19.03.69 Lettera pastorale di Florit e testimonianze varie BA021 Gli

Transcript

19.03.69 Lettera pastorale di Florit e testimonianze varie BA021 Gli
19.03.69 Lettera pastorale di Florit e testimonianze varie
Gli operai della Vittadello in sciopero
BA021
(Interventi di: Carlo Consigli, Enzo Mazzi, Daniele Protti, Giovanni Cipani, don Silvano, Mira
Furlani, Aldo De Santi, Sergio Gomiti, altre voci non identificate).
Carlo C.: Volantino mandato dalla chiesa di Monticelli: "Posa della prima pietra della erigenda
nuova chiesa del Santissimo Crocifisso. Il complesso delle opere parrocchiali Pio XII sarà
finalmente coronata dal sorgere della nuova chiesa. Il 19 marzo prossimo venturo, festa di San
Giuseppe Sua Eminenza il cardinale Ermenegildo Florit ne benedirà la prima pietra dopo aver
celebrato la santa messa alle ore undici presso il parco nel luminoso sfondo di Bellosguardo. La
nuova chiesa porterà il nome del Santissimo crocifisso in memoria della grande santa, discepola del
Savonarola, Caterina De’ Ricci che da piccola rimaneva estatica in preghiera, in ascolto dinanzi al
nostro meraviglioso crocifisso giottesco detto per questo “della Sandrina”. Nel nome del Santissimo
Crocifisso verrà onorata anche la memoria di San Francesco stimmatizzato che da Cristo prese
l'ultimo sigillo che rimase a Monticelli per tutta la quaresima del 1221 a benedire e santificare con
la sua serafica presenza il primo convento delle clarisse sorto qui dopo quello di San Domenico in
Assisi. La nuova casa di Dio, così ardentemente desiderata dal parroco e dal popolo, dopo lunga
attesa, sofferta nel groviglio di tanti ostacoli, fiorirà dalla concorde volontà di tutti i parrocchiani,
piccolo santuario come atto di amore e di riparazione al divino Re Crocifisso. Questo Comitato,
consapevole delle non lievi difficoltà che ancora rimangono, mentre affida alla divina provvidenza
il suo arduo lavoro, rivolge un caldo, fiducioso appello a tutto il popolo di Monticelli perché, col
fervore della preghiera e con la larga generosità delle offerte, operi in uno slancio di cristiana
fraternità al rapido compimento dell'opera. La nuova chiesa, moderna e funzionale, adatta nella sua
struttura architettonica alle molteplici necessità parrocchiali diverrà, attraverso l'unione dei cuori nel
magnanimo impegno della sua costruzione, il centro operoso della fervida vita di una grande
famiglia di fedeli nella serena luce della verità per il trionfo della giustizia e della pace. Firmato: il
vice-presidente Ugo Soldani, presidente Onorevole Renato Cappugi, il parroco don Antonio Sani.
Postscriptum: Il Comitato farà conoscere con un apposito comunicato le modalità per la raccolta
delle offerte.
Miglior commento non c'è che il Vangelo:
Gesù andò a Gerusalemme ed entrato nella città cominciò a parlare e disse: Gerusalemme,
Gerusalemme.. [lettura dal Vangelo di Matteo, 23, 37-39 e 24, 1-2].
Leggiamo ora la lettura numero due. [questa lettura non è stata registrata].
Enzo M.: Mi dispiace che noi siamo in questa situazione che si debba parlare, ascoltare,
comunicarci (problemi) sotto l'acqua e penso che questa è una testimonianza che noi diamo. Anche
se si soffre un pochino ci si tratterrà un po' anche stamani. Innanzitutto debbo dire che ho ricevuto
finalmente, dopo tanto tempo, una lettera di Gonzalez Ruiz, nostro amico spagnolo, che era sotto
processo. E' una lettera che solleva l'animo perché temevamo molto della sua sorte. Dice: "sono
ancora vivo. Sono stato impegnatissimo nell'affare del mio giudizio che è già stato celebrato.
