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N° 11 - NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 • ANNO L - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma ONU LE PAROLE DI NETANYAHU EUROPA IL PERICOLO DEL POPULISMO USA בס’’ד DOPO OBAMA CHE AMERICA SARÀ SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Nonostante l'Unesco "Har haBayit beyadeinu" A 50 anni dalla riunificazione di Gerusalemme "il Tempio è nelle nostre mani". E vi rimarrà Israele tra calcio e religione FOCUS www.positivoagency.com LASCIA UN BUON SEGNO TESTAMENTI I progetti di Lasciti e Donazioni danno pieno valore alle storie personali e collettive degli amici del popolo ebraico. Un testamento è una concreta possibilità per aiutare oggi e domani l’azione del Keren Hayesod. FONDI Il nostro buon nome dipende dalle nostre buone azioni. Un fondo a te dedicato o alla persona da te designata, è la migliore maniera di lasciare una traccia duratura associandola ad un ambito di azione da te prescelto. I temi ed i progetti non mancano. Una vita ricca di valori lascia il segno anche nelle vite degli altri. Nel presente e nel futuro. PROGETTI Il KH ha tanti progetti in corso, tra gli altri; progetti per Anziani e sopravvissuti alla Shoah - Sostegno negli ospedali - Bambini disabili - Sviluppo di energie alternative - Futuro dei giovani - Sicurezza e soccorso - Restauro del patrimonio nazionale. Progetti delicati, dedicati, duraturi nel tempo. Di cui sei l’artefice. Giliana Ruth Malki - Cell. 335 59 00891 Responsabile della Divisione Testamenti Lasciti e Fondi del Keren Hayesod Italia vi potrà dare maggiori informazioni in assoluta riservatezza Enrica Moscati - Responsabile Roma Tu con il Keren Hayesod protagonisti di una storia millenaria KEREN HAYESOD Milano, Corso Vercelli, 9 - Tel. 02.4802 1691/1027 Roma, C.so Vittorio Emanuele 173, - Tel. 06.6868564 Napoli, Via Cappella Vecchia 31, tel. 081.7643480 [email protected] Il viaggio di Mattarella in Israele: Un grande successo in cui manca però un fotogramma NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 È sempre sbagliato provare a fare una sintesi e un bilancio di un viaggio diplomatico, tanto più quello di alcune settimane fa compiuto dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, recatosi in Israele e nei territori sotto controllo dell'Autorità palestinese. Un viaggio che sembrava addirittura a rischio, sia per l'equivoco voto di astensione dell'Italia in sede Unesco sulla negazione delle origini ebraiche di Gerusalemme, sia per le polemiche ed offensive dichiarazioni di un vice ministro israeliano che, a poche ore dalla partenza di Mattarella, aveva parlato del terremoto nel centro Italia come una 'punizione divina' giunta proprio per quella astensione. Tutto era poi rientrato per le ferme parole da un lato di Renzi e poi dello stesso Netanyahu: e su questo qualche considerazione prima o poi andrà fatta, su capi di governo che devono mettere pezze e smarcarsi dai loro rispettivi ministri. Una missione diplomatica - come ha sottolineato lo stesso Mattarella - che è stata la prima visita ufficiale in Medio Oriente, “e la mia scelta di iniziare proprio da Israele conferma lo storico rapporto di grande amicizia tra Israele e Italia. Non vi è settore in cui non registriamo amicizia e grande affinità di valori, che sono alla base delle nostre rispettive società e democrazie”. Durante gli incontri, il presidente Mattarella ha usato parole di straordinaria potenza: “Israele, con la sua democrazia, ci richiama alla cultura e alla responsabilità della memoria, congiunta a una tensione continua verso la modernità e il progresso. Una memoria che ci parla anzitutto di lotta per l’affermazione della dignità di ogni persona, quale che sia il Paese e la latitudine in cui si trovi a vivere, quale che sia il suo status. La memoria della Shoah, un valore fondante della società israeliana sospinge in questa direzione. La Shoah è divenuta, anche nel nostro Paese, un tratto costitutivo”. “Israele – ha dichiarato il presidente della Repubblica - con la sua democrazia così forte e vitale costituisce un modello per tutta la regione. L’Italia sarà costantemente dalla sua parte ogni volta che il suo diritto e dovere a esistere fosse messo in dubbio”. E a scanso di equivoci e male interpretazioni Mattarella ha precisato: “L’Italia è contro il boicottaggio”. Ma il boicottaggio che oggi Israele deve contrastare non è solo quello economico, dello scambio culturale tra università, del blocco dell'export, è il tentativo di una delegittimazione che metta in dubbio il valore legale ed internazionale dello stato ebraico; è il negare il valore religioso, storico e politico della presenza degli ebrei su quella terra. Pur in un’agenda molto fitta di colloqui e di incontri; pur avendo dovuto anticipare il ritorno per essere vicino alle popolazioni terremotate delle Marche e dell'Umbria, il presidente Mattarella avrebbe potuto fare una piccola ulteriore sosta. Dopo aver effettuato la visita privata al Santo Sepolcro, avrebbe potuto visitare con lo stesso protocollo il Muro Occidentale. Possiamo facilmente immaginare le molte motivazioni per questa mancata visita, fra cui il fatto che qualcuno ne avrebbe tratto motivo di polemiche. Non si è fatta, pazienza. Nulla cambia nei rapporti tra Italia e Israele, ma quella foto mancata avrebbe avuto però la forza di imbarazzare coloro che sfacciatamente negano l'ebraicità di Gerusalemme. 3 COPERTINA Gerusalemme rimarrà sempre nel cuore e nella mente del popolo ebraico. Nonostante l’Unesco NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 I 4 m eshkachech Yerushalayim, tishkach yemini. “…Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia...”. Con queste parole (Salmo 137) tremila anni fa, il re David affidò di generazione in generazione il sentimento di attaccamento, di profondo amore che gli ebrei hanno verso la città di Gerusalemme, quel luogo che per la tradizione biblica segna l'inizio della storia del patto tra Dio e il popolo ebraico. E' infatti sul monte Moriah, oggi il monte della spianata, che Dio sottopose Abramo all'ultima delle dieci prove, chiedendogli di sacrificare il figlio Isacco e dove Dio promise che da quel mancato sacrificio ne sarebbe nato un popolo. Da quel momento la centralità di Gerusalemme è entrata non solo nella liturgia ebraica, ma anche nell'immaginario collettivo di un popolo che - bisogna ricordarlo - per duemila anni è stato allontanato proprio da quei luoghi. esilio e dispersione del popolo ebraico da Gerusalemme, furono una terribile prova di sopravvivenza che viene ogni anno ricordata con un giorno di lutto e di digiuno nel giorno del 9 del mese di Av. Tuttavia quei tragici eventi, con la conseguente perdita dell'autonomia politica e religiosa, sono stati vissuti e ancora vengono oggi visti come una tappa della storia ebraica e come una dimostrazione della presenza e delle decisioni divine, annunciate dai profeti e quindi motivo da cui trarre conforto perché alla distruzione e alla dispersione, seguiranno la riunificazione del popolo ebraico e la ricostruzione. Il Talmud propone una famosa storia e ci racconta il viaggio di Rabbi ‘Aqiba e dei suoi discepoli a Gerusalemme dopo la distruzione del secondo Tempio e precisa che i discepoli cominciarono a piangere arrivando al monte del Tempio e vedendo una volpe uscire dal Santo dei santi. R. ‘Aqiba invece si mise a sorridere e, rispondendo allo stupore dei suoi compagni, spiegò che, siccome costatava che la profezia di Michea sulla distruzione di Sion si era ormai compiuta, poteva sorridere sperando nella realizzazione prossima della profezia di Zaccaria (8,4) che ne era tributaria: Ogni giorno, tre volte al giorno, gli ebrei osservanti pregano rivolgendosi, da qualsiasi parte del mondo, verso Israele; quelli che risiedono in Israele pregano rivolgendosi verso Gerusalemme; quelli che abitano in città pregano in direzione del Kotel Hamaaravi, il Muro Occidentale (l’unica vestigia, si tratta di un muro di cinta dell’antico Santuario), e quelli che si trovano davanti al Muro pregano verso il luogo (il Kodesh Hakodashim, il sancta sanctorum) che era il centro del Santuario e nel quale risiedeva permanentemente la shekinàh, la presenza immanente di Dio. E' un flusso spirituale, una corrente mistica che non ha eguali in altre fedi e che testimonia che la distruzione materiale del Santuario ha per certi versi rafforzato quel santuario interiore che ogni ebreo porta dentro di se, ha rafforzato il senso di appartenenza e l'identità del popolo ebraico. Due volte infatti fu costruito e due volte distrutto quello che era il centro spirituale di Israele. La costruzione del primo Bet Hamikdash - che richiese sette anni di lavoro e la partecipazione di tutto il popolo - avvenne su iniziativa del re Shelomò (Salomone) e si concluse nell’anno 2935 del calendario ebraico (826 a.e.v.). Quel tempio rimase in piedi per 410 anni, fino a quando nel nono giorno del mese di Av dell’anno 3345 del calendario ebraico (416 a.e.v.), venne distrutto dall’imperatore babilonese Nevuchadnetzar (Nabuccosonodor) che deportò la popolazione ebraica in Babilonia. Settant’anni dopo, grazie all’editto emanato dall’imperatore Ciro a favore della ricostruzione del Santuario, il popolo ebraico ritornò in patria guidato da Ezra lo Scriba e da Nechemyà. Iniziarono quindi i lavori di riedificazione del Tempio (3390 del calendario ebraico - 371 a.e.v.), più tardi ingrandito dal re Erode. Il secondo Tempio fu distrutto, anche esso nel giorno 9 del mese di Av, dalle truppe dell'imperatore romano Tito nell'anno 70 e.v. La distruzione del centro spirituale e religioso, e il conseguente «Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità». Finché la prima profezia rimaneva solo una minaccia, disse R. ‘Aqiba, «temevo che non si compisse la profezia di Zaccaria; ora che si è compiuta la profezia di Uria, so che la profezia di Zaccaria si compirà». I suoi discepoli allora esclamarono: «‘Aqiba, ci hai consolati! ‘Aqiba, ci hai consolati». A ricordare che Gerusalemme era ebraica basta leggere la Guerra Giudaica scritta da Giuseppe Flavio tra il 75 e il 79 e.v.: “Gerusalemme (scrive nel 5° libro, 4° capitolo) era protetta da una triplice cinta di mura, eccetto nella parte che affaccia su strapiombi impraticabili, dove il muro era uno solo. La città era costruita su due colline che si fronteggiano separate da una valle frapposta verso cui le case degradavano l’una dopo l’altra. Delle due colline quella che formava la città alta era notevolmente più elevata e aveva sulla sommità una spianata più ampia; per la sua forte posizione essa ebbe appunto il nome di fortezza dal re David, il padre di Salomone che fu il primo a costruire il tempio, mentre noi la designiamo col nome di piazza superiore. La seconda collina è quella che si chiama Akra e che formava la città bassa con la sua forma ricurva alle estremità”. E al 12° capitolo del secondo libro, scrive: “Essendosi la folla raccolta a Gerusalemme per la festa degli Azzimi, ed essendosi schierata la coorte romana sopra al portico del tempio - giacché usavano vigilare in armi in occasione delle feste, per evitare che la folla, raccolta insieme, desse inizio a qualche sommossa - uno dei soldati, sollevatasi la veste e inchinatosi con mossa indecente, mostrò ai giudei il suo deretano accompagnando il gesto con un acconcio rumore. La cosa fece imbestialire la folla, che con grandi schiamazzi esigeva da Cumano (generale romano, ndr.) la punizione del soldato, mentre i giovani con la testa più calda e gli elemen- anni anteriori alla Guerra dei Sei Giorni, quando la città era tagliata in due da un muro, che separava il Regno di Giordania dallo Stato di Israele e che era conosciuto come “confine urbano”. I luoghi santi del Giudaismo, nella parte est della città, - il Muro Occidentale e l’antico cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi - non erano accessibili agli Ebrei. Per questa ragione Gerusalemme viene descritta come «la città che siede solitaria, nel cuore della quale sta un muro...»: con questa frase il testo rinvia anche al Libro delle Lamentazioni («Come siede solitaria la città una volta tanto popolosa!» 1,1). Anche la frase «Come si sono seccate le cisterne d’acqua» richiama i testi profetici (per esempio Geremia 2,13). La struggente melodia e l'incredibile coincidenza storica - fu presentata in un festival canoro tre settimane prima dello scoppio della Guerra dei Sei giorni - fecero della canzone uno dei canti di battaglia dei soldati israeliani. Così dopo che Gerusalemme fu conquistata e riunificata e gli ebrei poterono dopo duemila anni tornare a pregare davanti alle grandi pietre del Muro, la Shemer aggiunse una nuova strofa: " Siamo ritornati alle cisterne d’acqua, al mercato e alla piazza, uno shofar risuona sul Monte del Tempio, nella Città Vecchia, e nelle grotte che ci sono nella roccia splendono mille soli: torneremo a scendere verso il Mar Morto, sulla strada di Gerico ". Quello shofar (il corno di montone) che effettivamente il rabbino Rav Shlomo Goren suonò davanti al Muro, circondato dai paracadutisti del generale Motta Gur che il 7 giugno 1967 riconquistarono Gerusalemme. Ma tutto questo l'Unesco non lo sa. GIACOMO KAHN NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 ti per loro natura più ribelli del popolo si gettavano allo sbaraglio e, afferrate delle pietre, le scagliavano contro i soldati”. Per duemila anni agli ebrei fu quindi impedito di avvicinarsi a quel Muro occidentale verso il quale sono state versate lacrime di nostalgia e di rimpianto, ragione per la quale i non ebrei ne trassero la definizione di ‘Muro del pianto’. Quanto sia centrale Gerusalemme nel sentimento ebraico basta assistere ad un matrimonio ebraico: sotto la Kuppah (baldacchino nunziale) non mancano mai musica canti e allegria, ma anche una ‘curiosa’ usanza: lo sposo rompe un bicchiere, schiacciandolo sotto la scarpa, accompagnandolo con le parole " im eshkachekh Yerushalaim.., se ti dimenticherò Gerusalemme....". E' un gesto con il quale si tramanda la conservazione della memoria storica, ma anche la dimostrazione della consapevolezza che anche nei momenti di massima gioia e di allegria, ogni ebreo non deve dimenticare mai la perdita di Gerusalemme, e questo soprattutto nelle fasi più importanti della propria esistenza. E il matrimonio è uno di questi momenti, nel quale si compenetrano le identità e i destini personali degli sposi con l'identità del popolo che devono ricordare con la 'rottura' del bicchiere, che non è sanata l'antica 'rottura' storica. Ma la suggestione di Gerusalemme non è relegata alla sola memoria e ai riti religiosi, pervade - si potrebbe dire - persino la società israeliana, per molta parte laica e per nulla mistica. Yerushalayim shel zahav (Gerusalemme d’oro), è una canzone popolare israeliana, scritta e musicata da Naomi Shemer prima dello scoppio della Guerra dei Sei giorni del 1967 che è diventata l'inno extra-ufficiale di Israele. La canzone descrive la situazione di Gerusalemme negli Contatti: Yael Ilmer Giron 392 889 1103 I [email protected] I www.masaisrael.org Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod 5 COPERTINA La nostra identità è nel tempo e nello spazio NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 C 6 Negare l’origine ebraica di Gerusalemme è un vergognoso tentativo di minare la nostra sopravvivenza che nel Santuario sintetizza i tre concetti base di Torà, popolo e terra di Israele i sono dei momenti in cui anche per chi cerca di vivere pienamente sia la propria identità ebraica che quella del paese di cui è cittadino e che ama, la distanza delle due esperienze si manifesta apertamente: non necessariamente come conflitto, ma piuttosto come incomprensione, dissonanza cognitiva. I fatti, la loro importanza, la loro concatenazione sembrano semplicemente diversi visti dai due punti di vista. Uno di questi momenti è stato di recente il voto dell’Unesco che negava – fra l’altro utilizzando un artificio comunicativo banale e un po’ vile, l’uso tendenzioso dei toponimi ogni relazione fra popolo ebraico e la storia di Gerusalemme. Per molti dei miei amici non ebrei, quel voto, se per caso l’avevano notato, era solo l’ennesima sceneggiata di un’istituzione internazionale chiaramente al di sotto di ogni sospetto. Per gli ebrei degni di questo nome (non per i soliti amici del re di Prussia) si trattava invece di una ferita simbolica intollerabile, più grave in fondo, benché incruenta, del terrorismo quotidiano dei palestinesi. Ma gli altri, i non ebrei anche la maggior parte di quella minoranza che è sinceramente nostra amica, non capiva. Non era in gioco la nostra vita, non c’erano conseguenze immediate sul terreno: allora perché sdegnarsi? Credo che sia importante prendere atto di questa distanza e provare a spiegare, ricucire questa distanza col pensiero. Per cercare di farlo, io credo sia opportuno partire dal rapporto di Israele col tempo e con lo spazio. Il popolo ebraico ha un insediamento solidissimo nel tempo. E’ certamente il solo popolo che parli – con differenze relativamente minori - la lingua della sua fondazione storica (quella biblica); il solo che festeggi o lamenti come contemporanei eventi di 3500 anni fa (per esempio l’uscita dall’Egitto); che preghi su una liturgia essenzialmente definita almeno 2000 anni fa e applichi regole di comportamento formulate ancora prima (nel cibo, nel matrimonio, non solo nella vita religiosa). Questo non ne fa però affatto un popolo che ha sede solo nel tempo (e nemmeno portano a questo risultato il rispetto dello Shabbat e del calendario lunar/solare), come pure vorrebbero alcuni anche grandi studiosi. Il popolo ebraico non vive soprattutto nel tempo, perché ha un orientamento spaziale sentitissimo, con al centro il Tempio, poi Gerusalemme, poi la terra di Israele, il resto del mondo. Da sempre verso Gerusalemme si prega e ci si fa seppellire, un sacchetto di terra di Israele è d’uso nella sepoltura, i frutti caratteristici di quel territorio segnano i momenti di gioia e di festa. Anche se molti non vi abitano e magari non l’hanno mai vista per molte generazioni, la terra di Israele è sempre stata al centro dei pensieri degli ebrei. L’ebraismo è una cultura tanto spaziale che temporale, ricorda luoghi e tempi con la stessa energia identitaria. La differenza è che quanto siamo sicuri che le gesta di Abramo, di Mosè, di Sansone e di Ester ci riguardano a distanza di millenni, tanto siamo acutamente consapevoli della fragilità del nostro rapporto con la terra cui apparteniamo e che ci appartiene. Dei tre vertici del triangolo dell’esistenza ebraica (la Torà, il popolo, la terra di Israele), il terzo è quello più evidentemente fragile, quello che ci è stato più volte sottratto (per punizione divina, si usa dire nel linguaggio religioso; per violenza di occupazioni e assedi, in quello politico). Non solo: il fatto di essere stati depredati della nostra patria e ridotti all’esilio è stato spesso usato contro di noi da coloro stessi che ci occupavano e ci opprimevano. Un popolo estraneo, le cui leggi sono diverse dalle nostre, ci definirono il Faraone e Haman. L’ebreo errante, punito per aver rifiutato il Vangelo, ci chiamò con scherno la chiesa. “Bodenlose”, senza terra, ci dicevano i nazisti, a partire da Heidegger, come buona ragione per negarci anche la sepoltura e farci uscire dal camino. Quindi al contrario dei paesi europei, il cui passato è vago, discontinuo e spesso semplicemente dimenticato, e il cui radicamento nel loro territorio è presentato come intatto (anche se non è vero, si pensi alle invasioni barbariche, a quelle normanne e a quelle arabe, che hanno turbato così profondamente e a varie riprese la demografia del continente), gli ebrei ricordano con ostinato affetto le loro radici ma sono stati strappati spesso alle loro radici geografiche. Probabilmente: le ricordano con tanta ostinata passione anche perché ne sono stati strappati. E questa passione è fatta di luoghi, o almeno dei loro nomi, del Monte del Tempio, Har Habait, del Muro “del pianto”, come lo chiamano gli occidentali il Kotel per antonomasia; della Tomba dei Patriarchi a Hebron, del Carmelo, di Safed o Tzfat, la città dei Cabalisti. Il desiderio è la presenza viva, sentita, sognata, dolcissima e amara di ciò che manca; per questo gli ebrei hanno sempre desiderato la loro terra, hanno chiesto tutti i giorni, in ogni preghiera, di tornare a Gerusalemme e al Tempio, di essere di nuovo radunati in Eretz Israel. E il sionismo è questo, anche se in una dimensione prevalentemente laica: il ritorno a una terra propria ma occupata, espropriata, saccheggiata. Non c’è sionismo senza Sion. E Sion, per chi non lo sapesse, è semplicemente un altro nome di Gerusalemme. Quando dunque non solo si vuole togliere di nuovo Gerusalemme al popolo ebraico, si vuole di nuovo fare pulizia etnica come la fecero i Babilonesi e i romani e i crociati e gli arabi, per l’ultima volta i beduini della Giordania guidati dalla civilissima Gran Bretagna; ma si cerca anche di epurare la memoria, di togliere i nomi, di negare le appartenenze, di fingere che il Tempio non sia mai stato al centro di Gerusalemme, si presentano le tombe dei patriarchi a Un nuovo negazionismo antiebraico si aggira per le Nazioni Unite Il suo obiettivo è delegittimare Israele, anche scivolando nel ridicolo U n nuovo negazionismo antisemita si aggira per le Nazioni Unite. Alla vecchia e falsa accusa negazionista, secondo cui lo sterminio nazista non ci sarebbe mai stato, o al più è stato “esagerato”, si è aggiunta una nuova e falsa accusa, secondo cui l’intera storia ebraica è un falso. Se non fosse per le implicazioni, verrebbe da ridere amaramente all’idea che una votazione dell’Unesco - nata per tutelare i beni comuni dell’umanità -, la storia possa essere cancellata con un trattino a uso e consumo di stati autoritari e totalitari. Siamo di fronte a una nuova deriva dell’antisemitismo che facendo leva sul ricatto e sulle paure di un futuro economico incerto, che sembra guadagnare spazio, anche nelle università più importanti, sulla confusione e le angosce in un mondo in cui la guerra e il terrore si sovrappongono e non sono più dei fatti lontani, non esita a utilizzare le sedi più importanti delle Nazioni Unite per mettere in discussione la legittimità stessa dell’esistenza di Israele. Poco importa se per fare questo ci si copra di ridicolo. Ciò che conta è l’obiettivo. E poiché l’obiettivo è la delegittimazione dell’esistenza di Israele, e la sua demonizzazione, ogni azione è considerata buona. Che gli Stati europei, nella loro stragrande maggioranza l’Europa, si astengano, e che la Chiesa taccia, è un segno dei tempi. Della gravità di una vasta zona grigia, in cui le ragioni di una malintesa realpolitik, aprono la strada a un’aberrante forma di antisemitismo. Ben più grave delle false accuse contro il sionismo, con cui il comunismo sovietico, la sinistra terzomondista e il nazionalismo arabo hanno, in modo diverso, veicolato e perversamente cavalcato l’antisemitismo, presentandolo come una forma di “anticolonialismo” e di “antimperialismo”. DAVID MEGHNAGI La nostra esperienza nel realizzare matrimoni esclusivi, fatti di location suggestive, menù eccellenti, atmosfere uniche, curati fin nei minimi dettagli, ora applicata anche alle regole della cucina ebraica per un perfetto matrimonio Kasher AWARD AWARD AWARD Tel. +39 06 871 9631 · +39 335 10 4 1591 Roma · Via Monte Bianco, 72 [email protected] · [email protected] www.latorrecatering.it NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Hebron e quella di Rachele a Betlemme come moschee, allora si fa un’operazione che invade non solo lo spazio fisico, che gli ebrei sono abituati a dover cedere e su cui accettare compromessi, ma anche quello simbolico e della memoria. Si sfidano non solo i monumenti, ma anche i nomi, che insieme fanno il titolo del museo della Shoà di Gerusalemme nell’endiadi profetica Yad Vashem. E questo allo spirito ebraico appare un gesto dell’ordine del genocidio, che minaccia il genocidio, anche se non ha la forza di realizzarlo, almeno non ora (e il Cielo non voglia mai). Perché a essere attaccata dalla delibera dell’Unesco è l’identità ebraica, nel luogo in cui essa è maggiormente radicata sul piano simbolico come su quello fisico: la memoria di Gerusalemme. Per questa ragione gli ebrei non capiscono perché la Chiesa non abbia il sussulto di dignità identitaria che è necessaria per tutelare l’identità dei luoghi del racconto evangelico; e i cristiani, in genere gli occidentali non capiscono la suscettibilità ebraica. La ragione è che per il cristianesimo la Gerusalemme terrestre è solo una pallida immagine della Gerusalemme celeste: è solo la “storia della salvezza” che vi si svolge a sacralizzarla. Per gli ebrei la Terra promessa (o piuttosto “donata” come mi ha insegnato a dire Haim Baharier) ha una sua santità prima della storia che vi si svolge: “il Signore era qui anche se io non lo sapevo” come dice Giacobbe (il cui nome in seguito diverrà Israele) dopo aver dormito e sognato la scala verso il cielo in un luogo che la tradizione identifica con il Monte del Tempio. Questo io cercherei di spiegare a un amico cristiano, se avesse la pazienza di seguirmi. Nella speranza che capisca che Gerusalemme per noi non è l’equivalente di Roma, di Parigi o del Vaticano, ma molto di più: “la casa del Signore e la porta del cielo”, come dice ancora Giacobbe negli stessi versetti (Genesi 18-16-17). Il luogo dunque dove il triangolo dell’ebraismo diventa una sola identità. Il luogo da cui materialmente si può essere cacciati, ma che simbolicamente non si può abbandonare. UGO VOLLI 7 COPERTINA Una vergogna chiamata Unesco Autocrazie e vere e proprie dittature dettano la linea anti-israeliana dell’organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e la cultura N el 1952 Pier Luigi Nervi, Marcel Breuer e Bernard Zehrfuss disegnarono il palazzo in cemento e vetro dell’Unesco, l’organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e la cultura nata sette anni prima. Pablo Picasso donò i suoi affreschi. Doveva essere il momento della rinascita della cultura occidentale dopo la guerra, l’orrore nazista e la Shoah. Evidentemente è andata diversamente, se l’Unesco è diventata l’agenzia Onu che ha ricevuto più critiche durante i suoi settant’anni di vita. E il caso dell’ultima risoluzione sulla «Palestina occupata» – la risoluzione che nega ogni legame storico e culturale degli ebrei con Har HaBayt e con il Muro del Pianto – è solo l’ultimo di una lunga serie, non un semplice incidente di percorso. Un breve viaggio nel mondo e nella storia dell’Unesco può far capire come siamo arrivati a questo punto. Nel suo board siedono 58 Paesi membri. Di questi, stando all’organizzazione non governativa Freedom House, 20 sono «parzialmente liberi», 15 sono «non liberi» e soltanto 23 «liberi». Solo per fare un esempio, al momento anche il regime sudanese di Omar al Bashir, ricercato per genocidio dalla Corte dell’Aja, siede nel board esecutivo dell’agenzia. Di fatto, autocrazie e vere e proprie dittature dettano la linea nella commissione mondiale delle idee. Evidente la scelta di alcuni governi arabi – che si ripete con formule diverse da quasi 70 anni – di adottare posizioni estreme contro Israele nella convinzione