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Sommario EDITORIALE di Alfredo Martini La grande opportunità della rigenerazione urbana (p.5) OPINIONI Rigenerazione e qualità della vita urbana (p.6) - Rischi e opportunità (p.8) - L’investimento migliore è nella conoscenza (p.11) La sostenibilità nei sistemi urbani: che fare? (p.12) INTERVISTA FRANCESCO KARRER: Rigenerare vuol dire creare ricchezza economica e migliori condizioni sociali (p.14) EDITORE E PROPRIETÀ EDITORIALE Strategie & Comunicazione Srl Via P. Carnabuci, 27 00139 Roma DIRETTORE SCENARI Andiamo a vivere tutti in città (p.17) - Innovare e riorganizzare, per trasformare le città (p.22) - Dal Pon Città metropolitane risorse per lo sviluppo urbano (p.25) DOCUMENTI Il rilancio parte dalle città metropolitane (p.29) MODELLI Rigenerare l’edilizia sociale del ‘900: strategie europee a confronto (p.32) - I fattori di successo dell’esperienza britannica (p.36) Un nuovo centro urbano a Berlino (p.42) IL PUNTO di Giovanni Salmistrari, presidente Ance Veneto Accendere i motori della ripresa con visione e coraggio (p.47) LEGISLAZIONE Verso la legge regionale 14 sul consumo di suolo (p.48) RESPONSABILE ED EDITORIALE Alfredo Martini CAPOREDATTORE Maria Cristina Venanzi REDAZIONE Martino Almisisi Paolo Cesare Virgilio Chelli Emanuele Incanto FOCUS La sfida di Porto Marghera (p.51) Mimosa Martini Rosa Moretti PROGETTI I giovani imprenditori veneti ripartono dalla bellezza del territorio (p.55) - Dalle fondamenta. Rimotivarsi per essere più competitivi (p.58) AUTORI Effetto domino (p.61) IL PUNTO di Stefano Petrucci, presidente Ance Lazio Un testo unico regionale per rendere possibile la rigenerazione urbana (p.63) TAVOLA ROTONDA Il futuro di Roma fra nuova normativa urbanistica e città metropolitana (p.64) FOCUS Rigenerare le periferie romane (p.70) - Viterbo: per una città a misura di cittadino (p.74) CONVEGNI L’internazionalizzazione, un’opportunità da cogliere (p.77) Giovanni Pietrangeli Mattia Sereni PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE Aurora Milazzo In copertina Il progetto di Ortner & Ortner Baukunst per il quartiere Gleisdreieck a LE PAGINE DI CDC Progetto Crescita e prima Conferenza nazionale sulla certificazione di sostenibilità (p.79) Berlino (© Copro e HG Esch). La grande opportunità della rigenerazione urbana Governare l’innovazione nel mercato che si trasforma Teatro Giovanni da Udine 23-24 settembre Per un riposizionamento strategico del settore orientato alla comprensione dei fattori di cambiamento interno ed esterno e di una domanda in forte trasformazione, partendo dalla consapevolezza della rilevanza dei fattori di innovazione, dall’Innovation Management alla Business Transformation. Una riflessione sull’innovazione tecnologica e sui nuovi modelli delle costruzioni, dall’industrializzazione del processo edilizio alle nuove frontiere della ricerca, all’individuazione dei nuovi paradigmi che influenzeranno i modi di costruire nei prossimi anni. Con l’Università di Berkeley in California, il MIB School Of Management di Trieste, l’Università di Roma Tre e il Formedil, best practice internazionali, le aziende leader della filiera. Tre sessioni e 20 relatori italiani e internazionali 1. Innovazione e trasformazione Orizzonti, Cambiamenti, Visioni. Per nuovi modelli di business. 2. Innovazione e costruzioni Processo, Prodotto, Modelli. Il mercato italiano delle costruzioni: nuovi confini e nuove competenze. L’industrializzazione di processo e le nuove frontiere del costruire. Più manager, nuove professionalità, capicantiere 2.0. 3. Innovazione e sperimentazione Abitare, Vivere, Muoversi. La casa italiana del futuro secondo Civiltà di Cantiere. La casa industriale ad elevata personalizzazione. Nuovi modi di abitare: dall’housing al co-housing. Educare allo spazio: uno spazio per educare. Residenza per anziani a 5 stelle. Flying Factories: tra forme e processi. Sicurezza antisismica leggera. Edifici senza pensieri. PARTNER L’Italia è uno strano paese. Quel che colpisce ormai da diversi decenni è la nostra facilità ad appassionarci a un tema, per poi abbandonarlo con la stessa facilità. L’altro aspetto su cui riflettere, questo più recente, è la passione per il nominalismo. Ovvero la propensione a riesumare temi passati di moda chiamandoli con un nome nuovo cui aggiungere qualche significato ulteriore per ridargli vigore. È il caso della riqualificazione urbana, diventata oggi rigenerazione. Ma dietro il nominalismo vi è una realtà che è cambiata e che richiede una nuova e diversa attenzione. Come evidenzia Francesco Karrer nell’intervista che pubblichiamo su questo numero monografico, là dove sottolinea che quando parliamo di rigenerazione dobbiamo riferirci a concetti e obiettivi che sono diversi da quelli della riqualificazione e che richiedono strategie e progetti in grado di creare nuova economia e migliorare le relazioni sociali di un determinato quartiere o area territoriale. Troppo spesso invece prevale la tendenza a considerare i due termini come sinonimi, riducendo la rigenerazione a riqualificazione. E il rischio che corriamo quando rinunciamo a legare i progetti di trasformazione ad obiettivi di sviluppo economico e sociale è quello di ridurli unicamente a interventi di valorizzazione immobiliare. Da qui parte la nostra riflessione sulla rigenerazione urbana. Con una particolare attenzione ad alcune esperienze europee che chiamano in causa la qualità delle soluzioni individuate, le modalità di coinvolgimento dei privati, ma soprattutto che evidenziano l’importanza della pianificazione e della governance pubblica. Da cui emerge per confronto la grande debolezza tutta italiana del non saper programmare, di inseguire sempre l’emergenza, di giocare al ribasso. Un modo di agire oggi non più sostenibile. Ragionare su questo è essenziale, così come conoscere il quadro delle disponibilità finanziarie e le strategie collegate ai fondi europei, come nel caso del Pon Città metropolitane 2014-2020. Ci caliamo poi all’interno della dimensione regionale confrontandoci con la complessità della rigenerazione di Roma, che chiama in causa anche la regione Lazio e il nuovo testo unico sull’urbanistica. Mentre nel Veneto si apre l’impegnativa sfida della rigenerazione di ampie aree deindustralizzate e anche qui la legislazione regionale diventa strategica per creare le condizioni e determinare le politiche del futuro. A completare il numero interviste e approfondimenti attenti al territorio e al sistema delle imprese, che resta il nostro principale interlocutore, come dimostrano i numerosi contributi da parte di imprenditori delle costruzioni. EDITORIALE ALFREDO MARTINI Direttore di Civiltà di cantiere 5 Opinioni Rigenerazione e qualità della vita urbana La complessità delle città richiede modelli di intervento attenti alle identità dei luoghi, nuove competenze e imprese in cui la cultura è fattore di successo. GIANFRANCO DIOGUARDI Professore ordinario di Economia e organizzazione aziendale al Politecnico di Bari, cavaliere del lavoro, presidente della Fondazione Dioguardi, svolge attività imprenditoriale e consulenziale. Ha pubblicato numerosi libri ed è presente in diversi consigli di amministrazione, direttivi e scientifici di imprese, riviste, istituzioni pubbliche e private. Verso la fine del 2014 Anna Hidalgo, sindaco di Parigi, ha lanciato un appello per progetti urbani innovativi sul tema Paris doit se réinventer à chaque instant così da poter affrontare le sfide del futuro. Reinventare Parigi dunque per modellare la metropoli del futuro: e se avverte questa necessità la Ville Lumiere, certamente si fa pressante ovunque la necessità di pensare a un modello universale di intervento per le città affinché imparino a rigenerare se stesse rielaborando l’uso degli spazi, inventando modalità per nuovi utilizzi sostenibili degli edifici dismessi, affrontando con rinnovate concezioni operative il degrado fisico e la conseguente emarginazione sociale generalmente presente nelle periferie. Il che significa immaginare un cambiamento epocale della filosofia con cui viene affrontata la “questione urbana” - un rinnovamento che interessi tutti i protagonisti e ogni mezzo a disposizione: cittadini, amministratori, imprenditori, metodi e processi di intervento – elementi, questi, fra loro interconnessi da relazioni esplicite e potenziali, reali e nascoste. Ricercare e portare in evidenza, quindi, le hidden connections per esplicitare la rete da rendere virtuosa così che gli auspicati interventi di modifica sul territorio abbiano un effetto sinergico sostenibile tale da produrre effettivamente un miglioramento della qualità della vita urbana. Occorre quindi educare i cittadini a un migliore e più attento utilizzo dei luoghi dove vivono, mentre le amministrazioni pubbliche devono imparare a programmare gli interventi urbani allo scopo di assicurare con continuità un’accettabile condizione ambientale. Per questo devono modificare le domande saltuarie di interventi di recupero e di rigenerazione trasformandole in una stabile richiesta che consenta alle imprese di adeguare la loro offerta attraverso una revisione soprattutto culturale delle loro strutture, per permettere l’applicazione di nuovi processi e metodi di intervento sul recupero del degrado delle città e sulla rigenerazione della complessità che oggi caratterizza i territori urbani. Scuole per manager urbani Le istanze generali che emergono nel settore edilizio urbano propongono ora di gestire la risorsa territorio valorizzando l’esistente per rilanciare l’economia attraverso una sfida alla sussidiarietà che imponga di ben ragionare sul concetto di riutilizzo così da evitare ulteriori inconsulte espansioni territoriali. Pertanto, occorre intervenire sul degrado fisico presente, avviando una riqualificazione del 6 territorio anche con finalità più generali e complementari, per esempio agevolando e sostenendo lo sviluppo del turismo locale. Il settore edile presenta dunque nuovi problemi ma nel contempo esprime anche innovative sollecitazioni legislative in favore di nuovi progetti di intervento sulla rigenerazione urbana, progetti che devono essere legati alle particolari situazioni locali. Le nuove frontiere impongono dunque di attivare innovativi progetti imprenditoriali al fine di aprire e consolidare nel settore edilizio nuovi mercati per la riabilitazione delle periferie degradate e per concorrere al recupero urbano anche con l’ausilio di nuovi metodi organizzativi di governo delle città complesse (fra le quali anche e soprattutto le città metropolitane di recente istituzione), promuovendo la nascita e la diffusione di una nuova “scienza del governo della città complessa” da insegnare in apposite city school dove vengano formate figure professionali di funzionari manager urbani, orientando in particolare i giovani verso una nuova education, ovvero verso una formazione di stampo innovativo basata su una cultura imprenditoriale che li abitui a meglio governare il costante turbolento cambiamento apportatore di complessità. Nel volume Nuove alleanze per il terzo millennio. Città metropolitane e periferie recuperate, FrancoAngeli, Recupero attento e sostenibile Milano 2015 (ora I nuovi processi di intervento sul territorio urbano devono peraltro scaturire dalle trascorse importanti esperienze di cui proprio l’Italia è stata sempre grande maestra. In particolare, riguardo al degrado fisico e sociale delle periferie, si devono attivare processi innovativi del tipo “Laboratorio di restauro nuovo sostenibile” (cfr. G. Dioguardi, Nuove alleanze per il terzo millennio. Città metropolitane e periferie recuperate, FrancoAngeli, Milano 2015 (ora pubblicato anche in Francia come Nouvelle Alliance pour le Troisième Millénnaire, edito da Herrmann, Paris 2016), processi effettuati con il ricorso a nuovi interventi sociali ed educativi attraverso una cultura imprenditoriale resa strategica. L’intervento sul territorio, sulla periferia o sull’edificio dismesso, deve avvenire con una rinnovata attenzione culturale che porti a considerarli “oggetti” da restaurare adattando la medesima cura che si attribuisce al restauro di un importante oggetto antico per riscoprirne le più recondite preziosità. Per questo, il processo di intervento va corredato con studi storici, sociologici, artistici, psicologici per ricostruire un’identità spesso perduta delle situazioni su cui intervenire, in modo da generare una nuova “storia” che riesca a esprimere una dignità forse mai esistita ma che adesso deve essere immaginata per caratterizzare il concetto stesso di rigenerazione nell’ottica di una qualità della vita cui mirare per proiettare ogni singolo intervento verso un auspicabile migliore futuro. A questo scopo è necessario anche pensare a un’impresa di nuova concezione, basata sull’idea di “impresa enciclopedia” (Cfr. Nuove alleanze cit.) nella quale predomini la cultura come elemento strategico di successo. Condizioni di carattere generale, queste, che devono connotare i singoli progetti e le capacità immaginative di chi governa le città anche al fine di sollecitare finanziamenti europei finalmente volti a sviluppare realtà che coinvolgano tutti i cittadini. pubblicato anche in Francia come Nouvelle Alliance pour le Troisième Millénnaire, edito da Herrmann, Paris 2016) Gianfranco Dioguardi descrive un possibile metodo di intervento sulle periferie, denominato “Laboratorio di restauro nuovo sostenibile”. 7 Opinioni Rischi e opportunità con l’ambiente circostante che sappia dare valore e risposta agli innumerevoli aspetti con cui l’attività si relaziona, per la loro incidenza sulla capacità di raggiungere l’obiettivo della piena soddisfazione del cliente. L’arretratezza culturale di domanda e offerta Ripartire dal sistema di gestione qualità nelle organizzazioni per costruire un sistema delle costruzioni basato su collaborazione e condivisione di valori. PIERO TORRETTA Dal 2008 è presidente di Uni, Ente nazionale di unificazione. Imprenditore, in precedenza è stato presidente di Assimpredil-Ance e ha ricoperto vari ruoli in diversi altri enti e associazioni fra cui Confindustria, Ance, Assolombarda, Cnr. 8 Quando nella imminenza della pubblicazione ho affrontato il Rapporto finale della norma Uni En Iso 9001:2015, mi ha colpito l’approccio innovativo della nuova edizione, meno burocratica e più flessibile, e soprattutto il richiamo al “contesto in cui opera un’organizzazione, sempre più caratterizzato da un’incertezza che genera rischi ma anche opportunità”. Debbo confessare che, dopo quasi 40 anni di lavoro nel mondo delle costruzioni avendo ben presente le incertezze, ho fatto fatica ad individuare le opportunità, mentre subito mi si sono presentati evidenti i rischi, il cui livello, dopo ben otto anni di crisi ma non solo per quello, è ancora oggi abnormemente superiore alle opportunità. Una conclusione che è l’amara conferma di quanto ebbi a dire molti anni fa ad un convegno per la presentazione della Uni En Iso 9001:2000, sottolineando il rischio di schizofrenia per l’impresa. Uno sdoppiamento del rapporto con la realtà che (come spesso succede anche oggi) caratterizzava l’impresa che operava nel comparto dei lavori pubblici, contraddistinto dalla contrapposizione degli attori della filiera (committente, progettista, impresa, fornitori, utilizzatori), e contestualmente operava nel comparto privato, dove la collaborazione e l’integrazione erano già allora un importante attenuatore dell’incertezza, uno stimolo per trasformare il rischio in opportunità. Erano anni difficili, in cui si pensava di porre rimedio ai problemi trovando le responsabilità negli altri e le soluzioni in strumenti calati dall’alto, come se la complessità dei sistemi socio-economici e i retaggi culturali di un paese cresciuto troppo in fretta fossero affrontabili con la bacchetta magica della disposizione regolatoria, anziché con la condivisione di valori positivi. Questa è stata una delle illusioni della legge Merloni. Più che condivisibile nei principi ma, forse, troppo ambiziosa e soprattutto, con l’introduzione dell’obbligatorietà della certificazione del sistema di gestione della qualità, incoerente con il principio base della normazione tecnica consensuale: la volontarietà. Un’incongruenza che ha indotto a ritenere la certificazione più un adempimento che un’opportunità e che non ha inciso sul rapporto domanda/offerta, caratterizzato ancora da un cliente insoddisfatto e da un sistema di imprese prevalentemente poco qualificato. Gestire la qualità significa gestire l’efficienza e l’efficacia del proprio processo attraverso la conoscenza, il controllo, la capacità di coinvolgere le risorse umane, l’integrazione dei sistemi organizzativi. Un approccio adattivo, interconnesso Molteplici sono i fattori di rischio con cui un’impresa deve ancora oggi confrontarsi. Un lungo elenco che va “dai rischi tecnici ed economici alla sicurezza, ai rischi reputazionali, ai rischi penali riconducibili alla organizzazione nel suo complesso e al modo di relazionarsi col mercato”. Un modo elegante per dire che il mercato dei lavori pubblici è ancora oggi condizionato dalla non conformità del prodotto, dall’inadeguatezza dei prezzi, dall’insufficiente tutela dei diritti delle persone, dai diffusi comportamenti illegittimi di concussione e corruzione. Un rischio di contesto esterno che espelle dal mercato chi crede nel rispetto delle norme, nella responsabilità e nella funzione sociale dell’impresa. Per questo è ncessario operare anche su aspetti che possono sembrare marginali, ma che esprimono l’arretratezza culturale che ancora oggi accomuna domanda ed offerta. Il problema irrisolto dei pagamenti esprime l’evidente arretratezza della domanda. Sono anni che se ne parla e nonostante la Direttiva Ue che ha definito per i pagamenti un termine massimo di trenta giorni siamo ancora fermi ai buoni propositi. “Il difetto sta nel manico”, dice un vecchio detto. L’eliminazione del difetto è una precondizione se si vuole che vi siano identificazione e condivisione a valle del processo. Il rispetto degli impegni contrattuali è infatti un principio cardine della Uni En Iso 9001. Non diverso dal punto di vista dell’offerta è la superficialità con cui si affrontano gli impegni della certificazione dei sistemi di gestione. Nonostante gli operatori economici italiani certificati per la qualità siano 130mila, risultano diffuse solo 50mila copie originali della norma. Cosa c’entra, dirà qualcuno, l’avranno fotocopiata. Certo, può essere, ma la norma è tutelata dal diritto d’autore e una disposizione di legge ricorda allo stesso Stato e alle sue emanazioni centrali e periferiche che gli enti di normazione hanno diritto a ricevere il giusto ristoro nel caso di pubblicazione in un atto pubblico di una norma. Non basta cioè che un prodotto o un processo siano conformi ai requisiti di una norma. Conformi devono essere tutte le attività che vi sottostanno: dalla più rilevante alla più semplice. Se non è così la stessa certificazione perde efficacia. Due semplici esempi che ci insegnano come, se manca la partecipazione, viene a mancare l’essenza stessa della norma: la condivisione e la consensualità dei valori. Il prezzo, oggi una variabile indipendente Per questo, quando si parla dei rischi e delle opportunità del contesto, sarebbe utile che tutti insieme si partisse da una considerazione. È principio generale che nessuno venda o accetti un’offerta inferiore al costo di acquisizione o di trasformazione di un bene. Un altro vecchio detto popolare diceva “chi più spende 9 Opinioni meglio spende”, rappresentando la realtà di quando alla miglior qualità corrispondeva il “giusto prezzo”, quando vi era coscienza che la rincorsa del prezzo più basso era anche a pregiudizio di qualcuno che poteva perdere il lavoro o essere costretto a lavorare a rischio della salute. Ciò che oggi più ci deve preoccupare è che il prezzo è diventato una variabile indipendente, che non solo pregiudica la qualità del prodotto e la soddisfazione del cliente, ma che può degenerare nell’indifferenza verso i valori imprescindibili della salute e della giusta retribuzione del lavoro. Così si diffonde la convinzione che il prezzo sia sempre, per definizione, troppo alto e che si possa sempre ottenere un prezzo basso, trasformando il mercato in un suk senza regole. Un esempio può essere utile per capire. Se è apprezzabile che per Expo si sia fatto riferimento alla norma Uni Iso 20121 (sistemi di gestione sostenibile degli eventi), deve far riflettere il fatto che molti aspetti dell’esecuzione, molti dei quali hanno prodotto fatti corruttivi e lesioni dei diritti delle imprese (alcune ancora non sono stati pagate), non siano invece stati certificati in conformità alla appendice B della Iso 20121 (gestione della catena della fornitura). Un aspetto che rafforza la necessità, sancita dalle nuove Uni En Iso 9001 e 14001, di considerare conforme una certificazione solo se è riferita alla totalità delle attività di un evento, ritenendo improprio un approccio cherry picking per cui di una realtà complessa si coglie solo la ciliegia matura e si dimenticano tutte le altre, che però possono anche marcire. Normazione a accreditamento, risorse di pubblica utilità Estratto dall’intervento presentato da Piero Torretta il 3 marzo 2016 al convegno “La gestione del rischio nel settore costruzioni come strumento per tempi e costi certi”, organizzato a Roma dal Settore Costruzioni di Aicq con il supporto del Consiglio superiore dei lavori pubblici. 10 La Uni En Iso 9001 ci insegna che dobbiamo generare fiducia nella capacità delle organizzazioni di fornire ai propri clienti prodotti e servizi conformi ai requisiti. Il primo impegno per tutti noi deve essere quello di stimolare il cambiamento affinché le risorse investite nelle opere pubbliche siano impegnate per fornire prodotti e servizi non solo conformi, ma utili per i cittadini e il paese. Per questo tutto il sistema (committenti, progettisti, imprese, regolatori) deve concepire se stesso come un’organizzazione dialogante, un insieme che sappia valutare cosa significano “rischi ed opportunità” del settore. Cosa comporterebbe cioè avere un sistema di gestione qualità efficace e coerente con e tra gli attori del sistema, per identificare e attenuare rischi sia interni alle imprese, sia del contesto esterno. E per far crescere le opportunità valorizzando la capacità di ognuno di assumere, quando necessario, le decisioni di competenza. In questo la normazione e l’accreditamento sono risorse di pubblica utilità. La normazione è impegnata a garantire trasparenza, democraticità, consensualità nel processo di evoluzione e approvazione delle norme. Il sistema deve garantirne la volontarietà. Diversamente, come l’esperienza di questi ultimi 20 anni dimostra, sarebbe solo una nuova burocrazia con tutti i rischi che ciò comporta. Innovazione e nuove tecnologie hanno bisogno di collaborazione, inclusione, condivisione. Rischi ed opportunità vanno di pari passo. L’investimento migliore è nella conoscenza Opinioni Stare al passo col cambiamento richiede, soprattutto alle Pmi, di accrescere il proprio sapere, anche costruendo rapporti con soggetti come le università. Da alcuni anni molti imprenditori si interrogano sui profondi cambiamenti che stanno caratterizzando il mercato edilizio. Appare ormai chiaro a tutti che quello cui eravamo abituati potremmo dire “da sempre” non esiste più. E credere che possa tornare è una pericolosa illusione. Del resto non potevamo pensare che mentre tutto intorno a noi cambiava, e anche profondamente, si potesse continuare come nulla fosse. Se guardiamo ad esempio all’automobile, ci appare evidente che rispetto a trent’anni fa oggi guidiamo qualcosa di profondamente diverso: materiali, concezione stessa dell’abitacolo, meccanica, perfino il carburante. Per quanto riguarda le costruzioni invece tutto è rimasto immutato fino quasi ad oggi. Ora invece il cambiamento ci ha raggiunto e rischia di travolgerci se non avremo la forza, noi piccole imprese, di cambiare modo di porci rispetto al mercato. Perché non è una questione di risorse, ma di competenze e di approccio, di disponibilità a mettersi in gioco. Se vogliamo è una questione di coraggio. Saper cogliere il cambiamento vuol dire accrescere la propria capacità di comprendere cosa sta succedendo. Il che vuol dire essere più curiosi, saper sfruttare al meglio le nuove potenzialità offerte dalla tecnologia ad iniziare da internet che ci mette a disposizione un’infinità di informazioni. Perché uno dei fattori che da sempre fa la differenza e consente a un imprenditore di competere in momenti di cambiamento è aumentare il proprio sapere. È essenziale essere aggiornati per trovare soluzioni nuove in grado di andare incontro a esigenze nuove, dovute al fatto che abbiamo di fronte clienti nuovi, famiglie con bisogni diversi da quelle del passato. Realizzare un edificio oggi vuol dire mettere al centro di qualunque nostro progetto imprenditoriale colui che fruirà del nostro prodotto finale. Dobbiamo percepire e concepire il nostro prodotto, l’edificio, come un insieme di funzionalità e di estetica. L’imprenditore che promuove progetti edilizi non può non essere partecipe fin dall’inizio del progetto, deve avere un ruolo attivo e per questo deve sviluppare competenze. Se vogliamo uscire dalla recessione dobbiamo smetterla di giocare al ribasso e invece alzare la nostra offerta, guardando con entusiasmo all’innovazione. Dobbiamo essere consapevoli che abbiamo a disposizione un’abbondanza di soluzioni. Spesso, come con la ricerca su internet, la difficoltà è individuare ciò che ci serve, la soluzione giusta. Per molti di noi, titolari di piccole imprese, diventa essenziale poterci confrontare con chi ne sa più di noi, costruire rapporti stabili ad esempio con l’università. Perché oggi l’investimento migliore è quello in conoscenza. MAURO CAZZARO Guida la Cazzaro Costruzioni, azienda a conduzione familiare che da più di cinquant’anni opera nel campo dell’edilizia e nel campo immobiliare, soprattutto nelle province di Padova, Venezia e Treviso. Una piccola impresa che da sempre pone al centro della propria attività un’attenzione costante alla qualità e all’evoluzione dei sistemi costruttivi e, negli ultimi anni, agli aspetti energetici e ambientali. La Cazzaro Costruzioni è partner di Civiltà di cantiere. 11 Opinioni La sostenibilità nei sistemi urbani: che fare? Oggi esistono strumenti che consentono di garantire le effettive prestazioni ambientali non solo di edifici nuovi, ma anche delle altre componenti di una città, gli edifici esistenti e le infrastrutture. LORENZO ORSENIGO Dal 2001 è direttore generale di ICMQ Spa, organismo di certificazione operante nel settore delle costruzioni. Dal 2011 è inoltre presidente di Conforma, associazione degli organismi di certificazione ispezione prove taratura, associazione che rappresenta all’interno dell’Osservatorio sul calcestruzzo armato presso il Consiglio superiore dei lavori pubblici del ministero Infrastrutture e trasporti e, dal 2015, nel Consiglio direttivo di Accredia. 