Ancora non ne so il risultato. Penso che presto verrò in Italia e forse il 21 andrò a Milano e subito
andrò a Padova. Vi farò non una ma parecchie visite. C'è molto da raccontarci. Ho visto un sunto
della lettera pastorale del vostro Florit, una lettera lupina". Cioè non pastorale. Ricordate il discorso
del Vangelo: "io sono il pastore che difendo le pecore dal lupo". Ecco questa è lupina non pastorale.
"Bisogna contestarla. Lo vedremo insieme. Salutissimi a tutti. Arrivederci a presto". Mi ha mandato
anche, e mi è arrivato stamani, questo espresso, me lo ha mandato in spagnolo - io penso che sia il
testo del processo, io non so - lo faremo tradurre e poi vedremo un po'. E poi ha mandato anche un
certo articolo che leggeremo magari domenica prossima. Ora entriamo nel vivo di questa lettera
"lupina". Il Vangelo ci ha insegnato a diffidare delle parole staccate, avulse dai fatti. Ma forse Gesù
stesso aveva imparato questa saggezza vivendo in mezzo alla gente umile di Nazareth. La bontà
delle parole si giudica dai fatti "non chi dice Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli", "ogni
albero si riconosce dai propri frutti", dice Gesù. Gesù stesso quando vuol dimostrare di essere il
Messia presenta prima di tutto dei fatti. Questi nono la sua carta di identità. Giovanni Battista dice il
Vangelo, mandò due discepoli da Gesù perché gli ponessero questa domanda: "sei tu colui che deve
venire o dobbiamo attenderne un altro?" Gesù non rispose con un trattato di teologia, né con una
lettera pastorale. Rispose invece così. Ascoltate: "Andate e annunziate a Giovanni ciò che avete
veduto e udito: i ciechi vedono, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono, i
morti risorgono, i poveri sono evangelizzati - cioè è annunziata loro la buona novella, l'annunzio
della liberazione - ed è beato colui che non si sarà scandalizzato di me". Ecco, questa è la risposta di
Gesù. E invece la risposta del cardinale non è che un insieme di parole, solo parole, non è citato
nemmeno un fatto. E' una lettera lunghissima. Io l'ho letta attentamente varie volte, una lettera
rivolta da un padre ai suoi figlioli. Non un solo fatto vissuto e ricordato. Tutti i fatti sono accennati
genericamente. Per nominare l'Isolotto il cardinale dice: "una certa esperienza pastorale". Questa
lettera pastorale, questo modo di scrivere, questo modo di esprimersi è un vecchio trucco, già
stigmatizzato da Gesù: "guai a Voi - disse Gesù - dottori delle legge perché avete rubato la chiave
della scienza" - non la scienza di Dio, la scienza delle vita - "e voi non siete entrati e lo avete
impedito a coloro che volevano entrare". Ecco cosa sono le parole senza fatti: un latrocinio. "Voi
avete rubato la chiave della scienza". E' una impostura verso la gente semplice, un rubare al popolo
la chiave della scienza, è un trucco col quale da secoli i saggi e i potenti ingannano e tengono
soggetto il popolo. Lo rigirano, lo ravvolgono nelle parole. Paroloni, il popolo abbocca e va tutto
bene. Si ammantano di belle parole e così nascondono l'ingiustizia delle opere. "Voi farisei - dice
Gesù - purificate il fuori del bicchiere e del piatto ma il vostro interno è pieno di rapina e
d'immondezza e di malizia. Guardatevi dal lievito dei farisei che è l'ipocrisia". Con dolore e
trepidazione, ma anche con fermezza dobbiamo dire che il Magistero della Chiesa è spesso un
insegnamento di belle parole, non di fatti. "Caricano - dice ancora il Vangelo - il popolo di pesi
insopportabili ma essi non li toccano nemmeno con un dito". Noi vediamo come le parole di Gesù
solo attinenti, vicine alla nostra realtà, realtà di oggi. Il Vescovo per esempio ci accusa di aver
formato una comunità secolare, cioè una comunità non religiosa, secolare. Noi non possiamo
accettare questa accusa da una Gerarchia che ha ridotto la Chiesa ad una potenza del mondo. Ci
accusa di ricercare la povertà e la solidarietà con i poveri senza spirito evangelico ed ecclesiale, ma
quale esempio ci danno i nostri maestri? Li vediamo sempre solidali ed alleati con i ricchi. Ci
accusa di ridurre i poveri alla contestazione acida, alla rivendicazione esasperata, all'antagonismo
classista - sono parole della lettera pastorale - come può dire queste cose un Vescovo che non ha
mai alzato un dito in difesa degli operai e degli oppressi? Queste parole senza fatti sono anche un
comodo sistema per gettare fango sugli assetati di giustizia senza sporcarsi le mani. Il Vescovo
anche in questa lettera ci accusa, per esempio, di essere disubbidienti ma l'accusa, ancora una volta,
non è motivata. Non ha mai motivato le sua accuse e i suoi provvedimenti il cardinale verso di noi.
