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N° 11 - NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777 • ANNO L - CONTIENE I.P. E I.R. - Una copia € 6,00 Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A.P. D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1 Roma
ONU
LE PAROLE
DI NETANYAHU
EUROPA
IL PERICOLO
DEL POPULISMO
USA
‫בס’’ד‬
DOPO OBAMA
CHE AMERICA SARÀ
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Nonostante l'Unesco
"Har haBayit beyadeinu"
A 50 anni dalla riunificazione di Gerusalemme
"il Tempio è nelle nostre mani". E vi rimarrà
Israele tra calcio e religione
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Il viaggio di Mattarella in Israele:
Un grande successo in cui
manca però un fotogramma
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
È
sempre sbagliato provare a fare una sintesi e un
bilancio di un viaggio diplomatico, tanto più quello di
alcune settimane fa compiuto dal Presidente della
Repubblica Sergio Mattarella, recatosi in Israele e nei
territori sotto controllo dell'Autorità palestinese. Un viaggio che
sembrava addirittura a rischio, sia per l'equivoco voto di
astensione dell'Italia in sede Unesco sulla negazione delle origini
ebraiche di Gerusalemme, sia per le polemiche ed offensive
dichiarazioni di un vice ministro israeliano che, a poche ore dalla
partenza di Mattarella, aveva parlato del terremoto nel centro
Italia come una 'punizione divina' giunta proprio per quella
astensione. Tutto era poi rientrato per le ferme parole da un lato
di Renzi e poi dello stesso Netanyahu: e su questo qualche
considerazione prima o poi andrà fatta, su capi di governo che
devono mettere pezze e smarcarsi dai loro rispettivi ministri.
Una missione diplomatica - come ha sottolineato lo stesso
Mattarella - che è stata la prima visita ufficiale in Medio Oriente,
“e la mia scelta di iniziare proprio da Israele conferma lo storico
rapporto di grande amicizia tra Israele e Italia. Non vi è settore
in cui non registriamo amicizia e grande affinità di valori, che
sono alla base delle nostre rispettive società e democrazie”.
Durante gli incontri, il presidente Mattarella ha usato parole di
straordinaria potenza: “Israele, con la sua democrazia, ci
richiama alla cultura e alla responsabilità della memoria,
congiunta a una tensione continua verso la modernità e il
progresso. Una memoria che ci parla anzitutto di lotta per
l’affermazione della dignità di ogni persona, quale che sia il
Paese e la latitudine in cui si trovi a vivere, quale che sia il suo
status. La memoria della Shoah, un valore fondante della società
israeliana sospinge in questa direzione. La Shoah è divenuta,
anche nel nostro Paese, un tratto costitutivo”. “Israele – ha
dichiarato il presidente della Repubblica - con la sua democrazia
così forte e vitale costituisce un modello per tutta la regione.
L’Italia sarà costantemente dalla sua parte ogni volta che il suo
diritto e dovere a esistere fosse messo in dubbio”. E a scanso di
equivoci e male interpretazioni Mattarella ha precisato: “L’Italia
è contro il boicottaggio”.
Ma il boicottaggio che oggi Israele deve contrastare non è solo
quello economico, dello scambio culturale tra università, del
blocco dell'export, è il tentativo di una delegittimazione che
metta in dubbio il valore legale ed internazionale dello stato
ebraico; è il negare il valore religioso, storico e politico della
presenza degli ebrei su quella terra.
Pur in un’agenda molto fitta di colloqui e di incontri; pur
avendo dovuto anticipare il ritorno per essere vicino alle
popolazioni terremotate delle Marche e dell'Umbria, il
presidente Mattarella avrebbe potuto fare una piccola ulteriore
sosta. Dopo aver effettuato la visita privata al Santo Sepolcro,
avrebbe potuto visitare con lo stesso protocollo il Muro
Occidentale. Possiamo facilmente immaginare le molte
motivazioni per questa mancata visita, fra cui il fatto che
qualcuno ne avrebbe tratto motivo di polemiche. Non si è fatta,
pazienza. Nulla cambia nei rapporti tra Italia e Israele, ma
quella foto mancata avrebbe avuto però la forza di imbarazzare
coloro che sfacciatamente negano l'ebraicità di Gerusalemme.
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COPERTINA
Gerusalemme rimarrà sempre nel cuore e nella mente
del popolo ebraico. Nonostante l’Unesco
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m eshkachech Yerushalayim, tishkach yemini.
“…Se ti dimentico, Gerusalemme,
si paralizzi la mia destra;
mi si attacchi la lingua al palato,
se lascio cadere il tuo ricordo,
se non metto Gerusalemme
al di sopra di ogni mia gioia...”.
Con queste parole (Salmo 137) tremila anni fa, il re David affidò di
generazione in generazione il sentimento di attaccamento, di profondo amore che gli ebrei hanno verso la città di Gerusalemme,
quel luogo che per la tradizione biblica segna l'inizio della storia del
patto tra Dio e il popolo ebraico. E' infatti sul monte Moriah, oggi il
monte della spianata, che Dio sottopose Abramo all'ultima delle
dieci prove, chiedendogli di sacrificare il figlio Isacco e dove Dio
promise che da quel mancato sacrificio ne sarebbe nato un popolo.
Da quel momento la centralità di Gerusalemme è entrata non solo
nella liturgia ebraica, ma anche nell'immaginario collettivo di un
popolo che - bisogna ricordarlo - per duemila anni è stato allontanato proprio da quei luoghi.
esilio e dispersione del popolo ebraico da Gerusalemme, furono una
terribile prova di sopravvivenza che viene ogni anno ricordata con
un giorno di lutto e di digiuno nel giorno del 9 del mese di Av. Tuttavia quei tragici eventi, con la conseguente perdita dell'autonomia
politica e religiosa, sono stati vissuti e ancora vengono oggi visti
come una tappa della storia ebraica e come una dimostrazione della
presenza e delle decisioni divine, annunciate dai profeti e quindi
motivo da cui trarre conforto perché alla distruzione e alla dispersione, seguiranno la riunificazione del popolo ebraico e la ricostruzione.
Il Talmud propone una famosa storia e ci racconta il viaggio di
Rabbi ‘Aqiba e dei suoi discepoli a Gerusalemme dopo la distruzione del secondo Tempio e precisa che i discepoli cominciarono a
piangere arrivando al monte del Tempio e vedendo una volpe
uscire dal Santo dei santi. R. ‘Aqiba invece si mise a sorridere e,
rispondendo allo stupore dei suoi compagni, spiegò che, siccome
costatava che la profezia di Michea sulla distruzione di Sion si era
ormai compiuta, poteva sorridere sperando nella realizzazione
prossima della profezia di Zaccaria (8,4) che ne era tributaria:
Ogni giorno, tre volte al giorno, gli ebrei osservanti pregano rivolgendosi, da qualsiasi parte del mondo, verso Israele; quelli che
risiedono in Israele pregano rivolgendosi verso Gerusalemme;
quelli che abitano in città pregano in direzione del Kotel Hamaaravi,
il Muro Occidentale (l’unica vestigia, si tratta di un muro di cinta
dell’antico Santuario), e quelli che si trovano davanti al Muro pregano verso il luogo (il Kodesh Hakodashim, il sancta sanctorum) che
era il centro del Santuario e nel quale risiedeva permanentemente
la shekinàh, la presenza immanente di Dio. E' un flusso spirituale,
una corrente mistica che non ha eguali in altre fedi e che testimonia
che la distruzione materiale del Santuario ha per certi versi rafforzato quel santuario interiore che ogni ebreo porta dentro di se, ha
rafforzato il senso di appartenenza e l'identità del popolo ebraico.
Due volte infatti fu costruito e due volte distrutto quello che era il
centro spirituale di Israele. La costruzione del primo Bet Hamikdash - che richiese sette anni di lavoro e la partecipazione di tutto il
popolo - avvenne su iniziativa del re Shelomò (Salomone) e si concluse nell’anno 2935 del calendario ebraico (826 a.e.v.). Quel tempio
rimase in piedi per 410 anni, fino a quando nel nono giorno del
mese di Av dell’anno 3345 del calendario ebraico (416 a.e.v.), venne
distrutto dall’imperatore babilonese Nevuchadnetzar (Nabuccosonodor) che deportò la popolazione ebraica in Babilonia. Settant’anni
dopo, grazie all’editto emanato dall’imperatore Ciro a favore della
ricostruzione del Santuario, il popolo ebraico ritornò in patria guidato da Ezra lo Scriba e da Nechemyà. Iniziarono quindi i lavori di
riedificazione del Tempio (3390 del calendario ebraico - 371 a.e.v.),
più tardi ingrandito dal re Erode. Il secondo Tempio fu distrutto,
anche esso nel giorno 9 del mese di Av, dalle truppe dell'imperatore
romano Tito nell'anno 70 e.v.
La distruzione del centro spirituale e religioso, e il conseguente
«Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme,
ognuno con il bastone in mano per la loro longevità». Finché la
prima profezia rimaneva solo una minaccia, disse R. ‘Aqiba, «temevo che non si compisse la profezia di Zaccaria; ora che si è compiuta la profezia di Uria, so che la profezia di Zaccaria si compirà». I
suoi discepoli allora esclamarono: «‘Aqiba, ci hai consolati! ‘Aqiba,
ci hai consolati».
A ricordare che Gerusalemme era ebraica basta leggere la Guerra
Giudaica scritta da Giuseppe Flavio tra il 75 e il 79 e.v.: “Gerusalemme (scrive nel 5° libro, 4° capitolo) era protetta da una triplice
cinta di mura, eccetto nella parte che affaccia su strapiombi impraticabili, dove il muro era uno solo. La città era costruita su due colline che si fronteggiano separate da una valle frapposta verso cui le
case degradavano l’una dopo l’altra. Delle due colline quella che
formava la città alta era notevolmente più elevata e aveva sulla
sommità una spianata più ampia; per la sua forte posizione essa
ebbe appunto il nome di fortezza dal re David, il padre di Salomone
che fu il primo a costruire il tempio, mentre noi la designiamo col
nome di piazza superiore. La seconda collina è quella che si chiama
Akra e che formava la città bassa con la sua forma ricurva alle
estremità”. E al 12° capitolo del secondo libro, scrive: “Essendosi la
folla raccolta a Gerusalemme per la festa degli Azzimi, ed essendosi schierata la coorte romana sopra al portico del tempio - giacché
usavano vigilare in armi in occasione delle feste, per evitare che la
folla, raccolta insieme, desse inizio a qualche sommossa - uno dei
soldati, sollevatasi la veste e inchinatosi con mossa indecente,
mostrò ai giudei il suo deretano accompagnando il gesto con un
acconcio rumore. La cosa fece imbestialire la folla, che con grandi
schiamazzi esigeva da Cumano (generale romano, ndr.) la punizione del soldato, mentre i giovani con la testa più calda e gli elemen-
anni anteriori alla Guerra dei Sei Giorni, quando la città era tagliata
in due da un muro, che separava il Regno di Giordania dallo Stato
di Israele e che era conosciuto come “confine urbano”. I luoghi
santi del Giudaismo, nella parte est della città, - il Muro Occidentale e l’antico cimitero ebraico sul Monte degli Ulivi - non erano
accessibili agli Ebrei. Per questa ragione Gerusalemme viene
descritta come «la città che siede solitaria, nel cuore della quale sta
un muro...»: con questa frase il testo rinvia anche al Libro delle
Lamentazioni («Come siede solitaria la città una volta tanto popolosa!» 1,1). Anche la frase «Come si sono seccate le cisterne d’acqua»
richiama i testi profetici (per esempio Geremia 2,13).
La struggente melodia e l'incredibile coincidenza storica - fu presentata in un festival canoro tre settimane prima dello scoppio della
Guerra dei Sei giorni - fecero della canzone uno dei canti di battaglia dei soldati israeliani. Così dopo che Gerusalemme fu conquistata e riunificata e gli ebrei poterono dopo duemila anni tornare a
pregare davanti alle grandi pietre del Muro, la Shemer aggiunse
una nuova strofa:
"…Siamo ritornati alle cisterne d’acqua, al mercato e alla piazza,
uno shofar risuona sul Monte del Tempio, nella Città Vecchia,
e nelle grotte che ci sono nella roccia splendono mille soli:
torneremo a scendere verso il Mar Morto, sulla strada di Gerico…".
Quello shofar (il corno di montone) che effettivamente il rabbino
Rav Shlomo Goren suonò davanti al Muro, circondato dai paracadutisti del generale Motta Gur che il 7 giugno 1967 riconquistarono
Gerusalemme. Ma tutto questo l'Unesco non lo sa.
GIACOMO KAHN
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ti per loro natura più ribelli del popolo si gettavano allo sbaraglio e,
afferrate delle pietre, le scagliavano contro i soldati”.
Per duemila anni agli ebrei fu quindi impedito di avvicinarsi a quel
Muro occidentale verso il quale sono state versate lacrime di nostalgia e di rimpianto, ragione per la quale i non ebrei ne trassero la
definizione di ‘Muro del pianto’.
Quanto sia centrale Gerusalemme nel sentimento ebraico basta
assistere ad un matrimonio ebraico: sotto la Kuppah (baldacchino
nunziale) non mancano mai musica canti e allegria, ma anche una
‘curiosa’ usanza: lo sposo rompe un bicchiere, schiacciandolo sotto
la scarpa, accompagnandolo con le parole "…im eshkachekh Yerushalaim.., se ti dimenticherò Gerusalemme....". E' un gesto con il
quale si tramanda la conservazione della memoria storica, ma
anche la dimostrazione della consapevolezza che anche nei momenti di massima gioia e di allegria, ogni ebreo non deve dimenticare
mai la perdita di Gerusalemme, e questo soprattutto nelle fasi più
importanti della propria esistenza. E il matrimonio è uno di questi
momenti, nel quale si compenetrano le identità e i destini personali degli sposi con l'identità del popolo che devono ricordare con la
'rottura' del bicchiere, che non è sanata l'antica 'rottura' storica.
