentiva l’attività di ricerca dei medici degli
stessi presidi sanitari appartenenti al network, fornendo loro campioni, dati aggiornati
ed il pieno riconoscimento del loro ruolo come attori protagonisti della ricerca
scientifica319. Infatti, i campioni possono essere raccolti non solo nell’ambito delle
normali procedure cliniche e diagnostiche (left over tissue, biopsie, autopsie), ma anche
prelevati sulla base di specifici progetti di ricerca. Una delle caratteristiche peculiari
319
ROMEO CASABONA C.M., NICOLÁS JIMÉNEZ P., ROMEO MALANDA S., Biobanks in Spain, cit.
139
della biobanca basca è proprio, dunque, la compresenza di queste due tipologie di
raccolta, per ognuna delle quali è stato predisposto un differente modello di consenso
informato.
Il consentimiento para donación de muestras al biobanco basco para la
investigación viene somministrato al paziente, congiuntamente all’informativa,
nell’ambito della procedura di raccolta dei campioni rientrante nella normale routine
assistenziale, ossia, a seguito di un’operazione chirurgica o di un intervento diagnostico/
terapeutico in occasione del quale sia stato prelevato del materiale biologico (sangue,
biopsia, altri liquidi, DNA o RNA). Considerando la patologia o infermità di cui soffre
(che possa soffrire direttamente o di cui soffre un familiare), così come le sue
condizioni, si sottopone al paziente un modulo di consenso affinché parte della
«muestra excedente» possa essere donata alla biobanca basca per essere conservata e
destinata a futuri progetti di ricerca relazionati alle patologie o infermità menzionate o
ad esse collegate.
Dopo aver illustrato la funzione istituzionale di una biobanca e le specificità
organizzative e operative di quella basca, l’informativa chiarisce immediatamente che il
paziente non riceverà alcun diretto beneficio dalla ricerca. Muovendo dalla premessa
che la donazione del campione a fini di ricerca è un atto volontario ed essenzialmente
altruistico, l’unico “ritorno” che spetterà al paziente sarà la consapevolezza di aver
partecipato al progresso medico-scientifico per il bene della collettività. Il campione in
ogni caso non potrà essere fonte di lucro diretto, ma l’informazione da esso derivata
potrà essere oggetto di benefici commerciali. In quest’ultima ipotesi, però, si prevedono
(o meglio, si prevederanno) meccanismi compensativi a favore di tutta la comunità. La
donazione è e rimane facoltativa, un eventuale diniego non comporterà alcun tipo di
pregiudizio e non avrà ripercussioni sul diritto dell’individuo all’assistenza sanitaria.
In ogni caso, il paziente, se lo desidera e se il campione non sia stato anonimizzato
in maniera irreversibile, ha diritto a conoscere i dati genetici clinicamente rilevanti
ottenuti dall’analisi del campione. L’analisi in questione, come si è già avuto modo di
sottolineare in precedenza, può riguardare anche i familiari. In quest’ultima ipotesi,
però, il paziente dovrà espressamente fornire il proprio consenso per comunicare
eventuali informazioni a tali soggetti.
140
Una volta stoccato il campione nella biobanca, il donatore avrà a disposizione tutte
le informazioni relative all’utilizzo del materiale nei progetti di ricerca e, qualora, abbia
acconsentito,
riceverà
tali
informazioni
in maniera
individualizzata.
Inoltre,
l’informativa contiene una clausola che sembra recepire le opinioni giurisprudenziali
sulle quali ci si è già intrattenuti 320; il campione sarà messo a disposizione qualora il
paziente lo richieda per motivi di salute e sempre che non sia già stato anonimizzato.
Con la firma del consenso, il paziente autorizza la biobanca a processare, unitamente
al campione, anche i propri dati relativi alle condizioni fisiche e psichiche, se rilevanti ai
fini della ricerca. La riservatezza dei pazienti-donatori è assicurata mediante il processo
di anonimizzazione e codificazione321. Infatti, i dati del paziente sono associati, al
momento del loro primo contatto con la struttura, ad un numero di “storia clinica”. Nel
momento in cui tali informazioni vengono inserite nel database della biobanca, al
numero di storia clinica viene attribuito il “Codigo 1”. Il nodo centrale (il coordinatore
BIOEF) associa a quest’ultimo il “Codigo 2”, che sarà il codice finale con cui il
campione circolerà all’esterno. Il Responsabile clinico del campione ed il Coordinatore
scientifico saranno gli unici soggetti in grado di relazionare i dati all’identità del
paziente-donatore.
L’ospedale che conserva fisicamente il campione garantisce che non sarà divulgato
a soggetti terzi alcun dato che possa identificare il paziente. In un’ottica di
confidenzialità e riservatezza, la biobanca assicura, inoltre, che i risultati degli studi
potranno essere presentati in riunioni e congressi medici o potranno essere pubblicati in
articoli scientifici mantenendo il più stretto riserbo circa l’identità del soggetto-fonte.
Il consenso può essere revocato in qualsiasi momento ed il donatore potrà chiedere
la distruzione o l’anonimizzazione dei campioni. Gli effetti della revoca non si
estenderanno, però, ai risultati che siano stati ottenuti prima del suo intervento.
Infine, il documento viene firmato dal paziente, o dal suo rappresentante legale, e
dal Responsabile clinico.
Il modelo de hoja de información para donación expresa de muestra differisce dal
precedente solo per il fatto che l’ottenimento del campione da destinare alla ricerca
320
Recurso de Apelación n. 538/1998, Audiencia provincial de Vizcaya (jurisdicción civil) e
Sentencia Tribunal Superior de Justicia Cantabria (Sala de lo Contencioso-Administrativo), de 16 mayo
2001.