Le condanne senza motivazioni usano in Sudafrica contro i negri. Abbiamo sentito leggere
domenica scorsa da Luciana la legge del Sudafrica. Si può mettere in galera i negri senza
motivazioni. È uno dei peggiori aspetti del razzismo questo. Anche quello del Vescovo è razzismo.
Egli è troppo superiore, egli possiede la verità assoluta, non può abbassarsi a portare giustificazioni
al suo operato. Il fatto è, come per i razzisti del Sudafrica, che se portasse motivazioni, specialmente
quelle vere si scoprirebbe il suo giuoco. I nostri maestri non hanno capito che ormai il gioco è
scoperto fin troppo: "Niente infatti è occulto che non sarà rivelato e niente nascosto che non sarà
conosciuto. Quanto è stato detto nelle tenebre sarà udito nella luce e quanto è stato sussurrato
all'orecchio sarà predicato sui tetti". Guardate com'è scoperto questo gioco. Dice il cardinale ad un
certo punto della sua lettera, parlando della nostra esperienza "anche la promozione sociale dei
poveri è atto di autentica carità cristiana ma solo se condotta con fede illuminata che fa scorgere nel
ricco non un avversario da combattere ma un fratello da avvicinare ed eventualmente da correggere
per contribuire insieme, anche con il retto uso dei beni materiali, all'instaurazione del Regno di Dio
nel quale tutti sono fratelli e nessuno ricusa di mettere insieme quanto possiede. In caso contrario si
avrà la contestazione acida, la rivendicazione esasperata, l'antagonismo classista da una parte e
l'autodifesa egoista e altrettanto classista dall'altra, tutte cose che non hanno a che fare con la
missione della Chiesa". Bisognerebbe rileggerla un'altra volta questa frase perché secondo me è lo
specchio della realtà in cui ci troviamo, dell'atteggiamento dei nostri maestri, della gerarchia della
Chiesa. Qui si cambiano sfacciatamente le carte in tavola. C'è uno sprezzante capovolgimento della
realtà. Secondo Florit sono i poveri che opprimono i ricchi. Avete sentito voi. Se volete ve lo
rileggo. Sono i deboli che combattono i potenti avete sentito: "non un avversario da combattere".
