Biobanche di ricerca: aspetti etico-giuridici ed organizzativi con

Transcript

Biobanche di ricerca: aspetti etico-giuridici ed organizzativi con
Dr. Mattia Barbareschi
Dr. Martino Bellusci
Biobanche di ricerca:
aspetti etico-giuridici ed organizzativi
con riferimento al progetto Trentino
Biobank.
Relatore Prof. Carlo Casonato
Dipartimento di Scienza Giuridiche
Università degli Studi di Trento
1
2
1. INTRODUZIONE
Oggetto della presente presentazione è una discussione generale di alcuni degli aspetti
di maggiore interesse nell’ambito delle biobanche, mettendo in relazione tali
considerazioni con quanto attuato nell’ambito del progetto di Trentino Biobank.
L’argomento trattato trova inoltre una corrispondenza anche nell’elaborato del Dr. Luca
Morelli e del Dr. Alberto Brolese, ove vengono affrontati altri aspetti dello stessa
problematica, quali la risposta dei pazienti, quale sia il coinvolgimento della unità
operative chirurgiche e una valutazione dei costi del progetto. Per esigenze di
inquadramento del problema nei due elaborati vi sono delle considerazioni comuni e
condivise frutto della integrazione delle attività di studio.
Trentino Biobank, nata da un progetto co-finanziato dalla Fondazione Cassa di
Risparmio di Trento e Rovereto e dalla Provincia Autonoma di Trento, è attualmente
una unità funzionale della U.O. di Anatomia Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di
Trento. Trentino Biobank è preposta alla raccolta e alla conservazione di materiale
biologico umano, comprendendo frammenti di neoplasie asportate chirurgicamente, che
attualmente vengono distrutti come rifiuti speciali, e campioni di sangue o altri liquidi
biologici, quali urine, saliva, etc.
Lo scopo di Trentino Biobank è di supportare la ricerca medico-scientifica fornendo agli
Istituti di Ricerca campioni biologici di elevata qualità, accuratamente annotati,
necessari allo svolgimento di indagini biomolecolari.
Trentino Biobank garantisce che i campioni biologici sono raccolti e conservati nel
rispetto delle norme etico – giuridiche, e con elevati livelli di sicurezza nel trattamento
dei dati sensibili dei pazienti donatori. I campioni saranno forniti agli Istituti di Ricerca
solo nell’ambito di progetti di ricerca autorizzati da un Comitato Etico.
3
4
2. QUADRO NORMATIVO ATTUALE
Individuare il quadro normativo applicabile all’attività di biobanking è
un’operazione particolarmente complessa, posto che, come già anticipato, non esiste né
a livello internazionale, né a livello municipale, una regolamentazione organica in
materia. Vi sono numerose linee guida e raccomandazioni non vincolanti che si
occupano della tematica in esame, le quali, tuttavia, non hanno carattere cogente.
Inoltre vi sono alcune norme recenti quali le Autorizzazazioni dell’Autorità garante per
la Protezione dei dati Personali che rappresentano ulteriori importanti punti di
riferimento.
Trentino Biobank si è avvalsa della collaborazione del Dr. Matteo
Macilotti, per una analisi dettagliata di tali aspetti, le cui considerazioni in merito
vengono integrate nel presente documento.
Non essendo quindi presenti norme di riferimento che regolino il funzionamento
delle biobanche, in quanto tali, è dunque necessario far riferimento ai principi e alle
disposizioni che regolano le singole attività in esse svolte: la raccolta dei tessuti umani,
la conservazione dei dati, le attività di ricerca, di diagnosi o di cura condotte sul
campione. Per quanto attiene alle biobanche di ricerca, un’ulteriore criticità, che si
riscontra nell’individuazione del quadro normativo, risiede nella mancanza di una
visione univoca circa la natura giuridica dell’attività di ricerca svolta sui campioni
biologici umani. Vi è infatti chi ritiene che la funzione svolta dalle biobanche si
inserisca nel più ampio quadro della ricerca condotta sull’essere umano e, pertanto,
invoca l’applicazione, anche per l’attività di cui stiamo parlando, delle norme che
disciplinano le sperimentazioni scientifiche condotte sull’uomo. Diversamente, vi è chi
attribuisce alla ricerca sui campioni biologici umani staccati dal corpo una natura
distinta rispetto alle ricerche condotte sull’uomo e, quindi, ritiene applicabile un quadro
normativo peculiare per queste tipologia di ricerche. Chi sostiene questa seconda tesi
evidenzia le diversità correnti tra la ricerca condotta sull’uomo e la ricerca sui campioni
biologici umani staccati dal corpo, rilevando come quest’ultima non abbia alcuna
ricaduta diretta sulla salute del soggetto dal quale i tessuti sono stati ricavati.
Per tali ragioni, la definizione del quadro normativo non può che muovere verso
l’individuazione di alcuni principi generali, non pensati appositamente per questa
tipologia di enti, ma nondimeno applicabili in via analogica.
5
Due sono i principi che ricorrono costantemente a livello municipale ed internazionale:
il principio di «gratuità» nella cessione dei campioni biologici umani, ed il principio
che fa obbligo di ottenere il consenso informato del paziente per poterne conservare ed
utilizzare i tessuti ed i dati a loro associati.
Non è certamente questa la sede per riflettere a fondo sul principio di gratuità. Ai nostri
fini mette conto avvertire che esistono due possibili interpretazioni di questo principio.
In base ad una lettura «radicale», esso escluderebbe qualsiasi possibilità di costituire
diritti patrimoniali sul corpo umano e sui tessuti che lo compongono, anche dopo la loro
ablazione dal corpo di origine. In una seconda e più sfumata accezione, il principio di
gratuità esprimerebbe il mero divieto di disporre a titolo oneroso di una parte staccata
del corpo umano, laddove la regola dell’extrapatrimonialità andrebbe intesa come
regola di organizzazione del sistema di circolazione dei diritti sul corpo, atta a
salvaguardare i soggetti coinvolti, garantendo la libertà e la spontaneità delle donazioni.
È evidente che solo aderendo alla seconda di queste tesi è possibile configurare un
diritto di proprietà su una parte del corpo umano.
Per quanto attiene al consenso informato occorre rilevare come per un paziente
che affronta un intervento chirurgico da cui potranno derivare biomateriali utilizzabili
anche in ambito di ricerca, esso si articoli in due fasi che è bene tenere tra loro distinte,
in quanto caratterizzate da problematiche differenti. Vi è il consenso informato
all’asportazione chirurgica del tessuto e il consenso alla conservazione e all’utilizzo del
materiale biologico per scopi di ricerca.
Nella prima fase, il consenso ha ad oggetto l’intervento chirurgico effettuato
sul corpo del paziente con finalità diagnostiche e terapeutiche: tuttavia dai campioni
chirurgici ottenuti durante questi interventi è possibile ricavare campioni biologici
ridondanti ai fini diagnostici che possono essere utilizzati in ricerca. Nella gran parte dei
casi, infatti, i tessuti utilizzati a scopo di ricerca non vengono asportati mediante
interventi ad hoc, ma nell’ambito di operazioni chirurgiche o diagnostiche condotte per
fini diagnostici o terapeutici. Il consenso di cui si parla è dunque espressione del diritto
del soggetto di autodeterminarsi in relazione a scelte suscettibili di avere effetto sulla
propria salute, così come sancito dal secondo comma dell’art. 32 della Carta
Costituzionale. Tale consenso incontra i tradizionali limiti posti dall’art. 5 c.c., che vieta
6
gli atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente
dell’integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o
al buon costume. Ha inoltre l’effetto di scriminare un intervento medico che altrimenti si
appaleserebbe illecito. In questo caso, il potere di disporre del proprio corpo viene
inteso come espressione sia della libertà personale che dell’autonomia della persona,
visto che nella sua integrità il corpo è inscindibilmente legato alla persona.
Diversamente, il consenso alla conservazione del materiale biologico (e dei
dati ad esso associati) “staccato” dal binomio corpo-persona non ha ad oggetto un
intervento di natura medica da effettuarsi sul corpo del consenziente, ma la
conservazione e l’utilizzo di un bene che, a seguito di un’operazione chirurgica
(consentita da un indipendente atto autorizzativo), ha acquisito una sua autonomia
rispetto al corpo (e dunque alla persona) dal quale proviene, tanto che l’attività di
stoccaggio e le attività condotte sul campione non hanno alcuna influenza diretta sulla
salute del paziente. Di conseguenza, il bene giuridico che il consenso si propone di
tutelare non può più essere individuato nel diritto di autodeterminazione del singolo in
ordine alla propria salute. Questo dato è importante, poiché preclude la possibilità di
equiparare le ricerche condotte sui campioni alle ricerche condotte sull’uomo e mette in
risalto come in questo contesto gli effetti del consenso informato esulino dagli schemi
tradizionali.
7
Riportiamo di seguito quelli che sono attualmente i riferimenti normativi più importanti
a cui fare riferimento, per la corretta impostazione della problematica organizzativa
delle biobanche.
2.1. NORMATIVA IN AMBITO INTERNAZIONALE
a) Convenzione di Oviedo, 1997, Consiglio d’Europa, Convenzione per la protezione
dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della
biologia e della medicina;
b) Raccomandazione R(2006)4 del Consiglio d’Europa, sui Materiali Biologici di
Origine Umana (Strasburgo - Marzo 15, 2006).
(Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina)
2.2. NORMATIVA IN AMBITO COMUNITARIO
a) Direttiva 95/46/CE relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al
trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati;
b) Direttiva 98/44/CE, relativa alla protezione delle invenzioni biotecnologiche;
c) Direttiva 2001/83/CE, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso
umano;
d) Direttiva 2004/23/CE, definizione di norme di qualità e di sicurezza per la donazione,
l'approvvigionamento, il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio e la
distribuzione di tessuti e cellule umani;
8
2.3 NORMATIVA NAZIONALE
a) D. Lgs. 196 del 2003, c.d. Codice della Privacy;
b) Autorizzazione del Garante della Privacy al trattamento dei dati genetici, come
prevista dell’art. 90 del D. Lgs. 196 del 2003;
c) D. Lgs. 6 novembre 2007, n. 191, Attuazione della Direttiva 2004/23/CE sulla
definizione delle norme di qualità e sicurezza per la donazione, l’approvvigionamento,
il controllo, la lavorazione, la conservazione, lo stoccaggio, e la distribuzione di cellule
e tessuti umani;
d) L. 22 febbraio 2006 n. 78, Implementazione della Direttiva 98/44/CE, sulla
protezione delle invenzioni biotecnologiche;
e) Documento del Comitato per la Biosicurezza e le Biotencologie e le Scienze della
Vita, “Raccolta di campioni biologici a fini di ricerca: consenso informato”, 16 febbraio
2009;
f) Accordo ai sensi dell’art. 4 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, tra il
Governo, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano sulle linee progettuali
per l’utilizzo da parte delle Regioni delle risorse vincolate ai sensi dell’art.1, commi 34
e 34 bis, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 per la realizzazione degli obiettivi di
carattere prioritario e di rilievo nazionale per l’anno 2009.
g) Autorizzazione Generale al trattamento dei dati personali effettuato per scopi di
ricerca scientifica - 1° marzo 2012
9
10
3. QUESTIONI APERTE
Vari sono gli aspetti ancora irrisolti in ambito di biobanking, che possiamo cercare di
riassumere schematicamente nei seguenti punti.