321
Il consenso della biobanca basca traccia, però, una differenziazione: il paziente, infatti, può
optare, tra la codificazione o la anonimizzazione completa del materiale biologico. In quest’ultimo caso,
si romperà in maniera irreversibile il collegamento tra i suoi dati personali ed il campione.
141
viene conseguito tramite un procedimento invasivo. Per ciascun tipo di prelievo devono
essere descritti i potenziali rischi od effetti collaterali e, secondo quanto stabilito
dall’art. 18 LIB, è prevista un’assicurazione per eventuali danni e pregiudizi che
possano essere causati alla persona.
Il consentimiento para la realización del proyecto de investigación, invece, è un
documento che viene somministrato ad hoc nei casi in cui si voglia richiedere l’utilizzo
di un determinato materiale biologico per uno specifico progetto di ricerca. Si compone,
in particolare, di due differenti “permisos” (autorizzazioni): il primo per l’utilizzo del
campione nell’indagine ed il secondo per depositare il medesimo nella biobanca.
L’informativa è speculare alle precedenti ma, in aggiunta, dovrà contenere il titolo e
la descrizione generale del progetto, il nome del ricercatore principale, i finanziatori, la
durata nonché l’eventuale previsione della possibilità di cedere a terzi il materiale
durante il corso della ricerca. Inoltre, si dovranno spiegare in un linguaggio semplice e
comprensibile la finalità e gli obiettivi dello studio nonché i procedimenti (questionari,
prelievi, studi clinici, prove complementari…) cui verrà sottoposto il paziente, non
trascurando di prospettare i possibili rischi ed effetti collaterali.
Viene nuovamente precisato che al paziente non spetterà alcun ritorno in termini
economici, se non un rimborso per le spese di trasporto. Firmando il consenso, quindi, il
donatore rinuncia espressamente a qualsiasi tipo di rivendicazione di tipo economico.
Una volta terminata la ricerca, i campioni residui potranno essere, secondo quanto
autorizzato dal paziente, distrutti, ceduti alla biobanca (affinché vengano conservati ed
utilizzati per futuri progetti di ricerca collegati a quello appena concluso) o
anonimizzati.
Restano salve tutte le garanzie di confidenzialità e riservatezza e gli aspetti etici già
illustrati. Anche in questo caso, il modulo viene sottoscritto dal paziente e dal
Responsabile clinico, a cui si aggiunge il ricercatore o la persona incaricata di fornire le
informazioni relative al protocollo di ricerca per certificare di aver illustrato le
caratteristiche del progetto e le condizioni di conservazione e sicurezza che si
applicheranno ai dati ed ai campioni stoccati.
La cessione del materiale biologico avviene nel rispetto delle previsioni di cui
all’art.69 LIB, il quale dispone che il ricercatore (o equipe di ricerca) debba inviare la
richiesta di campioni al Biobanco Vasco de Investigación presentando un progetto che
142
dovrà essere vagliato in primo luogo dal ricercatore responsabile della collezione;
qualora il progetto non abbia già ricevuto una valutazione etica e scientifica esterna,
dovrà essere esaminato anche dal Comité Científico ed infine dal Comité de Ética de la
Investigación della biobanca. In caso di diniego, questo dovrà essere motivato, mentre
in caso di accettazione il rappresentante legale del centro ricevente dovrà firmare il
“Convenio de trasvase de muestra” (un MTA) con BIOEF ed il ricercatore dirigente del
nodo cui appartiene il materiale biologico.
Lo sviluppo di tali contratti ed accordi infrasettoriali (sanità) ed intersettoriali
(sanità-università-impresa) è auspicato per il conseguimento di massa critica e di
risultati rilevanti, per aumentare la disponibilità delle risorse e per promuovere il
reperimento di nuove fonti di finanziamento. In particolare, il convenio di ricerca
cooperativa con utilizzo di campioni biologici è stato oggetto di un lungo ed articolato
processo. Esso nasce nel 2003 quando è stata richiesta dalla Fondazione BIOEF la
preparazione, affidata ad uno studio legale specializzato in tematiche bioetiche (Biolex),
di un “informe jurídico” che è stato sottoposto all’attenzione dei CEIC, delle
Comisiones de Investigación e Direttori dei grandi centri sanitari. Da tale documento e
con la consulenza della Dirección de Asuntos Jurídicos del Departamento de Sanidad
del Gobierno Vasco ed Osakidetza è stata ricavata la bozza del Convenio marco
(convenzione quadro), discussa poi con il Comitato Tecnico di O+iker, i ricercatori, i
direttori dei centri sanitari, il Comitato misto BIOEF-Osakidetza ed i CEIC del sistema
sanitario. L’approvazione è, infine, avvenuta nel giugno del 2004 da parte del Patronado
della Fondazione BIO.
Tale Convenio marco definisce, dunque, il contesto etico, legale, di proprietà
intellettuale ed industriale che dovrà essere specificato nei singoli convenios específicos
(i singoli progetti di ricerca derivanti dal Convenio marco). Questi ultimi dovranno
pertanto contenere il tipo e flusso di campioni, i finanziamenti, le spese ed il tipo di
compensazione economica, i diritti di proprietà intellettuale e di proprietà industriale,
l’eventuale distruzione dei campioni.