Ma la suggestione di Gerusalemme non è relegata alla sola memoria e ai riti religiosi, pervade - si potrebbe dire - persino la società
israeliana, per molta parte laica e per nulla mistica. Yerushalayim
shel zahav (Gerusalemme d’oro), è una canzone popolare israeliana, scritta e musicata da Naomi Shemer prima dello scoppio della
Guerra dei Sei giorni del 1967 che è diventata l'inno extra-ufficiale
di Israele. La canzone descrive la situazione di Gerusalemme negli
Contatti: Yael Ilmer Giron 392 889 1103 I [email protected] I www.masaisrael.org
Masa Israele è un progetto del governo Israeliano e dell'Agenzia Ebraica ed è reso possibile grazie al generoso contributo del Keren Hayesod
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COPERTINA
La nostra identità è nel tempo e nello spazio
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Negare l’origine ebraica di Gerusalemme è un vergognoso tentativo
di minare la nostra sopravvivenza che nel Santuario
sintetizza i tre concetti base di Torà, popolo e terra di Israele
i sono dei momenti in cui anche per chi cerca di vivere
pienamente sia la propria identità ebraica che quella del
paese di cui è cittadino e che ama, la distanza delle due
esperienze si manifesta apertamente: non necessariamente come conflitto, ma piuttosto come incomprensione, dissonanza cognitiva. I fatti, la loro importanza, la loro concatenazione
sembrano semplicemente diversi visti dai due punti di vista. Uno
di questi momenti è stato di recente il voto dell’Unesco che negava
– fra l’altro utilizzando un artificio
comunicativo banale e un po’ vile,
l’uso tendenzioso dei toponimi ogni relazione fra popolo ebraico
e la storia di Gerusalemme. Per
molti dei miei amici non ebrei, quel
voto, se per caso l’avevano notato,
era solo l’ennesima sceneggiata di
un’istituzione internazionale chiaramente al di sotto di ogni sospetto.
Per gli ebrei degni di questo nome
(non per i soliti amici del re di Prussia) si trattava invece di una ferita
simbolica intollerabile, più grave in
fondo, benché incruenta, del terrorismo quotidiano dei palestinesi. Ma gli altri, i non ebrei anche
la maggior parte di quella minoranza che è sinceramente nostra
amica, non capiva. Non era in gioco la nostra vita, non c’erano
conseguenze immediate sul terreno: allora perché sdegnarsi?
Credo che sia importante prendere atto di questa distanza e provare a spiegare, ricucire questa distanza col pensiero. Per cercare
di farlo, io credo sia opportuno partire dal rapporto di Israele col
tempo e con lo spazio. Il popolo ebraico ha un insediamento solidissimo nel tempo. E’ certamente il solo popolo che parli – con
differenze relativamente minori - la lingua della sua fondazione
storica (quella biblica); il solo che festeggi o lamenti come contemporanei eventi di 3500 anni fa (per
esempio l’uscita dall’Egitto); che
preghi su una liturgia essenzialmente definita almeno 2000 anni fa
e applichi regole di comportamento
formulate ancora prima (nel cibo,
nel matrimonio, non solo nella vita
religiosa). Questo non ne fa però affatto un popolo che ha sede solo nel
tempo (e nemmeno portano a questo risultato il rispetto dello Shabbat e del calendario lunar/solare),
come pure vorrebbero alcuni anche
grandi studiosi. Il popolo ebraico
non vive soprattutto nel tempo,
perché ha un orientamento spaziale sentitissimo, con al centro il
Tempio, poi Gerusalemme, poi la terra di Israele, il resto del mondo. Da sempre verso Gerusalemme si prega e ci si fa seppellire,
un sacchetto di terra di Israele è d’uso nella sepoltura, i frutti caratteristici di quel territorio segnano i momenti di gioia e di festa.
Anche se molti non vi abitano e magari non l’hanno mai vista per
molte generazioni, la terra di Israele è sempre stata al centro dei
pensieri degli ebrei. L’ebraismo è una cultura tanto spaziale che
temporale, ricorda luoghi e tempi con la stessa energia identitaria.
La differenza è che quanto siamo sicuri che le gesta di Abramo,
di Mosè, di Sansone e di Ester ci riguardano a distanza di millenni, tanto siamo acutamente consapevoli della fragilità del nostro
rapporto con la terra cui apparteniamo e che ci appartiene. Dei
tre vertici del triangolo dell’esistenza ebraica (la Torà, il popolo, la
terra di Israele), il terzo è quello più evidentemente fragile, quello
che ci è stato più volte sottratto (per punizione divina, si usa dire
nel linguaggio religioso; per violenza di occupazioni e assedi, in quello
politico). Non solo: il fatto di essere
stati depredati della nostra patria e
ridotti all’esilio è stato spesso usato
contro di noi da coloro stessi che ci
occupavano e ci opprimevano. Un
popolo estraneo, le cui leggi sono
diverse dalle nostre, ci definirono il
Faraone e Haman. L’ebreo errante,
punito per aver rifiutato il Vangelo,
ci chiamò con scherno la chiesa.
“Bodenlose”, senza terra, ci dicevano i nazisti, a partire da Heidegger, come buona ragione per negarci anche la sepoltura e farci uscire
dal camino.
Quindi al contrario dei paesi europei, il cui passato è vago, discontinuo e spesso semplicemente dimenticato, e il cui radicamento
nel loro territorio è presentato come intatto (anche se non è vero,
si pensi alle invasioni barbariche, a quelle normanne e a quelle
arabe, che hanno turbato così profondamente e a varie riprese la
demografia del continente), gli ebrei ricordano con ostinato affetto
le loro radici ma sono stati strappati spesso alle loro radici geografiche. Probabilmente: le ricordano con tanta ostinata passione
anche perché ne sono stati strappati. E questa passione è fatta di
luoghi, o almeno dei loro nomi, del Monte del Tempio, Har Habait,
del Muro “del pianto”, come lo chiamano gli occidentali il Kotel
per antonomasia; della Tomba dei
Patriarchi a Hebron, del Carmelo, di
Safed o Tzfat, la città dei Cabalisti.
Il desiderio è la presenza viva, sentita, sognata, dolcissima e amara di
ciò che manca; per questo gli ebrei
hanno sempre desiderato la loro
terra, hanno chiesto tutti i giorni, in
ogni preghiera, di tornare a Gerusalemme e al Tempio, di essere di
nuovo radunati in Eretz Israel. E il
sionismo è questo, anche se in una
dimensione prevalentemente laica:
il ritorno a una terra propria ma
occupata, espropriata, saccheggiata. Non c’è sionismo senza Sion. E
Sion, per chi non lo sapesse, è semplicemente un altro nome di Gerusalemme.
Quando dunque non solo si vuole togliere di nuovo Gerusalemme
al popolo ebraico, si vuole di nuovo fare pulizia etnica come la fecero i Babilonesi e i romani e i crociati e gli arabi, per l’ultima volta
i beduini della Giordania guidati dalla civilissima Gran Bretagna;
ma si cerca anche di epurare la memoria, di togliere i nomi, di
negare le appartenenze, di fingere che il Tempio non sia mai stato
al centro di Gerusalemme, si presentano le tombe dei patriarchi a
Un nuovo negazionismo antiebraico
si aggira per le Nazioni Unite
Il suo obiettivo è delegittimare
Israele, anche scivolando
nel ridicolo
U
n nuovo negazionismo antisemita si aggira per le Nazioni Unite. Alla vecchia e falsa accusa negazionista, secondo cui lo sterminio nazista non ci sarebbe mai stato, o al
più è stato “esagerato”, si è aggiunta una nuova e falsa
accusa, secondo cui l’intera storia ebraica è un falso.
Se non fosse per le implicazioni, verrebbe da ridere amaramente
all’idea che una votazione dell’Unesco - nata per tutelare i beni comuni dell’umanità -, la storia possa essere
cancellata con un trattino a uso e consumo di stati autoritari e totalitari.
Siamo di fronte a una nuova deriva dell’antisemitismo
che facendo leva sul ricatto e sulle paure di un futuro economico incerto, che sembra guadagnare spazio,
anche nelle università più importanti, sulla confusione
e le angosce in un mondo in cui la guerra e il terrore
si sovrappongono e non sono più dei fatti lontani, non
esita a utilizzare le sedi più importanti delle Nazioni
Unite per mettere in discussione la legittimità stessa
dell’esistenza di Israele. Poco importa se per fare questo ci si copra di ridicolo. Ciò che conta è l’obiettivo. E
poiché l’obiettivo è la delegittimazione dell’esistenza
di Israele, e la sua demonizzazione, ogni azione è considerata buona. Che gli Stati europei, nella loro stragrande maggioranza l’Europa, si astengano, e che la
Chiesa taccia, è un segno dei tempi. Della gravità di
una vasta zona grigia, in cui le ragioni di una malintesa realpolitik, aprono la strada a un’aberrante forma di
antisemitismo. Ben più grave delle false accuse contro
il sionismo, con cui il comunismo sovietico, la sinistra terzomondista e il nazionalismo arabo hanno, in modo diverso, veicolato
e perversamente cavalcato l’antisemitismo, presentandolo come
una forma di “anticolonialismo” e di “antimperialismo”.
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Hebron e quella di Rachele a Betlemme come moschee, allora si
fa un’operazione che invade non solo lo spazio fisico, che gli ebrei
sono abituati a dover cedere e su cui accettare compromessi, ma
anche quello simbolico e della memoria. Si sfidano non solo i monumenti, ma anche i nomi, che insieme fanno il titolo del museo
della Shoà di Gerusalemme nell’endiadi profetica Yad Vashem. E
questo allo spirito ebraico appare un gesto dell’ordine del genocidio, che minaccia il genocidio, anche se non ha la forza di realizzarlo, almeno non ora (e il Cielo non voglia mai). Perché a essere
attaccata dalla delibera dell’Unesco è l’identità ebraica, nel luogo
in cui essa è maggiormente radicata sul piano simbolico come su
quello fisico: la memoria di Gerusalemme.
Per questa ragione gli ebrei non capiscono perché la Chiesa non
abbia il sussulto di dignità identitaria che è necessaria per tutelare
l’identità dei luoghi del racconto evangelico; e i cristiani, in genere
gli occidentali non capiscono la suscettibilità ebraica. La ragione è che per il
cristianesimo la Gerusalemme terrestre
è solo una pallida immagine della Gerusalemme celeste: è solo la “storia della
salvezza” che vi si svolge a sacralizzarla.
Per gli ebrei la Terra promessa (o piuttosto “donata” come mi ha insegnato a
dire Haim Baharier) ha una sua santità
prima della storia che vi si svolge: “il
Signore era qui anche se io non lo sapevo” come dice Giacobbe (il cui nome in
seguito diverrà Israele) dopo aver dormito e sognato la scala verso il cielo in un
luogo che la tradizione identifica con il
Monte del Tempio.
Questo io cercherei di spiegare a un
amico cristiano, se avesse la pazienza
di seguirmi. Nella speranza che capisca
che Gerusalemme per noi non è l’equivalente di Roma, di Parigi o del Vaticano,
ma molto di più: “la casa del Signore e la
porta del cielo”, come dice ancora Giacobbe negli stessi versetti
(Genesi 18-16-17). Il luogo dunque dove il triangolo dell’ebraismo
diventa una sola identità. Il luogo da cui materialmente si può essere cacciati, ma che simbolicamente non si può abbandonare.
UGO VOLLI
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COPERTINA
Una vergogna
chiamata Unesco
Autocrazie e vere e proprie dittature dettano
la linea anti-israeliana dell’organizzazione
Onu per l’educazione, la scienza e la cultura
N
el 1952 Pier Luigi Nervi, Marcel Breuer e Bernard Zehrfuss disegnarono il palazzo in cemento e vetro dell’Unesco, l’organizzazione Onu per l’educazione, la scienza e
la cultura nata sette anni prima. Pablo Picasso donò i suoi
affreschi. Doveva essere il momento della rinascita della cultura occidentale dopo la guerra, l’orrore nazista e la Shoah. Evidentemente
è andata diversamente, se l’Unesco è diventata l’agenzia Onu che
ha ricevuto più critiche durante i suoi settant’anni di vita. E il caso
dell’ultima risoluzione sulla «Palestina occupata» – la risoluzione
che nega ogni legame storico e culturale degli ebrei con Har HaBayt
e con il Muro del Pianto – è solo l’ultimo di una lunga serie, non un
semplice incidente di percorso.
Un breve viaggio nel mondo e nella storia dell’Unesco può far capire come siamo arrivati a questo punto. Nel suo board siedono 58
Paesi membri. Di questi, stando all’organizzazione non governativa
Freedom House, 20 sono «parzialmente liberi», 15 sono «non liberi»
e soltanto 23 «liberi». Solo per fare un esempio, al momento anche
il regime sudanese di Omar al Bashir, ricercato per genocidio dalla
Corte dell’Aja, siede nel board esecutivo dell’agenzia. Di fatto, autocrazie e vere e proprie dittature dettano la linea nella commissione
mondiale delle idee. Evidente la scelta di alcuni governi arabi – che
si ripete con formule diverse da quasi 70 anni – di adottare posizioni
estreme contro Israele nella convinzione che ciò possa garantire un
L’ossessione anti-israeliana
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l Consiglio dei diritti umani dell’Onu ha adottato, dal
2006 al 2015, 135 risoluzioni, di cui 68 contro Israele; l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 2012 al 2015 ne
ha approvate 97, di cui 83 contro Israele; e l’Unesco che
dovrebbe difendere la cultura (mentre nulla ha fatto mentre si
distruggeva Palmira), adotta ogni anno 10 risoluzioni, il 100
per cento, contro Israele.