12 Non abbiamo scelta. Dopo la conferenza di Parigi e dopo che la sostenibilità ambientale è stata oggetto addirittura di un’enciclica papale, credo che non si debba ulteriormente motivare perché è necessario implementare efficaci misure che garantiscano il rispetto dell’ambiente anche nello sviluppo dei sistemi urbani. I sistemi urbani si compongono fondamentalmente di tre categorie: le infrastrutture (per i trasporti, per la gestione di rifiuti, acque, energia, per le telecomunicazioni…), gli edifici residenziali e terziari, gli impianti produttivi. Dobbiamo fare in modo che tutti e tre questi sistemi adottino strumenti che diano garanzia di una progettazione, realizzazione e gestione secondo criteri di sostenibilità ambientale. Dobbiamo avere certezza della loro reale sostenibilità: non possiamo accettare il greenwashing. Già è stata persa un’occasione importante con la certificazione energetica degli edifici: si è fatto del formalismo ma nella realtà gran parte dei certificati energetici non sono veritieri e affidabili e quindi non rappresentano lo stato reale dell’immobile. Con la sostenibilità non dobbiamo ripetere lo stesso errore. Protocolli volontari per infrastrutture e edifici E allora come fare? Per prima cosa il rispetto di protocolli o requisisti di sostenibilità non deve essere obbligatorio (abbiamo visto i risultati della certificazione energetica degli edifici!) ma incentivato attraverso benefici economici, siano essi fiscali, di volumetria o altro. È evidente che questi benefici economici devono essere rilasciati a fronte di garanzia certa della bontà dell’intervento, ovvero che le prestazioni attese siano realmente state ottenute. E qui entra in gioco il ruolo fondamentale dell’attestazione di conformità di terza parte. Un processo di certificazione effettuato da un soggetto competente, indipendente, con assoluta imparzialità è la garanzia che l’opera abbia veramente le prestazioni e il livello di sostenibilità dichiarati. Quali sono gli strumenti oggi disponibili? Per le infrastrutture esiste il protocollo americano Envision, liberamente utilizzabile e scaricabile dal sito di Isi (Institute for Sustainable Infrastructure). Negli Usa circa 900 progetti hanno utilizzato Envision, 45 sono in corso di certificazione e 9 hanno ottenuto il riconoscimento. È stato sviluppato dall’Università di Harvard, utilizzando l’esperienza di altri protocolli internazionali quali Leed, ed è ben fat- to. Al di là di tutti gli aspetti di sostenibilità riguardanti l’ambiente, il protocollo pone un forte accento sull’interazione con gli stakeholder: una buona condivisione del progetto con le comunità locali e con tutti i soggetti sui quali l’opera va ad impattare è un elemento chiave per la sua buona riuscita. Il livello di rating ottenuto in fase di certificazione classifica il grado di sostenibilità del progetto. Per quanto riguarda gli edifici nuovi sono disponibili protocolli di sostenibilità quali Leed o Itaca. Anch’essi prevedono una certificazione di terza parte indipendente che garantisce che il livello raggiunto in termini di sostenibilità sia effettivo e che l’edificio abbia il livello di prestazione dichiarato. Soggetti qualificati e interventi garantiti Un discorso un po’ diverso va fatto per il recupero e il miglioramento degli edifici esistenti. Il cosiddetto revamping può davvero essere considerato il “giacimento nascosto” del nostro paese, ai fini di alimentare la ripresa e l’occupazione in edilizia. Qualche numero ci dà conto delle dimensioni del fenomeno e anche dell’impatto benefico che ne potrebbe derivare per l’ambiente. In Italia esistono circa 13,5 milioni di edifici, dei quali circa 12,1 milioni sono destinati al residenziale privato. Il 76 per cento degli edifici privati ha più di 40 anni, mentre il 49 per cento degli edifici pubblici ha più di 70 anni. Si stima che tra il 35 e il 50 per cento di questi immobili abbia bisogno di interventi di riqualificazione. Per i consumi energetici negli edifici residenziali si spendono oltre 45 miliardi di euro l’anno, 1,3 miliardi per le scuole e circa 664 milioni per gli edifici direzionali pubblici. Il riscaldamento nelle abitazioni incide per circa il 30 per cento sulle emissioni di gas serra e per il 40 per cento sui consumi energetici. Se consideriamo poi lo stato del patrimonio edilizio italiano è facile comprendere i margini potenziali di risparmio e di riduzione degli impatti ambientali: a Milano ad esempio solo lo 0,6 per cento delle abitazioni è in classe A/A+, il 52 per cento è in classe G, la più bassa, e il 18 per cento in classe F. Senza considerare poi che negli interventi di recupero andrebbero anche considerati gli aspetti di sicurezza sismica e di comfort interno. Ma come avere garanzia che l’intervento di riqualificazione raggiunga realmente le prestazioni richieste, soprattutto se poi sono associati benefici economici o fiscali? A nostro avviso è necessario che si affaccino sul mercato soggetti qualificati in grado di proporre un processo di esecuzione e una filiera controllati e garantiti. In grado cioè di effettuare una diagnosi iniziale dell’edificio, di elaborare un progetto che deve essere validato da un organismo di terza parte indipendente, di eseguire l’intervento con il controllo tecnico di un organismo di ispezione. Tutto questo per arrivare, al termine, alla certificazione delle prestazioni dell’intervento di riqualificazione. La verifica di un organismo di certificazione accreditato valorizza e garantisce l’intervento. Gli organismi di certificazione e ispezione possono essere davvero soggetti al servizio sia degli operatori economici sia della pubblica amministrazione, ovvero al servizio del sistema Paese. 13 Intervista A cura di ALFREDO MARTINI Rigenerare vuol dire creare migliori condizioni economiche e sociali Questo afferma l’Unione europea, ma, secondo Francesco KARRER, in Italia passano per interventi di rigenerazione operazioni esclusivamente immobiliari. E manca la capacità pubblica di orientare le scelte. Per un giornalista incontrare Francesco Karrer e ragionare con lui di trasformazione urbana vuol dire essere disposto a lasciarsi sorprendere, a giocare con il paradosso di una realtà che è un continuo fronte di guerra. Perché il pensiero di Karrer, le sue valutazioni e le sue analisi sono il frutto virtuoso di studio, di grande attenzione all’evoluzione della letteratura così come della normativa, cui si accompagna una partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica. Il risultato è una grande concretezza e una lucida lettura dello stato attuale del dibattito sulla rigenerazione urbana. FRANCESCO KARRER Architetto e ordinario di Urbanistica presso l’Università Sapienza di Roma, è stato presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici e commissario dell’Autorità portuale di Napoli. 14 Si ha proprio la sensazione che Francesco Karrer sia la persona giusta per fare un po’ di chiarezza e mettere a fuoco la questione. Se si vuole realmente ragionare in modo sincero e costruttivo sulla rigenerazione urbana si deve innanzitutto essere d’accordo su che cosa intendiamo. Il concetto di rigenerazione così come lo definisce e gli dà valore l’Unione europea è strettamente connesso ai concetti di sviluppo economico e sociale. Rigenerare un territorio significa quindi intervenire e trasformare per creare nuova economia e migliorare le condizioni sociali. Un concetto chiaro che ben poco ha a che vedere con quello che sentiamo oggi da parte di amministratori locali, i quali parlando di rigenerazione urbana descrivono interventi puntuali di riqualificazione di edifici e nel migliore dei casi di un complesso edilizio. L’ultimo esempio riguarda il recupero delle Torri Telecom dell’Eur a Roma. L’equivoco è alla base del fallimento della rigenerazione urbana in Italia a differenza che in altri paesi: da noi è vista come una trasformazione sostanzialmente immobiliare, invece che un processo di rinascita economica e sociale. Questo da sempre o vi sono stati tentativi di orientare i processi di riqualificazione verso i giusti obiettivi? Se guardiamo alla legislazione nazionale e cerchiamo di capire cosa si dovrebbe fare, allora la strada giusta è quella di una logica complessiva, dove al centro della rigenerazione non vi sono norme urbanistiche, bensì di sviluppo economico. La legge Bersani del primo governo Prodi, che incentivava la nascita e la crescita di attività economiche nelle periferie urbane, era una legge funzionale alla rigene- razione. Un tentativo abortito quasi sul nascere, in quanto è rimasta in vigore poco più di un anno. Ho fatto questo esempio per arrivare a dire che la soluzione va trovata nell’integrazione tra una serie di provvedimenti che insieme creano le condizioni per avviare processi virtuosi e dove la dimensione economica deve essere il perno intorno a cui realizzare la trasformazione. Sempre facendo riferimento a un quadro normativo nazionale, se le leggi di incentivazione fiscale, il Piano casa e le leggi Bersani fossero state concepite e finalizzate con consapevolezza e giusta volontà politica rispetto alla rigenerazione - e quindi considerate come un insieme di norme - avrebbero creato le condizioni per processi possibili di rigenerazione. E qui torniamo all’errore concettuale che sta alla base del problema: la separazione tra dimensione immobiliare e trasformazione economico-sociale che ha condizionato anche l’applicazione dei programmi europei come Urban 1 e Urban 2, dove a differenza di quanto avvenuto ad esempio in Inghilterra i progetti hanno avuto una dimensione e caratteristiche meramente immobiliari e non finalizzate a obiettivi di rinascita economica. E l’equivoco continua a dominare il dibattito e le scelte della politica. È qui quindi che va individuato il peccato originale alla base del fallimento o per lo meno della marginalità di operazione di reale rigenerazione nel nostro paese? A mio parere sì. Poi vi è l’altra questione che riguarda la gestione del quadro legislativo sul piano delle politiche territoriali. Anche se si fosse proceduto correttamente nella produzione normativa sarebbe stato essenziale definire gli ambiti territoriali urbani e periurbani sui quali gli enti locali debbono procedere alle scelte specifiche utilizzando gli strumenti urbanistici. E qui si entra nell’altro grande buco nero italiano, quello della mancanza di capacità di svolgere quel ruolo guida e da protagonista che il pubblico deve esercitare perché si concretizzino processi di riqualificazione rigeneranti. È qui che appare più evidente la differenza tra l’Italia e gli altri paesi europei, tra le città italiane e le città tedesche, scandinave o inglesi. Differenze in termini di fattibilità, di dimensione, di tempi e di costi. E soprattutto in termini di qualità delle trasformazioni. Prendiamo ad esempio la Francia, dove l’Agenzia fondiaria urbana ha svolto un ruolo decisivo e dove la governance pubblica presta la massima attenzione alle condizioni di contesto dell’investimento ed esercita un ruolo decisivo di indirizzo e di controllo attraverso decisioni concrete. Passando dalla rigenerazione alla riqualificazione, una dimensione possibile della trasformazione urbana è rappresentata da interventi di sostituzione edilizia. È allo stato attuale delle cose una potenzialità reale? Ovvero, quando e dove vi sono le condizioni per una concreta attuazione? La potenzialità teorica c’è. Vi sono però alcune criticità. La prima è intrinseca alla struttura della proprietà immobiliare italiana, caratterizzata dall’elevata fram15 Intervista mentazione. Il che significa che gli ambiti reali di intervento, come dimostrano le esperienze di successo, si restringono a casi dove si riscontra una monoproprietà dell’edificio. In alternativa ci vuole una grande volontà e decisione del pubblico nell’attivare azioni di gestione del processo finalizzato a trovare soluzioni tecnico–economiche di fattibilità. Il che significa una disponibilità di aree pubbliche a ridosso dell’edificio da sostituire. Vi sono poi condizioni di contesto senza le quali viene meno la convenienza dell’investimento e quindi dell’operazione. La prima è che è essenziale una rendita alta che garantisca il ritorno economico, condizione collega strettamente all’altra, relativa alla solvibilità del mercato. Così, se andiamo a vedere dove la sostituzione si è attivata, ha riguardato sempre quartieri residenziali in aree di pregio immobiliare. Tutta un’altra storia è promuovere e rendere conveniente la sostituzione nelle periferie. Dove la differenza la può fare una trasformazione in grado di creare una nuova economia. Riqualificazione o rigenerazione. Senza dubbio è qui che vanno individuate le maggiore opportunità per il sistema imprenditoriale delle costruzioni anche in una logica di crescita. Possiamo provare a sintetizzare le principali azioni da compiere? Possiamo individuare alcune fasi. La prima attiene all’individuazione dell’area urbana o della zona dove promuovere la rigenerazione, mettendo bene a fuoco gli aspetti connessi alla qualità del costruito ma anche alla qualità urbana, quindi al contesto spaziale circostante, all’insieme dei complessi edilizi e all’integrazione funzionale tra residenziale, non residenziale e infrastrutture. La seconda fase riguarda la pianificazione, un’attività da sempre carente nel nostro paese. La terza fase riguarda il momento in cui passare dalla pianificazione all’attuazione, che deve coincidere con la verifica dell’esistenza di una domanda solvibile. In questa sequenza la capacità di utilizzare il fattore infrastrutturale come strumento per aumentare il valore e alzare la soglia di convenienza riveste un’importanza strategica. C’è poi una questione di fondo, che bisogna avere sempre presente, che attiene alla fattibilità concreta di interventi complessi come quelli di rigenerazione e riguarda le condizioni economiche generali che incidono sulle risorse disponibili per investimenti da parte di chi governa. Gli strumenti base sono sostanzialmente due, l’imposizione fiscale e le tariffe. E sono alla base di una valutazione economica da parte pubblica, cui si collega la creazione di plusvalore. Oggi in Italia la tassazione è al massimo, così come un aumento delle tariffe appare difficile vista la qualità dei servizi offerti. Senza contare la loro impopolarità. Eppure in prospettiva anche noi dovremo confrontarci con i modelli anglosassoni di una monetizzazione dell’utilizzo di certi spazi urbani. Tutto ciò ci porta alla conclusione che scelte e processi di rigenerazione debbono essere concepiti e valutati secondo logiche ben più ampie della semplice dimensione immobiliare, come avviene sostanzialmente ed esclusivamente invece in Italia. 16 Andiamo a vivere tutti in città L’urbanizzazione globale sta cambiando tutti gli equilibri: con quali problemi e quali opportunità per le metropoli del pianeta, che tendono a contare più degli stati di appartenenza? Scenari A cura di VIRGILIO CHELLI Come sono nate le città? La teoria più accreditata è che sia stata la conseguenza del passaggio dal nomadismo di raccoglitori e cacciatori alla stabilizzazione degli agricoltori. Nel neolitico l’introduzione dell’agricoltura obbliga alla stanzialità e a un certo punto il surplus di produzione che non viene consumato è sufficiente a mantenere anche chi non lavora nei campi: i cittadini. Che non dovendo zappare la terra per mangiare possono dedicarsi ad altre attività: produzione di utensili, commercio, politica, anche nella sua versione armata, la guerra. La città cresce e diventa la testa pensante e governante del suo territorio, che diventa (saltiamo qualche passaggio) uno Stato. Lo Stato è un’organizzazione politica che esercita l’autorità su un territorio, punteggiato di città. Il rapporto tra Stato e città è complicato, fatto di equilibri complessi. Il territorio di cui è fatto lo Stato produce la materia prima dell’economia, la città la trasforma in ricchezza e reddito. Senza città lo Stato è solo un territorio. Se se ne dimentica e pretende di spremere troppa ricchezza dalla città questa può anche ribellarsi. È un po’ la storia della rivoluzione francese, che non è stata fatta dai contadini ma dai cittadini. Ma può succedere anche che la città pretenda di essere sfamata dal territorio senza dare niente in cambio. E questa è la storia della rivoluzione russa. Tra movimenti di poveri e di capitali Passiamo a oggi. La bilancia tra territorio e città del mondo si sta muovendo, e anche rapidamente. Forze potenti sono in azione. La più forte si chiama urbanizzazione. In occidente è già stata sperimentata nei due secoli di rivoluzione industriale. Ora sta succedendo su scala molto più grande e a una velocità molto più elevata nel resto del mondo, a Est e a Sud. Cosa vuol dire? Ad esempio che se oggi il 95 per cento delle 500 società più grandi del mondo, da Airbus a Ibm, Nestlé, Shell, Coca-Cola Company, hanno la loro testa pensante nei paesi sviluppati, tra una decina d’anni saranno le città cinesi e dei paesi emergenti a ospitare almeno la metà, secondo i calcoli di McKinsey, delle aziende globali che fatturano più di un miliardo di dollari. Le stesse stime dicono che al 2025 circa la metà del reddito mondiale sarà 17 Scenari prodotto in 440 città dei paesi emergenti, la gran parte delle quali, il 95 per cento, piccole o medie, molti farebbero fatica a trovare su una carta geografica. Urbanizzazione vuol dire gente che si muove, dalle aree rurali a quelle urbane. In alcune parti del mondo sono centinaia di milioni. Vengono in mente le grandi aree metropolitane dei paesi emergenti di Asia, Sudamerica e Africa: Shanghai, Delhi, Nairobi, Il Cairo, Caracas e Mexico City. Ma una parte sempre più consistente punta anche alle grandi città di Europa e Nord America: Londra, Parigi, Francoforte, Dallas, Houston, Los Angeles. Le 440 città emergenti di cui parla McKinsey sono destinate a importare soprattutto capitali e tecnologie, attratti da condizioni favorevoli alla crescita. Le grandi metropoli del mondo sono destinate a importare soprattutto poveri, che da tutto il mondo lasciano la campagna in cerca di reddito e protezione economica e sociale. E se possono, provano ad arrivare a Parigi o Roma piuttosto che a Nairobi o Caracas. I cinesi che lasciano a centinaia di milioni le campagne si spostano a Guangzhou, Shanghai e Shenzhen, ma molti riescono ad arrivare a Milano e nelle altre chinatown di Europa e America. L’ondata di migranti che ha investito l’Europa negli ultimi tempi è la punta di un iceberg, l’accelerazione causata dalle crisi in Medio Oriente e Nord Africa di un fenomeno secolare. Un fenomeno legato al megatrend dell’urbanizzazione e destinato a durare, a prescindere dalla risoluzione o meno di quelle crisi. Nelle ultime tre decadi la popolazione urbana mondiale è cresciuta al ritmo di 65 milioni di persone l’anno. Ora sta accelerando. Dalle megalopoli di Asia, Africa e America Latina la pressione si sta spostando sulle metropoli europee e americane, soprattutto le prime. Che continueranno a importare poveri dal resto del mondo. Mentre le famose 440 città dei paesi emergenti continueranno a importare investimenti, capitali e tecnologie: come Hsinchu, nel nord di Taiwan, o Santa Catarina in Brasile, o Tianjin in Cina. Nel 2010 quest’ultima produceva un reddito di 130 miliardi di dollari, lo stesso generato da Stoccolma (una delle mete preferite dei migranti). Le stime degli esperti dicono che nel 2025 il reddito annuo di Tianjin sarà circa 625 miliardi di dollari, pari a quello di tutta la Svezia. Intanto aumenta la competizione tra le città del pianeta. Città, non nazioni. Spesso gli interessi non coincidono più. Prendiamo la Turchia e la sua città più importante, Istanbul. La metropoli sul Bosforo avrebbe tutte le carte in regola per essere una metropoli di classe globale: dinamismo industriale, infrastrutture finanziarie moderne, tecnologia, posizionamento strategico. Ma ha un problema che si chiama Turchia, i cui interessi e le cui ambizioni come nazione sono divergenti. C’è un conflitto tra città e territorio, che il megatrend dell’urbanizzazione rende sempre più acuto e che trova sempre meno meccanismi di compensazione all’interno dello Stato. Gli interessi di Londra sono sempre meno quelli della Gran Bretagna, lo stesso può dirsi di Barcellona rispetto alla Spagna. Lo stesso problema si porrà, su scala globale, per le 440 città dei paesi emergenti di cui parla il rapporto McKinsey. Quando i capitali e le tecnologie che stanno affluendo avranno innescato e moltiplicato la crescita, e quando anche quelle cominceranno ad attrarre popolazione dai rispettivi territori di appartenenza, il fatto di trovarsi in Brasile o in India diventerà un limite e uno svantaggio. Urbanizzazione vuol dire che stiamo andando verso un mondo di città e non più di nazioni. Sono in molti a pensarlo. Non tutte le città sono uguali e non tutte possono aspirare alla posizione di città globali: leader negli scambi, nella cultura e nell’istruzione, capaci di crescere più e soprattutto meglio delle altre, con l’ambizione non solo di modellare l’economia globale, ma anche le idee, la politica, e in ultima analisi il futuro. Grandi e interconnesse, trascendono i confini e scrivono le agende internazionali, attirano attività Le PRIME prime 500 aziende GLOBALI globali della Fortune, per PER localizzazione LE 500 AZIENDE DELLAclassifica CLASSIFICA FORTUNE, LOCALIZZAZIONE 477 477 476 415 Verso un mondo di città e non di nazioni Ovviamente anche i poveri sono una risorsa, specialmente per paesi che invecchiano e hanno bisogno di manodopera. Ma il mondo com’è fatto oggi non è attrezzato per questo. Il welfare costruito in Europa da settant’anni a questa parte è stato pensato per gli europei, con un posto di lavoro ben pagato a vita, la pensione sicura, l’assistenza sanitaria per tutti e nuove leve di giovani pronte a pagare tasse e contributi non appena iniziano a lavorare per mandare avanti il sistema. Pensare che possa funzionare così con flussi migratori di decine di milioni dal Sud del mondo non è immaginabile. 21 1980 5% 2 22 1990 5% 1 12 2000 12 5% 31 54 271 Paesi sviluppati 109 Mercati emergenti1, esclusa Grande Cina 120 2010 2025 previsione 17% 46% Fonte: Database McKinsey Global Institute 18 Grande Cina2 (1) Africa, Europa orientale e Asia centrale, America latina, Medio Oriente, Asia meridionale e sud-orientale Totale mercati emergenti (2) Cina, Hong Kong, Macau e Taiwan. 19 CLASSIFICA DELLE CITTÀ SEDI DI GRANDI AZIENDE LE PRIME 500 AZIENDE GLOBALI DELLA CLASSIFICA FORTUNE, PER LOCALIZZAZIONE Scenari economiche, innovazione, capitali, oltre alle persone. Oggi si parla molto dell’irruzione sulla scena politica globale di un nuovo tipo di attore, non ri477 agli stati. 477 Di solito si476pensa a organizzazioni 415 271 Paesi sviluppati feribile terroristiche, come Al Qaeda prima e l’Isis poi, o a grandi corporation che hanno un fatturato più grande del prodotto interno di un medio paese, come Apple o Exxon. Ma c’è 1 un crescente consenso sul fatto che i veri attori e detentoriMercati del potere non emergenti , 109 esclusa GrandeanaCina statale siano le grandi città globali. E c’è anche chi si spinge a cercare logie storiche con tempi lontani, dalle città-stato dell’antica Grecia a quelle 31 Cina2globali 120 diGrande del Rinascimento italiano o della scambi 21 22 12 Lega anseatica: centri 54 1 per risolvere 12 problemi comuni a un livello superiore capaci di2 unire le forze 1980 1990 2000 2010 sono sovrane, 2025 rispetto alle capacità di grandi nazioni. Non previsione ma influenzano le scelte sovrane in capo agli stati. E mandano avanti l’economia mondiale. Totale mercati 5% 5% 5% 17% 46% Le prime 600 città del mondo producono il 60 per cento del reddito lordo emergenti globale. E le prime venti sono casa di un terzo di tutte le grandi aziende. In Classifica delle città sedi di grandi aziende CLASSIFICA DELLE CITTÀ SEDI DI GRANDI AZIENDE Numero di grandi aziende 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. Tokyo New York Londra Osaka Parigi Pechino Mosca Seul Reno Ruhr Chicago Hong Kong Taipei Los Angeles Zurigo Sydney Stoccolma Houston Nagoya Amsterdam Singapore Ricavi totali, in miliardi di dollari 613 5,231 217 193 174 168 116 115 114 107 105 96 90 1,964 1,924 1,028 2,785 2,503 709 1,150 1,220 695 468 472 82 79 75 422 770 466 74 74 70 67 64 360 661 481 1,516 343 Città di mercati emergenti Fonte: Database McKinsey Global Institute 20 Le migrazioni dei mega ricchi e dei talenti Tra le grandi città globali quelle occidentali, europee e americane, ma soprattutto le prime, hanno un altro primato. Non attirano solo i poveri del mondo, le masse che si spostano dalle aree rurali del pianeta alle città. Attirano anche quello 0,1 per cento della popolazione mondiale che si trova all’estremo opposto per ricchezza e capacità di mobilità. Non solo i mega ricchi, ma anche i talenti in tutti i campi, dall’arte alla tecnologia. Gente che per talento o disponibilità economica può scegliere dove vivere. E che quando si sposta attrae capitali e investimenti. L’altra faccia dei migranti. Qualche settimana fa si è tenuto a Chicago il Forum delle Global Cities. Da cui è emerso che sono proprio le città occidentali la destinazione più ambita della nuova élite globale. Anche se solo il 10 per cento della popolazione mondiale vive in Europa e Stati Uniti, in testa a tutte le classifiche ci sono sempre New York, Londra e Parigi, ma anche Berlino o Austin, Texas. La qualità della vita che possono offrire non ha pari nel resto del mondo. In Cina e altri paesi emergenti l’urbanizzazione ha cancellato il passato, a Dubai e Abu Dhabi il passato semplicemente non c’è. Gran parte dell’eredità culturale, architettonica e artistica dell’umanità precedente il ventesimo secolo è custodita in poche dozzine di città occidentali. Che hanno anche il vantaggio di essere state costruite prima dell’era dell’automobile e possono essere facilmente convertite, soprattutto in Europa, in spazi urbani godibili a piedi, in bicicletta o con i soli trasporti pubblici. Posti ideali dove vivere e soprattutto dove far crescere e educare i propri figli, se ce lo si può permettere. Un quadro estremamente contraddittorio. Al centro ci sono le città, soprattutto quelle più grandi, protagoniste nel bene e nel male del nuovo ordine che l’urbanizzazione sta disegnando insieme ad altri megatrend. Città aggredite dai flussi migratori dei poveri del mondo ma anche in cima alla lista dei desideri delle élite economiche e culturali del pianeta. Città i cui interessi sempre più spesso non coincidono con quelli degli stati di cui fanno parte. Questo è il contesto con cui le città d’Italia devono confrontarsi per trovare il loro posto tra le città del mondo e ridefinire il loro rapporto con i territori e con lo stato. Con quali idee? Quali progetti? Quali risorse? Quali vocazioni? E quali alleanze? Il dibattito è aperto. 