Come confermatomi dal dott. Roberto Bilbao Urquiola si tratta comunque di un
procedimento di aggiornamento continuo. Nell’acuerdo de trasvase, ad esempio, sono
previste, al momento, due modalità di supporto della biobanca al progetto: fornitura del
solo materiale biologico o ricerca congiunta. In alcuni casi la O+ehun ha preferito
143
optare per la cotitolarità nel brevetto. La biobanca si avvale per questo della consulenza
di un gabinete jurídico per migliorare ed adattare gli attuali MTA, senza trascurare le
esperienze delle altre realtà europee e internazionali con le quali, tra l’altro, puntano ad
estendere la propria rete di relazioni. La stessa velocità con cui bisogna adattarsi ai
cambiamenti metodologici, alle innovazioni tecnologiche e alle scoperte scientifiche
impone modelli organizzativi agili e snelli ma, al tempo stesso, robusti ed affidabili per
gestire le esigenze dei vari stakeholders. La biobanca basca si è, quindi, proposta di
creare uno spazio di lavoro condiviso per affrontare al meglio queste nuove sfide,
dialogando e collaborando con le istituzioni, la collettività e la comunità scientifica
internazionale. E in molti hanno iniziato a seguire questo stesso sentiero, segno che
qualcosa sta iniziando a cambiare, forse anche nello stesso modo di intendere la ricerca.
Per il dott. Bilabo Urquiola, l’ “essere in rete” rappresenta proprio questo: l’intenzione
di crescere con la ricerca e di far crescere la ricerca europea, condividendone i risultati
con coloro che possano apportarvi contributi rilevanti.
5.Conclusioni
Le due realtà considerate in questo capitolo rappresentano indubbiamente due
validi modelli di riferimento nel panorama delle biobanche di ricerca. Le loro procedure
operative standard relative alla raccolta, conservazione e stoccaggio dei materiali
biologici, alla somministrazione del consenso informato, all’anonimizzazione e
codificazione dei campioni si allineano ai più elevati standards etici, giuridici e
scientifici internazionali. Si tratta, poi, di biobanche che gravitano intorno alle strutture
ospedaliere e ai presidi sanitari: come già sottolineato, questa connessione permette di
raccogliere differenti tipologie di tessuti e campioni durante l’intero arco di vita del
paziente a seconda della patologia per la quale quest’ultimo si rivolge al servizio
sanitario. Ciò rappresenta un indiscutibile valore aggiunto perché fornisce la possibilità
di studiare e analizzare le diverse patologie nel tempo, potendo inoltre considerare e
correlare queste alle abitudini socio-comportamentali del soggetto e alle caratteristiche
ambientali del contesto di riferimento.
Entrambi i modelli si propongono efficacemente come istituzioni in grado di
garantire al loro Sistema Sanitario di pertinenza la corretta raccolta, annotazione,
144
conservazione e cessione dei campioni a beneficio dell’intera comunità scientifica, così
da promuovere la ricerca ed agevolare la collaborazione tra gli esperti del settore.
Se l’esperienza basca è già abbastanza rodata, quella trentina è ancora, in fase di
avvio. Non potrebbe essere altrimenti, dato che in Italia manca ancora uno strumento
legislativo che al pari della Ley de Investigación Biomédica fornisca un quadro giuridico
ed etico di riferimento. Come si è sottolineato in altri punti di questa tesi, le Linee Guida
per l’istituzione e l’accreditamento delle biobanche, redatte nel 2006 dal Comitato
Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, sono un utile strumento per avviare
nel nostro Paese un percorso di riflessione e discussione relativo alla tematica, tuttavia
queste non possono sostituirsi in alcun modo all’opera del Legislatore. Nemmeno il
lapidario d.m. del 15 maggio 2006 emanato dal Ministero delle Attività Produttive è
utile allo scopo. Esso si limita a definire le biobanche con la nozione elaborata
dall’OCSE per i Centri di Risorse Biologiche mentre descrive i CRB come quelle
biobanche che hanno chiesto ed ottenuto la certificazione del proprio sistema di gestione
per la qualità da parte di un organismo di certificazione dei centri di risorse biologiche
(art. 2). Per l’individuazione dei criteri di certificazione si rinvia alla disciplina stabilita
dagli appositi gruppi di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione
all’ispettorato tecnico dell’industria della Direzione generale dello sviluppo produttivo e
competitività del Ministero delle attività produttive (art. 6). In questo gioco di rimandi e
rinvii si fatica a trovare dei sicuri punti di riferimento.
Anche rispetto al consenso informato sorgono, in un contesto giuridico, etico e
storico-culturale in profonda trasformazione, esigenze peculiari, sia di carattere generale
sia di carattere specifico.
In primo luogo, i cambiamenti che intervengono in campo giuridico in materia di
regolamentazione dei concetti e degli istituti coinvolti nell’applicazione delle nuove
tecnologie comportano la necessità di un adeguamento ed un aggiornamento il più
possibile rapido e puntuale. Si pensi alla proprietà dei materiali biologici, delle
informazioni individuali o collettive ricavate dallo studio dei campioni, oppure, come
precedentemente ricordato, al tema delle invenzioni e dei brevetti prodotti sulla base
della ricerca condotta sui materiali ceduti (cd. downstream IP). Ne consegue che ogni
struttura presso la quale siano conservati campioni biologici debba adottare una
specifica procedura per ogni tipologia di prelievo e conservazione prevista. Tale
145
procedura, possibilmente elaborata con il contributo di esperti di comunicazione, etica e
diritto e condivisa dal comitato etico dell’istituzione di riferimento, dovrebbe poi tenere
conto non solo delle leggi nazionali, ma anche delle norme dei paesi con i quali i
campioni biologici potrebbero potenzialmente essere scambiati.
Inoltre, andrebbe conseguito un allineamento progressivo delle strutture italiane
che si autoproclamano biobanche alla normativa nazionale sulla protezione dei dati
personali - in particolare per ciò che attiene ai dati personali sensibili acquisibili nello
svolgimento dell’attività medica - ed all’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici
del 2007. Discorso analogo può essere fatto in merito agli aspetti giuridici relativi alla
proprietà intellettuale e, più in generale, allo sfruttamento commerciale delle scoperte
eventualmente generate dallo studio dei campioni322.