Non è la prima volta che l’Unesco si dimostra un organismo
internazionale che – al di
là delle belle intenzioni e
della sua missione che dovrebbe essere la conservazione del patrimonio culturale dell’umanità – tradisce
una politica ferocemente
contro Israele, condizionata e controllata dalla maggioranza dei Paesi arabi.
Il 10 novembre 1975, l’Unesco approvò – su richiesta
dei paesi arabi una vergognosa risoluzione che equiparava il sionismo, movimento di
liberazione del popolo ebraico e di ritorno alla terra dei padri
– al razzismo. Quella risoluzione fu abrogata il 16 dicembre
1991 (attraverso un’altra Risoluzione, la 46/41), con una maggioranza schiacciante di 111 voti favorevoli. La vittoria morale
di Israele fu nel fatto che tra i 111 Paesi che la revocarono
ce n’erano molti che sedici anni prima l’avevano promossa.
Rimane impressa nell’immaginario degli israeliani l’immagine
dell’ambasciatore israeliano Chaim Herzog al Palazzo di Vetro
che stracciava la Risoluzione davanti all’assemblea riunita in
sessione plenaria.
ritorno di facile consenso popolare nei rispettivi Paesi.
Già nel 1971, gli Stati Uniti accusarono l’Unesco di essere un covo
di spie sovietiche: nella sede di Parigi si sarebbe annidato il più
importante centro di informazione russo in Europa. Negli anni Ottanta, l’Unione sovietica e i suoi stati satellite orientarono pesantemente i programmi culturali dell’organizzazione. Nel 1984 Ronald
Reagan e l’anno dopo Margaret Thatcher fecero uscire Stati Uniti
e Gran Bretagna dall’Unesco. Gli inglesi sono rientrati soltanto nel
1997 e gli Stati Uniti nel 2002.
Ma è contro Israele che questa agenzia dell’Onu ha storicamente
dato il suo peggio. Citiamo solo gli episodi più eclatanti. Nel 1973
inviò a Gerusalemme l’archeologo belga Raymond Lemaire per controllare lo stato degli scavi israeliani nella città santa. Lemaire tornò
con un rapporto che testimoniava dettagliatamente il rispetto israeliano per la parte araba e cristiana della città. Evidentemente deluso
dal risultato, l’Unesco soppresse il rapporto. L’anno seguente, durante la XVIII Conferenza generale, su proposta del blocco comunista e arabo l’Unesco si rifiutò di inserire Israele in una qualsiasi area
del mondo, escludendola di fatto da tutte le sue attività e finanziamenti. Per non dimenticare la risoluzione del 1975 che equiparava il
sionismo al «razzismo».
Più recentemente, nel 2001, l’Unesco promosse la “Dichiarazione
del Cairo: Documento per la Preservazione delle Antichità di Gerusalemme”, in cui Israele era accusata, senza prove concrete, di
distruggere le antichità islamiche sul Monte del Tempio. E l’anno
seguente stava per designare come suo direttore, contrastato con
successo da Elie Wiesel, l’egiziano Farouk Hosni, famoso per aver
dichiarato davanti al Parlamento del Cairo di voler bruciare personalmente i libri israeliani raccolti nella Biblioteca di Alessandria. Nel
2009, l’Unesco designò Gerusalemme «capitale della cultura araba»
e collaborò attivamente con funzionari dell’Autorità Palestinese
per protestare contro quella che descrivevano come «l’occupazione
israeliana della Santa Gerusalemme». Durante la Seconda Intifada
poi l’Unesco condannò in termini vaghi Israele per «la distruzione
del patrimonio culturale nei territori palestinesi», definendolo «un
crimine contro il patrimonio dell’umanità», rimanendo però in silenzio mentre la tomba di Giuseppe, il terzo più importante santuario
religioso ebraico, era data alle fiamme per costruire al suo posto
una moschea.
E ancora, l’agenzia Onu nel 2010 definì ufficialmente la Tomba di
Rachele e la Grotta dei Patriarchi a Hebron, ovvero il secondo e il
terzo luogo più sacro al mondo per l’ebraismo, «moschee musulmane». Tesi sostenuta con un rapporto scientifico in cui si faceva
convertire all’islam anche il filosofo-medico ebreo Maimonide, registrandolo con il nome di “Moussa Ben Maimoun”.
Nel 2014, a pochi giorni dall’inaugurazione, nel 2014 l’Unesco ha
cancellato una mostra organizzata a Parigi che documentava i 3.500
anni di legami ebraici con la Terra Santa. Motivazione: «potrebbe
essere percepita dagli stati membri come una minaccia al processo
di pace».
E così si arriva a martedì 18 ottobre 2016, quando il consiglio esecutivo dell’Unesco ha approvato la risoluzione n. 25, cancellando di
fatto il rapporto fra gli ebrei e il principale complesso religioso di
Gerusalemme – che in tutto il documento viene chiamato esclusivamente col suo nome islamico, Al Haram Al Sharif. Per citare il quotidiano Haaretz, «è il giorno in cui l’Onu ha degradato il sito ebraico
più importante al mondo al rango di una stalla».
LUCA D’AMMANDO
Nella foto in alto: la Tomba di Giuseppe data alle fiamme
In basso: Chaim Herzog alle Nazioni Unite
Non cambiano mai
Le risoluzioni contro lo Stato ebraico
votate con la vergognosa astensione dei
Paesi che hanno l’abitudine di avere un
‘piede in due scarpe’
I
per essere cancellata, si dovette attendere ben 16 anni. Nel 1991,
sotto la presidenza di George H. W. Bush, venne cancellata dalla
Assemblea Generale, con questa votazione: 111 a favore (90 dei
quali l’avevano votata, Italia compresa), 25 contro e 13 astenuti.
Come poté avvenire, anche se con
questo enorme ritardo? Israele, per
accettare di partecipare alla Conferenza di Pace di Madrid di fine
1991 esigeva che venisse revocata. Proprio così, un gesto forte del
governo di Gerusalemme, ottenne
con una richiesta appropriata e al
momento giusto, la cancellazione
di una risoluzione ignobile, anche
se paragonata oggi a quella dell’Unesco ci appare persino meno pericolosa.
La sostituzione della storia ebraica, con una islamica, è indubbiamente l’iniziativa BDS più grave che abbia colpito fino ad oggi
Israele. Un augurio: che si presenti al più presto un’occasione
‘convincente’ che mandi a quel paese l’Unesco e la sua risoluzione. E che i paesi democratici, Italia compresa, la smettano con
l’attitudine del ‘piede in due scarpe’.
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È gradito appuntamento
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
l voto dell’Unesco che cancella la presenza storica ebraica
a Gerusalemme riconferma la funzione anti-Israele dell’Onu tout court. È opportuno ricordare un altro voto, avvenuto
nell’ormai lontano 1975, che definiva il sionismo “una forma di razzismo e una discriminazione razziale”, dopo che per un
anno, l’Olp di Arafat aveva ottenuto lo status di “osservatore”
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel novembre 1974.
Furono 72 i voti a favore - guidati dall’Unione Sovietica con i paesi comunisti e dalla maggior parte dei paesi arabi/musulmani
- 35 i contrari e 32 le astensioni. L’allora ambasciatore d’Israele
all’Onu, Chaim Herzog, intervenne con un discorso nobilissimo,
ricordando con orgoglio come in Israele, in ogni professione, tutti
i cittadini arabi godessero di eguali diritti e doveri, dalla Knesset
alle forze di difesa, dalle strutture
ospedaliere alle scuole e università. “E’ razzismo, questo?” Affatto,
è questo il sionismo! affermò, concludendo: “Per noi, popolo ebraico,
questa risoluzione nasce dall’odio,
dalla menzogna e dall’arroganza,
priva di ogni valore morale e legale. È un pezzo di carta, che va
considerato come tale”. Haifa, Gerusalemme e Tel Aviv cambiarono
il nome alle strade che si chiamavano “Nazioni Unite” con “via del
Sionismo”.
Come si vede, la storia si ripete. È difficile che il voto dell’Unesco
possa essere revocato in tempi brevi, lo stesso vale per il voto di
astensione dell’Italia, che riconferma come le buone intenzioni
(storico discorso di Matteo Renzi alla Knesset) finiscono poi per
lastricare le strade dell’inferno (mantenere forti relazioni con il
mondo arabo, anche a spese dell’amico Israele).
La risoluzione Onu 3379, che equiparava sionismo a razzismo,
9
COPERTINA
Unesco patrimonio dell’amenità
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
L
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a seconda cosa da fare è rimanere sui fatti. Poiché la prima dovrà
essere lo studio dell’ennesima sceneggiata ONU. Se non fosse davvero il caso di mettersi a piangere, come
si dice a Roma, verrebbe da ridere. Infatti
l’UNESCO (quartier
generale a Parigi,
già capitale dei Lumi e della logica)
decide di precipitare nel ridicolo, e per
i luoghi sacri di Gerusalemme impone
di servirsi soltanto
della toponomastica araba. Naturalmente, dopo le celebri missions dei
Budda di Bamiyan,
dei manoscritti sufi
di Timbuctù e delle
vestigia di Palmyra: missioni possibili, ma
deragliate per insipienza burocratica e per
il cinismo delle grandi potenze. Si potranno
così aggiungere ai monumenti patrimonio
dell’umanità una nuova serie di fenomenali scivolate: le quali andranno ad arricchire
il già vasto patrimonio delle amenità più o
meno volontarie che connotano anche con
l’assurdo le cronache spaventevoli del vicino oriente.
L’ONU risulta una struttura complessa,
dove non tutti fanno parte di tutto poiché
bisogna pagare prezzi salati in termini tanto monetari quanto ideologici. Le dependances per cibo e agricoltura (FAO Roma),
cultura (UNESCO Parigi), salute e sanità
(OMS- WHO Ginevra), infanzia (UNICEF
New York) si segnalano spesso per risoluzioni e mozioni antisioniste/anti-Israele,
sollecitate e fatte approvare dal blocco dei
paesi arabi e islamici. Gridare all’antisemitismo è inutile e sostanzialmente irrilevante sulla scena politica planetaria. Tanto
per chiarire le cose su quel che fu il Terzo
Mondo, e per non parlare soltanto di Henry
Kissinger: gli unici ebrei dei quali può avere memoria la classe politica del Vietnam
sono i pacifisti USA più arrabbiati e più decisivi al tempo di “Stop bombing Vietnam”
(mezzo secolo fa).
Il tempo dei ricatti arabo-petroliferi sponsorizzati dalla non più esistente Unione
Sovietica è finito per sempre. Non tornerà.
Risulta invece perfettamente operativa la
bassa cucina politica utilizzata a fini interni per diluire il conflitto sociale nel Golfo
arabo-persico e in Africa settentrionale, come anche per gridare più forte nel conflitto
tra Sunniti e Sciiti. Insomma, chi la spara
più grossa. Si tratta di armi potenti per la
distrazione di massa, globalmente pubblicizzate dalle TV panislamiche modello
Al-Jazeera e dalle copie superstiti dell’informazione stampata in Occidente. Fatto
solo in apparenza singolare, l’Iran degli
ayatollah brilla per assenza tra i presentatori delle risoluzioni su Gerusalemme, di
marca rigorosamente sunnita.
Dunque i fatti. Dell’UNESCO fanno parte
195 Stati e 10 Membri Associati. Nell’Executive Board (responsabile di azioni operative e risoluzioni) ci si alterna per gruppi
e annate dosati con sapienti e attente mescolanze. E ancora fatti, qualcuno decisa-
mente singolare. La prima mozione su Gerusalemme risulta dunque presentata da
Palestina (che all’UNESCO è riconosciuta
come Stato), insieme con Egitto, Algeria,
Marocco, Libano, Oman, Qatar, Sudan.
Il regime attuale egiziano è quel che è, e
in Italia non risulta certo popolare. Però il
governo di Israele ne apprezza fortemente
gli sforzi per tenere sotto controllo la penisola del Sinai, bloccare Hamas, conservare
il trattato di pace, agire da intermediario
tra lo Stato ebraico e paesi islamici che vogliono mantenere la riservatezza. Gli altri
firmatari si segnalano per essere tra i più
reazionari del mondo arabo. Uno, il Sudan,
risulta tuttora governato da un presidente
che il Tribunale Penale Internazionale ha
accusato nel 2009 di genocidio e crimini contro l’umanità, commessi durante la
guerra nel Darfur.
Però è sicuramente iniziato il conto alla rovescia che vedrà il 5 giugno 2017 risuonare
in tutto il pianeta la
fanfara arabo-islamica delle lamentazioni per il cinquantesimo anniversario
della Guerra dei
sei giorni. Ciliegina
sulla torta mediatica, il 2 novembre
2017 ricorrerà il
centenario della Dichiarazione Balfour
e del progetto di
un Focolare Ebraico nella terra delle
origini. Abu Mazen
ha aperto anche la campagna anti-Balfour.