3.1 MANCANZA DI UNA DEFINIZIONE DI BIOBANCA A SCOPO DI
RICERCA
E’ importante definire l’ente “biobanca a scopo di ricerca”, poiché in assenza di una
definizione risulta impossibile individuare quali e quante siano le biobanche esistenti e
quali raccolte di campioni biologici possano essere considerate biobanche. Non tutte le
raccolte di biomateriali si possono, infatti, considerare biobanche e, dunque, non tutte le
raccolte di biomateriali saranno assoggettate alla disciplina che potrà essere predisposta
per le biobanche. Occorre, quindi, definire la caratteristiche e i criteri organizzativi che
permettano ad una raccolta di campioni di essere definita biobanca.
La definizione non rappresenta, in quest’ambito, un aspetto puramente formale, ma è
l’elemento centrale in grado di stimolare la costruzione di biobanche informate a criteri
qualitativi idonei ad assicurare la massima tutela possibile ai soggetti che conferiscono i
campioni e, nel medesimo momento, di assicurare la miglior conservazione del
materiale biologico.
3.2
MANCANZA
DI
UNA
DEFINIZIONE
DELLA
STRUTTURA
ORGANIZZATIVA DELLA BIOBANCA
Legata alla mancata definizione dell’ente biobanca vi è la mancata individuazione della
sua struttura organizzativa minima e l’individuazione dei soggetti responsabili. Occorre
istituzionalizzare la figura del “responsabile della biobanca”, così come occorre
individuare le figure responsabili del trattamento dei dati, della raccolta dei consensi e
dei biomateriali, e dello stoccaggio dei campioni. Non ultimo, deve essere pensata una
struttura per la biobanca che assicuri la trasparenza del suo operato e la tracciabilità
delle operazioni compiute sui campioni biologici.
11
3.3 MANCANZA DI UN ENTE CERTIFICATORE E DI UN REGISTRO
NAZIONALE
Legato al nodo della definizione vi è anche il tema della certificazione. Una volta
definiti i criteri che permettono ad una raccolta di campioni biologici di essere definita
biobanca, occorre individuare un ente che valuti, certifichi e monitori la presenza dei
requisiti richiesti e si occupi di curare un registro delle biobanche.
3.4. MANCANZA DI UNA NORMAZIONE IN TEMA DI CONSENSO
INFOMATO
La norma di recepimento della Direttiva 98/44/CE in tema di brevetti biotecnologici, fa
espresso richiamo alla normativa sul consenso informato, senza tener conto che una
normativa sul tema non esiste. Vi sono soltanto le due Autorizzazioni del Garante per la
Privacy al trattamento dei dati genetici e al trattamento dei dati personali effettuato per
scopi di ricerca scientifica, le quali, contestualmente al trattamento dei dati regolano
anche l’utilizzo dei campioni biologici in quanto fonte di dati.
Tali disciplina risulta, tuttavia, essere ancora poco soddisfacente in quanto trascura le
peculiarità e le esigenze di una biobanca.
E’ importante rilevare come la definizione dell’ente biobanca e il suo accreditamento
mediante la registrazione nel registro delle biobanche, permetterà al Garante di poter
prevedere una normativa ad hoc per questo ente.
3.5. MANCANZA DELLA DEFINIZIONE DEL REGIME PROPRIETARIO DEI
CAMPIONI BIOLOGICI
Pochissimi Paesi hanno affrontato il problema della proprietà dei campioni, in quanto
questione particolarmente spinosa. Tuttavia, definire il regime proprietario dei campioni
biologici, risulta essere particolarmente utile per stabilire i criteri di utilizzazione dei
campioni stessi. Solo per esemplificare, se i campioni appartengono al ricercatore che li
ha ottenuti, quest’ultimo potrà impedire legittimamente a terzi di utilizzare i campioni.
Diversamente, se i campioni sono un bene pubblico, nessuno avrà la possibilità di
impedire ad altri ricercatori di poter utilizzare tali risorse.
12
3.6 MANCATA DEFINIZIONE DEI CRITERI PER POTER ACCEDERE AI
CAMPIONI BIOLOGICI
La definizione dei termini per l’accesso ai campioni biologici, legata al tema della
proprietà di questi ultimi, è una questione cruciale per uniformare l’accesso alle risorse,
per limitare pratiche monopolistiche, per abbassare i costi transattivi nella negoziazione.
Occorre, in particolare, definire i requisiti minimi per poter accedere ai dati e ai
campioni stoccati in una biobanca, affidando poi alla singola biobanca la possibilità di
prevedere ulteriori requisiti.
13
14
4. DEFINIZIONE DEL TERMINE BIOBANCA DI RICERCA
Il primo passo per affrontare con chiarezza la tematica in oggetto è la definizione degli
obiettivi e della natura delle biobanche di ricerca, la loro distinzione dalle biobanche di
tipo diagnostico o terapeutico, nonché la definizione di entità analoghe ma non
classificabili come biobanche di ricerca. Tale elemento è fondamentale perla
progettazione
di
adeguate
misure
giuridiche,
attualmente
non
disponibili
nell’ordinamento italiano.
Pertanto definiamo come biobanche di ricerca, delle unità di servizio, senza scopo di
lucro diretto, organizzate in unità tecniche con criteri di qualità, ordine e destinazione,
finalizzate alla raccolta, lavorazione e conservazione di materiale biologico umano e dei
dati ad esso afferenti, a scopo di ricerca.
In questa accezione, le biobanche di ricerca, sono da distinguersi dalle semplici raccolte
di campioni biologici: collezioni a scopo di ricerca di materiale biologico e dei dati ad
essi afferenti non organizzate secondo standard e criteri di qualità.
Punti rilevanti della definizione proposta:
a) Unità di servizio:
In primo luogo le biobanche rappresentano “unità di servizio” finalizzate “alla
raccolta, alla lavorazione, alla conservazione, allo stoccaggio e alla distribuzione di
materiale biologico umano” (si veda la definzione fornita nell’Accordo Stato-Regioni
stipulato in data 25 marzo 2009, nonché le Linee guida per l’istituzione e
l’accreditamento delle Biobanche rilasciate il 19 aprile 2006 e redatte da un gruppo di
lavoro istituito presso il Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie). I
risvolti pratici derivanti dall’essere qualificate quali “unità di servizio” sono molteplici,
in particolare, esse dovrebbero essere configurate quale enti autonomi, ancorchè
sorgano all’interno di una specifica divisione all’interno di una struttura sanitaria di
ricovero e cura e/o di ricerca. Ciò impone, dunque, che le biobanche debbano dotarsi di
15
una propria organizzazione interna, di un proprio organigramma, di un proprio
regolamento. Sul punto ritorneremo nel prossimo paragrafo, nel quale affronteremo il
tema dell’organizzazione delle biobanche, suggerendo una loro possibile strutturazione.
b) Ruolo delle biobanche:
Per quanto attiene, invece, ai compiti ad esse spettanti, le definizioni li individuano nella
“raccolta, lavorazione, conservazioni, distribuzione di materiale biologico umano”.
Da ciò si evince “a contrariis” che le biobanche non svolgono attività di ricerca, ma
fungono da meri enti di servizio, a beneficio di coloro che necessitano di utilizzare i
campioni. Si desume, inoltre che esse debbano dotarsi del personale e delle procedure
idonee ad assicurare la raccolta, la lavorazione e conservazione nonché la distribuzione
del materiale biologico.
In particolare, per quanto riguarda la raccolta dei campioni, le biobanche dovranno
predisporre un adeguato sistema di informazione dei potenziali “donatori” e dovranno
ottenere il consenso di questi ultimi per poter stoccare i loro campioni. Tale attività può
comportare un importante carico di lavoro, per il quale sono necessarie adeguate risorse
umane. Sul versante della conservazione, esse dovranno dotarsi di appositi sistemi
tecnologici, in grado di assicurare determinati standard di qualità di conservazione del
materiale. Per quanto attiene alla distribuzione esse dovranno stabilire le regole che
presiedono alla distribuzione del materiale, prevedendo i criteri di accesso, i requisiti
per poter ottenere il materiale, le regole idonee a dirimere gli eventuali conflitti che
dovessero sorgere nel caso di domande multiple dello stesso materiale.
c) Biobanche quali enti senza scopo di lucro:
La definizione proposta stabilisce che le biobanche sono “enti senza scopo di lucro
diretto”. Questo significa che le biobanche non hanno la possibilità di trarre lucro
diretto dal campione, attribuendogli uno specifico prezzo in ragione delle qualità del
campione. Tuttavia, esse hanno la possibilità di imporre un prezzo per il servizio di
conservazione offerto, ma tale prezzo dovrà limitarsi al c.d. “cost recovering” del
servizio, data la loro natura di enti senza scopo di lucro. Tale costo del servizio dovrà
16
diventare una voce costante di spesa in tutti progetti di ricerca che studino biomateriali
umani.
d) Scopo della raccolta dei biomateriali:
I biomateriali (tessuti, liquidi, cellule,…) sono raccolti a scopo di ricerca biomedica.
Quindi le biobanche di ricerca devono essere chiaramente distinte dalle biobanche
costituite a scopo di diagnostico e terapeutico, già peraltro chiaramente disciplinate.
Tale distinzione inoltre vuole enfatizzare due elementi: in primo luogo si vuole
sottolineare che i tessuti raccolti nell’ambito di indagini diagnostiche o di interventi
chirurgici non possono essere utilizzati nell’ambito di attività di ricerca se non vi è
l’espresso consenso da parte del soggetto al quale i campioni si riferiscono (sulle
tematica del consenso ritorneremo in seguito). A tale scopo il garante per la protezione
dei dati personali, ha recentemente pubblicato una proposta di autorizzazione all’uso di
tali biomateriali per ricerche retrospettive non interventistiche, aperta a consultazione
pubblica conclusasi il 31 gennaio 2012. In secondo luogo si vuole sottolineare che le
due attività, cioè la raccolta di biomateriali a scopo di ricerca e a scopo
diagnostico/terapeutico, sono distinte e che, qualora i biomateriali derivino da tessuti
prelevati primariamente a scopo diagnostico/terapeutico (c.d. left over tissue), deve
essere sempre data priorità all’utilizzo del campione a tale scopo. Pertanto, il tessuto
potrà essere impiegato a scopo di ricerca solo se non pregiudica le “potenzialità
diagnostiche” del campione medesimo.
e) Distinzione Biobanche-Semplici raccolte di campioni biologici:
Una delle tendenze a cui si assiste oggi è quella di considerare qualsiasi raccolta di
campioni quale biobanca. La distinzione tra le biobanche e le semplici raccolte di
campioni biologici è funzionale a distinguere le raccolte di biomateriali, sprovviste di
qualsivoglia struttura organizzativa, dalle biobanche quali unità si servizio organizzate
(secondo le modalità che saranno oggetto di analisi nelle prossime pagine). La struttura
delle biobanche, come chiariremo nel prossimo paragrafo, rappresenta non solo un
elemento formale, ma rappresenta un elemento sostanziale, in grado di assicurare una
17
maggior protezione dei diritti dei soggetti coinvolti, nonché un utilizzo più efficiente e
democratico dei campioni biologici e dei dati a loro associati.