Sono gli sfruttati con la loro "contestazione acida", con la loro "rivendicazione esasperata", con il
loro "antagonismo classista" impongono ai ricchi di difendersi e di chiudersi nel classismo. Secondo
Florit i poveri e gli oppressi dovrebbero prendere a braccetto gli oppressori, dovrebbero baciare i
piedi che li calpestano, accarezzare le mani che li sfruttano e li torturano, benedire le bombe e i carri
armati che li annientano e allora i ricchi diventerebbero buoni. Chi non invita i poveri a comportarsi
così è un sobillatore, "privo di fede illuminata" - son parole della lettera del cardinale - "e fuori della
missione della Chiesa". Questa è l'accusa che Florit rivolge a noi e a tutte le classi e i popoli che
lottano per la loro liberazione. Il nostro Cristo è un agitatore sociale. Questa è l'accusa che hanno
rivolto al nostro catechismo. Ma il Cristo di Florit che cos'è? Lo immaginate Gesù che dice: guai a
voi che siete poveri perché "scorgete nel ricco un avversario da combattere e non un fratello da
avvicinare ed eventualmente da correggere". Guai a voi - immaginate, dice Gesù - guai a voi che
avete fame e sete di giustizia perché vi lasciate andare alla "contestazione acida, alla rivendicazione
esasperata, all'antagonismo classista". Immaginate il Gesù di Florit che dice: Guai a voi sei milioni
che morite ogni anno di fame perché dai vostri cuori invece che canti di fraternità escono grida di
disperazione, beati voi o ricchi perché sono i poveri che vi costringono alla difesa egoistica: se fosse
per voi sareste agnellini; beati voi che ora siete sazi perché è il classismo degli affamati che vi
costringe a mangiare e a godere sempre di più. Questo è il Cristo di Florit, purtroppo. Io non saprei
con quali parole definire questo capovolgimento della realtà e del Vangelo. Basterà questo brano
evangelico: "L'assemblea dei capi condusse - questo è il commento a tutto, in fondo - l'assemblea
dei capi condusse Gesù da Pilato e cominciarono ad accusarlo dicendo: costui l'abbiamo trovato che
sobillava la nostra gente alla ribellione". Queste sono le parole dei capi degli Ebrei, dei sacerdoti del
tempio, sono le parole di Florit, identiche nella sostanza anche se un pochino variate nella forma.
"Ed insistevano con forza dicendo: è un agitatore del popolo, deve morire". Di fronte ad una lettera
di questo tipo, di fronte ad un capovolgimento di questo genere, così chiaro, così esplicito, di fronte
ad un rimescolamento di carte, noi che cosa diciamo? Noi non abbiamo niente da dire. Noi abbiamo
aperto gli occhi e vogliamo che tutti gli uomini li aprano non perché veramente noi vogliamo la
contestazione acida, ma perché noi vogliano che finalmente nel mondo ci sia giustizia e pace,
perché queste parole di questa lettera e di tante altre lettere pastorali sono le parole che sostengono
la guerra, che sostengono l'ingiustizia, che sostengono la divisione. Noi vogliamo che queste parole
non vengano pronunziate più; noi vogliamo che questo modo di mettere in mezzo. di raggirare il
popolo non venga più attuato e specialmente non venga attuato nel nome di Gesù Cristo. E allora
noi chiediamo di nuovo al vescovo: vieni in mezzo al popolo; vieni, non andare alle cerimonie della
inaugurazione delle pietre morte, ma vieni ad inaugurare le pietre vive, le pietre della conciliazione,
della unione, della fraternità con il popolo in modo che tu capisca veramente come stanno le cose,
in modo che tu arrivi a comprendere veramente dal profondo, dalla radice il significato del Vangelo
di Gesù Cristo che era un povero, era uno del popolo, non era un cardinale. Allora vieni e insieme
riscopriremo il significato del Vangelo e riscopriremo il significato della vita. Questa è la risposta mi sembra - che noi possiamo dare al nostro cardinale, la risposta alla sua lettera pastorale. Io non
avrei altre risposte da dare.
Daniele P.: Oggi qui da noi è venuta una persona, una operaio a rappresentare gli operai della
Vittadello che stanno occupando la fabbrica. Una considerazione che mi sembra sia importante. Noi
siano stati molto vicini, sia negli anni scorsi sia ultimamente alle lotte di tutti quanti gli oppressi del
mondo. ricordatevi dei negri americani, sudafricani, dei cecoslovacchi ed altri. Abbiamo sempre
cercato di uscire dall'Isolotto, almeno mentalmente, per esprimere la nostra solidarietà e la nostra
vicinanza con le lotte di tutti coloro che sono oppressi nel mondo da chiunque vengano oppressi. Mi
sembra importante non dimenticare che anche qui in Italia ci sono milioni di oppressi e che in
questo momento in Italia, in particolare a Firenze, vi sono lotte operaie, lotte di oppressi che hanno
un livello notevole e hanno una importanza enorme soprattutto per noi. Non possiamo dimenticare
che dobbiamo sentirci solidali e partecipare anche a queste lotte operaie. A Firenze c'è la Vittadello,
c'era a Prato la Balli. A Prato, in quella fabbrica è intervenuta la polizia per farla sgomberare.