L’obiettivo appare individuato con chiarezza: convincere l’opinione pubblica internazionale che la questione palestinese è
assolutamente decisiva. Tuttavia la grancassa web/televisiva e le azioni antiebraiche dotate di lasciapassare antisionista
non cercheranno di indicare soluzioni.
La possibile soluzione due popoli e due
stati, se pure fosse risultata praticabile, non l’hanno affossata i settlers e gli
insediamenti. In materia ha provveduto
Daesh Isis. Già un giorno dopo la nascita
dello Stato di Palestina, il nuovo califfato giocherebbe le sue carte. Prenderebbe Ramallah e Gaza, liquiderebbe Fatah
e Hamas, e prima di occuparsi di Israele
cercherebbe di infiltrare Egitto e Giordania. Anche il governo di Israele e le
collettività ebraiche dovranno guardare
i fatti con freddezza. Abu Mazen sa che
si è aperta la successione ai suoi incarichi. Cerca di trovare un’intesa su Gaza.
Con la presenza alla cerimonia funebre
per Perez ha saputo dimostrare coraggio
personale, sempre apprezzato in oriente. I
sauditi vorrebbero sostituirlo con Mohammed Dahlan, attualmente in esilio, forse a
Dubai. Infatti è sotto processo a Ramallah.
Le cittadinanze attualmente possedute da
Dahlan sono due: Serbia e Montenegro. Il
Vicino Oriente è un posto complicato. Forse troppo difficile per l’UNESCO.
PIERO DI NEPI
Nella foto in alto: un papiro dell'epoca del
Primo Tempio, 2700 anni fa, in cui appare
chiaramente la parola Gerusalemme scritta
in ebraico
In basso: la bandiera della Palestina
sventola con quella dell'UNESCO - Parigi
dicembre 2011
Har HaBayit: il luogo più sacro dell’ebraismo
N
el giugno del 1967 migliaia di
persone si commossero di fronte
alla vittoria di due milioni di israeliani che resistettero all’attacco
di duecento milioni di musulmani coalizzati,
dall’Egitto alla Giordania, contro lo Stato di
Israele.
La commozione ebbe anche un sapore fortemente ebraico quando le forze dell’IDF annunciarono l’una all’altra che: “Il monte del
Tempio è nelle nostre mani!”. Il luogo del
Tempio di Salomone era tornato, dalla sua
ultima distruzione nel 70 E.V., ad essere un
sito ebraico o quantomeno sotto giurisdizione ebraica. Secondo Rav Yehuda Glick, direttore del Temple Institute, che sostiene la
necessità halachica di una presenza ebraica
sul monte del Tempio, noi siamo vittime di
una narrativa sbagliata che racconta che il
Kotel HaMaravi, il Muro Occidentale è il luogo più sacro per l’ebraismo e che il monte
del Tempio appartiene all’Islam.
Glick nell’ottobre del 2014 è stato vittima di
un tentativo di assassinio da parte di un terrorista arabo ed è vivo per miracolo.
Per comprendere a quale “lavaggio del
cervello” si riferisce Glick, citando le sue
stesse parole, dobbiamo analizzare la realtà
halachica del monte del Tempio.
Molti credono che sia vietato visitare l’Har
HaBayit perché nella nostra generazione siamo tutti ritualmente impuri, data l’assenza
del Tempio e l’impossibilità di purificarci dal
contatto con la morte (tumat met) attraverso
la cerimonia delle ceneri della vacca rossa.
In realtà, nonostante esistano impurità individuali che impediscano halachicamente
l’ascesa al monte del Tempio, esistono anche realtà halachiche, storiche e persino
geografiche che incoraggerebbero il salire
sul monte del Tempio. Per l’ebraismo spazio e luogo sono sacri ma con sfumature ed
importanze diverse; Pesach è un momento
sacro, ma non come lo Shabbat così come la
kedusha del monte del Tempio aveva spazi
più sacri di altri: l’Azarah, il cortile del Tem-
pio che includeva il Tempio stesso e l’altare
ed il monte del Tempio in senso generale.
Nello stesso spazio del Tempio alcuni luoghi erano più sacri di altri ed interdetti a chi
fosse in stato di impurità per un morto o chi
avesse avuto una polluzione o il mestruo:
nel primo caso si poteva salire sul monte del
Tempio senza poter entrare in alcune parti
di esso, nel secondo si poteva salire solo sul
monte del Tempio dopo essersi immersi nel
mikve.
Maimonide (Bet Habechira 6: 14-15) e molti
altri Maestri sia dell’antichità che contemporanei sostengono che, nonostante la distruzione del Tempio, l’area mantiene un
proprio livello di santità. Scrive Maimonide:
“Nonostante il fatto che oggi il mikdash sia
stato distrutto a causa dei nostri peccati,
non bisogna entrare in quell’area se non
lì dove è permesso e non bisogna sedersi
nell’Azarah e non comportarsi in maniera
futile di fronte alla porta orientale… perché anche se si tratta di un area distrutta,
possiede tutta la propria santità. (Bet HaBechirà 7,7).
Oggi il Rabbinato Centrale di Israele e molte altre autorità rabbiniche, quelle stesse
che secondo Glick fanno il lavaggio del cervello al popolo ebraico, vietano agli ebrei
la salita sull’Har HaBayt, mentre altri maestri insistono nel permetterlo, all’interno di
una atmosfera politica che ha portato, nel
giugno del 2015, il tribunale di Gerusalemme a bannare Glick dall’ingresso nell’Har
Habayit, mentre il commentatore politico
americano Bernie Quigley lo paragonava a
Gandhi per la sua resistenza non violenta
seppur appassionata.
In realtà, dal punto di vista storico gli ebrei
non hanno mai abbandonato l’area del Tempio: nel 638 E.V. con la conquista musulmana agli ebrei fu permessa la costruzione in
loco di un bet midrash e altri testi citati da
Ben Zion Dinburg, ex ministro dell’Istruzione, raccontano di una sinagoga sull’Har
HaBait tra il VII e l’XI secolo. Rav Shlomo
Goren, già rabbino capo di Israele, provò l’esistenza di presenze ebraiche sull’Har Habayt persino prima della conquista islamica
(Sefer Habayt, 5752 cap.26).
Un aspetto importante della questione è l’esatta identificazione geografica dei luoghi e
della santità ad essi connessa: dove si trovava esattamente l’area dell’Har HaBayt?
La Mishna in Middot 2,1 afferma che l’Har
HaBayt comprendeva uno spazio di circa
62,500 metri, oggi l’area coperta dal sito
della moschea è di circa 145,500 metri e si
basa sui lavori di ampliamento del Tempio
voluti da Erode che comprendevano anche
uno spazio per i visitatori non ebrei (oggi il
sito è vietato nella sua interezza a visite per
i non musulmani), quindi le autorità rabbiniche che permettono la salita sul monte del
Tempio affermano con sicurezza che sia l’area sud, cioè nei pressi della moschea di Al
Aqsa, che quella a nord sono di origine erodiana e pertanto non presentano necessità
di visite in stato di purità rituale. Autorità
come Rav Ovadia Yosef che pur sono preoccupate dall’idea di una visita in stato di
tumat met, non manifestano nessun problema per visite nell’area perimetrale dell’Har
HaBayit. Glick stesso afferma, rispetto ai
dubbi rituali di molte autorità rabbiniche
che: “Dopo aver visitato per la prima volta il Monte del Tempio ho scoperto con
mio enorme sorpresa quanto enorme sia lo
spazio interessato dall’intera aerea e quanto piccola sia la sezione a noi ritualmente
proibita, anche per le misure halachiche più
stringenti.”
In una realtà politica che vede le autorità
islamiche impegnate in una costante negazione dell’ebraicità dell’aerea del Tempio e
di una Unesco che partecipa a questo infame ricatto, la risposta più autentica per la
legittimità dell’identità del luogo resta solo
la visita ad esso nel rispetto di un halachà
che sia strumento di vita ebraica e non
espressione di volontà politica.
PIERPAOLO P. PUNTURELLO
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Vi sono discussioni tra i Maestri sulla possibilità di accesso alla spianata
11
ISRAELE
Le parole di Benjamin Netanyahu alle Nazioni Unite
Il discorso pacato ma fermo del premier israeliano
all’Assemblea Generale dell’Onu lo scorso 22 settembre
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
“S
12
ignor Presidente, Signore e Signori, Quello che sto
per dire vi shockerà: Israele ha un futuro luminoso alle Nazioni Unite. Ora, so che sentire ciò da me
sarà una sorpresa, perché anno dopo anno in piedi
su questo podio ho sempre accusato le Nazioni Unite per la loro
propensione ossessiva contro Israele. Le Nazioni Unite meritavano ogni parola sferzante - per la disgrazia dell’Assemblea Generale che lo scorso anno ha approvato 20 risoluzioni contro lo Stato
democratico di Israele ed un totale di tre risoluzioni contro tutti
gli altri paesi del pianeta.
Israele - venti; resto del mondo - tre.
E che dire dello scherzo di chiamare “Consiglio dei diritti umani
delle Nazioni Unite”, chi ogni anno condanna Israele più di tutti
i paesi del mondo messi insieme. Mentre le donne vengono violentate sistematicamente, uccise, vendute come schiave in tutto
il mondo, qual è l’unico paese che la Commissione delle Nazioni Unite sulle donne ha scelto di condannare quest’anno?
Sì, avete indovinato - Israele. Israele. Israele, dove le
donne pilotano aerei da combattimento, guidano grandi
aziende, sono a capo di università, hanno per due volte
presieduto la Suprema Corte e sono state presidente
del Parlamento e Primo Ministro. E questo circo continua
presso l’Unesco. Unesco, l’organismo delle Nazioni Unite
incaricato di preservare il patrimonio mondiale. Ora, questo è difficile da credere, ma
l’Unesco ha appena negato la
connessione lunga 4000 anni
tra il popolo ebraico e il suo luogo più sacro, il Monte del Tempio.
Questo è assurdo come negare la connessione tra la Grande muraglia cinese e la Cina.
Signore e signori, l’ONU, nata come forza morale, è diventata una
farsa morale. Così, quando si tratta di Israele alle Nazioni Unite,
penserete probabilmente che non cambierà mai niente, giusto?
Bene, pensateci meglio. Vedete, tutto cambierà e molto prima di
quanto pensiate. Il cambiamento avverrà in questa sala, perché
a casa, i vostri governi stanno rapidamente cambiando il loro atteggiamento nei confronti di Israele. E prima o poi, ciò cambierà
il modo in cui votate su Israele alle Nazioni Unite.
Sempre più nazioni in Asia, in Africa, in America Latina, sempre
più nazioni vedono Israele come partner potente - un partner nella lotta contro il terrorismo di oggi, un partner nello sviluppo della tecnologia di domani.
Oggi Israele ha relazioni diplomatiche con più di 160 paesi. Quasi il doppio di quando ero qui come ambasciatore di Israele circa
30 anni fa. E quei legami diventano più ampi e profondi di giorno
in giorno. I leader mondiali apprezzano sempre più che Israele è
un paese potente, con uno dei migliori servizi di intelligence del
mondo. A causa della nostra esperienza senza pari e comprovate
capacità nella lotta al terrorismo, molti dei vostri governi cercano
il nostro aiuto nel mantenere i vostri paesi sicuri. Molti cercano
anche di beneficiare dell’ingegnosità di Israele nell’agricoltura,
nella sanità, nelle risorse idriche, nell’informatica e nell’integrazione dei grandi volumi di dati, nella connettività e nell’intelli-
genza artificiale - l’integrazione che sta cambiando il nostro mondo in ogni modo.
Considerate questo: Israele è leader mondiale nel riciclo delle acque reflue. Noi ricicliamo circa il 90% delle nostre acque di scarico. Non è straordinario? Dato che il successivo paese sulla lista
ricicla solo il 20% delle sue acque reflue, Israele è una potenza
globale dell’acqua. Quindi, se si ha un mondo assetato, e lo abbiamo, non c’è alleato migliore di Israele.
Che ne dite della sicurezza informatica? Questo è un problema
che riguarda tutti. Israele conta un decimo dell’uno per cento della popolazione mondiale, ma l’anno scorso abbiamo attirato circa
il 20% degli investimenti privati globali nella sicurezza informatica. Voglio che assimiliate questo numero. In informatica, il valore di Israele è enorme, 200 volte il proprio peso. Così Israele è
anche una potenza informatica globale. Se gli hacker prendono
di mira le vostre banche, gli aerei, le vostre reti elettriche e tutto
il resto, Israele può offrire un
aiuto indispensabile.
I governi stanno cambiando
il loro atteggiamento nei confronti di Israele, perché sanno che Israele può aiutarli a
proteggere i loro popoli, può
aiutarli a sfamarli, li può aiutare a migliorare la loro vita.
Questa estate ho avuto l’opportunità incredibile di vedere questo cambiamento in
modo così vivo nel corso di
una visita indimenticabile in
quattro paesi africani. Questa è la prima visita in Africa
da parte di un primo ministro
israeliano negli ultimi decenni. Più tardi, oggi, incontrerò
i leader di 17 paesi africani. Discuteremo come la tecnologia israeliana può aiutarli nei loro sforzi per trasformare i loro paesi. In
Africa, le cose stanno cambiando. Anche in Cina, in India, in Russia, in Giappone, l’atteggiamento nei confronti di Israele è cambiato. Queste potenti nazioni sanno che, nonostante le sue ridotte dimensioni, Israele può fare una grande differenza in molte,
molte aree che sono importanti per loro.