4.1. DEFINIZIONE DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI BIOBANCHE DI
RICERCA
Le biobanche di ricerca si possono suddividire in ulteriori “sottogruppi”. Sulla loro
formulazione non vi è una visione concorde, e molteplici possono essere i criteri
adottabili. Una delle possibili distinzioni si basa sul fatto che l’obiettivo della biobanca
sia principalmente rivolto allo studio di malattie geneticamente trasmissibili e di
malattie, che pur avendo anche una alterazione del DNA, sono di caratteri acquisito e
non trasmissibile. In base a tali considerazioni può essere sostanzialmente fatta una
distinzione tra biobanche genetiche e/o di popolazione e biobanche dedicate allo studio
di una determinata patologia non ereditaria. Ovviamente la distinzione non è assoluta e
una medesima biobanca può appartenere a entrambi sottogruppi. Entrando nel dettaglio
possiamo quindi descrivere le due tipologie come segue:
a) Biobanche genetiche e di popolazione: si caratterizzano per la raccolta e la
conservazione di campioni provenienti da: (a)
persone e famiglie con patologie
genetiche trasmissibili; (b) gruppi di popolazione con alta frequenza di portatori o di
affetti da patologie genetiche; (c) popolazioni con caratteristiche genetiche idonee per
l’individuazione di geni di suscettibilità o per studi di farmacogenetica (es. popolazioni
con ridotta variabilità inter - individuale, forte endogamia); (d) gruppi di popolazioni
idonee utilizzabili come controllo;
b) Biobanche per lo studio di una determinata patologia non trasmissibile:
biobanche che raccolgono i campioni unicamente per lo studio di un determinato tipo di
patologia, quali per esempio le biobanche oncologiche.
Le due tipologie di biobanche, pur potendo in taluni aspetti presentare aspetti di
sovrapposizione si caratterizzano per un fatto di importanza fondamentale. Le prime
sono rivolte allo studio di alterazioni geniche di carattere ereditario, cioè per
esempio malattie genetiche mono-multifattoriali o alterazioni geniche responsabili di
18
suscettibilità a contrarre malattie, trasmissibili attraverso le generazioni in quanto
presenti nella linea germinale e quindi con alterazioni presenti in tutte le cellule
dell’organismo. Le seconde sono rivolte per la massima parte alla identificazione di
alterazioni genetiche di tipo acquisito, cioè caratteristiche di una malattia e presenti
solo nelle cellule affette da tale malattia e non in tutte le cellule dell’organismo
comprese quelle della linea germinale. Si tratta cioè di malattie non trasmissibili per via
ereditaria, legate a eventi stocastici determinanti errori di replicazione del DNA (per es.
mutazioni indotte da agenti chimico-fisici o dovute e errori da infedeltà di trascrizione)
o a eventi infettivi (per es.: infezione da parte di virus oncogeni) che comportano
alterazioni di funzioni regolatorie.
Rilevanza della distinzione:
La distinzione è rilevante nella misura in cui diverse tipologie di biobanca possono
richiedere requisiti peculiari. In questo senso, ad esempio, le biobanche di popolazione
richiedono che l’informazione non sia solo individuale ma che siano poste in essere
adeguate misure per informare il “gruppo” analizzato. Le biobanche genetiche
richiedono adeguate procedure di sicurezza data la natura dei dati in essere processati e
la rilevanza di tali dati per le generazioni successive.
La distinzione tra le suddette due tipologie di biobanche non è sempre facile, pertanto
dal punto di vista normativo possono essere due le strategie possibili:
a) procedere alla distinzione tra le varie tipologie di biobanche e prevedere una
disciplina peculiare ove esse lo richiedano;
b) non distinguere le varie tipologie di biobanche di ricerca, ma prevedere particolari
misure nel caso ricorrano determinate situazioni. Solo per esemplificare: si può stabilire
che nel caso in cui si intenda procedere alla raccolta di campioni su base di popolazione,
debbano adottarsi determinate policy informative. Si può inoltre stabilire che nel caso si
intendano trattare dati genealogici si debbano impiegare determinate misure di sicurezza
(etc. etc.).
Questo secondo approccio risulta essere preferibile perché evita le imprecisioni e le
problematiche insite nell’approccio rigidamente definitorio. Inoltre risulta essere
maggiormente flessibile.
19
La normativa sulle biobanche oggetto della presente valutazione riguarda unicamente le
biobanche di ricerca, dato che la conservazione dei tessuti a scopo clinico e diagnostico
è già regolata da un’apposita normativa e soprattutto perché le problematiche che
coinvolgono le biobanche di ricerca sono differenti. Pertanto da qui in avanti con il
termine “Biobanca” ci si riferirà alle “Biobanche costituite a scopo di ricerca medica”.
4.2. BIOBANCHE PUBBLICHE E BIOBANCHE PRIVATE
Uno delle problematiche collaterali ma importanti riguarda la possibilità che vi possano
essere o meno biobanche costuite presso enti privati (fondazioni, società private etc.
etc.).
In questo senso pare opportuno introdurre il principio per cui pur essendo possibile la
costituzione di una biobanca presso enti privati, i campioni stoccati ed i dati ad essi
afferenti rappresentino un patrimonio pubblico. Inoltre l’attività della biobanca,
ancorchè costituita presso un ente privato, dovrà essere considerata come l’esercizio di
una funzione pubblica. In tale modo si può ovviare alla delicatissima questione della
proprietà dei biomateriali una volta separati dalla persona, in quanto in questa accezione
di patrimonio pubblico dei biomateriali la biobanca ne è solamente il curatore, l’ente
che li gestisce nell’interesse della comunità
È importante che le biobanche costituite presso enti privati siano sottoposte ai medesimi
controlli e alle medesime regole delle biobanche pubbliche. Le biobanche costituite
presso enti privati, al pari delle biobanche costituite presso enti pubblici, devono
stabilire regole trasparenti che consentano l’accesso ai campioni ed ai dati in esse
stoccati anche a soggetti che non fanno parte dell’ente.
4.3 TRENTINO BIOBANK: BIOBANCA DI RICERCA
Trentino Biobank è una biobanca oncologica, cioè del tipo “disease oriented” ed è stata
costituita seguendo le considerazioni fatte nei paragrafi precedenti. Infatti è una unità di
servizio, costituita all’interno di una struttura sanitaria pubblica, la U.O. di Anatomia
20
Patologica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento, senza scopo di lucro, il cui obiettivo è
il sostegno alla ricerca tramite la raccolta, lavorazione, conservazione, distribuzione di
materiale biologico umano, raccolto durante le procedure diagnostiche usuali. Come
descritto più oltre ha tutte le caratteristiche organizzative di una unità di servizio, e
rappresenta una garanzia sia per i cittadini che conferiscono i propri biomateriali che per
i ricercatori che ricevono i campioni da studiare.
21
22
5. RICONOSCIMENTO, ACCREDITAMENTO E ASPETTI ORGANIZZATIVI
DELLE BIOBANCHE
Uno dei requisiti essenziali per poter identificare le biobanche, per poter conoscerne il
numero e per poter certificarne la qualità consiste nell’accreditamento delle stesse,
nonché nella costituzione di un registro pubblico.
Solo accreditando le biobanche e creando un registro sarà possibile predisporre una
disciplina peculiare per questo tipo di collezioni. In mancanza di tale accreditamento
non potrà essere approntata una disciplina peculiare per le biobanche, poiché sarebbero
difficilmente indentificabili.
5.1. QUALE PUÒ ESSERE L’ENTE CHE DEVE CURARA IL PROCESSO DI
“RICONOSCIMENTO” DELLE BIOBANCHE?
A questo riguardo occorre rilevare che in virtù del Regolamento del Parlamento
Europeo e del Consiglio n. 765, del 9 luglio 2008, del 1° gennaio 2010 che pone norme
in materia di accreditamento e vigilanza del mercato dei Paesi UE, è stata istituita in
Italia ACCREDIA, Ente unico nazionale di accreditamento, riconosciuta dallo Stato il
22 dicembre 2009, nata dalla fusione di SINAL e SINCERT come Associazione senza
scopo di lucro. Occorre dunque valutare se competa a questo ente accreditare gli
organismi di certificazione delle biobanche.
In parziale contrasto con il Regolamento Comunatario, tuttavia, il Decreto
Ministeriale del 15 maggio 2006, emanato dal Ministero delle Attività produttive,
determinando le procedure per l’abilitazione degli Organismi di certificazione dei CRB
ed il riconoscimento delle biobanche “Centro di risorse biologiche”, indica il “Ministero
delle attività produttive” quale organo al quale far pervenire la richiesta. Ciò non solo
con riguardo agli enti di certificazione, ma anche per le stesse biobanche che intendono
accreditarsi quali CRB (si veda art. 9 del Decreto).
È inoltre attivo un gruppo di lavoro presso la Commissione Salute della
Conferenza Stato Regioni per la definizione dei requisiti minimi per l’ autorizzazione
delle biobanche per ricerca, il cui documento è in fase di stesura e ricalca nelle sue linee
generali quanti riportato nel presente documento.
23
Visto le discrasie che si registrano nell’attuale legislazione si ritiene opportuno
che il riconoscimento di una biobanca venga svolto dall’ente che ratione materiae
meglio può occuparsi di gestire tale processo. A questo riguardo si potrebbe proporre
che l’accreditamento venga svolto da uno specifico organo regionale (da individuare), il
quale si dovrebbe incaricare anche di gestire il registro pubblico delle biobanche
presenti nel territorio. Occorre stabilire che gli organi regionali devono seguire i
medesimi parametri per il riconoscimento delle biobanche.
5.2. QUALI POSSONO ESSERE I PARAMETRI DI RICONOSCIMENTO
DELLE BIOBANCHE?
Per quanto attiene ai parametri di “riconoscimento”, si sottolinea come il
Decreto Ministeriale del 15 maggio 2006 stabilisca che i parametri di certificazione
delle biobanche quali CRB devono essere desunti dai criteri forniti dagli appositi gruppi
di studio dell’OCSE e comunicati per l’approvazione ad un apposito ufficio (art. 6).