che ciò possa garantire un L’ossessione anti-israeliana NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 I 8 l Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha adottato, dal 2006 al 2015, 135 risoluzioni, di cui 68 contro Israele; l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2012 al 2015 ne ha approvate 97, di cui 83 contro Israele; e l’Unesco che dovrebbe difendere la cultura (mentre nulla ha fatto mentre si distruggeva Palmira), adotta ogni anno 10 risoluzioni, il 100 per cento, contro Israele. Non è la prima volta che l’Unesco si dimostra un organismo internazionale che – al di là delle belle intenzioni e della sua missione che dovrebbe essere la conservazione del patrimonio culturale dell’umanità – tradisce una politica ferocemente contro Israele, condizionata e controllata dalla maggioranza dei Paesi arabi. Il 10 novembre 1975, l’Unesco approvò – su richiesta dei paesi arabi una vergognosa risoluzione che equiparava il sionismo, movimento di liberazione del popolo ebraico e di ritorno alla terra dei padri – al razzismo. Quella risoluzione fu abrogata il 16 dicembre 1991 (attraverso un’altra Risoluzione, la 46/41), con una maggioranza schiacciante di 111 voti favorevoli. La vittoria morale di Israele fu nel fatto che tra i 111 Paesi che la revocarono ce n’erano molti che sedici anni prima l’avevano promossa. Rimane impressa nell’immaginario degli israeliani l’immagine dell’ambasciatore israeliano Chaim Herzog al Palazzo di Vetro che stracciava la Risoluzione davanti all’assemblea riunita in sessione plenaria. ritorno di facile consenso popolare nei rispettivi Paesi. Già nel 1971, gli Stati Uniti accusarono l’Unesco di essere un covo di spie sovietiche: nella sede di Parigi si sarebbe annidato il più importante centro di informazione russo in Europa. Negli anni Ottanta, l’Unione sovietica e i suoi stati satellite orientarono pesantemente i programmi culturali dell’organizzazione. Nel 1984 Ronald Reagan e l’anno dopo Margaret Thatcher fecero uscire Stati Uniti e Gran Bretagna dall’Unesco. Gli inglesi sono rientrati soltanto nel 1997 e gli Stati Uniti nel 2002. Ma è contro Israele che questa agenzia dell’Onu ha storicamente dato il suo peggio. Citiamo solo gli episodi più eclatanti. Nel 1973 inviò a Gerusalemme l’archeologo belga Raymond Lemaire per controllare lo stato degli scavi israeliani nella città santa. Lemaire tornò con un rapporto che testimoniava dettagliatamente il rispetto israeliano per la parte araba e cristiana della città. Evidentemente deluso dal risultato, l’Unesco soppresse il rapporto. L’anno seguente, durante la XVIII Conferenza generale, su proposta del blocco comunista e arabo l’Unesco si rifiutò di inserire Israele in una qualsiasi area del mondo, escludendola di fatto da tutte le sue attività e finanziamenti. Per non dimenticare la risoluzione del 1975 che equiparava il sionismo al «razzismo». Più recentemente, nel 2001, l’Unesco promosse la “Dichiarazione del Cairo: Documento per la Preservazione delle Antichità di Gerusalemme”, in cui Israele era accusata, senza prove concrete, di distruggere le antichità islamiche sul Monte del Tempio. E l’anno seguente stava per designare come suo direttore, contrastato con successo da Elie Wiesel, l’egiziano Farouk Hosni, famoso per aver dichiarato davanti al Parlamento del Cairo di voler bruciare personalmente i libri israeliani raccolti nella Biblioteca di Alessandria. Nel 2009, l’Unesco designò Gerusalemme «capitale della cultura araba» e collaborò attivamente con funzionari dell’Autorità Palestinese per protestare contro quella che descrivevano come «l’occupazione israeliana della Santa Gerusalemme». Durante la Seconda Intifada poi l’Unesco condannò in termini vaghi Israele per «la distruzione del patrimonio culturale nei territori palestinesi», definendolo «un crimine contro il patrimonio dell’umanità», rimanendo però in silenzio mentre la tomba di Giuseppe, il terzo più importante santuario religioso ebraico, era data alle fiamme per costruire al suo posto una moschea. E ancora, l’agenzia Onu nel 2010 definì ufficialmente la Tomba di Rachele e la Grotta dei Patriarchi a Hebron, ovvero il secondo e il terzo luogo più sacro al mondo per l’ebraismo, «moschee musulmane». Tesi sostenuta con un rapporto scientifico in cui si faceva convertire all’islam anche il filosofo-medico ebreo Maimonide, registrandolo con il nome di “Moussa Ben Maimoun”. Nel 2014, a pochi giorni dall’inaugurazione, nel 2014 l’Unesco ha cancellato una mostra organizzata a Parigi che documentava i 3.500 anni di legami ebraici con la Terra Santa. Motivazione: «potrebbe essere percepita dagli stati membri come una minaccia al processo di pace». E così si arriva a martedì 18 ottobre 2016, quando il consiglio esecutivo dell’Unesco ha approvato la risoluzione n. 25, cancellando di fatto il rapporto fra gli ebrei e il principale complesso religioso di Gerusalemme – che in tutto il documento viene chiamato esclusivamente col suo nome islamico, Al Haram Al Sharif. Per citare il quotidiano Haaretz, «è il giorno in cui l’Onu ha degradato il sito ebraico più importante al mondo al rango di una stalla». LUCA D’AMMANDO Nella foto in alto: la Tomba di Giuseppe data alle fiamme In basso: Chaim Herzog alle Nazioni Unite Non cambiano mai Le risoluzioni contro lo Stato ebraico votate con la vergognosa astensione dei Paesi che hanno l’abitudine di avere un ‘piede in due scarpe’ I per essere cancellata, si dovette attendere ben 16 anni. Nel 1991, sotto la presidenza di George H. W. Bush, venne cancellata dalla Assemblea Generale, con questa votazione: 111 a favore (90 dei quali l’avevano votata, Italia compresa), 25 contro e 13 astenuti. Come poté avvenire, anche se con questo enorme ritardo? Israele, per accettare di partecipare alla Conferenza di Pace di Madrid di fine 1991 esigeva che venisse revocata. Proprio così, un gesto forte del governo di Gerusalemme, ottenne con una richiesta appropriata e al momento giusto, la cancellazione di una risoluzione ignobile, anche se paragonata oggi a quella dell’Unesco ci appare persino meno pericolosa. La sostituzione della storia ebraica, con una islamica, è indubbiamente l’iniziativa BDS più grave che abbia colpito fino ad oggi Israele. Un augurio: che si presenti al più presto un’occasione ‘convincente’ che mandi a quel paese l’Unesco e la sua risoluzione. E che i paesi democratici, Italia compresa, la smettano con l’attitudine del ‘piede in due scarpe’. ANGELO PEZZANA Il Fiocco Chic bomboniere e non solo Creazioni artigianali, uniche, ricercate e personalizzate per matrimoni, nascite, bar/bat mitzvà con confetti casher by Laura Palazzo Borghese Largo Fontanella Borghese, 19 - 00186 Roma Tel. 06.68135703 - Cell. 334.8966343 [email protected] - www.bombonierechic.com È gradito appuntamento NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 l voto dell’Unesco che cancella la presenza storica ebraica a Gerusalemme riconferma la funzione anti-Israele dell’Onu tout court. È opportuno ricordare un altro voto, avvenuto nell’ormai lontano 1975, che definiva il sionismo “una forma di razzismo e una discriminazione razziale”, dopo che per un anno, l’Olp di Arafat aveva ottenuto lo status di “osservatore” dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 1974. Furono 72 i voti a favore - guidati dall’Unione Sovietica con i paesi comunisti e dalla maggior parte dei paesi arabi/musulmani - 35 i contrari e 32 le astensioni. L’allora ambasciatore d’Israele all’Onu, Chaim Herzog, intervenne con un discorso nobilissimo, ricordando con orgoglio come in Israele, in ogni professione, tutti i cittadini arabi godessero di eguali diritti e doveri, dalla Knesset alle forze di difesa, dalle strutture ospedaliere alle scuole e università. “E’ razzismo, questo?” Affatto, è questo il sionismo! affermò, concludendo: “Per noi, popolo ebraico, questa risoluzione nasce dall’odio, dalla menzogna e dall’arroganza, priva di ogni valore morale e legale. È un pezzo di carta, che va considerato come tale”. Haifa, Gerusalemme e Tel Aviv cambiarono il nome alle strade che si chiamavano “Nazioni Unite” con “via del Sionismo”. Come si vede, la storia si ripete. È difficile che il voto dell’Unesco possa essere revocato in tempi brevi, lo stesso vale per il voto di astensione dell’Italia, che riconferma come le buone intenzioni (storico discorso di Matteo Renzi alla Knesset) finiscono poi per lastricare le strade dell’inferno (mantenere forti relazioni con il mondo arabo, anche a spese dell’amico Israele). La risoluzione Onu 3379, che equiparava sionismo a razzismo, 9 COPERTINA Unesco patrimonio dell’amenità NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 L 10 a seconda cosa da fare è rimanere sui fatti. Poiché la prima dovrà essere lo studio dell’ennesima sceneggiata ONU. Se non fosse davvero il caso di mettersi a piangere, come si dice a Roma, verrebbe da ridere. Infatti l’UNESCO (quartier generale a Parigi, già capitale dei Lumi e della logica) decide di precipitare nel ridicolo, e per i luoghi sacri di Gerusalemme impone di servirsi soltanto della toponomastica araba. Naturalmente, dopo le celebri missions dei Budda di Bamiyan, dei manoscritti sufi di Timbuctù e delle vestigia di Palmyra: missioni possibili, ma deragliate per insipienza burocratica e per il cinismo delle grandi potenze. Si potranno così aggiungere ai monumenti patrimonio dell’umanità una nuova serie di fenomenali scivolate: le quali andranno ad arricchire il già vasto patrimonio delle amenità più o meno volontarie che connotano anche con l’assurdo le cronache spaventevoli del vicino oriente. L’ONU risulta una struttura complessa, dove non tutti fanno parte di tutto poiché bisogna pagare prezzi salati in termini tanto monetari quanto ideologici. Le dependances per cibo e agricoltura (FAO Roma), cultura (UNESCO Parigi), salute e sanità (OMS- WHO Ginevra), infanzia (UNICEF New York) si segnalano spesso per risoluzioni e mozioni antisioniste/anti-Israele, sollecitate e fatte approvare dal blocco dei paesi arabi e islamici. Gridare all’antisemitismo è inutile e sostanzialmente irrilevante sulla scena politica planetaria. Tanto per chiarire le cose su quel che fu il Terzo Mondo, e per non parlare soltanto di Henry Kissinger: gli unici ebrei dei quali può avere memoria la classe politica del Vietnam sono i pacifisti USA più arrabbiati e più decisivi al tempo di “Stop bombing Vietnam” (mezzo secolo fa). Il tempo dei ricatti arabo-petroliferi sponsorizzati dalla non più esistente Unione Sovietica è finito per sempre. Non tornerà. Risulta invece perfettamente operativa la bassa cucina politica utilizzata a fini interni per diluire il conflitto sociale nel Golfo arabo-persico e in Africa settentrionale, come anche per gridare più forte nel conflitto tra Sunniti e Sciiti. Insomma, chi la spara più grossa. Si tratta di armi potenti per la distrazione di massa, globalmente pubblicizzate dalle TV panislamiche modello Al-Jazeera e dalle copie superstiti dell’informazione stampata in Occidente. Fatto solo in apparenza singolare, l’Iran degli ayatollah brilla per assenza tra i presentatori delle risoluzioni su Gerusalemme, di marca rigorosamente sunnita. Dunque i fatti. Dell’UNESCO fanno parte 195 Stati e 10 Membri Associati. Nell’Executive Board (responsabile di azioni operative e risoluzioni) ci si alterna per gruppi e annate dosati con sapienti e attente mescolanze. E ancora fatti, qualcuno decisa- mente singolare. La prima mozione su Gerusalemme risulta dunque presentata da Palestina (che all’UNESCO è riconosciuta come Stato), insieme con Egitto, Algeria, Marocco, Libano, Oman, Qatar, Sudan. Il regime attuale egiziano è quel che è, e in Italia non risulta certo popolare. Però il governo di Israele ne apprezza fortemente gli sforzi per tenere sotto controllo la penisola del Sinai, bloccare Hamas, conservare il trattato di pace, agire da intermediario tra lo Stato ebraico e paesi islamici che vogliono mantenere la riservatezza. Gli altri firmatari si segnalano per essere tra i più reazionari del mondo arabo. Uno, il Sudan, risulta tuttora governato da un presidente che il Tribunale Penale Internazionale ha accusato nel 2009 di genocidio e crimini contro l’umanità, commessi durante la guerra nel Darfur. Però è sicuramente iniziato il conto alla rovescia che vedrà il 5 giugno 2017 risuonare in tutto il pianeta la fanfara arabo-islamica delle lamentazioni per il cinquantesimo anniversario della Guerra dei sei giorni. Ciliegina sulla torta mediatica, il 2 novembre 2017 ricorrerà il centenario della Dichiarazione Balfour e del progetto di un Focolare Ebraico nella terra delle origini. Abu Mazen ha aperto anche la campagna anti-Balfour. L’obiettivo appare individuato con chiarezza: convincere l’opinione pubblica internazionale che la questione palestinese è assolutamente decisiva. Tuttavia la grancassa web/televisiva e le azioni antiebraiche dotate di lasciapassare antisionista non cercheranno di indicare soluzioni. La possibile soluzione due popoli e due stati, se pure fosse risultata praticabile, non l’hanno affossata i settlers e gli insediamenti. In materia ha provveduto Daesh Isis. Già un giorno dopo la nascita dello Stato di Palestina, il nuovo califfato giocherebbe le sue carte. Prenderebbe Ramallah e Gaza, liquiderebbe Fatah e Hamas, e prima di occuparsi di Israele cercherebbe di infiltrare Egitto e Giordania. Anche il governo di Israele e le collettività ebraiche dovranno guardare i fatti con freddezza. Abu Mazen sa che si è aperta la successione ai suoi incarichi. Cerca di trovare un’intesa su Gaza. Con la presenza alla cerimonia funebre per Perez ha saputo dimostrare coraggio personale, sempre apprezzato in oriente. I sauditi vorrebbero sostituirlo con Mohammed Dahlan, attualmente in esilio, forse a Dubai. Infatti è sotto processo a Ramallah. Le cittadinanze attualmente possedute da Dahlan sono due: Serbia e Montenegro. Il Vicino Oriente è un posto complicato. Forse troppo difficile per l’UNESCO. PIERO DI NEPI Nella foto in alto: un papiro dell'epoca del Primo Tempio, 2700 anni fa, in cui appare chiaramente la parola Gerusalemme scritta in ebraico In basso: la bandiera della Palestina sventola con quella dell'UNESCO - Parigi dicembre 2011 Har HaBayit: il luogo più sacro dell’ebraismo N el giugno del 1967 migliaia di persone si commossero di fronte alla vittoria di due milioni di israeliani che resistettero all’attacco di duecento milioni di musulmani coalizzati, dall’Egitto alla Giordania, contro lo Stato di Israele. La commozione ebbe anche un sapore fortemente ebraico quando le forze dell’IDF annunciarono l’una all’altra che: “Il monte del Tempio è nelle nostre mani!”. Il luogo del Tempio di Salomone era tornato, dalla sua ultima distruzione nel 70 E.V., ad essere un sito ebraico o quantomeno sotto giurisdizione ebraica. Secondo Rav Yehuda Glick, direttore del Temple Institute, che sostiene la necessità halachica di una presenza ebraica sul monte del Tempio, noi siamo vittime di una narrativa sbagliata che racconta che il Kotel HaMaravi, il Muro Occidentale è il luogo più sacro per l’ebraismo e che il monte del Tempio appartiene all’Islam. Glick nell’ottobre del 2014 è stato vittima di un tentativo di assassinio da parte di un terrorista arabo ed è vivo per miracolo. Per comprendere a quale “lavaggio del cervello” si riferisce Glick, citando le sue stesse parole, dobbiamo analizzare la realtà halachica del monte del Tempio. Molti credono che sia vietato visitare l’Har HaBayit perché nella nostra generazione siamo tutti ritualmente impuri, data l’assenza del Tempio e l’impossibilità di purificarci dal contatto con la morte (tumat met) attraverso la cerimonia delle ceneri della vacca rossa. In realtà, nonostante esistano impurità individuali che impediscano halachicamente l’ascesa al monte del Tempio, esistono anche realtà halachiche, storiche e persino geografiche che incoraggerebbero il salire sul monte del Tempio. Per l’ebraismo spazio e luogo sono sacri ma con sfumature ed importanze diverse; Pesach è un momento sacro, ma non come lo Shabbat così come la kedusha del monte del Tempio aveva spazi più sacri di altri: l’Azarah, il cortile del Tem- pio che includeva il Tempio stesso e l’altare ed il monte del Tempio in senso generale. Nello stesso spazio del Tempio alcuni luoghi erano più sacri di altri ed interdetti a chi fosse in stato di impurità per un morto o chi avesse avuto una polluzione o il mestruo: nel primo caso si poteva salire sul monte del Tempio senza poter entrare in alcune parti di esso, nel secondo si poteva salire solo sul monte del Tempio dopo essersi immersi nel mikve. Maimonide (Bet Habechira 6: 14-15) e molti altri Maestri sia dell’antichità che contemporanei sostengono che, nonostante la distruzione del Tempio, l’area mantiene un proprio livello di santità. Scrive Maimonide: “Nonostante il fatto che oggi il mikdash sia stato distrutto a causa dei nostri peccati, non bisogna entrare in quell’area se non lì dove è permesso e non bisogna sedersi nell’Azarah e non comportarsi in maniera futile di fronte alla porta orientale… perché anche se si tratta di un area distrutta, possiede tutta la propria santità. (Bet HaBechirà 7,7). Oggi il Rabbinato Centrale di Israele e molte altre autorità rabbiniche, quelle stesse che secondo Glick fanno il lavaggio del cervello al popolo ebraico, vietano agli ebrei la salita sull’Har HaBayt, mentre altri maestri insistono nel permetterlo, all’interno di una atmosfera politica che ha portato, nel giugno del 2015, il tribunale di Gerusalemme a bannare Glick dall’ingresso nell’Har Habayit, mentre il commentatore politico americano Bernie Quigley lo paragonava a Gandhi per la sua resistenza non violenta seppur appassionata. In realtà, dal punto di vista storico gli ebrei non hanno mai abbandonato l’area del Tempio: nel 638 E.V. con la conquista musulmana agli ebrei fu permessa la costruzione in loco di un bet midrash e altri testi citati da Ben Zion Dinburg, ex ministro dell’Istruzione, raccontano di una sinagoga sull’Har HaBait tra il VII e l’XI secolo. Rav Shlomo Goren, già rabbino capo di Israele, provò l’esistenza di presenze ebraiche sull’Har Habayt persino prima della conquista islamica (Sefer Habayt, 5752 cap.26). Un aspetto importante della questione è l’esatta identificazione geografica dei luoghi e della santità ad essi connessa: dove si trovava esattamente l’area dell’Har HaBayt? La Mishna in Middot 2,1 afferma che l’Har HaBayt comprendeva uno spazio di circa 62,500 metri, oggi l’area coperta dal sito della moschea è di circa 145,500 metri e si basa sui lavori di ampliamento del Tempio voluti da Erode che comprendevano anche uno spazio per i visitatori non ebrei (oggi il sito è vietato nella sua interezza a visite per i non musulmani), quindi le autorità rabbiniche che permettono la salita sul monte del Tempio affermano con sicurezza che sia l’area sud, cioè nei pressi della moschea di Al Aqsa, che quella a nord sono di origine erodiana e pertanto non presentano necessità di visite in stato di purità rituale. Autorità come Rav Ovadia Yosef che pur sono preoccupate dall’idea di una visita in stato di tumat met, non manifestano nessun problema per visite nell’area perimetrale dell’Har HaBayit. Glick stesso afferma, rispetto ai dubbi rituali di molte autorità rabbiniche che: “Dopo aver visitato per la prima volta il Monte del Tempio ho scoperto con mio enorme sorpresa quanto enorme sia lo spazio interessato dall’intera aerea e quanto piccola sia la sezione a noi ritualmente proibita, anche per le misure halachiche più stringenti.” In una realtà politica che vede le autorità islamiche impegnate in una costante negazione dell’ebraicità dell’aerea del Tempio e di una Unesco che partecipa a questo infame ricatto, la risposta più autentica per la legittimità dell’identità del luogo resta solo la visita ad esso nel rispetto di un halachà che sia strumento di vita ebraica e non espressione di volontà politica. PIERPAOLO P. PUNTURELLO NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Vi sono discussioni tra i Maestri sulla possibilità di accesso alla spianata 11 ISRAELE Le parole di Benjamin Netanyahu alle Nazioni Unite Il discorso pacato ma fermo del premier israeliano all’Assemblea Generale dell’Onu lo scorso 22 settembre NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 “S 12 ignor Presidente, Signore e Signori, Quello che sto per dire vi shockerà: Israele ha un futuro luminoso alle Nazioni Unite. Ora, so che sentire ciò da me sarà una sorpresa, perché anno dopo anno in piedi su questo podio ho sempre accusato le Nazioni Unite per la loro propensione ossessiva contro Israele. Le Nazioni Unite meritavano ogni parola sferzante - per la disgrazia dell’Assemblea Generale che lo scorso anno ha approvato 20 risoluzioni contro lo Stato democratico di Israele ed un totale di tre risoluzioni contro tutti gli altri paesi del pianeta. Israele - venti; resto del mondo - tre. E che dire dello scherzo di chiamare “Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite”, chi ogni anno condanna Israele più di tutti i paesi del mondo messi insieme. Mentre le donne vengono violentate sistematicamente, uccise, vendute come schiave in tutto il mondo, qual è l’unico paese che la Commissione delle Nazioni Unite sulle donne ha scelto di condannare quest’anno? Sì, avete indovinato - Israele. Israele. Israele, dove le donne pilotano aerei da combattimento, guidano grandi aziende, sono a capo di università, hanno per due volte presieduto la Suprema Corte e sono state presidente del Parlamento e Primo Ministro. E questo circo continua presso l’Unesco. Unesco, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di preservare il patrimonio mondiale. Ora, questo è difficile da credere, ma l’Unesco ha appena negato la connessione lunga 4000 anni tra il popolo ebraico e il suo luogo più sacro, il Monte del Tempio. Questo è assurdo come negare la connessione tra la Grande muraglia cinese e la Cina. Signore e signori, l’ONU, nata come forza morale, è diventata una farsa morale. Così, quando si tratta di Israele alle Nazioni Unite, penserete probabilmente che non cambierà mai niente, giusto? Bene, pensateci meglio. Vedete, tutto cambierà e molto prima di quanto pensiate. Il cambiamento avverrà in questa sala, perché a casa, i vostri governi stanno rapidamente cambiando il loro atteggiamento nei confronti di Israele. E prima o poi, ciò cambierà il modo in cui votate su Israele alle Nazioni Unite. Sempre più nazioni in Asia, in Africa, in America Latina, sempre più nazioni vedono Israele come partner potente - un partner nella lotta contro il terrorismo di oggi, un partner nello sviluppo della tecnologia di domani. Oggi Israele ha relazioni diplomatiche con più di 160 paesi. Quasi il doppio di quando ero qui come ambasciatore di Israele circa 30 anni fa. E quei legami diventano più ampi e profondi di giorno in giorno. I leader mondiali apprezzano sempre più che Israele è un paese potente, con uno dei migliori servizi di intelligence del mondo. A causa della nostra esperienza senza pari e comprovate capacità nella lotta al terrorismo, molti dei vostri governi cercano il nostro aiuto nel mantenere i vostri paesi sicuri. Molti cercano anche di beneficiare dell’ingegnosità di Israele nell’agricoltura, nella sanità, nelle risorse idriche, nell’informatica e nell’integrazione dei grandi volumi di dati, nella connettività e nell’intelli- genza artificiale - l’integrazione che sta cambiando il nostro mondo in ogni modo. Considerate questo: Israele è leader mondiale nel riciclo delle acque reflue. Noi ricicliamo circa il 90% delle nostre acque di scarico. Non è straordinario? Dato che il successivo paese sulla lista ricicla solo il 20% delle sue acque reflue, Israele è una potenza globale dell’acqua. Quindi, se si ha un mondo assetato, e lo abbiamo, non c’è alleato migliore di Israele. Che ne dite della sicurezza informatica? Questo è un problema che riguarda tutti. Israele conta un decimo dell’uno per cento della popolazione mondiale, ma l’anno scorso abbiamo attirato circa il 20% degli investimenti privati globali nella sicurezza informatica. Voglio che assimiliate questo numero. In informatica, il valore di Israele è enorme, 200 volte il proprio peso. Così Israele è anche una potenza informatica globale. Se gli hacker prendono di mira le vostre banche, gli aerei, le vostre reti elettriche e tutto il resto, Israele può offrire un aiuto indispensabile. I governi stanno cambiando il loro atteggiamento nei confronti di Israele, perché sanno che Israele può aiutarli a proteggere i loro popoli, può aiutarli a sfamarli, li può aiutare a migliorare la loro vita. Questa estate ho avuto l’opportunità incredibile di vedere questo cambiamento in modo così vivo nel corso di una visita indimenticabile in quattro paesi africani. Questa è la prima visita in Africa da parte di un primo ministro israeliano negli ultimi decenni. Più tardi, oggi, incontrerò i leader di 17 paesi africani. Discuteremo come la tecnologia israeliana può aiutarli nei loro sforzi per trasformare i loro paesi. In Africa, le cose stanno cambiando. Anche in Cina, in India, in Russia, in Giappone, l’atteggiamento nei confronti di Israele è cambiato. Queste potenti nazioni sanno che, nonostante le sue ridotte dimensioni, Israele può fare una grande differenza in molte, molte aree che sono importanti per loro. Ma ora vi sorprenderò ancora di più. Vedete, il più grande cambiamento di atteggiamento nei confronti di Israele è in atto altrove. E’ in atto nel mondo arabo. I nostri trattati di pace con l’Egitto e la Giordania continuano ad essere ancore di stabilità in un Medio Oriente instabile. Ma devo dirvi questo: per la prima volta nella mia vita, molti altri Stati della regione riconoscono che Israele non è il loro nemico. Essi riconoscono che Israele è loro alleato. I nostri nemici comuni sono l’Iran e l’ISIS. I nostri obiettivi comuni sono la sicurezza, la prosperità e la pace. Credo che nei prossimi anni lavoreremo insieme per raggiungere questi obiettivi collaborando apertamente. Quindi le relazioni diplomatiche di Israele sono in una fase niente di meno che rivoluzionaria. Ma in questa rivoluzione, non dimentichiamo mai che la nostra alleanza più cara, la nostra più profonda amicizia è con gli Stati Uniti d’America, la più potente e la più generosa nazione sulla terra. Il nostro legame indissolubile con gli Stati Uniti d’America trascende i partiti e la politica. Essa riflette, soprattutto, il sostegno enorme per Israele del popolo americano, il supporto che è a livelli record e per il quale te applaudirà l’ONU. Ma voglio chiedervi: perché dobbiamo aspettare un decennio? Perché continuare a diffamare Israele? Forse perché alcuni di voi non comprendono che il pregiudizio ossessivo contro Israele non sia solo un problema per il mio paese, è un problema per i vostri paesi. Perché se l’ONU spende così tanto tempo per condannare l’unica democrazia liberale in Medio Oriente, ha molto meno tempo per affrontare la guerra, la malattia, la povertà, il cambiamento climatico e tutti gli altri gravi problemi che affliggono il pianeta. Il milione e mezzo di siriani massacrati sono aiutati dalla vostra condanna di Israele? Lo stesso Israele, che tratta migliaia di siriani feriti nei nostri ospedali, tra cui un ospedale da campo che ho costruito al confine del