Questa è un'altra considerazione che dovremo fare: come la polizia e la magistratura è intervenuta
contro di noi per reprimere questo movimento che c'è all'Isolotto così è intervenuta contro gli
studenti e adesso cominciano ad usare la linea dura anche contro gli operai. Quando cioè gli
studenti, gli operai e anche noi cominciamo a voler parlare, cominciamo a voler far sentire la nostra
voce, quando cominciamo a richiedere le assemblee in una chiesa, nella scuola, nelle fabbriche,
quando cioè noi esprimiamo la nostra volontà di parlare, di partecipare, ecco che allora il potere
ecclesiastico o statale che sia non lo sopporta. Non sopporta che noi si parli, non sopporta che noi si
possa pensare, non sopporta che noi si possa decidere perché il potere di decisione spetta solo a
loro. E noi ne abbiamo un chiaro esempio nei confronti del nostro Vescovo. Noi dovremmo stare
zitti ed essere le solite pecore. Ecco che come son già venuti gli operai dell'Amiata, sia venuta oggi
qua una nostra amica operaia della Vittadello a comunicarci la sua esperienza. Ma credo che noi
non possiamo fermarci qua. Credo che veramente dobbiamo cominciare ad essere molto più solidali
con le lotte operaie che avvengono in Italia. Anche perché c'è un altro fatto. Andiamo incontro ad
un periodo piuttosto grave: la repressione poliziesca in Italia aumenta e lo possiamo vedere
quotidianamente e noi non possiamo rifugiarci esclusivamente nel nostro piccolo conflitto con il
Vescovo e dimenticare tutto il resto perché la nostra lotta è inquadrabile nella lotta generale degli
oppressi contro gli oppressori. Parla ora quindi la nostra compagna.
Voce femminile (operaia della Vittadello): Io credo che non sia necessario dilungarsi molto sulla
necessità di questo colloquio a contatto con la popolazione anche dell'Isolotto. Credo che abbiamo
molti punti di unità fra gli intenti del vostro Vangelo contro uno strapotere dall'alto che ritroviamo a
tutti i livelli, come ha detto il giovane che prima ha parlato e i primi che di questo subiscono o
vorrebbero far subire sono gli operai, la classe operaia italiana ed anche qui a Firenze abbiamo degli
esempi piuttosto clamorosi. Nell'azienda in cui io lavoro, prima avevamo alcuni diritti sindacali che
ci consentivano un dialogo continuo con la classe operaia all'interno; avevamo l'assemblea in
fabbrica, avevamo il diritto di contrattazione a livello aziendale con la commissione interna,
sindacati e direzione. L'azienda ha cambiato padrone, cioè il padrone è diventato più grosso e noi
siamo diventati una piccola particella di un grosso monopolio come la Montecatini e appena questo
monopolio, appena il padrone si fa più grosso più duri sono gli attacchi a tutte le libertà che
all'interno dell'azienda esistono e specialmente dove non esistono l'attacco a che non vengano mai
costituiti. Noi avevamo questa libertà all'interno della azienda e ce la vogliono togliere e insieme
alla libertà, guarda caso, si combina subito agli interessi economici di questi gruppi, perché mentre
c'è un attacco alla libertà all'interno della fabbrica, un attacco alla democrazia di cittadinanza
dell'operaio all'interno della fabbrica, vediamo subito come questo coincide anche sul piano
economico dei lavoratori. Non contrattare a livello aziendale nella nostra fabbrica di fatto vuol dire
una diminuzione di salario che raggiunge le dieci-quindicimilalire in meno al mese di quanto si
percepiva prima; vuol dire ritmi di lavoro già estenuanti esistenti all'interno dell'azienda che i
sindacati e le commissioni interne non possono più contrattare il limite massimo che il fisico umano
può resistere alla catena, perché noi abbiamo un lavoro a catena. Non contrattare questo vuol dire
mettersi alla mercé del padrone che sempre più vuole che si produca e sempre meno vuole pagare
questo nostro lavoro. Ecco perché si vede queste libertà limitate che non sono solo un attacco alla
democrazia ma che sono collegate subito ad un interesse economico di questi gruppi monopolistici.