Tuttavia non è chiaro se tali parametri siano stati individuati. Inoltre, occorre
evidenziare che tali parametri sono utili alla certificazione delle biobanche quali CRB,
ma nulla dicono sui parametri che individuano le biobanche stesse. Pertanto pare
opportuno procedere all’individuazione ad hoc dei parametri di “riconoscimento” delle
biobanche.
La tipologia dei parametri di riconoscimento potrebbe essere duplice, da un lato
organizzativa e dall’altro qualitativa.
5.3. PARAMETRI DI RICONOSCIMENTO “ORGANIZZATIVI”
Seguendo il modello già adottato dal legislatore spagnolo (Ley 14, del 3-072007, sulla Investigación biomédica) uno dei parametri fondamentali per definire le
biobanche può essere individuato nella forma organizzativa. Peraltro, la definizione
della forma organizzativa è coerente con la definizione fornita di biobanche quali unità
di servizio “organizzate in unità tecniche con criteri di qualità, ordine e destinazione”.
Un primo parametro organizzativo è rappresentato dagli “organi minimi” della
Biobanca, i quali si potrebbero distinguere tra “organi interni” e organi che possono
essere alternativamente “interni od esterni alla biobanca”. Questa distinzione deriva dal
fatto che una strutturazione troppo rigida potrebbe non permettere alle biobanche di
24
dimensioni più ridotte di operare. Descriviamo ora quali possono essere considerati gli
aspetti organizzativi in generale di una biobanca, per vedere successivamente come
questi siano stati interpretati ed adottati in Trentino Biobank.
5.3.1. ORGANI INTERNI
Responsabile della Biobanca
a. coordina e verifica la corretta gestione della biobanca;
b. provvede alla gestione del bugdet;
c. verifica la corretta cessione del biomateriale nei progetti di ricerca;
d. ha potere decisionale su tutte le attività che vengono svolte e pertanto ne
risponde sul piano della responsabilità civile e penale del corretto
funzionamento;
e. è responsabile per l’aggiornamento della modulistica, delle procedure operative
standard in cooperazione con il responsabile dei dati e con il responsabile della
qualità dei campioni.
f. Adotta le misure necessarie affinchè i campioni conservati, siano provvisti di un
adeguato consenso da parte dei soggetti interessati. Verifica che l’utilizzo dei
campioni sia conforme al consenso prestato.
Responsabile del trattamento dei dati
a. Ex art. 29 D. Lgs. 196/2003, c.d. Codice della Privacy, il responsabile del
trattamento dei dati ha il compito di verificare che i dati personali siano trattati
nel rispetto dalla normativa vigente, che siano adottate adeguate misure di
sicurezza così come prescritto dalla normativa vigente, che la modulistica delle
biobanca sia conforme con tale normativa;
b. redige il “piano della sicurezza del trattamento dei dati personali” nel quale
esplicita l’intera procedura di trattamenti dei dati, in ogni fase del procedimento
di biobanking;
c. Redige un report annuale specificando quali sono le misure di sicurezza adottate
dalla biobanca, le eventuali problematiche riscontrate e le soluzioni adottate;
25
Responsabile della raccolta, qualità dei campioni e dei dati:
a. È responsabile della raccolta e conservazione del consenso informato dei
soggetti/pazienti che donano i propri biomateriali;
b. è responsabile della qualità dello stoccaggio e conservazione dei campioni;
c. è responsabile della accuratezza dei dati clinici e molecolari associati ai
campioni;
d. redige un piano per la sicurezza dei campioni nel quale indica le procedure da
adottarsi nello stocaggio e nella conservazione dei campioni, nonché le
procedure da adottarsi nel caso di eventi avversi. Impartisce al personale le
direttive necessarie ad assicurare il corretto stoccaggio e la corretta
conservazione dei campioni;
e. pianifica i controlli di qualità del biomateriale archiviato;
f. controlla la funzionalità della strumentazione per crioconservazione e verifica
che vengano effettuati i controlli periodici;
g. è responsabile nel caso di guasti ai sistemi di criopreservazione;
h. redige un report annuale nel quale riassume le quantità di campioni stoccate, la
tipologia, le problematiche riscontrate nell’anno, l’eventuale verificazione di
eventi avversi;
5.3.1.1. Il modello organizzativo di Trentino Biobank
Il modello organizzativo illustrato sopra è stato desunto dalla esperienza di Trentino
Biobank, ove le funzioni di tali organi interni sono state suddivise come descritto in
dettaglio nell’allegato “regolamento interno di Trentino Biobank (Allegato 1). Tale
modello è stato sperimentato durante tutta la fase del progetto, conclusosi nel
gennaio 2012. Attualmente Trentino Biobank è in fase di consolidamento strutturale
ed è possibile che alcune delle funzioni siano accorpate per rispondere a esigenze di
tipo organizzativo, senza tuttavia perdere le qualifiche di attività.
26
5.3.2.
ORGANI
DISCREZIONALMENTE
INTERNI/ESTERNI
ALLA
BIOBANCA
Comitato etico
a. esprime la propria valutazione nel caso sorgano questioni etiche sull’utilizzo dei
materiali stoccati;
b. esprime la propria valutazione vincolante nel caso si richieda l’utilizzo di
campioni sulla base di progetti di ricerca approvati da un Comitato etico
straniero;
Trentino Biobank ha presentato la propria attività al Comitato Etico per la
Sperimentazione della Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, proponendo al
Comitato Etico una collaborazione secondo quanto esposto più sopra. Tale
presentazione ha avuto esito positivo, con une disponibilità del Comitato a collaborare
attivamente con Trentino Biobank.
Comitato scientifico o Comitato di Valutazione
a. valuta la qualità scientifica dei progetti per i quali si richiede l’utilizzo dei
campioni, garantendo che i progetti raggiungano una soglia di qualità
prestabilita;
b. si dota di un regolamento interno, che provvede a rendere pubblico, nel quale
indica quali sono i parametri che adotta nella sua valutazione;
c. è competente a decidere la priorità nel caso per il medesimo materiale sia
richiesto da più soggetti contemporaneamente;
Trentino Biobank ha avviato il processo di costituzione di un comitato scientifico
esterno, contattando sia alcuni esperti in materia di ricerca biomedica sia un
rappresentante di associazioni di cittadini. Hanno dato la loro disponibilità il Prof.
Marco Pierotti, Istituto Tumori Milano, il Prof. Claudio Doglioni, Università Vita e
Salute San Raffaele,Milano, il Prof. Antonio Marchetti, Università Gabriele
D’Annunzio, Chieti, ed il Presidente della Lega Tumori di Trento, Dr. Mario
27
Cristofolini. La costituzione effettiva del comitato tuttavia non è stata ancora
concretizzata e si attende una delibera della Azienda Provinciale in merito.
5.3.3. REGOLAMENTO
Ogni biobanca deve dotarsi di un regolamento nel quale indica la composizione e il
funzionamento degli organi, le mansioni ad essi affidati oltre a quelli che
obbligatoriamente assumono, l’istituzione di eventuali altri organi. Fanno parte
integrante del regolamento il “piano della sicurezza dei materiali” redatto dal
Responsabile del Materiale, nonché il “piano della sicurezza dei dati” redatto dal
Responsabile dei dati. Come detto più sopra Trentino Biobank si è dotato di un
regolamento riportato in Allegato 1.
5.4. PARAMETRI QUALITATIVI
Oltre ai parametri organizzativi quale elemento utile al “riconoscimento” delle
biobanche dovrebbero essere individuati anche dei parametri qualitativi, ossia degli
standard di qualità minimi da adottarsi nella conservazione dei campioni. E’ infatti
superfluo ricordare che una buona conservazione dei campioni consente di ottenere
dalla ricerche su di essi compiute risultati maggiormente affidabili. A tale fini si può
fare riferimento a standard internazionali ormai generalmente accettati. È necessario che
una biobanca abbia procedure di controllo di qualità quali la valutazione della integrità
di biomolecole particolarmente labili, quali ad esempio l’RNA messaggero.
28
6.0 REQUISITI DELLE PROCEDURE INTERNE
Dopo aver fornito una definizione di “biobanche”, dopo aver determinato i criteri per il
loro “riconoscimento” e la loro conseguente registrazione in un pubblico registro,
diventa necessario definire ora una normativa alle quali esse siano soggette.
6.1. AUTONOMIA FUNZIONALE DEL PERSONALE DELLA BIOBANCA DA
COLORO CHE FANNO ATTIVITÀ DI RICERCA
In fase definitoria, già si è sottolineato come la biobanca rappresenti un’unità di
servizio. La biobanca, dunque, non svolge direttamente attività di ricerca, ma offre il
servizio di stoccaggio e conservazione per coloro (ricercatori) che richiedono l’utilizzo
dei campioni.
Per dar consistenza a questo principio occorre, dunque, anche a livello regolativo,
distinguere funzionalmente l’attività della biobanca dall’attività dei ricercatori. Ciò
rappresenta un elemento fondamentale per poter prospettare misure attenuate in tema di
consenso informato.
Per dar concretezza al concetto sopra esposto, occorre che il personale della biobanca
goda di autonomia funzionale rispetto a coloro che svolgono attività di ricerca sui
campioni medesimi.
6.2. ANONIMIZZAZIONE DEI CAMPIONI
Se il personale della biobanca gode di autonomia funzionale rispetto a coloro che
svolgono attività di ricerca, quale corollario è possibile stabilire la regola per cui
l’utilizzo dei campioni stoccati nella biobanca da parte dei ricercatori debba avvenire
solo sotto forma anonimizzata. Questo non preclude ai ricercatori di poter accedere ai
dati di follow up e consente la possibilità di mantenere alti standard di riservatezza
nell’utilizzo dei campioni.
Tutti coloro che conducono attività di ricerca sui campioni stoccati nella biobanca,
ottengono e trattano i campioni in forma codificata. Solo il responsabile della biobanca
29
e i soggetti da esso espressamente delegati possono connettere l’identità dei soggetti ai
quali il campione appartiene con i campioni medesimi.
6.3. CONSENSO INFORMATO
Il consenso informato rappresenta una delle questioni più discusse e controverse
nell’ambito dell’attività delle biobanche. Non pare utile in questa occasione dar conto
per esteso dell’ampia discussione che si è sviluppata sul tema.
Riportiamo, ancora dalla attività di consulenza del Dr. Matteo Macilotti, alcune
considerazioni in merito al rapporto tra biobanca e i soggetti che conferiscono il loro
materiale alla biobanca stessa, traendo spunto dalla Autorizzazione al trattamento dei
dati genetici emanata dal Garante per la protezione dei dati personali.