Golan con la Siria. Lo sono i gay, che penzolano dalle gru in Iran, aiutati dalla vostra denigrazione d’Israele? Lo stesso Israele, dove i gay marciano orgogliosamente nelle nostre strade e siedono nel nostro parlamento, tra cui, sono orgoglioso di dire, anche nel mio stesso partito Likud. Lo sono i bambini, che muoiono di fame per la brutale tirannia nella Corea del Nord, aiutati dalla vostra demonizzazione di Israele? Israele, il cui know-how agricolo nutre gli affamati in tutto il mondo in via di sviluppo? Quanto prima l’ossessione delle Nazioni Unite per Israele finisce, meglio è. Meglio per Israele, meglio per i vostri Paesi, il meglio per le stesse Nazioni Unite. Signore e signori, se le abitudini sono dure a morire alle Nazioni Unite, le abitudini palestinesi muoiono ancora più difficilmente. Il presidente Abbas ha appena attaccato da questo podio la Dichiarazione Balfour. Sta preparando una causa contro la Gran Bretagna per questa dichiarazione del 1917. Quasi 100 anni fa parla come bloccato nel passato. I palestinesi potrebbero altrettanto bene citare in giudizio l’Iran per la Dichiarazione di Ciro, che ha permesso agli ebrei di ricostruire il nostro tempio di Gerusalemme 2500 anni fa. A pensarci bene, perché non una class action palestinese contro Abramo per l’acquisto di quel pezzo di terra a Hebron dove i patriarchi e le matriarche del popolo ebraico sono stati sepolti 4.000 anni fa? Non state ridendo. E’ assurdo come questo. Citare in giudizio il governo britannico per la Dichiarazione Balfour? Sta scherzando? E questo viene preso sul serio qui? Il presidente Abbas ha attaccato la Dichiarazione Balfour, perché ha riconosciuto il diritto del popolo ebraico ad un focolare nazionale nella terra di Israele. Quando le Nazioni Unite hanno sostenuto la creazione di uno Stato ebraico nel 1947, hanno riconosciuto la nostra storia ed i nostri diritti morali nella nostra patria e per la nostra patria. Eppure oggi, quasi 70 anni dopo, i palestinesi si rifiutano ancora di riconoscere tali diritti - non il nostro diritto ad una patria, non il nostro diritto ad uno Stato, non il nostro diritto a nulla. E questo rimane il vero nocciolo del conflitto: il persistente rifiuto palestinese di riconoscere lo stato ebraico in qualsi- NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 siamo profondamente grati. Le Nazioni Unite denunciano Israele; gli Stati Uniti sostengono Israele. E un pilastro centrale della difesa è il supporto costante degli Stati Uniti per Israele alle Nazioni Unite. Apprezzo l’impegno del presidente Obama per questa politica di lunga data degli Stati Uniti. Di fatto, l’unica volta che gli Stati Uniti hanno posto un veto in Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite durante la presidenza Obama è stato contro una risoluzione anti-Israele nel 2011. Come il presidente Obama ha giustamente dichiarato da questo podio, la pace non verrà da dichiarazioni e risoluzioni delle Nazioni Unite. Credo che non sia lontano il giorno in cui Israele sarà in grado di contare su molti, molti paesi che ci sostengono alle Nazioni Unite. Di riflesso, lentamente ma inesorabilmente stanno arrivando al termine quei giorni in cui gli ambasciatori delle Nazioni Unite condannano Israele. Signore e Signori, la maggioranza automatica di oggi contro Israele alle Nazioni Unite mi ricorda la storia, l’incredibile storia di Hiroo Onoda. Hiroo era un soldato giapponese che era stato inviato nelle Filippine nel 1944. Viveva nella giungla. Frugava per procurarsi il cibo. Evitava la cattura. Alla fine si arrese, ma solo nel 1974, circa 30 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Per decenni, Hiroo si era rifiutato di credere che la guerra fosse finita. Mentre Hiroo era nascosto nella giungla, i turisti giapponesi nuotavano in piscine di alberghi di lusso americani nella vicina Manila. Infine, per fortuna, l’ex comandante di Hiroo fu inviato a convincerlo ad uscire dalla clandestinità. Solo allora Hiroo depose le armi. Signore e Signori, signori delegati provenienti da così tanti paesi, ho un messaggio per voi oggi: abbandonate le armi. La guerra contro Israele alle Nazioni Unite è finita. Forse alcuni di voi non lo sanno ancora, ma sono sicuro che un giorno, in un futuro non troppo lontano riceverete anche voi il messaggio dal vostro presidente o dal vostro primo ministro che vi informa che la guerra contro Israele presso le Nazioni Unite è conclusa. Sì, lo so, ci potrebbe essere una tempesta prima della quiete. So che si parla di coalizzarsi contro Israele alle Nazioni Unite entro la fine dell’anno. Data la sua storia di ostilità nei confronti di Israele, qualcuno crede davvero che Israele permetterà alle Nazioni Unite di determinare la nostra sicurezza e i nostri interessi nazionali vitali? Non accetteremo alcun tentativo da parte delle Nazioni Unite di dettare condizioni ad Israele. La strada per la pace attraversa Gerusalemme e Ramallah, non New York. Ma indipendentemente da ciò che accadrà nei prossimi mesi, ho totale fiducia che negli anni a venire la rivoluzione nella posizione di Israele tra le nazioni finalmente penetrerà in questa sala delle nazioni. Ho tanta fiducia, infatti, che prevedo che tra una decina d’anni un primo ministro israeliano si alzerà in piedi proprio qui dove sono in piedi io e realmen- 13 NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 ISRAELE 14 asi confine. Vedete, questo conflitto non tratta di “insediamenti”. Non è mai stato. Il conflitto infuriava per decenni prima che ci fosse un solo “insediamento”, quando la Giudea-Samaria e Gaza erano tutte in mani arabe. La Cisgiordania e Gaza erano in mani arabe e ci hanno attaccato ancora e ancora e ancora. E quando abbiamo sradicato tutti i 21 “insediamenti” a Gaza e ci siamo ritirati da ogni centimetro di Gaza, non abbiamo ottenuto la pace da Gaza - abbiamo ottenuto migliaia di razzi sparati da Gaza contro di noi. Questo conflitto infuria perché per i palestinesi, i veri insediamenti che stanno cercando sono Haifa, Jaffa e Tel Aviv. In ogni caso la questione degli “insediamenti” è reale e può e deve essere risolta in negoziati sullo status finale. Ma questo conflitto non ha mai riguardato gli “insediamenti” o la creazione di uno stato palestinese. E’ sempre stato circa l’esistenza di uno Stato ebraico, uno Stato ebraico in qualsiasi confine esso sia. Signore e Signori, Israele è pronto, sono pronto a negoziare tutte le questioni dello status finale, ma una cosa non potrò mai negoziare: il nostro diritto ad un solo ed unico stato ebraico. Wow, il Primo Ministro di Israele sostenuto da applausi all’Assemblea Generale? Il cambiamento avviene prima di quanto pensassi. Se i “palestinesi” avessero detto sì a uno stato ebraico nel 1947, non ci sarebbe stata nessuna guerra, nessun rifugiato e nessun conflitto. E quando i palestinesi finalmente avranno detto sì ad uno stato ebraico, saremo in grado di porre fine a questo conflitto una volta per tutte. Ora ecco la tragedia, perché, vedete, i palestinesi non sono solo intrappolati nel passato, i loro capi stanno avvelenando il futuro. Voglio che immaginiate un giorno nella vita di un ragazzo palestinese tredicenne, lo chiamerò Alì. Alì si sveglia prima della scuola, va a fare sport con una squadra di calcio che ha preso il nome da Dalal Mughrabi, un terrorista palestinese responsabile dell’omicidio di 37 israeliani in un autobus. A scuola, Alì partecipa ad un evento promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione palestinese per onorare Baha Alyan, che l’anno scorso ha ucciso tre civili israeliani. Tornando a casa a piedi, Alì guarda in alto verso una statua imponente eretta solo poche settimane fa dall’Autorità Palestinese per onorare Abu Sukar, che ha fatto esplodere una bomba nel centro di Gerusalemme uccidendo 15 israeliani. Quando Alì torna a casa accende la TV e vede un alto ufficiale palestinese, Jibril Rajoub, che dice che se avesse avuto una bomba atomica, l’avrebbe fatta esplodere sopra Israele quel giorno stesso. Alì accende poi la radio e sente il consigliere del presidente Abbas, Sultan Abu al-Einein, sollecitare i palestinesi, ecco una citazione, “tagliate la gola agli israeliani ovunque li troviate”. Alì controlla il suo Facebook e vede un recente post del partito Fatah del presidente Abbas, che definisce il massacro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco un “atto eroico”. Su YouTube, Alì guarda una clip dello stesso presidente Abbas che dice: “Diamo il benvenuto ad ogni goccia di sangue versato a Gerusalemme.” Citazione diretta. Durante la cena, Alì chiede a sua madre cosa succederebbe se avesse ucciso un ebreo e fosse finito in una prigione israeliana. Ecco quello che lei gli dice. Lei gli dice che avrebbe ricevuto migliaia di dollari ogni mese da parte dell’Autorità palestinese. In realtà, lei gli dice che se avesse ucciso altri ebrei, avrebbe ricevuto più soldi. Oh, e quando esce di prigione, Alì avrebbe avuto garantito un posto di lavoro con l’Autorità palestinese. Signore e signori, tutto questo è reale! Succede ogni giorno, sempre. Purtroppo, Alì rappresenta centinaia di migliaia di bambini palestinesi che vengono indottrinati all’odio in ogni momento, ogni ora. Si tratta di abusi su minori. Immaginate il vostro bambino durante questo lavaggio del cervello. Immaginate quello che ci vuole per un ragazzo o una ragazza per uscire liberamente da questa cultura dell’odio. Alcuni lo fanno ma troppi non lo fanno. Come può qualcuno di noi aspettarsi che giovani palestinesi sostengano la pace, quando i loro leader avvelenano le loro menti contro la pace? Noi in Israele non facciamo questo. Educhiamo i nostri figli alla pace. Abbiamo recentemente lanciato un programma pilota, per rendere lo studio della lingua araba obbligatorio per i bambini ebrei in modo che ci si possa capire meglio l’un l’altro, in modo che si possa vivere insieme fianco a fianco in pace. Naturalmente, come tutte le società anche Israele ha frange. Ma è la nostra risposta a quegli elementi marginali, è la nostra risposta a quegli elementi marginali che fa la differenza. Prendete il tragico caso di Ahmed Dawabsha. Non dimenticherò mai la visita Ahmed in ospedale poche ore dopo essere stato attaccato. Un ragazzino, in realtà un bambino, è stato gravemente ustionato. Ahmed è stato vittima di un atto terroristico orribile perpetrato da ebrei. Giaceva fasciato e incosciente mentre medici israeliani lavoravano tutto il giorno per salvarlo. Nessuna parola può portare conforto a questo ragazzo o alla sua famiglia. Eppure, mentre ero al suo capezzale ho detto allo zio: “Questa non è la nostra gente. Questo non è il nostro modo”. Poi ho ordinato misure straordinarie per portare gli assalitori di Ahmed davanti alla giustizia e oggi i cittadini ebrei di Israele accusati di aver attaccato la famiglia Dawabsha sono in carcere in attesa di giudizio. Ora, per alcuni, questa storia dimostra che entrambe le parti hanno i loro estremisti ed entrambe le parti sono ugualmente responsabili di questo conflitto apparentemente senza fine. Ma ciò che la storia di Ahmed dimostra in realtà è l’esatto contrario. Esso illustra la profonda differenza tra le nostre due società, perché mentre i leader israeliani condannano i terroristi, tutti i terroristi, arabi ed ebrei allo stesso modo, i leader palestinesi celebrano terroristi. Mentre Israele imprigiona la manciata di terroristi ebrei tra noi, i palestinesi pagano le migliaia di terroristi tra di loro. Così ho chiamato il Presidente Abbas: hai una scelta da fare. Puoi continuare ad alimentare l’odio come hai fatto oggi o puoi finalmente combattere l’odio e lavorare con me per stabilire la pace tra i nostri due popoli. Signore e Signori, sento un ronzio. So che molti di voi hanno rinunciato alla pace. Ma voglio che sappiate che io non ho rinunciato alla pace. Rimango impegnato ad una visione di pace sulla base di “due stati per due popoli”. Credo che come mai prima i cambiamenti in atto nel mondo arabo di oggi offrono un’occasione unica per far progredire la pace. Mi congratulo con il presidente dell’Egitto, al-Sisi, per i suoi sforzi per far progredire la pace e la stabilità nella nostra regione. Israele accoglie lo spirito dell’iniziativa di pace araba e accoglie un dialogo con gli stati arabi per far avanzare una pace più ampia. Credo che perché una pace più ampia possa essere pienamente raggiunta, i palestinesi debbano essere parte di essa. Sono pronto ad avviare negoziati per raggiungere questo obiettivo oggi - non domani, non la prossima settimana, oggi. Il presidente Abbas ha parlato qui un’ora fa. Non sarebbe stato meglio se invece di parlare uno dopo l’altro avessimo parlato tra di noi? Presidente Abbas, invece di inveire contro Israele al- ora su cinque continenti. Quindi il mio punto per voi è questo: la minaccia che l’Iran rappresenta per tutti noi non è dietro di noi, è davanti a noi. Nei prossimi anni, ci deve essere uno sforzo sostenuto e unito per respingere l’aggressione dell’Iran e del terrore iraniano. Con i vincoli nucleari verso l’Iran un anno più vicini ad essere rimossi, voglio essere chiaro: Israele non permetterà al regime terrorista dell’Iran di sviluppare armi nucleari - non adesso, non tra dieci anni, mai! Signore e Signori, sono qui davanti a voi oggi mentre l’ex presidente di Israele, Shimon Peres, sta lottando per la propria vita. Shimon è uno dei padri fondatori di Israele, uno dei suoi uomini di stato più audaci, uno dei suoi leader più rispettati. So che tutti siete uniti a me e uniti a tutto il popolo di Israele nell’augurargli refuah shlemah Shimon, una pronta guarigione. Ho sempre ammirato l’ottimismo senza limiti di Shimon e come lui, anch’io sono pieno di speranza. Sono pieno di speranza perché Israele è in grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Sono pieno di speranza perché il valore dei nostri uomini e donne combattenti non è secondo a nessuno. Sono pieno di speranza perché so che le forze della civiltà, in ultima analisi trionfano sulle forze del terrore. Sono pieno di speranza perché nell’era della innovazione, Israele - la innovation nation - è fiorente come mai prima. Sono pieno di speranza perché Israele lavora instancabilmente per promuovere l’uguaglianza e l’opportunità per tutti i suoi cittadini: ebrei, musulmani, cristiani, drusi, tutti. E io sono pieno di speranza perché, nonostante tutti gli scettici, credo che negli anni a venire, Israele forgerà una pace duratura con tutti i nostri vicini. Signore e Signori, sono fiducioso di quello che Israele può compiere perché ho visto ciò che Israele ha compiuto. Nel 1948, anno dell’indipendenza di Israele, la nostra popolazione era di 800.000. La nostra principale esportazione erano arance. Allora la gente diceva che eravamo troppo piccoli, troppo deboli, troppo isolati, troppo demograficamente in inferiorità numerica per sopravvivere, per non parlare di prosperare. Gli scettici si sbagliavano su Israele, allora; gli scettici si sbagliano su Israele ora. La popolazione di Israele è cresciuta dieci volte, la nostra economia quaranta volte. Oggi la nostra esportazione più grande è la tecnologia – la tecnologia israeliana che alimenta il mondo dei computer, telefoni cellulari, automobili e molto altro ancora. Signore e signori, il futuro appartiene a coloro che innovano e questo è il motivo per cui il futuro appartiene a paesi come Israele. Israele vuole essere il vostro partner nel cogliere quel futuro, quindi chiedo a tutti voi: cooperate con Israele, abbracciate Israele, sognate con Israele. Sogno del futuro che possiamo costruire insieme, un futuro di progresso mozzafiato, un futuro di sicurezza, prosperità e pace, un futuro di speranza per tutta l’umanità, un futuro in cui, anche alle Nazioni Unite, anche in questa sala, Israele infine, inevitabilmente, prenderà il suo legittimo posto tra le nazioni. Grazie. NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 le Nazioni Unite a New York, ti invito a parlare al popolo israeliano alla Knesset a Gerusalemme. E sarei felice di venire a parlare al parlamento palestinese a Ramallah. Signore e Signori, Mentre Israele cerca la pace con tutti i suoi vicini, sappiamo anche che la pace non ha più grande nemico delle forze dell’Islam militante. La scia di sangue di questo fanatismo attraversa tutti i continenti rappresentati qui. Attraversa Parigi e Nizza, Bruxelles e Baghdad, Tel Aviv e Gerusalemme, Minnesota e New York, da Sydney a San Bernardino. Così molti hanno sofferto la sua ferocia: cristiani ed ebrei, le donne, gli omosessuali, gli yazidi, i curdi e molti, molti altri. Eppure, il prezzo più alto, il prezzo più alto di tutti è stato pagato dai musulmani innocenti. Centinaia di migliaia senza pietà macellati. Milioni trasformati in profughi disperati, decine di milioni brutalmente soggiogati. La sconfitta dell’Islam militante sarà quindi una vittoria per tutta l’umanità, ma sarebbe soprattutto una vittoria per quei tanti musulmani che cercano una vita senza paura, una vita di pace, una vita di speranza. Ma per sconfiggere le forze dell’Islam militante, dobbiamo lottare senza tregua. Dobbiamo combattere nel mondo reale. Dobbiamo combattere nel mondo virtuale. Dobbiamo smantellare le loro reti, interrompere i loro finanziamenti, screditare la loro ideologia. Possiamo sconfiggerli e noi li sconfiggeremo. Il medievalismo non può competere con la modernità. La speranza è più forte dell’odio, la libertà più forte di paura. Possiamo farcela. Signore e Signori, Israele combatte questa battaglia mortale contro le forze dell’Islam militante ogni giorno. Manteniamo i nostri confini sicuri da ISIS, impediamo il contrabbando di armi camuffate da giocattoli a Hezbollah in Libano, contrastiamo gli attacchi terroristici palestinesi in Giudea e Samaria, in Cisgiordania e scoraggiamo gli attacchi missilistici da Gaza controllata da Hamas. Hamas è quella organizzazione terroristica che crudelmente, incredibilmente crudelmente si rifiuta di restituire i corpi di tre nostri cittadini e nostri soldati caduti. Oron Shaul e Hadar Goldin. I genitori di Hadar Goldin, Lia e Simcha Goldin, sono qui con noi oggi. Hanno la richiesta di seppellire il loro amato figlio in Israele. Tutto quello che chiedono è una cosa semplice: poter visitare in Israele la tomba del figlio Hadar caduto. Hamas rifiuta. Non può importargli di meno. Vi imploro di stare con loro, con noi, con tutto ciò che è decente nel nostro mondo contro la disumanità di Hamas - tutto ciò che è indecente e barbaro. Hamas infrange ogni regola umanitaria esistente, rinfacciateglielo. Signore e Signori, la più grande minaccia per il mio paese, alla nostra regione, e, infine, al nostro mondo resta il regime militante islamico dell’Iran. L’Iran cerca apertamente la distruzione di Israele. Minaccia paesi in tutto il Medio Oriente, sponsorizza il terrore in tutto il mondo. Quest’anno, l’Iran ha lanciato missili balistici in sfida diretta delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ha speso la sua aggressione in Iraq, in Siria, nello Yemen. L’Iran, il principale sponsor mondiale del terrorismo ha continuato a sviluppare la sua rete del terrore globale. Quella rete del terrore si estende 15 ISRAELE Quando la storia diventa solo un punto di vista Dopo la negazione della Gerusalemme ebraica, i palestinesi si preparano ad impugnare la veridicità della ‘Dichiarazione Balfour’. L’obiettivo è negare il valore giuridico della presenza ebraica N NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 on esiste più la storia, lo sapevate? Non contate più sulla verità testimoniata da documenti e prove, essa è ormai diventata “la narrativa” secondo questo o quello scrittore, quello storico, quel testimone e anche secondo l’occhio di chi legge che presenta a sua volta una quantità infinita di varianti. Dunque, qualcuno può descrivere la grandezza dell’Impero Romano, oppure la dominazione del Papato su Roma, o l’importanza dei Medici a Firenze, o il valore della Resistenza nella lotta contro il nazifascismo... ma tutto questo sarà soltanto una “narrativa”. I popoli colonizzati dai romani, o i cittadini della Roma papale o gli amici dei Degli Albizi di Firenze potranno sostenere che si è trattato di fantocci che hanno fatto solo ludibrio e danno di terre e ricchezze appartenenti ad altri. Usciranno i discendenti dei Galli che racconteranno che giunto al passaggio del Rubicone Giulio Cesare in realtà tornò indietro, o che il Papa ha portato a Roma solo miseria e predominio, o che i Medici erano dei volgari commercianti di danaro. Del resto noi ebrei lo sappiamo bene, la menzogna storica regna sovrana e non ha confine: persino la Shoah è oggetto di negazione criminale, nonostante i testimoni siano ancora vivi, i documenti inequivocabili e caldi. Qualcuno dice che il negazionismo di questi giorni, quello che nega ogni legame degli ebrei con la loro terra sia ancora peggiore di quello dello Shoah. Certamente, è altrettanto oltraggioso e lesivo. Ma la storia ormai è diventata uno strumento di guerra aperta contro gli ebrei e quelli che sono ritenuti i loro amici. Edward Said nei suoi libri pieni di inesattezze e anche di autentiche bugie (persino sulla sua stessa vita!) spiegò che gli storici del Medio Oriente, 16 anche i migliori come Bernard Lewis, raccontano solo il punto di vista dell’imperialismo contro una verità che esclusivamente gli “indigeni” possono raccontare. La storia non esiste più nella concezione relativista che ormai se ne è impossessato, forse nemmeno la geografia, dato che ciascuno ha una sua interpretazione dei confini, e lo si vede bene per esempio se guardiamo la revisione cui è andato sottoposta il trattato Sykes Picot, o il modo in cui le grandi controversie, per esempio quella con i Curdi, vengono viste dalle parti in causa. I palestinesi hanno fatto di questo punto di vista un’arma formidabile basandosi sull’ignoranza della gente, sulla viltà degli interlocutori consapevoli come l’Europa, sulla complicità degli amici interessati come il blocco islamico, e quindi sul conseguente automatismo anti-israeliano di tutta la comunità internazionale, dall’ONU e le sue agenzie all’Unione Europea. Tutti hanno seguito in questi giorni la ripugnante vicenda dell’UNESCO che ha consegnato al mondo islamico, nella lista dei beni culturali più importanti per l’umanità, addirittura Gerusalemme, il Monte del Tempio, il Muro del Pianto attribuendogli solo l’appellativo di musulmano, “Spianata delle Moschee”. L’Unesco ha preso nella sua mano il cuore pulsante dell’ebraismo e l’ha consegnato al retaggio musulmano. L’avete visto, avete inorridito, siete rimasti stupefatti che questo possa accadere, avete seguito con un misto di sgomento e di soddisfazione il pentimento del Primo Ministro Matteo Renzi che si è accorto del disastro compiuto dalla sua delegazione all’Unesco e dal suo ministero degli Esteri. “Automatismo”, è stato detto a mo’ di giustificazione dell’astensione italiana: ma se è automatico ormai condannare Israele e il popolo Oren David, nuovo ambasciatore israeliano presso la Santa Sede O ren David (nella foto in un incontro con rav Di Segni) è il nuovo ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. Sposato, il nuovo ambasciatore, è laureato in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, ha poi ottenuto un master in Scienze Politiche. Lo comunica il Vaticano. Tra i tanti incarichi ricoperti, David è stato consigliere presso il dipartimento per l’America del Nord (1993-1997); Ministro-Consigliere della missione permanente d’Israele presso le Nazioni Unite, New York (1997-2001); direttore del dipartimento per gli Affari Economici (2001-2007); ambasciatore in Romania (2007-2010); ambasciatore non residente in Moldavia e a Malta (2011-2016). L’ambasciatore è poliglotta: conosce ebraico, inglese, francese, spagnolo, rumeno e tedesco. l’Inghilterra al Tribunale Internazionale per la decisione di 99 anni fa di consegnare al movimento sionista la famosa dichiarazione Balfour, firmata appunto da Lord Arthur James Balfour per lord Walter Rothschild a nome della comunità ebraica. Il 2 novembre del 1917 Lord Balfour scriveva “Il Governo di Sua Maestà vede con favore la fondazione in Palestina di una casa nazionale per il Popolo Ebraico, e farà del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo”. Abu Mazen vuole fare passare questo documento come una delle tante scelte colonialiste dell’Inghilterra. Niente di più falso. Gli ebrei non hanno mai partecipato a nessun disegno coloniale, ovvero di espropriazione di terra altrui. Naturalmente ancora non esisteva neppure l’idea che potesse nascere l’uso della parola “palestinese” per designare un popolo locale arabo, essendo chiarissimo anche come risulta da molti documenti arabi che Israele prima dell’Impero Romano e della dominazione turca era appartenuta soltanto agli ebrei, e che gli arabi, presenti dalle conquiste islamiche, hanno sempre costituito una popolazione mista siriana, egiziana, e proveniente su quella piccola scheggia di terra riarsa solo in svariate ondate più avanti incrementate dal sionismo. E’ lo sceicco Hussein che nel 1918 scriveva, da guardiano dei luoghi santi in Arabia Saudita, che “gli ebrei tornavano nella loro sacra e amata patria da cui erano stati esiliati”, e l’Emiro Feisal nel 1919 scriveva “Porgiamo agli ebrei un sincero e sentito benvenuto a casa!”