Ecco per questo noi siamo in lotta da due mesi e con un ulteriore rifiuto da parte della direzione di
contrattare seriamente questa vertenza in cui noi oltre a difendere certe posizioni che avevamo
acquistato, avevamo presentato una carta rivendicativa, visto i limiti accelerati del lavoro, una
diminuzione dell'orario di lavoro, avevamo chiesto di mantenere i diritti di assemblea in fabbrica,
avevamo chiesto un contributo da parte del padronato per la costituzione di asili nido zonali,
partecipando con un contributo degli Enti locali per un consorzio che dovrebbe estendersi a livello
cittadino. Chiedevamo tutte queste cose per migliorare le nostre condizioni che già erano
difficoltose. La risposta del padrone è stata un attacco a tutte le libertà esistenti e un attacco
completo anche a livello economico. Oltre a questo noi abbiamo un trattamento all'interno
dell'azienda già esistente e questi signori vorrebbero assumere nuovo personale a una paga minima
contrattuale inferiore di venti-venticinquemilalire di meno al mese. Così ci si troverebbe a lavorare
a fianco a fianco con la zona salariale per la cui abolizione abbiamo fatto tanti scioperi a livello
nazionale e il monopolio lo vorrebbe mettere proprio all'interno dell'azienda. Ecco perché noi
crediamo che la nostra lotta serva anche come contributo a una lotta più generale nel Paese. Voi per
esempio avete letto sui giornali che al Parlamento stanno presentando uno statuto sui diritti dei
lavoratori, ecco invece che il padronato attacca perché questo statuto sia limitato in tutti i suoi
aspetti più democratici come una Repubblica italiana dovrebbe avere. Ecco per questo credo che la
vostra solidarietà non mancherà e noi saremo felici anche se un gruppo di cittadini dell'Isolotto
venisse anche a visitarci. Noi saremo ben lieti di avervi fra noi quando prima credete. Grazie.
Giovanni C.: Mia moglie ed io avevamo pensato di dar partecipe oggi tutta la Comunità della
nostra grande gioia. Cioè abbiamo avuto due gemelli maschi e volevamo presentarli alla Comunità.
Solamente il tempo non lo ha permesso perché hanno solo ventiquattro giorni di vita. Però la prima
domenica che c’è un po’ di sole si presenteranno alla Comunità e si farà in modo che entrino a far
parte di questa meravigliosa famiglia. Sono due maschi. Adesso leggiamo insieme un brano del
Vangelo di Luca. [La lettura comune non è registrata].
Adesso c’è un sacerdote che è venuto a farci visita e che vorrebbe parlarci. Ecco Silvano.
Silvano (sacerdote): Noi veniamo assai da lontano ma mi pare che anche ieri sera quando ci siamo
incontrati con alcuni di voi abbiamo usato una parola almeno dentro di noi. Abbiamo detto: “ci
riconosciamo nei lineamenti” come disse un giorno un gruppo di giovani che andando in
Cecoslovacchia ad incontrare un gruppo di cristiani di quella nazione dissero: “ci siamo scoperti
fratelli, ci siamo scoperti molto vicini”. Anche noi abbiamo fatto un’esperienza – voi molto di più
probabilmente – che quando in noi sorge la passione per il Vangelo e per la Chiesa immediatamente
quella passione, quel gusto diventa passione della nostra carne, sofferenza, sofferenza per quella
povertà che vediamo in noi soprattutto e intorno a noi, quella incapacità a voler bene a sufficienza e
soprattutto quella incapacità a mettere in pratica quel Vangelo che è sempre così formidabile ma
sempre così lontano dalla nostra portata di ogni giorno. Tant’è vero che ogni sera dobbiamo dire
magari dentro di noi, forse non lo diciamo a nessuno, però dobbiamo dire: ecco io oggi ho letto
questo Vangelo ma questa sera mi accorgo di non essere stato capace di metterlo in pratica se non
troppo poco. E se questo vale per me e per te che sei vicino penso che vale per tutti noi. E questa è
la nostra passione, il nostro gusto ma direi anche la nostra fatica, il nostro pianto. Direi che fare la
Chiesa si riconosce qui, quando piange. Forse si sbaglia, si sbaglia sempre forse, però l’importante è
che si soffre della situazione. E poi i nostri amici dicevano un’altra cosa, i nostri amici di Gorizia,
dicevano un’altra cosa: “ecco, quando si prende sul serio il Vangelo ci sia accorge di una realtà che
c’era già, solo la non si vedeva, si era al buio: che tra noi non ci vogliamo bene. Prima ci sembrava
tutto pacifico, tutto bene, anche tra noi come Chiesa. Si pensava di volerci bene a sufficienza perché
si leggeva il Vangelo, ma appena dentro di noi è successo qualcosa abbiamo sentito, dentro di noi,
un richiamo più forte. Allora si è illuminato il mondo e abbiamo visto che quel mondo non era così
bello. Ma più che guardare il mondo fuori di noi bisognerebbe guardare il nostro mondo, la mia
famiglia e le vostre famiglie. Ecco, è questa la sofferenza. E in questa sofferenza non ci resta che
pregare perché il nostro cammino si faccia più preciso.