21 I NUMERI CHIAVE DI NORTHERN POWERHOUSE Popolazione sul totale Regno Unito (%) testa alla lista c’è Tokyo, seguita da New York, Londra e Parigi. Ora hanno il problema dell’urbanizzazione e delle migrazioni, che riguarda le città prima che gli stati. E forse le città sono più attrezzate per risolverlo. Lo fanno già in campo energetico. Il C40 raggruppa le prime 75 città globali per fronteggiare il cambiamento climatico e le emissioni di gas serra. Lo fanno già in parte in politica estera. Shanghai ha il suo ufficio degli Esteri e São Paulo intrattiene rapporti diplomatici diretti con dozzine di stati anche se nessuna delle due è una capitale. 16,7 Scenari A cura di Giovanni Pietrangeli GIANNI SILVESTRINI Dal 2014 presiede il Green Building Council Italia e il Coordinamento Free (associazione che coordina 25 associazioni che si occupano a vario titolo di fonti rinnovabili e di efficienza energetica). Dal 2003 è direttore scientifico del Kyoto Club e ha fondato Exalto, società impegnata nella transizione energetica. 22 Innovare e riorganizzare, per trasformare le città Gianni SILVESTRINI, presidente di Gbc Italia, ci conduce a scoprire un futuro sostenibile per i nostri ambienti urbani, guidato dalle nuove tecnologie in edilizia e dalla rivoluzione digitale. Nel suo volume 2°C (due gradi), uscito nel 2015 per Edizioni Ambiente, Gianni Silvestrini, presidente di Green Building Council Italia (Gbc Italia) e direttore scientifico dell’associazione Kyoto club, definisce l’edilizia “la prossima rivoluzione” e mette l’accento sugli elementi progettuali innovativi che potrebbero diventare veri e propri driver per la ripresa del settore e un rilevante passo avanti per contrastare il cambiamento climatico. La rigenerazione su ampia scala delle città, intesa come ristrutturazione tecnologica delle costruzioni e riqualificazione del tessuto urbano, può dunque essere il passaggio epocale per riorganizzare sia il nostro modo di vivere e abitare, sia quello di produrre. Un processo che, se adeguatamente guidato secondo un’intelligente strategia di lungo periodo, rimetterebbe in discussione, positivamente, le basi stesse della società, in un momento di trasformazioni decisive determinate dalla crisi economica, ormai quasi decennale, e da numerosi altri fattori sociali, demografici, politici, ecologici. Abbiamo intervistato Silvestrini, riflettendo insieme a lui su quanto si sta facendo, e soprattutto quanto ancora va fatto, perché gli interventi di rigenerazione agiscano da leva per la transizione verso nuovi modelli di economia urbana che mettano al centro l’innovazione, la sostenibilità e la qualità di vita. Silvestrini, nel capitolo del suo libro dedicato all’edilizia, sottolinea l’influenza che le nuove tecnologie avrebbero sull’intera filiera delle costruzioni. In molti casi, come per l’utilizzo delle stampanti 3D per realizzare abitazioni, siamo poco oltre il grado sperimentale. Eppure sappiamo anche che per passare dal prototipo a un’economia di scala potrebbero bastare pochi anni, con un impatto inedito su organizzazione del lavoro, volumi e tempi di realizzazione. Basti pensare alla domotica e alle applicazioni IoT (Internet of Things, internet delle cose, intese come oggetti). In che maniera le nuove modalità di costruzione inciderebbero sugli interventi nel tessuto urbano italiano? Prima di tutto voglio specificare che l’attenzione nel libro viene posta proprio sull’edilizia esistente, più che sul nuovo costruito. Considerando la quota di edifici realizzata tra il dopoguerra e la fine degli anni 70, ci trovia- mo oggi di fronte all’opportunità di abbinare i necessari interventi di ristrutturazione con quelli di una riqualificazione energetica spinta, in grado di ridurre i consumi del 60-80 per cento. Il raggiungimento di questi risultati verrà facilitato dall’impiego di nuovi materiali - come isolanti particolari, finestre in grado di generare elettricità, sostanze a cambiamento di fase – ma anche di nuove modalità costruttive. In particolare l’industrializzazione della riqualificazione, già sperimentata con successo in Olanda, può garantire una drastica riduzione dei tempi e dei costi. Ma questo implica una ridiscussione del ruolo dell’edilizia, che dovrà rapidamente procedere ad aggregazioni e riqualificarsi se vorrà uscire dalla crisi che ormai dura da otto anni. Gli edifici energivori si trasformeranno in strutture in buona parte autosufficienti, in alcuni casi generatori netti di energia. La rivoluzione digitale non solo faciliterà le riqualificazioni, con l’industrializzazione che si sta già sperimentando con successo e, in futuro, con forme di robotizzazione e stampa 3D. Gli edifici saranno sempre più “connessi” sia per ottimizzare i consumi interni che per dialogare con la rete elettrica (con i programmi Demand-Response per gestire la domanda elettrica a fronte di un’offerta sempre più dominata da fonti rinnovabili intermittenti), con veicoli elettrici che diventeranno anche elementi di un sofisticato sistema distribuito di accumulo. Queste trasformazioni potranno rappresentare una straordinaria occasione di riqualificazione di interi quartieri e incideranno sullo sviluppo di nuove forme di mobilità urbana. Certo, per avviarle servono enormi risorse economiche. Ma proprio la riduzione dei consumi energetici consentirà, grazie ad un utilizzo intelligente di fondi di rotazione, di pagare larga parte degli interventi. Sul fronte della mobilità l’espansione di servizi di car sharing e bike sharing consentirà di ridurre anche le spese per i trasporti, riducendo la quota di auto di proprietà. Sul medio periodo la mobilità elettrica conquisterà spazi importanti, mentre sul lungo periodo saranno i veicoli senza guidatore a fornire i servizi di mobilità, facendo calare sia il numero di auto in circolazione che la necessità di parcheggi. Quali sono secondo lei le ragioni che ci dovrebbero spingere verso una riqualificazione dell’ambiente urbano? Nelle nostre città ci sono molte aree degradate e zone industriali abbandonate che meritano uno sforzo particolare di rigenerazione. Naturalmente occorre una visione in grado di valorizzare un certo territorio, vanno identificati gli attori della trasformazione ed è auspicabile che questa avvenga secondo precisi criteri sociali e ambientali. Il Green Building Council Italia con il protocollo Gbc Quartieri si muove in questa direzione, promuovendo un approccio integrato alla qualità della vita, alla salute pubblica e al rispetto per l’ambiente; il protocollo è un utile strumento per valutare 23 Scenari e certificare le prestazioni di sostenibilità ambientale del territorio, delle infrastrutture, delle dotazioni e degli edifici. Per rigenerare le nostre città in chiave sostenibile, è sufficiente mettere mano al patrimonio edilizio o è necessaria una radicale riorganizzazione dei servizi urbani? In che direzione bisognerebbe operare? Nel programmare il futuro occorrerà cogliere tutte le opportunità che sono e verranno sempre più offerte dalla rivoluzione digitale. Si trasformerà il patrimonio edilizio, si innoverà la mobilità, ma anche il lavoro potrà trovare strade originali con il radicamento di forme sempre più estese di Fab Lab: laboratori destinati a divenire nuclei di aggregazione, formazione e lavoro dei nuovi “artigiani digitali” grazie alla disponibilità di tecnologie come la stampa 3D e alla condivisione di software e di conoscenze. E la spinta dell’economia circolare favorirà la nascita di altre realtà produttive, come centri di quartiere per aggiustare e rigenerare elettrodomestici, prodotti informatici, mobili. Nel 2015 Gianni Silvestrini ha pubblicato per Edizioni Ambiente il libro 2°C (due gradi). Innovazioni radicali Nel suo volume cita Barcellona come modello di città a basso impatto. Secondo lei in Italia esistono buone pratiche che richiamano la capitale catalana? Quali sono e perché andrebbero diffuse anche negli altri centri urbani? Sono molte le realtà italiane che hanno ottenuto risultati interessanti. Pensiamo al successo del car sharing a Milano con i suoi 250mila iscritti: questa nuova forma di trasporto, in combinazione con il pagamento dell’accesso al centro, ha consentito di migliorare la mobilità riducendo il numero di auto. Con risultati tangibili: nel 2014 sono sparite dalla circolazione ben 15mila auto e nel triennio 2011-2014 il numero di auto immatricolate è calato del 5 per cento. Restando sul fronte della mobilità, vanno segnalate le esperienze di Pedibus, un servizio offerto dai comuni dove un adulto passa in vari “punti di raccolta” e porta a scuola a piedi i bimbi. E, sulla base di esperienze olandesi, si sperimenta anche il più divertente Ciclobus. per vincere la sfida del clima e trasformare l’economia. 24 Sostenibilità ambientale e sostenibilità sociale sono due aspetti che devono andare di pari passo nei piani di rigenerazione, per evitare che si creino tessuti urbani molto efficienti, ma che riproducono dinamiche di esclusione. È uno scenario realizzabile? La sostenibilità sociale si ottiene dalla convergenza di politiche attive delle istituzioni e dalla partecipazione degli abitanti. In questo senso, per rimanere nell’ambito delle opportunità offerte dalle tecnologie digitali, è possibile pensare a un modello di raccolta delle esigenze e delle proposte, a una interazione con i decisori molto più efficace che in passato. Naturalmente non si tratta di un processo automatico, ma di spazi che vanno conquistati dal basso e che vanno proposti da parte di istituzioni sensibili. Dal Pon Città metropolitane risorse per lo sviluppo urbano Scenari Il Programma operativo nazionale Città metropolitane 2014-2020 ha una dotazione finanziaria di circa 893 milioni di euro per azioni relative all’Agenda digitale, alla sostenibilità urbana, all’inclusione e all’innovazione sociale. A cura di Paolo Cesare Il Pon Metro rappresenta per l’Italia la prima esperienza di programma nazionale dedicato a rafforzare le priorità dell’Agenda urbana nazionale (1). In Italia il “fenomeno metropolitano” è presente sia a nord che a sud del paese, in un territorio marcatamente policentrico che vede in alcuni grandi comuni i suoi centri nevralgici. Rispetto a questa architettura territoriale è di grande rilevanza il processo di ridisegno istituzionale che si sta compiendo a livello nazionale in seguito all’approvazione della legge 56/2014 Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni, che prevede la creazione di città metropolitane e rilancia la dimensione metropolitana come scala per la pianificazione e la gestione di servizi cruciali per lo sviluppo e la coesione territoriale. Le dieci città metropolitane individuate con legge nazionale sono Torino, Genova, Milano, Bologna, Venezia Firenze, Roma, Bari, Napoli e Reggio Calabria. A queste si aggiungono le quattro città metropolitane individuate dalle Regioni a statuto speciale: Cagliari, Catania, Messina e Palermo. Un percorso di riforma che al momento identifica come confini territoriali quelli delle corrispondenti province e che troverà pieno compimento nel corso del ciclo di programmazione 2014-2020 attraverso la riorganizzazione delle competenze istituzionali e dell’apparato amministrativo. Traendo spunto da questo processo di lungo periodo, l’Accordo di Partenariato identifica uno specifico Programma operativo nazionale, appunto il Pon Metro, dedicato allo sviluppo urbano. L’area territoriale di riferimento è la Città metropolitana per quanto riguarda le azioni immateriali legate all’Agenda digitale e le azioni di inclusione sociale del Fondo sociale europeo (Fse), mentre gli altri interventi sono concentrati nel territorio del comune capoluogo. La responsabilità del Programma è affidata all’Agenzia della coesione territoriale, che svolgerà i ruoli di Autorità di gestione e di Autorità di certificazione, mentre le 14 Autorità urbane (individuate nel sindaci dei comuni capoluogo) assumeranno la figura di Organismi Intermedi con funzioni delegate. (1) I Regolamenti dalla Commissione europea per la politica di coesione 2014-2020 invitano ciascun paese membro a creare una “Agenda urbana” che permetta alle amministrazioni cittadine di essere coinvolte nell’elaborazione delle strategie di sviluppo. Il nuovo regolamento del Fesr prevede, di conseguenza, che almeno il 5 per cento delle risorse assegnate a livello nazionale sia destinato ad azioni integrate per lo sviluppo urbano sostenibile delegate alle città. L’Agenda urbana nazionale deve promuovere lo sviluppo delle reti tra città e lo scambio delle migliori pratiche. 25 Scenari La strategia e le dotazioni finanziarie Per rispondere alle sfide connesse alle dinamiche di sviluppo in atto nelle 14 città metropolitane e alle sollecitazioni verso l’innovazione delle politiche di sviluppo derivanti dagli obiettivi di Europa 2020, l’Accordo di Partenariato ha identificato per l’Agenda urbana nazionale una serie di obiettivi e strumenti che mirano a costruire una politica urbana nazionale in grado di condizionare positivamente l’azione di soggetti posti a vari livelli nella gerarchia istituzionale. All’interno di questa strategia un ruolo di rilievo è svolto dal Pon Metro, il quale si prefigge di incidere rapidamente su alcuni nodi che ostacolano lo sviluppo nelle maggiori aree urbane del paese attraverso due driver di sviluppo progettuale: • l’applicazione del paradigma Smart city per il ridisegno e la modernizzazione dei servizi urbani; • la promozione di iniziative di innovazione sociale per rafforzare i servizi di inclusione sociale destinati ai segmenti di popolazione più fragile e per aree e quartieri disagiati. La dotazione finanziaria complessiva è di 893 milioni di euro, con un contributo diretto dei Fondi strutturali e d’investimento europei, interamente assegnato ad azioni integrate di sviluppo urbano sostenibile, di 588,10 milioni di euro, di cui 445,72 dal Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e 142,37 dal Fse (Fondo sociale europeo). il Programma privilegia il più ampio deficit e fabbisogno di intervento nelle città metropolitane delle regioni meno sviluppate, da cui consegue una significativa differenza tra la più elevata dotazione finanziaria per ciascuna delle città nelle regioni del Mezzogiorno rispetto alle altre. I risultati attesi nei diversi assi di intervento Dal Programma si attendono alcuni risultati precisi. Per quanto riguarda l’asse relativo all’Agenda digitale obiettivo è il 70 per cento dei comuni delle città metropolitane con servizi pienamente interattivi e un 50 per cento dei cittadini che usano internet per relazionarsi con l’amministrazione pubblica o con i gestori di servizi pubblici. Per quanto riguarda la sostenibilità urbana gli obiettivi sono: • oltre 90mila impianti di illuminazione riqualificati, con una riduzione dell’8,8 per cento dei consumi di energia elettrica per l’illuminazione pubblica, equivalenti a oltre 20mila tonnellate di CO2 all’anno; • riqualificazione energetica di almeno 38mila metri quadri di superficie di edifici pubblici, pari a circa 9 GWh/anno e 400 Teq/anno; • aumento del 5 per cento dei passeggeri del trasporto pubblico locale (Tpl) nelle Rms, le Regioni meno sviluppate, quelle del Mezzogiorno (circa 320 nuovi autobus); • incremento del 10 per cento della mobilità ciclabile nelle Rs, le Regioni 26 sviluppate, quelle del Nord e Centro, e del 5 per cento nella Rt, regione di transizione, la Sardegna (circa 150 km di nuove piste ciclabili); • circa 150 km di corsie protette per il Tpl (nelle Rms) e riqualificazione di 40mila metri quadri di nodi di interscambio (nelle Rs e Rt). Venendo poi all’inclusione sociale, i risultati attesi sono: • creazione e recupero di 2.270 alloggi per famiglie con particolari fragilità sociali ed economiche; • recupero di 35.600 metri quadri di immobili inutilizzati da destinare a servizi del terzo settore; • percorsi integrati di inserimento lavorativo, sociale, educativo, sanitario e di accompagnamento all’abitare per 3.904 individui a basso reddito e 5.855 individui con gravi forme di disagio; • percorsi integrati per 485 individui appartenenti alle comunità Rom, Sinti e Camminanti; • servizi a bassa soglia e di pronto intervento sociale per 1.811 individui senza dimora; • sostegno a 644 progetti attuati da soggetti attivi nel sociale o da Ong nelle aree bersaglio. I meccanismi di confronto e di coordinamento La natura sperimentale del Pon Metro ha visto, fin dalla fase di impostazione del Programma, l’avvio di un innovativo percorso di “co-progettazione strategica” e confronto tecnico tra l’Autorità di gestione (AdG) e le Autorità urbane (AU) volto a dare sostanza al partenariato strategico e a impostare per ogni città metropolitana, la scelta di un numero limitato e motivato di azioni integrate. Questo percorso di confronto tecnico, avviato nel febbraio 2014, prosegue fino all’individuazione delle singole operazioni da parte delle AU - per la prevista verifica di ammissibilità delle tipologie di spesa da parte dell’AdG - ed è destinato a continuare nel corso dell’attuazione. La coprogettazione strategica inoltre assicura l’allineamento e l’integrazione tra gli obiettivi generali e trasversali perseguiti su scala nazionale e le priorità espresse dalle città. I meccanismi di confronto istituzionale, tra cui confronti trilaterali tra AdG, AU e regioni, sono concepiti per garantire il coordinamento tra attori responsabili a vario titolo delle diverse filiere di policy che interessano il territorio delle 14 città metropolitane del Programma. L’Autorità di gestione del Pon Metro ha avviato, insieme alle singole città, un confronto con le Autorità di gestione responsabili dei Programmi operativi regionali Fesr, nell’ambito dei quali sono previsti interventi di sviluppo urbano che ricadono sulle stesse aree urbane. Questo confronto è fondamentale per assicurare un efficace processo di progettazione strategica e la coerenza con la pianificazione regionale di settore e per garantire le sinergie di programmazione necessarie. 27 Scenari Analogamente, è stato istituito un Segretariato tecnico cui partecipano i rappresentanti delle principali amministrazioni centrali di coordinamento e di settore, alcune delle quali titolari di programmi operativi, per definire i rispettivi ambiti di intervento e gli obiettivi comuni e assicurare il necessario coordinamento con le risorse ordinarie di propria competenza. Dal punto di vista della qualità dei contenuti progettuali, l’integrazione tra Fondi e Programmi sarà perseguita a partire dalla visione strategica unitaria di riferimento per ciascun obiettivo tematico: la Strategia nazionale per la crescita digitale, la Strategia nazionale per l’inclusione delle comunità Rom, Sinti e Camminati, eccetera. Infine, il coordinamento e la complementarità del Programma con altre filiere e strumenti di finanziamento di provenienza comunitaria sarà garantito attraverso apposite sedi di governance da attivare a livello nazionale e previste nell’ambito dell’Accordo di Partenariato. Gli assi strategici, le azioni e la relativa dotazione finanziaria ASSE DESCRIZIONE E OT ASSE 1 Agenda digitale metropolitana (OT 2 - Agenda digitale) ASSE 2 ASSE 3 ASSE 4 ASSE 5 TOTALE 28 Sostenibilità dei servizi pubblici e della mobilità urbana (OT 4 - Energia sostenibile e qualità della vita) Servizi per l’inclusione sociale (OT 9 - Inclusione sociale e lotta alla povertà) Fse Infrastrutture per l’inclusione sociale (OT 9 - Inclusione sociale e lotta alla povertà) Fesr Assistenza tecnica DOTAZIONE € 151.982.830 € 318.288.000 € 217.193.592 € 169.751.580 € 35.717.332 € 892.933.334 Il rilancio parte dalle città metropolitane Dal Libro bianco Città metropolitane, il rilancio parte da qui, nato dalla collaborazione tra Anci, The European House - Ambrosetti e Intesa Sanpaolo, pubblichiamo un estratto, “I dieci punti più importanti del Libro bianco”. 1. Il 21° secolo è il “secolo delle città”. Nel mondo: • la popolazione urbana, per la prima volta nella storia, ha superato quella extraurbana con quasi 4 miliardi di persone che risiedono nelle città; • cresce la dimensione media dei centri urbani e nel 2030 ci saranno oltre 40 megacity con oltre 10 milioni di abitanti (erano 10 nel 1990); • le aree metropolitane accelerano le dinamiche di sviluppo: la popolazione cresce 1,5 volte rispetto al tasso medio nazionale e l’80% ha redditi medi superiori alle rispettive nazioni di appartenenza. Questi processi aprono grandi opportunità e, al contempo, sfide per la gestione e la sostenibilità dei modelli di sviluppo. 2. La legge 56/2014 (“legge Delrio”) ha istituito anche in Italia le città metropolitane – Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria (alle quali si aggiungono Palermo, Catania, Messina e Cagliari nelle regioni a statuto speciale) – concretizzando un percorso di cui si parlava da oltre 20 anni. Si tratta di una rivoluzione nel sistema delle autonomie locali che attribuisce ai sistemi territoriali modelli di governo differenziati in base alle caratteristiche insediative, sociali ed economiche e che ha istituzionalizzato nella dimensione metropolitana una “massa critica” comparabile con quella delle omologhe realtà internazionali, con le quali potersi confrontare alla pari. 3. Le città metropolitane sono la “spina dorsale” dell’Italia in quanto hub di risorse e competenze e nodi dei flussi di persone, merci, capitali e idee: • coinvolgono il 36% della popolazione, generano oltre il 40% del valore aggiunto e il 28% delle esportazioni; • riuniscono il 35% delle imprese e il 56% delle multinazionali insediate nel paese; • vi hanno sede 55 atenei e circa la metà delle start-up innovative. 4. La “missione” strategica delle città metropolitane è essere un motore di sviluppo economico-sociale per i territori e per il paese, capace di interpretare i nuovi bisogni dell’economia e della società, governare flussi e reti e lanciare progettualità ad alto impatto, promuovendo il posizionamento dei territori metropolitani italiani nella rete delle città globali. A tal fine le città metropolitane devono essere uno strumento di governo flessibile in grado di coordinarsi con i singoli comuni dell’area metropolitana, i territori confinanti e le regioni e lo stato centrale, con robuste competenze ammini- Documenti A cura di M. C. V. “Serve un salto di qualità che porti le città metropolitane ad assumere effettivamente il ruolo di istituzioni cruciali per la crescita e lo sviluppo dell’Italia”. Pietro Fassino, presidente Anci, spiega così il senso del Libro bianco, che riporta i risultati del progetto Start City, “attivato con l’obiettivo di offrire un contributo di natura strategica che accompagni le città metropolitane nella definizione di visione, missioni, obiettivi e strumenti del proprio sviluppo”. È possibile scaricare integralmente i diversi fascicoli che compongono la ricerca sulle Città metropolitane da www.anci.it. 29 Documenti Le Città metropolitane istituite dalla legge 56/2014 sono Bari, Bologna, Cagliari, Catania, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma, Torino e Venezia. Vi abitano complessivamente oltre 22 milioni di persone, cioè il 36,4 per cento della popolazione italiana totale, mentre il numero di imprese che vi sono localizzate è il 59 per cento del totale. 30 strative e gestionali e deleghe dal livello comunale e regionale per le funzioni di programmazione e pianificazione di area vasta. 5. Le aree non-metropolitane, una realtà articolata di 6.719 comuni (l’83,5 per cento del totale) e quasi 40 milioni di persone (il 64 per cento del totale), sono il “complemento ad 1” delle città metropolitane. L’entità e la qualità dello sviluppo del paese non può quindi essere dissociata dalla qualità (efficienza ed efficacia) delle relazioni tra Italia metropolitana e Italia non metropolitana. Occorre ottimizzare la collaborazione tra i “nodi” rappresentati dalle città metropolitane e la rete delle città medie e piccole diffuse sul territorio nazionale, promuovendo modelli collaborativi, informali o strutturati, anche a livello di pianificazione strategica e di iniziative di partenariato su progetti o ambiti specifici di interesse comune. 6. Il pieno consolidamento delle città metropolitane in Italia passa attraverso alcune condizioni necessarie: • chiarezza sulle competenze e funzioni esclusive ad esse attribuite; • forte leadership politica da esercitare alla luce della natura delle città metropolitane di enti di secondo livello; • coordinamento dell’azione degli enti locali, superando le possibili sovrapposizioni tra i diversi livelli di governo; • adeguamento quali-quantitativo dell’organico per presidiare le nuove funzioni assegnate agli enti metropolitani; • rispondenza tra funzioni assegnate e risorse disponibili. 7. Il progetto Start City ha messo a punto un modello per la strategia di sviluppo delle città metropolitane italiane fondato su: • Missione (“ragion d’essere” del territorio e l’organizzazione del modello di sviluppo) e Visione (rappresentazione di sintesi di ciò che un territorio intende diventare in un periodo definito); • Obiettivi strategici, quantitativi, misurabili e coerenti con il modello di sviluppo economico sociale cui tendere (Visione); • Competenze distintive, cioè le specifiche abilità in attività quali industria, servizi, educazione, ricerca, ecc., in cui il territorio eccelle; • Fattori “acceleratori”, rappresentati dalla identità metropolitana, elementi simbolici e landmark e progetti bandiera in grado di far fare un salto allo sviluppo del territorio e produrre benefici tangibili già nel breve periodo. 8. Gli incontri con oltre 140 stakeholder nelle varie città metropolitane hanno delineato chiare direttrici di sviluppo accomunate da: • innovazione dei modelli economico-produttivi, combinando ambiti avanzati (come Ict e filiere digitali, meccatronica, aerospazio, biotecnologie e bioscienze, filiere della green economy) e settori tradizionali (come agroalimentare, Sistema-Moda e portualità); • promozione del turismo quale volano capace di integrarsi con le altre vocazioni del territorio, valorizzando le specificità locali e generando nuova occupazione e crescita economica; • creazione di sistemi di infrastrutturazione e di servizio di scala metropolitana per connettere i territori e le loro funzioni, all’interno di un nuovo disegno urbano; • gestione delle sfide legate allo sviluppo secondo i principi guida della sostenibilità, dell’integrazione e innovazione sociale e dello stimolo all’imprenditorialità e al ri-orientamento dei modelli culturali in accordo con il contesto contemporaneo. 9. Le città metropolitane innescano un processo dinamico di evoluzione e modernizzazione del paese: • stimolano l’innovazione istituzionale e l’efficienza degli strumenti di governance promuovendo nuove modalità di lavoro e relazione tra gli attori pubblici e i privati; • attivano sinergie con i territori non metropolitani con cui interagiscono attraverso le interrelazioni delle filiere di produzione e consumo; • sono i centri di accumulazione capaci di aumentare la forza di attrazione di risorse economiche, produttive e di conoscenza con una confrontabilità “alla pari” con i grandi sistemi urbani internazionali; • sono gli ambiti dove sperimentare soluzioni innovative (edilizia, mobilità, energia, ecc.) per la rigenerazione urbana, la qualità dei modelli di lavoro e di vita e il cambiamento climatico da estendere al resto del paese. 