. La dichiarazione Balfour è la base della legittimità internazionale di Israele: nel giugno del 1922 la Lega delle Nazioni voto all’unanimità “il legame storico fra il Popolo Ebraico e la Palestina come base per la ricostruzione della loro casa nazionale in quel Paese”. Questa è la fondamentale base storica della vicenda: mio padre Aaron-Alberto, prima della fondazione di Israele soldato nell’esercito di difesa dell’Yishuv, amava sentirsi chiamare “palestinese”. Loro, gli ebrei immigrati, erano i palestinesi nel secolo scorso: gli ebrei tornati a casa loro. Adesso se ne vuole semplicemente sostituire l’identità negando legittimità a chi ne ha più diritto storicamente e quanto a status internazionale. FIAMMA NIRENSTEIN NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 ebraico a morte cancellandolo o tartassandolo, come del resto dimostrano i dati delle votazioni compulsive di tutte le organizzazioni dell’ONU e dell’UE, come può questo essere accettato da una mente razionale, ancorché diplomatica e desiderosa di unità a tutti i costi? La risposta risiede in un meccanismo difficile da smontare, e che si capisce molto bene quando il ministro Gentiloni spiega che, anzi l’Italia, aveva deciso di astenersi come del resto fa spesso, per evitare una situazione ancora peggiore. Ovvero: la consapevolezza che nel consesso internazionale l’antisemitismo palestinese sia diventato senso comune e persino regola diplomatica è acquisita come questione statica, immutabile, pietra di paragone persino di chi non intenda esercitare nessuna politica di odio nei confronti di Israele, persino per chi voglia essere amichevole. A tanto siamo arrivati. Così le molteplici prove di funzionamento dell’attitudine irrazionale, ignorante, insensata che vige nelle istituzioni internazionali, hanno portato i palestinesi e i loro alleati, o anche semplicemente gli opportunisti, ad alzare il tiro: all’Unesco era cominciato con Hevron e la tomba dei Patriarchi, che è diventata retaggio islamico, poi con la tomba di Rachele, adesso siamo arrivati al Muro del Pianto, complimenti, bella escalation, ma non è finita qui. Il palcoscenico diplomatico, per altro gestito in parallelo col terrorismo, paga, e adesso Abu Mazen pensa di portare a casa una serie di grandi successi: prima di tutto spera che Obama, nel periodo fra l’elezione del prossimo presidente e il suo abbandono della Casa Bianca, tolga al Consiglio di Sicurezza dell’ONU il veto USA che ha sempre fermato la maggiore istanza internazionale esistente dal condannare Israele. Obama potrebbe procedere dopo la conclusione elettorale con una condanna degli insediamenti e la votazione di una soluzione del conflitto tutta favorevole ai palestinesi. E’ possibile che Obama voglia segnare un goal dopo il novantesimo minuto a favore del suo retaggio in politica estera che si è dimostrato fallimentare e confuso e che abbisogna di una lustratina. In secondo luogo, Abu Mazen ha annunciato che intende portare 17 MONDO L’Europa del 2016? Nel segno del populismo Preoccupante crescita dei movimenti e dei partiti politici reazionari e di destra I NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 l 2016 è stato un anno negativo per l’Europa. Diversi attentati terroristici hanno colpito le città, la crisi dei rifugiati non accenna a diminuire e per la prima volta l’Unione Europea si appresta a perdere uno dei suoi membri a seguito del referendum sulla Brexit. La paura del terrorismo, della massa di immigrati provenienti prevalentemente da paesi musulmani e una diffusa percezione che l’Unione non sia in grado di risolvere i problemi dei paesi membri hanno creato la tempesta perfetta per i partiti populisti di destra. Inoltre la crisi economica dell’Eurozona ha favorito l’avanzare di movimenti populisti di sinistra come in Grecia e Spagna. Per populismo si intende un’ideologia che separa la società in due ben distinti gruppi, “Puri” e “Corrotti” e predica una politica basata sulla “volontà del popolo”. Per questo generalmente i movimenti populisti hanno successo finché sono all’opposizione, possono addossare i problemi della società alla classe dirigente senza dover necessariamente proporre una soluzione alternativa e sono contrari a ingerenze esterne come l’integrazione europea. Cronologicamente il primo a comparire sulla scena europea è stato il Front National francese che negli anni ’80 prometteva ai cittadini un ritorno alla gloria del passato della Francia. Il partito di estrema destra di Marine Le Pen è ancora oggi il più importante fra i populisti in Europa ma è ora in buona compagnia: in Italia il Movimento 18 5 Stelle detiene quasi un terzo dei seggi in Parlamento, in Ungheria sia il partito di governo Fidesz che quello di opposizione Jobbik hanno entrambi ideologie populiste e nel resto d’Europa in quasi tutti i paesi membri c’è un partito populista che ha raccolto almeno il 10% dei voti alle ultime elezioni. Storici e politologi tendono a spiegare questo fenomeno come un processo storico dovuto soprattutto alla poca differenza nei programmi dei partiti tradizionali di destra e sinistra e nella scomparsa delle ideologie come il comunismo. Inoltre le nuove norme dell’UE sono state imposte ai paesi membri in ambiti di rilevanza nazionale e spesso mal digerite dai cittadini. Infine l’avvento di Internet ha reso gli elettori più indipendenti dalle élite sebbene non meglio informati. La forza di questi movimenti sta nel fatto che solitamente la loro agenda è al centro del dibattito pubblico, la politica spesso non è in grado di rispondere e a volte prende anche in prestito termini e concetti prettamente populisti per aumentare il consenso. Inizialmente il fenomeno è stato preso sottogamba considerandolo temporaneo ma ad oggi Viktor Orban, capo del partito Fidesz, è al sesto anno di potere in Ungheria, Norbert Hofer del partito di estrema destra FPO si appresta a diventare Presidente dell’Austria e i partiti populisti stanno rendendo obsolete molte delle forze politiche tradizionali nei più importanti paesi europei come Francia e Italia. Inoltre le grandi coalizioni di governo che hanno scongiurato governi di stampo populista e nazionalista non sembrano il rimedio adatto perché alla lunga ricreano le stesse situazioni lamentate dai populisti. Tutti i partiti sono però soggetti alle leggi della politica e del consenso e una volta al potere i populisti dovranno scegliere se comportarsi responsabilmente o no, ovvero fare ciò che il popolo chiede o ciò che la realtà economica impone. MARIO DEL MONTE Dopo Obama che America sarà? Gli scenari futuri e le incertezze del presente in una tavola rotonda con Giuliano Ferrara, Maurizio Molinari e Daniele Fiorentino estera. Clinton ha condiviso gli errori di Obama negli anni in cui ricopriva il ruolo di Segretario di Stato, ma i suoi programmi la presentano come più competitiva e con una minore riluttanza ad intervenire, mentre Obama ha prediletto operazioni di polizia internazionale (si pensi all’uso dei droni o alla cattura di Bin Laden). Inoltre, Hillary avrà una posizione sicuramente meno conflittuale con Israele, di cui è sicura amica. Il peso delle promesse fatte da Trump (tra cui il riconoscimento di Gerusalemme capitale) è assai discutibile; Clinton, invece, ha avanzato posizioni più realistiche e che non dovrebbero risultare sgradite al governo Netanyahu, come quando ha affermato che per il conflitto israelo-palestinese accetterà solo una soluzione negoziata tra le due parti. Il discorso sul Medio Oriente si è rivelato ricco di spunti: è infatti un tema ampio e complesso, come ha spiegato Molinari, il quale ha affermato che stiamo vivendo un’epoca rivoluzionaria con la dissoluzione degli stati-nazione musulmani; non esistono più i confini, ma permangono solo tre realtà: la tribù, la famiglia e la moschea. Una situazione simile a quella verificatasi dopo la morte di Maometto nel 632 e all’indomani della dissoluzione dell’Impero Ottomano nel 1919: in questo contesto però si è collocato il disengagement di Obama dal Medio Oriente, che nessuno dei candidati presidente ha mai dichiarato di voler ripristinare. Si apriranno dunque opportunità per potenze esterne (la Russia), ma anche per i più importanti attori regionali, ossia gli unici stati rimasti immuni da questi sconvolgimenti: Israele e Iran. Nei prossimi anni gli Stati Uniti continueranno a guardare ad Ovest come sempre avvenuto nella loro storia, ma i rapporti con le potenze regionali del Medio Oriente saranno cruciali per i destini del mondo. DANIELE TOSCANO CATERING KOSHER Matrimoni • Compleanni Bar mitzvah • Cerimonie Via di Poggibonsi 15 00148 Roma 06 65743314 • [email protected] www.palombini.com NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 U n’analisi a 360 gradi di quelli che saranno gli scenari internazionali a seguito delle elezioni americane è stata proposta dal Bené Berith Giovani proprio alla vigilia della consultazione elettorale. Oltre duecento persone hanno affollato la sala del Maxxi dove, moderati da Micol Anticoli, sono intervenuti il fondatore de Il Foglio Giuliano Ferrara, il professore di Storia degli Stati Uniti Daniele Fiorentino e, in collegamento telefonico, il direttore de La Stampa Maurizio Molinari. L’eredità di Obama, il confronto che si è sviluppato in questi mesi tra Donald Trump e Hillary Clinton, i diversi programmi portati avanti, le politiche che potranno intraprendere all’interno e all’estero, con particolare attenzione all’Europa, al Medio Oriente e ovviamente a Israele: questi i temi al centro del dibattito. Proprio il duello tra i due candidati è stato tra i più avvincenti della storia americana: bisogna tornare all’elezione di Lincoln nel 1860 per trovare un confronto così aspro. Trump ha lacerato il clima del politicamente corretto: ha contestato la liberalizzazione dei mercati e avversato la globalizzazione, accogliendo alcune paure del popolo americano come l’immigrazione, il terrorismo e la sicurezza personale, ma senza proporre soluzioni realmente applicabili, aldilà di un maggiore protezionismo in economia e di un isolazionismo in politica estera. Clinton si è mostrata più sostanziosa nei suoi progetti: ha un programma sociale che prosegue quello avviato da Obama per aiutare la classe media, il ceto al centro dello sviluppo americano del XX secolo ma oggi ancora incapace di riprendersi dalla crisi. Tuttavia, Hillary ha incontrato l’ostilità di alcune fasce di popolazione che vedono in lei l’esponente di una dinastia, mentre con la vicenda delle mail ha fatto sospettare un mancato rispetto delle norme. La vera novità, in ogni caso, sarà rappresentata dalla politica 19 ITALIA I figli, una scelta d’amore o un'indicazione politica? La bassa natalità è un dato sociale allarmante dell’Italia, dell’Europa e anche della nostra Comunità e tradisce la vittoria dell’egoismo e il rifiuto ad assumersi impegni e rinunce D NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 opo la riflessione sulla campagna del Fertility-day vorrei aggiungere alcune riflessioni sul tema così spinoso e difficile e certamente mal gestito di quella comunicazione. Come capita a tutti ho riflettuto e mi sono confrontata su questo tema, ma soprattutto ho cercato di ricordarmi perché ho fatto i miei due splendidi figli e come le parole non devono generare sorrisetti, perché se prendiamo sul serio quelle parole forse prendiamo sul serio il problema. Che riguarda il paese, ma le nostre comunità in maniera impegnativa. Anzitutto i dati drammatici: nascono meno bambini di quante persone care ci lascino; in Italia nel 2015-2016 è stato registrato il più basso tasso di natalità in Europa. Anche l‘Europa stessa non può ritenersi soddisfatta visto l’ultimo bilancio riportato da Eurostat: a fronte di 5,2 milioni di decessi, si sono registrate 5,1 milioni di nascite (quindi meno lo 0,3 per mille) nonostante la popolazione complessiva europea sia aumentata da 508 milioni e 510 milioni grazie all’importante flusso migratorio di questi anni. Quando si parla di nascite, è necessaria una precisazione: il concetto di natalità, è nettamente diverso da quello di fertilità, in quanto il primo termine rappresenta una condizione socioeconomica nazionale, mentre il secondo è di carattere prettamente medico, che coinvolge la sfera più intima familiare. 20 Il problema della fertilità si rispecchia indubbiamente sulla natalità, ma le cause sono nettamente diverse. La cause dell’infertilità possono essere congenite, causate da malattie, senza considerare che alcune donne vengono al mondo senza la possibilità di poter concepire un figlio. Quelle della bassa natalità, sono in parte dovute a scelte ben ponderate. Avere un figlio vuol dire costi, sacrificio, dedizione completa verso l’altro e impegno a tempo indeterminato, che non tutti sono disposti a prendersi. Siamo sempre più concentrati su noi stessi, sempre più immersi in un vortice di egocentrismo multimediale che raggiunge il suo apice con il maggior numero di like ricevuti alla foto appena postata sui social. Problema che riguarda nello specifico i giovani tra i 20 e i 35 anni di età, che imputano il loro disinteresse nella costruzione di una famiglia allo Stato e alla sue leggi. Questione in parte vera, ma non del tutto. Quindi come conciliare questo bisogno continuo di nutrire l’ego con il desiderio di avere un figlio? A cosa bisogna rinunciare? Sono domande difficili, e dare una risposta è altrettanto complicato. Quante volte sentiamo la frase per mio figlio sono disposto a rinunciare a tutto? Troppe per essere vero se questi sono i numeri. Ci fa paura la povertà o un livello di vita sociale diverso o siamo una generazione senza futuro, oppure non riuscendo a vedere il futuro per incapacità, ci siamo fermati. I dati sulla disoccupazione giovanile sono drammatici, è vero ma forse è anche cambiato il modo di occuparsi, l’umanità ha attraversato momenti anche più tragici ma non si era mai verificata una decrescita del genere, anche nelle nostre comunità. Mi chiedo se qualcuno dei nostri enti stia lavorando per affrontare questo tema oppure se speriamo che tutto si risolva organizzando momenti di incontro con modalità poco diverse da quelle che ho visto io, circa 40 anni fa. Tutti ci scandalizziamo dall’ingordigia che la corruzione della politica fa emergere, ma quell’ingordigia è in parte, anche infinitesimale, la nostra, certo diversa, ma molto simile perché quando si fanno i bambini l’amore e lo slancio verso la vita non ti fa contare quanti pannolini dovrai comperare, piuttosto ti fa chiedere il sostegno e il supporto, mentre invece non vedo manifestazioni di persone che urlano il proprio diritto di vedere il segno del futuro nelle persone che sono capaci di generare. Certo non avere figli può essere una scelta legittima, ma perché oggi è salita a questi numeri? Contare quanto costa un figlio è il contrario di amare; contare, in quel senso, non è sinonimo di etica pubblica, la passione della dedizione dei genitori ai figli dislessici, ha costretto il sistema sanitario e scolastico ad intervenire ed iniziare a cambiare, ma nelle università italiane ancora non è un obbligo conformare il tempo degli esami ai ragazzi dislessici, il paese perde un patrimonio di intelligenza e nessuno fa un corteo, certo vibrate proteste, tutto lì. Se è vero che a noi sono stati consegnati la gioia e il peso dei dieci comandamenti, ora che il mondo in alcuni momenti sembra perdersi dobbiamo essere fra i primi a cercare soluzioni, Israele ha capito per primo che il suo futuro era nei figli, noi perché non lo capiamo? Mi farebbe piacere che una comunità, un gruppo di cultura o un solo qualunque ente ebraico, ci dicesse facciamo qualcosa insieme, invece temo che non accadrà. Ma noi seguiteremo ad impegnarci perché questo accada e perché i valori dell’amore possano prevalere sui numeri. CLELIA PIPERNO FOCUS Il calcio di Shabbat: un autentico autogol L’irrisolta questione delle partite di pallone giocate in Israele nel giorno del riposo durante lo Shabbat, telefoni cellulari compresi, tornare a casa richiede spesso l’uscita anticipata dallo stadio. Oltre alle tifoserie, ci sono i casi di calciatori come Guy Dayan, centrocampista dell’Hapoel Acre, che si professa religioso e osservante ma che difende la scelta di giocare durante lo Shabbat. «Per me è solo un lavoro che mi permette di provvedere alla mia famiglia», ha spiegato. È di certo un’evoluzione rispetto a vent’anni prima, quando «i calciatori estremamente religiosi avrebbero deciso di smettere, o avrebbero giocato soltanto in club di terza divisione, dove non si scende in campo durante lo Shabbat». A ciò si aggiunge un altro elemento: il numero di ebrei altamente religiosi a prendere parte alle gare è in continua crescita. Dov Lipman, ex membro del parlamento israeliano che ha lavorato per colmare i divari culturali tra ebrei osservanti e laici, ritiene che questo gruppo stia spingendo per una rivalutazione del concetto stabilito secondo cui gli sport competitivi siano principalmente sotto il dominio degli israeliani laici. In passato, gli ebrei religiosi hanno spesso scoraggiato i loro figli a partecipare a sport organizzati a causa degli inevitabili conflitti con il sabato. «Ma quel gruppo sta rivalutando la questione, perché vogliono essere coinvolti», ha spiegato Lipman. Si sta lavorando per pianificare più gare di domenica, una giornata lavorativa e giorno di scuola in Israele, ma significherebbe considerarlo come un secondo giorno di riposo per l’intera società israeliana, una questione tutt’altro che semplice. Sul tema è intervenuto tempo fa anche il capo dello Stato Reuven Rivlin – gran tifoso del Beitar Jerusalem – auspicando una soluzione condivisa sulla questione e difendendo il vigente status quo fra laici ed osservanti, in base al quale «i laici in Israele di sabato vanno al mattino in sinagoga e più tardi allo stadio». Sembrerebbe solo una questione di pallone, non lo è. LUCA D’AMMANDO ASTROLOGO Vasto assortimento di Judaica Bomboniere con confetti casher Papa Incisioni personalizzate Oggetti da indosso Gadget aziendali Esposizione di 300 m2 Via Buonarroti, 20 Tel. 06.4873664 - 06.4870835 [email protected] NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 I l calcio al tempo dello Shabbat è molto più che una questione sportiva in Israele. Diritti televisivi, pianificazione logistica e disponibilità degli stadi hanno creato da anni un corto circuito per giocatori e tifosi: il sabato si può scendere in campo? Si può andare sugli spalti? D’altra parte il tema è di stretta attualità politica, dopo che a settembre il premier Benyamin Netanyahu ha subito critiche e un calo negli indici di gradimento per le ripercussioni di una lite avuta col ministro dei trasporti Israel Katz sull’opportunità di svolgere lavori urgenti di manutenzione alle ferrovie durante il riposo sabbatico. Già all’inizio dello scorso campionato la questione si era posta in maniera drastica e l’avvocato dello Stato, Yehuda Weinstein, aveva stabilito che «nessuno può essere legalmente perseguito perché gioca a calcio di sabato» nonostante una sentenza del Tribunale del Lavoro andasse nel senso opposto. Ora il campionato è ricominciato e il problema si pone di nuovo. Soprattutto per i tifosi, costretti a lasciare lo stadio prima della conclusione delle gare per rispettare i dettami del sabato ebraico, che inizia esattamente al tramonto del venerdì. Storicamente, il governo calcistico israeliano ha spinto per far disputare le gare di sabato, contrastato dai calciatori che non volevano scegliere tra la santità del sabato e i loro obblighi nei confronti dei club di appartenenza. Tra giudici che chiedevano al governo di validare deroghe e tentennamenti politici, la questione è rimasta irrisolta. Poi, dalla scorsa stagione, la Professional Football League israeliana, che è a capo delle prime due divisioni del Paese, ha stretto accordi con una televisione per trasmettere le partite di campionato in alcune finestre ben precise, una delle quali comincia appunto il venerdì alle 15. Le ricadute di tali scelte sono, tuttavia, più complesse: cominciare le gare in quell’orario, soprattutto in inverno, significa correre il rischio di far coincidere pericolosamente le gare con l’arrivo del tramonto. Per molti appassionati che non guidano o utilizzano energia elettrica 21 FOCUS Israele: una piccola nazionale ma un grande movimento calcistico Molti i giocatori di buon livello che si giocheranno la possibilità di partecipare ai Mondiali di Russia 2018 N onostante la sconfitta subita all’esordio contro l’Italia, la nazionale di calcio israeliana si è rivelata una possibile sorpresa nel girone G delle qualificazioni ai mondiali del 2018 che si disputeranno in Russia. Le tre reti incassate non hanno fatto passare in secondo piano la buona prestazione della selezione bianco-blu che ha ancora nove partite per raggiungere almeno la seconda posizione che vale l’accesso agli spareggi. Oltre all’Italia e alla Spagna, le grandi favorite del girone, sono l’Albania, la Macedonia ed il Liechtenstein, avversari che sulla carta non dovrebbero rappresentare ostacoli insormontabili. Di certo Israele dovrà tramutare in risultati positivi il buon gioco espresso e sistemare una difesa piuttosto traballante per contendere la qualificazione alle nazionali guidate da Ventura e Lopetegui. I segnali più incoraggianti arrivano dalla generale crescita dell’intero movimento calcistico israeliano: da qualche anno a questa parte le squadre israeliane hanno progressivamente migliorato le loro apparizioni nelle competizioni europee per club come la Champions League e l’Europa League arrivando ad avere in pianta stabile almeno una o due squadre nelle fasi iniziali. Questi miglioramenti sono dovuti in parte al maggiore interesse che il calcio sta suscitando nel paese ed in parte ad un assennato utilizzo del materiale umano e delle risorse economiche a disposizione. Gli investimenti nella creazione di impianti sportivi e stadi all’avanguardia effettuati in occasione degli europei under 21 del 2013 sono stati accompagnati da una politica di valorizzazione dei giovani provenienti dai vivai e dall’acquisto, da parte dei top club, di giocatori con discreta esperienza internazionale che hanno dato al campionato una maggiore caratura. Vecchie volpi come Elyaniv Barda, Tal Ben Haim, Yossi Benayoun ed Eran Zahavi sono tornati dalle loro esperienze nei maggiori campionati europei per concludere la loro carriera e a giovarne sono stati soprattutto i compagni dei rispettivi team. Tra i convocati nella Nazionale da mister Elisha Levy, ex allenatore del Maccabi Haifa che vanta ben due scudetti nel suo palmares, ci sono anche giocatori sotto contratto con squadre importanti come Nir Biton del Celtic Glasgow, Natkho del CSKA Mosca e le due stelline Kayal e Hemed entrambi di proprietà del Brighton. Molte delle speranze dei tifosi israeliani sono riposte nel capitano e indiscusso leader Eran Zahavi, capocannoniere dell’ultimo campionato israeliano con trentacinque reti. Zahavi, che vanta anche un’esperienza in Italia con il Palermo, è un centrocampista offensivo molto dotato tecnicamente e con una buona intelligenza tattica. In patria è stato più volte paragonato al primo Totti per il suo modo di giocare e le buone prestazioni gli sono valse l’ingaggio da parte dei ricchissimi cinesi del Guangzhou per circa otto milioni di dollari. Per i media israeliani però il vero ago della bilancia è il centrocampista Kayal, un regista difensivo con eccellenti doti fisiche e tecnica sopraffina su cui si regge l’intero sistema tattico della squadra. In rampa di lancio anche Maor Buzaglo, fantasista dei campioni in carica dell’Hapoel Beer Sheva che si è fatto notare recentemente per uno straordinario gol contro l’Inter in Europa League. Il prossimo impegno per Israele sarà la doppia sfida con Macedonia e Liechtenstein, una buona occasione per misurare le ambizioni della squadra e mettere in cascina punti utili al sogno qualificazione. MARIO DEL MONTE Prima di un gol, meglio dire una preghiera NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 I 22 Tanti i giocatori stranieri che si sono recati al Kotel per infilare nelle pietre un messaggio o una supplica l Muro del Pianto o Muro Occidentale, Kotel HaMaaravi in ebraico, ciò che resta del Bet ha Mikdash, il Santuario di Gerusalemme è il luogo più sacro dell’ebraismo. Accoglie quotidianamente fedeli e turisti, ma da qualche tempo è diventato anche tappa fissa per leader politici, rappresentanti di altre religioni e anche personaggi dello spettacolo. Se alcune visite sono rimaste nella storia, come quella di Giovanni Paolo II nel 2000, altri ospiti hanno avuto meno clamore, ma non sono rimasti inosservati dai media. Tra questi, numerosi calciatori, che trovandosi spesso in Israele per eventi sportivi non hanno mancato questo appuntamento dal profondo valore culturale e spirituale. Recentemente, nel marzo 2015, è stato immortalato in quest’area il centrocampista della Roma Radja Nainggolan. Alla vigilia della sfida tra Belgio e Israele per le qualificazioni ad Euro 2016, ai giocatori in trasferta era stato concesso un giro per Gerusalemme e alcuni non hanno perso l’occasione per andare al Kotel. Gli ospiti più illustri, tra quelli provenienti dall’universo calcistico, sono stati sicuramente i giocatori del Barcellona, in visita a Gerusalemme nell’agosto 2013 in occasione del ‘tour della pace’. Prima dell’incontro con il premier Netanyahu e con il Presidente Peres, Leo Messi e compagni, dopo essere stati ricevuti dal rabbino capo e dal sindaco di Gerusalemme, si sono recati anche al Muro: kippah sul capo e, come da tradizione, hanno infilato nelle crepe biglietti con preghiere e messaggi. Non per tutti però era la prima volta: il difensore Gerard Piqué già c’era stato due anni prima con la sua fidanzata, la cantante Shakira. Il 2013 è stato anche l’anno dell’Europeo Under 21 ospitato dallo Stato ebraico. Gli azzurrini di Devis Mangia sono stati tra le delegazioni che non hanno mancato la visita al Kotel. Gesti per comunicare pace e indurre al dialogo messi in atto da uomini di sport. DANIELE TOSCANO Con entrambe le squadre nel cuore, opinioni contrastanti degli ebrei italo/israeliani L a partita Israele-Italia del 5 settembre, giocatasi nello stadio di Haifa, gara d’esordio per entrambe le squadre nelle qualificazioni per i Mondiali di Russia 2018 - che prevedono la qualificazione diretta solo per la prima squadra di ogni girone - si è conclusa al 93° minuto con una prevedibile vittoria dell’Italia. Eppure, inaspettatamente, dopo l’iniziale 2-0 scaturito da un goal di Pellé al 14’ e da un rigore di Candreva al 31’, Israele, una buona squadra notevolmente migliorata negli ultimi anni ma che non ha nemmeno un giocatore di grande livello internazionale, è riuscita a segnare con Ben Haim una rete al 35’, e a difendere il 2-1, sfiorando in più occasioni il pareggio, fino all’83’, quando, con il goal di Immobile, le sorti della partita sono state definitivamente decise, assestandosi su un 3-1 per l’Italia. Oltre ad accendere l’entusiasmo dei tifosi, la partita ha generato una grande curiosità: per chi avranno tifato gli ebrei italiani? Saranno rimasti fedeli alla loro nazione di nascita o avranno seguito il cuore schierandosi con il proprio popolo? Abbiamo chiesto l’opinione degli ebrei romani e di quelli che si sono trasferiti in Israele. Alla domanda “Per chi tifi: Italia o Israele?”, gli italiani che si sono trasferiti a Raanana non hanno avuto esitazioni: “ Ma che domande! Noi tifiamo Israele!” dice Floriana, “Tifo Israele perché sono ebreo” risponde Cesare, che ha da poco fatto l’alyà, come anche Samuel che, trovandola “un’opportunità per collegare i due paesi” pensa a Israele come al “nostro paese”. “Non sapevo chi tifare, ma sono stata felice quando ha vinto l’Italia” ci dice invece Tamara, italiana Chi offre di più? All’asta la maglietta della nazionale israeliana Appartenuta al giocatore Kayal, è stata offerta in beneficienza da Cesare Citoni “Q uesta è la maglietta originale indossata da un giocatore israeliano nella partita Israele-Italia. Ho deciso di metterla all’asta con provento a favore della Deputazione. Personalmente offro 250 euro. L’asta terminerà lunedì 12 settembre alle ore 20”. Così ha scritto Cesare Citoni sui social network, postando anche l’immagine della casacca israeliana, all’indomani della sfida calcistica Israele-Italia, valida per le qualificazioni della Coppa del Mondo del 2018. La maglietta poi è stata aggiudicata a Umberto Pavoncello per la cifra di 500 euro. Abbiamo contattato Citoni che ci ha spiegato come sia nata questa bella iniziativa: “Prima della partenza per Israele, vista l’amicizia che ho con Alessandro Florenzi, giocatore della Roma, gli avevo chiesto di portarmi la maglia di un giocatore israeliano. E così è stato. All’inizio avevo pensato ad altre soluzioni, poi ho seguito il consiglio di Vittorio Pavoncello che mi ha suggerito di indire un’asta con il ricavato da destinare alla Deputazione di Assistenza. La gara è durata pochi giorni con una decina di offerte, così si è arrivati a raggiungere il doppio della cifra che io avevo fissato come prezzo base”. La maglia contesa è stata quella del giocatore israeliano che milita nel Celtic, Beram Kayal, che l’ha scambiata con il giocatore italiano a fine partita. Kayal, già prima della gara, aveva dichiarato il suo interesse per il calcio italiano, seppur lontana, offrendo il suo commento sulla partita: “era abbastanza scontato che sarebbe finita così” e aggiunge criticamente “non penso che gli israeliani abbiano giocato molto bene, almeno non quanto avrebbero potuto”. Anche alcuni ebrei italiani che non si perdono mai i Mondiali o le partite della Champions, in questa occasione hanno “tradito” gli azzurri per seguire il cuore e tifare Israele, nonostante la squadra italiana fosse nettamente più forte.