Spostandoci in Spagna, è bene precisare che anche la LIB non costituisce la
panacea di tutti i mali. Essa è una legge ordinaria, per sua natura generale ed astratta, il
cui contenuto attende di essere specificato da regolamenti amministrativi di prossima
emanazione. Non risolve e non affronta alcuni nodi cruciali come la proprietà delle parti
staccate dal corpo, su cui le stesse opinioni giurisprudenziali non concordano, o la
determinazione di criteri tecnici ed etici per valutare il merito di un progetto di ricerca
oppure ancora la predisposizione di una scala di priorità nella cessione di campioni rari
conservati nella biobanca in caso di una pluralità di richieste.
Come è stato evidenziato da alcuni autori323, la previsione della consultazione di
diversi comitati, interni ed esterni, etici e tecnici, rischia di produrre più che un
controllo effettivo dei progetti di ricerca un’eccessiva burocratizzazione dell’attività di
una biobanca. La legge, inoltre, sembra fare riferimento a progetti complessi e ben
strutturati trascurando la realtà della ricerca di base ed applicata, che è solitamente
preceduta dagli indispensabili progetti pilota e tentativi preliminari (per quanto
un’interpretazione funzionale del testo legislativo potrebbe suggerire che per tali fasi
preparatorie possano predisporsi delle procedure abbreviate ad hoc)324.
Alcune critiche toccano le lacune definitorie della norma come nel caso, ad
esempio, della nozione di analisi genetica 325: secondo esperti del settore medico e
322
Si rimanda in proposito a quanto già esposto nel Cap. III.
MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, 194.
324
Ibidem.
325
L’analisi genetica, di cui all’art.3.a della LIB è definita come quel «procedimento destinato ad
individuare la presenza, assenza o alterazione di uno o vari segmenti di materiale genetico, comprese le
prove indirette per rilevare un prodotto genetico o un processo metabolico specifico che sia indicativo
323
146
sanitario si tratterebbe di un’imprecisione tecnica da parte del Legislatore che sembra
non avere chiara la differenza tra l’identità genetica della persona e le alterazione
sopravvenute che sono alla base di differenti processi326. Così come parimenti imprecisa
e riduttiva sarebbe la riduzione esemplificativa dei servizi di Anatomia patologica nel
testo della legge, a testimonianza della poca attenzione prestata agli esperti del mondo
scientifico ed accademico consultati327.
Si è trattato, in definitiva, di un provvedimento legislativo che ha tenuto banco a
lungo ed è stato al centro di un animato (ed animoso) dibattito parlamentare, ma
testimonia senza dubbio l’interesse del legislatore e della società spagnola per le
tematiche bioetiche di cui questa legge rappresenta il compromesso328.
Il dibattito politico italiano ha invece, al riguardo, fatto esercizio di raffinata
eclissi. La già citata Autorizzazione del Garante al trattamento dei dati genetici viene
rinnovata senza variazioni dal 2007, stentandosi a trovare un accordo persino sulle
definizioni. L’intervento del Legislatore non viene sollecitato e manca ancora un
censimento adeguato delle strutture che potrebbero rientrare nella definizione di
biobanca329. Si avverte la mancanza di un meccanismo di certificazione delle biobanche
che stabilisca gli idonei standard giuridici oltre che operativi e funzionali.
Attraverso un recente studio realizzato dal Joint Research Centre dell’Institute
for Prospective Technological Studies presso la Commissione Europea, in Italia è stato
possibile identificare con certezza solamente otto biobanche di ricerca ed un
Consorzio330. Ma non è da escludere, tuttavia, la possibilità dell’esistenza e dell’attività,
spesso avvolta nell’anonimato, di biobanche medio-piccole operanti presso molti
ospedali nazionali grazie all’impegno personale di singoli medici e ricercatori o
all’interesse di amministrazioni ed enti locali. In Spagna, seppur gradatamente e con le
soprattutto di una variazione genetica determinata».
326
MORENTE M., ESTELLER M., Investigación traslacional y biobancos, 195.
327
Ibidem.
328
Ibid., 196.
329
L’esigenza di un censimento nazionale delle biobanche è avvertita da più parti ed è stata
sottolineata, in particolare, nel Parere del CNB su una Raccomandazione del Consiglio d’Europa e su un
documento del Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie, relativa a Biobanche e ricerca
sul materiale biologico umano, approvato nella seduta Plenaria del 9 giugno 2006 e nelle Linee Guida
sulle biobanche genetiche stilate dalla Fondazione Telethon e dalla SIGU già nel 2003.
330
ZIKA E., PACI D., SCHULTE IN DEN BÄUMEN T., BRAUN A., RIJKERS-DEFRASNE S., DESCHÊNES M.,
FORTIER I., LAAGE-HELLMAN J., SCERRI C.A., IBARRETA D., Biobanks in Europe: Prospects for Harmonisation
and Networking, European Commission, Joint Research Centre, Institute for Prospective Technological
Studies, 2010, 83.
147
difficoltà del caso, grazie alle specificità normative, istituzionali e organizzative è stato
invece possibile raggiungere traguardi numerici e operativi molto più significativi, a
testimonianza quanto meno di un interesse e di un’attenzione maggiore tanto
dell’opinione pubblica quanto della classe dirigente.
È difficile individuare con certezza le ragioni di tali differenze. Spesso la stessa
necessità di bilanciare gli interessi in gioco posti in essere dai vari stakeholders conduce
ad un immobilismo legislativo
cui probabilmente si deve una buona parte delle
problematicità. Ma non solo. L’esperienza basca ha mostrato come una completa
valorizzazione delle opportunità offerte dallo sviluppo delle biotecnologie richieda la
massima sinergia negli sforzi e nelle azioni dei diversi operatori che possono concorrere
a tale valorizzazione, anche in considerazione della necessità di ottimizzare l’uso delle
specifiche risorse disponibili, per loro natura scarse. Come si è avuto modo di vedere, la
risposta spagnola è stata la creazione di networks di eccellenza scientifica
sufficientemente ampi e in grado di garantire, da una parte quella massa critica
indispensabile per sopportare gli ingenti costi della ricerca biomedica e genetica,
dall’altra un patrimonio umano, sociale e relazionale indispensabile per alimentare il
prosieguo della ricerca stessa. Tutto ciò accompagnato da ordinamenti e normative in
grado di supportare tale processo.