“Il rapporto tra la biobanca ed i soggetti che conferiscono i campioni trova la propria
cristallizzazione nel consenso informato che questi ultimi sono chiamati a sottoscrivere
affinché il loro tessuto possa essere conservato dalla biobanca e successivamente impiegato in
attività di ricerca. In virtù di esso, le biobanche assumono una serie di obblighi i quali,
ancorché non siano stati finora chiaramente definiti da una norma ad hoc, trovano una prima
fonte di regolamentazione nell’Autorizzazione al trattamento dei dati genetici emanata dal
Garante per la protezione dei dati personali. I campioni biologici, infatti, rappresentano una
fonte di dati anche di carattere genetico e il loro impiego ricade, dunque, nel raggio d’azione
della citata Autorizzazione. Tuttavia il Garante, nella redazione di tale documento, non ha
considerato le peculiari problematiche che caratterizzano l’attività di biobanking, la quale non
trova espressa menzione. Questo elemento, come vedremo nelle prossime righe, ha originato
numerosi problemi di compatibilità tra quanto previsto dall’Autorizzazione e la possibilità per
le biobanche di svolgere appieno la loro funzione.
Ciononostante, il contenuto del consenso informato può essere definito attraverso l’analisi
degli specifici obblighi informativi fissati dall’Autorizzazione la quale rappresenta, ad oggi,
l’unico documento di carattere cogente che impone di ottenere il consenso per poter utilizzare i
campioni biologici a fini di ricerca.
30
In primo luogo, essa prescrive l’obbligo di informare analiticamente l’interessato sulle
specifiche finalità che l’utilizzo del campione intende perseguire. Nell’ambito che qui ci
impegna, questo requisito appare particolarmente difficile da soddisfare, soprattutto per le
biobanche genetiche e di popolazione, le cui specifiche finalità di ricerca non sono quasi mai
analiticamente definite al momento della raccolta del campione, dato che queste collezioni
nascono per essere impiegate nello studio di un ampio spettro di patologie. Per queste ultime,
dunque, risulterebbe impossibile offrire, sin dal momento della raccolta, a coloro che
conferiscono i campioni un’informazione analitica sulla loro possibile utilizzazione.
Sull’estensione dell’obbligo informativo e sull’ammissibilità, sia dal punto di vista giuridico
che dal punto di vista etico, di un consenso prestato sulla base di un’informativa generica –
nella quale non siano specificate dettagliatamente i progetti di ricerca ai quali sarà sottoposto
il campione - la dottrina è particolarmente divisa. Coloro che ne sostengono l’ammissibilità
fondano le loro ragioni sulla differenza che insiste tra la ricerca condotta sull’uomo e la
ricerca condotta sui tessuti umani staccati dal corpo. Le due tipologie di ricerca mettono in
pericolo (beni giuridici e dunque) interessi differenti: nel primo caso la salute e la dignità del
singolo uomo, nel secondo la riservatezza dei dati personali derivanti dal campione. Pertanto,
l’accuratezza informativa richiesta per le ricerche condotte sull’uomo non trova ragione per lo
studio sui campioni e ciò renderebbe, dunque, plausibile anche un consenso prestato sulla base
di un’informativa generale (c.d. broad consent). In questo caso, infatti, con il consenso si
instaura un rapporto fiduciario tra la colui che cede i campioni e la biobanca, che sposta il
fulcro dell’obbligo informativo dalle specifiche utilizzazioni del campione e dei dati da esso
derivanti alle concrete modalità di gestione di quesi ultimi da parte dalla biobanca.
Contrariamente, coloro che sostengono l’inammissibilità di un consenso ampio e dunque la
necessità di informare puntualmente i soggetti coinvolti, rilevano che il c.d. broad consent non
rappresenta un vero e proprio consenso. Esso costituisce, piuttosto, una pericolosa delega in
bianco, in virtù della quale si sottraggono i campioni dal potere dispositivo di coloro che li
hanno ceduti. Inoltre, si evidenzia come la stessa espressione “consenso ampio” non rechi
alcun significato in sé, lasciando immutato il problema dell’estensione informativa. In altri
termini, essa non definisce quale sia il grado di ampiezza che renderebbe il consenso
ammissibile o meno.
Il dibattito sul tema è particolarmente acceso e lungi dal trovare un approdo. E’ evidente che
dai suoi esiti e dalle scelte del legislatore dipenderà l’organizzazione e la concreta operatività
delle biobanche.
31
Ulteriore informazione che deve essere fornita riguarda i risultati conseguibili con il
trattamento dei dati e dei relativi campioni, anche in relazione “alle notizie inattese che
potrebbero essere conosciute per effetto del trattamento dei dati genetici”. Sebbene la
formulazione di tale obbligo informativo appaia particolarmente criptica, essa trova la sua
ragion d’essere nella natura dei geni umani, i quali svolgono molteplici funzioni e sono in
grado di intervenire a diverso titolo nello sviluppo di differenti patologie. Si pensi, ad esempio,
all’ipotesi in cui la ricerca per la quale si richiede il consenso sia primariamente finalizzata
allo studio di una data patologia genetica, ma lo studio del gene riveli la suscettibilità del
soggetto a contrarre un’altra patologia anch’essa legata a quel particolare gene.
L’Autorizzazione prescrive, in quest’ipotesi, di informare i soggetti interessati della possibilità
che dalle ricerche si possano ottenere tali notizie non attese.
Oltre alle informazioni testè menzionate, l’interessato deve essere reso edotto del suo diritto ad
opporsi al trattamento dei dati genetici per motivi legittimi, della facoltà di limitare, ove fosse
possibile, l’ambito di comunicazione dei dati genetici e il trasferimento dei campioni
biologici, nonché dell’eventuale utilizzo di questi per ulteriori scopi. Anche tale prescrizione,
tuttavia, mal si concilia con l’operatività delle biobanche che stoccano tessuti per ricerche di
tipo prospettico o traslazionale. In questi casi, infatti, risulta possibile definire l’ambito di
comunicazione soltanto per linee generali, ma si assiste alla materiale impossibilità di
individuare ex ante gli specifici enti e soggetti che tratteranno i dati ed i relativi campioni. Lo
stesso dicasi, chiaramente, per gli ulteriori scopi nei quali i campioni potrebbe essere
impiegati.
Non meno problematico è l’ulteriore obbligo, che impone di comunicare ai soggetti coinvolti il
periodo di conservazione dei dati genetici e dei campioni biologici. Dal punto di vista
scientifico, infatti, le biobanche nascono con lo scopo di conservare i campioni per il maggior
tempo possibile, sino al loro materiale esaurimento. Limitare l’ambito temporale della
conservazione risulta pertanto in contrasto con le stesse ragioni sottese alla creazione delle
biobanche. Tale contraddizione è ancor più evidente per il trattamento dei dati, i quali non sono
beni consumabili, ragione per la quale è ipotizzabile un loro stoccaggio a tempo illimitato.
Gli obbligi informativi fin qui menzionati valgono qualunque sia la finalità del trattamento dei
dati genetici. Di conseguenza, tali prescrizioni si applicano anche alle biobanche costituite a
scopo di diagnostico e terapeutico, anche se per queste tipologie non si evidenziano le
problematiche che abbiamo rilevato per le biobanche di ricerca, dato che è sempre possibile
stabilire ex ante quali sono le finalità e la durata del trattamento.
32
Specifici obblighi informativi sono invece previsti dall’Autorizzazione per il trattamento dei dati
genetici e dei relativi campioni a scopo di ricerca scientifica e statistica. In primo luogo, il
Garante ha stabilito che il consenso al trattamento dei dati genetici a scopo di ricerca deve
essere revocabile in ogni momento, senza che tale scelta possa comportare alcuno svantaggio
o pregiudizio per l’interessato. Unica importante eccezione a tale principio riguarda l’ipotesi
nella quale i dati e i campioni biologici, in origine o a seguito di trattamento, non consentano
più di identificare il medesimo interessato. In questo caso, infatti, il ritiro del consenso non
sarebbe materialmente possibile. Occorre evidenziare che in virtù dell’inciso “a seguito di
trattamento”, tale eccezione non si applica soltanto all’ipotesi in cui l’anonimia sussista ab
origine, ma anche quando essa sia il risultato di un trattamento successivo. Dunque, se una
biobanca anonimizza completamente i dati, i soggetti ai quali tali dati e campioni si
riferiscono non potranno ritirare il consenso prestato, ma tale biobanca avrà comunque la
possibilità di preservare il campione, anche se non potrà seguire l’evoluzione clinica del
soggetto al quale il campione si riferisce.
Diversamente, nell’ipotesi in cui il soggetto ritiri il consenso al trattamento dei dati genetici a
scopo di ricerca e tali dati non siano stati resi completamente anonimi, il paragrafo sesto
dell’Autorizzazione dispone che il campione deve essere distrutto.
Il Garante, dunque, abbraccia una visione “smaterializzata” dei campioni biologici, i quali
vengono considerati “supporti” strumentali alla conservazione di dati, alla stregua di un
compact disc o di un supporto cartaceo. Ove, dunque, il soggetto ritiri il consenso al
trattamento dei dati anche il campione, nella sua materialità, deve essere distrutto. Tale
approccio è stato criticato dalla dottrina la quale evidenzia che ritenere il campione, nella sua
dimensione materiale, un semplice supporto, conduce all’erronea conclusione che l’unico
interesse che il soggetto vanta sul proprio campione è la riservatezza rispetto ai dati da esso
derivanti. Diversamente, l’origine umana del tessuto comporterebbe la nascita di una serie di
ulteriori interessi, soprattutto in tema di “sfruttamento economico” del tessuto medesimo, i
quali necessitano altresì di essere tenuti in considerazione. Sul tema, comunque, ritorneremo
nel prossimo paragrafo.
Ulteriore obbligo informativo disposto dall’Autorizzazione per il trattamento dei dati genetici
riguarda la natura degli “accorgimenti adottati per consentire l’identificabilità degli interessati
soltanto per il tempo necessario agli scopi della raccolta o del successivo trattamento”.
Quest’obbligo rappresenta la declinazione del principio generale di “necessità” del
trattamento dei dati personali, in vista del quale questi ultimi devono essere impiegati soltanto
33
ove sia strettamente necessario e i medesimi risultati non possano essere ottenuti attraverso
l’impiego di dati anonimi.
Per il tema che qui ci sta impegnando, tale prescrizione delinea la necessità di dotare la
biobanca di una struttura organizzativa in grado di limitare al minimo l’utilizzo dei dati in
forma personale. A tal fine, in dottrina vi è chi ritiene che la biobanca debba agire come una
sorta di firewall, distribuendo solo dati in forma codificata e riservando unicamente ad essa
stessa la possibilità di connettere il campione ed i relativi dati con l’identità del soggetto al
quale questi ultimi si riferiscono. Ciò risulta possibile conferendo al solo responsabile della
biobanca e ai soggetti da lui espressamente individuati la facoltà di ricondurre un dato codice
ad un preciso soggetto.