“Se fosse stata una partita tra la Roma e il Haifa avrei tifato Roma, ma tra Italia e Israele. Eretz tutta la vita”, riflette infatti Eugenio, “l’Italia era ovviamente tecnicamente molto più forte, ma penso Israele si sia difeso bene ed abbia segnato un bellissimo goal”, la puntuale analisi di Meir, che con entrambe le squadre nel cuore, piuttosto che sceglierne una, preferisce darsi a considerazioni tecnico-sportive di ciascuna squadra. Ma c’è anche chi, come David, ha tifato Italia poiché “è una squadra che ho sempre seguito e ritengo che in ambito sportivo sia di gran lunga superiore”, anche se ammette che “per tutto il resto preferisco Israele”; simile il parere di Marco che, con il suo “in guerra si sta con Eretz, a pallone con l’Italia” con decisione si esprime, in ambito calcistico, in favore della madrepatria. A CURA DI: GIORGIA CALÓ E JOELLE SARA HABIB tanto che ha chiamato il suo primo figlio maschio, Pirlo, in onore del campione italiano. Si è trattata della prima asta che coinvolge i correligionari sulla rete con i proventi che vanno a un’istituzione ebraica romana di assistenza. L’idea è talmente piaciuta al presidente della Deputazione, Piero Bonfiglioli, che oltre a ringraziare gli ideatori e i partecipanti per l’iniziativa sostenuta ha anticipato “che ci sarà nel prossimo futuro un’asta con quadri e oggetti appartenuti al grande Rav Elio Toaff donati con grandissima sensibilità dai suoi figli. Ricordo che il Professore era un grandissimo estimatore della Deputazione Ebraica”. Ma c’è di più. L’idea circolante tra i correligionari è di mettere all’asta cimeli ed oggetti esclusivi familiari ricercati, tanto che si sta approntando un nuovo gruppo esclusivo su Facebook dedicato appositamente a queste negoziazioni. JONATAN DELLA ROCCA NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Calcio Italia-Israele: e ora per chi tifo? 23 FOCUS C’è una donna dietro il miracolo Hapoel Be’er Sheva Alona Barkat è il presidente della squadra che ha vinto il campionato dopo anni di strapotere del Maccabi Tel Aviv C’ NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 è una donna dietro al fenomeno dell’Hapoel Be’er Sheva, il club che la scorsa stagione ha conquistato il campionato a distanza di quarant’anni dall’ultimo successo e che solo poche settimane fa ha umiliato l’Inter a San Siro in Europa League. Lei si chiama Alona Barkat, ha 46 anni e fascino e un carattere di ferro. Moglie del miliardario Eli Barkat – attivo nel settore tecnologico e a sua volta fratello del sindaco di Gerusalemme Nir – Alona ha preso la guida del club nel 2007, investendo 1,4 milioni di euro per l’acquisto L’inizio però non è stato facile. In molti ignoravano l’Hapoel, preferendogli altri club, questo anche per colpa di una tifoseria alquanto movimentata. E poi, si sa, le donne, specie nel calcio, 24 sono circondate da pregiudizio. «All’inizio nessuno mi prendeva in considerazione – ha raccontato la presidentessa – e i procuratori si prendevano gioco di me. C’è voluto un po’, come sempre quando le donne assumono un ruolo di potere. Anche una direttrice di banca inizialmente viene guardata in modo strano, lo stesso vale per una cancelliera». Nel 2009 è arrivata la promozione nella Ligat Ha’Al, mentre la stagione successiva, dopo l’aggressione di un gruppo di ultras all’allora allenatore Guy Azuri, Alona aveva deciso di vendere il club. Poi la frattura si è ricomposta e la presidentessa è diventata un mito per i tifosi: spesso, quando l’Hapoel gioca in trasferta, guarda la partita in mezzo a loro nel settore ospiti: «Voglio sapere cosa pensano. Molti di loro hanno il mio numero, mi chiamano se hanno idee o critiche da fare». E così, dopo aver interrotto lo strapotere del Maccabi Tel Aviv vincendo il suo terzo titolo nazionale nella storia, quest’estate Be’er Sheva – una citta di 200mila abitanti, capoluogo della regione desertica del Negev – ha conosciuto la Champions League, anche se solo per quanto riguarda i preliminari. L’impresa non è riuscita per poco: dopo aver eliminato l’Olympiakos nel terzo turno preliminare, gli israeliani hanno sfiorato l’incredibile rimonta nel playoff contro il Celtic, vincendo 2-0 in casa dopo la sconfitta per 5-2 dell’andata. Ora Alona Barkat non si accontenta di partecipare all’Europa League, vuole stupire, come ha fatto a San Siro battendo 2-0 i nerazzurri: «Io sono ambiziosa e realista, ma l’Hapoel deve sognare. Anche perché Be’er Sheva è una città che vive a ritmo di calcio». Squadre israeliane: sognando il grande gol Da prestazioni scadenti degli scorsi anni, all’ultimo clamoroso successo contro l’Inter D a sempre lo sport più praticato e seguito in Israele è il basket ma il football ha fatto passi da gigante negli ultimi anni: un interesse che è testimoniato soprattutto dalle tante ore che le dedica il palinsesto del piccolo schermo, sia dalle emittenti pubbliche che private. La tv nazionale ha sempre riservato ore e ore agli appassionati trasmettendo soprattutto calcio inglese, che è stato anche l’approdo per decenni di tanti calciatori israeliani, non disdegnando quello italiano. La vera svolta si può dire che sia avvenuta tre anni fa, quando il paese mediorientale ha ospitato i Campionati Europei Under 21 con successo e plauso da parte dei massimi vertici degli organismi calcistici continentali. Si è trattato della prima volta che un evento calcistico di massima importanza si è svolto in terra israeliana. La prova è stata superata a pieni voti con un’organizzazione esemplare che ha vissuto un mese di notorietà sui media sportivi internazionali, mostrando strutture sportive moderne e accoglienti tali da far invidia al calcio nostrano. I progressi maturati nell’organizzazione della federazione con lo sviluppo e il moltiplicarsi delle squadre giovanili però non sono stati accompagnati da altrettanti risultati soddisfacenti in campo internazionale. Il calcio israeliano è retrocesso di parecchie posizioni nel ranking mondiale rispetto a qualche anno fa, con risultati negativi che non gli permettono da decenni di approdare alle fasi finale di un Mondiale; dal lontano 1970, quando in Messico nella prima fase affrontò l’Italia. Mentre nei primi decenni dopo la nascita dello Stato la federazione calcistica israeliana faceva parte della Confederazione Calcio Asiatica (AFC), per motivi politici, con il boicottaggio dei Paesi arabi, dai primi anni Settanta non ne è stata più affiliata. Da allora è iniziato un lungo percorso che gli ha permesso negli anni Novanta di divenire membro dell’Uefa, partecipando con la squadra nazionale alle qualificazioni mondiali nei gironi europei, e con i rispettivi club nelle competizioni continentali. Nel campionato locale, che si è arricchito nell’ultimo decennio a livello dirigenziale di ex campioni internazionali, da Lothar Matthaus a Jordy Cruyff fino a Paulo Sousa, la fanno da padroni da sempre il Maccabi Tel Aviv e il Maccabi Haifa; sebbene l’ultimo anno il titolo l’abbia vinto l’Hapoel Beer Sheva che appartiene alla famiglia del fratello del sindaco di Gerusalemme Nir Barkat. Un team che ha fatto il suo esordio settimane fa dando una lezione di calcio all’Inter nello stadio di San Siro, vincendo per 2-0 una partita valida per l’Europa League. JONATAN DELLA ROCCA Calcio palestinese: una questione un po’ complicata Dignitosi risultati per la squadra nazionale, con un campionato a 12 squadre. Tra le curiosità: c’è stato persino un allenatore italiano Stefano Cusin, il vice di Zenga Sar tor ia squadre partecipanti, è il campionato più competitivo. Tra gli stranieri che vi sono entrati a contatto, anche un italiano, l’allenatore Stefano Cusin, già vice di Zenga nel campionato degli Emirati Arabi, ingaggiato nel 2015 dall’Ahli al-Khalil di Hebron. “[I campi] sono tutti in sintetico e con un’ottima manutenzione”, raccontava in un’intervista a Panorama. “Ci sono squadre che hanno 2-3.000 tifosi e altre che arrivano anche a 12.000 spettatori. Come media siamo attorno ai 5.000 spettatori per gara, ma per partite importanti si arriva anche a 20.000 tifosi”. Cusin ha vinto la Coppa nazionale e la Coppa di Lega, guadagnando l’accesso alla Coppa dell’AFC per l’anno successivo. Ma non solo: la Federazione Palestinese ha deciso di far giocare una finale di Supercoppa tra la squadra che ha vinto la Coppa della Striscia di Gaza, l’Al-Ittihad Shejaia, e l’Ahli al-Khalil, vincitore della Coppa di Cisgiordania. Dopo circa 15 anni, dunque, il 7 agosto 2015, sono tornate ad incontrarsi due squadre dei diversi campionati palestinesi. L’andata, a Gaza, è finita 0-0; il 15, a Hebron, la squadra di Cusin si è imposta 2-1, vincendo così il trofeo. La situazione del calcio palestinese resta comunque complicata: gli spostamenti dei giocatori palestinesi sono strettamente controllati per inevitabili ragioni di sicurezza; proprio per queste restrizioni nei movimenti, nel maggio 2015, la Federazione Palestinese ha chiesto l’espulsione di Israele dalla FIFA. La richiesta è stata poi ritirata e la vicenda si è conclusa con una stretta di mano tra i Presidenti delle due federazioni. L’interesse israeliano è infatti quello di un regolare svolgimento della vita palestinese, incluso il campionato di calcio: “una volta – racconta ancora Cusin - tornavamo da una trasferta dopo aver vinto 6-0 e il militare israeliano, dopo averci chiesto il risultato, ci esortò ad andare a festeggiare in maniera molto amichevole”. DANIELE TOSCANO Via Ver o ne · se · · Parochet kippot ricami sartoria SERVICE DI CAMBIO ETICHETTE CONTO TERZI Riparazioni sartoriali e piccola tappezzeria PERSONALIZZAZIONE ABITI DA LAVORO Via Giuseppe Veronese, 60/68 - Roma Tel. 06.5594137 www.ricamiepersonalizzazioni.com · SARTORIA VIA VERONESE NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 S e da noi il calcio israeliano è diventato popolare grazie alla partecipazione della Nazionale e dei club alle competizioni UEFA, meno noto è ciò che avviene nella parte palestinese. La Federazione calcistica della Palestina è stata istituita nel 1962, ma è stata riconosciuta e affiliata alla FIFA e all’AFC solo nel 1998 (dopo la creazione dell’Autorità Nazionale Palestinese nel 1994). Da quel momento ha avuto inizio la storia di questa nazionale, che ha raggiunto risultati abbastanza dignitosi: nel ranking FIFA, dal 191º posto dell’agosto 1999 è salita fino al 115° dell’aprile 2006 (oggi è al 118°). Fino al 2008 ha disputato le sue partite prevalentemente in Qatar; il 27 ottobre 2008 ha giocato il suo primo match “in casa”, allo stadio Al-Husseini, nella città di Al-Ram, nei pressi di Ramallah: un’amichevole contro la Giordania, finita 1-1. Il 9 marzo 2010 anche il primo incontro ufficiale, il match contro la Thailandia (vittoriosa ai rigori) per le qualificazioni alle Olimpiadi di Londra 2012. La Nazionale palestinese ha poi ottenuto uno storico successo nel 2014, conquistando l’AFC Challenge Cup 2014 grazie alla vittoria in finale contro le Filippine. Con questo trofeo ha ottenuto anche un posto per la Coppa d’Asia 2015, massima competizione continentale per nazioni, conclusasi però con tre sconfitte contro Giappone, Giordania e Iraq. Ha poi già mancato la qualificazione al prossimo mondiale, non superando il girone del secondo turno, dove è arrivata dietro ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma comunque davanti a Timor Est e Malesia. Il campionato palestinese invece si divide in due tornei, legati alla Striscia di Gaza e alla Cisgiordania. Il primo campionato fu nel 1977, la West Bank League in Cisgiordania; nel 1984 si aggiunse anche la competizione della Striscia. Entrambi non hanno avuto continuità nello svolgimento a causa delle problematiche politiche, anche se recentemente, soprattutto nel primo, si è avuta maggiore regolarità. Quello della Cisgiordania, con 12 25 SPETTACOLI Leonard Cohen e Bob Dylan: la spiritualità musicale di due grandi poeti ebrei Nel lavoro di entrambi è la parola ad essere protagonista A mmesso che esistano davvero le coincidenze è, in ogni caso, uno strano o quantomeno singolare destino quello che unisce due dei più grandi poeti ebrei del Ventesimo e del Ventunesimo Secolo. Bob Dylan e Leonard Cohen toccano insieme oltre il secolo e mezzo di vita – il primo è nato nel 1941, l’altro nel 1934 - e le loro esistenze e carriere si sono spesso intrecciate per motivi e punti di contatto abbastanza evidenti: sono diventati celebri negli anni Sessanta, sono entrambi cantautori, poeti, ebrei, nordamericani. E sono, soprattutto, “amici”, con Dylan che, in più, è non solo un grande fan di Cohen, ma anche una sorta di esegeta sul piano della composizione musicale del canadese. Entrambi hanno una grande spiritualità, ma se Dylan, nelle sue canzoni, offre, talora, qualcosa di più mistico, Cohen viene, spesso, definito come “liturgico”. Del resto una delle sue più celebri canzoni, Hallelujah ha richiesto quasi cinque anni per essere composta diventando un hit mondiale, di cui lo stesso Bob Dylan offre una versione nel suo immenso repertorio dal vivo. Questo autunno entrambi sono, di nuovo, sotto i riflettori allo stesso momento: mentre Dylan è stato insignito del Premio Nobel per la letteratura con tutto quello ne consegue in termini di riscoperta della sua opera e del suo lavoro, Leonard Cohen propone al pubblico un nuovo album, intitolato significativamente ‘You want it darker’, che costituisce un’altra riflessione matura NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 VI ASPETTA NELLO SHOW-ROOM 26 INGROSSO per appuntamento: Tel. +39 06 87 86 02 66 Via A.Traversari, 29 - Roma www.nesluxury.com - [email protected] VINTAGE RESTYLING - LISTE REGALI BAT MITZVÀ - MATRIMONI segui nesluxury su e commovente sul nostro presente e sulle sue lacerazioni. Dopo quasi tre anni trascorsi girando l’Europa in tour, Cohen, a sorpresa, torna a comporre canzoni con la supervisione produttiva di suo figlio Adam, toccando il suo pubblico con una composizione austera, ma intima e travolgente come sempre. La canzone che ha preceduto la release dell’album e che dà il titolo all’intera opera, infatti, non lascia spazio al dubbio. You want it darker uscita il giorno dell’ottantaduesimo compleanno del cantante, il 21 settembre, insiste su un tema caro a Cohen: l’essere preparato e pronto dinanzi all’ultimo viaggio. “Hineni, Hineni” – canta in ebraico – citando Abramo al cospetto di D-o e i riti di Rosh Hashanah. E aggiunge in inglese I am ready, my Lord per rafforzare il senso ultimativo dell’essere umano dinanzi al mistero dell’assoluto. Ed è, ancora una volta, questo misto di spiritualità e di assoluto a rendere più forte il messaggio della canzone che facendo riferimento – ideale o allegorico – alla storia recente, alla soppressione violenta della speranza per mano di chi vuole il ritorno del buio, che Cohen si pone dinanzi al pubblico internazionale come una delle voci più lucide e ispirate: un poeta che, per sua stessa ammissione in direzione della fine della sua vita, prima di essere pronto al passo finale, riflette su un presente in cui oscurità ed oscurantismo provano a spegnere di nuovo l’arte, la poesia, la bellezza nonché – ovviamente - la vita delle persone che credono di potere cambiare il mondo. Ed in questo senso il Nobel per la letteratura a Bob Dylan assume tutta un’altra luce. Robert Allen Zimmermann (questo il suo vero nome) nato a Duluth nel Minnesota 75 anni fa, è per il pianeta intero icona di una rivoluzione poetica legata alla musica rock che in mezzo secolo, nonostante tutto, ha trasformato il mondo così come lo conosciamo. Se, per molto tempo, il leader non ufficiale di quella generazione di artisti nati immediatamente prima o dopo la seconda guerra mondiale, è stato John Lennon, oggi, sono proprio icone come Bob Dylan e Leonard Cohen a continuare a suggerire la possibilità di un mondo diverso, immaginato da sognatori come loro e non da politici, banchieri e militari. In più c’è la componente ebraica: decisamente marcata in Cohen, poeta della bellezza e dell’assoluto, meno in Dylan, assorto cantore del tempo che cambia e che, nel frattempo, si è anche avvicinato al cristianesimo. Entrambi, però, attraverso la magnificenza assoluta della loro parola hanno attratto verso la ricchezza intellettuale e spirituale dell’ebraismo milioni di persone in tutto il mondo. Nel lavoro di entrambi, è la parola ad essere protagonista che se nei versi di Dylan tocca con la sua asprezza geniale e ruvida il cuore e la mente delle persone, con Cohen raggiunge direttamente l’anima, proiettando l’ascoltatore in un mondo di donne, amori, notti insonni e fredde, segnato talora dal dolore, sublimato, spesso, nella speranza. E se Dylan di Cohen dice con affetto che le sue canzoni sono “grandi, profonde e piene di verità. Multidimensionali e sorprendentemente melodiche: ti fanno pensare e ‘sentire’”, a proposito del Nobel al suo amico, Cohen commenta “E’ come dare una medaglia all’Everest: è la montagna più alta”. Frasi e pensieri che solo i grandi poeti possono immaginare. MARCO SPAGNOLI ‘La verità negata’: un film che racconta la lotta contro i negazionisti della Shoah “Q uesto film ha a che fare con quello che va molto oltre la mia storia personale e, con mia stessa sorpresa, trascende l’antisemitismo o la negazione della Shoah. David Irving è l’espressione e il prodotto di questa ‘teoria del complotto’ che aleggia su Internet, di persone che continuano ad affermare cose senza fondamento reale e a fare da ‘imbonitori’ per il clima di odio in cui viviamo. Come storica devo riconoscere che esiste un legame di qualche natura tra la situazione politica mondiale di oggi e il mio caso”. La storica americana Deborah E. Lipstadt non ha dubbi: sottovalutare il malessere e il rancore che scorre su Internet è un errore ed è così che l’intenso film La verità negata, presentato alla Festa del Cinema di Roma sulla sua vicenda personale, assume un’importanza nuova agli occhi di quanto sta accadendo. “C’è un legame tra il mondo cui fa riferimento Irving e quello di Donald Trump. C’è anche una relazione con uno dei sostenitori del Klu Klux Klan amico di entrambi”. Continua Lipstadt “ma è soprattutto un simile modo di pensare e di vedere il mondo che mi spaventa, perché sono persone che vivono nello stesso spettro di odio e disprezzo degli altri cui si aggrappano quelli che, per esempio, hanno propugnato la Brexit e, oggi, farneticano sul rifiuto delle vaccinazioni.” Basato sul libro “Denial: Holocaust History on Trial” di Deborah E. Lipstadt, il film racconta della battaglia legale intrapresa dall’autrice, interpretata dal premio Oscar Rachel Weisz, contro lo storico britannico negazionista David Irving (Timothy Spall) che respingeva l’Olocausto e che – alla fine degli anni Novanta – ha citato la scrittrice in giudizio per diffamazione. Il sistema legale britannico prevede in questi casi che l’onere della prova spetti all’imputato; Lipstadt e il suo gruppo di avvocati guidato da Richard Rampton (Tom Wilkinson) sono stati costretti a provare che l’Olocausto è realmente accaduto, distruggendo la reputazione, del loro accusatore. Diretto da Mick Jackson e adattato per lo schermo da David Hare, candidato al premio Oscar con il film The Reader, La verità negata (Denial) è distribuito in Italia da Cinema di Valerio De Paolis. Abbiamo chiesto a Deborah Lipstadt: La verità negata comunica un senso di vergogna e sgomento nel pensare che possa esistere gente che nega ancora oggi la Shoah… Non sono queste persone a farmi paura, sono coloro che hanno commesso la Shoah e che placidamente hanno vissuto, dopo, una vita normale. Come è stato possibile che sia accaduta una cosa del genere? In parte anche per colpa di persone come David Irving che anche se non scaglierebbero una pietra contro gli altri in prima persona, di fatto, danno vita all’ideologia che alimenta l’odio e la rabbia. Sono degli istigatori pericolosi e ce ne sono molti in giro. Il vero paradosso che al di là dei negazionisti, oggi, 71 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale è anche vero che non sappiamo tutto della Shoah e di cosa è accaduto realmente… E’ vero, non sappiamo tutto. Ci sono degli archivi che restano chiusi senza i quali possiamo avere solo un’idea generale di quanto è accaduto, ma non conosciamo ancora i dettagli. Qualche esempio? L’archivio segreto del Vaticano è ancora inaccessibile per molte annate cruciali e molte chiese locali in Europa dell’Est non hanno ancora rivelato alcuni dettagli che potrebbero essere molto utili. In più non abbiamo avuto accesso agli archivi di alcune grandi società dell’epoca. Come si sono comportate alcune Corporation? Come si comportava, ad esempio, un manager delle Assicurazioni Generali davanti a quanto stava accadendo? L’apertura degli archivi resta cruciale. Personalmente mi sono occupata di altri genocidi: quello del Rwanda e, ad esempio, quello degli Armeni. Senza, però, l’apertura degli archivi turchi agli storici, c’è poca speranza di avere le idee del tutto chiare riguardo i dettagli di quegli eventi. Per andare oltre l’idea generale abbiamo bisogno di accedere a nuovi documenti. E’ ottimista? Certo, sono ottimista, perché c’è una nuova generazione di storici – anche italiani - molto determinata e di grande talento al lavoro e sono sicura che presto avremo sorprese molto interessanti. Cosa pensa di David Irving, oggi, dopo la prigione e dopo le interviste in cui ha, di fatto, ritrattato molte delle sue tesi? E’ una figura sminuita. E’ patetico oggi così come lo era prima, soltanto che si ammantava di accademia e di citazioni. Ha predicato per anni ai suoi fans, evitando i confronti. Poi, però, quando mi ha citato in giudizio ha dovuto confrontarsi con una figura autorevole come un giudice che lo ha affrontato senza lasciargli possibilità di evitare di rispondere in maniera concreta. Questo film, oggi, dice cose che non mi aspettavo all’epoca degli eventi: è una sorta di luce rispetto al buio dell’oscurantismo che torna a minacciarci. Quando David Hare ha scritto il trattamento ha usato una citazione di Galileo Galilei per introdurre il testo: Eppur si Muove. Questo per dire che, prima o poi, la Verità viene sempre a galla. MARCO SPAGNOLI Nella foto in alto: Tom Wilkinson Al centro: Rachel Weisz con Deborah E. Lipstadt NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Ricostruita la vicenda che portò al processo e all’arresto di David Irving 27 LIBRI EDITORIA PER RAGAZZI Alla scoperta dei talenti nascosti NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 P 28 robabilmente qualcuno già lo conosce ma vale lo stesso la pena raccontare di Hank Zipzer. I libri che lo hanno come protagonista hanno venduto negli Stati Uniti tre milioni di copie e da un po’ di tempo le sue avventure sono disponibili anche per il pubblico italiano editi dalla Uovonero. L’ultima uscita è “Fermate quella rana” (12 euro) ed è il terzo della serie dedicata ai bambini dai sette ai nove anni (esistono già otto avventure destinate ai ragazzi dagli otto a dodici). L’autore è Henry Winkler che oltre a scrivere per bambini, è attore, produttore e regista, per i genitori o per gli zii più grandi probabilmente basta dire Fonzie, indimenticabile nel suo giubbotto di pelle nero in Happy Days. Henry Winkler e Hank hanno una cosa in comune, sono entrambi dislessici e anche se non si tratta di veri e propri racconti autobiografici, gli spunti delle avventure di Hank sono davvero reali. Ed è proprio per il suo lavoro nel campo della dislessia infantile che Winkler, figlio di emigrati ebrei, è stato nominato nel 2011 baronetto dalla regina d’Inghilterra. Il piccolo Hank, come spesso avviene, è geniale, affettuoso e travolgente ma a scuola è un vero disastro e le strategie che mette in atto per evitare brutti voti e bocciatura sono irresistibili! Nel caso di “Fermate quella rana” si tratta di badare alla adorata rana che il preside Love ha lasciato in custodia ai ragazzini della sua classe. “Solo perché non sei bravo a scuola - ha spiegato Winkler - questo non significa nulla. Puoi lo stesso volare come un’aquila una volta che scopri in cosa sei bravo. Tutti abbiamo un talento dentro di noi, bisogna solo scovarlo”. Possono apparire parole eccessive o fuori luogo eppure chi sta accanto ad una bambina o ad un bambino dislessico sa bene quanto sia temibile la mancanza di autostima e la frustrazione che un percorso scolastico mal supportato può provocare. Per questo anche le due pagine poste alla fine del libro divengono uno strumento significativo: una nota informativa sulle caratteristiche del carattere e dei criteri utilizzati lasciando, per esempio, spazio tra le righe, evitando andate a capo inopportune e senza allineare il testo a sinistra. E, in tredici righe, una spiegazione su cosa sia la dislessia. Tutt’altro luogo del mondo e della storia per la graphic novel: “La scomparsa della figlia del Re”, un racconto di Rabbi Nachman di Breslav adattato per ragazzi da Breslev Italia (breslevitalia@ hotmail.com) per un progetto ideato da Michael Galante, Joseph Menda ed Edoardo David Galliani (10 euro). Il tratto delle illustrazioni colloca la storia in un mondo lontano ed anche il testo ha inizio con il tono della fiaba: “C’era una volta un re che aveva sei figlie e una figlia … il re amava tutti i figli ma aveva un amore speciale per la sua unica figlia”. La fiaba d’altronde era il mezzo di comunicazione scelto da Rabbi Nachman (1772-1810) che egli narrava in Yiddish. “A sentire la gente - spiegò - le storie sono fatte per far dormire; io invece le racconto per svegliare”. E la riduzione per ragazzi lascia intatta la curiosità e il desiderio di avventura, ma anche l’amore e la dedizione incrollabile per la ricerca. Infatti, spiega Rabbi Nachman seduto di spalle su un carro all’inizio della storia: “E’ un racconto che accese in chiunque lo sentisse una scintilla di desiderio di fare ritorno a Dio”. La figlia del Re è sparita e il vice re si mette sulle sue tracce, cercò per anni, e anni e anni, nei deserti, nei campi e nelle foreste. Preghiere e digiuni aiutarono il vice re a incontrare la figlia del Re ma la debolezza umana gliela allontanerà di nuovo e poi di nuovo. Eppure, conclude la storia “Vi ho raccontato di come il vice re cercò e trovò la figlia del re. Come la liberò non ve lo dirò, ognuno deve scoprirlo da solo....”