In Italia, a parere di chi scrive, ancora non sono state poste le basi per un mutuo
rapporto fiduciario tra biobanca e ricercatore ed i successi fino ad ora raggiunti
sembrano essere più fortunate eccezioni che traguardi sistemici. Trentino Biobank si è
sviluppata in un contesto socio-economico e politico pronto a tale sfida innovativa posta
in essere dalla modernità e dal continuo progresso scientifico e, per come si sta
strutturando, potrà sicuramente porsi alla pari di altre realtà internazionali operanti da
più tempo nel medesimo settore.
148
Conclusioni
All’interno dei suoi due nanometri, la doppia elica del DNA custodisce la chiave
di accesso per la comprensione di malattie ritenute fino ad oggi incurabili. Le sue
componenti rappresentano, infatti, una straordinaria fonte di informazioni rilevante dal
punto di vista scientifico e di riflesso anche economico. Le speranze della scienza e
delle medicina personalizzata non sono, però, riposte esclusivamente nel cosiddetto
codice della vita. I progressi della ricerca biomedica, raggiunti negli ultimi anni, sono
riconducibili sia agli sviluppi della biologia molecolare, che ha permesso l’analisi
massiccia dei dati genetici, sia alla possibilità di disporre di una massa critica di
campioni biologici, raccolti, annotati e conservati secondo standard di elevata qualità.
Da qui, la necessità di creare strumenti di lavoro e strutture come le biobanche, capaci
di collezionare in maniera sistematica, organizzata e professionale materiale biologico
di origine umana.
Il termine biobanca conosce diverse declinazioni all’interno del panorama
scientifico, potendosi distinguere a seconda del tipo di materiale che conservano e dello
scopo per cui sono state istituite. Di fronte a questo composito panorama, la disciplina
giuridica delle biobanche di ricerca appare altrettanto articolata. Manca ancora una
definizione condivisa di biobanca e nel silenzio del legislatore prolificano le guidelines
e altri strumenti non vincolanti. Il ruolo dell’interprete, in un simile frangente, è
pertanto quello di ricomporre le tessere di questo variegato mosaico, applicando alla
disciplina giuridica della biobanca quella regolamentazione, contenuta in altri atti, che
può interessarla sotto alcuni profili.
Dal panorama normativo internazionale, europeo ed italiano analizzato, emerge
forte l’esigenza di creare tassonomie comuni e di predisporre un quadro omogeneo
capace di rispondere alle sfide etiche e giuridiche più pressanti sollevate dalle
biobanche. Un argomento così complesso non può che essere affrontato a livello
multidisciplinare, tenendo conto di tutti i soggetti coinvolti. Se dal punto di vista
medico-scientifico è ormai assodata l’importanza del ruolo delle biobanche, dal punto di
vista legislativo occorre creare un’adeguata cornice normativa internazionale e
nazionale che tuteli sia gli interessi del paziente - predisponendo una disciplina chiara
ed equilibrata che regoli le differenti fasi del trattamento del materiale biologico umano
149
“dalla sala operatoria al laboratorio del ricercatore” - sia degli operatori sanitari e dei
ricercatori, facendo in modo che questa stessa disciplina sia dotata della flessibilità
necessaria per non imbrigliare lo sviluppo scientifico e tecnologico propiziato dalle
biobanche.
Le questioni giuridiche nuove che necessitano di essere regolate riguardano, in
primo luogo, la rete di relazioni che lega la biobanca ed i pazienti-donatori, quali la
configurazione di un diritto di proprietà sul campione biologico, la tutela della privacy
(con riferimento ai dati sensibili e genetici derivanti dai campioni biologici), il dovere di
feedback da parte della biobanca ed il delicato ruolo del consenso informato al
trasferimento dei campioni ed al trattamento delle informazioni in essi contenuti. Gli
effetti giuridici derivanti dalla prestazione del consenso sono al momento ancora
piuttosto nebulosi e si è anche visto quanto chiarire la natura giuridica dei campioni
biologici sia una quaestio di non facile soluzione. Nei materiali biologici, infatti, si
fondono e si confondono le antinomie soggetto-oggetto e proprietà-privacy. Il legame
“bi-fronte” che si instaura tra il soggetto ed i suoi tessuti, in quanto supporto materiale,
ed il medesimo soggetto e i dati derivanti dal campione deve essere sussunto, come è
stato notato da alcuni autori, nella categoria giuridica dell’appartenenza. Per provare a
fornire una risposta, sono state qui esaminate le evoluzioni dottrinali e giurisprudenziali
che hanno affrontato questa complessa tematica.
La dottrina italiana aveva elaborato, già a partire dagli anni’30, alcune soluzioni.
Per Carnelutti, ad esempio, la separazione della parte dal corpo perfezionava la nascita
del diritto di proprietà in capo al soggetto-fonte. Per Bianca, al contrario, il distacco
qualificava giuridicamente i tessuti come res nullius a seguito della derelectio da parte
del paziente: il medico operante può pertanto appropriarsene mediante adprehensio
(teoria dell’occupazione). Secondo l’opinione di De Cupis, invece, a seguito
dell’ablazione, il materiale biologico esce dalla sfera giuridica strettamente personale
per entrare immediatamente in quella patrimoniale del soggetto medesimo, senza per
questo passare attraverso la condizione intermedia di res nullius. Altre tesi dottrinali
ravvisano analogie con la disciplina dei frutti naturali, delle opere dell’ingegno o
dell’acquisto per specificazione.