10. Il progetto Start City ha elaborato 5 proposte per favorire la crescita dell’Italia e dei suoi territori attraverso le città metropolitane: • Legare la strategia competitiva dell’Italia alle città metropolitane, riconoscendole come “progetti per lo sviluppo nazionale” e organizzando in coerenza le grandi scelte e gli investimenti del paese. • Garantire alle città metropolitane poteri e strumenti chiari sui temi di sviluppo economico, con competenze esclusive valide secondo un principio di sussidiarietà, creando al contempo una vera “finanza metropolitana”. • Incentivare il coordinamento tra le città metropolitane, mettendo a fattor comune le esperienze di co-sviluppo che già oggi sono in essere (patti per lo sviluppo, tavoli inter-metropolitani, alleanze funzionali, ecc.) e supportando la realizzazione di progetti comuni ad alto impatto (infrastrutturazione, localizzazione di cluster di eccellenza produttivi e della ricerca, ecc.). • Progettare, anche ispirandosi e mutuando le esperienze e gli strumenti sviluppati dalle città metropolitane, gli strumenti per la valorizzazione delle aree nonmetropolitane partendo da tre ambiti chiave: governance, meccanismi di messa a sistema di patrimoni/infrastrutture/servizi e partnership territoriali per lo sviluppo economico. • Attivare una comunicazione istituzionale di livello nazionale sul ruolo e gli impatti concreti delle città metropolitane per cittadini e imprese e una comunicazione operativa, di responsabilità delle città metropolitane, sulle visioni di sviluppo, le progettualità e i percorsi di cambiamento attivati, aiutando a costruire consapevolezza e consenso tra gli stakeholder. 31 Modelli Rigenerare l’edilizia sociale del ‘900: strategie europee a confronto Dalle esperienze di altri paesi dell’Europa emergono indirizzi comuni, basati sulla creazione di “effetto città” piuttosto che sulla ricostruzione. ALESSANDRA DE CESARIS Insegna progettazione architettonica nella facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma ed è direttore e responsabile scientifico d HousingLab, centro di ricerca del DiAP (Dipartimento di Architettura e Progetto). Fra i suoi principali ambiti di ricerca vi è la rigenerazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica e il ruolo dell’abitazione nella trasformazione delle città contemporanea. 32 Più di due terzi della popolazione europea vive oggi nelle aree urbane e milioni di persone vivono nei quartieri di edilizia sociale realizzati nel secolo scorso. Si tratta di un patrimonio realizzato nella prima metà del ‘900 sul modello della città operaia (siedlung) e in massima parte nel secondo dopoguerra, soprattutto tra gli anni ’50 e ‘70, su modello Movimento moderno. Un patrimonio che oggi presenta criticità alla scala del quartiere, dell’edificio e dell’alloggio e che chiede di essere completato e trasformato secondo una modalità tipica della città europea, che si è sviluppata stratificandosi e densificandosi. In Europa tra i primi a occuparsi della questione della riqualificazione dell’edilizia sociale è Lucien Kroll. Attraverso operazioni di démolition-remolition (demolizione mirata che consente il rimodellamento) Kroll mette in atto una strategia di personalizzazione dell’housing da parte degli abitanti, una forma di antropizzazione dei tristi insediamenti residenziali del dopoguerra. Lavora in Francia, Olanda, Belgio e Germania; a Hellersdorf, quartiere di Berlino nel profondo est, propone un processo di dissoluzione/trasformazione delle “stecche” in prefabbricato attraverso un processo aperto, adattabile nel tempo, gestito con la partecipazione degli abitanti. Il progetto non verrà realizzato ma contribuisce a stabilire criteri che saranno ripresi nella maggior parte delle operazioni di rigenerazione dello stock di housing sociale. Alla scala dell’insediamento Kroll propone l’introduzione di “catalizzatori di nuovi sviluppi” in forma di punti (servizi), linee (nuovi tracciati e percorrenze), superfici (giardini), mentre al livello dei singoli edifici contempla demolizioni parziali e addizioni - tra cui balconi, nuove tipologie sulle testate cieche e sulle coperture – e la trasformazione degli alloggi a piano terra in uffici o locali commerciali. Francia: l’intervento sui grands ensembles La Francia rappresenta probabilmente una delle esperienze più avanzate nell’ambito della rigenerazione urbana attraverso i programmi per la riqualificazione dei cosiddetti grands ensembles. Realizzati tra il 1953 e il 1973, sono insediamenti o pezzi di città costituiti da case in linea e a torre con elevato numero di alloggi ed elevata standardizzazione, organizzati attorno a servizi quali asili, scuole, negozi. In soli 20 anni è stato realizzato un totale di circa 1,2 milioni di alloggi l’anno. Dopo il 1973 il modello grands ensembles viene definitivamente abbandonato e immediatamente dopo vengono varati provvedimenti mirati alla riqualificazione di questo patrimonio abitativo, ultimato da soli pochi anni, attraverso piani integrati e programmi urbani. In questo quadro di interventi sovvenzionati dallo stato e coordinati da Anru (Agence national pour la rénovation urbaine), tra i primi a sperimentare modalità di intervento nei grands ensembles a partire dagli inizi degli anni ‘80 sono Roland Castro e Sophie Denissof. Profondamente contrari a qualsiasi operazione di demolizione, di tabula rasa – considerata inconcepibile sia dal punto di vista urbano che umano – l’Atelier Castro Denissof si orienta verso interventi complessi di rimodellamento e metamorfosi, sia per conferire qualità allo spazio pubblico, sia per contrapporre alla logica industriale degli edifici una certa dose di artigianalità in grado di favorire l’appropriazione identitaria da parte degli abitanti. Uno dei grands ensembles parigini, la Résidence Michelet, costruita nel 1968: 1800 alloggi per 4300 abitanti. Lungo questa linea nel 2004 il Ministère de la Culture et de la Communication commissiona a Frédéric Druot, Anne Lacaton e Jean Philippe Vassal l’Étude alternative a la démolition des grands ensembles. I risultati mostrano una serie di interventi che vanno oltre la riqualificazione dell’alloggio e dell’involucro edilizio attraverso l’aggiunta di nuovi corpi di fabbrica e che cercano di ridefinire le qualità dello spazio aperto, quello Sloap (Space Left Over After Planning, spazio avanzato dopo la pianificazione) che caratterizza in modo inequivocabile il paesaggio di molte periferie. Il tema della rigenerazione del patrimonio edilizio esistente come alternativa alla demolizione, infine, è al centro di tutte le proposte presentate dai 10 gruppi di progettazione invitati nel 2008 alla Consultazione internazionale Le Grand Paris, sul futuro dell’agglomerato parigino. Una strategia che considera gli edifici non come entità funzionalmente congelate e morfologicamente completate, bensì malleabili, evolutivi e rigenerabili. Germania: la riqualificazione dei “complessi socialisti” In Germania la rigenerazione del patrimonio di edilizia pubblica ha coinvol33 Modelli to a partire dagli anni Ottanta sia le siedlungen a bassa e media densità, costituite da edifici a 3/4 piani ripetuti in serie attorno a orti e giardini, sia i cosiddetti complessi di abitazione socialista -realizzati con prefabbricazione pesante - che hanno caratterizzato i paesaggi urbani dei paesi oltre la cortina di ferro. Fino agli anni ‘60 la dimensione degli insediamenti si aggirava tra i 3mila e i 7mila abitanti ed era stabilita in funzione di una distanza di 5-10 minuti a piedi dai servizi essenziali: fermate del trasporto pubblico, scuole e asili. Dalla fine degli anni 60 si è assistito invece a una densificazione del costruito con insediamenti che vanno dai 20 ai 40mila alloggi in edifici di maggiore altezza. In pochi anni vengono realizzati milioni di metri cubi che dopo il crollo del Muro si sono andati svuotando in quanto tra i molti effetti dell’unificazione delle due Germanie vi è stato il decremento della popolazione nel settore orientale. Nel 2001 gli alloggi liberi erano oltre un milione e una politica dello stato federale basata sulla demolizione ha portato ad eliminarne un terzo. In questi ultimi anni è in atto una politica di recupero caratterizzata da un approccio meno radicale, basato su una serie di azioni integrate, tra cui: migliorare l’accessibilità e le connessioni del trasporto pubblico delle periferie del profondo est; insediare funzioni altamente specializzate in grado di portare nuovi posti di lavoro; trasformare gli alloggi vuoti ai piani terreni in luoghi di lavoro o commercio, per creare quell’effetto città oggi carente; intervenire sull’involucro per l’adeguamento energetico; coinvolgere i residenti per una consapevole condivisione delle scelte. Olanda: il caso Bijlmermeer L’Olanda è caratterizzata dalla più alta percentuale di abitazioni in affitto (80 per cento) in tutta Europa e il 35 per cento del patrimonio è rappresentato da edilizia sociale. Fin dagli anni Ottanta lo Stato ha avviato programmi per la sua riqualificazione e a partire dagli anni ‘90 ne ha trasferito un’ingente parte ad associazioni senza fini di lucro, le quali hanno operato azioni di riqualificazione contraddistinte da diversi approcci in base allo stato del patrimonio edilizio: modernizzazione senza operazioni strutturali; interventi mirati a migliorare le prestazioni tecnico-impiantistiche, differenziare le tipologie abitative e aumentare la densità edilizia; sostituzione dell’involucro e delle tramezzature interne conservando la struttura portante; rifacimento radicale e demolizione. Emblematico è il caso di Bijlmermeer, insediamento grande come il centro storico di Amsterdam, realizzato sui principi del Movimento moderno tra il 1966 e il 1975: 13mila appartamenti in edifici a ballatoio alti 11 piani e disposti all’interno di aree verdi. Dopo soli dieci anni dalla sua ultimazione un alloggio su 4 è vuoto. Nel 1986-87 Rem Koolhas, interpellato dall’amministrazione comunale, elabora un progetto per la “Ri-urbanizzazione di Bijlmermeer” e suggerisce una serie di azioni che senza stravolgere il carattere dell’insediamento 34 puntano a introdurre quella complessità e diversificazione del tutto assente nel progetto originario: il bombardamento tipologico, la contrazione delle aree verdi, la differenziazione delle varie corti, la realizzazione di un asse commerciale sotto il viadotto e di parcheggi più vicini alle abitazioni. Nel 1992 tuttavia viene deciso di demolire un quarto degli edifici e di sostituirli con case a bassa densità, alterando così completamente l’identità di un insediamento che probabilmente avrebbe potuto essere trasformato seguendo le indicazioni di Koolhaas. Gli edifici non demoliti sono stati comunque oggetto di interessanti proposte e sperimentazioni a partire dalla fine degli anni ‘90. Nei blocchi Hoogoord e Hofgeest, ad esempio, su progetto di Verheijen Verkoren Knappers Architecten i depositi al piano terra sono stati convertiti in alloggi duplex, con accesso su strada da un lato e giardino privato su quello opposto. A seguito di questa “semi-privatizzazione” del piano terra è migliorata la sicurezza dell’immediato intorno dell’edificio e questo ha stimolato i residenti a riappropriarsi degli spazi aperti, con un rafforzamento delle relazioni sociali. Verso quartieri sostenibili A questa serie di strategie si aggiungono le indicazioni elaborate in questi ultimi anni nell’ambito di una serie di concorsi di progettazione, a testimonianza dell’attualità delle tematiche di riqualificazione dello stock abitativo realizzato nel Novecento. Nordic Built challenge è un’iniziativa promossa dai ministeri del Commercio e dell’industria di Danimarca, Svezia Norvegia, Finlandia e Islanda. Nel 2012 ha bandito un concorso di progettazione multidisciplinare per la ristrutturazione di cinque edifici localizzati nelle nazioni partner, con l’obiettivo di incoraggiare l’innovazione e la ristrutturazione sostenibile di alcuni fra i tipi edilizi più comuni nella regione nordica. In Francia nel 2010 e nel 2012 il servizio interministeriale Puca (Plan Urbanisme Construction Architecture), nell’ambito del Programme Innovation dans l’Architecture et la Construction e del Programme de Recherche et d’Expérimentation sur l’Energie dans le Bâtiment (Prebat), ha bandito due concorsi sulla riqualificazione sostenibile “durevole” di edifici pubblici e privati con l’obiettivo di raccogliere proposte concrete - e adattabili ad altre situazioni simili - che consentissero una reale rivalutazione degli edifici agendo con soluzioni innovative sia sull’involucro esterno che all’interno. In Italia, a Roma nel 2010 l’Ater ha bandito il Concorso internazionale Pass (progetto per abitazioni sociali e sostenibili) per la riqualificazione del Tiburtino III, realizzato negli anni ‘80. La richiesta di realizzare nuovi alloggi negli spazi liberi porticati e in copertura degli edifici esistenti e servizi di quartiere nelle corti degli edifici ha sollevato numerosi temi di riflessione, ma anche proposte più radicali non in linea con le indicazioni del bando. 35 109 21 Modelli A cura di GIOVANNI PIETRANGELI 2 22 1 12 12 31 54 120 esclusa Grande Cina Grande Cina2 2010 2025 previsione I fattori di successo dell’esperienza Totale mercati 5% 5% 5% 17% 46% emergenti britannica 1980 1990 2000 Alcuni esempi di interventi sulleAZIENDE città, ma non solo, che nel Regno Unito CLASSIFICA DELLE CITTÀ SEDI DI GRANDI hanno dato risultati positivi, grazie al metodo di pianificazione, agli obietNumero di grandi aziende totali, incon miliardi di dollari tivi strategici e alla capacità della governance diRicavi dialogare il territorio. 1. Tokyo 613 5,231 New York 2. 217 1,964 Quando si parla di rigenerazione urbana ci si muove su un terreno complesLondra 3. articolato. 193 1,924 abbiamo già so, In un precedente numero di Civiltà di Cantiere 4. Osaka questo tema evidenziandone 174 1,028 affrontato alcuni nodi problematici: come riParigi 5. 168 generare parti di città tenendo conto anche delle esigenze del2,785 tessuto sociaPechinofattori possono 6. Quali 116trasformare gli investimenti per la2,503 le? riqualificazione Mosca 7. 115 709 di edifici e infrastrutture in motori di crescita? 8. Seul Fare i conti con questi 114 aspetti impone una riflessione1,150 sul destino delle citReno Ruhr 9. 107 possono giocare nel rilancio1,220 tà europee e sul ruolo che economico dei paesi Chicago 10. 105 695 di cui fanno parte. Una riflessione che può trarre spunti dall’analisi di quali Kong 11. Hong 96 468 di rigenerazione ursono stati i fattori di successo o le criticità di interventi 12. Taipei 90 472 bana in altri contesti europei. 13. Los Angeles 82 422 Zurigo 14. 79 770 Northern Powerhouse, città in rete Sydney che può vantare 15. paese 75 466 Un un’esperienza pluridecennale in questo campo è Stoccolma 16. 74 360 il Regno Unito. Dopo le importanti trasformazioni produttive degli anni set17. Houston 74 industriali del nord hanno perso 661 il loro ruolo centrale tanta e ottanta, le città 18. Nagoya 70 che oggi ha il suo baricentro 481 su Londra e Birmingnell’economia britannica, 67 Amsterdam 19. ham. Manchester, Liverpool, Leeds hanno dovuto fare1,516 i conti con l’impo64 343 Singapore 20. verimento della popolazione, l’abbandono di intere aree urbane legate alle rilanciare l’economia locale facendo leva su innovazione, nuove tecnologie, cultura. Oggi, dopo oltre un ventennio di interventi sulle singole città del nord, la sfida è metterle in rete perché, come ha dichiarato il ministro delle finanze inglese George Osborne nel giugno 2014, lanciando il piano Northern Powerhouse (motore del nord), “oggi l’insieme è meno della somma delle parti” mentre la soluzione è “un gruppo di città del nord, sufficientemente vicine fra loro da far sì che insieme possano raccogliere qualunque sfida”. Bisognerà tuttavia aspettare qualche anno per valutare l’efficacia del piano, che vuole costituire una conurbazione sul modello della Renania e del Randstad olandese, puntando soprattutto sulle infrastrutture di trasporto e sulle peculiarità delle economie cittadine interessate. Nel frattempo interessanti elementi di analisi sono contenuti in un rapporto del novembre 2014 del Royal town planning institute (Rtpi), Success and Innovation in Planning–Creating Public Value, dove importanti casi di interventi di rigenerazione urbana già conclusi in Gran Bretagna sono esaminati secondo un framework che ne seziona le fasi di ideazione, pianificazione e attuazione. Gli esempi riportati sono utili perché coprono un ampio ventaglio di storie e ragioni per le quali si è scelto di intervenire sul tessuto urbano. Olympic Park, l’eredità dei grandi eventi Il dopo Expo ha lasciato a Milano un’eredità complicata. Il premier Renzi, a evento appena concluso, aveva lanciato un programma di rilancio per il Queen Elizabeth Park a Londra. attività industriali, Città di mercati emergentila decadenza dei centri cittadini. Dare corpo a una nuova visione per queste città è stato l’obiettivo dichiarato di interventi mirati a numeri chiave II NUMERI CHIAVE diDI Northern NORTHERNPowerhouse POWERHOUSE Nota: I dati si rife- Popolazione sul totale Regno Unito (%) 16,7 delle aree metropo- Quota di posti di lavoro sul totale, nel 2013 (%) 16,0 litane di Liverpool, Quota di valore aggiunto lordo sul totale, nel 2013 (%) 13,3 Manchester, Leeds, Quota di lavori ad alta intensità di conoscenza, nel 2013 (%) 12,7 riscono alla somma Sheffield, Hull e del Nord Est. Numero di università 23 Fonte: Centre for Cities, Northern Powerhouse Factsheet, giugno 2015 36 37 Modelli sito espositivo che avrebbe avuto un effetto rigenerante per l’intera area metropolitana lombarda. Un programma tuttavia annunciato con tempismo discutibile, a Expo già conclusa, e apparentemente senza una vera e propria pianificazione alle spalle. Il tema dell’eredità dei grandi eventi è piuttosto controverso e l’esperienza del Parco olimpico di Londra (200 ettari) è, in questo senso, positivamente significativa. Il rapporto dell’Rtpi illustra il caso, da cui balza agli occhi una sostanziale differenza di approccio rispetto a quello che ha contraddistinto l’evento milanese. Fattori chiave per l’immediato avvio della riconversione del sito a evento concluso, nel 2012, sono stati sia il lavoro preventivo svolto dallo special purpose vehicle (Spv, corrisponde alla nostra Società di progetto) Olympic Delivery Authority, che ha coordinato gli enti locali coinvolti nel progetto, sia il fatto che l’eredità dei Giochi era già prevista in dettaglio nel progetto di candidatura di sette anni prima, in quanto obiettivo prioritario così come il successo delle Olimpiadi. L’area destinata a ospitare le strutture olimpiche, inoltre, era inserita nel piano regolatore di Londra come zona da rigenerare già da molto prima della designazione di Londra per le Olimpiadi, quindi pienamente integrata in un quadro strategico di sviluppo della capitale britannica. Sulla base di questi precedenti la London Legacy Development Corporation, soggetto giuridico nato nei mesi precedenti i Giochi proprio per “raccogliere l’irripetibile opportunità”, ha potuto sviluppare un piano triennale (da concludere nel 2016) per realizzare un quartiere urbano residenziale e di sviluppo commerciale attorno al Queen Elizabeth Olympic Park, primo parco pubblico londinese realizzato da un secolo a questa parte e aperto alla città nel 2013. Non è tutto oro quello che luccica, tuttavia. Il rapporto sottolinea anche alcuni nodi critici dell’operazione, come la perdita di infrastrutture pre-esistenti a causa del completo sbancamento dell’area prima della riconversione, o l’effetto gentrificazione, per cui da un punto di vista socio-economico non si esclude che sul lungo periodo vi siano conseguenze negative. Manchester, nuova vita per ex aree industriali Salford Quays era il cuore della vecchia Manchester industriale. 90 ettari di moli di attracco e depositi che dovevano sostenere le attività produttive della città. Con la diffusione del trasporto su container e lo sviluppo di infrastrutture intermodali, il sito ha perso progressivamente di utilità fino a essere definitivamente abbandonato all’inizio degli anni ottanta, quando l’intera area è stata acquistata dal Salford Council, un elemento che si rivelerà determinante per il controllo dell’intervento di riqualificazione. Soltanto un decennio dopo tuttavia la municipalità ha deciso di adottare per l’intervento di rigenerazione dell’area l’approccio che si è rivelato vincente: puntare sull’effetto trainante di attività culturali e artistiche. Un successo 38 poi amplificato dall’importante investimento della Bbc che ha qui aperto la sua Media City Salford, con un notevole beneficio in termini di indotto. In precedenza invece si era immaginato un recupero focalizzato sul rapporto tra il quartiere e le vie d’acqua, attraverso una pianificazione orientata all’edilizia residenziale, commerciale e ricreativa, nel tentativo di stimolare interventi privati senza impegnare risorse pubbliche; piano però fallito per la mancanza di un’identità sociale o culturale dell’area e per un suo utilizzo limitato alle ore diurne. Il piano del 1992 invece ha messo al centro dell’intervento due elementi culturali forti - la sede per la collezione di dipinti di Laurence S. Lowry e l’Imperial War Museum North – e l’impegno pubblico su questi due progetti ha rappresentato un volano per gli investimenti privati che hanno poi definitivamente rilanciato l’area. Salford Quays, secondo il rapporto Rtpi, può quindi essere considerato un modello per la capacità di ridefinire gli obiettivi in funzione di stimoli provenienti da esigenze locali. Un risultato ottenuto grazie a una governance definita e risoluta nell’ottenere il sostegno del governo centrale e nel promuovere gli investimenti privati su un progetto di lungo periodo, ma capace di rimodularsi nel tempo. Salford Quays a Manchester (www. freeimages.co.uk). Vallo di Adriano: rigenerare beni culturali Quando parliamo di rigenerazione urbana, solitamente pensiamo alla riqualificazione di spazi all’interno di una città, del diffuso patrimonio industriale abbandonato o di quartieri degradati dal punto di vista sociale ed edilizio. L’esperienza britannica ci insegna invece che l’approccio metodologico ap39 Modelli plicato per gli interventi sullo spazio urbano può essere ampliato anche a beni culturali sul territorio. Riflettere su questa particolare sfaccettatura della rigenerazione può essere utile nel nostro paese, ricchissimo in siti di interesse archeologicico e storico sottovalorizzati. al sito. Il rapporto Rtpi valorizza la continuità con i progetti già definiti, sia sul lungo che sul breve periodo. Il piano di gestione attuale ha infatti una prospettiva trentennale e nonostante la chiusura nel 2014 dell’Hadrian’s Wall Trust, organizzazione creata per questo scopo, la transizione alle nuove strutture di gestione, fra cui principalmente English Heritage, non ha intaccato gli obiettivi originari. Siti utili: www.rtpi.org.uk Sito del Royal Town Planning Institute, associazione con 23mila soci dedicata alla pianificazione Bristol: coinvolgere le comunità Il Vallo di Adriano nel nord Inghilterra. 40 Il Vallo di Adriano, struttura difensiva di epoca romana, corre per circa 120 chilometri da est a ovest nel nord dell’Inghilterra, attraversando le contee di Cumbria e Northumberland. Nel 1987 è stato dichiarato patrimonio Unesco, una vera sfida considerando che l’estensione del sito è di quasi 1700 chilometri quadrati. Un primo piano di gestione è arrivato solo nel 1996 e ha dovuto fronteggiare molte difficoltà per la quantità di soggetti coinvolti, sia proprietari dei terreni, sia enti con compiti istituzionali. Difficoltà aggravate dalla mancanza di fondi adeguati e dal fatto che, a differenza di altre aree soggette a pianificazione nel Regno Unito, qui è mancato uno special purpose vehicle, il che ha reso più complicato intervenire su un’area che, per estensione e vincoli di conservazione, presentava numerosi problemi di competenza e gestione. Il piano è stato più volte rivisto e ha infine portato alla costruzione di partnership forti e all’adozione di una visione condivisa, anche con le comunità del luogo - preoccupate da possibili cambiamenti nelle abitudini di vita - e “olistica”, che non considera il bene archeologico in se stesso ma in tutti i suoi aspetti di relazione col territorio. Fra i risultati ottenuti, la creazione (vincendo forti opposizioni) di un sentiero e di una pista ciclabile che affiancano il muro per tutta la sua lunghezza, l’istituzione di un servizio bus dedicato al servizio non solo dei turisti ma anche delle famiglie residenti senza auto e altre soluzioni per agevolare un accesso sostenibile Nel Regno Unito l’approccio tradizionale alla pianificazione è fortemente improntato alla gerarchizzazione, dove ogni piano cioè deve conformarsi a quello che lo precede per gerarchia. Tuttavia nella città di Bristol, dove è assai radicato il principio di coinvolgimento delle comunità nelle decisioni che riguardano il territorio, questo principio è stato ribaltato adottando un approccio bottom-up, dal basso verso l’alto. Dal 2006 nella città è stata istituita una Neighbourhood Planning Network, una rete di 45 comitati locali il cui scopo è coinvolgere la cittadinanza nei processi decisionali relativi alla pianificazione urbanistica. L’approccio con cui la si affronta a Bristol è quindi fortemente improntato alla piccola scala, attento ai dettagli e in grado sia di far fronte alle esigenze della comunità, sia di allocare risorse in funzione delle capacità locali di raccogliere capitale sociale e finanziario intorno alle proprie richieste. La “Rete di pianificazione di quartiere” di Bristol è un progetto innovativo in termini di partecipazione e organizzazione della comunità. La consultazione dei comitati locali passa attraverso un sistema strutturato che garantisce tempi abbastanza sicuri per la discussione e l’articolazione dei progetti. In questo senso, la rete Npn va ben oltre la semplice consultazione e in alcuni casi si può dire che guidi i processi di pianificazione. Dopo un decennio di sperimentazione, il sistema Npn di Bristol sembra aver acquisito la piena fiducia dei vari stakeholder, ma, sottolinea il rapporto Rtpi, va ancora valutato l’impatto sul lungo periodo in termini di crescita della cultura civica delle comunità e di riproducibilità in altri contesti. Questa breve carrellata di esempi sottolinea l’importanza di avere una governance ben definita e strutturata per affrontare i programmi di rigenerazione urbana. Uno degli elementi di successo nei casi descritti è stata infatti la continuità con cui sono stati perseguiti programmi a lungo termine, per quanto strutturati su un approccio flessibile, in grado di rimodularsi nella forma senza snaturare la sostanza né abbandonare gli obiettivi primari. Elemento chiave, secondo il rapporto Rtpi, è la capacità di definire gli obiettivi e strutturare gli strumenti di intervento per raccogliere consenso intorno ai piani, drenare risorse economiche, far impegnare tutti gli stakeholder, cittadinanza compresa, in una strategia di lungo periodo. urbana e territoriale, dove è possibile scaricare il rapporto di cui si parla in questo articolo. www.queenelizabetholympicpark.co.uk Sito dedicato al parco Queen Elizabeth realizzato sull’area dell’Olympic Park a Londra. www.bristol.gov. uk/people-communities/neighbourhood-partnerships La pagina web della municipalità di Bristol dedicata alla Neighbourhood Planning Network (Npn). www.english-heritage.org.uk/visit/places/hadrians-wall/ La pagina di English Heritage, organismo pubblico incaricato della gestione del patrimonio culturale inglese, dedicata al Vallo di Adriano. 