. Altro tipo di impresa è quella di “Armstrong – l’avventurosa storia del primo topo sulla luna” di Torben Kuhlmann, edita da Orecchio acerbo (19.50 euro). E c’è poco da scherzare visto che è una storia che “la Nasa ha nascosto per anni...”: “Una piccola zampa girò la rotella di un enorme telescopio e un minuscolo batuffolo di pelo grigio sbirciò attraverso il tubo metallico pieno di lenti di vetro (…) Ogni notte osservava il cielo. Quel che l’affascinava di più era la luna”. Come accade sempre con Orecchio acerbo i disegni sono magici e magnifici. Per raggiungere la luna e verificare se sia o meno fatta di formaggio, il topo astronauta dovrà fare mille esperimenti, avvalersi della consulenza di un vecchio topo storico della aviazione topesca, sfuggire agli investigatori umani che sono sulle sue tracce e poi.... e poi leggere per credere, scrutare le immagini fino ai più piccoli degli infiniti particolari e sognare la luna! LIA TAGLIACOZZO LA TOP TEN DELLA LIBRERIA KIRYAT SEFER 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 SOLO IO POSSO SCRIVERE LA MIA STORIA di O. Fallaci ed. Rizzoli IN GUERRA CON IL PASSATO di P. Mieli ed. Rizzoli L’ANIMA DELLA VITA di H. Di Volozhin ed. Qiqajon IL NICHILISMO COME FENOMENO RELIGIOSO di G. Scholem ed. Giuntina IL FASCISTA di A. Elkann ed. Bompiani L’ALBERO DELLA MEMORIA di A. Sarfatti M. Sarfatti ed. Mondadori OGNUNO MUORE SOLO di H. Fallada ed. Sellerio LO STUPORE DI UNA NOTTE DI LUCE di C. Sanchez ed. Garzanti A MOSCA CIECA di F. Kellerman ed. Harper Collins DOVE LA STORIA FINISCE di A. Piperno ed. Mondadori U n paesaggio di ceneri di Ester Gille, edito da Marsilio, è scritto dalla figlia di Michel Epstein e di Irene Nemirovski e racconta le vicende di una piccola bimba affidata dai genitori ad un convento di suore prima di essere deportati: è la storia della stessa Gille. Commovente. Praga al tempo di Kafka di Patrizia Runfola, edito da Lindau, non è solo una guida culturale, come si definisce, ma anche un bel libro che ci porta a sognare. Ripensare il cristianesimo di Eugene Korn, edito da EDB, propone punti di vista rabbinici e prospettive possibili. Originale e intelligente. Elena Lea Bartolini De Angeli e Carmine Di Sante sono gli autori di Ai piedi del Sinai. Israele e la voce della Torah edito da EDB: un testo di rara sensibilità. L’indagine e l’ascolto di Luca Mazzinghi, edito da EDB, è un viaggio attraverso il libri del Pentateuco. I cacciatori di libri di Raphael Jerusalmy, edizioni E/O è un bel romanzo scritto da un ex agente dei servizi israeliani che oggi commercia in libri antichi a Tel Aviv. Un’avvincente lettura. Forse Esther di Katja Petrowskaja, edito da Adelphi è un libro indimenticabile che colpisce nel profondo dell’anima. Il braccialetto di Lia Levi, edito da E/O, è un bel romanzo storico scritto da un’autrice che sorprende ogni giorno di più. La grande illusione delle Olimpiadi di Berlino 1936 D ietro la facciata della perfetta organizzazione nazista, prendeva avvio il dramma dell’emarginalizzazione e persecuzione degli ebrei. Lo racconta il romanzo “L’Ultima Estate a Berlino” di Federico Buffa Siamo a Berlino nell’estate del ’36 e si avvicina l’inizio delle Olimpiadi fortemente volute dal Ministro della Propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels per mostrare al mondo la grandezza del regime nazista. Le gesta degli eroi sportivi come Jesse Owens fanno da cornice alla storia di Wolfgang Früstner, l’ufficiale tedesco incaricato di dirigere l’organizzazione dell’evento che a pochi giorni dall’arrivo degli atleti si trova destituito per via delle sue origini ebraiche. La sua vicenda anticipa quella che sarà poi la completa epurazione degli ebrei tedeschi dalla vita civile del paese. Allo stesso tempo però il dramma non viene percepito dalle delegazioni di giornalisti che notano solo l’organizzazione impeccabile e la cortese ospi- La vita è piena di trucchi di Enrico Finzi, edito da Bompiani, descrive magistralmente il ritratto di una famiglia colta nevrotica, ebrea e laica. Storia dell’ebreo che voleva essere eroe di Vittorio Dan Segre, edito da Bollati Boringheri, è una autobiografia che si legge come un romanzo. Cristianesimo ed ebraismo in Joyce di Stefano Manferlotti, edito da Bulzoni, è un saggio letterario di grande acutezza che getta un fascio di luce su uno dei capolavori del Novecento. Sionismo bifronte di Ettore Ovazza (Anteo edizioni) è un documento storico di grande interesse. Infamanti dicerie di Cristiana Facchini, edito da EDB descrive la prima autodifesa ebraica dall’accusa del sangue. Un piccolo saggio di un centinaio di pagine, assolutamente magistrali. La lanterna magica di Molotov di Rachel Polonsky edito da Adelphi, è un itinerario attraverso il mondo letterario russo: vicende, luoghi e personaggi oscuri protagonisti di vite sanguinarie e, tra questi, Babel, Pasternak, Mandelstam. Le tre vite di Moses Dobrushka di Gershom Scholem, edito da Adelphi, è un bel libro insolito che racconta una vita straordinariamente avventurosa: una figura enigmatica affascinante. Giovanni Pico e la cabbalà a cura di Fabrizio Lelli edito da Olschki raccoglie molti contribuiti originali sui rapporti tra cultura ebraica e cristiana. Stimolante. Il principio dialogico di Martin Buber, edito da San Paolo, è un classico della filosofia contemporanea. Questa nuova edizione, riccamente corredata di note offre pagine di straordinario interesse. RICCARDO CALIMANI talità del regime. Nonostante alcuni inequivocabili segnali della proliferazione dell’odio e della follia razzista a stupire l’altro protagonista, il corrispondente dell’Herald Tribune Dale Warren, è l’incredibile dimostrazione di potenza della Germania di Hitler. “L’Ultima Estate a Berlino” è il racconto della grande illusione creata dai nazisti, quella dei popoli riuniti sotto la bandiera olimpica che si infrangerà poco dopo con le leggi razziali e la Seconda Guerra Mondiale. Da una parte Früstner che rigettato dalla sua patria prende coscienza della realtà che lo circonda e dall’altra Warren che vive solo il fittizio spettacolo sportivo raffigurano in maniera esemplare il paradosso delle Olimpiadi del ’36. Il romanzo, tratto dallo spettacolo teatrale “Le Olimpiadi del ‘36”, testimonia ancora una volta l’indissolubile legame tra sport e società e questo Federico Buffa, probabilmente il miglior storyteller italiano degli ultimi anni, lo coglie appieno anche grazie alle storie degli atleti che hanno partecipato a quelle Olimpiadi. Scritta a quattro mani da Buffa e Paolo Frusca quest’opera è l’ideale per tutti gli appassionati di sport e del periodo storico in questione. MARIO DEL MONTE NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Pagine su pagine. Di ebrei e di cose ebraiche Libri: tra sogni e bisogni 29 STORIA Storia di un salvataggio poco conosciuto Nel 1940 Carlo Orlandi, al comando di una piccola nave, portò in salvo 500 ebrei di Bratislava. Un premio alla sua memoria “C hi salva una vita salva il mondo intero. Che dire se si salvano oltre 500 persone mettendo a repentaglio la propria vita?” Con queste parole ha esordito il Presidente slovacco Andrej Kiska, ospite nella propria ambasciata a Roma per premiare Giulia e Antonio Kowalczyk, nipoti di Carlo Orlandi, comandante della piccola nave da trasporto Camogli, con la quale portò in salvo i 520 naufraghi del Pentcho. La loro era stata una storia avventurosa, forse irrazionale. Era il 16 maggio 1940, quando questo vecchio rimorchiatore si apprestava a salpare dal porto di Bratislava sul Danubio. In passato era servito per il trasporto di bestiame o di grano; la capienza prevista era di circa 150 persone. Furono montate alcune impalcature di legno in più per un viaggio insolitamente impegnativo: raggiungere il mandato britannico di Palestina. A bordo, oltre 500 ebrei di tutti i paesi dell’Europa orientale, spinti all’avventura dal sogno sionista e dalle persecuzioni razziali ormai diffuse in Europa. Ad organizzare la traversata era stata l’organizzazione sionistica Beitar. Carburante, viveri e denaro non abbondavano; le premesse poco allettanti furono completate dal comandante della missione: un ex ufficiale della marina zarista, morfinomane, alcolizzato e con un occhio solo. Un viaggio costantemente caratterizzato dalla necessità di cibo: talvolta giunse provvidenzialmente l’aiuto delle comunità ebraiche lungo il tragitto del Danubio, in altri momenti si verificarono gravi difficoltà. Nonostante queste condizioni avverse, il Pentcho riuscì a scendere lungo il fiume, raggiungendo Budapest e Belgrado. Arrivati in territorio bulgaro, sorsero nuovi problemi, poiché il battello infatti batteva bandiera bulgara, ma i documenti erano scaduti e l’equipaggio fu costretto a togliere il proprio drappo: viaggiarono dunque come una nave pirata. Nel settembre 1940, dopo numerose peripezie, il Pentcho passò anche la Romania e arrivò nel Mar Nero. Il nuovo ostacolo sembrava insormontabile: eppure, grazie a un mare sorprendentemente calmo, superò il Bosforo e i Dardanelli e arrivò nell’Egeo. Una pausa presso la comunità di Atene per festeggiare Rosh haShanà, poi il viaggio ricominciò. Ma il 9 ottobre accadde la disgrazia: un guasto al motore, il vento violento, gli scogli. Dopo 144 giorni di navigazione, il Pentcho naufragò sull’isolotto di Kamilanisi, completamente disabitato e privo di qualsiasi vegetazione. I passeggeri riuscirono a tirare fuori dalla nave lenzuola, piatti e le poche scorte di cibo; la nave affondò e loro rimasero sull’isola per 10 giorni. Lanciarono un SOS: alcune navi inglesi li ignorarono, solo il Camogli, comandato da Carlo Orlandi, non esitò a raccoglierli e a trasportarli a Rodi, allora sotto dominio italiano. In quest’isola i naufraghi rimasero, in condizioni non semplici, per circa un anno. Tra il febbraio e il marzo 1942, il trasferimento al campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, nei pressi di Cosenza. Una fortuna, vista la successiva occupazione di Rodi da parte dei tedeschi e la deportazione della locale comunità ebraica. Ferramonti invece significò prima sopravvivenza e poi salvezza. Fu infatti una realtà particolare, grazie alla posizione defilata, lontana dal conflitto e dai centri di potere dell’Italia fascista, e all’atteggiamento benevolo del suo direttore. Pur essendo luogo di prigionia, recintato dal filo spinato, sorvegliato dalla polizia e dalla milizia fascista, gli internati di questo campo condussero una vita quasi normale. E alla fine del conflitto, arrivò la possibilità di emigrare nel futuro Stato d’Israele, come fece la maggior parte dei passeggeri del Pentcho, che coronò così il proprio sogno. Orlandi, invece, finì in un lager polacco per non aver aderito alla Repubblica Sociale; morì nel 1970, senza aver notizie dei naufraghi del Pentcho che aveva salvato. Oggi finalmente è arrivato questo riconoscimento. DANIELE TOSCANO Gan Eden di Vittorio Pavoncello NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Agenzia di Onoranze Funebri ebraica 30 Siamo Kosher nei modi e nei prezzi Massimo rispetto per i defunti e per gli avelim Ricongiungimenti familiari Trasporti nazionali e internazionali Ristrutturazioni monumenti e tombe di famiglia Costruzioni tombe singole e di famiglia Tel. 327/8181818 (24 ore su 24) [email protected] - www.ganeden.eu ROMA EBRAICA I l Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato, lo scorso 16 ottobre, la mostra che ricorda la deportazione degli ebrei romani allestita nei locali della Fondazione Museo della Shoah. Accolto dai vertici dell’ebraismo italiano - dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, dal presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni e dal presidente della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello - il presidente della Repubblica ha prima posto una corona di fiori davanti alla lapide che ricorda la deportazione di 1024 ebrei romani. Successivamente Mattarella ha visitato la mostra accompagnato dal presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia e dal direttore scientifico prof. Marcello Pezzetti. Mattarella si è intrattenuto per oltre un’ora nei locali, prima incontrando alcuni dei pochi sopravvissuti alla Shoah reduci da Auschwitz e poi ascoltando con particolare attenzione le spiegazioni e il racconto di come nacque e come fu realizzata la più tragica deportazione di ebrei italiani. Una mostra che rispetto ad edizioni precedenti è arricchita di nuove testimonianze, foto, lettere, disegni come quelli di Aldo Gay che, con una grande passione per il disegno, girava sempre con un blocco di carta e una matita, si sofferma sui particolari, ingrandisce dettagli, riproduce in diretta o rielabora dopo qualche tempo ciò che l’occhio ha visto e memorizzato. L Al Presidente Mattarella sono state mostrare le lettere originali delle Autorità naziste che temevano la reazione – che mai ci fu – della Chiesa romana, così come l’originale foglietto che i nazisti consegnarono alle famiglie dei deportati (fu raccolto da terra da un povero padre che si era per caso allontanato e ritornato a casa non aveva trovato più nessuno) con le seguenti istruzioni: “1. Insieme con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie; c) carta d’identità; d) bicchieri. 3. Si può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere a chiave l’appartamento e prendere con sé le chiavi. 5. Ammalati, anche casi gravissimi, non possono per nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere pronta per la partenza”. L’ultima tragica beffa dei nazisti che consentì loro di arrestare 1.259 persone e inviarle al Collegio militare di via della Lungara; in 252 verranno rilasciati, gli altri tutti (1024) deportati ad Auschwitz, dove vi entreranno solo 149 uomini e 47 donne, gli altri tutti uccisi nel giro di poche ore. Torneranno quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino. Degli oltre duecento bambini nessuno tornerà indietro. G. K. Detrazioni “School bonus” a Comunità Ebraica di Roma comunica che, nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 2016, è stato pubblicato il D.M. 8 aprile 2016, in vigore dal 24 maggio 2016, con cui sono state fornite le disposizioni attuative del c.d. “school bonus” di cui all’art. 1, commi 145-150, legge n. 107/2015. Il credito d’imposta, pari: - al 65% delle erogazioni effettuate in ciascuno dei due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2015; - al 50% di quelle effettuate nel periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2017, è previsto in favore delle persone fisiche nonché degli enti non commerciali e dei soggetti titolari di reddito d’impresa che effettuano erogazioni liberali in denaro destinate agli investimenti in favore di tutti gli istituti del sistema nazionale di istruzione, per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti. I versamenti debbono essere effettuati distintamente per ciascuna istituzione scola- stica beneficiaria. Nella causale del versamento deve essere riportato, nell’esatto ordine di seguito indicato: a) il codice fiscale delle istituzioni scolastiche beneficiarie; b) il codice della finalità alla quale è vincolata ciascuna erogazione, scelto tra i seguenti: C1: realizzazione di nuove strutture scolastiche; C2: manutenzione e potenziamento di strutture scolastiche esistenti; C3: sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti; c) il codice fiscale delle persone fisiche o degli enti non commerciali o dei soggetti titolari di reddito d’impresa. Le somme versate in entrata sono riassegnate al capitolo n. 1260, denominato “Fondo per l’erogazione alle scuole beneficiarie delle erogazioni liberali in denaro destinati agli investimenti in favore di tutti gli istituti del sistema nazionale di istruzione, per la realizzazione di nuove strutture scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno a interventi che migliorano l’occupabilità degli studenti” iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca. Le spese sono ammesse al credito d’imposta nel limite dell’importo massimo di 100.000 euro per ciascun periodo d’imposta. Il credito d’imposta: - va indicato nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta nel corso del quale sono effettuate le erogazioni liberali; - è ripartito in tre quote annuali di pari importo. La quota annuale non utilizzata può essere riportata in avanti senza alcun limite temporale. Le persone fisiche e gli enti che non esercitano attività commerciali fruiscono del credito d’imposta nella dichiarazione dei redditi, ai fini del versamento delle imposte sui redditi. Per i soggetti titolari di reddito di impresa il credito d’imposta è utilizzabile, ferma restando la ripartizione in tre quote annuali di pari importo, a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione delle erogazioni liberali, esclusivamente in compensazione nel modello F24. NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Il Presidente Mattarella ha inaugurato la mostra che ricorda la deportazione degli ebrei romani 31 ROMA LIBRIEBRAICA Uniti nel ricordo Il suono dello shofar e le marce silenziose per commemorare il 16 ottobre NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 16 ottobre 1943, gli ebrei di Roma venivano strappati dalle loro case per essere deportati nei campi di sterminio, per il semplice fatto di essere ebrei. In ricordo di questo terribile evento, come ogni anno, si sono svolte due camminate silenziose: la prima, sabato 15 ottobre, organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma insieme alla Comunità di Sant’Egidio; ebrei e cristiani uniti nel ricordo si sono radunati in Piazza Santa Maria in Trastevere e hanno camminato fino a Largo 16 Ottobre dove sono stati accolti dal presidente della CER Ruth Dureghello, che nei saluti ha ricordato l’importanza del ricordo, oggi più che mai soprattutto in relazione alla recente decisione dell’Unesco di rinnegare l’origine ebraica della città di Gerusalemme, una città in cui convivono tutte le religioni. Erano presenti inoltre il Rabbino Capo Riccardo Di Segni, Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant’Egidio, il sindaco di Roma Virginia Raggi e il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti. “Anche quest’anno Roma torna a raccogliersi a Largo 16 ottobre, un luogo nel cuore di Roma che ancora oggi palpita di cuori e valori” ha detto il sindaco Raggi. “È importante essere qui a ricordare: quello che è successo non riguarda solo la comunità ebraica ma tutta Roma. Solo 15 fecero ritorno tra cui una donna Settimia Spizzichino. Un profondo ringraziamento a tutti i sopravvissuti per la loro testimonianza nelle scuole e in ogni luogo in cui sono chiamati. Alcuni di loro non ci sono più ma è nostro dovere ricordarli”. “Pochi mesi prima del 16 ottobre Roma fu bombardata il 19 luglio”, ha concluso Zingaretti: “Le bombe distrussero molti quartieri tra cui San Lorenzo. Un atto di guerra ingiustificabile che è avvenuto anche in queste strade: il 16 ottobre non caddero bombe ma centinaia di nazisti invasero queste strade di mattina e percossero uomini donne e bambini, non per vincere una guerra ma per disprezzo. 32 Siamo qui per ricordare che Roma non permetterà mai più quello che è accaduto”. Domenica 16 Ottobre invece la Comunità si è prima radunata alle 5 del mattino - nella stessa ora e nei stessi luoghi in cui ebbe inizio la deportazione – per ascoltare il suono dello shofar e poi più tardi in Largo Stefano Tachè per dare avvio alla Camminata Silenziosa organizzata da Daniel Di Porto, Elvira Di Cave e Elio Limentani. La camminata si è svolta intorno ai luoghi del ghetto mentre si nominavano tutti gli uomini donne e bambini che sono stati arrestati la mattina del 16 ottobre e i ragazzi hanno letto estratti di testimonianze sia presi da libri che dai racconti dei sopravvissuti. La cerimonia si è conclusa all’interno del Tempio Maggiore insieme ai sopravvissuti Sami Modiano, Lello Di Segni, Yosef Varon, Donato Di Veroli, Alberto Sed e Alberto Mieli, accompagnati dai canti dei bambini della scuola ebraica e dai commoventi discorsi di Elvira Di Cave che ha raccontato la storia della sua famiglia e il lavoro con i sopravvissuti: “Con l’aiuto dei sopravvissuti non smetteremo mai di raccontare al mondo intero quello che è accaduto con la dignità che ci hanno insegnato”. “In questi giorni al tempio sono lette le ultime pagine del libro di Devarim in cui Mosè si congeda dal popolo ebraico dicendo che incontreranno delle difficoltà nel cammino, ma il popolo non avrà fine” ha concluso Rav Di Segni. “Se vogliamo comprendere quello che succede oggi nel mondo non possiamo non considerare quello che è successo nel passato. Noi oggi stiamo seguendo l’insegnamento di Mosè, inoltre oggi rispondiamo all’odio con la vita e con la gioia, infatti stasera festeggeremo Sukkot con le nostre famiglie e continuiamo a essere orgogliosi”. GIORGIA CALÓ Shoah: il ruolo dei medici che uccidevano anziché curare Un tema doloroso che verrà affrontato in un viaggio speciale della Memoria che vedrà insieme personale dell’Ospedale Israelitico e del Bambino Gesù Un lavoro per chi non ha un lavoro È l’obiettivo di un importante progetto, lanciato dall’Assessore al Welfare Alberto Ouazana e dalla Deputazione, che cerca persone che possano offrire un’occupazione a correligionari disoccupati D a circa sei mesi la Comunità Ebraica di Roma ha avviato un progetto sperimentale chiamato Ufficio Lavoro per aiutare persone in difficoltà a trovare un’occupazione. Aiutare chi non ha un lavoro è una delle principali mitzvot che un ebreo possa compiere e già in passato il rabbino capo rav Di Segni aveva rivolto numerosi appelli ad offrire lavoro a chi era privo di occupazione. A dirigere il progetto è l’Assessore al Welfare Alberto Ouazana che insieme ad alcuni volontari e al sostegno logistico della Deputazione Ebraica ha raggiunto già alcuni importanti successi che vanno considerati soprattutto alla luce di un sostegno a chi prima non aveva un lavoro. L’idea nasce dalla volontà di superare il mero assistenzialismo del sussidio emancipando la persona in difficoltà, trovandogli un lavoro adatto alle sue caratteristiche. L’Ufficio Lavoro opera aggregando le domande di lavoro e le offerte delle aziende in un database, un’operazione che richiama i classici giornali di annunci come “Porta Portese”, e invia settimanalmente i curriculum delle persone che hanno fatto richiesta a tutte le aziende o privati in cerca di dipendenti. Inoltre i richiedenti vengono aiutati nella compilazione del proprio curriculum vitae e preparati per futuri colloqui. Con grande sensibilità vengono evitati mezzi di comunicazione come i social network per non ledere la privacy di chi si avvale viaggio “vada ben oltre la conoscenza della storia, ma miri a tenere viva, presente e costante cos’è stata la Shoah, soprattutto in questi tempi in cui attuale è la pericolosità della discriminazione, dell’indifferenza, e della negazione”. “Il metodo di sterminio attuato contro gli ebrei - che può essere considerato simile soltanto a quello riservato a Rom e Sinti - non aveva niente a che vedere con quello perpetrato, ad esempio, contro omosessuali ed asociali” ha quindi precisato Marcello Pezzetti. “La questione biologica, le basi pseudoscientifiche, erano ritenute dai nazisti fondamentali, ed a un ‘codice genetico diverso’ corrispondeva una sorte nei campi diversa. Non si parlava neanche più di religione ebraica, ma di ‘origine’, ed era deportato anche chi non halachikamente ebreo. Il concetto fondante, ciò che è indispensabile capire, è che per il nazismo l’ebraismo costituiva una ‘Pericolosità genetica’, una malattia che minava il ‘corpo sano’ del popolo tedesco. E allora chi, se non i camici bianchi poteva essere incaricato di sbarazzarsi di questi ‘batteri’?”. Loro avevano in mano le redini, ed il loro ruolo, centrale nell’organizzazione quotidiana dei lager, fu chiaro fin da prima dello scoppio della guerra, quando fu messa in atto un’enorme campagna di sterilizzazione di malati mentali, disabili e portatori di tare ereditarie. All’arrivo di ogni treno di deportati, ha sottolineato poi Pezzetti, sulla rampa dove oltre l’80% dei passeggeri era indirizzato a morte certa, era un medico a decidere chi fosse abile al lavoro e chi andava eliminato, ed erano sempre i dottori ad aprire la bombola di Ziklon B nelle camere a gas e, successivamente, ad accertare la morte dei deportati per effettuarne la cremazione e compilarne il certificato di decesso. JOELLE SARA HABIB dell’aiuto dell’Ufficio e tutto si svolge di persona o telefonicamente. In media il processo di collocamento va a buon fine una volta su tre, una statistica più che positiva visto il grande numero di richieste e la poca offerta. Il problema più grande infatti è che non tutta la Comunità è a conoscenza di questo progetto e sono pochi i correligionari che mettono a disposizione posti di lavoro. Inoltre alcune categorie di persone, specialmente gli uomini sopra i quarantacinque anni, difficilmente vengono presi in considerazione quando la maggioranza delle offerte è nel campo dell’assistenza agli anziani dove i datori di lavoro preferiscono dipendenti di sesso femminile. Alberto Ouazana si è detto contento dei risultati ottenuti finora, specialmente per quanto riguarda i posti di responsabilità per i quali l’operazione di ricollocamento è avvenuta rapidamente e con successo. Nei progetti futuri dell’Ufficio Lavoro c’è la creazione di un tavolo permanente con altre realtà assistenziali per il miglioramento del servizio e la possibilità di diventare in futuro una base di partenza per trovare un’occupazione ai più giovani una volta terminati gli studi. In questo senso è già stata avviata una collaborazione e uno scambio di esperienze con l’Ufficio lavoro della Comunità ebraica di Milano. Nel breve termine invece è fondamentale rendere nota l’esistenza di questo servizio a tutte le imprese, sia grandi che piccole, gestite dagli ebrei romani. Questi ultimi infatti spesso cercano persone di fiducia da inserire in posti strategici e con l’Ufficio Lavoro possono trovarli compiendo tra l’altro una mitzvà nei confronti di un correligionario bisognoso. Per qualsiasi informazione si può contattare l’Ufficio Lavoro alla casella di posta elettronica [email protected] o al numero di telefono 39246676470. MARIO DEL MONTE NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 D all’8 al 10 Novembre si terrà ad Auschwitz Birkenau il primo viaggio della Memoria organizzato appositamente per medici e ricercatori. “Uno mai fatto in questo modo, forse uno dei più duri mai fatti in termini di viaggio della memoria”, come è stato definito alla presentazione alla Casina dei Vallati. Un viaggio che “oltre a far apprendere la storia della Shoah mira dritto al centro delle atrocità che si sono verificate in quel campo”. Un viaggio che nasce dalla volontà di mettere in luce quanto sia stato determinante il ruolo dei dottori nella soluzione finale nazista e quanto da quella terribile esperienza ancora oggi i dottori possano e debbano imparare. Parteciperanno circa 50 tra medici, pediatri e ricercatori dell’Ospedale Israelitico e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - accompagnati dai direttori sanitario e scientifico del Bambino Gesù Massimiliano Raponi e Bruno Dallapiccola e dalla direttrice sanitaria dell’Israelitico, Amalia Allocca – e saranno guidati nei luoghi dell’orrore del campo di sterminio dal sopravvissuto Sami Modiano e da Marcello Pezzetti, consulente scientifico della Fondazione Museo della Shoah. “Il compito di medici e ricercatori è curare, amare, lavorare per il bene, per la vita ma i nostri medici vedranno quanto male si può fare quando si passa dalla parte della morte”, ha spiegato Mariella Enoc, presidente del Consiglio di Amministrazione del Bambino Gesù, ricordando come, durante la guerra, l’ospedale rimase aperto “e delle nostre suore accolsero, come era doveroso