La struttura delineata dalla dottrina rafforza la posizione della biobanca come ente terzo,
indipendente da coloro che svolgono ricerca, e ribadisce quanto già evidenziato in fase
definitoria, ossia la necessità che la biobanca si doti di un’adeguata struttura organizzativa.
Altro obbligo informativo, prescritto dal Garante, per poter trattare i dati genetici a scopo di
ricerca medica, riguarda “l’eventualità che i dati e/o i campioni biologici siano conservati e
utilizzati per altri scopi di ricerca scientifica e statistica, per quanto noto, adeguatamente
specificati anche con riguardo alle categorie di soggetti ai quali possono essere eventualmente
comunicati i dati oppure trasferiti i campioni”. Tale prescrizione rappresenta una sorta di
valvola di sfogo rispetto all’obbligo di informare dettagliatamente i soggetti coinvolti sulle
specifiche attività di ricerca condotte sul campione e riconosce la possibilità che i campioni ed i
tessuti possono essere utilizzati per altre finalità di ricerca scientifica e statistica. L’inserimento
dell’espressione “per quanto noto” suggerisce la possibilità che per queste ulteriori finalità il
livello di dettaglio dell’informazione possa essere “attenuato”, limitandosi appunto a ciò che è
noto. La vaghezza dell’inciso restituisce, tuttavia, un quadro particolarmente incerto, dal quale
non è dato comprendere quale debba essere il grado minimo di dettaglio dell’informazione
perché quest’ultima possa essere considerata accettabile. Tale incertezza rende, di fatto, mobile
l’area che entro la quale l’informazione fornita si ritiene sufficientemente dettagliata.
Stabilire il perimetro entro il quale l’informazione si ritiene adeguata è importante soprattutto
alla luce di quanto stabilito dal Garante al paragrafo ottavo dell’Autorizzazione, nel quale si
stabilisce che la conservazione e l’ulteriore utilizzo di campioni biologici e di dati genetici
raccolti per la realizzazione di progetti di ricerca e indagini statistiche, diversi da quelli per i
quali è stato originariamente acquisito il consenso informato degli interessati, sono consentiti
limitatamente al perseguimento di scopi scientifici e statistici direttamente collegati con quelli
34
originari, a meno che venga nuovamente acquisito il consenso degli interessati. Ciò implica
che, per poter sviluppare progetti di ricerca che esulano dal perimetro del consenso ottenuto
occorre ricontattare i soggetti interessati, a meno che gli scopi della nuova indagine non
siano direttamente connessi con la ricerca originaria.
Nell’attività di biobanking il ricontatto dei soggetti interessati rappresenta un’operazione
particolarmente onerosa, dato che le biobanche stoccano migliaia di campioni e di dati.
Ricontattare, dunque, tutti i soggetti interessati, nel caso di un nuovo progetto di ricerca
inizialmente non previsto, potrebbe rappresentare un’operazione titanica.
Il Garante, tuttavia, sembra fornire una possibile via per superare l’impasse che la rigidità di
questa regola potrebbe comportare, stabilendo che ove, a causa di particolari ragioni, non sia
possibile informare i soggetti coinvolti malgrado sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo
per raggiungerli, il trattamento dei dati genetici e dei relativi campioni è possibile a condizione
che il progetto di ricerca, oggetto di motivato parere favorevole del competente comitato etico a
livello territoriale, sia autorizzato appositamente dal Garante ai sensi dell’art. 90 del Codice
della Privacy. Nondimeno, anche questa via appare particolarmente onerosa, atteso che per
poter percorrerla occorre dimostrare previamente di aver compiuto ragionevoli sforzi per
ricontattare i soggetti interessati, requisito che solleva nuovamente la problematiche
evidenziate qualche riga sopra.
Ultimo dato che il Garante prescrive di comunicare ai soggetti coinvolti sono le modalità con le
quali questi ultimi possono accedere alle informazioni contenute nel progetto di ricerca. In
tema di biobanche, questo requisito si traduce nel conferire la possibilità ai soggetti interessati
di accedere alla biobanca e di conoscere lo specifico progetto nel quale i campioni sono
utilizzati.
Il diritto d’accesso è uno strumento di partecipazione essenziale in quanto assicura agli
interessati la facoltà di monitorare costantemente l’utilizzo del loro campione e dei loro dati e,
se lo ritengono opportuno, di modificare o ritirare il consenso prestato.
In dottrina, inoltre, il diritto d’accesso è stato considerato come un possibile strumento per
bypassare le ristrettezze del consenso informato. Invertendo l’onere informativo, la dottrina in
parola ritiene che laddove non sia possibile informare dettagliatamente il soggetto ex ante, il
diritto d’accesso possa essere considerato uno strumento in grado di fungere da sostituto, in
quanto permette comunque al soggetto di informarsi. Anziché il diritto ad essere informati,
35
ritenuto eccessivamente paternalistico, l’accento ricadrebbe sullo speculare diritto ad
informarsi.
Questo è quanto prescrive l’Autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali in
tema di consenso informato al trattamento dei dati genetici. Vi è, tuttavia, un ulteriore obbligo
informativo che possiamo ricavare dall’art. 170 bis del Codice della proprietà industriale, il
quale prevede che la domanda di brevetto relativa ad un’invenzione che ha per oggetto o
utilizza materiale biologico di origine umana debba essere corredata dall’espresso consenso,
libero e informato, a tale prelievo e utilizzazione, della persona da cui è stato prelevato tale
materiale, in base alla normativa vigente.
Se l’Autorizzazione del Garante ha come scopo precipuo la protezione dei dati personali e la
disciplina apprestata all’utilizzo dei campioni risulta essere soltanto una mera conseguenza,
l’art. 170 bis sposta invece l’attenzione sull’aspetto materiale dei campioni. La ratio di tale
obbligo, infatti, non può essere rinvenuta nella protezione della riservatezza, ma nel diritto del
soggetto di gestire lo “sfruttamento economico” del proprio campione. Da qui l’evidenza che il
rapporto “personale” che il soggetto intrattiene con il campione biologico non si esaurisce
nella possibilità di ricavare dati di carattere personale, ma ha origini più profonde e
sottintende, dal punto di vista materiale, un rapporto di signoria del soggetto sul campione
staccato dal proprio corpo che travalica la mera protezione della riservatezza.
Definire tale rapporto è un’operazione complessa e in questa voce non possiamo che limitarci a
sottolinearne la problematicità. Tuttavia, occorre rilevare come detto rapporto non possa
essere definito una volta per tutte in quanto subisce pesantemente l’influenza dal progresso
tecnologico. Quest’ultimo, infatti, ha conferito ai campioni umani un “valore di mercato” che
prima essi non possedevano. La possibilità di brevettare i campioni, riconosciuta per la prima
volta in Europa con la Dir. CE 98/44, è la diretta conseguenza dell’evoluzione delle conoscenze
nel campo della genetica, le quali hanno permesso di valorizzare i tessuti umani, prima
considerati nulla più che scarti operatori.
Nel paragrafo precedente abbiamo analizzato i requisiti del consenso informato, evidenziando i
punti critici che la normativa attuale solleva con riferimento alle funzioni tipiche svolte dalle
biobanche di ricerca.
Stabilito, dunque, qual è il contenuto minimo del consenso, occorre ora esaminare quali sono le
conseguenze che da esso derivano. Se appare immediato rilevare come uno degli esiti sia quello
di rendere lecito il trattamento dei dati personali e genetici dei soggetti interessati, così come la
36
possibilità di brevettare le invenzioni sviluppate a partire dai campioni biologici, più
complicato appare stabilire se esso produca anche l’effetto di trasferire materialmente la
proprietà dei tessuti alla biobanca. Sempre che il rapporto con il campione possa essere
descritto in termini proprietari.
Quando si staccano dal corpo i campioni biologici assumono, dal punto di vista materiale, una
loro autonomia ontologica e funzionale rispetto alla persona. Gli interventi effettuati sul tessuto
non hanno alcuna ripercussione diretta sul corpo-soggetto dal quale il campione è stato
ottenuto e dunque non influiscono sulla sua salute. Da ciò si inferisce che il rapporto che lega il
soggetto e i tessuti staccati dal corpo ha natura differente rispetto alla relazione tra la persona
e il corpo nella sua intierezza. Lo stesso consenso non è espressione del diritto del soggetto di
autodeterminarsi in relazione a scelte suscettibili di avere effetto sulla propria salute, così come
sancito dal secondo comma dell’art. 32 della Carta Costituzionale, ma è espressione di un
principio di autonomia che si fonda sul peculiare rapporto di signoria, del quale si è fatto
cenno nel precedente paragrafo, tra il soggetto e il suo campione.
Tuttavia, stabilire nello specifico quale effetto il consenso produca rappresenta un’operazione
particolarmente ostica. Le questioni problematiche sono molteplici: in primo luogo occorre
stabilire se con il distacco dal corpo il soggetto che subisce l’ablazione diviene proprietario del
tessuto; nell’ipotesi in cui la risposta sia positiva occorre determinare se con il consenso il
soggetto trasferisca tale diritto alla biobanca oppure se quest’ultima funga da mera custode del
materiale biologico; se, invece, si ritiene che il soggetto al momento del distacco non diventi
proprietario dei tessuti è necessario stabilire a chi debba essere attribuita la proprietà fisica
del campione.
Appare evidente che la matassa da sbrogliare è particolarmente intricata e la mancanza di
punti saldi ai quali far riferimento rende azzardata qualsiasi conclusione. Nondimeno occorre
rilevare che la questione proprietaria ha un impatto non secondario sull’attività delle
biobanche, come hanno dimostrato alcune note vicende d’oltreoceano.
Determinare a chi spetti la proprietà dei campioni significa, infatti, stabilire se la singola
biobanca abbia la possibilità di disporre liberamente dei materiali biologici, oppure se essa
resti vincolata alle volontà dei soggetti che conferiscono i campioni, i quali, astrattamente,
potrebbero richiedere di trasferire i campioni presso un’altra biobanca.”
37
Si ribadisce quindi l’importanza, per poter conservare un campione biologico e
per poter condurre attività di ricerca su di esso e sui dati ad esso associati,
dell’ottenimento di un consenso opportunamente strutturato da parte del soggetto al
quale il campione appartiene. È possibile una deroga a questo principio soltanto quando
il campione è reso assolutamente anonimo, elemento che di fatto preclude la possibilità
di ottenere il consenso.
A tal fine occorre inoltre rifarsi anche alla già citata Autorizzazione del
Garante per la privacy del 1 marzo 2012. Tale autorizzazione si riferisce a studi
osservazionali non interventistici condotti con dati raccolti in precedenza a fini di cura
ovvero ricavati da campioni biologici prelevati in precedenza. Tale autorizzazione al
punto 4. affronta il problema della impossibilità a informare gli interessati per motivi
etici o organizzativi. Fra questi ultimi vengono presi in considerazione il problema dei
pazienti deceduti e di quelli non contattabili con “ragionevole sforzo”.