Mira F.: Un gruppo di amici, un gruppo di studenti di Latina che vogliono venire a salutare la nostra
Comunità. Saremo ben lieti.
Voce maschile (insegnante di Latina): Diciamo che non sono uno studente ma un insegnante che
accompagna degli studenti qui a Firenze. Personalmente posso dire che nella valigia ho messo il
Vangelo tra gli altri libri. E siamo venuti qui a Firenze per conoscere quello che voi dell’Isolotto
fate perché il cristianesimo sia qualcosa non di formale ma di sostanziale. Dico subito che alcune
idee che avevamo ci sono cadute. Noi pensavamo certe cose e conoscendo don Mazzi e quelli che
abbiamo conosciuto, anzi prima di lui, quelli del laboratorio, quelli che lavorano, abbiamo capito
che c’è molta possibilità di lavoro e che più ce ne potrà essere quando tutti noi cercheremo di
portare per parlare anche il nostro contributo. Noi – diciamo: tutti quelli che sono con me - a nome
mio ringraziamo per quello che ci avete fatto conoscere e la fiducia e diciamo anche lo choc che
abbiamo provato. Certo torneremo per parlare anche e soprattutto di voi, cioè di noi.
Aldo D.S.: Vi leggo una lettera che è giunta: “Firenze, 10 marzo 1969. Agli amici dell’Isolotto e
don Mazzi. Siamo un gruppo di dipendenti della Filiale FIAT di Firenze. Attraverso i vostri
notiziari e le vostre parole abbiamo avuto modo di ascoltare da alcuni vostri parrocchiani, che
lavorano con noi, ci siamo fermamente convinti della giustizia che traspare dalle vostre, nostre
richieste. Alla luce di queste convinzioni che, non solo giustificano le vostre posizioni, ma anzi vi
innalzano su un piano morale superiore, noi vi esprimiamo la nostra solidarietà alla lotta che voi in
questo momento state sostenendo”. Ci sono poi una trentina di firme.
Mira F.: Prima di chiudere la nostra assemblea vi avverto che stasera alle ventuno e trenta, come al
solito alle Baracche, faremo la nostra assemblea per discutere i problemi che ci interessano.
Leggiamo insieme la lettura numero quattro. [La lettura non è registrata].