Ma ora vi sorprenderò ancora di più. Vedete, il più grande cambiamento di atteggiamento nei confronti di Israele è in atto altrove. E’ in atto nel mondo arabo. I nostri trattati di pace con l’Egitto e la Giordania continuano ad essere ancore di stabilità in un
Medio Oriente instabile. Ma devo dirvi questo: per la prima volta
nella mia vita, molti altri Stati della regione riconoscono che Israele non è il loro nemico. Essi riconoscono che Israele è loro alleato. I nostri nemici comuni sono l’Iran e l’ISIS. I nostri obiettivi
comuni sono la sicurezza, la prosperità e la pace. Credo che nei
prossimi anni lavoreremo insieme per raggiungere questi obiettivi collaborando apertamente.
Quindi le relazioni diplomatiche di Israele sono in una fase niente di meno che rivoluzionaria. Ma in questa rivoluzione, non dimentichiamo mai che la nostra alleanza più cara, la nostra più
profonda amicizia è con gli Stati Uniti d’America, la più potente
e la più generosa nazione sulla terra. Il nostro legame indissolubile con gli Stati Uniti d’America trascende i partiti e la politica. Essa riflette, soprattutto, il sostegno enorme per Israele del
popolo americano, il supporto che è a livelli record e per il quale
te applaudirà l’ONU. Ma voglio
chiedervi: perché dobbiamo
aspettare un decennio? Perché
continuare a diffamare Israele?
Forse perché alcuni di voi non
comprendono che il pregiudizio
ossessivo contro Israele non sia
solo un problema per il mio paese, è un problema per i vostri paesi. Perché se l’ONU spende così
tanto tempo per condannare l’unica democrazia liberale in Medio Oriente, ha molto meno tempo per affrontare la guerra, la
malattia, la povertà, il cambiamento climatico e tutti gli altri
gravi problemi che affliggono il
pianeta.
Il milione e mezzo di siriani massacrati sono aiutati dalla vostra
condanna di Israele? Lo stesso Israele, che tratta migliaia di siriani feriti nei nostri ospedali, tra cui un ospedale da campo che
ho costruito al confine del Golan con la Siria. Lo sono i gay, che
penzolano dalle gru in Iran, aiutati dalla vostra denigrazione d’Israele? Lo stesso Israele, dove i gay marciano orgogliosamente
nelle nostre strade e siedono nel nostro parlamento, tra cui, sono orgoglioso di dire, anche nel mio stesso partito Likud. Lo sono
i bambini, che muoiono di fame per la brutale tirannia nella Corea del Nord, aiutati dalla vostra demonizzazione di Israele? Israele, il cui know-how agricolo nutre gli affamati in tutto il mondo
in via di sviluppo? Quanto prima l’ossessione delle Nazioni Unite
per Israele finisce, meglio è. Meglio per Israele, meglio per i vostri Paesi, il meglio per le stesse Nazioni Unite.
Signore e signori, se le abitudini sono dure a morire alle Nazioni Unite, le abitudini palestinesi muoiono ancora più difficilmente. Il presidente Abbas ha appena attaccato da questo podio la
Dichiarazione Balfour. Sta preparando una causa contro la Gran
Bretagna per questa dichiarazione del 1917. Quasi 100 anni fa parla come bloccato nel passato.
I palestinesi potrebbero altrettanto bene citare in giudizio l’Iran per la Dichiarazione di Ciro,
che ha permesso agli ebrei di ricostruire il nostro tempio di Gerusalemme 2500 anni fa. A pensarci bene, perché non una class
action palestinese contro Abramo per l’acquisto di quel pezzo
di terra a Hebron dove i patriarchi e le matriarche del popolo
ebraico sono stati sepolti 4.000
anni fa? Non state ridendo. E’
assurdo come questo. Citare
in giudizio il governo britannico per la Dichiarazione Balfour?
Sta scherzando? E questo viene
preso sul serio qui? Il presidente Abbas ha attaccato la Dichiarazione Balfour, perché ha riconosciuto il diritto del popolo ebraico ad un focolare nazionale nella terra di Israele. Quando le Nazioni Unite hanno sostenuto la
creazione di uno Stato ebraico nel 1947, hanno riconosciuto la
nostra storia ed i nostri diritti morali nella nostra patria e per la
nostra patria. Eppure oggi, quasi 70 anni dopo, i palestinesi si rifiutano ancora di riconoscere tali diritti - non il nostro diritto ad
una patria, non il nostro diritto ad uno Stato, non il nostro diritto a nulla. E questo rimane il vero nocciolo del conflitto: il persistente rifiuto palestinese di riconoscere lo stato ebraico in qualsi-
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
siamo profondamente grati.
Le Nazioni Unite denunciano
Israele; gli Stati Uniti sostengono Israele. E un pilastro centrale
della difesa è il supporto costante degli Stati Uniti per Israele alle Nazioni Unite. Apprezzo l’impegno del presidente Obama
per questa politica di lunga data degli Stati Uniti. Di fatto, l’unica volta che gli Stati Uniti hanno posto un veto in Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite
durante la presidenza Obama è
stato contro una risoluzione anti-Israele nel 2011. Come il presidente Obama ha giustamente dichiarato da questo podio, la
pace non verrà da dichiarazioni
e risoluzioni delle Nazioni Unite.
Credo che non sia lontano il giorno in cui Israele sarà in grado di
contare su molti, molti paesi che ci sostengono alle Nazioni Unite. Di riflesso, lentamente ma inesorabilmente stanno arrivando
al termine quei giorni in cui gli ambasciatori delle Nazioni Unite
condannano Israele.
Signore e Signori, la maggioranza automatica di oggi contro Israele alle Nazioni Unite mi ricorda la storia, l’incredibile storia di
Hiroo Onoda. Hiroo era un soldato giapponese che era stato inviato nelle Filippine nel 1944. Viveva nella giungla. Frugava per
procurarsi il cibo. Evitava la cattura. Alla fine si arrese, ma solo
nel 1974, circa 30 anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Per decenni, Hiroo si era rifiutato di credere che la guerra fosse finita. Mentre Hiroo era nascosto nella giungla, i turisti giapponesi nuotavano in piscine di alberghi di lusso americani nella
vicina Manila. Infine, per fortuna, l’ex comandante di Hiroo fu inviato a convincerlo ad uscire dalla clandestinità. Solo allora Hiroo depose le armi.
Signore e Signori, signori delegati provenienti da così tanti paesi,
ho un messaggio per voi oggi:
abbandonate le armi. La guerra
contro Israele alle Nazioni Unite
è finita. Forse alcuni di voi non
lo sanno ancora, ma sono sicuro
che un giorno, in un futuro non
troppo lontano riceverete anche
voi il messaggio dal vostro presidente o dal vostro primo ministro che vi informa che la guerra
contro Israele presso le Nazioni Unite è conclusa. Sì, lo so,
ci potrebbe essere una tempesta prima della quiete. So che si
parla di coalizzarsi contro Israele alle Nazioni Unite entro la fine dell’anno. Data la sua storia
di ostilità nei confronti di Israele, qualcuno crede davvero che
Israele permetterà alle Nazioni Unite di determinare la nostra sicurezza e i nostri interessi nazionali vitali? Non accetteremo alcun tentativo da parte delle Nazioni Unite di dettare condizioni
ad Israele. La strada per la pace attraversa Gerusalemme e Ramallah, non New York. Ma indipendentemente da ciò che accadrà nei prossimi mesi, ho totale fiducia che negli anni a venire
la rivoluzione nella posizione di Israele tra le nazioni finalmente penetrerà in questa sala delle nazioni. Ho tanta fiducia, infatti,
che prevedo che tra una decina d’anni un primo ministro israeliano si alzerà in piedi proprio qui dove sono in piedi io e realmen-
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ISRAELE
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asi confine. Vedete, questo conflitto non tratta di “insediamenti”.
Non è mai stato.
Il conflitto infuriava per decenni prima che ci fosse un solo “insediamento”, quando la Giudea-Samaria e Gaza erano tutte in mani arabe. La Cisgiordania e Gaza erano in mani arabe e ci hanno
attaccato ancora e ancora e ancora. E quando abbiamo sradicato
tutti i 21 “insediamenti” a Gaza e ci siamo ritirati da ogni centimetro di Gaza, non abbiamo ottenuto la pace da Gaza - abbiamo
ottenuto migliaia di razzi sparati da Gaza contro di noi. Questo
conflitto infuria perché per i palestinesi, i veri insediamenti che
stanno cercando sono Haifa, Jaffa e Tel Aviv. In ogni caso la questione degli “insediamenti” è reale e può e deve essere risolta in
negoziati sullo status finale. Ma questo conflitto non ha mai riguardato gli “insediamenti” o la creazione di uno stato palestinese. E’ sempre stato circa l’esistenza di uno Stato ebraico, uno
Stato ebraico in qualsiasi confine esso sia.
Signore e Signori, Israele è pronto, sono pronto a negoziare tutte
le questioni dello status finale, ma una cosa non potrò mai negoziare: il nostro diritto ad un solo ed unico stato ebraico.
Wow, il Primo Ministro di Israele sostenuto da applausi all’Assemblea Generale? Il cambiamento avviene prima di quanto pensassi. Se i “palestinesi” avessero detto sì a uno stato ebraico
nel 1947, non ci sarebbe stata nessuna guerra, nessun rifugiato e nessun conflitto. E quando
i palestinesi finalmente avranno detto sì ad uno stato ebraico, saremo in grado di porre fine
a questo conflitto una volta per
tutte. Ora ecco la tragedia, perché, vedete, i palestinesi non sono solo intrappolati nel passato,
i loro capi stanno avvelenando
il futuro. Voglio che immaginiate un giorno nella vita di un ragazzo palestinese tredicenne, lo
chiamerò Alì. Alì si sveglia prima della scuola, va a fare sport
con una squadra di calcio che ha
preso il nome da Dalal Mughrabi, un terrorista palestinese responsabile dell’omicidio di 37
israeliani in un autobus. A scuola, Alì partecipa ad un evento
promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione palestinese per
onorare Baha Alyan, che l’anno scorso ha ucciso tre civili israeliani. Tornando a casa a piedi, Alì guarda in alto verso una statua
imponente eretta solo poche settimane fa dall’Autorità Palestinese per onorare Abu Sukar, che ha fatto esplodere una bomba nel centro di Gerusalemme uccidendo 15 israeliani. Quando
Alì torna a casa accende la TV e vede un alto ufficiale palestinese, Jibril Rajoub, che dice che se avesse avuto una bomba atomica, l’avrebbe fatta esplodere sopra Israele quel giorno stesso.
Alì accende poi la radio e sente il consigliere del presidente Abbas, Sultan Abu al-Einein, sollecitare i palestinesi, ecco una citazione, “tagliate la gola agli israeliani ovunque li troviate”. Alì
controlla il suo Facebook e vede un recente post del partito Fatah del presidente Abbas, che definisce il massacro di 11 atleti
israeliani alle Olimpiadi di Monaco un “atto eroico”. Su YouTube, Alì guarda una clip dello stesso presidente Abbas che dice:
“Diamo il benvenuto ad ogni goccia di sangue versato a Gerusalemme.” Citazione diretta. Durante la cena, Alì chiede a sua madre cosa succederebbe se avesse ucciso un ebreo e fosse finito
in una prigione israeliana. Ecco quello che lei gli dice. Lei gli dice che avrebbe ricevuto migliaia di dollari ogni mese da parte
dell’Autorità palestinese. In realtà, lei gli dice che se avesse ucciso altri ebrei, avrebbe ricevuto più soldi. Oh, e quando esce di
prigione, Alì avrebbe avuto garantito un posto di lavoro con l’Autorità palestinese.
Signore e signori, tutto questo è reale! Succede ogni giorno, sempre. Purtroppo, Alì rappresenta centinaia di migliaia di bambini palestinesi che vengono indottrinati all’odio in ogni momento,
ogni ora. Si tratta di abusi su minori. Immaginate il vostro bambino durante questo lavaggio del cervello. Immaginate quello che
ci vuole per un ragazzo o una ragazza per uscire liberamente da
questa cultura dell’odio. Alcuni lo fanno ma troppi non lo fanno.
Come può qualcuno di noi aspettarsi che giovani palestinesi sostengano la pace, quando i loro leader avvelenano le loro menti contro la pace? Noi in Israele non facciamo questo. Educhiamo
i nostri figli alla pace. Abbiamo recentemente lanciato un programma pilota, per rendere lo studio della lingua araba obbligatorio per i bambini ebrei in modo che ci si possa capire meglio
l’un l’altro, in modo che si possa vivere insieme fianco a fianco in pace. Naturalmente, come tutte le società anche Israele ha
frange. Ma è la nostra risposta a quegli elementi marginali, è la
nostra risposta a quegli elementi marginali che fa la differenza.
Prendete il tragico caso di Ahmed Dawabsha. Non dimenticherò
mai la visita Ahmed in ospedale poche ore dopo essere stato attaccato. Un ragazzino, in realtà un bambino, è stato gravemente ustionato. Ahmed è stato vittima di un atto terroristico orribile
perpetrato da ebrei. Giaceva fasciato e incosciente mentre medici israeliani lavoravano tutto il giorno per salvarlo. Nessuna parola può portare conforto a questo ragazzo o alla sua famiglia.