41 Modelli A cura di MARIA CRISTINA VENANZI Un nuovo centro urbano a Berlino Il processo di progettazione del masterplan per il recupero di un’area abbandonata è un esempio di come amministrazione pubblica e investitori privati possano collaborare nell’interesse anche dei cittadini. Un’area dismessa a poca distanza dal centro città, un ente locale che realizza un grande parco pubblico per preservare la memoria del passato industriale e stimolare investimenti privati nell’area rimanente, un promotore immobiliare dall’approccio sostenibile che accetta la sfida, raccoglie i finanziamenti, coinvolge la comunità locale nella definizione degli indirizzi progettuali e indice un concorso per il masterplan dell’intervento. Siamo a Berlino, e l’intervento in questione si chiama “Urbane Mitte am Gleisdreieck”, un centro urbano a Gleisdreieck. Appena un chilometro a sud di Postdamer Platz, fino agli anni 2000 un’estesa zona triangolare di terreno di risulta separava i quartieri di Kreuzberg a est e di Schöneberg a ovest. Conosciuto come Gleisdreieck (triangolo di binari) era formato dall’intersezione di diverse linee ferroviarie: una piattaforma di 20 ettari a 4 metri sopra il livello della città, disseminata di fabbricati ferroviari. Con la graduale dismissione delle infrastrutture l’intera area è stata progressivamente abbandonata fino a essere utilizzata come discarica dopo il 1945, una terra di nessuno vicina al muro di Berlino ed è stato proprio il crollo del muro a ridare centralità a Gleisdreieck, imponendo di trovare un utilizzo. Nel 2006 l’amministrazione cittadina decise di convertire buona parte dell’area in una grande parco urbano che avrebbe connesso le diverse zone urbane circostanti. Nelle intenzioni il parco avrebbe stimolato la riqualificazione privata della restante superficie con strutture e funzioni in grado di integrare diverse generazioni e strati sociali intorno a un modello di città sostenibile e in armonia con la natura, al tempo stesso preservando l’eredità ferroviaria. Un quartiere sostenibile e polo di attrazione Siti web: www.copro-gruppe.de www.urbane-mitte.de www.cobe.de www.ortner-ortner-de 42 Il parco è stato inaugurato nel maggio 2013, ha cambiato completamente il carattere della zona e Gleisdreieck ha riacquistato visibilità, anche grazie all’apertura nelle vicinanze del Museo tedesco della tecnologia. E, come era nelle intenzioni della città, sono arrivati anche i soggetti privati interessati ad intervenire sull’area adiacente al parco e alla stazione Gleisdreieck della metropolitana, ultimo ampio lotto di terreno edificabile rimasto al centro della città senza essere ancora città. Una condizione unica e piena di potenzialità. Il promotore immobiliare è Copro Gruppe: principale proprietario delle aree sviluppa il progetto in collaborazione con partner e investitori privati che lo finanziano completamente, senza intervento pubblico. Il gruppo, nato nel 1993, è socio del German Sustainable Building Council (Dgnb) e la particolare attenzione che dedica alla qualità dei progetti è confermata di Marc F. Kimmich che lo ha fondato e lo guida: “Siamo consapevoli della responsabilità che quest’area straordinaria comporta, sia in termini di pianificazione urbanistica, sia per il suo ruolo nella cultura e società berlinese. Con questo progetto intendiamo creare un luogo che guarda al futuro e alzare l’asticella della sostenibilità”. Foto aerea con evidenziata l’area oggetto dell’intervento Copro. Il parco pubblico inaugurato nel 2013 è quello a sud, parallelo ai binari ferroviari (© Copro e HG Esch). In accordo con la città, il nuovo quartiere dovrà avere architetture contemporanee, ma anche un’identità specifica che rifletta il suo Dna legato al trasporto ferroviario e alla manifattura, integrando il recupero di manufatti storici. Sull’area interessata, di circa 43mila metri quadri, il piano prevede un massimo di 100-110mila metri quadri di superficie lorda. Circa due terzi dell’area saranno utilizzati per spazi ad uffici e negozi, mentre un terzo sarà destinato a servizi per il pubblico, attività per il tempo libero e residenza. Residenza limitata sia nella quantità sia nella tipologia - alloggi per studenti e hotel - in ragione del rumore provocato dalla linea ferroviaria. Ma soprattutto il quartiere dovrà essere integrato con il parco attraverso relazioni spaziali e percorsi e costituire elemento di raccordo e centro di attrazione per le aree urbane circostanti. Il coinvolgimento della comunità Una localizzazione a così alta visibilità richiede una soluzione urbanistica che non solo integri architetture sostenibili di alta qualità, ma che offra an43 Modelli dei residenti e dei vicini, insieme ad esperti, avviando un processo articolato in tre fasi. Dalla prima fase, culminata in un workshop che si è svolto nel 2014, è emerso un concept condiviso con la comunità interessata: anche se la composizione esatta delle diverse destinazioni d’uso è ancora da definire, al livello principale ci dovranno essere zone per usi pubblici, tra cui una galleria d’arte, spazi commerciali, laboratori, ristorazione e spazi per attività sportive. Questo per creare uno spazio che inviti la gente a trattenersi, rivitalizzando l’area di transizione fra la stazione Gleisdreieck e i viadotti della metropolitana. Un altro concetto condiviso è stato che edifici alti possono rafforzare il carattere dell’area all’interno del contesto urbano. Il concept è stato posto alla base della seconda fase, un concorso a inviti per la progettazione di un materplan che definisse il sistema dei percorsi, le sagome di massima degli edifici, come integrare la prevista nuova stazione per la linea ferroviaria S21 e come distribuire all’interno dell’area le diverse funzioni. Il progetto di Cobe Berlin (© Copro e HG Esch). La motivazione di sintesi della giuria: “Nel complesso il progetto offre Il concorso di progettazione Il concorso ha portato a fine 2015 alla selezione di due fra le 22 proposte presentate, quelle degli studi di architettura e urbanistica Cobe Berlin e Ortner & Ortner Baukunst. Entrambi i progetti vincitori prevedono edifici molto alti, una scelta in accordo con quanto emerso dalla fase di confronto pubblico e che consente di ottimizzare lo spazio pubblico disponibile. Nelle motivazioni della giuria il progetto Cobe articola l’area come una sorta di mosaico urbano che comprende diverse piazze, passaggi e cortili e che risponde in modo eccellente alla complessità del concept alla base del concorso. La proposta prevede un quartiere contemporaneo con parametri architettonici e spaziali tipici di Berlino e con spazi pubblici e strutture che definiscono chiaramente funzioni e identità. Su entrambi i lati dei binari edifici Visualizzazione grafica del concept condiviso emer- un’ottima soluzione agli obiettivi posti dalla città di Berlino e dai promotori dell’intervento. Propone spazi urbani di grande qualità, crea un quartiere la cui identità riflette quella dell’intero contesto urbano, è fattibile dal punto so dalla fase di di vista sia fisico consultazione del che finanziario”. pubblico (© Linus Il commento di Vanessa Miriam Lintner Fotografie) Carlow, responsabi- che la necessaria flessiibilità per possibili usi diversi. Grandi opportunità ma anche grandi sfide. Per questo motivo Copro sin dall’inizio ha deciso di coinvolgere quanti più partner possibile, di assicurarsi che il progetto di sviluppo incontrasse l’approvazione del pubblico e, in accordo con la città di Berlino, di creare innanzitutto un masterplan. Dato che l’obiettivo è dare vita a un vibrante quartiere, Copro ha avviato un processo trasparente per consentire ai cittadini di partecipare alla pianificazione ed esprimere le proprie idee e desideri. In collaborazione con l’amministrazione pubblica di zona ha così coinvolto rappresentanze dell’ente locale, 44 le dello studio Cobe Berlin: “Iperurbano, super metropolitano, con uno stile internazionale ma inequivocabilmente locale: questo volevamo ottenere con il nostro progetto”. 45 Modelli Il progetto di Ortner & Ortner Baukunst (© Copro e HG Esch). La motivazione di sintesi della giuria: “Nel complesso il alti 80-90 metri sono articolati a cerniera, con un effetto visivo da lontano, attraverso il parco, di grande impatto. La giuria ha ritenuto inoltre che il grande numero di lotti costruttivi e di strutture edificate si presta a una realizzazione per fasi, mentre la semplice geometria degli edifici consente di costruirli in modo economico ma al tempo stesso orientato al futuro. Convincente è risultato anche il riferimento progettuale all’elegante architettura ferroviaria storica, così come il rapporto fra spazi costruiti e non, con la scelta di ubicare edifici di grandi dimensioni sopra la linea ferroviaria a beneficio degli spazi pubblici. Il secondo progetto vincitore, quello dello studio berlinese Ortner & Ortner, è stato scelto perché “con sorprendente semplicità” si adatta al quadro di riferimento del concorso e dà ordine all’eterogeneo ambiente urbano con edifici di forma plastica, di tipologie diverse in relazione alla diversa localizzazione. Un approccio che crea spazi urbani di alta qualità fra i nuovi edifici in altezza e i fabbricati ferroviari. Secondo la giuria la geometria a trapezio dei piani superiori degli edifici crea una sofisticata struttura con profondità e larghezze variabili e il quartiere è connesso visivamente con i dintorni immediati e più lontani attraverso diverse prospettive. Anche questa proposta inoltre promette la necessaria flessibilità nella pianificazione e può offrire varietà architettonica. progetto propone una eccellente Verso la realizzazione soluzione, ben Tra febbraio e marzo i due progetti vincitori sono stati esposti al pubblico per raccogliere commenti di cui si terrà conto nelle fasi successive. Prossimo step sarà la decisione dell’amministrazione cittadina e di Copro su quale delle due proposte sarà alla base dello sviluppo del masterplan definitivo e del piano di intervento, dando così inizio alla terza fase del processo che si concluderà entro aprlie 2017. L’inizio dei lavori è previsto per il 2018. organizzata e flessibile, così come un equilibrio convincente fra varietà architettonica e griglia urbanistica”. Il commento di Markus Penell, fondatore di Ortner & Ortner: “Nonostante i vincoli derivanti dalla logistica ferroviaria, un insieme ad alta densità costituito da spazi pubblici ed edifici creerà un quartiere urbano unico, straordinario e aperto, con un facile accesso al parco”. 46 Accendere i motori della ripresa con visione e coraggio Siamo tutti consapevoli che per essere sostenibili dobbiamo ripensare il nostro modello di sviluppo puntando su una progressiva riduzione del consumo del territorio, sulla sostituzione edilizia e sulla riqualificazione. Ma è altrettanto vero che è là dove è presente una forte governance dei processi di urbanizzazione che la dispersione e lo sfruttamento del suolo diminuiscono. Ci vuole visione, capacità di guardare a uno sviluppo diverso. Ci vuole coraggio, ma anche la consapevolezza che perché ciò avvenga è essenziale superare alcune criticità sostanziali, che attengono alla fattibilità della rigenerazione. Ciò significa fare i conti con un quadro normativo che di fatto impedisce di rigenerare. Un insieme di leggi e dii regole che troppo spesso non consente di trovare la convenienza. Penso alla bonifica di aree come Marghera, ma anche a zone di deindustrializzazione di minore dimensione e complessità. Va fatto uno sforzo per definire il quadro generale in cui operare, la cornice e poi affidare agli operatori le soluzioni tecnologiche che diano le giuste garanzie. La nuova legge sulla rigenerazione urbana deve diventare l’occasione per indicare le nuove linee di sviluppo territoriale. L’elaborazione della nuova legge regionale è in corso. Il dialogo avviato anche attraverso UrbanMeta sta dando i suoi frutti. Le linee guida su come procedere sono state condivise e la regione ha assunto un atteggiamento di aperto confronto che ha portato a una collaborazione importante. Nell’attuale fase appare essenziale non fare passi indietro, puntando con decisione a soluzioni che siano nell’interesse generale, creando le condizioni per un equilibrio tra le giuste esigenze di privilegiare la trasformazione del patrimonio esistente e l’ineluttabile decisione di creare le condizioni per una concreta e diffusa rigenerazione. Le nostre città vivono un momento particolare. Hanno forti potenzialità, ma serve una visione politica e una capacità di governo che purtroppo negli ultimi decenni è risultata carente. Il contesto generale presenta elementi che stanno contribuendo a migliorare la situazione di fortissima crisi in cui eravamo immersi, ma ora bisogna accendere i motori della ripresa. E il territorio ne costituisce un carburante fondamentale. Quel che serve è non restare invischiati nella ragnatela delle regole e regolette da un lato e nella paralisi amministrativa dall’altra. Diventa importante guardare al di fuori della nostra regione alle esperienze di altri paesi, a regioni che hanno saputo concretamente e rapidamente trasformare e rigenerare. Come Ance Veneto daremo il nostro contributo, mettendo al centro i nodi critici che frenano questa trasformazione, chiedendo a ciascuno nel proprio ruolo di confrontarsi per trovare insieme come procedere. IL PUNTO GIOVANNI SALMISTRARI Presidente Ance Veneto 47 Legislazione A cura di MARTINO ALMISISI FRANCESCO CALZAVARA Imprenditore nel settore turistico alberghiero, è consigliere regionale in Veneto e presidente della II Commissione consiliare Politiche del territorio (comprese le infrastrutture, i trasporti e i lavori pubblici e dell’ambiente, ivi comprese la difesa del suolo, le cave, torbiere e miniere), politiche forestali e dell’energia. Dal 2002 al 2012 è stato sindaco di Jesolo. 48 Verso la legge regionale 14 sul consumo di suolo Francesco CALZAVARA, presidente della Commissione consiliare che sta lavorando al testo del nuovo provvedimento, lo definisce “rivoluzionario” e sottolinea l’apporto dato dalla società civile veneta attraverso UrbanMeta. Partire dall’obiettivo di un contenimento del consumo di suolo per incardinare attraverso disposizioni normative innovative percorsi possibili di rigenerazione. È questo il senso e il valore del processo legislativo che sta caratterizzando la regione Veneto. E non si tratta di poca cosa. Come sottolinea Francesco Calzavara,”possiamo parlare tranquillamente di un atto rivoluzionario. Sappiamo tutti di essere la regione che registra il maggiore consumo di suolo. Il nostro modello di sviluppo ha determinato negli anni del boom una situazione di forte occupazione di territorio. È giunto il momento di ritrovare un equilibrio, cui il progetto di legge 14 vuole dare un contributo fondamentale”. Calzavara è presidente della II Commissione consiliare regionale per le Politiche del territorio, politiche forestali e dell’energia, presso la quale si sta scrivendo la nuova legge che prevede “disposizioni per il contenimento del consumo di suolo”. “Si tratta di un provvedimento che si caratterizza fortemente sul piano culturale ancor prima di essere una legge di politica economica e di gestione del territorio. Aspetti certamente rilevanti, ma che sono legati a una cambiamento di mentalità, a una nuova visione condivisa sulla necessità di rivedere il nostro rapporto con il territorio. La legge si ripromette di orientare i sindaci che pianificano, così come gli imprenditori dell’edilizia a confrontarsi con un parametro nuovo che starà alla base dei processi di trasformazione territoriale, come il consumo di suolo ‘netto’”. Il contributo di UrbanMeta Questo concetto nuovo prevede che nel computo si debba tenere conto non solo del suolo che viene consumato, ma anche di quello che viene restituito allo stato naturale. Come si legge nell’introduzione alla proposta, presentata da UrbanMeta e recepita con grande interesse e in gran parte condivisa almeno nell’impostazione dalla Commissione “ciò al fine di promuovere, anche nei casi di nuova urbanizzazione, la realizzazione di opere di compensazione ecologica preventiva, la restituzione alla collettività di quanto sottratto attraverso operazioni che attrezzino in termini di naturalità aree di pari valore ecologico e ambientale rispetto a quelle urbanizzate”. Un approccio che con- sentirà secondo Calzavara di riqualificare il paesaggio regionale, “demolendo e ricostruendo, liberando territorio e riqualificando anche architettonicamente le nostre città. Insomma, facendo il Veneto più bello e più sostenibile”. La legge, così come si va delineando, presenta una serie di novità per effetto del forte collegamento tra gli obiettivi di contenimento del consumo del suolo e quelli di una concreta rigenerazione urbana, ambito strategico fondamentale della nuova logica dello sviluppo sostenibile che caratterizza fortemente la proposta di UrbanMeta (1). Questa aggregazione, guidata da Giuseppe Cappochin, recentemente eletto alla presidenza del Cnappc (Consiglio nazionale architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori), è stata il frutto di una riflessione e di un confronto serrato, ma virtuoso tra le diverse categorie economiche, le professioni, il mondo delle università, le associazioni sindacali. Dall’introduzione della proposta avanzata da UrbanMeta emerge un’impostazione pragmatica e che trae spunto dai processi e dai risultati positivi ottenuti in tutta Europa. “Le migliori esperienze italiane ed europee – si legge - dimostrano come la reale risposta alla riduzione del consumo di suolo debba essere ricercata non tanto nella definizione di parametri quantitativi o nella costruzione di vincoli, quanto nella promozione e sostegno delle azioni di recupero del patrimonio edilizio esistente, nella riqualificazione delle parti degradate della città consolidata, nelle iniziative di rigenerazione urbana di cui tanto si parla. Un tessuto urbano efficiente e capace di essere attrattivo è la migliore risposta possibile al consumo di suolo. Certo, questo è un obiettivo che richiede la costruzione di un percorso di avvicinamento che metta a punto non solo sistemi di protezione e salvaguardia, ma anche strategie di riqualificazione e di costruzione di sistemi urbani di qualità, non solo sotto il profilo urbanistico ed edilizio, ma anche tenendo conto dell’aspetto economico, sociale e ambientale”. (1) UrbanMeta raggruppa le rappresentanze di una parte significativa della società civile del Veneto: categorie economiche, professioni, università, associazioni sindacali, costruttori, ambientalisti. Un tavolo di lavoro congiunto, affronta il tema del governo del territorio e in particolare della Dal consumo di suolo alla rigenerazione urbana Al centro della visione di UrbanMeta vi è la convinzione della necessità di uno strumento legislativo “che metta a frutto gli obiettivi e le finalità, che ragioni sui vincoli in modo selettivo e legato alla valutazione degli esiti, che promuova le buone pratiche e che sappia costruire una regia delle trasformazioni a garanzia di una rigenerazione complessiva e non episodica”. Per gli ampi strati della società civile che si riconosce in UrbanMeta la nuova legge regionale deve costituire l’occasione per regolare con chiarezza gli ambiti di uno sviluppo sostenibile in cui il contenimento del consumo di suolo costituisce un fattore propulsivo della rigenerazione urbana. Per il presidente Calzavara il contributo di UrbanMeta è stato prezioso proprio per aver fornito proposte già condivise da 19 associazioni di rappresentanza e che hanno consentito di legare strettamente il contenimento di suolo alla rigenerazione. “Il documento propositivo di UrbanMeta”, evidenzia Calzavara, rigenerazione urbana sostenibile e ha presentato nel dicembre 2015 il documento Un patto per un programma regionale di strategie politiche di rigenerazione urbana – obiettivi e valori per le città venete del futuro, scaricabile dal sito www.urbanmeta.it. 49 Legislazione “ha messo in condizione la Commissione di definire le condizioni necessarie a rendere conveniente e fattibile la riqualificazione di parti di città, collegandole a progetti di vera e propria rigenerazione. Egualmente è stata di grande utilità la proposta, da noi immediatamente recepita, di inserire nella legge uno strumento fondamentale come il fondo di rotazione a sostegno dei progetti di rigenerazione, da destinare ai comuni. Attraverso il fondo verranno messe a disposizione risorse essenziali per avviare progetti e interventi, attingendo da diverse fonti di finanziamento ad iniziare dai programmi europei”. Il fondo di rotazione del resto si inserisce in una concezione della rigenerazione come di un insieme coordinato e integrato di interventi di pubblico interesse di carattere urbanistico, edilizio e socio-economico. Il che vuol dire una chiara regia pubblica e la concorrenza di una pluralità di fattori sociali, economici ed ambientali, corrispondenti a una visione strategica condivisa del futuro della città e del territorio. Ci vuole una forte leadership politica e tecnica a livello locale e regionale, ma anche adeguati finanziamenti pubblici che servano da volano e che forniscano certezze per gli investimenti privati. L’iter del provvedimento Questo approccio comporta necessariamente una razionalizzazione del quadro normativo esistente, utilizzando la nuova legge per eliminare sovrapposizioni e un’eccessiva macchinosità dei processi decisionali. “La nuova legge sicuramente modificherà e aggiornerà sia la legge 11 sull’urbanistica, sia la legge 50 in materia di commercio, che già aveva introdotto alcune nuove norme in linea con una riorganizzazione degli spazi urbani secondo una logica di diversa valorizzazione. Costituirà anche l’occasione per una riflessione sul Piano casa regionale come strumento di incentivazione al contenimento di consumo del suolo”. Una particolare attenzione inoltre dovrà essere riservata alle norme transitorie, in quanto vanno salvaguardati i diritti acquisiti degli operatori. Per il presidente della Commissione consiliare “l’obiettivo, peraltro condiviso anche da Ance Veneto, è arrivare a un’uniformità delle previsioni urbanistiche evitando differenziazioni e utilizzare la legge 14 per ridefinire tempi certi nella gestione degli strumenti di pianificazione. Il messaggio che dobbiamo dare è che con la nuova legge non si bloccherà l’edilizia, bensì che essa dovrà essere diversa da quella del passato”. Calzavara prevede che un primo testo verrà varato entro il mese di aprile. “Si tratterà di una versione in cui troveranno una soluzione equilibrata le diverse posizioni, in parte già rappresentate dalla proposta di UrbanMeta, in parte espressione del mondo legislativo e degli amministrativisti”. Nel mese di maggio si intende avviare un confronto sul territorio, soprattutto con le amministrazioni locali, per poi arrivare a una nuova stesura del testo che verrà portato in Consiglio regionale. “Contiamo di avere la versione definitiva della nuova legge prima della pausa estiva”. 50 La sfida di Porto Marghera FOCUS La reindustrializzazione di una delle più grandi aree industriali dell’Europa novecentesca è il banco di prova della capacità di assumersi responsabilità e rischi, da parte rispettivamente della politica e dei privati. Rigenerazione urbana e riconversione industriale sono il tema centrale per lo sviluppo e la crescita delle nostre città. Un’urgenza legata tanto alla crisi dell’edilizia, da sempre uno dei settori trainanti del paese, quanto alla qualità dello spazio che viviamo. Tutto questo è sottolineato dal Cnappc (Consiglio nazionale architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori) con Anci, Legambiente, Ance e le regioni nel programma Riuso, ma anche dalla Tabella di marcia verso un’Europa efficiente nell’impiego delle risorse che vede le politiche della Ue impegnate a raggiungere entro il 2050 un incremento dell’occupazione netta di terreno pari a zero. Rigenerare, recuperare il patrimonio edilizio esistente, ricucire o “rammendare” le periferie, dismettere intelligentemente e riconvertire sono dunque le parole chiave della nuova urbanistica, ma soprattutto di una nuova stagione di politiche per il territorio. Investire su questo ci permette di superare la disgregazione di materiali e spazi delle nostre città, in una situazione precaria sia dal punto di vista edilizio che energetico ambientale, ma significa anche dare nuovo credito alle generazioni future e migliorare l’uso delle risorse disponibili. In quest’ottica il caso di Venezia è uno dei più emblematici, poiché tiene assieme la ricerca di un’efficiente riconversione dell’area industriale di Porto Marghera con il tema della rigenerazione urbana, particolarmente significativo per la terraferma veneziana, Marghera e Mestre. Oggi il patrimonio edilizio abitativo della terraferma veneziana è rappresentato da circa 82mila alloggi, di cui il 62,3 per cento edificati tra il 1946 e il 1971, ovvero nel periodo in cui in Italia si costruiva in grandi quantità, in fretta e spesso molto male. Sono in particolare le aree centrali di Mestre, una sorta di grande laboratorio delle trasformazioni urbanistiche del ‘900, quelle su cui il processo di crescita del patrimonio residenziale ha avuto la sua massima fase di espansione in quel periodo: nell’area di Mestre centro ben 3 abitazioni su 4 sono state edificate tra il 1946 e il 1971. Si tratta perciò di un patrimonio vetusto con caratteristiche tecnologiche che lo rendono assai poco efficiente dal punto di vista energetico; un patrimonio sul quale però varrebbe la pena di tornare ad investire, così da ridurre i gas serra prodotti ogni anno e migliorare la qualità e la salubrità ambientale della città. NICOLA PELLICANI Giornalista del Gruppo Editoriale L’Espresso. Dal 2007 è segretario della Fondazione Gianni Pellicani, che sviluppa progetti sulle trasformazioni urbane della città contemporanea e sulla storia politica e sociale di Venezia. È inoltre promotore del Festival della Politica e consigliere comunale e metropolitano di Venezia. 