fare, molte famiglie che sarebbero state altrimenti deportate”. “Molti i sentimenti e pensieri comuni” ha evidenziato la presidente CER Ruth Dureghello che ha sottolineato come lo scopo di questo 33 ROMA EBRAICA Una serata speciale per una persona speciale Limmud in memoria di Shlomo Venezia U na serata veramente speciale quella che si è svolta martedì 18 ottobre presso l’oratorio Di Castro nel Tempio di via Balbo” e che ha visto la partecipazione di un centinaio di persone. Solitamente, da circa 10 anni, il martedì sera in questi locali si riunisce un gruppo di studio fondato dal M.o Joseph Arbib, che per tutto l’arco dell’anno approfondisce i temi legati alla Paraschà della settimana. Il gruppo è composto da uomini dai 30 agli 80 anni che dopo una giornata di lavoro e di impegni, dedica qualche ora allo studio della Torah e della Halakhà. Le lezioni solitamente sono arricchite con un collegamento telefonico da Israele con Rav Slomo Amar, ispiratore dell’iniziativa, ma martedì 18 la serata è stata dedicata ad una grande personalità della nostra comunità e del mondo ebraico in generale, Shlomo Venezia, attraverso un Limmud ASSOCIAZIONE D.A.N.I.E.L.A DI CASTRO AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 L’“Associazione Daniela Di Castro 34 Amici del Museo Ebraico di Roma” è nata per aiutare il Museo Ebraico di Roma nella tutela, conservazione, promozione, diffusione e sviluppo della ricchezza del suo patrimonio. PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI: www.associazionedanieladicastro.org [email protected] Tel. 334 8265285 in occasione del quarto anniversario della sua scomparsa. Slomo Venezia, originario di Salonicco, era un ex deportato nei campi di sterminio nazisti, ed anche se ha cominciato a raccontare la sua drammatica storia solo diversi anni dopo la fine della guerra e dopo essersi stabilito a Roma dove con la moglie Marika ha creato la sua famiglia, la sua importanza nel tramandare la profonda ferita che gli ebrei d’Europa hanno dovuto subire è stata di straordinaria importanza. Il suo merito principale è stato senza dubbio quello di saper entrare nel cuore dei ragazzi che spesso accompagnava a visitare i campi di sterminio; chi scrive ha avuto il privilegio di accompagnarlo nel suo secondo viaggio, e la particolarità della sua testimonianza è dovuta al fatto di essere stato uno dei pochissimi sopravvissuti che ha fatto parte del Sonderkcommando, l’unita speciale dei prigionieri ebrei costretta a lavorare nelle camere a gas e ai forni crematori. Il Limmud è stato organizzato dalla famiglia Venezia ed erano presenti oltre ai figli - Mario, presidente della Fondazione Museo della Shoà, Alessandro ed Alberto - diverse personalità della nostra comunità: il presidente Ruth Dureghello, il Capo rabbino Rav R. Di Segni, Rav G. Di Segni e Rav B. Carucci, questi ultimi tre nella duplice veste di ospiti ed oratori. Ha presentato la serata Alessandro Venezia, che con l’occasione ha illustrato la sua ultima iniziativa editoriale e cioè la riedizione del Pirkè Avot (Massime dei Padri), con il commento del 1977 ad opera del Prof Joseph Colombo. La grande miglioria apportata, è l’aggiunta del testo in ebraico e la migliore impaginazione, che ha reso possibile la stampa sulla stessa pagina, del testo in ebraico, della traduzione e del commento, tutto della stessa dimensione. Per capire l’importanza del Pirke Avot basta pensare che tradizionalmente viene letto tra Pesach e Shavuot, un brano ogni Shabbat In ogni Sinagoga al termine della regolare funzione. Alessandro ha voluto, tra l’altro, spiegare dettagliatamente la prima parte del primo capitolo ed in particolare ha evidenziato che il passaggio della Torah da Mosè a Giosuè e attraverso i profeti e la “Magna Congregazione” fino a noi, non è stato solo un atto pratico, ma piuttosto un atto spirituale, infatti chiunque studi ciò che ha tramandato un Rav è come se si collegasse a lui. E’ stata poi la volta di Rav Riccardo Di Segni che ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa editoriale in quanto il testo racchiude in sé aspetti del pensiero rabbinico di 2000 anni fa, ed ha spiegato che il testo ebraico è sacro proprio perché molto commentato.Il Rav, anche essendo, in generale, restio a parlare di Shoà, ha poi stuzzicato il pubblico con un gioco di date, sottolineando che tra il 1870, anno della breccia di Porta Pia e della conseguente liberazione del ghetto di Roma e la deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre 1943 passarono 73 anni, esattamente gli stessi 73 che sono passati da quel tragico ‘43 e il corrente anno 2016, ad ognuno le osservazioni in merito. Rav Gianfranco Di segni ha invece fatto fare ai presenti un tuffo all’interno del testo, illustrando come ci sia un vero e proprio vademecum etico del perfetto giudice che deve giudicare secondo “Pesciarà” ovvero l’arte del compromesso e se questo non bastasse deve giudicare con dolcezza per poi comunque arrivare fino in fondo al suo giudizio. Rav G. Di Segni ha poi confidato ai presenti la sua frase preferita del Pirke Avot e cioè di ascoltare la verità da chiunque la dica, constatazione meno banale e più ricca di sfumature di quanto possa sembrare. Infine Rav Benedetto Carucci si è spinto ancora di più all’interno del testo parlando del secondo capitolo della quarta Misnà, all’interno del quale sono esplicitati una serie di comportamenti da seguire, come l’invito a non separarsi dalla comunità, al non dire cose a bassa voce perché prima o poi si udiranno, al non dire di studiare quando si avrà tempo perché non lo si avrà mai. Ma la frase che ha più stimolato i presenti e che ha dato adito a più riflessioni senza dubbio è stata quella che afferma di non poter giudicare il proprio amico, il Rav ha spiegato che è difficile giudicare una persona perché bisognerebbe essere al suo posto ed anche nei confronti di un amico che è la persona che conosciamo meglio questo è un esercizio di estrema difficoltà. Un riferimento che si adatta all’esperienza della Shoà, proprio per l’impossibilità di immedesimarsi nei panni di chi questo dramma lo ha vissuto sulla propria pelle e in prima persona. FABIO ASTROLOGO C on una cerimonia semplice, senza cerimoniale ma toccante. la Comunità ebraica di Roma ha ricordato l’attentato palestinese del 9 ottobre 1982, nel quale fu ucciso il piccolo bambino di due anni Stefano Gay Tachè e nel quale furono ferite oltre 40 persone. “Siamo qui riuniti, nello stesso luogo e allo stesso orario dell’attentato - ha spiegato il vice presidente della Comunità ebraica romana, Ruben Della Rocca - per ricordare un giorno particolare della nostra storia, ma anche della storia di questa città e dell’Italia. È una storia che non dimentichiamo perché il terrorismo non è un problema ebraico è un problema purtroppo, come ci raccontano le cronache di questi giorni, che riguarda tutti, ed è una ferita per noi sempre aperta”. Alla cerimonia - presenti i genitori e il fratello del piccolo Stefano, insieme a tanti ebrei romani, fra cui alcuni feriti dell’attentato - hanno portato il saluto delle istituzioni il presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito e il consigliere regionale in rappresentanza del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. Alle istituzioni si è rivolta il presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello che ha ricordato come per molto tempo - con l’eccezione dei presidenti della Repubblica Napolitano e Mattarella - le istituzioni avessero ‘dimenticato’ questo attentato ed ha ringraziato la famiglia Gay Tachè “che ogni anno nonostante il dolore e la sofferenza è presente alla cerimonia”. “Questo non è un appuntamento scontato - ha spiegato il rabbino capo di Roma, rav Riccardo Di Segni -. L’attentato del 1982 L’attentato: il prima, il durante e il dopo Se ne è discusso in una serata – organizzata dal Benè Berith Giovani e da Delet – con Gadiel Tachè e con il giornalista Pierluigi Battista “H o voluto dare tutto me stesso per questo, per raccontare la storia di Stefano, e soprattutto per portarla al di fuori delle quattro mura della comunità”, ha spiegato Gadiel Tachè. “Negli ultimi anni sono stato bombardato dai media, che sono ora ben felici di parlare con me, ma quest’anno non me la sentivo ed ho preferito concentrarmi sui giovani della nostra comunità, cosicché il prossimo anno saremo insieme a parlare”. Con queste parole ha preso avvio una serata costruita per ragionare sulle cause e sul clima precedente l’attentato alla Sinagoga Maggiore, organizzata al Bet Michael dal Benè Berith Giovani e da Delet, in memoria di Stefano Gaj Tachè, a 34 anni dall’attacco terroristico in cui perse la vita. “Una serata dove si potesse discutere e argomentare, sul prima e sul dopo” nelle parole di Gadi, fratello della vittima, e, soprattutto organizzata dai giovani “molti dei quali allora non erano neanche nati, ed è perciò un grande merito che siano proprio loro a rievocare questo episodio”, come evidenziato dalla presidente UCEI Noemi Di Segni. “Fummo venduti a terroristi palestinesi che colpirono ferocemente, la piccola vittima e altre 37 persone, e che ancora oggi non so- no stati trovati”, ha sottolineato invece la presidente CER Ruth Dureghello, che non mancando di ricordare l’attentato avvenuto in Israele, nel quale le vite di Yosef Karmi e Levana Malihi sono state interrotte, ha ribadito come “nonostante la storia e la volontà di molti di distruggerci, ci siamo e continueremo ad esserci, ad andare al tempio, a mandare i nostri figli nelle scuole ebraiche”. “Un atto nefando compiuto contro degli innocenti, con ogni probabilità diretto contro i bambini, ampiamente presenti quel giorno, venuti per la berachà”, lo definiva il Rav Elio Toaff ai giornalisti, nel video formato da spezzoni di telegiornali dell’epoca proiettato in sala, “non vorrei fosse il sintomo inquietante di un pericolo imminente: 40 anni fa cominciarono con gli ebrei e finirono con la seconda guerra mondiale”, continuava allarmato. “Ma la comunità nazionale non volle capire l’enormità di quel crimine”, ha affermato Pierluigi Battista, proprio il primo giornalista con cui, nel 2011, Gadiel Tachè, che rimase anch’egli gravemente ferito nell’attentato, decise di incominciare a parlare. “Non lo volle capire perché non poteva ammettere che chi chiedeva l’annichilimento dello Stato di Israele e la cancellazione anche fisica de- non nacque dal nulla ma fu il culmine di una marginalizzazione e dell’isolamento della comunità ebraica; lo dicemmo allora, prima e dopo l’attentato, e la nostra denuncia non fu capita per molto tempo. La tragedia di questa storia fu anche la chiara e netta sensazione che fummo venduti. I terroristi vollero fare di questo quartiere un luogo di morte, ma non ci sono riusciti. Noi siamo qui, celebriamo le nostre feste, celebriamo i nostri matrimoni e ci resteremo”. Marco Betti della Comunità S. Egidio ha sottolineato come “nelle nostre tradizioni religiose il ricordo non sia solo rivolto al passato, ma sia rivolto al futuro come strumento contro i predicatori dell’odio”, mentre il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, in un messaggio, ha ricordato “l’oblio che per troppo tempo ha accompagnato questa vicenda”. Alla cerimonia - conclusa con l’accensione di un lume davanti alla lapide - è intervenuto al termine Gady Tachè: “sentiamo - ha spiegato - finalmente vicino a noi la presenza delle istituzioni. Abbiamo però il dovere di ricordare, di tramandare la memoria di questi tragici eventi alle nuove generazioni che, a loro volta, ricorderanno ai loro figli. Solo in questo modo coltiveremo la speranza di un futuro migliore”. G. K. gli ebrei che lo abitavano non avanzava una rivendicazione di indipendenza nazionale, ma dava corpo a un’ossessione antiebraica”, scrive nell’articolo uscito il giorno seguente sul Corriere della Sera. “Era truffaldina la rappresentazione che veniva data della guerra israelo-palestinese” ha enfatizzato infatti durante la serata, “e fondamentale a questo proposito è riportare alla mente altri due episodi avvenuti a distanza di pochi anni: il dirottamento dell’aereo Air France ad Entebbe, ed il sequestro della nave Achille Lauro seguito dall’uccisione del passeggero ebreo americano, su sedia a rotelle, Leon Klinghoffer. Chi chiede l’indipendenza non vuole la cancellazione fisica del nemico. Anche l’Irlanda cercando di ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna fece uso di terrorismo, ma non pretendeva di negare il diritto di esistere della stessa e di sterminarne tutti gli abitanti. Analogo fu il caso dei Baschi, e, giusto o sbagliato che sia, è evidente come si tratti di un modus operandi nettamente diverso da quello usato dal terrorismo palestinese che colpiva sinagoghe, luoghi di culto, scuole ebraiche... Molti considerano anche quello che è accaduto a Gerusalemme oggi come una cosa diversa dalle stragi di Parigi o di Bruxelles. Non è vero, sono la stessa cosa. La stessa cosa di Roma 1982, quando un bambino ebreo venne trucidato nell’indifferenza nazionale. Un episodio dolorosissimo, non solo privato, ma una pagina di cui l’Italia intera dovrebbe vergognarsi”. JOELLE SARA HABIB NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 9 ottobre: ricordato il 34mo anniversario dell’attentato palestinese alla Sinagoga di Roma 35 ROMA EBRAICA Vivere e sopravvivere nella Città Eterna gante sia dal punto di vista lavorativo che umano nonostante la fatica, lo stress e le tantissime difficoltà”. Il film infatti è stato realizzato con pochissimi mezzi a disposizione e questo ha complicato ulteriormente il già tortuoso percorso per concretizzare l’idea, in alcuni aspetti autobiografica, partorita qualche anno fa. “Non è solo caparbietà e testardaggine” ha aggiunto, “a volte devi veramente chiedere a te stesso cosa vuoi. Un po’ come Maria che nel film capisce che non basta credere: bisogna avere chiaro l’obiettivo, volerlo e impegnarsi per raggiungerlo.” Anarchica e restia a farsi incatenare dalle regole sociali, Karen (figlia di ‘Pucci’, personaggio molto amato e conosciuto dalla ‘Piazza’) è però molto legata alla Comunità Ebraica di Roma in cui è cresciuta, una famiglia allargata di cui, abitando per molto tempo in Via del Tempio, tutt’oggi sente il calore e la creatività popolare che in parte ha assorbito. In attesa dell’uscita nelle sale di “Maria per Roma” Karen è già tornata al lavoro per il prossimo sforzo artistico. Tra i vari progetti c’è una storia scritta a quattro mani con la sorella minore molti anni fa ma che non andò mai in porto per l’assenza di una certa maturità come regista che ora, rotto definitivamente il ghiaccio con il mondo del cinema, si sente in grado di realizzare. Una donna forte, indipendente e dotata di una grande autoironia, nel solco della tradizione ebraica come fa notare lei stessa, che merita ampiamente l’attenzione dedicatagli dalla stampa dopo il Festival e di cui molto probabilmente torneremo a sentir parlare. MARIO DEL MONTE ‘Maria per Roma’, l’opera prima della regista, sceneggiatrice e interprete Karen Di Porto. A breve nelle sale cinematografiche P resentata come possibile sorpresa al Festival del Cinema di Roma, l’opera prima della regista, sceneggiatrice e interprete Karen Di Porto ha raccolto diversi consensi e stimolato una certa curiosità per l’uscita nelle sale prevista per il 2017. “Maria per Roma” è la storia di una donna che sogna di fare l’attrice ma è costretta a correre per la città, accompagnata dalla sua cagnetta Bea, svolgendo il suo lavoro di key-holder (consegna cioè ai turisti le chiavi di case-vacanze ndr). Una Roma maestosa ma totalmente indifferente alla vicenda fa da cornice alla storia: un macrocosmo abitato da famiglie borghesi decadute, emarginati che nonostante abitino i luoghi più rappresentativi della città sembrano usciti dalla lontana periferia e turisti esigenti quanto scortesi, la Città Eterna diventa il palcoscenico in cui i protagonisti si arrangiano per far fronte ad un nemico tanto insolito per il cinema quanto comune nella realtà, la vita quotidiana con i suoi ostacoli che spesso non permettono di realizzare i sogni nel cassetto. Un film che non ha una morale ma veicola diversi messaggi e analizza temi importanti come il crescente ruolo del turismo nel sostentamento degli abitanti della città senza necessariamente urlare, prendendo però posizione in maniera decisa. Per la regista all’esordio è stata “un’esperienza bellissima e appa- COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE Vuoi studiare con figlia? Pagani dello staff, ma anche il fatto che riservi “un datua Eleonora Matan: la preparazione speciale, unico, tra madre e figlia, in cui fermarsi e parVuoi studiare conmomento tua mamma? lare di ebraismo e valori” come sottolineato invece da Lidia Calò, al bat mitzvà per madri e figlie direttrice del Dipeduc. Bat mitzvah P NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 P 36 R O G R A M Ogni incontro, della durata di due ore, a cadenza mensile, sarà infatti costituito da una fase di studio condiviso (chavruta) tra madre e figlia a partire dalle fonti, una di ‘esperienza creativa’, attraverso l’esperienza delle arti – dal teatro al disegno, dalla danza roposto dall’UCEI in collaborazione con il Dipartimento al canto - ed una di ‘confronto ed elaborazione’, con discussione Vi invitiamo a partecipare al Bat Mitzvah Program Educativo della CER e il Pitigliani, Matan è unVuoi corso i pre- con studiare figlia? deitua valori emersi durante il percorso. Ogni unità, per un totale “LE DONNE ATTRAVERSO I SECOLI” parazione al Bat mitzvà organizzato “per le dalle Undonne percorso che, attraverso lo studio delle fonti, Vuoi studiare condi tua mamma? 8, sarà incentrata su una figura femminile della storia Biblica ci farà sentire parte della catena delle donne ebree donne” che, ripercorrendo il “ruolo della donna ebrea atdalla Bibbia ai giorni nostri (Rebecca, Miriam, Debora, Hanna, Ester ecc.), traverso le generazioni”, propone degli inconVi aspettiamo alla presentazione del corso dedicandosi soprattutto agli attributi positiR O G R A M martedì 27Psettembre 2016 alle ore 18.00 tri-guidati di studio madre-figlia. Auspicando presso il Centro Bibliografico “Tullia Zevi” vi e ai valori da ognuna incarnati, da cui le Lungotevere R. Sanzio, 5, Roma una crescita della madre accanto a quella della ragazze potranno trarre insegnamento, arriArea Cultura UCEI 06.45542211 [email protected] figlia si propone di far capire a quest’ultima Dipeduc 06.87450210 - [email protected] vando, a fine corso a presentare “La donna di Il Pitigliani 06.5800539 - [email protected] come il Bat mitzvà costituisca un ponte per colvalore attraverso la donna di valore che è in legare se stesse alla continuità ebraica - “una me”, scegliendo un personaggio femminile in Vi invitiamo a partecipare al Bat Mitzvah Program catena che scorre nelle generazioni”-, e mira “LE DONNE ATTRAVERSO I SECOLI” cui si identificano e mostrandone in una ceriUn percorso che, attraverso lo studio delle fonti, alla conoscenza “dei diritti e responsabilità lemonia finale le caratteristiche, le qualità, ed i ci farà sentire parte della catena delle donne ebree gati all’appartenenza al popolo di Israele una dalla Bibbia ai giorni nostri comportamenti attraverso diverse espressioVi aspettiamo alla presentazione del corso volta raggiunta l’età adulta, l’insegnamento ni artistiche. martedì 27 settembre 2016 alle ore 18.00 presso il Centro Bibliografico “Tullia Zevi” dei valori ebraici, e la scoperta della loro rile“È questo uno dei tentativi di dare un ruolo Lungotevere R. Sanzio, 5, Roma vanza nella nostra vita”. e significato diverso al bat mitzvà, una celeArea Cultura UCEI 06.45542211 - [email protected] Il progetto - che avrà inizio a novembre ed Dipeduc 06.87450210 - [email protected] brazione che era ai miei tempi a mio avviso Il Pitigliani 06.5800539 - [email protected] è “un piccolo importante contributo per una un po’ dequalificante, senza sostanza, nella piccola rivoluzione”, come annunciato da Rav quale le ragazze non avevano un ruolo attivo. Non ha senso dare Roberto Della Rocca alla presentazione - è frutto di un lungo larassicurazioni buoniste dicendo che tutti sono uguali, ma bisogna voro congiunto tra educatori ed insegnanti UCEI, Pitigliani e del enfatizzare che come l’uomo ha il suo ruolo, anche la donna ha una Dipartimento educativo. Infatti, nonostante si tratti, come spiesua specificità”, ha quindi concluso Rav Della Rocca, ribadendo gato da Barbara Zarfati, coordinatrice del progetto, di un format l’importanza di “dare un ruolo dignitoso alla donna in conformità già collaudato, ideato nel 1994 da Oshra Koren ed ormai attivo in con quella che è la tradizione ebraica”. Per informazioni più di cento comunità in Israele e all’estero, per portarlo in Italia contattare: Area Cultura UCEI 0645542211 [email protected] Dipeè occorso un corso di formazione per tutte le persone coinvolte. duc 0687450210 [email protected] Particolare in questo progetto è “l’aspetto esperienziale, creatiPitigliani 065800539 [email protected] vo, dinamico, originale, e molto coinvolgente” come evidenziato JOELLE SARA HABIB Sarà un modo originale di trasmettere l’educazione ebraica ‘di generazione in generazione’ UNIONE DELLE COMUNITÀ EBRAICHE ITALIANE COMUNITÀ EBRAICA DI ROMA Bat mitzvah LA PILLOLA DEL MESE DOPO Nuovo cinema mammasciudde N 10) ROMANZO FORSIALOMALE: tre negozianti monopolizzano la produzione di golfetti a Roma, divenendo così i re del mercato, meglio conosciuti con il nome “Banda della maglia”. 11) I CANNONI DI...FA DAVARRONE: ambientato al Gianicolo nel corso della Seconda Guerra Mondiale, narra la genesi dell’arma segreta di cui nessuno doveva parlare. 12) CER UNA VOLTA IL WEST: ovvero le grandi commattute all’interno della comunità. Da non dimenticare anche le prossime uscite: TORAH TORAH TORAH, NATALE IN ISDRAELLE (con Judian De Sica e Massimo Bondi’), INDIPENDENCE PRAY (storia del tempio riformista), FIFA E AMARENA (interamente girato all’interno del bar Totò), JURASSI A BABBO, SCUOLA DI PULIZIA (performance da Premio Oscar di Collozozzo), IL VIOLINISTA SUL GHETTO (un insegnante di musica nghevrimme alle prese con i liceali della Renzo Levi), 50 SFORMATURE DI GIGGIO, e ROGER RABBI. Le alternative non mancheranno, quindi, a tutti coloro che vorranno passare un paio d’ore in allegria. Con l’avvertenza che potranno incorrere in alcuni episodi poco edificanti, già vissuti in diverse occasioni dai frequentatori del Multisala: tra il primo ed il secondo tempo, in molte sale, si è potuto distintamente sentire il grido: “Ma baastaa! Puro qua!”, rivolto all’indirizzo del povero Shammash (è a lui che spetta passare con la cassettina della zedaká durante l’intervallo). L’altro episodio, al momento dell’uscita delle sale, è stato il poco elegante: “E SEMPRE PE QUESTO CE SE VENGA...” proveniente dagli spettatori in coda. ATTILIO BONDÍ & FRIENDS Sukkot Delet: un successo nonostante la pioggia M usica, un ricco buffet di paste, stuzzichini e dolci, wine bar e sushi a volontà per l’ormai tradizionale Sukkot Party organizzato a Via Balbo dal Delet - assessorato alle politiche giovanili in collaborazione con l’UGEI. Una serata che nonostante le intemperie e la conseguente impossibilità di utilizzare la sukkà nel terrazzo del tempio, ha saputo reinventarsi, all’ultimo piano del palazzo, senza per questo rinunciare alla tipica atmosfera, festiva ed ebraica insieme, propria di queste iniziative. “Uno speciale momento di aggregazione per i ragazzi della nostra comunità, una tappa fissa” lo definisce l’as- sessore Giordana Moscati che, molto soddisfatta della collaborazione, ricorda come questa sia ormai abituale per l’annuale festa di Sukkot ed il Seder di Pesach. Potendo contare, nonostante la partita e gli altri eventi tenutisi in concomitanza, ben 160 partecipanti, la serata ha riscosso grande successo, ed è stato il primo incontro da quando a Marco Caviglia sono succeduti alla guida del Delet Alessandra Calò e Ruben Spizzichino che, soddisfatto dei risultati raggiunti, ci informa: “ci saranno molte novità rispetto allo scorso anno, puntiamo molto su questo canale e abbiamo in serbo tante nuove iniziative”. JOELLE SARA HABIB Un grazie della Comunità agli uomini della sorveglianza Tradizionale cena sotto la sukkà C ome da tradizione, anche quest’anno con una cena informale sotto la sukkà nel giardino del Tempio Maggiore, la Comunità ebraica ha voluto ringraziare tutti coloro, dipendenti e volontari, che nel corso dell’anno si sono dedicati ed impegnati nella sorveglianza. A portare saluti e parole di ringraziamento, il capo rabbino rav Riccardo Di Segni, il presidente Ruth Dureghello e il responsabile delle attività Gianni Zarfati che hanno sottolineato il sacrificio e le rinunce che tanti uomini e donne della nostra Comunità affrontano per cooperare nelle attività di vigilanza e sorveglianza. Un pensiero, in particolare, è stato rivolto ai giovani, coloro che nel breve e medio futuro dovranno prendere il testimone nel passaggio naturale di generazioni. In un clima sereno e rilassato, al termine tutti gli ospiti hanno apprezzato le celebri “pasta con i broccoli” e “pasta con ceci” di Ciccio Verdura. NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 ell’ambito della riqualificazione di Portico d’Ottavia, non poteva certo mancare l’inaugurazione di un cinema di nuova concezione. Finalmente a portata di mano 24 sale, tra le quali una d’attesa ed una da tè, dedicate completamente al cinema ebraico. Titoli più o meno famosi, che trattano di ebraismo nelle sue diverse sfaccettature, anche le più particolari. Abbiamo avuto un’anteprima sulla prossima programmazione, della quale di seguito proponiamo alcuni esempi. 1) PROVA A PRENDERMI: storia vera di Settimio Resciudde, uno nghevrimme inseguito dal Preside della scuola e dalle sue lettere di ingiunzioni di pagamento. Si tratta di un remake di un vecchio film dal titolo VIA COL VENTO, nel quale il protagonista era allora perseguitato dalle tasse della comunità. 2) Clienti che andavano e tornavano dai negozi cercando di cambiare articoli più e più volte, questo il leitmotiv del film PASTI STELLARI, a cui è seguito subito il sequel IL RITORNO DEL CARATODDE. Ormai dei cult alcune battute dei due film: “A che ora aprite?”. “A che ora chiudete?”. “Domani siete aperti?”. Cose da fantascienza! 3) Finalmente sul grande schermo la storia dello nghevrimme che fa l’alià, intitolata IL RITORNO DELLO JUDÍO. 4) Uno scienziato pazzo restituisce la vita a una coppia di nghevrimmi vissuti durante l’epoca del ghetto: FRANKO E STERINA JUNIOR. 5) I parenti del defunto decidono di ingaggiare una iorbedde professionista per proteggere l’ottone di Prima Porta dalle scorrerie di rumeni e zingari: I MAGNIFICI 7 DI’. 6) Una madre si vanta del pupo, 4.5 kg alla nascita: GRANDE GROSSO E PICCIONE. 7) VERA GLACIALE: vicende di una nghevrimme che non dava confidenza a nessuno. 8) “MAMONNE LETALE 4”: storia della sorveglianza a scuola con Tom e Jenny. 9) DOI STORY: vite parallele di due ex compagni di giochi in piazza, ai quali la vita ha riservato destini diversi. 