Eppure, mentre ero al suo capezzale ho detto allo zio: “Questa non è la nostra gente. Questo non è il nostro modo”. Poi
ho ordinato misure straordinarie
per portare gli assalitori di Ahmed davanti alla giustizia e oggi
i cittadini ebrei di Israele accusati di aver attaccato la famiglia
Dawabsha sono in carcere in attesa di giudizio. Ora, per alcuni, questa storia dimostra che
entrambe le parti hanno i loro
estremisti ed entrambe le parti
sono ugualmente responsabili di
questo conflitto apparentemente senza fine. Ma ciò che la storia di Ahmed dimostra in realtà
è l’esatto contrario. Esso illustra la profonda differenza tra le nostre due società, perché mentre i leader israeliani condannano i
terroristi, tutti i terroristi, arabi ed ebrei allo stesso modo, i leader palestinesi celebrano terroristi. Mentre Israele imprigiona la
manciata di terroristi ebrei tra noi, i palestinesi pagano le migliaia di terroristi tra di loro. Così ho chiamato il Presidente Abbas:
hai una scelta da fare. Puoi continuare ad alimentare l’odio come
hai fatto oggi o puoi finalmente combattere l’odio e lavorare con
me per stabilire la pace tra i nostri due popoli. Signore e Signori, sento un ronzio. So che molti di voi hanno rinunciato alla pace.
Ma voglio che sappiate che io non ho rinunciato alla pace. Rimango impegnato ad una visione di pace sulla base di “due stati per
due popoli”. Credo che come mai prima i cambiamenti in atto nel
mondo arabo di oggi offrono un’occasione unica per far progredire la pace. Mi congratulo con il presidente dell’Egitto, al-Sisi,
per i suoi sforzi per far progredire la pace e la stabilità nella nostra regione. Israele accoglie lo spirito dell’iniziativa di pace araba e accoglie un dialogo con gli stati arabi per far avanzare una
pace più ampia. Credo che perché una pace più ampia possa essere pienamente raggiunta, i palestinesi debbano essere parte
di essa. Sono pronto ad avviare negoziati per raggiungere questo obiettivo oggi - non domani, non la prossima settimana, oggi. Il presidente Abbas ha parlato qui un’ora fa. Non sarebbe stato meglio se invece di parlare uno dopo l’altro avessimo parlato
tra di noi? Presidente Abbas, invece di inveire contro Israele al-
ora su cinque continenti. Quindi il mio punto per voi è questo: la
minaccia che l’Iran rappresenta per tutti noi non è dietro di noi,
è davanti a noi. Nei prossimi anni, ci deve essere uno sforzo sostenuto e unito per respingere l’aggressione dell’Iran e del terrore iraniano. Con i vincoli nucleari verso l’Iran un anno più vicini
ad essere rimossi, voglio essere chiaro: Israele non permetterà al
regime terrorista dell’Iran di sviluppare armi nucleari - non adesso, non tra dieci anni, mai!
Signore e Signori, sono qui davanti a voi oggi mentre l’ex presidente di Israele, Shimon Peres, sta lottando per la propria vita.
Shimon è uno dei padri fondatori di Israele, uno dei suoi uomini
di stato più audaci, uno dei suoi leader più rispettati. So che tutti
siete uniti a me e uniti a tutto il popolo di Israele nell’augurargli
refuah shlemah Shimon, una pronta guarigione. Ho sempre ammirato l’ottimismo senza limiti di Shimon e come lui, anch’io sono pieno di speranza. Sono pieno di speranza perché Israele è in
grado di difendersi da sola contro ogni minaccia. Sono pieno di
speranza perché il valore dei nostri uomini e donne combattenti non è secondo a nessuno. Sono pieno di speranza perché so
che le forze della civiltà, in ultima analisi trionfano sulle forze del
terrore. Sono pieno di speranza perché nell’era della innovazione, Israele - la innovation nation - è fiorente come mai prima. Sono pieno di speranza perché Israele lavora instancabilmente per
promuovere l’uguaglianza e l’opportunità per tutti i suoi cittadini: ebrei, musulmani, cristiani, drusi, tutti. E io sono pieno di speranza perché, nonostante tutti gli scettici, credo che negli anni a
venire, Israele forgerà una pace duratura con tutti i nostri vicini.
Signore e Signori, sono fiducioso di quello che Israele può compiere perché ho visto ciò che Israele ha compiuto. Nel 1948, anno
dell’indipendenza di Israele, la nostra popolazione era di 800.000.
La nostra principale esportazione erano arance. Allora la gente
diceva che eravamo troppo piccoli, troppo deboli, troppo isolati,
troppo demograficamente in inferiorità numerica per sopravvivere, per non parlare di prosperare. Gli scettici si sbagliavano su
Israele, allora; gli scettici si sbagliano su Israele ora.
La popolazione di Israele è cresciuta dieci volte, la nostra economia quaranta volte. Oggi la nostra esportazione più grande è la
tecnologia – la tecnologia israeliana che alimenta il mondo dei
computer, telefoni cellulari, automobili e molto altro ancora.
Signore e signori, il futuro appartiene a coloro che innovano e
questo è il motivo per cui il futuro appartiene a paesi come Israele. Israele vuole essere il vostro partner nel cogliere quel futuro, quindi chiedo a tutti voi: cooperate con Israele, abbracciate
Israele, sognate con Israele. Sogno del futuro che possiamo costruire insieme, un futuro di progresso mozzafiato, un futuro di
sicurezza, prosperità e pace, un futuro di speranza per tutta l’umanità, un futuro in cui, anche alle Nazioni Unite, anche in questa sala, Israele infine, inevitabilmente, prenderà il suo legittimo
posto tra le nazioni.
Grazie.
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le Nazioni Unite a New York, ti invito a parlare al popolo israeliano alla Knesset a Gerusalemme. E sarei felice di venire a parlare
al parlamento palestinese a Ramallah. Signore e Signori, Mentre
Israele cerca la pace con tutti i suoi vicini, sappiamo anche che
la pace non ha più grande nemico delle forze dell’Islam militante.
La scia di sangue di questo fanatismo attraversa tutti i continenti rappresentati qui. Attraversa Parigi e Nizza, Bruxelles e Baghdad, Tel Aviv e Gerusalemme, Minnesota e New York, da Sydney
a San Bernardino. Così molti hanno sofferto la sua ferocia: cristiani ed ebrei, le donne, gli omosessuali, gli yazidi, i curdi e molti, molti altri. Eppure, il prezzo più alto, il prezzo più alto di tutti è stato pagato dai musulmani innocenti. Centinaia di migliaia
senza pietà macellati. Milioni trasformati in profughi disperati,
decine di milioni brutalmente soggiogati. La sconfitta dell’Islam
militante sarà quindi una vittoria per tutta l’umanità, ma sarebbe soprattutto una vittoria per quei tanti musulmani che cercano una vita senza paura, una vita di pace, una vita di speranza.
Ma per sconfiggere le forze dell’Islam militante, dobbiamo lottare senza tregua. Dobbiamo combattere nel mondo reale. Dobbiamo combattere nel mondo virtuale. Dobbiamo smantellare le loro
reti, interrompere i loro finanziamenti, screditare la loro ideologia. Possiamo sconfiggerli e noi li sconfiggeremo. Il medievalismo non può competere con la modernità. La speranza è più forte dell’odio, la libertà più forte di paura. Possiamo farcela.
Signore e Signori, Israele combatte questa battaglia mortale contro le forze dell’Islam militante ogni giorno. Manteniamo i nostri
confini sicuri da ISIS, impediamo il contrabbando di armi camuffate da giocattoli a Hezbollah in Libano, contrastiamo gli attacchi terroristici palestinesi in Giudea e Samaria, in Cisgiordania e
scoraggiamo gli attacchi missilistici da Gaza controllata da Hamas. Hamas è quella organizzazione terroristica che crudelmente, incredibilmente crudelmente si rifiuta di restituire i corpi di
tre nostri cittadini e nostri soldati caduti. Oron Shaul e Hadar
Goldin. I genitori di Hadar Goldin, Lia e Simcha Goldin, sono qui
con noi oggi. Hanno la richiesta di seppellire il loro amato figlio
in Israele. Tutto quello che chiedono è una cosa semplice: poter
visitare in Israele la tomba del figlio Hadar caduto. Hamas rifiuta. Non può importargli di meno. Vi imploro di stare con loro, con
noi, con tutto ciò che è decente nel nostro mondo contro la disumanità di Hamas - tutto ciò che è indecente e barbaro. Hamas infrange ogni regola umanitaria esistente, rinfacciateglielo. Signore e Signori, la più grande minaccia per il mio paese, alla nostra
regione, e, infine, al nostro mondo resta il regime militante islamico dell’Iran. L’Iran cerca apertamente la distruzione di Israele.
Minaccia paesi in tutto il Medio Oriente, sponsorizza il terrore in
tutto il mondo. Quest’anno, l’Iran ha lanciato missili balistici in
sfida diretta delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ha speso
la sua aggressione in Iraq, in Siria, nello Yemen. L’Iran, il principale sponsor mondiale del terrorismo ha continuato a sviluppare
la sua rete del terrore globale. Quella rete del terrore si estende
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ISRAELE
Quando la storia diventa solo un punto di vista
Dopo la negazione della Gerusalemme ebraica, i palestinesi si preparano
ad impugnare la veridicità della ‘Dichiarazione Balfour’.
L’obiettivo è negare il valore giuridico della presenza ebraica
N
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on esiste più la storia, lo sapevate? Non contate più sulla verità testimoniata da documenti e
prove, essa è ormai diventata “la
narrativa” secondo questo o quello scrittore, quello storico, quel testimone e anche
secondo l’occhio di chi legge che presenta
a sua volta una quantità infinita di varianti.
Dunque, qualcuno può descrivere la grandezza dell’Impero Romano, oppure la dominazione del Papato su Roma, o l’importanza
dei Medici a Firenze, o il valore della Resistenza nella lotta contro il nazifascismo... ma
tutto questo sarà soltanto una “narrativa”.
I popoli colonizzati dai romani, o i cittadini della Roma papale o gli amici dei Degli
Albizi di Firenze potranno sostenere che si
è trattato di fantocci che hanno fatto solo
ludibrio e danno di terre e ricchezze appartenenti ad altri. Usciranno i discendenti dei
Galli che racconteranno che giunto al passaggio del Rubicone Giulio Cesare in realtà
tornò indietro, o che il Papa ha portato a
Roma solo miseria e predominio, o che i Medici erano dei volgari
commercianti di danaro. Del resto noi ebrei lo sappiamo bene, la
menzogna storica regna sovrana e non ha confine: persino la Shoah è oggetto di negazione criminale, nonostante i testimoni siano
ancora vivi, i documenti inequivocabili e caldi.
Qualcuno dice che il negazionismo di questi giorni, quello che
nega ogni legame degli ebrei con la loro terra sia ancora peggiore
di quello dello Shoah. Certamente, è altrettanto oltraggioso e lesivo. Ma la storia ormai è diventata uno strumento di guerra aperta
contro gli ebrei e quelli che sono ritenuti i loro amici. Edward Said
nei suoi libri pieni di inesattezze e anche di autentiche bugie (persino sulla sua stessa vita!) spiegò che gli storici del Medio Oriente,
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anche i migliori come Bernard Lewis, raccontano solo il punto di vista dell’imperialismo contro una verità che esclusivamente
gli “indigeni” possono raccontare.
La storia non esiste più nella concezione relativista che ormai se ne è impossessato, forse nemmeno la geografia, dato che ciascuno
ha una sua interpretazione dei confini, e lo
si vede bene per esempio se guardiamo la
revisione cui è andato sottoposta il trattato
Sykes Picot, o il modo in cui le grandi controversie, per esempio quella con i Curdi, vengono viste dalle parti in causa.
I palestinesi hanno fatto di questo punto di vista un’arma formidabile basandosi
sull’ignoranza della gente, sulla viltà degli
interlocutori consapevoli come l’Europa,
sulla complicità degli amici interessati come
il blocco islamico, e quindi sul conseguente automatismo anti-israeliano di tutta la
comunità internazionale, dall’ONU e le sue
agenzie all’Unione Europea. Tutti hanno seguito in questi giorni la ripugnante vicenda
dell’UNESCO che ha consegnato al mondo islamico, nella lista dei
beni culturali più importanti per l’umanità, addirittura Gerusalemme, il Monte del Tempio, il Muro del Pianto attribuendogli solo
l’appellativo di musulmano, “Spianata delle Moschee”. L’Unesco
ha preso nella sua mano il cuore pulsante dell’ebraismo e l’ha consegnato al retaggio musulmano. L’avete visto, avete inorridito, siete rimasti stupefatti che questo possa accadere, avete seguito con
un misto di sgomento e di soddisfazione il pentimento del Primo
Ministro Matteo Renzi che si è accorto del disastro compiuto dalla
sua delegazione all’Unesco e dal suo ministero degli Esteri. “Automatismo”, è stato detto a mo’ di giustificazione dell’astensione
italiana: ma se è automatico ormai condannare Israele e il popolo
Oren David, nuovo ambasciatore
israeliano presso la Santa Sede
O
ren David (nella foto in un incontro con rav Di Segni) è
il nuovo ambasciatore di Israele presso la Santa Sede.
Sposato, il nuovo ambasciatore, è laureato in Scienze
Politiche e Relazioni Internazionali, ha poi ottenuto un
master in Scienze Politiche. Lo comunica il Vaticano.
Tra i tanti incarichi ricoperti, David è stato consigliere presso il
dipartimento per l’America del Nord (1993-1997); Ministro-Consigliere della missione permanente d’Israele presso le Nazioni Unite, New York (1997-2001); direttore del dipartimento per gli Affari
Economici (2001-2007); ambasciatore in Romania (2007-2010);
ambasciatore non residente in Moldavia e a Malta (2011-2016).