51 FOCUS Per una riconversione ad alta innovazione e basso impatto ambientale La sfida più importante, il banco di prova che non ammette riserve e ulteriori rallentamenti politici, è rappresentata dalla grande area industriale di Porto Marghera, forse una delle invenzioni più significative per l’economia veneta, ma anche nazionale, dello scorso secolo. Un’area di oltre 2mila ettari che ha visto il suo culmine occupazionale negli anni ‘70 con oltre 30mila addetti, mentre attualmente vi lavorano poco più di 11mila persone suddivise in 950 aziende. Oggi l’area di Porto Marghera è ancora tutta da inventare, con la stagione post industriale ormai finita e la necessità di una riconversione industriale ad alta innovazione e a basso impatto ambientale nel segno della green economy. Attualmente oltre 90 aziende, il 10 per cento del totale, svolgono attività green, occupando oltre 2.300 addetti. Tra gli investimenti principali ricordiamo quelli di Eni - che ha riconvertito una raffineria petrolifera in una modernissima bioraffineria, impiegando tecnologie innovative - e quello di Versalis con l’impianto di cracking. Ripensare Porto Marghera vuole dire riconsiderarne anche l’accessibilità: dare continuità a quanto è stato fatto per stralci in oltre vent’anni fino ad oggi con le progettualità in corso in tutta l’area mestrino-veneziana. La sfida è mirare a quanto abbiamo visto realizzarsi in altri contesti europei non troppo lontani da noi, come il caso di Amburgo con HafenCity. Da un lato, dunque, è necessario riconnettere alla città la Macroisola della I zona industriale dove c’è il Parco scientifico tecnologico Vega rafforzandone i servizi e valutando con attenzione le professioni innovative che sostituiscono un tipo di impresa pesante. Dall’altro non possiamo tralasciare il riuso e la riconversione industriale delle aree adiacenti che rappresentano una risorsa economica per tutto il territorio. Favorire la ricucitura è il tema recentemente sviluppato e molto dibattuto. C’è stato l’impegno del governo, che consente di avviare una serie di interventi finalizzati ad avvicinare l’area urbana di via Torino alla Macroisola attraverso una valorizzazione delle infrastrutture ed il miglioramento, per l’appunto, dell’accessibilità. Ma tutto ciò ha senso se certe operazioni sono sostenute da una strategia di rigenerazione che riesca a sfociare in quella mixité di funzioni e servizi in grado non solo di migliorare la qualità dello spazio, ma anche di catalizzare gli interessi dei city user e dei futuri investitori. Semplificazione amministrativa e infrastrutture portuali I principali fattori che hanno condizionato lo sviluppo di Porto Marghera, e che spesso hanno alimentato attese speculative sui valori immobiliari, restano l’indisponibilità delle aree, le incertezze economiche e temporali sui processi di bonifica, l’incertezza sulle destinazioni d’uso delle aree. Per favorire i progetti di riqualificazione dell’area e la sua reindustrializzazione è fondamentale la semplificazione amministrativa, superando la sovrapposizione di ruoli e competenze e assicurando risposte pronte alle istanze degli imprenditori in 52 termini di acquisizione dei titoli abilitativi e autorizzativi. Per rispondere alle richieste degli operatori economici e per favorire il rilancio industriale di Porto Marghera è stato avviato un programma finalizzato alla definizione di modalità e strumenti di semplificazione delle procedure di autorizzazione sotto il profilo urbanistico e ambientale. Un’operazione propedeutica alla progettazione di un’area industriale in linea con gli indirizzi che si stanno definendo sul piano internazionale, sostenendo produzioni a basso impatto ambientale. In questo senso si stanno già sviluppando attività legate alla logistica, facilitate dalla presenza del porto e di una zona di retroporto abbondantemente infrastrutturata. In questo contesto sarebbe quindi auspicabile anche l’ampliamento degli spazi destinati alla zona franca, come previsto dal decreto interministeriale del 22 marzo 2013. Un’occasione per riordinare e potenziare il ruolo del porto di Venezia potrà arrivare anche dal nuovo Piano regolatore del porto, che ha iniziato il suo iter a oltre cento anni di distanza dall’ultima approvazione. Lo sviluppo di Porto Marghera dipenderà molto anche dal futuro del suo porto, per il quale sono allo studio vari progetti, il più rilevante dei quali riguarda la piattaforma offshore, un progetto avveniristico per un porto d’altura a 8 miglia nautiche dalle coste del Lido di Venezia, con due obiettivi: il primo è l’estromissione del traffico petrolifero dalla laguna; il secondo quello di accogliere navi in grado di portare fino a 22mila container, che hanno bisogno di fondali di 18 metri e perciò non possono entrare nell’attuale isola portuale. La questione delle bonifiche dei terreni contaminati Per accelerare i tempi di bonifica dei terreni rendendo più veloci le procedure il comune ha chiesto l’esclusione di Porto Marghera dall’area Sin (Sito di interesse nazionale). La proposta al momento non è stata accolta, anche in considerazione del fatto che recentemente la superficie all’interno dell’area Sin era stata ridotta da 3mila ettari circa a 2mila, prendendo in considerazione esclusivamente la zona industriale e lasciando fuori la zona urbana circostante. Inoltre appare difficile prescindere dal fatto che a Porto Marghera il grado di contaminazione dei terreni è comunque molto elevato, secondo in Italia solo all’area industriale di Taranto. Sono stati molti i tentativi per cercare di semplificare gli iter di bonifica, tra i quali l’accordo sottoscritto il 16 aprile 2012 dal ministero dell’Ambiente, la regione Veneto, il comune di Venezia e il Magistrato alle acque, che definisce le azioni finalizzate all’accelerazione e semplificazione del processo di disinquinamento, riconversione industriale e riqualificazione economica di Porto Marghera, dichiarata Area Sin. Ovvero stabilisce una tempistica accelerata per l’avvio dei progetti, con l’obiettivo di giungere sia al ripristino ambientale sia allo sviluppo di attività produttive sostenibili. In questo senso va evidenziato il rilievo dell’accordo siglato il 15 maggio 2012 53 FOCUS tra comune di Venezia, regione Veneto e Eni-Syndial, che comporta la cessione di 110 ettari da parte di Eni da destinare ad attività industriali e logistiche. L’intesa in questione prevede la creazione di una NewCo per la gestione e la vendita delle aree nonché il versamento, sempre da parte di Eni, di 38 milioni di euro a copertura delle spese di bonifica e messa in sicurezza dei terreni ceduti. Questo accordo però, già prorogato nel 2015 di un anno, è a rischio di decadenza, poiché comune e regione non hanno ancora firmato il rogito per il passaggio definitivo delle aree alla società Mei (Marghera Eco Industries), la compartecipata da comune e regione. Un segnale negativo indice di ancora poca chiarezza sugli obiettivi pubblici per un’area così strategica per lo sviluppo del territorio. Ma la riconversione passa anche attraverso il progetto di marginamento dei siti contaminati. Un progetto volto a garantire la messa in sicurezza di Porto Marghera e della laguna, costato quasi un miliardo di euro, in gran parte proveniente dai risarcimenti ambientali pagati da diverse imprese di Porto Marghera a fronte di una liberatoria sugli obblighi di bonifica relativi al loro sito. Il progetto non è ancora concluso, manca il 5/6 per cento di opere da eseguire, per le quali sono necessari circa 250 milioni di euro. Da problema ambientale a opportunità per l’Italia L’ultima iniziativa promossa per favorire processi di riconversione industriale riguarda l’Accordo di programma sottoscritto nel gennaio 2015 tra ministero dello Sviluppo economico, regione Veneto, comune di Venezia e autorità portuale di Venezia. Si tratta di un finanziamento di oltre 150 milioni di euro per interventi finalizzati a ottimizzare il quadro delle infrastrutture materiali e immateriali presenti a Porto Marghera. L’intesa prevede 23 interventi con un grado di avanzata definizione progettuale, di potenziamento delle infrastrutture e risoluzione di criticità del sistema di viabilità e di sicurezza idraulica, con l’obiettivo di valorizzare le aree coinvolte per attrarre investimenti e nuove iniziative economiche. La strada da percorrere è evidentemente ancora molto lunga. Il quadro delle azioni fin qui descritte rappresenta un buon punto di partenza, a condizione che la riconversione industriale e lo sviluppo di Porto Marghera, una delle più grandi aree industriali dell’Europa novecentesca, venga considerata un’opportunità per il paese, non solo per la città metropolitana di Venezia. È necessario un salto culturale che ci consenta di entrare finalmente nel terzo millennio, trasformando Porto Marghera da un problema ambientale da risolvere a una grande occasione per l’Italia. Per fare questo bisogna anzitutto sciogliere definitivamente il nodo delle bonifiche e progettare una nuova Porto Marghera. Un obiettivo raggiungibile solo se la politica si assumerà con coraggio le proprie responsabilità e i privati saranno pronti a cogliere le sfide, accollandosi i rischi di impresa finalizzati a scrivere una nuova pagina nel segno della crescita e della rigenerazione urbana. 54 I giovani imprenditori veneti ripartono dalla bellezza del territorio Giovanni Prearo, nuovo presidente dei Giovani imprenditori edili del Veneto, ci racconta l’originale iniziativa Ciclo del bello, con cui intende rifondare la figura del costruttore e trasmettere al grande pubblico una nuova positiva immagine dell’edilizia. Gli imprenditori edili più giovani vivono un momento complicato, divisi tra una concezione dell’edilizia che non appartiene loro (quella dei padri) e una visione del futuro ancora poco delineata. In questo spazio tutto da riempire si trovano spesso spaesati e procedono per tentativi. Questa situazione l’ha ben compresa il nuovo presidente dei giovani imprenditori del Veneto, Giovanni Prearo, 36enne di Padova, che ha impostato il suo programma proprio partendo da questa consapevolezza. “I giovani imprenditori edili hanno bisogno di cultura”, ci dice Prearo. “Cultura in senso ampio, intesa come conoscenza, curiosità, apprendimento. L’edilizia di oggi è completamente una novità: sono nuovi i materiali, nuove le tecniche costruttive, nuovi i parametri della sicurezza. È un nuovo mestiere che sta prendendo forma solo adesso, e che bisogna imparare daccapo”. Per questo motivo il neo eletto presidente ha fatto subito leva sul sistema associativo, inteso come strumento di supporto e collaborazione a disposizione dei nuovi imprenditori edili. La sua intenzione è quella, da un lato, di sensibilizzare i soci nei confronti delle possibilità e delle azioni da intraprendere all’interno del sistema Ance, dall’altro, di far conoscere queste potenzialità a chi non ne fa ancora parte, ma potrebbe essere coinvolto. “È nostra intenzione attivare un percorso di comunicazione che vada oltre l’addetto ai lavori e si estenda anche a chi ruota intorno al nostro settore: professionisti, studenti, tecnici, pubbliche amministrazioni, amministratori di condominio, eccetera. Visto che parliamo di cultura del costruire, la sensibilizzazione deve partire da noi, siamo noi a dover per primi cambiare l’immagine del costruttore e poi farla percepire al grande pubblico”. Per costruire questo percorso culturale Prearo ha ideato un programma fitto di attività, che prevede incontri con imprenditori di successo e personaggi autorevoli del mondo economico, accademico e dei media, finalizzati alla crescita degli associati in termini di esperienza e di nuovi stimoli e idee imprenditoriali, così come corsi di formazione per accrescere le competenze gestionali dei Giovani e migliorare le loro capacità relazionali e di leadership, iniziative di marketing associativo e convegni. Progetti A cura di MIMOSA MARTINI GIOVANNI PREARO Laureato in economia aziendale all’università Ca’ Foscari di Venezia, è direttore generale della Prearo costruzioni srl di Codevigo, impresa che opera nel territorio Veneto, sia nel pubblico che nel privato. Nel settembre 2015 è stato nominato presidente del Gruppo giovani di Ance Veneto. 55 Progetti Villa Molin–Avezzù a Fratta Polesine (Rovigo). 56 Riscoprire il proprio patrimonio storico Oltre a tutto questo, il presidente ha anche pensato una serie di attività definite con il nome Ciclo del bello, finalizzate ad un accrescimento personale oltre che professionale, per conoscere meglio il patrimonio edilizio presente nel proprio territorio e partire da lì per costruire un nuovo filone di business. “Un’iniziativa che parte dalla sensazione di molti imprenditori veneti di scarsa valorizzazione del proprio territorio”, afferma Prearo. “Quanti di noi prendono aerei e vanno a visitare posti lontani e poi non sanno che esistono a due passi da casa borghi o ville meravigliosi? Si tratta anche di un modo per ripartire dopo questa grande crisi che ha attanagliato il nostro settore. Non possiamo credere di continuare come abbiamo fatto in passato, soprattutto noi giovani dobbiamo puntare su strade nuove e sicuramente il turismo è uno dei percorsi chiave. Nella nostra regione, grazie anche a Venezia, abbiamo turisti tutto l’anno e si tratta di un potenziale non sfruttato. Il turismo è poi strettamente legato alle costruzioni: servono infrastrutture, strutture ricettive, servizi”. Nell’ambito del Ciclo del bello sono state previste attività culturali, visite guidate, incontri all’interno di luoghi storici, seminari e incontri con personaggi autorevoli e opinion leader nell’ambito dell’architettura e dell’arte e con esperti nel recupero o nel restauro. Sono state poi attivate collaborazioni con enti importanti del settore ambientale e turistico, dal Fai all’Istituto regionale ville venete e con l’Associazione ville Veneto. Questo per fare rete ed evidenziare, da un lato, il contributo dei costruttori edili alla realizzazione delle bellezze del Veneto e, dall’altro, le loro capacità e potenzialità anche nel presente. Il futuro dei giovani è infatti nelle competenze e nell’aggiornamento continuo, ma anche nell’abilità di unire le forze per un obiettivo comune: rilanciare il settore e dargli una nuova immagine. Una nuova immagine, per costruttori multitasking È forte la convinzione di Giovanni Prearo che sia necessario un cambio di rotta. “Per troppo tempo è rimasta valida la concezione dell’imprenditore edile come tecnico o, a volte, anche affarista, che imposta il lavoro più sul prezzo che sulla qualità del prodotto finito. Questa immagine deve sparire, dobbiamo ritrovare i giusti contenuti, far emergere gli imprenditori che studiano e scelgono i migliori materiali, che hanno competenze sia tecniche che manageriali, che si informano, che sanno ascoltare le necessità dell’utente finale, che sanno entrare in empatia con i propri partner. Capire la bellezza delle costruzioni ci sarà utile per definire dove vogliamo arrivare, per modificare i nostri obiettivi, per migliorarci come imprenditori e come persone”. Queste intenzioni si riverberano anche sulla visione del sistema associativo, che diventa un luogo di confronto all’interno del quale tutti possono dare il proprio contributo in base alle predisposizioni e ai gusti personali, senza prevaricazioni. “Vorrei che l’Ance fosse una vera e propria squadra, in cui ognuno ha il suo ruolo e tutti possono dare supporto agli altri in modo paritario. Bisogna vivere l’associazionismo come un’esperienza formativa, anche personale. Per questo ho voluto inserire momenti anche ludici, per poterlo vivere in maniera serena ed edificante, non come un peso”. Secondo quest’ottica le attività previste dal programma Ciclo del bello sono state estese anche al pubblico, aperte a tutti. L’intento è proprio quello di comunicare all’esterno la nuova immagine dell’edilizia, valorizzando i numerosi punti di forza e trasmettendo l’energia della nuova classe imprenditoriale. “L’idea, spiega Prearo, è quella di trasmettere un messaggio positivo anche a chi usufruisce del nostro lavoro: i cittadini che percorrono le strade e abitano le case, i turisti. Tutti devono capire che possono scegliere un’opera edile non solo in base ai costi, o al risultato finale, ma anche conoscendo chi la realizza, scegliendo chi lavora bene, chi propone qualità e sicurezza, chi utilizza prodotti e progetti adeguati. A volte è più importante sapere chi realizzerà quell’opera piuttosto che conoscere il prodotto finito. Ma questa è una rivoluzione, e per le rivoluzioni ci vuole tempo”. I giovani imprenditori sono i nuovi supereroi: capaci, attenti, professionali, manager, innovativi ed empatici. La nuova frontiera del multitasking. 57 Progetti Dalle fondamenta. Rimotivarsi per essere più competitivi Un percorso di riflessione e formazione promosso da Ance Pordenone per individuare bisogni e aspettative delle imprese da cui partire per una progettualità associativa condivisa e di valore. WALTER LORENZON Presidente dell’azienda di famiglia Lorenzon Costruzioni Srl, da marzo 2011 è presidente di Ance Pordenone. Siede inoltre nel consiglio di amministrazione della Banca di credito cooperativo pordenonese ed è segretario dell’associazione San Pietro Apostolo, fondata dai soci della stessa Bcc e suo braccio operativo sul territorio in campo sociale. 58 Il progetto Dalle fondamenta, promosso da Ance Pordenone nel 2015, è figlio della crisi e dei suoi effetti. Si tratta infatti di un’iniziativa finalizzata a favorire una riflessione sul modo di essere e di fare impresa, condizione imprenscindibile affinché le aziende siano in grado di intraprendere seriamente e concretamente il processo di cambiamento richiesto da una realtà in profonda trasformazione. Il punto di partenza è stata la constatazione della difficoltà di fare associazione in un clima di forte rassegnazione e sfiducia. Era arrivato il momento di dare una scossa, era necessario uno scatto d’orgoglio. Era necessario spingere gli imprenditori a una riflessione su cosa fosse necessario e utile fare. Mettendo al centro due questioni fondamentali: lo spostamento dell’attenzione dal contesto esterno al proprio interno e il cambiamento. Il progetto Dalle fondamenta nasce dunque dalla convinzione che fosse responsabilità dell’associazione reimmettere energia, spingere gli associati a riflettere sulla propria organizzazione, sul modo di esercitare la propria attività imprenditoriale sotto i più diversi punti di vista. Un processo basato sul dialogo e confronto il punto di partenza è stata un’analisi delle principali caratteristiche delle organizzazioni di successo - capacità tecniche, manageriali e relazionali, snellezza dei processi decisionali, velocità operativa, capacità di leadership, governance e cultura di impresa - e dei fattori frenanti che più frequentemente si ritrovano e bloccano il potenziale competitivo delle Pmi. Da qui gli associati sono stati portati a riflettere sul concetto di valore, sul modo di crearlo e sui presupposti necessari all’attuazione del cambiamento nelle organizzazioni, anche attraverso esercizi pratici che li hanno fatti interagire e hanno consentito di aumentare il grado di conoscenza reciproca. Indubbiamente, il valore aggiunto di questa iniziativa è venuto dal confronto e dallo scambio di informazioni. Un percorso che ha visto la partecipazione di oltre due terzi degli associati e il cui successo va individuato nella scelta di aprire un dialogo tra l’associazione e i suoi associati e tra associati, nei confronti dei quali ci siamo proposti, forse per la prima volta, con l’atteggiamento di chi chiede “posso fare qualcosa per te?”. Fondamentale a questo proposi- to è stata, sicuramente, la metodologia di lavoro adottata e la scelta di farsi supportare da una consulente, life&business coaching ed esperta in progetti di cambiamento e crescita. Perché le tradizionali forme di incontro associativo raramente consentono un reale confronto. E invece c’era bisogno di vincere resistenze, timori, in qualche caso di superare qualche “mal di pancia”. Riflessioni condivise sul modo di fare impresa Oltre che sul livello del confronto e del dialogo, il progetto Dalle fondamenta si è sviluppato su quello dell’acquisizione di informazioni e di “misurazione” del disagio facendo emergere, rispetto ai temi rilevati nella prima fase, resistenze, riflessioni e valutazioni sul modo di fare impresa e di affrontare il cambiamento. Ciò è avvenuto attraverso la diffusione di un questionario e la realizzazione di una ventina di interviste mirate a un campione di imprenditori. Ne sono emerse una serie di considerazioni che sono state portate all’attenzione degli associati in un secondo incontro plenario. Soprattutto si è registrata una sostanziale condivisione sul fatto che il futuro sarà completamente diverso da quello che è stato fino a pochi anni fa; così come è emersa la tendenza ad attribuire sempre a fattori esterni – il mercato, le banche, le maestranze, i clienti… – le difficoltà che si incontrano. In sintesi, un pensiero diffuso e una convinzione, errata, che sia il mondo ad essere inadeguato e non noi inadeguati al mondo. Un atteggiamento che genera un forte pessimismo. Si è altresì registrata la consapevolezza della carenza di strategie, dovuta alla mancanza di tempo da dedicare all’analisi e alla riflessione. Il che chiama in causa il modo di interpretare il ruolo di imprenditore e la non adeguata allocazione del proprio tempo e delle proprie energie, spesso disperse in attività a scarso valore aggiunto che, con interventi organizzativi e formativi adeguati, potrebbero essere ridistribuite consentendo una migliore guida dell’impresa. Sono emerse altresì, soprattutto tra gli imprenditori più giovani, evidenze positive come l’idea che, mentre una volta l’interesse della singola azienda passava attraverso una logica individualistica, oggi invece il singolo interesse può essere facilitato dalla convergenza degli interessi di più FAVARO MASSIMO SRL SRL Progetti soggetti. Da qui due considerazioni importanti. La prima, che cresce la consapevolezza della necessità di confrontarsi e di collaborare, trovando poi le formule più adeguate per posizionarsi meglio sul mercato ed essere più competitivi. La seconda considerazione riguarda il rapporto con l’associazione. Se prima infatti, in una logica fortemente individualista, la partecipazione all’associazione dipendeva da quanto questa era funzionale al soddisfacimento del singolo interesse, oggi è utile se promuove il dialogo e la crescita di forme di interazione tra le imprese. Come farlo, all’interno della sede associativa, rinnovando anche il format di riunioni, incontri, iniziative, è una delle grandi sfide che le associazioni devono fronteggiare. Nuovi ruoli reciproci per associazione e associati Complessivamente la risposta ottenuta, sia da parte dei testimonial – gli imprenditori associati che si sono messi in gioco e hanno condiviso con gli altri ciò che fanno in azienda -, sia da parte degli altri, è stata straordinaria in termini di partecipazione, attenzione e ascolto. Il progetto-percorso Dalle fondamenta ha altresì svolto una funzione di riavvicinamento all’associazione da parte di imprenditori che, abitualmente, non la frequentano. Il lavoro comune di scandaglio e di approfondimento, negli incontri e nei confronti anche individuali, ha consentito agli associati di discutere di argomenti e questioni ritenuti fino a quel momento “tabù” come le difficoltà intergenerazionali in azienda, la gestione di collaboratori che non riconoscono il ruolo, l’impossibilità da soli di far fronte a tutto e la necessità di imparare a delegare. Egualmente ha consentito di raccogliere dichiarazioni preziose su cosa ciascun associato ritiene di poter fare all’interno dell’associazione, così come su quali aspettative vi siano rispetto al ruolo e alle funzioni dell’associazione. Le richieste riguardano soprattutto la capacità dell’associazione di sostenere percorsi volti a una crescita di conoscenza e di fiducia reciproca, di uno scambio sempre più ampio di informazioni e di esperienze, premesse imprescindibili per poter poi avviare percorsi di aggregazione. Vi è una significativa aspettativa che l’associazione possa giocare un ruolo determinante in questi processi. Uno dei risultati importanti è che sono stati favoriti scambi di visite tra le diverse aziende e sono state create associazioni temporanee tra imprese che precedentemente non si conoscevano. A conclusione di questo progetto si sono strutturati due percorsi formativi e laboratoriali con attività a cadenza mensile, dedicati tra l’altro a come costruire una strategia, al controllo di gestione e alla pianificazione finanziaria, alla mappatura di processi e competenze, a saper presentarsi e raccontare storie per una vision condivisa. Queste attività rappresentano la prosecuzione nel 2016 del percorso intrapreso, che ha consentito di creare un clima nuovo e una “cornice” condivisa, all’interno della quale le proposte associative non potranno che trovare più favorevole accoglimento, aumentando di valore e di efficacia. 60 Effetto domino L’ultimo libro, corale, dell’avvocato-scrittore Romolo Bugaro racconta le difficoltà delle piccole e medie imprese venete, ma parla anche di rilancio e di speranza. Autori A cura di Rosa Moretti Romolo Bugaro è un avvocato di Padova esperto in diritto fallimentare, con la passione per la scrittura. Dalla sua esperienza personale e professionale sono nati otto libri di cui due selezionati per il Premio Campiello. Nell’ultimo romanzo, Effetto domino (Einaudi, 2015), Bugaro rappresenta l’epopea di chi in un attimo può perdere tutto e creare danni irreversibili a un’intera comunità, come un fenomeno naturale improvviso e travolgente. Si parla di edilizia, di crisi finanziarie, di banche e di come la realtà a volte supera la fantasia creando fenomeni a catena potentissimi. Abbiamo intervistato l’autore per scoprire come nascono i suoi romanzi e cosa pensa dell’imprenditore edile, tra stereotipi e nuovi modelli. Quanto ha influito la professione di avvocato sulla sua impostazione letteraria? Tantissimo, soprattutto negli ultimi anni. Mi occupo di diritto fallimentare, il che significa avere a che fare ogni giorno con persone in crisi, assorbire le tragedie di chi perde il lavoro, la casa, a volte tutto, anche la famiglia. La sofferenza di queste persone mi ha spinto a scrivere delle loro storie, delle loro animosità, ma anche del rilancio e della speranza. È per me un impatto fortissimo, è come il medico che ogni giorno visita i suoi pazienti più gravi. Non potevo evitare di scrivere di questo. In Effetto domino evoca un parallelismo tra catastrofe finanziaria e catastrofe naturale. Da cosa nasce questa idea? Il romanzo nasce dalla mia esperienza. Cose che vedo e situazioni e personaggi ispirati al clima che respiro. Il tentativo è stato quello di parlare di cose di cui nessuno parla. In letteratura i temi spesso si ripetono, si descrivono amori, avventure, omicidi, viaggi, nessuno parla di anticipo fatture, di bancarotta, crediti o cose simili. Come fossero argomenti trascurabili, che non meritano la letteratura, e invece sono parte importante della vita di tutti, elementi che possono costare una carriera, una casa, una vita a volte. Ho pensato però che per scrivere di questi temi bisogna conoscerli. Spesso chi scrive fa altri lavori, sempre legati all’arte o alla letteratura. Io inve- L’ultimo libro di Romolo Bugaro, Effetto domino, pubblicato nel 2015 per Einaudi. 