150
Anche la giurisprudenza, dal canto suo, ha cercato di fornire una risposta come si è
avuto modo di appurare dalla dettagliata analisi dei casi Moore, Greenberg, Catalona e
delle due sentenze spagnole, che offrono soluzioni differenti ed illuminano un
particolare aspetto della questione.
Analizzando la complessa tematica dell’allocazione delle risorse biologiche
attraverso la lente dell’analisi economica del diritto è stato, però, possibile ipotizzare le
biobanche organizzate come strutture esercenti una funzione pubblica. In questo modo,
esse non sarebbero vincolate esclusivamente alla logica del profitto ma dovrebbero
uniformarsi piuttosto a quella dell’equità, effettuando scelte di lungo periodo per
promuovere il benessere della collettività. Le biobanche, quindi, gestendo i campioni
biologici alla stregua della categoria economica dei commons garantirebbero, da un lato,
la riservatezza dei dati personali e, dall’altro, la fruizione e l’equa distribuzione presso i
ricercatori.
La difficoltà di inquadrare il regime dei campioni staccati dal corpo all’interno delle
categorie della proprietà e delle privacy, come testimoniato dalla dottrina e dalla
giurisprudenza analizzate, sorge dall’intrinseca ambiguità del materiale biologico
umano. La problematica si rivela particolarmente pregnante nell’ambito delle
biobanche. Su tale fronte, la dottrina americana sta svolgendo interessanti esplorazioni
riguardo nuovi modelli e forme graduate di proprietà, volti a coniugare la relazione
soggetto-oggetto in termini diversi ed ulteriori rispetto alla distruzione fisica del
materiale o all’anonimizzazione. Si tratta, come abbiamo visto, dell’idea di veracity,
quale valore da sostituire alla concetto di privacy e del modello del Biotrust, che segna
un svolta partecipativa nella tradizionale visione delle proprietà.
Ecco che per ricomporre il quadro e gli interessi coinvolti vale la pena indagare
queste soluzioni e partecipare alla riscrittura di un nuovo statuto giuridico del corpo
umano. I materiali biologici umani, in quanto beni di rilevanza collettiva, sollecitano
una proprietà di «terzo grado» che la categoria economica dei commons potrebbe aiutare
a teorizzare. Tale categoria potrebbe risultare funzionale anche per sciogliere il nodo
cruciale dello sharing dei dati e dell’accesso alle risorse biologiche raccolte nelle
biobanche di ricerca.
Il trasferimento di informazioni e materiali avviene solitamente mediante lo
strumento contrattuale dell’Material Transfer Agreement. Sono state, però, indagate le
151
alternative elaborate a livello internazionale, come la biobanca open source, i protocolli
open access e la governance open access che aprono prospettive affascinanti. Ma la tesi
che qui si sostiene muove la proprie mosse dalla considerazione che la biobanca
possiede già il potenziale per promuovere la ricerca, l’innovazione ed il trasferimento
tecnologico fungendo da connettore e catalizzatore tra università, centri di ricerca, enti
pubblici ed imprese private. Lo strumento per operare il trasferimento dei materiali
potrebbe essere il tanto criticato MTA purché, però, attraverso la predisposizione di
apposite regole a livello statutario, vengano snellite le procedure per ottenere la cessione
del campione. Per evitare il prospettato fenomeno del “biobank shopping” si potrebbe
procedere all’uniformazione dei MTA ad un core di principi stabiliti a livello
sovranazionale da organizzazioni o network come EuroBioBank o BBMRI.
Quest’ultima soluzione, ad esempio, è stata adottata con successo dal Biobanco Vasco
O+ehun.
Inoltre, sarebbe perfettamente coerente con l’idea originaria di bailment, che
prevede la restituzione del bene al bailor, inserire nell’MTA una clausola di grant back:
anche qui il modello spagnolo costituisce un utile riferimento, avendo imposto ad i
ricercatori che ottengono i materiali biologici un obbligo di report circa lo studio
effettuato, i dati aggregati ed i risultati.
La dimensione materiale del tessuto, del resto, è destinata a scomparire, ma ad
essa sopravviverà quella informazionale. La biobanca, a parere di chi scrive, dovrebbe
stoccare quei dati che non si prestano ad un diretto utilizzo a scopo commerciale
granted back dai ricercatori e condividerle. Come si è avuto modo di sottolineare, è
preferibile la gestione dei dati di natura pre-competitiva alla stregua di “commons”,
lasciandoli liberamente fruibili all’interno della comunità dei ricercatori. Mettendo a
disposizione questo genere di informazioni, la biobanca diventerebbe una risorsa
strategica in grado di fornire quegli strumenti capaci di accelerare la validazione
preclinica del target e di prevenire il dispendioso fenomeno della duplicazione delle
ricerche. Inoltre, non ponendo restrizioni alla brevettabilità di quanto derivato dai
campioni ceduti dalla biobanca, l’MTA potrebbe ragionevolmente prevedere una
clausola con cui il detentore del brevetto accordi al biorepository una licenza di ricerca
non esclusiva ed esente da royalties per ciascuna invenzione.