L’ambasciatore è poliglotta: conosce ebraico, inglese, francese,
spagnolo, rumeno e tedesco.
l’Inghilterra al Tribunale Internazionale per la
decisione di 99 anni fa di consegnare al movimento sionista la famosa dichiarazione Balfour, firmata appunto da Lord Arthur James
Balfour per lord Walter Rothschild a nome della
comunità ebraica. Il 2 novembre del 1917 Lord
Balfour scriveva “Il Governo di Sua Maestà
vede con favore la fondazione in Palestina di
una casa nazionale per il Popolo Ebraico, e farà
del suo meglio per facilitare il raggiungimento di questo obiettivo”. Abu Mazen vuole fare
passare questo documento come una delle tante scelte colonialiste dell’Inghilterra. Niente di
più falso. Gli ebrei non hanno mai partecipato
a nessun disegno coloniale, ovvero di espropriazione di terra altrui. Naturalmente ancora
non esisteva neppure l’idea che potesse nascere l’uso della parola
“palestinese” per designare un popolo locale arabo, essendo chiarissimo anche come risulta da molti documenti arabi che Israele
prima dell’Impero Romano e della dominazione turca era appartenuta soltanto agli ebrei, e che gli arabi, presenti dalle conquiste
islamiche, hanno sempre costituito una popolazione mista siriana,
egiziana, e proveniente su quella
piccola scheggia di terra riarsa
solo in svariate ondate più avanti
incrementate dal sionismo. E’ lo
sceicco Hussein che nel 1918 scriveva, da guardiano dei luoghi santi in Arabia Saudita, che “gli ebrei
tornavano nella loro sacra e amata
patria da cui erano stati esiliati”,
e l’Emiro Feisal nel 1919 scriveva
“Porgiamo agli ebrei un sincero e
sentito benvenuto a casa!”.
La dichiarazione Balfour è la base
della legittimità internazionale
di Israele: nel giugno del 1922 la
Lega delle Nazioni voto all’unanimità “il legame storico fra il Popolo
Ebraico e la Palestina come base
per la ricostruzione della loro casa
nazionale in quel Paese”. Questa è la fondamentale base storica
della vicenda: mio padre Aaron-Alberto, prima della fondazione di
Israele soldato nell’esercito di difesa dell’Yishuv, amava sentirsi
chiamare “palestinese”. Loro, gli ebrei immigrati, erano i palestinesi nel secolo scorso: gli ebrei tornati a casa loro. Adesso se ne
vuole semplicemente sostituire l’identità negando legittimità a chi
ne ha più diritto storicamente e quanto a status internazionale.
FIAMMA NIRENSTEIN
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
ebraico a morte cancellandolo o tartassandolo,
come del resto dimostrano i dati delle votazioni
compulsive di tutte le organizzazioni dell’ONU
e dell’UE, come può questo essere accettato da
una mente razionale, ancorché diplomatica e
desiderosa di unità a tutti i costi?
La risposta risiede in un meccanismo difficile
da smontare, e che si capisce molto bene quando il ministro Gentiloni spiega che, anzi l’Italia, aveva deciso di astenersi come del resto
fa spesso, per evitare una situazione ancora
peggiore. Ovvero: la consapevolezza che nel
consesso internazionale l’antisemitismo palestinese sia diventato senso comune e persino
regola diplomatica è acquisita come questione
statica, immutabile, pietra di paragone persino
di chi non intenda esercitare nessuna politica di odio nei confronti
di Israele, persino per chi voglia essere amichevole. A tanto siamo
arrivati.
Così le molteplici prove di funzionamento dell’attitudine irrazionale, ignorante, insensata che vige nelle istituzioni internazionali,
hanno portato i palestinesi e i loro alleati, o anche semplicemente
gli opportunisti, ad alzare il tiro:
all’Unesco era cominciato con Hevron e la tomba dei Patriarchi, che
è diventata retaggio islamico, poi
con la tomba di Rachele, adesso
siamo arrivati al Muro del Pianto,
complimenti, bella escalation, ma
non è finita qui. Il palcoscenico
diplomatico, per altro gestito in
parallelo col terrorismo, paga, e
adesso Abu Mazen pensa di portare a casa una serie di grandi
successi: prima di tutto spera che
Obama, nel periodo fra l’elezione
del prossimo presidente e il suo
abbandono della Casa Bianca,
tolga al Consiglio di Sicurezza
dell’ONU il veto USA che ha sempre fermato la maggiore istanza
internazionale esistente dal condannare Israele. Obama potrebbe
procedere dopo la conclusione elettorale con una condanna degli insediamenti e la votazione di una soluzione del conflitto tutta
favorevole ai palestinesi. E’ possibile che Obama voglia segnare
un goal dopo il novantesimo minuto a favore del suo retaggio in
politica estera che si è dimostrato fallimentare e confuso e che
abbisogna di una lustratina.
In secondo luogo, Abu Mazen ha annunciato che intende portare
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MONDO
L’Europa del 2016?
Nel segno del populismo
Preoccupante crescita dei movimenti e
dei partiti politici reazionari e di destra
I
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l 2016 è stato un anno negativo per l’Europa. Diversi attentati terroristici hanno colpito le città, la crisi dei rifugiati non
accenna a diminuire e per la prima volta l’Unione Europea si
appresta a perdere uno dei suoi membri
a seguito del referendum sulla Brexit. La
paura del terrorismo,
della massa di immigrati provenienti prevalentemente da paesi
musulmani e una diffusa percezione che l’Unione non sia in grado
di risolvere i problemi
dei paesi membri hanno creato la tempesta
perfetta per i partiti
populisti di destra.
Inoltre la crisi economica dell’Eurozona ha
favorito l’avanzare di
movimenti populisti di
sinistra come in Grecia
e Spagna.
Per populismo si intende un’ideologia che separa la società in due ben distinti gruppi,
“Puri” e “Corrotti” e predica una politica basata sulla “volontà
del popolo”. Per questo generalmente i movimenti populisti hanno
successo finché sono all’opposizione, possono addossare i problemi della società alla classe dirigente senza dover necessariamente proporre una soluzione alternativa e sono contrari a ingerenze
esterne come l’integrazione europea.
Cronologicamente il primo a comparire sulla scena europea è stato
il Front National francese che negli anni ’80 prometteva ai cittadini
un ritorno alla gloria del passato della Francia. Il partito di estrema
destra di Marine Le Pen è ancora oggi il più importante fra i populisti in Europa ma è ora in buona compagnia: in Italia il Movimento
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5 Stelle detiene quasi un terzo dei seggi in Parlamento, in Ungheria sia il partito di governo Fidesz che quello di opposizione Jobbik
hanno entrambi ideologie populiste e nel resto d’Europa in quasi
tutti i paesi membri c’è un partito populista che ha raccolto almeno
il 10% dei voti alle ultime elezioni. Storici e politologi tendono a
spiegare questo fenomeno come un processo storico dovuto soprattutto alla poca differenza nei programmi dei partiti tradizionali di destra e sinistra e nella scomparsa delle ideologie come
il comunismo. Inoltre le nuove norme dell’UE sono state imposte
ai paesi membri in ambiti di rilevanza nazionale e spesso mal digerite dai cittadini. Infine l’avvento di Internet ha reso gli elettori
più indipendenti dalle
élite sebbene non meglio informati. La forza
di questi movimenti
sta nel fatto che solitamente la loro agenda
è al centro del dibattito pubblico, la politica
spesso non è in grado
di rispondere e a volte
prende anche in prestito termini e concetti
prettamente populisti
per aumentare il consenso. Inizialmente il
fenomeno è stato preso sottogamba considerandolo temporaneo
ma ad oggi Viktor Orban, capo del partito
Fidesz, è al sesto anno
di potere in Ungheria, Norbert Hofer del
partito di estrema destra FPO si appresta a diventare Presidente
dell’Austria e i partiti populisti stanno rendendo obsolete molte
delle forze politiche tradizionali nei più importanti paesi europei
come Francia e Italia. Inoltre le grandi coalizioni di governo che
hanno scongiurato governi di stampo populista e nazionalista non
sembrano il rimedio adatto perché alla lunga ricreano le stesse
situazioni lamentate dai populisti. Tutti i partiti sono però soggetti
alle leggi della politica e del consenso e una volta al potere i populisti dovranno scegliere se comportarsi responsabilmente o no,
ovvero fare ciò che il popolo chiede o ciò che la realtà economica
impone.
MARIO DEL MONTE
Dopo Obama che America sarà?
Gli scenari futuri e le incertezze del presente in una tavola rotonda
con Giuliano Ferrara, Maurizio Molinari e Daniele Fiorentino
estera. Clinton ha condiviso gli errori di Obama negli anni in cui
ricopriva il ruolo di Segretario di Stato, ma i suoi programmi la
presentano come più competitiva e con una minore riluttanza ad
intervenire, mentre Obama ha prediletto operazioni di polizia internazionale (si pensi all’uso dei droni o alla cattura di Bin Laden).
Inoltre, Hillary avrà una posizione sicuramente meno conflittuale
con Israele, di cui è sicura amica. Il peso delle promesse fatte
da Trump (tra cui il riconoscimento di Gerusalemme capitale) è assai discutibile; Clinton,
invece, ha avanzato posizioni
più realistiche e che non dovrebbero risultare sgradite
al governo Netanyahu, come
quando ha affermato che per
il conflitto israelo-palestinese
accetterà solo una soluzione
negoziata tra le due parti. Il
discorso sul Medio Oriente si è
rivelato ricco di spunti: è infatti un tema ampio e complesso,
come ha spiegato Molinari, il
quale ha affermato che stiamo
vivendo un’epoca rivoluzionaria con la dissoluzione degli
stati-nazione musulmani; non
esistono più i confini, ma permangono solo tre realtà: la tribù, la
famiglia e la moschea. Una situazione simile a quella verificatasi
dopo la morte di Maometto nel 632 e all’indomani della dissoluzione dell’Impero Ottomano nel 1919: in questo contesto però si
è collocato il disengagement di Obama dal Medio Oriente, che
nessuno dei candidati presidente ha mai dichiarato di voler ripristinare. Si apriranno dunque opportunità per potenze esterne
(la Russia), ma anche per i più importanti attori regionali, ossia
gli unici stati rimasti immuni da questi sconvolgimenti: Israele e
Iran. Nei prossimi anni gli Stati Uniti continueranno a guardare
ad Ovest come sempre avvenuto nella loro storia, ma i rapporti
con le potenze regionali del Medio Oriente saranno cruciali per i
destini del mondo.
DANIELE TOSCANO
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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
U
n’analisi a 360 gradi di quelli che saranno gli scenari
internazionali a seguito delle elezioni americane è stata proposta dal Bené Berith Giovani proprio alla vigilia
della consultazione elettorale. Oltre duecento persone
hanno affollato la sala del Maxxi dove, moderati da Micol Anticoli, sono intervenuti il fondatore de Il Foglio Giuliano Ferrara,
il professore di Storia degli Stati Uniti Daniele Fiorentino e, in
collegamento telefonico, il direttore de La Stampa Maurizio
Molinari. L’eredità di Obama, il
confronto che si è sviluppato
in questi mesi tra Donald Trump e Hillary Clinton, i diversi
programmi portati avanti, le
politiche che potranno intraprendere all’interno e all’estero, con particolare attenzione
all’Europa, al Medio Oriente e
ovviamente a Israele: questi i
temi al centro del dibattito.
Proprio il duello tra i due candidati è stato tra i più avvincenti
della storia americana: bisogna
tornare all’elezione di Lincoln
nel 1860 per trovare un confronto così aspro. Trump ha lacerato
il clima del politicamente corretto: ha contestato la liberalizzazione dei mercati e avversato la globalizzazione, accogliendo alcune
paure del popolo americano come l’immigrazione, il terrorismo e
la sicurezza personale, ma senza proporre soluzioni realmente applicabili, aldilà di un maggiore protezionismo in economia e di un
isolazionismo in politica estera. Clinton si è mostrata più sostanziosa nei suoi progetti: ha un programma sociale che prosegue quello avviato da Obama per aiutare la classe media, il ceto al centro
dello sviluppo americano del XX secolo ma oggi ancora incapace
di riprendersi dalla crisi. Tuttavia, Hillary ha incontrato l’ostilità di
alcune fasce di popolazione che vedono in lei l’esponente di una
dinastia, mentre con la vicenda delle mail ha fatto sospettare un
mancato rispetto delle norme.
La vera novità, in ogni caso, sarà rappresentata dalla politica
19
ITALIA
I figli, una scelta d’amore
o un'indicazione politica?
La bassa natalità è un dato sociale allarmante
dell’Italia, dell’Europa e anche della nostra
Comunità e tradisce la vittoria dell’egoismo
e il rifiuto ad assumersi impegni e rinunce
D
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
opo la riflessione sulla campagna del Fertility-day vorrei
aggiungere alcune riflessioni sul tema così spinoso e difficile e certamente mal gestito di quella comunicazione.
Come capita a tutti ho riflettuto e mi sono confrontata su
questo tema, ma soprattutto ho cercato di ricordarmi perché ho fatto i miei due splendidi figli e come le parole non devono generare
sorrisetti, perché se prendiamo sul serio quelle parole forse prendiamo sul serio il problema. Che riguarda il paese, ma le nostre comunità in maniera impegnativa.
Anzitutto i dati drammatici: nascono meno bambini di quante persone care ci lascino; in Italia nel 2015-2016 è stato registrato il più
basso tasso di natalità in Europa. Anche l‘Europa stessa non può
ritenersi soddisfatta visto l’ultimo bilancio riportato da Eurostat: a
fronte di 5,2 milioni di decessi, si sono registrate 5,1 milioni di nascite (quindi meno lo 0,3 per mille) nonostante la popolazione complessiva europea sia aumentata da 508 milioni e 510 milioni grazie
all’importante flusso migratorio di questi anni.