61 Autori ce, grazie alla mia esperienza professionale diretta, potevo trattare questi aspetti e descrivere la verità. La figura dell’imprenditore edile rappresenta una sorta di anti eroe. È così solo nella finzione o anche nella realtà? Sinceramente ho trovato in tanti romanzi insopportabile la figura dell’imprenditore dipinto sempre come disonesto, corrotto e cementificatore. Non voglio dire che gli imprenditori italiani siano tutti santi, ma sono convinto (e ne ho anche conosciuti diversi) che per la maggior parte siano strenui lavoratori, impegnati ogni giorno a gestire aziende in difficoltà, operai, cantieri, fornitori. Come in ogni settore esistono luci e ombre. La verità è che sono persone che lavorano tantissimo; con la recessione l’edilizia è il comparto che ha patito di più e che avrebbe più bisogno di sostegno. ROMOLO BUGARO Svolge la professione di avvocato fallimentare a Padova. Il suo esordio letterario avviene nel 1993 con la raccolta di racconti Indianapolis. Seguono poi i romanzi La buona e brava gente della nazione (1998, finalista al Premio Campiello), Il venditore di libri usati di fantascienza (2000), Dalla parte del fuoco (2003), Il labirinto delle passioni perdute (2006, finalista al Premio Campiello), Ragazze del nordest (con Marco Franzoso, 2010), Bea vita! Crudo Nordest (2010) e Effetto domino (2015). 62 Come deve cambiare l’imprenditore? Questi momenti di crisi sono anche occasioni di rilancio e di pulizia. Nella sfortuna, il mercato ha fatto piazza pulita di soggetti poco trasparenti e inclini a lavorare senza la giusta qualità. È chiaro che bisogna cambiare rotta, ad esempio l’Italia si sta deindustrializzando, il modello di produzione sta cambiando. Mi riferisco ai segmenti produttivi ma non solo, anche agli spazi, ai territori, ai distretti. Esistono intere aree da reinventare completamente alla luce delle nuove leggi di mercato e delle nuove regole sociali. Ripensare i luoghi è una delle prossime grandi sfide dell’Italia. Città e periferie devono cambiare e rinnovarsi e su questo gli imprenditori edili hanno margini di manovra, sia coinvolgendo il pubblico che il privato. Anche il turismo è sicuramente un valore su cui puntare e che potrebbe aumentare la portata produttiva e di business dell’edilizia. Il suo è un po’ un libro corale, fatto di tante voci. Questo stesso senso di comunità riesce a viverlo anche nel quotidiano? Effettivamente il senso di comunità tradizionale, quella delle piazze, dei paesini e dei quartieri, si sta perdendo. Ma nascono ogni giorno nuove comunità unite da uno o più interessi comuni: ad esempio la comunità letteraria c’è ed è molto presente e come quella altre. L’uomo è un animale sociale, ha bisogno di comunità, è una necessità che si porta dentro e che non può sparire. Com’è il suo “crudo Nordest”? I confini sono molto labili, è un attimo ritrovarsi nell’abisso. Lo ritengo un distretto molto mobile e magmatico, sia in senso positivo che negativo, esistono anche molte realtà nuove, molto fermento. C’è voglia di fare e di crescere e abbiamo la fortuna di avere distretti ad alta specializzazione, spesso quello che manca è un po’ di visione strategica e la volontà di fare rete. Un testo unico regionale per rendere possibile la rigenerazione urbana Non si può che essere favorevole alla scelta del governo regionale di addivenire a un testo unico in materia urbanistica. I territori e le nostre città hanno assoluto bisogno di un quadro normativo semplificato e chiaro che consenta di operare in piena trasparenza e massima efficienza. È un fattore imprescindibile se si vuole realmente avviare un processo di riqualificazione e di rigenerazione urbana. Un’attenzione particolare deve essere prestata alla complessità amministrativa che caratterizza oggi la regione alla luce della nascita della città metropolitana, del ruolo di Roma capitale e della riforma delle province. Si tratta di un quadro in evoluzione di cui tenere conto. Il nostro punto di vista è chiaro: bisogna definire con certezza i diversi ruoli evitando sovrapposizioni e criticità gestionali sul piano delle procedure e delle decisioni amministrative. Vi è ampia condivisione sull’importanza di considerare la rigenerazione urbana come un obiettivo strategico. Si tratta allora di disporre di un insieme unitario e omogeneo di norme specifiche, individuando chiaramente le modalità di intervento così da consentirne una immediata attuazione. In particolare, va ripresa la normativa inserita nella legge regionale sul Piano casa attraverso una legge ad hoc che preveda interventi di ristrutturazione e di sostituzione edilizia con demolizione e ricostruzione, definendo con chiarezza obiettivi, modalità di applicazione e incentivi, evitando elementi penalizzanti quali contributi straordinari o oneri aggiuntivi. Così come appare essenziale prevedere termini perentori per le amministrazioni estendendone la portata a tutti gli adempimenti e disponendo non solo l’esercizio del potere sostitutivo, ma anche, ove possibile, automatismi e sanzioni per le amministrazioni non rispettose dei tempi. La nuova legge regionale in materia urbanistica deve essere altresì l’occasione per favorire una riqualificazione che consenta di raggiungere i massimi obiettivi sul piano dell’abbattimento dei consumi energetici, del comfort interno degli edifici, della qualità architettonica. Ciò in sinergia con una pianificazione e gestione dei fondi europei a sostegno di un’edilizia sostenibile e di una maggiore competitività del sistema imprenditoriale delle costruzioni della nostra regione. L’auspicio è che come in altre occasioni si possa costruire un dialogo franco, nel rispetto dei rispettivi ruoli e utilizzando al meglio la capacità del sistema di rappresentanza di lavorare intorno a soluzioni condivise e attraverso una stretta collaborazione anche con il mondo dell’università e della ricerca, assumendo una funzione importante di interlocuzione. IL PUNTO STEFANO PETRUCCI Presidente Ance Lazio 63 Tavola rotonda A cura di MARTINO ALMISISI Il futuro di Roma fra nuova normativa urbanistica e città metropolitana Mimmo CECCHINI, Luciano CIOCCHETTI e Walter TOCCI, attori politici portatori nel più recente passato di proposte a nostro parere virtuose, si confrontano con Tito MURATORI, in rappresentanza del mondo dei costruttori edili, sul tema della rigenerazione urbana della capitale. La regione Lazio ha avviato l’iter legislativo per il varo di un testo unico in materia urbanistica. Con l’obiettivo di razionalizzare la materia guardando anche alla riqualificazione e alla rigenerazione. Tra i principali intenti dichiarati quello di perseguire una forte semplificazione, nella convinzione che la norma debba favorire la trasformazione in uno scenario sempre più orientato verso un forte contenimento del consumo del suolo. Poiché la politica economica si fa soprattutto con le leggi, quel che ci si attende è che il nuovo corpo normativo risulti determinante per incentivare la riqualificazione edilizia e delle periferie o delle aree degradate. Da questo punto di vista, come ha evidenziato Walter Tocci, una legge sul consumo di suolo come quella in discussione in Parlamento rischia di peggiorare la situazione. In questo scenario il testo unico costituisce un passaggio importante di razionalizzazione, anche se allo stato attuale dell’iter si presenta ancora poco coraggioso e troppo condizionato da fattori di tipo ideologico che rischiano ancora una volta di limitarne l’efficacia sul piano della fattibilità. Rendendo difficile investimenti e soprattutto replicando quelle criticità relative a tempi e a certezze che hanno impedito sostanzialmente l’attuazione degli strumenti di pianificazione nati e in gran parte rimasti sulla carta o solo parzialmente attuati negli ultimi decenni. Ciò vale in modo particolare per quanto riguarda il territorio della capitale. Ance Lazio ha sottolineato come il testo introduca “il concetto di pianificazione e di edificabilità a termine che non tiene in alcuna considerazione i noti, e non risolti, tempi dell’urbanistica e conseguentemente gli investimenti effettuati”. Ma le maggiori critiche riguardano proprio gli articoli relativi alla riqualificazione urbana a causa di un’impostazione che “tende a privilegiare la pianificazione indiretta e a prevedere incentivi di modesta entità”. Le associazioni imprenditoriali auspicano una correzione di tiro, prevedendo la possibilità di azioni dirette “a valle di una delibera di consiglio comunale che individui gli ambiti territoriali di intervento, in attuazione di criteri e procedure definiti con legge dalla regione”. Egualmente si auspicano: l’introduzione di misure incentivanti per i comuni che si adeguano agli 64 indirizzi approvati dalla regione con questa legge; una maggiore flessibilità nelle destinazioni d’uso; la possibilità di trasferire incentivi urbanistici concessi a favore degli interventi di riqualificazione in aree già trasformabili secondo i Prg vigenti e al sostegno della fattibilità economica dell’intervento, evitando che diventi solo vantaggio per la rendita fondiaria. Un complesso di proposte volte a rendere vantaggiosa la riqualificazione. A questo tema se ne aggiunge un altro di vera e propria ingegneria istituzionale: la nascita della città metropolitana e l’attuazione della legge Delrio. Un aspetto non certo secondario che attiene alla governance del territorio e che può avere un effetto positivo o negativo a seconda della soluzione che si andrà a perseguire, facilitando la riqualificazione o invece rendendola ancora, se possibile, più complicata. Una questione che sembra decisamente sottovalutata nel testo unico, in cui a Roma capitale vengono conferite competenze urbanistiche limitate e non viene definito il coordinamento tra Roma capitale e la città metropolitana. Un tema quanto mai delicato e sul quale esistono posizioni diverse seppure all’interno di una visione condivisa dell’urgente necessità di rafforzare il ruolo centrale della città metropolitana completando il processo di trasferimento di funzioni e competenze da Roma capitale e trasformando a tutti gli effetti i municipi in comuni. Il nostro dibattito comincia da qui, condividendo pienamente l’affermazione di Mimmo Cecchini che all’origine di qualunque possibilità di rigenerazione c’è la questione della governance, ovvero del ruolo da protagonista del pubblico. Cui si collega strettamente l’aspetto di chi abbia le competenze per farlo. Per Cecchini il processo avviato con la creazione della città metropolitana va nella direzione giusta: “Non è più procrastinabile un progressivo depotenziamento dell’amministrazione capitolina a favore dei municipi, che sono destinati a diventare veri e propri comuni autonomi per confrontarsi con la città metropolitana quale soggetto guida e gestore delle politiche di area vasta”. Opinione condivisa anche da Luciano Ciocchetti, che tuttavia critica l’efficacia della riforma istituzionale e il suo scarso coraggio: “Siamo di fronte a una riforma sostanzialmente nominalistica. Gli obiettivi debbono essere quelli di far sparire il comune di Roma trasformando i municipi in veri e propri comuni e lasciando soltanto la città metropolitana. Andrebbe ragionato su un modello come quello di Londra, con un governo del centro storico con poteri e competenze particolari vista la stretta connessione con il ruolo di capitale. Oggi è impensabile pianificare processi di trasformazione e di rigenerazione se non in un’area vasta che va oltre il territorio dell’attuale comune di Roma. Si pensi soltanto al pendolarismo quotidiano con tutte le implicazioni di tipo economico e sociale. O alla gestione dei servizi, da quelli legati DOMENICO CECCHINI Già professore di Urbanistica presso la facoltà di Ingegneria della Sapienza Università di Roma e assessore alle Politiche del territorio del comune di Roma, è presidente dell’Inu Lazio. Ha scritto libri e articoli sui trasporti, l’edilizia, le aree metropolitane e la loro gestione urbanistica. Tra gli ultimi volumi pubblicati, Rifare città, studi per ricostruire un quartiere di Roma e Scenari, risorse, metodi e realizzazioni per città sostenibili, entrambi con Gangemi editore. 65 Tavola rotonda LUCIANO CIOCCHETTI Ex vicepresidente regionale e assessore alle Politiche del territorio e dell’urbanistica nella giunta di Renata Polverini, ha iniziato la sua attività politica a inizio anni ’80. Negli anni ’90 è stato consigliere comunale di Roma, per poi arrivare al consiglio regionale del Lazio, dapprima come capogruppo e come assessore all’urbanistica e casa. Rieletto per tre volte alla Camera dei deputati, in Parlamento si è occupato di proposte di legge a favore dello sviluppo del Lazio. 66 alla mobilità ai rifiuti. Va rafforzato il ruolo di vicinanza ai cittadini offrendo agli ex municipi diventati comuni tutti gli strumenti per una gestione della quotidianità”. Walter Tocci ha una visione un po’ diversa. La sua proposta, descritta in un suo recente libro1 in cui analizza le ragioni del degrado amministrativo e fisico di Roma, va oltre l’impostazione della legge Delrio, verso una maggiore aggregazione delle competenze. “Ritengo che si debba andare oltre la città metropolitana per approdare alla creazione di una ‘regione capitale’. Si potrebbe così superare lo squilibrio tra la regione e Roma a favore di quest’ultima, che non verrebbe risolto con l’attuale quadro legislativo. Inoltre con la città metropolitana si è creato un ulteriore livello decisionale, aggravando la già complicata situazione di tempi e procedure troppo lunghi. L’obiettivo deve essere la semplificazione e non viceversa. Per questo appare fondamentale mettere mano alla legge Delrio prevedendo lo scioglimento del comune di Roma a favore da un lato della trasformazione dei municipi in comuni autonomi, dall’altro del rafforzamento della città metropolitana. Stupisce che questo passaggio non sia stato già avviato utilizzando l’occasione offerta dal commissariamento con la conseguente scadenza elettorale. I prossimi cinque anni saranno decisivi per il trasferimento di competenze e per realizzare la riforma. In questo periodo devono lievitare la riflessione e il confronto sul passaggio successivo verso una soluzione simile a quella di Parigi, creando la regione capitale. Un’ipotesi che può collocarsi in maniera organica all’interno del processo di riduzione del numero delle regioni, sul quale Toscana e Marche hanno iniziato a confrontarsi. Ciò comporterà una riorganizzazione territoriale che va perseguita da un lato sulla base delle vocazioni e della storia economico-sociale dei diversi territori, dall’altro ricorrendo alla consultazione popolare”. Si tratta di una questione aperta. “Comunque”, sottolinea Cecchini, “al di là del modello di ingegneria istituzionale quel che conta è la volontà di decidere e di governare. Le ragioni della degenerazione di Roma vanno individuate soprattutto qui. Vi è una corresponsabilità dei diversi livelli di governo che può addebitata a un corpo legislativo che ha determinato sovrapposizioni e la proliferazione delle decisioni. Che poi sono la causa prima della corruzione. Il decisore pubblico deve riappropriarsi del suo ruolo di guida e di attore da cui dipende la trasformazione della città. Da questo punto di vista quel che è avvenuto e continua ad avvenire è esattamente il contrario. La politica e gli amministratori che si sono succeduti nelle ultime legislature hanno rinunciare a svolgere questo ruolo, delegando e lasciando che fossero altri - in modo spontaneo e spesso fuori dalle regole - a decidere come dovesse cambiare la città. A ciò si è aggiunta la degenerazione della macchina amministrativa che ha aggravato ulteriormente la situazione”. Condivide Tito Muratori: “Il nodo è la macchina e l’incapacità della politica di saperla gestire e trasformare. La situazione attuale è frutto di processi che hanno portato a un moltiplicarsi di centri decisionali, a un sovrapporsi di competenze, a un dilatarsi di passaggi burocratici. Tutto questo facilita blocchi e un esercizio diffuso di micro poteri che dilatati all’infinito diventano terreno fertile per comportamenti corruttivi. La politica ha rinunciato a mettere ordine e a esercitare la sua funzione di controllo, di guida e di gestione della macchina. Chi ha guidato Roma negli ultimi anni ha creato una simbiosi devastante con la macchina amministrativa sviluppando attività che nulla hanno a che vedere con il governo della città e con l’interesse pubblico”. (1) Walter Tocci, Roma, Non si piange su una città coloniale. Note sulla politica romana, Goware, Firenze 2015. Sulla debolezza della politica che ha lasciato fare alla macchina amministrativa concorda pienamente anche Ciocchetti, che sottolinea come “si sia perduta completamente la capacità di pianificazione e di programmazione, senza la quale non può esservi rigenerazione”. Così come Tocci, per il quale “al centro del degrado della città vi è la rinuncia a governare e gestire la macchina amministrativa. Una paralisi cui hanno contribuito un modello e una cultura basati sulla formalità normativa. Ciò ha determinato una proliferazione di regole e regolette che da un lato rendono pressoché inevitabile sbagliare, dall’altro hanno consentito una crescita del malaffare legato all’operatività amministrativa”. Arriviamo così al dunque, ovvero al tema della paralisi, del degrado amministrativo che costituisce la causa prima l’ostacolo principale da rimuovere. Per Muratori è “assolutamente pretestuoso e inutile parlare di rigenerazione urbana a Roma. A meno che non vogliamo intendere una rigenerazione del tessuto amministrativo della capitale. Perché possiamo fare nuove leggi, definire nuovi strumenti di pianificazione, rivedere quelli attuali che non hanno funzionato, ma il nodo da sciogliere è un altro: è il funzionamento, o meglio il non funzionamento e il degrado morale e tecnico della macchina che gestisce il Campidoglio. Un processo cui abbiamo assistito impotenti in questi ultimi anni in modo drammatico. Abbiamo protestato, ci siamo difesi, abbiamo denunciato e cercato di sensibilizzare la classe politica. Certo molti hanno dovuto soccombere, cedere ai ricatti. Altri hanno rinunciato e la crisi li ha aiutati a fare scelte dolorose ma inevitabili. Chi è riuscito a sopravvivere subisce ogni giorno angherie e vive un continuo calvario tra procedure infinite e silenzi. Fare impresa a Roma è diventato impossibile. Il blocco amministrativo che viviamo costantemente e che è all’origine anche del sempre più diffuso fenomeno della corruzione sta uccidendo la nostra città. Un solo dato definisce questa assurda situazione. A Roma negli ultimi quattro anni sono state presentate 220 richieste di concessioni edilizie riguardanti inter- TITO MURATORI È vicepresidente di Acer, Ance Roma, responsabile edilizia privata e urbanistica. Da 40 anni con la sua impresa familiare opera nel settore dell’edilizia residenziale e non residenziale privata e nell’edilizia sociale, sia in proprio che in raggruppamento con altre imprese. 67 Tavola rotonda WALTER TOCCI Laureato in fisica e in filosofia, dal 2013 è senatore. Ha iniziato la sua esperienza politica nella periferia romana, come presidente dell’allora Quinta circoscrizione (la Tiburtina) e poi come consigliere comunale. Dal 1993 al 2001 stato vicesindaco di Roma e assessore alla Mobilità con la giunta Rutelli. Successivamente è stato eletto alla Camera dei deputati. È stato direttore del Centro per la riforma dello Stato e ha pubblicato libri su Roma e sulla scienza. 68 venti collegati alla legge regionale sul Piano casa. Potenziali interventi di riqualificazione di edifici abbandonati, capannoni, aree degradate. Ebbene di queste “licenze”, per usare una vecchia denominazione, ne sono state rilasciate soltanto 15. Questa è la gestione dell’edilizia a Roma”. Per Tocci bisogna “superare il normativismo imperante e tornare a puntare sulla competenza. Oggi se si vogliono realmente riavviare processi virtuosi in grado di contrastare il degrado fisico, economico e sociale della città sono essenziali da un lato una visione del futuro di Roma e una volontà politica che si concretizzi in una logica di squadra e in un forte intervento sulla macchina comunale, dando segnali chiari sui comportamenti da tenere e sul rigore in termini di correttezza e di rispetto dei cittadini e delle imprese. Dall’altro va avviato un grande piano di ricostituzione di elevate competenze tecniche. Solo in questo modo sarà possibile un’amministrazione ordinaria e quotidiana che torni ad operare assumendosi le responsabilità e dando efficienza alla macchina. Ogni altra idea o percorso è destinato al fallimento”. Ecco il punto. Lo sottolinea Muratori trovando piena affinità di idee con l’ex assessore alla Mobilità delle giunte guidate da Francesco Rutelli negli anni in cui la trasformazione della città c’è stata. Un passato che sembra lontanissimo. “L’arroganza che ogni giorno come imprenditori riscontriamo negli uffici comunali è testimonianza chiara di un’impunibilità, dell’affermazione di una cultura degradata e malandrina che è diventata la caratteristica principale di questa amministrazione. La perdita di competenza pesa in maniera determinante nel mancato esercizio delle dovute responsabilità. Chi verrà chiamato a governare Roma dovrà innanzitutto mettere mano a questa situazione insostenibile. Lo dovrà fare con l’autorevolezza della politica, con la capacità di bonificare e di selezionare, con coraggio, chiamando a raccolta le forze sane e oneste che ancora vivono e operano. E avviando un’opera di ricostruzione del personale e della dirigenza basata su competenze forti, aperta alle esigenze della città e in grado di esercitare le proprie funzioni con un forte senso di responsabilità”. La rinuncia a governare ha voluto dire anche rinuncia a pianificare. Ricorda Cecchini come “durante le giunte Rutelli vi era un coordinamento stabile tra gli assessorati coinvolti nella trasformazione urbana e si lavorava su grandi piante aggiornate che ci consentivano di pianificare partendo dalla città reale per decidere come trasformarla. Era fondamentale la consapevolezza che le decisioni maturavano nel lavoro quotidiano e di squadra all’interno della giunta. Così come il controllo sul funzionamento o meno della macchina era costante, quotidiano. In sintesi, per la rigenerazione di un tessuto urbano è necessario un metodo di governo e un’amministrazio- ne che guidi e decida in una logica di semplificazione e guardando alla città nel suo complesso”. Cecchini “Il decisore pubblico deve Anche per Ciocchetti “se si vuole realmente avviare una stagione di rigenerazione a Roma è essenziale una grande capacità di programmazione, accompagnata da un quadro normativo a sostegno. In questo ambito uno dei nodi da sciogliere riguarda i piani attuativi e particolareggiati, per renderli più snelli facilitando soprattutto il cambio di destinazione d’uso, in una logica di flessibilità che deve ovviamente rispondere agli strumenti urbanistici esistenti. Il corpo normativo va concepito secondo una logica di facilitazione della riqualificazione, non di ostacolo, come spesso è avvenuto e in gran parte ancora avviene. il Piano casa nazionale e poi regionale andava in questa direzione, individuando nella leva fiscale e nei premi di cubatura le modalità più efficaci per favorire la riqualificazione del patrimonio esistente così come l’edilizia di sostituzione. Oggi è il momento di rendere strutturali quelle norme attualmente considerate straordinarie, andando nella direzione di una riduzione sempre maggiore dei passaggi decisionali. Che poi è un modo concreto ed efficace di togliere ossigeno alla corruzione, che come tutti sappiamo vive e prospera sulla ridondanza amministrativa. Bisogna procedere sempre più nella direzione di una pubblica amministrazione con compiti di controllo, abbandonando la logica delle autorizzazioni. Bisogna allargare le autocertificazioni, sollevando le amministrazioni da pratiche burocratiche inutili e spesso dannose anche dal punto di vista dei costi, sia per le imprese che per la collettività. Si tratta poi di valorizzare lo strumento dei piani integrati individuando con chiarezza procedure snelle, chiare e certe per quanto riguarda i tempi decisionali del pubblico. Il fattore tempo è infatti determinante e vanno trovate le soluzioni più appropriate per impedire una gestione ritardatrice da parte della macchina comunale”. riappropriarsi del suo ruolo di guida e di attore da cui dipende la trasformazione della città” Ciocchetti “Oggi è impensabile pianificare processi di trasformazione e di rigenerazione se non in un’area vasta che va oltre il territorio dell’attuale comune di Roma” Muratori “È assolutamente pretestuoso e inutile parlare di rigenerazione urbana a Roma. A meno che non vogliamo intendere una rigenerazione del tessuto amministrativo Per Tocci “gestire processi di trasformazione vuol dire muoversi con rispetto, ma anche con creatività all’interno di un reticolo normativo che va assolutamente razionalizzato. In questo senso il testo unico sull’urbanistica che la regione Lazio sta predisponendo può e deve costituire uno strumento di semplificazione e di indirizzo che deve facilitare la programmazione così come le fasi decisionali. Sono presupposti imprescindibili se si vuole che l’investimento pubblico abbia un effetto volano sul mercato privato. Così come è essenziale che posizioni corrette dal punto di vista teorico come lo slogan consumo di suolo zero vadano calate nelle specifiche realtà. Per quanto riguarda Roma questo significa considerare le caratteristiche assunte nel tempo dallo sviluppo edilizio, comprendendo il ruolo importantissimo delle ricuciture”. della capitale” TOCCI “Gestire processi di trasformazione vuol dire muoversi con rispetto, ma anche con creatività all’interno di un reticolo normativo che va assolutamente razionalizzato” FOCUS Rigenerare le periferie romane L’intervento sui quartieri romani degradati deve essere coerente con gli indirizzi dei programmi di rigenerazione urbana europei: densificare, connettere, ricucire, progettare spazi pubblici, aumentare le aree verdi, potenziare il trasporto pubblico. DOMIZIA MANDOLESI Architetto, è docente di progettazione architettonica presso la facoltà di Architettura Sapienza Università di Roma. Insieme ad Alessandra De Cesaris è autrice del volume Rigenerare le aree periferiche. Ricerche e progetti per la città contemporanea, Quodlibet, Roma 2015, da cui è tratto, seppure in forma leggermente rivisitata, l’articolo qui pubblicato. 