Voce maschile - (laico di Milano legge una lettera di commento alla pastorale del Vescovo di
Milano): Questa lettera non è di rottura: “Abbiamo ascoltato e meditato la lettera pastorale che tu ci
hai inviato per la prima domenica di Quaresima. Ti ringraziamo per questo tuo segno di presenza tra
di noi e di sollecitudine pastorale. Vogliamo ora manifestarti alcune nostre considerazioni in spirito
di aiuto e collaborazione, impegnandoci anche ad una leale correzione fraterna. La tua lettera è stata
letta nell’omelia dopo la proclamazione del profeta Isaia. Noi tutti abbiamo notato lo stridente
contrasto fra la tua parola e la Parola di Dio annunciata dal profeta”. Noi non abbiamo voluto dire
tanto le nostre cose ma proprio lo stridente contrasto tra quello che dice il cardinale e quello che
veniva letto durante la lettura del profeta Isaia. “Tu rivolgi le tue considerazioni non alla Comunità
ma ai singoli cristiani”. Dice per esempio: “Tu affermi che la cresima del cristiano consiste nel
silenzio interiore. Isaia non è d’accordo con te, ma Dio gli intima: grida a gran voce, non desistere,
alza la tua voce come tromba e manifesta al mio popolo le sue infedeltà”, eccetera. E poi alla fine si
fa un’accusa che è dimostrata dai fatti. “La riflessione più dolorosa che sentiamo il dovere di
manifestarti di fronte ai cristiani di fatto è che la tua azione in favore dell’unità della Chiesa si
risolve in una divisione fra le pecore del tuo gregge. Finché tu identificherai la tua opinione con la
Parola di Dio imponendola a tutti, finché impedirai ad ogni fratello di parlare e sperimentare
liberamente tu costringi molti ad allontanarsi dalla Comunità. C’è infine una ultima considerazione
che vogliamo proporti con tutta franchezza e carità. C’è sembrato che la tua personale e limitata
interpretazione della Quaresima rispecchiasse la situazione di una Chiesa ricca, compromessa con i
ricchi. La parola ingiustizia non ricorre mai nella tua lettera pastorale. Il patetico generico accenno
alla fame nel mondo sembra seguire la moda del momento. Insomma la tua parola rivela una
persona lontana dalla vita dei tuoi fratelli, estranea alla loro disperata lotta quotidiana con le
espressioni visibili del peccato. Tu non condividi la povertà del Popolo di Dio. Sarai povero in
spirito ma non ti sei ancora fatto effettivamente povero tra i poveri come Cristo. Finché rimarrai
isolato nel tuo posto di privilegio non riuscirai a capire né i tuoi fratelli né la Parola di Dio che è una
buona novella indirizzata ai poveri. Non vivi nella situazione sacramentale della povertà che sola
renderebbe credibile le tue parole e con te tutta la Chiesa visibile a Milano. Tu e i nostri sacerdoti
imponete le tasse per gli atti di culto inducendo scandalo e discriminazione fra i fratelli. La nostra
Chiesa è una delle maggiori potenze economiche della regione, compromessa con l’inumano
processo di sfruttamento del capitalismo milanese, arroccata nello ostinato diniego di pubblicare i
propri bilanci. Il nostro clero gode di beni e privilegi che lo separano dalle sofferenze di molta parte
del Popolo di Dio. Per questo la tua parola è lontana: perché è la parola di un ricco. Non ci tocca
perché non condivide la vita dei fratelli. La Chiesa è un sacramento, un segno visibile di una realtà
salvifica invisibile ma la tua povertà non è visibile. Abbiamo voluto esprimere queste nostre
considerazioni per aiutarti a ripensare ai grandi temi della libertà e povertà cristiana e renderli
attuali nella nostra Chiesa locale spinti dalla nostra sofferenza per la Parola di Dio che è estinta in
molti a causa di una struttura ecclesiastica non conforme al Vangelo”.
Sergio G.: Prima di andar via si dice insieme il “Padre nostro”. Poi volevo dire una cosa. Se c’è
qualcuno, qualche giornalista che può essere qui in mezzo a noi oppure qualcuno che questi rilievi li
fa dall’alto: a noi questo non interessa, però a loro deve interessare parecchio notare , per esempio,
quanti sono quelli della Comunità dell’Isolotto. O sono i giornali che mangiano gli zeri - perché
dice il Corriere della Sera che domenica s’era centocinquanta - o il giornalista del Corriere della
Sera ha un occhio solo, o un quarto, un terzo. A noi non interessava il numero quando eravamo in
chiesa. A noi interessa la sostanza. E d’altra parte il numero del mondo è così grande che, se anche
all’Isolotto si fosse tre soli, ne abbiamo dalla nostra parte almeno due miliardi e mezzo. Siamo in
buona compagnia. Si recita il Padre nostro. [La preghiera non è registrata].
[Termina qui la prima parte della bobina e termina qui la registrazione dell’assemblea del 19.03.69]