152
Alla luce di quanto emerso, poter fare riferimento a due esempi concreti di
biobanche di ricerca all’avanguardia, oltre alla possibilità di effettuare una
comparazione tra due realtà europee, è servito a puntualizzare certi aspetti e a fare
emergere alcune criticità, a partire dalle quali sarebbe possibile, oltre che auspicabile,
avviare una riflessione ed alimentare il dibattito per implementare il sistema. Grazie alla
Ley de Investigación Biomédica ed allo sviluppo di biobanche e network coordinato a
livello centrale dall’Instituto de Salud Carlos III, l’ordinamento spagnolo è già pronto
ad accogliere la regolamentazione tecnica che sarà dettata a breve; con la creazione del
Registro Nazionale si stabiliranno in maniera definitiva i criteri di accreditamento e
certificazione delle biobanche, ponendo le basi per un mutuo rapporto fiduciario tra
biobanca e ricercatore.
In Italia, appare evidente la necessità di uno sforzo normativo ulteriore tale da
legittimare gli esempi già operativi sul territorio nazionale, ma non ancora ufficialmente
riconosciuti, ed incentivare l’ingresso dei nuovi operatori in un settore ormai
determinante. Trentino Biobank si è sviluppata in un contesto socio-economico e
politico pronto a tale sfida innovativa e, per come si sta strutturando, potrà sicuramente
porsi alla pari di altre realtà internazionali operanti da più tempo nel medesimo settore.
Viste le potenzialità, mai pienamente valorizzate, presenti sul nostro territorio sarebbe
auspicabile un intervento normativo che, almeno a livello definitorio, supportasse la
nascita di un “sistema nazionale della ricerca” così da porci come interlocutori sempre
più autorevoli nella scena internazionale.
153
154
APPENDICE 1
Simple Letter Agreement for the Transfer of Materials
In
response
to
RECIPIENT’s
request
for
the
MATERIAL
___________________________________________ the PROVIDER asks that the
RECIPIENT and the RECIPIENT SCIENTIST agree to the following before the RECIPIENT
receives the MATERIAL:
1. The above MATERIAL is the property of the PROVIDER and is made available as a service
to the research community.
2. THIS MATERIAL IS NOT FOR USE IN HUMAN SUBJECTS.
3. The MATERIAL will be used for teaching or not-for-profit research purposes only.
4. The MATERIAL will not be further distributed to others without the PROVIDER’s written
consent. The RECIPIENT shall refer any request for the MATERIAL to the PROVIDER. To
the extent supplies are available, the PROVIDER or the PROVIDER SCIENTIST agree to
make the MATERIAL available, under a separate Simple Letter Agreement to other scientists
for teaching or not-for-profit research purposes only.
5. The RECIPIENT agrees to acknowledge the source of the MATERIAL in any publications
reporting use of it.
6. Any MATERIAL delivered pursuant to this Agreement is understood to be experimental in
nature and may have hazardous properties. THE PROVIDER MAKES NO
REPRESENTATIONS AND EXTENDS NO WARRANTIES OF ANY KIND, EITHER
EXPRESSED OR IMPLIED. THERE ARE NO EXPRESS OR IMPLIED WARRANTIES OF
MERCHANTABILITY OR FITNESS FOR A PARTICULAR PURPOSE, OR THAT THE
USE OF THE MATERIAL WILL NOT INFRINGE ANY PATENT, COPYRIGHT,
TRADEMARK, OR OTHER PROPRIETARY RIGHTS. Unless prohibited by law, Recipient
assumes all liability for claims for damages against it by third parties which may arise from the
use, storage or disposal of the Material except that, to the extent permitted by law, the Provider
shall be liable to the Recipient when the damage is caused by the gross negligence or willful
misconduct of the Provider.
7. The RECIPIENT agrees to use the MATERIAL in compliance with all applicable statutes
and regulations.
8. The MATERIAL is provided at no cost, or with an optional transmittal fee solely to
reimburse the PROVIDER for its preparation and distribution costs. If a fee is requested, the
amount will be indicated here: ______________
The PROVIDER, RECIPIENT and RECIPIENT SCIENTIST must sign both copies of this
letter and return one signed copy to the PROVIDER. The PROVIDER will then send the
MATERIAL.
PROVIDER INFORMATION and AUTHORIZED SIGNATURE
155
Provider Scientist:______________________________________________________________
Provider Organization: __________________________________________________________
Address:______________________________________________________________________
Name of Authorized Official: _____________________________________________________
Title of Authorized Official:______________________________________________________
Certification of Authorized Official: This Simple Letter Agreement has  / has not  [check
one] been modified. If modified, the modifications are attached.
______________________________
_______________________
Signature of Authorized Official
Date
RECIPIENT INFORMATION and AUTHORIZED SIGNATURE
Recipient Scientist: ___________________________________________________________
Recipient Organization: ________________________________________________________
Address: ____________________________________________________________________
Name of Authorized Official: ___________________________________________________
Title of Authorized: ___________________________________________________________
Official:_____________________________________________________________________
Signature of Authorized Official:_________________________________________________
Date: _______________________________________________________________________
Certification of Recipient Scientist: I have read and understood the conditions outlined in this
Agreement and I agree to abide by them in the receipt and use of the MATERIAL.
______________________________
_______________________
Recipient Scientist
Date
156
APPENDICE 2
MATERIAL TRANSFER AGREEMENT (MTA)
This Agreement is made the…………..day of ………. 2006 between………………….. whose
registered office is situated at …………………………. (hereinafter called "Recipient")
and
………………………….., having its principal offices …………………………., (hereinafter
"Provider")
in the frame of EuroBioBank network.
WHEREAS:
Ε.
EuroBioBank (EBB) is a European network of biological banks, which provides
human DNA, cell and tissue samples as a service to the scientific community
conducting research on rare diseases.
Φ.
Provider is a member of the EuroBioBank network and as such has adhered to the
EuroBioBank Charter
Γ.
Recipient is a ………… whose principal object is to research and develop
…………….. in the field of rare diseases.
Η.
Recipient acknowledge that this agreement is entered into in order to encourage
scientific collaboration and exchange of data and material in the field of rare
diseases.