Un punto importante da definire è se il consenso debba essere ottenuto per ogni
singola ricerca o possa ottenersi un conseso più ampio. Nella nostra opinione si possono
fare le seguenti proposte operative. È chiaro che per poter condurre attività di ricerca sui
campioni stoccati nelle biobanche è obbligatorio ottenere il consenso specifico da parte
del soggetto a cui il campione si riferisce. Secondo la nostra interpretazione è da
considerarsi specifico il consenso quando esso descriva i rischi e gli eventuali benefici
derivanti dal trattamento dei dati e dalla conservazione dei campioni, nonché il tipo di
patologia (per es. patologia neoplastica, cardiovascolare, neurologica) per la quale il
campione e i relativi dati possono essere impiegati con finalità di ricerca.
E’ possibile utilizzare il campione e i relativi dati a fini di ricerca per una di
diverso tipo, senza necessità di raccogliere un ulteriore consenso, soltanto qualora
concorrano le seguenti condizioni:
a) secondo la valutazione effettuata dal Comitato etico competene la ricerca per la quale
si intende utilizzare il campione non comporta significativi rischi di discriminazione per
il soggetto;
b) l’utilizzo dei tessuti sia stato approvato da parte del Comitato etico competente.
Non è in ogni caso necessario ottenere un nuovo consenso del paziente nel caso in cui
quest’ultimo abbia dichiarato all’atto della raccolta del consenso di autorizzare l’utilizzo
38
dei campioni biologici e dei suoi dati anche per tipi di patologia differenti da quella
indicata manifestando il desiderio di non essere ricontattato per l’ulteriore raccolta di
consenso.
Le regole di cui ai precedenti commi valgono soltanto per le biobanche.
In ogni caso il soggetto ha diritto di accedere in qualsiasi momento ai suoi dati e
conoscere in qualsiasi momento in quali attività di ricerca sono impiegati il suo
campione e i suoi dati.
In ogni momento il soggetto ha diritto di ritirare il suo consenso. In tale ipotesi il tessuto
deve essere reso anonimo e devono essere cancellati tutti i dati che con ragionevoli
sforzi potrebbero condurre all’individuazione del soggetto.
Tali proposte rappresentano un elemento innovativo rispetto alle regole ora vigenti. Tali
proposte trovano le proprie ragioni nella richiesta da parte di coloro che gestiscono le
biobanche di poter beneficiare di un procedimento più agile nell’ottenimento del
consenso. Tali procedure rappresentano, dunque, una mediazione tra i diritti del
soggetto e di coloro che conducono attività di ricerca. Se il diritto del soggetto di essere
informato dettagliatamente sul singolo progetto di ricerca risulta attenuato, nondimeno
il soggetto gode del pieno “diritto di informarsi” e di “ritirare il suo consenso” in
qualsiasi momento. In virtù di questi procedimenti parte del “peso informativo” passa
dalla biobanca al soggetto al quale il tessuto appartiene. Occorre notare come il
procedimento agevolato riguarda solo le biobanche, dato che solo esse assicurano
determinati standard di qualità e sicurezza.
La tipologia di consenso informato inizialmente proposta da Trentino Biobank era
quella del “consenso ampio” che permette l'uso dei campioni e dei dati loro associati in
ricerche presenti e future di ogni tipo (Allegato 2). Tale consenso è stato sottoposto a
valutazione al Comitato per la Bioetica dell’Azienda Sanitaria per i Servizi Sanitari di
Trento il quale ha proposto/suggerito una parziale restrizione del consenso (Allegato 3).
Il consenso in uso attualmente è quindi stato successivamente modificato rispetto alla
versione redatta all’inizio del progetto tenendo conto delle questioni sollevate (Allegato
5). Oltre al consenso, che viene somministrato individualmente ai pazienti da personale
a contratto di Trentino Biobank o da personale dipendente della Azienda per Servizi
39
Sanitari di Trento, viene distribuito anche un opuscolo informativo redatto in forma
colloquiale (Allegato 5), il cui testo non viene allegato per ragioni di spazio, ma è
reperibile sul sito di Trentino Biobank, all’indirizzo www.tissuebank.it, nella sezione
documentazione. Tutti i documenti di Trentino Biobank sono inoltre disponibili
gratuitamente, senza alcuna limitazione a chiunque su tale sito, in quanto si ritiene che
una delle funzioni di una biobanca sia la diffusione informazione dell’informazione sia
al pubblico che agli eventuali utenti professionali, quali altre biobanche o ricercatori.
L’opuscolo informativo che viene distribuito ai pazienti in occasione della
somministrazione del consenso ha lo scopo di informare adeguatamente i pazienti sugli
scopi della biobanche e sulle modalità di utilizzo dei biomateriali. Gli elementi
essenziali di tale informazione per il donatore/paziente sono: lo scopo della biobanca, la
volontarietà partecipazione, l'eventuale trasferimento dei campioni ad altra banca o a
gruppi di ricerca diversi dal proponente, la possibilità o l'esclusione di un ritorno
d'informazione al donatore sui risultati della ricerca, le indicazioni sulle possibili
conseguenze per il donatore od i membri della sua famiglia dei risultati delle analisi
genetiche, la possibilità di rendere anonimi i campioni o di identificarli con un codice;
le misure adottate per la tutela dei dati personali; la possibilità per il donatore di
revocare, in ogni momento, il proprio consenso; il destino dei campioni in caso di
revoca, le eventuali prospettive commerciali che potrebbero derivare dalla cessione del
campione alle case farmaceutiche (deposito di eventuali brevetti).
Al paziente viene anche comunicato che il materiale o il dato genetico conservato dalle
biobanche ha una duplice rilevanza: esso può essere utilizzato sia per un interesse
diretto del donatore/ paziente, sia a scopo più generale di ricerca, in quanto non solo può
predire la suscettibilità individuale ad una manifestazione normale o patologica, ma può
avere un impatto significativo sul gruppo familiare fino ad estendersi alle generazioni
future, agendo oltre il gruppo ristretto cui la persona appartiene, ed assumendo così un
valore culturale. Infatti, l'indagine sul materiale biologico e genetico in particolare, può
far luce sulla comprensione dell'eziopatogenesi di molte malattie. In una visione più
ampia, la donazione del biomateriale dovrebbe essere percepita come un atto di
solidarietà nei confronti della comunità.
40
6.4 IL CONSENSO INFORMATO NELLA ESPERIENZA DI TRENTINO
BIOBANK
La
somministrazione del consenso informato talvolta
presenta difficoltà e
contraddizioni: dal punto di vista umano la necessità di esporre il contenuto del
consenso con un linguaggio semplice e poco specialistico che agevola il paziente nella
comprensione del progetto e dall’altro il dovere etico- giuridico di illustrare tutti i punti
del consenso che via via diventano sempre più numerosi e specifici.
Tutti i pazienti contattati, fino ad ora circa 800, hanno acconsentito a donare il proprio
materiale alla Biobanca. Nella quasi totalità dei casi l’adesione al progetto avviene
percepito come un elemento positivo nel proprio cammino di malattia: spesso il paziente
percepisce la donazione del materiale come un atto di solidarietà verso gli altri e sente
di poter essere d’aiuto alla società. Spesso il donatore non percepisce come “proprio” il
materiale che è stato asportato durante l’intervento e la domanda che più
frequentemente essi rivolgono al personale della biobanca è perché sia necessario
firmare un modulo di consenso.
Una minore percentuale di pazienti, pur non negando il consenso, non dimostra
interesse nel progetto e rifiuta di essere ricontattato in futuro per essere messo al
corrente dei risultati delle ricerche. Questo atteggiamento, estremamente comprensibile,
potrebbe essere dovuto alla difficile situazione che il paziente sta attraversando:
l’incontro avviene infatti poco prima o subito dopo l’intervento chirurgico e questo non
agevola la comprensione del progetto.
Una analisi più approfondita di questo aspetto è oggetto dello studio del Dr. Luca
Morelli e del Dr. Alberto Brolese.
6.5. INFORMATIVA E BIOBANCHE DI POPOLAZIONE
Le biobanche di popolazione, come evidenziato in fase definitoria, raccolgono e
conservano campioni biologici derivanti da gruppi di popolazione. Tali biobanche,
dunque, oltre alle misure fin qui elencate, richiedono l’adozione di peculiari misure
41
nella fase informativa. In particolare, come prescritto in numerose linee guida nazionali
60
60ed internazionali, l’informativa deve essere diretta non verso il singolo soggetto, ma
dovrebbero essere individuati gli strumenti più opportuni per informare il “gruppo”. E’
di tutta evidenza, come in questa tipologia di biobanche, la strasparenza dei fini e delle
procedure rappresenti un elemento fondamentale per il loro successo. Gli strumenti
individuabili sono numerosi: da campagne informative promosse attraverso media
locali, al coinvolgimento del gruppo, mediante “l’elezione” di rappresentati dei
“donatori” nel board della biobanca medesima.
Pare restrittivo in questa sede specificare i singoli strumenti da adottarsi, dato che ogni
realtà presenta le proprie peculiarità e lo strumento deve essere adottato calibrandolo
sulla comunità nella quale si agisce, nondimento pare opportuno porre una regola del
seguente tipo:
Le biobanche di popolazione, oltre agli ordinari obblighi informativi diretti verso i
singoli soggetti, devono adottare strumenti idonei a informare il gruppo di popolazione
oggetto di studio.
6.5. TESSUTI STOCCATI NEGLI ARCHIVI DI ANATOMIA PATOLOGICA A
SCOPO DIAGFOSTICO
Una problematica che riscuote notevole interesse nel dibattito collegato alle biobanche
del tipo “disease oriented” (prevalentemente di tipo oncologico) riguarda la possibile
utilizzazione a scopo di ricerca dei tessuti archiviati negli archivi di anatomia patologica
a scopo diagnostico, per i quali non è stato richiesto un esplicito consenso per un
utilizzo a scopo di ricerca. Gli archivi della anatomie patologiche sono amplissime
collezioni di biomateriali di inestimabile valore scientifico. Tuttavia non possono essere
considerati biobanche a scopo di ricerca, in quanto non organizzate secondo le modalità
descritte più sopra.