70 È opinione ampiamente condivisa che la dispersione urbana non governata sia la causa di danni economici, ambientali e sociali e che intervenire per non reiterare e riparare i danni fatti sia un fatto complesso, ma possibile a partire da una precisa volontà politica e da un’azione progettuale capace di far convergere verso obiettivi comuni i diversi attori coinvolti nella trasformazione del territorio. Trasformazione che deve puntare a una maggiore compattezza dei tessuti urbani per ridurre gli sprechi dovuti all’uso quotidiano del mezzo di trasporto privato e ai consumi energetici, per favorire la coesione sociale e migliorare la qualità della vita. In questo scenario, con riferimento alla situazione italiana e in particolare alla città di Roma, sono due i principali temi da affrontare: la manutenzione e l’adeguamento del patrimonio edilizio esistente agli stili di vita contemporanei; la rifunzionalizzazione dei grandi vuoti residuali dell’arcipelago metropolitano. Adeguamento e rifunzionalizzazione Il primo tema è legato alla presenza di un vasto patrimonio edilizio composto per la maggior parte da abitazioni, molte di proprietà privata, costruito nel trentennio successivo al secondo dopoguerra. In quegli anni si è dovuto far fronte in tempi ristretti alla forte crescita della popolazione urbana, adottando piani urbanistici semplificati basati sulla separazione delle funzioni, senza un’adeguata dotazione di infrastrutture e, molto spesso, realizzando edifici di scarso livello architettonico e costruttivo. Inoltre questo patrimonio, che in parte ha superato i 40 anni di vita, oltre alla scarsa efficienza funzionale è soggetto a rapido deterioramento fisico, costituendo una delle principali cause di consumo energetico e di inquinamento ambientale. Le diverse tipologie edilizie che formano questo stock abitativo generano condizioni urbane con problematiche diverse. I complessi di edilizia residenziale pubblica costruiti dagli anni ‘50 fino alla metà degli anni ‘80, ad esempio, pur dotati di un disegno unitario e di standard più elevati per quanto riguarda aree verdi, spazi pubblici e parcheggi, sono caratterizzati da edilizia scadente e scarsa manutenzione degli spazi aperti; inoltre sono spesso isolati dal resto della città. I quartieri della speculazione degli anni ‘60 e ‘70, a fronte forse di un maggior decoro edilizio, sono invece caratterizzati da densità troppo alte e sono carenti di verde e luoghi pubblici. Gli insediamenti abusivi, seguendo logiche insediative spontanee, sono privi di un disegno e di infrastrutture urbanistiche e viarie e sono caratterizzati da qualità edilizia scadente e da una grave carenza di servizi primari. Va infine considerato il notevole numero di seconde case (3,5 milioni), distribuite per la maggior parte lungo il litorale costiero. Al di là dei differenti livelli di criticità, questo patrimonio rappresenta una grande risorsa su cui intervenire per valorizzarlo in termini di qualità architettonica e urbana, di risparmio energetico e di contenimento del consumo di suolo. Riguardo al tema della rifunzionalizzazione dei grandi vuoti dovuti al fenomeno della dispersione urbana, è necessario fare riferimento a modelli alternativi a quello della città compatta tenendo conto del paesaggio naturale e agrario che, ad esempio, in una città come Roma occupa vaste aree tra un insediamento e l’altro divenendo parte integrante dell’organismo urbano. È chiaro allora che per una valorizzazione complessiva del paesaggio esistente è necessario operare a scale diverse tra loro interrelate, che vanno dal singolo manufatto al complesso edilizio o isolato fino al quartiere o settore urbano. Per il singolo edificio si tratta di intervenire sulla manutenzione, sul risanamento statico ed energetico, su modifiche parziali o totali tramite integrazione o completa sostituzione, sulla riorganizzazione dei percorsi e sui tagli degli alloggi. Per l’isolato o il complesso edilizio si tratta di migliorare le prestazioni energetiche e tecnologiche e l’immagine architettonica, di disegnare gli spazi collettivi (viabilità, percorsi pedonali, aree verdi, luoghi di incontro), di integrare nuovi servizi e aree verdi. Per il settore urbano o quartiere sono da prevedere operazioni complesse e integrate alla scala del progetto urbano, che riguardano il sistema delle reti del trasporto e dei sottoservizi e il rilancio economico e occupazionale. Le parole chiave della rigenerazione Considerando le esperienze di rigenerazione più avanzate a livello internazionale, per un’incisiva azione di riqualificazione degli ambiti più degradati dei nostri paesaggi urbani si possono individuare alcune parole chiave: densificazione, identità degli spazi pubblici, articolazione sociale, mix funzionale, corridoi ambientali, risparmio energetico, infrastrutture e trasporto collettivo. Veduta d’insieme del quartiere Tiburtino III a Roma, oggetto del Concorso internazionale Pass (Progetto per abitazioni sociali sostenibili) bandito da Ater nel 2010. 71 FOCUS Densificazione urbana è un termine di cui sciogliere alcune ambiguità. La prima idea che richiama è infatti quella negativa della compressione di edifici e persone in aree esigue con finalità speculative. In un’accezione positiva questo termine va invece associato al principio di sfruttare al meglio le risorse - accessibilità, infrastrutture, servizi, verde - già esistenti all’interno dei tessuti. Se e come densificare è una scelta da fare caso per caso, interpretando le differenze delle diverse aree di intervento e in base a obiettivi strategici più generali che senza voler perseguire il solo modello della città compatta ricerchino modelli alternativi maggiormente adatti a rappresentare le dinamiche socio-economiche contemporanee. A quello della densità edilizia è legato il tema della morfologia e dell’identità dei vuoti: lavorare sui luoghi dell’incontro e dello scambio, sugli spazi della vita collettiva per vincere l’impoverimento e l’abbandono dello spazio pubblico significa dare una forma riconoscibile ai tessuti urbani. Invertire pericolosi processi di polarizzazione sociale favorendo la formazione di un ambiente sociale misto attraverso un’offerta variegata, adeguata all’evoluzione della domanda e della struttura familiare, e alloggi pensati per diverse categorie di abitanti è un altro obiettivo centrale degli interventi di rigenerazione insieme a quello del mix funzionale. L’inserimento di funzioni diversificate per superare l’idea dei quartieri dormitorio e ridurre i tempi degli spostamenti a vantaggio del tempo libero facilita la vita nei quartieri rendendoli più attrattivi. Infine, da un nuovo equilibrio tra sistema del verde e costruito dipende la qualità energetica e ambientale degli insediamenti, mentre opportuni investimenti sulle reti del trasporto pubblico, riducendo l’uso del mezzo privato, favoriscono la mobilità alternativa e aumentano l’accessibilità come chiave per il rilancio sociale ed economico dei quartieri più emarginati. Sistemi di relazioni, spazi pubblici, accessibilità I problemi che affliggono la città di Roma, rendendo inaccessibili e poco vivibili i suoi quartieri - sia quelli frutto delle espansioni più recenti, sia quelli delle periferie ormai consolidate e considerate centrali - non sono, infatti, dovuti solo alle condizioni dell’edificato ma anche al degrado e alla mancanza di identità degli spazi vuoti, alla mancanza cioè di quel sistema di relazioni a differenti scale che genera la forma della città e che costituisce il legante fondamentale di una comunità urbana. Le cause della carenza di spazi pubblici e del loro degrado sono da attribuire a diversi fattori: la mancanza di un disegno del suolo; rapporti sbagliati o non studiati tra gli edifici e la maglia stradale, tra gli spazi privati e quelli collettivi; l’elevato traffico veicolare e la continua occupazione di suolo pubblico libero da parte di parcheggi auto ed esercizi privati. A questi fattori si aggiunge la mancanza di una cultura dello spazio pubblico sia da parte dei cittadini che dell’amministrazione romana che ha portato sempre più, oltre alla ben nota e diffusa incuria, a una grave assenza di progettualità pianificata dei luoghi di relazione tra le diverse componenti del tessuto edilizio e la rete delle infrastrutture 72 Per un abitare condiviso e sostenibile HousingLab è il laboratorio all’interno del DiAP (Dipartimento di Architettura e Progetto) della Sapienza Università di Roma di cui sono responsabili scientifici Alessandra De Cesaris e Domizia Mandolesi. Affronta in particolare i temi della rigenerazione urbana e dell’innovazione tipologica, assumendo come ambito di studio Roma e le sue aree periferiche. Obiettivo di HousingLab è promuovere modelli di crescita dei territori urbani basati su quanto già esiste, attraverso azioni di stratificazione, densificazione, innesto. Il laboratorio affronta con studi, progetti e ricerche le questioni relative agli strumenti, alle procedure e alle strategie progettuali da attivare per riqualificare i tessuti urbani sia di formazione spontanea che pianificati nelle aree periferiche delle grandi città. Uno dei filoni di ricerca è pertanto quello della rigenerazione dei complessi di edilizia residenziale pubblica costruiti a Roma dagli anni Cinquanta in poi. In particolare, si sta lavorando alla definizione di linee guida per interventi di trasformazione dell’esistente basati su un, modello di housing contemporaneo condiviso e sostenibile sotto il profilo economico, energetico e sociale. A questo scopo sono stati individuati casi studio scelti tra gli interventi di edilizia pubblica costruiti nei primi anni Ottanta, come i quartieri di Tor Bella Monaca e Tiburtino III, che al di là delle peculiarità presentano tra loro analogie sia per le caratteristiche edilizie e urbane, sia per le criticità. di trasporto. Nelle principali città italiane stentano, infatti, ad affermarsi principi di organizzazione della mobilità e della logistica urbana in grado di assicurare l’impiego ottimale di veicoli e infrastrutture e di contribuire sia alla riduzione dell’inquinamento che all’accessibilità delle aree periferiche marginali. La necessità di risolvere questi problemi, associata a quella di ridurre i consumi energetici degli edifici entro il 2020, secondo quanto previsto dalla Comunità europea, costituisce un’opportunità per attivare progetti di trasformazione dei quartieri esistenti con interventi a diverse scale. Ripartire dal Prg e dall’agenda europea Per vincere la logica dei progetti episodici ed estemporanei, sempre più frequentemente praticata nella città di Roma, e riportare la questione della trasformazione urbana all’interno di un processo che lavori sulla forma come strumento per ottenere una qualità urbana diffusa, configurazione e modi d’uso dei singoli quartieri vanno ripensati all’interno di un quadro organico di interventi. L’ultimo Prg di Roma del 2008 fornisce indicazioni e strumenti che aspettano di divenire operativi con progetti basati su interventi tra loro integrati e relativi alla riqualificazione edilizia, alla riorganizzazione della rete delle infrastrutture, al disegno del suolo e degli spazi vuoti. I tessuti urbani sono organismi in continua evoluzione, da completare e rinnovare in relazione alle esigenze della vita contemporanea. La strada da seguire per individuare strategie e proposte da attuare nei quartieri di Roma è muoversi all’interno del più ampio processo di adeguamento dei tessuti metropolitani ai criteri di sostenibilità sociale, economica, energetica e ambientale fissati dall’agenda europea. In particolare, vanno messe a punto strategie di rigenerazione e soluzioni progettuali che, limitando interventi pesanti di demolizione e contenendo il consumo di suolo, lavorino sull’esistente. Anche attraverso operazioni minime, opportunamente coordinate alle diverse scale e messe a sistema, è possibile produrre trasformazioni radicali dei singoli quartieri. 73 FOCUS A cura di MIMOSA MARTINI Viterbo: per una città a misura di cittadino A colloquio con Andrea Belli, presidente di Ance Viterbo, sul tema della rigenerazione urbana e della valorizzazione del territorio viterbese, ricco di borghi, centri storici e beni archeologici. Belli ci racconta anche di un’iniziativa in corso, il bando di progettazione Le piazze fanno centro. Sette piazze per fare centro Il bando promosso dal comune di Viterbo e da Ance Viterbo, Le piazze fanno centro, incentiva le migliori idee progettuali finalizzate a una riqualificazione completa delle piazze principali di Viterbo e dei reciproci collegamenti. Elementi premianti sono la sperimentazione di nuovi materiali e tecniche costruttive durabili nel tempo, modalità di risparmio energetico e di sostenibilità ambientale, pregio estetico e resistenza agli atti vandalici dell’arredo urbano. Sono sette le piazze interessate: • • • ANDREA BELLI Amministratore delegato e socio della Belli Srl, azienda che si occupa prevalentemente di edilizia e impiantistica, ha sempre svolto un ruolo attivo per il settore edile locale: negli anni è stato presidente dell’Ente scuola edile di Viterbo ed è attualmente presidente di Ance Viterbo e della Cassa edile di Viterbo. 74 A che punto siamo in Italia in tema di rigenerazione urbana e cosa sta cambiando (se qualcosa sta cambiando) secondo lei? Anche su questo tema l’Italia è fortemente divisa tra Nord e Sud. Basti pensare a Milano, città in continua evoluzione, attenta a molti aspetti di rigenerazione urbana, più in linea con le altre città europee. Se invece devo parlare di Viterbo, ma anche della nostra regione più in generale, è chiaro che non esiste la stessa attenzione e, anzi, siamo indietro e fermi anche su progetti importanti. La colpa, secondo la mia visione delle cose, è soprattutto delle normative. L’edilizia in questo momento sta ripartendo con fatica e gran parte degli ostacoli sono dovuti a una burocrazia complicata e lenta, che non segue il passo dei tempi. Gli imprenditori hanno capito, grazie alle leggi di mercato, che devono evolversi, puntare sulla sostenibilità, su demolizione e ricostruzione, sulla riqualificazione dell’esistente, ma si ritrovano affossati da un sistema di leggi vecchio e ricco di cavilli. Se il processo fosse più fluido si potrebbero facilmente creare nuovi quartieri, più verdi, più efficienti, all’interno dei quali sarebbe più facile vendere gli appartamenti in classe A perché oggi le persone non guardano solo l’appartamento, ma cercano anche contesti abitativi piacevoli e funzionali. Lei ha sott’occhio un territorio molto particolare, ricco di storia e di beni archeologici. Quanto influisce tutto ciò sulla rigenerazione dei centri urbani? Certamente per salvaguardare il nostro patrimonio storico non si può puntare su demolizione e ricostruzione, per lo meno per quanto riguarda i borghi e i centri storici. Piuttosto la ricetta è quella della rigenerazione: valorizzare ciò che si ha sotto più punti di vista: dal decoro urbano al verde, dalla viabilità ai servizi. Dato che abbiamo la fortuna di vivere circondati da “pezzi di storia”, dobbiamo puntare su questo valore per invogliare le persone a visitare i nostri borghi e i centri storici. Viterbo, come molte città del Lazio, purtroppo non è ancora a misura di cittadino. Essendo una piccola di città ha alcuni vantaggi, ma rimane comunque un centro urbano che ha bisogno di manutenzione continua, di rilancio dei servizi e di un nuovo piano di viabilità, anche ecologica. • • • • piazza San Sisto, una delle porte di accesso al centro storico; piazza Fontana grande, che insieme a piazza del Plebiscito e piazza del Gesù rappresenta il sistema di spazi aperti prevalenti del centro storico di Viterbo; piazza del Plebiscito, area centrale per eccellenza già dal 1200, che rappresenta il polo pulsante della città; piazza delle Erbe, lo slargo che collega gli assi commerciali di via Roma e corso Italia; piazza del Gesù, uno degli spazi più importanti della città, di notevole interesse storico artistico; piazza della Morte, così chiamata perché vi aveva sede la comunità religiosa “dell’orazione della morte”, è il punto di accesso alla Viterbo sotterranea e insieme a piazza del Gesù è il centro della movida cittadina; piazza San Lorenzo, una delle più belle, con monumenti di grande rilievo artistico ed architettonico; qui sbarcheranno gli ascensori che collegano alla Valle Faul e sarà una nuova porta d’accesso al centro storico. Quali sono le azioni che, come costruttori, state portando avanti per rendere la città più vivibile e smart? Per fortuna la tecnologia va più veloce degli amministratori, e in alcuni casi questo fa in modo che si prendano decisioni rapide su alcuni aspetti. Il vero 75 FOCUS problema del nostro territorio, però, è che manca una visione strategica generale. Si dovrebbe pensare a un piano integrato per edilizia, infrastrutture, viabilità e servizi, in modo tale da avere una mappa generale che metta in connessione tutti gli elementi in modo sinergico e dove ognuno sia di supporto agli altri. Per ora noi stiamo collaborando con l’amministrazione proponendo alcune azioni, tra cui il bando di progettazione Le piazze fanno centro. Ci parli di questa iniziativa. È un bando rivolto ai giovani architetti italiani per la riqualificazione di tutte le piazze storiche di Viterbo, un’iniziativa che sta riscuotendo successo. La nostra intenzione, insieme all’amministrazione comunale, è quella di avviare interventi di riqualificazione di alto livello per la nostra città, ripartendo proprio dalle piazze, che sono il cuore di Viterbo e la rappresentano in tutta la sua bellezza. I progetti possono riguardare sia interventi di edilizia e arredo urbano, sia di viabilità, come aree pedonali o bike sharing, sia operazioni di alta tecnologia come applicazioni o cartellonistiche touch screen. È il primo passo di un percorso verso il cambiamento, un modo di rilanciare la città coinvolgendo i professionisti. Riteniamo che questo possa attivare poi anche altre iniziative che serviranno a rendere Viterbo una città più a misura di cittadino. Cosa secondo lei funziona e cosa no del nostro sistema di valorizzazione turistico-culturale? Per il rilancio di Viterbo esistono due direttrici e una è sicuramente il turismo. C’è l’intenzione, da parte delle istituzioni, di incoraggiare i turisti in visita a Roma a fare tappa anche a Viterbo. Un’operazione da far partire al più presto attraverso un progetto specifico di promozione. La seconda direttrice riguarda invece la possibilità di invogliare i cittadini residenti a Roma a trasferirsi a Viterbo o a Civitavecchia, pur lavorando nella capitale. Per quanto riguarda Civitavecchia l’operazione risulta più semplice grazie ai collegamenti tra le due città, sicuramente più facili e veloci. Stiamo lavorando però affinché si facciano ripartire al più presto i lavori per La Viterbo-Civitavecchia, che potrebbe ribaltare in tempi rapidi questa situazione di stallo. In questa visione, qual è il ruolo specifico che possono avere i costruttori? Le nostre imprese hanno vissuto tempi bui, ma si sono sapute reinventare puntando su tecnologia e sostenibilità e abbiamo cercato di agevolarle offrendo insieme agli enti paritetici corsi di formazione specifici. Noi costruttori dovremo comunque continuare a dare il nostro supporto tecnico, affiancando la politica con azioni di marketing territoriale e di consulenza tecnica, cercando anche di ottenere abitazioni sostenibili e moderne e quartieri residenziali gradevoli ed efficienti. Solo con la qualità si ottengono i risultati migliori. 76 L’internazionalizzazione, un’opportunità da cogliere Un recente convegno organizzato da Ance Frosinone spinge sull’apertura anche delle Pmi verso paesi esteri come risposta alla crisi del mercato locale. Ma servono carte in regola in termini di competenze e qualità. Convegno A cura di Emanuele Incanto Frosinone è la provincia laziale più colpita dalla crisi che ancora attanaglia l’economia e mantiene in una profonda recessione l’industria locale delle costruzioni. Come ricorda Domenico Paglia, presidente dell’Ance provinciale, “i dati che abbiamo a nostra disposizione fotografano una situazione ancora peggiore della media nazionale. E quel che più colpisce è che continuiamo a registrare una contrazione sia del numero dei lavoratori che delle imprese attive. Questa situazione è dovuta alle forti difficoltà del mercato privato, sostanzialmente fermo ormai da anni, così come a una costante contrazione degli investimenti pubblici. Dobbiamo dunque renderci conto che il mercato si è fortemente ristretto e che dobbiamo cercare altrove nuove occasioni di lavoro e nuovi spazi”. Oltre a Frosinone e al Lazio, il mondo Da qui la scelta di Ance Frosinone di accelerare un processo già avviato di attenzione all’internazionalizzazione, con missioni e iniziative di riflessione e di confronto. Compito dell’associazione è soprattutto quello di favorire “la consapevolezza che oltre Frosinone, la provincia, Roma e il Lazio c’è un mondo dove, come hanno fatto e stanno facendo anche alcune nostre piccole imprese, è possibile competere con successo. Andare all’estero non è facile, bisogna acquisire conoscenze, avere l’accortezza di farsi guidare e individuare gli ambiti e le opportunità più confacenti alle caratteristiche di un impresa che nella maggior parte dei casi è di piccole dimensioni. Le specializzazioni da un lato e la disponibilità a trovare forme nuove di aggregazione, dall’altro, sono aspetti che possono fare la differenza e facilitare l’approdo su mercati esteri”. Le opportunità non mancano, anche se per la dimensione delle opere e dei progetti - che riguardano soprattutto paesi arabi o oltre Oceano - si tratta nella maggior parte dei casi di occasioni più a misura di grande impresa. Per Massimo Rustico, ministro plenipotenziario che promuove e coordina le attività all’estero delle imprese di costruzione aderenti all’Ance, non bisogna tuttavia sottovalutare la possibilità di inserirsi agganciandosi a programmi come quelli seguiti dal ministero degli Esteri, soprattutto in alcuni paesi dell’Europa orientale. 77 Convegno Strumenti di qualificazione per affermarsi all’estero Anche nel convegno organizzato il 4 marzo a Frosinone dall’Ance provinciale, “L’Industria delle costruzioni: nuovi scenari di mercato ed internazionalizzazione delle Pmi”, è emersa con evidenza l’importanza dell’associazione di categoria. Come veicolo di informazione, ma anche di orientamento, offrendo alle imprese strumenti concreti per avvicinarsi a mercati dove regole, norme, consuetudini ma anche reti relazionali risultano differenti dalle nostre. Uno degli aspetti importanti riguarda alcune richieste specifiche da parte di questi mercati, quali ad esempio il livello di qualificazione, la capacità di trasmettere informazioni verificabili riguardanti le competenze e la qualità offerta dall’impresa. Ecco che allora dotarsi ad esempio di un marchio cui corrispondano parametri di valutazione oggettivi e riconosciuti, in una logica di rating, può aiutare a posizionarsi. Va in questa direzione l’iniziativa di Unioncamere di dotare le imprese del settore edile interessate all’internazionalizzazione di un marchio, seguendo un percorso trasparente riguardante sia la solidità dell’azienda che le competenze acquisite nel tempo.Il convegno ha altresì fatto emergere l’importanza che gli imprenditori locali sappiano cogliere con chiarezza il vento forte del cambiamento, che riguarda sia il mercato interno che le regole e le dimensioni dei mercati esteri. in particolare deve crescere la consapevolezza della necessità di guardare alle opportunità con occhi nuovi, aumentando il livello di managerialità attraverso competenze organizzative poco utilizzate in passato nelle costruzioni. Un processo inevitabile soprattutto qualora si intendano approcciare i mercati internazionali. Le pagine di CdC PROGETTO CRESCITA Maggio – novembre 2016, Trieste Ance Trieste - in collaborazione con Civiltà di Cantiere/Est magazine e Strategie & Comunicazione – ha promosso il ciclo di formazione Progetto Crescita, volto a favorire lo scambio e la condivisione su una nuova cultura del costruire. Un progetto che, anche con il coinvolgimento degli ordini e collegi professionali, delle università e enti di ricerca, si prefigge i seguenti obiettivi: capire e guidare i processi di innovazione, favorire percorsi di crescita, di sviluppo economico e sociale, individuare le opportunità di investimento, incentivare nuove politiche a supporto dell’industria delle costruzioni e della sua filiera. Una sfida che si gioca sul terreno della progettazione integrata e sull’interconnessione tra innovazione finanziaria, nuove tecnologie e sistemi costruttivi, utilizzo di fonti energetiche rinnovabili e che chiama in causa nuove competenze, attenzione all’ambiente, capacità di analisi, disponibilità a lavorare in rete. Progetto Crescita è realizzato in collaborazione con Confindustria Venezia Giulia e Fondazione CRTrieste. Gli incontri si terranno a Trieste, presso la sede di Confindustria Venezia Giulia in Piazza Casali 1, dalle 14.30 alle 18.30. Primo appuntamento il 16 maggio, sul tema Costruire oggi affrontando il cambiamento. Progettazione, comfort, economia circolare e certificazione. Il secondo incontro, il 20 giugno, sarà invece dedicato a La digitalizzazione del processo di costruzione. Giornata nazionale sulla certificazione di sostenibilità 11 maggio 2016, Bologna L’organismo di certificazione ICMQ, in partnership con Civiltà di Cantiere, organizza un convegno dedicato alla certificazione di sostenibilità per le costruzioni, che si terrà l’11 maggio a Bologna presso l’Iiple in via del Gomito 7, dalle 10 alle 16. L’iniziativa intende sensibilizzare i diversi attori del settore a un tema in continua evoluzione e di sempre maggiore attualità: quello degli strumenti di garanzia e di valutazione certificata delle prestazioni di prodotti e di intere costruzioni in termini di sostenibilità ambientale. La giornata è divisa in tre sessioni. La prima approfondisce come il tema sostenibilità sia uno dei driver del mercato delle costruzioni e parametro anche di competitività. La seconda sessione, dedicata al protocollo Leed, ne evidenzia vantaggi e valori a partire dalle testimonianze di committenze, studi di progettazione e imprese che lo hanno sperimentato. La terza sessione infine presenta un nuovo protocollo che si sta affermando negli Stati Uniti, relativo alla sostenibilità delle infrastrutture: Envision, di cui ICMQ è depositaria per l’Italia insieme a MVH Italia. La partecipazione al convegno è gratuita ed è possibile anche iscriversi solo alle sessioni di proprio specifico interesse. Per informazioni: [email protected] 78 coperture metalliche impermeabilizzazioni manti in PVC isolamenti termoacustici industriali e civili incapsulamento e bonifica coperture in cemento e amianto assistenza tecnica polizza assicurativa RCT postuma posa fotovoltaico Saletto di Piave (TV) Via Molinetto, 71 - Tel. 0422 686118 - Fax 0422 988154 - Cell. 348 3550200/2/3 www.mosolecorradosrl.com - [email protected] - INDIRIZZO PEC: [email protected]