37 DOVE E QUANDO NOVEMBRE 21 27 30 DICEMBRE 16.30 LE PALME Visita audiometrica gratuita L U N E D I eseguita dalla Dott.ssa Carola Astrologo ------------------------------------------------------------------------------- 06 Giochiamo con l’alfabeto DOMENICA ------------------------------------------------------------------------------- MERCOLEDI Nell’ambito del PKF 2016 cenetta e talk show “Cabalà Woody Allen e il cinema ebraico” in collaborazione con Hamos Guetta Conduce David Parenzo. Con il Prof. David Meghnagi e Guido Barlozzetti di Unomattina Info e prenotazioni: 065800539 [email protected] ------------------------------------------------------------------------------- ADEI WIZO, Lungotevere Ripa, 6 M A R T E D Ì Lezione con cena per il ciclo 17.00 LE PALME 20.20 Il PitiglianI 20.30 Centro di Cultura Ebraica - ADEI WIZO 08 14 GIOVEDI La tefillà e il rapporto con D-o con Rav Alfonso Arbib Costo della cena € 16,00, posti limitati, prenotazione obbligatoria entro venerdì 2 dicembre: centrocultura@ romaebraica.it 065897589 ------------------------------------------------------------------------------- 17.00 LE PALME Raccontiamo e commentiamo un Midrash ------------------------------------------------------------------------------- 16.30 LE PALME Alla riscoperta dei canti tradizionali di channukkà MERCOLEDI ------------------------------------------------------------------------------- NOTES CENTRO DI CULTURA EBRAICA Sono appena iniziati i corsi di ebraico moderno a vari livelli e in diverse fasce orarie con Alumà Mieli, insegnante madrelingua Info: 065897589 - [email protected] – www.culturaebraica.roma.it NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 IL PITIGLIANI 38 Nuovi corsi: Ebraico principianti con la morà Ester Di Segni ogni mercoledì ore 18.00- 19.30 Ebraico intermedi e avanzati con Assaf Kedem il martedì ore 18.00-19.30/19.45-21.15 Ebraico a portata di mano: lezioni a tema con la morà Ester Di Segni ore 19.45-21.15 Arte con Cesare Terracina ore 16.30-18.30 Auto trucco con Carol Spizzichino giovedì 20.30 – 22.00 4 lezioni da un’ora e mezza a partire dal 6 ottobre Flower design con Mario Di Castro giovedì 18.00 - 20.00 Krav maga con Chantal Di Porto 8 lezioni a partire dal 31 ottobre. lunedì 20.30 - 21.30 L’abc dei social con Tami Fiano ore 10.3011.30 Trattamenti shiatsu con Dalia Di Veroli 18.00 - 21.00 il giovedì su prenotazione Ginnastica posturale con Gianni Ciccarone lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9.00 alle 10.00 Laboratorio voce canto con Evelina Meghnagi martedì dalle 19.30 alle 21.30 Metodo Feldenkrais con Irene Habib lunedì e mercoledì 19.30 - 21.00 giovedì 9.45 - 11.15 seminario domenicale 20 novembre dalle 10.00 alle 14.00 “Rivitalizzare la colonna vertebrale per rin- novare la postura” - info e prenotazioni Irene 3403680717 – Info e prenotazioni su tutti i corsi: Micaela o Federica 065897756 – 065898061 – corsi@ pitigliani.it Undicesima edizione del Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel cinema Dal 19 al 24 novembre Gruppo Ghimel tutti i giovedì alle ore 16.30 17 novembre Massimo Moscati - la musica e la tradizione ebraica: il controverso rapporto tra la musica e l’ ebraismo dalla Torah a Schoenberg 24 novembre Fabio Spizzichino - uno sguardo multifocale su numeri e permutazioni 1 dicembre Giacomo Moscati - mitologia ebraica 15 dicembre Maurizio Tomasi & David Ajò - presentazione del libro “Amos e lo smeraldo del testaccio” Info David: [email protected] 3934288178 Programmi educativi: Un lunedì ogni 15 giorni alle 18.30 continuano gli incontri del Pitigliani Vocal Project - il coro dei bambini dai 6 ai 13 anni condotto da Evelina Meghnagi Info Giorgia: 065898061 – educazione@ pitigliani.it Domenica 20 novembre, 4 e 18 dicembre Proseguono le domeniche di ebraismo: per i bambini dai 3 ai 11 anni – identità e cultura ebraica, feste e tradizioni, lingua ebraica e corso post bar/bat mitzvà Info Giorgia Di Veroli: 065898061 [email protected] Nell’ambito delle domeniche di ebraismo il 20 novembre alle 11.00 ci sarà il primo Jclub a viale Marconi Il Jclub - dopo il grande successo a piazza Bologna – apre una nuova sede anche a viale Marconi. Ogni domenica dalle 10 alle 11.20 incontro per genitori con la dott.ssa Hora Aboaf: 5 incontri a cadenza mensile che avranno con tema le principali festività ebraiche discusse attraverso un particolare approccio che utilizza le radici delle parole bibliche alla scoperta di un profondo intreccio fra significante e significato. Save the date domenica 18 dicembre Festa di channukkà! Info Giorgia: 065898061 [email protected] SHABAT SHALOM Parashà: Vaierà Venerdì 18 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16:28 Sabato 19 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17:30 ---------------------------------------------------Parashà: Cheyè Sarà Venerdì 25 NOVEMBRE Nerot Shabath: h. 16.23 Sabato 26 NOVEMBRE Mozè Shabath: h. 17.26 ---------------------------------------------------Parashà: Toledot Venerdì 2 DICEMBRE Nerot Shabath: h. 16.21 Sabato 3 DICEMBRE Mozè Shabath: h. 17.24 ---------------------------------------------------Parashà: Vayetzè Venerdì 9 DICEMBRE Nerot Shabath: h. 16.20 Sabato 10 DICEMBRE Mozè Shabath: h. 17.24 per bambini dai 6 agli 8 anni e dai 9 agli 11 anni. Costo 30 € che comprenderà 4 allenamenti. Per info: Yosi 3271881544 (piazza Bologna); Samuel 3347940519; Aron 3338946465; Daniel 3402255134 (Piazza Bologna). AUGURI NASCITE Mazal tov a Roberto Anticoli e Gina Sonnino (Jenny), segretaria dell’AGS, per la nascita di Liel Shana. Liel, Shana Anticoli di Roberto e Gina Sonnino Sara Bondì di Aldo e Micol Perugia Auguri a Enrico Modigliani (già consigliere CER, curatore di Sorgente di Vita e fondatore di Shalom con Lia Levi e Luciano Tas) per il matrimonio della nipote Iara Modigliani Caviglia con Shimon Berkley in Israele. Ovviamente auguri ai genitori Silvia Modigliani e a Massimo Caviglia, per molti anni direttore di Shalom. BAR/BAT MITZVÀ Samuel Piazza di Giacomo e Pamela Mieli Micol Misano di Leone e Barbara Efrati Michal Colafranceschi di Daniel e Betty Astrologo Daniel Anticoli di Ruben e Micol Finzi Shirel Perugia di Cesare e Alessandra Manasse Riccardo Piperno di Romeo e Micol Sonnino Dan Baranes di Moise e Debora Volterra Federico Spizzichino di Andrea e Fabiana Moscati Michelle Pavoncelli di Marco e Simona Marcozzi Meir Angelo Moscati di Roberto e Ilaria Limentani David Terracina di Marco e Linda Vivanti Nicole Efrati di Simone e Loredana Hakmun partecipazioni - mishmaroth - birchonim - editoria ebraica Via Giuseppe Veronese, 22 - Tel. 06.55302798 MATRIMONI David, Carlo Pitigliani – Simona Calò Michael Abraham Sasson – Victoria, Guta, Hanna Raccah Invalsi: buoni risultati per la scuola elementare ebraica Sono arrivati a settembre i risultati delle prove Invalsi sostenute dagli alunni di seconda e quinta elementare nel maggio scorso, risultati molto buoni, che registrano un’ottima performance degli studenti nelle prove scritte realizzate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, sostenute a livello nazionale ed uguali in tutta la Penisola. I test - per l’italiano circoscritti alla valutazione della competenza di lettura (intesa come comprensione, interpretazione, e riflessione sul testo) e della grammatica, e per la matematica concernenti i quattro ambiti ‘Numeri, Spazio e figure, Dati e previsioni, Relazioni e funzioni’ - si prefiggono non di giudicare i bambini, che li sostengono in forma anonima, bensì di indagare il livello scolastico delle scuole e di testarne le capacità di trasmettere competenze, costituendo quindi un elemento potenzialmente molto efficace se utilizzate come guida per un miglioramento dell’offerta del sistema nel suo complesso, e di ogni singola istituzione e docente in particolare. La comparazione dei risultati delle determinate classi o scuole con gli esiti complessivi delle prove, interpretati alla luce della conoscenza del contesto specifico in cui l’istituto opera, può servire per individuare i punti di forza e di debolezza del percorso effettivamente realizzato in classe e delle scelte didattiche effettuate. Nelle quinte risultati molto buoni per l’italiano, con punteggi dell’8% superiori alla media, e soprattutto, “molto oltre la media” la matematica, con una differenza del 12,7%. Espresso il giudizio di ‘significativamente superiore’ in entrambe le materie per le seconde, per cui le percentuali non sono esplicitamente calcolate. JOELLE SARA HABIB Il Presidente della Deputazione Ebraica ed il Consiglio desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti a Lello e Rina Sonnino che in occasione delle loro Nozze d’Oro hanno generosamente devoluto quanto destinato ai lori regali al sostegno delle famiglie in grave difficoltà della nostra Comunità. A Lello e Rina un affettuoso Mazal Tov! Auguri a Hatanim 5777 HATAN TORÀ HATAN BERESCITH Tempio Maggiore Alberto Funaro Massimiliano Calò Tempio Spagnolo Roberto Calò Graziano Di Veroli Tempio V. Balbo Alberto Piperno Dario Coen Tempio Ashkenazita Bruno Funaro Alberto Heimler Tempio Casa di Riposo Giacomo Moscato Umberto Piperno Tempio dei Giovani David Baungarten Fabrizio Manasse Tempio Beth Shalom Josef Anticoli Giovanni Cristofari Beth Michael Uri Bahbout Fabio Perugia Tempio Colli Portuensi Ariel Astrologo Emanuele Pavoncello Tempio V. Veronese Enrico Anav Gabriele Frig Hatan Meonà: Victor Debach Tempio V. Garfagnana Emanuel Hayon, Daniel Raccah Alon Guetta Tempio dei Parioli Yochan Benjamin Fadlun Eli Molinello Fadlun Rabba Hatan Meonà: Davide Bendaud CI HANNO LASCIATO Fiorella Anticoli ved. Amati 05/11/1925 – 08/10/2016 Bianca Bracci in Anzellotti 19/101934 – 04/10/2016 Enrico David Di Veroli 02/02/1964 – 10/10/2016 Sion Hassan 01/10/1920 – 22/10/2016 Ester Pavoncello Moscato 30/04/1938 – 05/10/2016 Fiorina Sermoneta ved. Calò 20/10/1923 – 02/10/2016 Eleonora Spizzichino ved. Limentani 20/09/1923 – 21/10/2016 Wanda Tagliacozzo ved. Spizzichino 04/09/1922 – 15/10/2016 Luciano Terracina 22/08/1936 – 19/10/2016 IFI 00153 ROMA - VIA ROMA LIBERA, 12 A TEL. 06 58.10.000 FAX 06 58.36.38.55 NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 e sempre pe’ questo ce se venga ... RINGRAZIAMENTI 39 NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 STORIE 40 D Bye, bye Obama iabete, pressione alta, colesterolo: Berto era afflitto da molti di quei malanni che tormentano la vita degli anziani e che ne minano le arterie, candidandoli all’infarto. Già per tre volte era passato dal pronto soccorso alla sala operatoria. Le angioplastiche gli avevano evitato il peggio, ma ogni volta era uscito dall’ospedale più depresso, con la sensazione di aver fatto un passo in più verso la definitiva uscita di scena. Dopo quegli episodi, quasi inconsapevolmente, aveva preso a flirtare con la morte, stilando deprimenti bilanci di un’esistenza ormai ai titoli di coda. Sono pronto, continuava a ripetersi. Venga pure il tristo mietitore e faccia il suo lavoro, che io non ho più nulla da chiedere alla vita. Vero è che, da quando sua moglie se n’era andata, la solitudine gli era sola compagna. Ambizioni, desideri, speranze appartenevano al passato mentre vivacchiava di una misera pensione che lo costringeva a fare della parsimonia un malinconico stile di vita. Quanto al lavoro poi, era ormai su un binario morto: lo assorbiva e affaticava, senza gratificarlo. Di tutto questo, ad ogni modo, Berto non si curava poi troppo. La mattina, entrando nel suo bugigattolo, si lasciava alle spalle ogni inquietudine e scivolava nella dimensione dei pensieri, delle idee, delle riflessioni. Sfogliava cataste di giornali, di libri, di pubblicazioni e lasciava vagare la mente in ogni direzione. Scavava dentro le notizie come dovesse separare il grano dalla crusca e cercava fra le verità gridate la verità del buonsenso. C’era sempre qualcosa che lo inquietava, che lo stupiva, che lo scuoteva. Ora poi che la corsa alla Casa Bianca stava entrando in dirittura finale, seguiva le vicende americane con rassegnata apprensione. Uno peggio dell’altra pensava. E gli venivano in mente i pupazzi del Gianicolo, Pulcinella e il Diavolo, che se le davano di santa ragione a suon di bastonate senza concludere mai nulla. Da ragazzo aveva amato l’America. Libertà, democrazia, progresso. John Wayne, Hollywood, il sogno americano. La bandiera a stelle e strisce gli appariva allora un faro cui far riferimento per dirimere il bene dal male. Crescendo, aveva visto il cinismo, gli errori, gli scandali solcare di crepe quel bastione ideale delle libertà. È vero che gli altri erano peggio ma quella mezza assoluzione gli lasciava ogni volta l’amaro in bocca. Poi era arrivato Obama. Yes we can! e aveva incantato il mondo, promettendo mirabolanti cambiamenti di rotta. Un fuoco di paglia di speranze mal riposte, pensava Berto. Otto anni e il mondo era più fragile e insicuro. Otto anni e un Occidente senza guida era ostaggio di ogni sorta di fanatismo. Senza contare i sentimenti ambigui verso Israele. Ora, d’accordo, per Berto la politica verso Israele era una cartina tornasole della politica in generale, un metro di giudizio della statura e dell’etica di un Leader. Lui stesso la definiva una sana ossessione, ma il malanimo di Obama gli sembrava tangibile. Fuori discussione. E invece no. La stampa, gli addetti ai lavori e la Casa Bianca lo nascondevano sotto tonnellate di melassa. Ogni volta buone parole e stucchevoli dichiarazioni precedevano e seguivano atti lesivi della sicurezza e dell’agibilità politica di Israele. Obama era stato capace di mettere al centro dell’agenda mondiale la questione di qualche decina di condomini in Israele mentre in Siria la gente moriva di bombe, di gas e di fame, in scenari da Seconda Guerra Mondiale. Mentre il Califfo Misericordioso metteva a ferro e fuoco mezzo modo, mandando i suoi a seminare panico e morte in Europa. L’ultimo episodio, poi, per Berto era stato eclatante. Obama che certifica la sua amicizia verso Israele, rinnovando per dieci anni l’accordo per gli aiuti militari ad Israele. Una cifra astronomica dicono i giornali. La più grande che sia mai stata stanziata da qualunque Amministrazione americana. Un atto di generosità senza precedenti. Ma è davvero così? Berto non si contenta di quello che legge. Come un cane da tartufo, fiuta, cerca, scava. Ma soprattutto pensa. È vero, la cifra è la più grande che sia mai stata stanziata, ma detratta l’inflazione è inferiore a quella dei precedenti stanziamenti. Senza contare che i nemici che Israele deve affrontare sono oggi più forti che mai. Più agguerriti e implacabili, dopo lo sciagurato accordo con l’Iran. Ma ciò che fa davvero arricciare il naso a Berto è la sua presentazione come un grazioso dono americano agli amici di Israele. Niente di più lontano dal vero. Nemmeno un dollaro lascerà gli Stati Uniti. L’intero stanziamento sarà appannaggio dell’industria bellica americana e sosterrà in definitiva il più strategico dei settori industriali, con modalità inattaccabili da un Congresso che storicamente non ama i finanziamenti pubblici alle imprese. L’accordo svilupperà inoltre ricerca e posti di lavoro con ricadute benefiche sull’intera economia americana. A prescindere da questo poi, Israele è un solido alleato in uno scacchiere tanto instabile quanto strategico. Ogni dollaro speso per la sua sicurezza è un dollaro speso per la sicurezza americana. Mantenere alte le sue capacità di difesa e deterrenza è un imperativo strategico irrinunciabile, non un semplice atto di amicizia. Ma tant’è. Questione di mesi. Obama è in procinto di lasciare, solo che… Beh, i suoi oppositori lasciano trapelare che lo stanziamento a favore di Israele servirebbe solo a preparare il suo ultimo dono avvelenato a Bibi e al suo governo: un’astensione americana in Consiglio di Sicurezza che lascerà passare una mozione devastante per Israele. L’imposizione al ritiro sui confini del ‘67, senza compensazioni, senza trattative, senza garanzie. Un premio all’unilateralismo di Abu Mazen, una pietra tombale su qualunque trattativa. Una resa incondizionata al terrorismo. Berto stenta a crederlo, ma come diceva Andreotti… Del resto, pensa, la storia non insegna mai nulla. All’Unesco l’Occidente non si è prostituito? E Renzi poi… MARIO PACIFICI [email protected] NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Berto l’edicolante 41 LETTERE AL DIRETTORE voce lettori La dei NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Cultura e danze ebraiche Nell’ambito delle celebrazioni per la giornata europea della cultura ebraica tenutasi domenica 18 settembre scorso, noi della comunità ebraica di Ancona, abbiamo organizzato, in aggiunta al programma nazionale, sia una conferenza sui dialetti ebraici tenuta dal nostro responsabile del culto Sig. Nahamiel Ahronee, che una rappresentazione di balli/danze ebraiche antiche e moderne. Il tutto all’interno della sala convegni del museo “Omero” di Ancona. Alla fine della conferenza la compagnia di danza “DANZINTONDO” ha effettuato un vasto repertorio di circa 15 danze. Abbiamo riscosso un enorme ed inaspettato successo, tanto che è stato richiesto anche il bis. Un’ora quindi di piacevoli sonorità e musiche ebraiche che sono piaciute molto sia al folto pubblico presente, che alla delegazione della comunità ebraica stessa. Insomma una bella serata all’insegna della musica ebraica. Io iscritto alla comunità ebraica di Ancona, faccio anche parte di questo gruppo di danza (con sede sociale a Morro d’Alba, piccolo paese all’interno delle campagne marchigiane a 30 km da Ancona), e siamo specializzati soprattutto nelle danze ebraiche, oltre che ovviamente nel classico repertorio folkloristico tradizionale popolare-regionale: saltarello, tarantella, pizzica del sud Italia, danze in cerchio, in catena, danze Francesi e balcaniche, ecc.... Per chi si dovesse trovare per lavoro o per ferie qui nelle Marche/Ancona, venga a trovarci a Morro d’Alba. Cordiali saluti. SERGIO FORNARI 42 Piccoli sionisti Egregio Direttore, Il 6 ottobre è stata una giornata piena e ricca di emozioni agli Asili Israelitici Rav Elio Toaff. Durante la mattinata c’è stato un bellissimo ed emozionante incontro con una famiglia del kibbutz Nir Izchak in rappresentanza del GAN TUT con il quale i nostri asili hanno da poco stretto un gemellaggio. Il kibbutz si trova al nord del Neghev, al confine con la striscia di Gaza. Come purtroppo sappiamo, in tutta quell’area la popolazione è in continuo pericolo, a causa dei tantissimi missili che da anni colpiscono il sud d’Israele. Ovviamente i bambini sono spesso costretti a passare dal caldo delle loro classi, ai poco accoglienti bunker antimissili, vivendo quindi spesso situazioni di pericolo e stress. Desideravamo da subito far capire ai nostri piccoli studenti il legame forte che da sempre lega ogni ebreo con i propri fratelli e sorelle in Erez Israel, cercando così di poter incentivare delle future amicizie tra i nostri bambini ed piccoli del kibbutz. La direttrice Judith Di Porto ha fatto visitare la nostra scuola alla famiglia Lanternari. Daniel ha fatto l’alya nel 1995, in Kibbutz ha conosciuto la futura moglie Naty e assieme hanno formato una bellissima famiglia con tre bambini. Le tre classi dei bimbi più grandi li hanno accolti con canti e balli e hanno donato loro diversi lavori, tra i quali un album con foto di vita scolastica e disegni abbinati a belle immagini della città di Roma. Simpatico il momento in cui quattro bimbi hanno regalato una bandiera della squadra giallorossa ai piccoli amici israeliani. A loro volta il GAN TUT ha donato alla scuola un libro fatto dai piccoli kibuznik con foto e disegni dei suoi talmidim. Con l’aiuto di Internet sarà facile mantenere i contatti, rendere sempre più partecipi i bambini e far loro conoscere realtà diverse, con un bel sentimento ispirato all’amicizia e all’amore per la terra d’Israele. GINO MOSCATI, PRESIDENTE ASILI [email protected] L’Unesco mi indigna Spett. Redazione, Mi indigna e mi addolora la dichiarazione dell’Unesco. Prossimamente dovrei salire a Gerusalemme e per prima cosa andrò al Kotel per pregare. Cordialmente shalom. ROSA MARIA PERRERA Il romanticismo dell’Unesco e il monte del Tempio Se come si afferma polemicamente, e criticando la Il Guerra Mondiale raccontata dagli alleati, “La storia la scrivono i vincitori” dobbiamo a questo punto temere che la risoluzione UNESCO in merito al Monte del Tempio che non riconosce all’ebraismo mondiale alcune legame con il Monte del Tempio, sia una pagina della storia scritta dal fondamentalismo islamico trionfante, per il quale tutto ciò che non è conforme alla visione dell’estremismo e fondamentalismo islamico e dei suoi partner non è degno di esistere. Non c’è differenza, quindi, fra la cancellazione della storia e la distruzione dei siti storici. Che tutto questo possa accadere nei luoghi di guerra conquistati dal fondamentalismo islamico e dai suoi seguaci, sostenitori e supporter istituzionali può offenderci, indignarci, ma non sorprenderci (chi non ricorda le gigantesche statue dei Buddah fatte esplodere alcuni anni fa). Che l’UNESCO sia diventato o stia diventando un luogo dove si abbatte la storia dell’umanità (che l’UNESCO dovrebbe riconoscere e proteggere) è, invece, un dato preoccupante più serio e grave della risoluzione che è stata ratificata. Non c’è protezione e salvaguardia dei siti patrimonio dell’umanità se dietro, sopra o in mezzo non vi sia anche una storia che ne racconti la nascita e la sopravvivenza. Se così non fosse sarebbero questi luoghi, carichi di storia umana, delle rovine senza storia, ruderi, immersi nella natura e facenti parte della selvaggia natura. Questo romanticismo dell’UNESCO che non riconosce al popolo d’Israele alcun legame storico sociale e finanche cultuale con Il Monte del Tempio invece che esaltare e promuovere la pace, innesca ideali falsi nella reconquista (in questo caso reconquista islamica) di Gerusalemme come città unicamente islamica. Che la proclamazione di Gerusalemme come capitale indissolubile dello stato di Israele e gli scavi possano essere un atto unilaterale è discutibile e biasimevole ma questo non ci esime, oggi, dal discutere e combattere chi vuole sottometterci a delle visioni della storia negazioniste. E che questo paradossale e strambo negazionismo sia la voce ufficiale dell’UNESCO, sede competente per la memoria e per la conservazione del patrimonio dell’umanità, è una nuova realtà con la quale ci si dovrà confrontare. La proposta è stata discussa e approvata in sede UNESCO ma che si sia arrivati a discuterla è già questa la oltraggiosa menzogna di cui l’UNESCO si rende complice. Con il negazionismo non è possibile trattare. E non è una semplice disattenzione che il testo parli dei luoghi oggetto di contesa soltanto in lingua araba. In pieno spirito romantico l’UNESCO fa finta di non sapere e, anzi, accetta come il romanticismo teorizzava che: lo spirito di un popolo risiede nel suo linguaggio che esprime una visione del mondo e del pensiero, oltreché, ovviamente, l’espressione manifesta dello spirito di un popolo. E se il Monte del Tempio ha soltanto un nome in arabo significa che in primo luogo è un territorio islamico e di nessun altro. Poiché questa è la visione del mondo che quel linguaggio vuole esprimere nel parlare una sola lingua. A noi la storia insegna che nei territori con pluralità linguistiche, la segnaletica e anche le informazioni commerciali nei negozi, sono scritte nelle diverse lingue che formano la popolazione del luogo. Mi viene in mente che anche quando si costruì la Torre di Babele gli uomini parlavano una sola lingua e furono poi costretti a diversificarle per non essere empi. Quella delle differenze è una nostra conquista dopo che qualcuno volle, parlando una sola lingua, edificare non un Tempio dedicato al Signore, come Gerusalemme dovrebbe essere per le tre religioni monoteiste, ma una Torre di Babele segno di una fede fondamentalista che non parla che il proprio linguaggio e accusa gli altri di non capirlo. VITTORIO PAVONCELLO, REGISTA SHALOMשלום EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto. ONU. Sigla per “Organizzazione Nazioni Ubbidienti”. Simpatico club internazionale, formato da moltissime nazioni, alcune delle quali solo apparentemente sovrane. Le iniziative del club non sempre risultano innocue. Le Nazioni Ubbidienti, insieme con i club affiliati (cultura, alimentazione, salute, ecc.), si riuniscono periodicamente per condannare, sanzionare e biasimare uno dei propri affiliati e cioè lo Stato di Israele. Di solito su richiesta di alcune decine di altri Stati ispirati, a loro avviso, dalla comune appartenenza al mondo arabo e islamico. Ephraim Kishon, un umorista israeliano scomparso nel 2005, spiegò a suo tempo come una eventuale mozione araba, proposta nel club per indurlo a dichiarare solennemente che la luna è fatta di formaggio, avrebbe comunque trovato una larghissima maggioranza. Anche dopo lo sbarco umano sul satellite della Terra. In questi casi oggi, come è noto, i paesi dell’Unione Europea si astengono. Forse anche le missioni spaziali europee si schiantano sul formaggio marziano. Colà depositato dai soliti sionisti. Smokéd Fabio Astrologo David Meghnagi Attilio Bondì Fiamma Nirenstein Marcello Bondi Mario Pacifici Riccardo Calimani Angelo Pezzana Giorgia Calò Clelia Piperno Luca D’Ammando Pierpaolo P. Punturello Jonatan Della Rocca Jacqueline Sermoneta Segretaria diSermoneta redazione Jacqueline Mario Del Monte Marco Spagnoli Piero Di Nepi Lia Tagliacozzo Sigmund Dollinar Francesca Tardella Ghidon Fiano Daniele Toscano Joelle Sara Habib Ugo Volli PER LA VOSTRA PUBBLICITÀ [email protected] Cell. 392.9395910 DIREZIONE, REDAZIONE Lungotevere Sanzio, 14 - 00153 Roma Tel. 06.87450205/6 - Fax 06.87450214 E-mail: [email protected] [email protected] - www.shalom.it Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposto a riconoscerne il giusto compenso. 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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 Giacomo Kahn Direttore responsabile Un bel gesto di solidarietà Egregio Direttore Mi fa piacere poter condividere con i lettori di Shalom questa calorosa lettera, inviatami dall’Ambasciatrice di Francia in Italia, Catherine Colonna (e gentilmente tradotta da Rita Josè Scandaliato). La prego di volerla pubblicare. Ho preso visione della sua magnifica lettera del 22 agosto 2016, per la quale sentitamente ringrazio. Essa costituisce da parte sua un bel gesto di solidarietà dopo il terribile attentato del 14 luglio 2016 commesso a Nizza. Si tratta di una testimonianza importante di unione nei grandi momenti di avversità e gliene sono grata. Ha avuto la gentilezza di condividere parte del suo eccelso lavoro artistico, ed è con piacere che ho scoperto il catalogo della sua esposizione “Come miele nel marmo” del maggio 2014. Mi permetta anche di cogliere l’occasione di questo messaggio per complimentarmi con lei per l’opera che ha offerto al Sommo Pontefice il giorno della sua visita al Tempio Maggiore di Roma nel gennaio 2016. Il dinamismo della comunità ebraica di Roma e la ricchezza degli avvenimenti che organizza costituiscono un contributo di primo piano per la vita intellettuale e culturale di Roma, dell’Italia, e del continente europeo, e so che le manifestazioni organizzate in occasione della Giornata europea della cultura ebraica nel settembre 2016 ne sono state una ulteriore testimonianza. La prego di gradire, egregio signore, l’espressione della mia alta considerazione. CATHERINE COLONNA, AMBASCIATRICE DI FRANCIA IN ITALIA 43