Negli archivi delle Anatomie Patologiche sono infatti raccolti milioni di
biomateriali accuratamente annotati, il cui potenziale scientifico è enorme. L’utilizzo di
questi biomateriali per ricerca è stato sempre stato un elemento importante di ricerca
scientifica, ma la assenza di un consenso ha sempre rappresentato un elemento critico,
42
su cui si è lungamente discusso, dopo l’entrata in vigore della Autorizzazione del
Garante per la Protezione dei Dati personali relativa ai dati genetici. Per questi tessuti
risulta particolarmente difficile acquisire un consenso “a posteriori”, dato che molti
soggetti sono difficilmente raggiungibili e, per i tessuti conservati da più tempo (talora
da decenni),
molti sono verosimilmente defunti o comunque irreperibili. Ora la
recentissima Autorizzazione del Garante per la Protezione dei Dati personali del 1
marzo 2012 introduce alcune importanti novità. Infatti il punto 4 è interamente dedicato
al problema della impossibilità di informare gli interessati. In tale punto si indica che i
dati ed i biomateriali, quindi compresi i tessuti residui stoccati negli archivi di anatomia
patologica a scopo diagnostico o terapeutico, per i quali, con ragionavoli sforzi, non può
essere ottenuto il consenso al loro utilizzo a scopo di ricerca, perché i pazienti sono
deceduti o non contattabili, possono essere impiegati a tale scopo anche in assenza di
un consenso.
In alternativo tali biomateriali possono essere utilizzati solo in modo del tutto
anonimo. In tale accezione, sono da considerarsi anonimi i campioni per i quali i dati
associati non consentono in via diretta o indiretta, con ragionevoli sforzi, di individuare
il soggetto a cui tali tessuti appartengono. A tali campioni deve essere attribuito un
codice che non consenta in alcun modo di risalire all’identità del paziente.
Ovviamente i campioni possono essere utilizzati a scopo di ricerca solo se non
pregiudicano, in alcun modo, le loro potenzialità diagnostiche e terapeutiche.
Si può prevedere che nel prossimo futuro, per favorire ulteriormente l’utilizzo a
scopo di ricerca dei tessuti stoccati negli archivi di anatomia patologia, possano essere
predisposte idonee misure atte in informare tutti i pazienti che vengano sottoposti a
interventi chirurgici/endoscopici che i tessuti raccolti nell’ambito delle operazioni
chirurgiche che li riguardano potrebbero essere impiegati a scopo di ricerca, in accordo
con le modalità previste dal legislatore. In questa ipotesi non si tratterebbe di un vero
consenso informato, come quello previsto per le biobanche, che sarebbe troppo oneroso
dover somministrare opportunamente a tutti i pazienti, ma una sorta di informazione
preliminare, per rendere partecipi i cittadini del processo. In questa visione inoltre
potrebbe essere data la possibilità ai pazienti di rifiutare che ciò avvenga.
43
44
7. CESSIONE DEI CAMPIONI BIOLOGICI
Le misure fin qui proposte riguardano il rapporto tra i soggetti che cedono i
tessuti e le biobanche. Tuttavia, al fine di valorizzare le biobanche e per assicurare che
la volontà espressa dai soggetti che hanno concesso i loro campioni mediante
il
consenso possano essere rispettate, pare opportuno porre alcuni “principi minimi” anche
nel rapporto che intercorre tra la biobanca e i ricercatori.
Possiamo dividere tali principi minimi in due diverse categorie. La prima idonea
ad assicurare il rispetto di quanto prescritto nel consenso informato, mentre la seconda
idonea a valorizzare “l’apporto scientifico” che le biobanche possono garantire.
7.1. MISURE IDONEE AD ASSICURARE IL RISPETTO DI QUANTO
STABILITO NEL CONSENSO INFORMATO.
I tessuti ed i dati ad essi relativi possono essere impiegati in attività di ricerca soltanto
nei limiti espressi nel consenso informato prestato dai singoli “donatori”.
Coloro che beneficiano dei campioni e dei tessuti stoccati nella biobanca non possono
cedere i tessuti e i dati a soggetti terzi senza il previo consenso del responsabile della
biobanca.
La biobanca pone in essere le misure tecnologiche ed organizzative idonee a consentire
la tracciabilità dei campioni e dei dati ad essi afferenti.
Il divieto di cessione dei campioni, senza consenso della biobanca, a soggetti terzi
nonché l’obbligo di tracciabilità rappresentano strumenti indispensabili per:
a) assicurare che le volontà espresse nel consenso possano essere rispettate;
b) individuare chi abbia utilizzato i campioni e i dati illegittimamente;
c) addebitare le reponsabilità derivanti dall’uso illecito dei dati e dei campioni.
Il Material Transfer Agreement (MTA) è il documento che regola il rapporto tra i
ricercatori e la biobanca. Si tratta di un contratto con il quale le due parti si
accordano sulle modalità di impiego dei materiali e sui diritti-oneri che incombono
sui ricercatori e sulla biobanca. Quello che si instaura è una vera e propria
45
collaborazione in quanto la biobanca forniscono il biomateriale (e/o dati relativi
associati) e dall’altra dai ricercatori che forniscono i dati ottenuti dagli studi di
ricerca condotti sul biomateriale richiesto. Il MTA consta di tre parti:
I. il contratto propriamente detto: è la concessione da parte del responsabile
della biobanca all’uso del materiale biologico per le finalità espressamente
individuate in un progetto di ricerca /a seguito dell’approvazione di tale
progetto da parte del comitato etico e scientifico/ che ha ricevuto
approvazione da parte del comitato etico e scientifico
II. il regolamento interno della biobanca: descrive l’organizzazione della
biobanca, l’organigramma del personale con mansioni e responsabilità, la
modalità di cessione dei materiale e i criteri di valutazione dei progetti di
ricerca per cui si fa richiesta di biomateriale, indicazioni sul trasferimento di
dati clinici associati al biomateriale e il costo del biomateriale stesso( ovvero
una quota a titolo parziale per la copertura degli oneri di mantenimento e la
gestione).
III. il modulo di cessione del biomateriale: i ricercatori forniscono al responsabile
della biobanca indicazioni relative alla tipologia del materiale di cui
necessitano per i loro studi di ricerca e alla quantità del biomateriale
occorrente.
Al fine di rendere effettivo ed operativo tale aspetto della attività di biobanking,
nell’ambito di Trentino Biobank, si sono definiti dei parametri per la richiesta dei
biomateriali (Allegato 6), dei parametri per la valutazione dei progetti richiedenti i
biomateriali (Allegato 7) e un contratto vero e proprio di “Material Transfer
Agreement”, il cui testo integrale è riportati negli allegati (Allegato 8) Tali documenti
rappresentano lo strumento operativo per il corretto uso dei biomateriali.
Nella fase attuale, Trentino Biobank ha già ricevuto varie proposte di collaborazione
con Istituzioni Provinciali e Nazionali, il cui esito è tuttavia ancora subordinato alla
46
approvazioni di vari enti finanziatori. Una volta ottenuti i finanziamenti e entrati nella
fase operativa dei progetti verranno adottati i suddetti documenti.
7.2. MISURE IDONEE A VALORIZZARE “L’APPORTO SCIENTIFICO”
DELLE BIOBANCHE.
L’accordo con il quale la biobanca trasferisce i dati e i campioni a soggetti terzi deve
avere forma scritta.
Coloro che utilizzano i campioni a scopo di ricerca hanno si impegnano, ove possibile, a
comunicare alla biobanca, almeno in forma aggregata, un set di dati minimi derivanti
dalle ricerche condotte sui campioni.
La natura di tali dati deve essere concordata di volta in volta con il responsabile della
biobanca e oggetto dell’accordo di cui al comma secondo.
La biobanca ha l’obbligo di registrare tali dati e renderli accessibili a coloro che, per
documentate ragioni di ricerca medico-scientifica, ne richiedessero l’impiego in ulteriori
progetti di ricerca.
Agevolare il c.d. data sharing risulta essere uno dei compiti essenziali che le biobanche
si candidano a svolgere. L’esistenza e l’importanza stessa delle biobanche è legata alla
possibilità che esse diventino punti nodali all’interno del processo di ricerca. Potrebbero
permettere una riduzione dei costi di ricerca e evitando la duplicazione dei medesimi
esami.
Se il loro scopo si riducesse alla mera conservazione dei campioni, le potenzialità ad
esse legate risulterebbero fortemente menomate. Chiaramente ciò richiede una visione
di sistema, una razionalizzazione delle biobanche esistenti, la volontà da parte delle
regioni di organizzare efficentemente il sistema di biobanking.
47
48
8 PRIMI RISULTATI SCIENTIFICI DI TRENTINO BIOBANK COME
SUPPORTO AD ATTIVITÀ DI RICERCA
8.1. STUDI CON CIBIO
Da una forte collaborazione con una realtà locale come il Cibio (Centro di Biologia
integrata dell’università di Trento) sono partiti vari progetti nell’ambito del carcinoma
mammario e del carcinoma del polmone.
In un lavoro pubblicato a febbraio su Americal Journal of Surgical Pathology (Am J
Surg Pathol. 2011 Feb;35(2):268-75), abbiamo dimostrato come l’analisi quantitativa di
microRNA, affiancata dalla più tradizionale analisi morfologica ed istochimica delle
biopsie tumorali, permetta una più accurata classificazione dei carcinomi polmonari più
frequentiSuccessivamente, in uno studio, appena pubblicato su American Journal of
Clinical Patology (2011 Nov;136(5):773-8), abbiamo riportato che l’analisi quantitativa
di alcune molecole di microRNA permette la classificazione di tumori polmonari non
altrimenti classificabili con le metodologie tradizionali.
8.2. PRESENTAZIONI ATTIVITÀ DI TBB A CONVEGNI
L’attività di TBB è stata presentata in vari eventi di livello nazionale ed internazionale,
rispettivamente.
•
« Giornata Trentina della ricerca biomedica » presso la sala della regione a cura
della LILT e dell’ARMET, Trento 25 settembre 2009
•
Tissue biobanks: a resource for research and a wealth of society, Alp Nano Bio
International School 2 January 11-15, 2010, Sterzing (Bolzano, Italy) 15
gennaio 2010
•
Lab. appl.: Comparative issues concerning the governance of research biobank,
Dipartimento di Scienze giuridiche Trento 29 aprile 2010
49
•
International conference Comparative Issues in the Governance of Research
Biobanks: Property, Privacy, Intellectual Property, and the Role of Technology
Trento, Faculty of Law 7/8 maggio 2010
•
Congresso Nazionale Società Iataliana di Anatomia Patologica e Citopatologi
(SIAPEC) Italiano di Bologna 22 settembre 2010
•
“Notte dei ricercatoti”, Fac. Giurisprudenza, Università di Trento 24 settembre
2010
•
Convegno "La partecipazione italiana all’infrastruttura europea della biobanche
e delle risorse biomolecolari-bbmri", Genova, 28/29 Settembre 2010.
(Barbareschi)
•
“La notte dei ricercatori”, caffè scientifico “Tumori e medicina personalizzata”
23 settembre 2011
Grazie all’utilizzo dei campioni di TBB ed al supporto economico del progetto è stato
possibile realizzare numerosi lavori scientifici e comunicazioni a Convegni,come
illustrato negli Allegati.
50