NOW IT IS HEREBY AGREED AS FOLLOWS:
Pursuant to Recipient’s request that certain research material be made available for research
and/or testing purposes, Provider agrees to provide to Recipient this biological material under
the following terms and conditions:
157
Supply of samples and information
15. The research material covered by this agreement, hereinafter “Biological Material” is
identified in the Request Form (Appendix A).
16. Within sixty (60) days from the date of this Agreement above, Provider shall provide
Recipient with samples of the Biological Material, in good condition along with
associated information and data developed by Provider as appropriate. The samples
shall be sent to the attention of: ……………., or his designee, at Recipient’s site;
…………………. (address of the site for delivery). All custodianship of the Biological
Material will pass to Recipient from the point of delivery of the sample to the
Recipient’ site. Recipient will then be responsible for its use, storage and disposal for
the term of the Agreement. Recipient agrees not to take or send the Biological Material
to any other location or to a third party without advance written approval of Provider
17. Recipient hereby accepts, upon the terms and conditions herein specified, the
custodianship of the Biological Material to enable Recipient to use the Biological
Material for the sole purpose of conducting experimental research to the exclusion of
any commercial use of the Biological Material. The experimental research conducted by
Recipient with the Biological Material, hereinafter the “Research”, is described in
Appendix B.
18. Recipient shall use the Biological Material in compliance with all applicable laws and
government regulations. Under no conditions will the Material be used in human
subjects.
19. The Biological Material has been collected and processed by Provider in compliance
with all applicable laws, rules, regulations and other requirements of any applicable
governmental authority, including without limitation those applicable to patient
informed consent.
158
20. Prior to the transfer of the Biological Material to Recipient, Provider will ensure that the
samples are either coded or anonymised, so that under no circumstances will Recipient
be supplied with the identity of the patient, or any basic clinical information, that in
Provider’s opinion could identify the patient.
21. Recipient understands that the Biological Material delivered hereby is experimental in
nature and should be used with prudence and appropriate caution since not all of its
characteristics are known. Recipient assumes all liability for damages, which may arise
from the use, storage, handling or disposal of the Biological Material or its derivatives.
22. Provider makes no representations and extends no warranties of any kind, either
expressed or implied. Provider and its directors, officers, employees, or agents assume
no liability and make no representations in connection with the Biological Material or
the derivatives or the information or their use by Recipient or its investigators.
Recipient will defend, indemnify and hold harmless Provider, its directors, officers,
employees, and agents from any damages, claims, or other liabilities which may be
alleged to result in connection with the Biological Material, derivatives or information.
There are no expressed or implied warranties of merchantability or fitness for a
particular purpose, or that the use of the Biological Material and related information
will not infringe any patent, copyright, trademark or other rights.
Research results/publication/acknowledgement of contribution
23. Recipient shall share the results of the Research obtained through use of the
Biological Material with Provider. In particular, Recipient undertakes to send a
copy of any such publication based on use of the Biological Material (or
derivative), promptly after it is published, to Provider, and to EuroBioBank at the
following e-mail address [email protected]
159
24. In accordance with scientific customs, the contributions of those who have made
Biological Material available or of the EuroBioBank Scientists if appropriate, will
be reflected expressly in all written or oral public disclosures concerning the
Research using the Biological Material, by acknowledgment or co-authorship, as
appropriate. The origin of the Biological Material must be included in such
disclosures, as follows: “We thank [bank X] for providing the samples. [bank X] is
a partner of the EuroBioBank Network established in 2001 thanks to EC funding
(01/2003-03/2006), www.eurobiobank.org"
Publicity
25.
Neither Recipient nor Provider shall use the name of the other party or any contraction or
derivative thereof or the name(s) of the other party’s faculty members, employees, contractors or
students, as applicable, in any advertising, promotional, sales literature, or fund-raising documents
without prior written consent from the other party.
Confidentiality
26.
Each of Recipient and Provider undertakes to retain in confidence and not disclose to any
third party any confidential information and samples received from the other party.
Such
information may, however, be disclosed insofar as such disclosure is necessary to allow a party, or
its employees to defend against litigation, to file and prosecute patent applications, or to comply
with governmental regulations. Such obligation of confidentiality shall be waived as to information
and samples which (i) is in the public domain; (ii) comes into the public domain through no fault of
the receiving party; (iii) was known prior to its disclosure by the receiving party, as evidenced by
written records; or (iv) is disclosed to the receiving party by a third party having a lawful right to
make such disclosure. Such obligations of confidentiality shall continue for five (5) years from the
completion or termination of the Research.
Costs
160
27.
Recipient will make appropriate payment to cover reasonable administration costs in the
supply and transport of the samples but will make no payments for the samples themselves.
Term and Termination
28. This agreement will terminate on the earliest of the following dates : (a) XXX years
from the date of signing this agreement, or (b) on completion of the Recipient’s current
Research with the Biological Material, or (c) on thirty (30) days written notice by either
party to the other.
29. On termination for any reason, Recipient agrees to return or dispose of any remaining
Biological Material, in accordance with the Provider’s directions.
Miscellaneous
30. This Agreement constitutes the complete and exclusive agreement between Provider
and Recipient with respect to the subject matter hereof, and supersedes all prior oral or
written understandings, communications or agreements not specifically incorporated
herein. This Agreement may not be modified. If any provision of this Agreement is held
to be unenforceable for any reason, such provision shall be reformed only to the extent
necessary to make it enforceable, and such decision shall not affect the enforceability (i)
of such provision under other circumstances, or (ii) of the remaining provisions hereof
under all circumstances.
In witness whereof, Recipient and Provider have executed this agreement as of the date below
written.
161
PROVIDER
RECIPIENT
By :
By :
Name :
Name :
Title
Title :
Date
Date :
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-Request Form
-Project description
162
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