Quando si parla di nascite, è necessaria una precisazione: il concetto di natalità, è nettamente diverso da quello di fertilità, in quanto
il primo termine rappresenta una condizione socioeconomica nazionale, mentre il secondo è di carattere prettamente medico, che
coinvolge la sfera più intima familiare.
20
Il problema della fertilità si rispecchia indubbiamente sulla natalità, ma le cause sono nettamente diverse. La cause dell’infertilità
possono essere congenite, causate da malattie, senza considerare
che alcune donne vengono al mondo senza la possibilità di poter
concepire un figlio.
Quelle della bassa natalità, sono in parte dovute a scelte ben ponderate. Avere un figlio vuol dire costi, sacrificio, dedizione completa
verso l’altro e impegno a tempo indeterminato, che non tutti sono
disposti a prendersi. Siamo sempre più concentrati su noi stessi,
sempre più immersi in un vortice di egocentrismo multimediale che
raggiunge il suo apice con il maggior numero di like ricevuti alla
foto appena postata sui social. Problema che riguarda nello specifico i giovani tra i 20 e i 35 anni di età, che imputano il loro disinteresse nella costruzione di una famiglia allo Stato e alla sue leggi.
Questione in parte vera, ma non del tutto.
Quindi come conciliare questo bisogno continuo di nutrire l’ego con
il desiderio di avere un figlio? A cosa bisogna rinunciare? Sono domande difficili, e dare una risposta è altrettanto complicato.
Quante volte sentiamo la frase per mio figlio sono disposto a rinunciare a tutto? Troppe per essere vero se questi sono i numeri. Ci
fa paura la povertà o un livello di vita sociale diverso o siamo una
generazione senza futuro, oppure non riuscendo a vedere il futuro
per incapacità, ci siamo fermati.
I dati sulla disoccupazione giovanile sono drammatici, è vero ma
forse è anche cambiato il modo di occuparsi, l’umanità ha attraversato momenti anche più tragici ma non si era mai verificata una
decrescita del genere, anche nelle nostre comunità.
Mi chiedo se qualcuno dei nostri enti stia lavorando per affrontare
questo tema oppure se speriamo che tutto si risolva organizzando
momenti di incontro con modalità poco diverse da quelle che ho
visto io, circa 40 anni fa.
Tutti ci scandalizziamo dall’ingordigia che la corruzione della politica fa emergere, ma quell’ingordigia è in parte, anche infinitesimale,
la nostra, certo diversa, ma molto simile perché quando si fanno i
bambini l’amore e lo slancio verso la vita non ti fa contare quanti
pannolini dovrai comperare, piuttosto ti fa chiedere il sostegno e
il supporto, mentre invece non vedo manifestazioni di persone che
urlano il proprio diritto di vedere il segno del futuro nelle persone
che sono capaci di generare.
Certo non avere figli può essere una scelta legittima, ma perché
oggi è salita a questi numeri?
Contare quanto costa un figlio è il contrario di amare; contare, in
quel senso, non è sinonimo di etica pubblica, la passione della dedizione dei genitori ai figli dislessici, ha costretto il sistema sanitario e
scolastico ad intervenire ed iniziare a cambiare, ma nelle università
italiane ancora non è un obbligo conformare il tempo degli esami
ai ragazzi dislessici, il paese perde un patrimonio di intelligenza e
nessuno fa un corteo, certo vibrate proteste, tutto lì.
Se è vero che a noi sono stati consegnati la gioia e il peso dei dieci
comandamenti, ora che il mondo in alcuni momenti sembra perdersi
dobbiamo essere fra i primi a cercare soluzioni, Israele ha capito
per primo che il suo futuro era nei figli, noi perché non lo capiamo?
Mi farebbe piacere che una comunità, un gruppo di cultura o un
solo qualunque ente ebraico, ci dicesse facciamo qualcosa insieme,
invece temo che non accadrà. Ma noi seguiteremo ad impegnarci
perché questo accada e perché i valori dell’amore possano prevalere sui numeri.
CLELIA PIPERNO
FOCUS
Il calcio di Shabbat: un autentico autogol
L’irrisolta questione delle partite di pallone giocate in Israele nel giorno del riposo
durante lo Shabbat, telefoni cellulari compresi, tornare a casa
richiede spesso l’uscita anticipata dallo stadio.
Oltre alle tifoserie, ci sono i casi di calciatori come Guy
Dayan, centrocampista dell’Hapoel Acre, che si professa
religioso e osservante ma che difende la scelta di giocare
durante lo Shabbat. «Per me è solo un lavoro che mi permette
di provvedere alla mia famiglia», ha spiegato. È di certo
un’evoluzione rispetto a vent’anni prima, quando «i calciatori
estremamente religiosi avrebbero deciso di smettere, o
avrebbero giocato soltanto in club di terza divisione, dove non
si scende in campo durante lo Shabbat».
A ciò si aggiunge un altro elemento: il numero di ebrei
altamente religiosi a prendere parte alle
gare è in continua crescita. Dov Lipman,
ex membro del parlamento israeliano che
ha lavorato per colmare i divari culturali
tra ebrei osservanti e laici, ritiene che
questo gruppo stia spingendo per una
rivalutazione del concetto stabilito
secondo cui gli sport competitivi siano
principalmente sotto il dominio degli
israeliani laici. In passato, gli ebrei
religiosi hanno spesso scoraggiato i loro
figli a partecipare a sport organizzati
a causa degli inevitabili conflitti con il
sabato. «Ma quel gruppo sta rivalutando
la questione, perché vogliono essere
coinvolti», ha spiegato Lipman. Si sta
lavorando per pianificare più gare di
domenica, una giornata lavorativa e giorno
di scuola in Israele, ma significherebbe
considerarlo come un secondo giorno di
riposo per l’intera società israeliana, una
questione tutt’altro che semplice.
Sul tema è intervenuto tempo fa anche
il capo dello Stato Reuven Rivlin – gran tifoso del Beitar
Jerusalem – auspicando una soluzione condivisa sulla
questione e difendendo il vigente status quo fra laici ed
osservanti, in base al quale «i laici in Israele di sabato vanno al
mattino in sinagoga e più tardi allo stadio». Sembrerebbe solo
una questione di pallone, non lo è.
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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
I
l calcio al tempo dello Shabbat è molto più che
una questione sportiva in Israele. Diritti televisivi,
pianificazione logistica e disponibilità degli stadi hanno
creato da anni un corto circuito per giocatori e tifosi: il
sabato si può scendere in campo? Si può andare sugli spalti?
D’altra parte il tema è di stretta attualità politica, dopo che a
settembre il premier Benyamin Netanyahu ha subito critiche
e un calo negli indici di gradimento per le ripercussioni di una
lite avuta col ministro dei trasporti Israel Katz sull’opportunità
di svolgere lavori urgenti di manutenzione alle ferrovie durante
il riposo sabbatico.
Già all’inizio dello scorso campionato la questione si era
posta in maniera drastica e l’avvocato dello
Stato, Yehuda Weinstein, aveva stabilito
che «nessuno può essere legalmente
perseguito perché gioca a calcio di sabato»
nonostante una sentenza del Tribunale del
Lavoro andasse nel senso opposto. Ora il
campionato è ricominciato e il problema
si pone di nuovo. Soprattutto per i tifosi,
costretti a lasciare lo stadio prima della
conclusione delle gare per rispettare i
dettami del sabato ebraico, che inizia
esattamente al tramonto del venerdì.
Storicamente, il governo calcistico israeliano
ha spinto per far disputare le gare di
sabato, contrastato dai calciatori che non
volevano scegliere tra la santità del sabato
e i loro obblighi nei confronti dei club di
appartenenza. Tra giudici che chiedevano al
governo di validare deroghe e tentennamenti
politici, la questione è rimasta irrisolta. Poi,
dalla scorsa stagione, la Professional Football
League israeliana, che è a capo delle prime
due divisioni del Paese, ha stretto accordi
con una televisione per trasmettere le partite di campionato in
alcune finestre ben precise, una delle quali comincia appunto
il venerdì alle 15. Le ricadute di tali scelte sono, tuttavia, più
complesse: cominciare le gare in quell’orario, soprattutto
in inverno, significa correre il rischio di far coincidere
pericolosamente le gare con l’arrivo del tramonto. Per molti
appassionati che non guidano o utilizzano energia elettrica
21
FOCUS
Israele: una piccola nazionale
ma un grande movimento calcistico
Molti i giocatori di buon livello che si giocheranno
la possibilità di partecipare ai Mondiali di Russia 2018
N
onostante la sconfitta
subita all’esordio contro
l’Italia, la nazionale di calcio
israeliana si è rivelata una
possibile sorpresa nel girone G delle
qualificazioni ai mondiali del 2018 che
si disputeranno in Russia. Le tre reti
incassate non hanno fatto passare in
secondo piano la buona prestazione
della selezione bianco-blu che ha
ancora nove partite per raggiungere
almeno la seconda posizione che vale
l’accesso agli spareggi. Oltre all’Italia
e alla Spagna, le grandi favorite del
girone, sono l’Albania, la Macedonia
ed il Liechtenstein, avversari che sulla
carta non dovrebbero rappresentare
ostacoli insormontabili. Di certo Israele
dovrà tramutare in risultati positivi il buon
gioco espresso e sistemare una difesa
piuttosto traballante per contendere la
qualificazione alle nazionali guidate da
Ventura e Lopetegui.
I segnali più incoraggianti arrivano dalla
generale crescita dell’intero movimento
calcistico israeliano: da qualche anno a
questa parte le squadre israeliane hanno
progressivamente migliorato le loro
apparizioni nelle competizioni europee per
club come la Champions League e l’Europa
League arrivando ad avere in pianta
stabile almeno una o due squadre nelle fasi
iniziali. Questi miglioramenti sono dovuti
in parte al maggiore interesse che il calcio
sta suscitando nel paese ed in parte ad un
assennato utilizzo del materiale umano e
delle risorse economiche a disposizione.
Gli investimenti nella creazione di impianti
sportivi e stadi all’avanguardia effettuati
in occasione degli europei under 21 del
2013 sono stati accompagnati da una
politica di valorizzazione dei giovani
provenienti dai vivai e dall’acquisto, da
parte dei top club, di giocatori con discreta
esperienza internazionale che hanno dato
al campionato una maggiore caratura.
Vecchie volpi come Elyaniv Barda, Tal Ben
Haim, Yossi Benayoun ed Eran Zahavi sono
tornati dalle loro esperienze nei maggiori
campionati europei per concludere la loro
carriera e a giovarne sono stati soprattutto
i compagni dei rispettivi team.
Tra i convocati nella Nazionale da mister
Elisha Levy, ex allenatore del Maccabi
Haifa che vanta ben due scudetti nel suo
palmares, ci sono anche giocatori sotto
contratto con squadre importanti come
Nir Biton del Celtic Glasgow, Natkho
del CSKA Mosca e le due stelline Kayal
e Hemed entrambi di proprietà
del Brighton. Molte delle speranze
dei tifosi israeliani sono riposte
nel capitano e indiscusso leader
Eran Zahavi, capocannoniere
dell’ultimo campionato israeliano
con trentacinque reti. Zahavi, che
vanta anche un’esperienza in Italia
con il Palermo, è un centrocampista
offensivo molto dotato tecnicamente
e con una buona intelligenza tattica.
In patria è stato più volte paragonato
al primo Totti per il suo modo di
giocare e le buone prestazioni gli
sono valse l’ingaggio da parte dei
ricchissimi cinesi del Guangzhou per
circa otto milioni di dollari.
Per i media israeliani però il vero ago della
bilancia è il centrocampista Kayal, un
regista difensivo con eccellenti doti fisiche
e tecnica sopraffina su cui si regge l’intero
sistema tattico della squadra. In rampa di
lancio anche Maor Buzaglo, fantasista dei
campioni in carica dell’Hapoel Beer Sheva
che si è fatto notare recentemente per uno
straordinario gol contro l’Inter in Europa
League.
Il prossimo impegno per Israele sarà
la doppia sfida con Macedonia e
Liechtenstein, una buona occasione per
misurare le ambizioni della squadra e
mettere in cascina punti utili al sogno
qualificazione.
MARIO DEL MONTE
Prima di un gol, meglio dire una preghiera
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
I
22
Tanti i giocatori stranieri che si sono recati al Kotel
per infilare nelle pietre un messaggio o una supplica
l Muro del Pianto o Muro Occidentale,
Kotel HaMaaravi in ebraico, ciò che
resta del Bet ha Mikdash, il Santuario
di Gerusalemme è il luogo più sacro
dell’ebraismo. Accoglie quotidianamente
fedeli e turisti, ma da qualche tempo è
diventato anche tappa fissa per leader
politici, rappresentanti di altre religioni
e anche personaggi dello spettacolo. Se
alcune visite sono rimaste nella storia,
come quella di Giovanni Paolo II nel 2000,
altri ospiti hanno avuto meno clamore,
ma non sono rimasti inosservati dai
media. Tra questi, numerosi calciatori,
che trovandosi spesso in Israele per
eventi sportivi non hanno mancato
questo appuntamento dal profondo valore
culturale e spirituale.
Recentemente, nel marzo 2015, è
stato immortalato in quest’area il
centrocampista della Roma Radja
Nainggolan. Alla vigilia della sfida tra
Belgio e Israele per le qualificazioni ad
Euro 2016, ai giocatori in trasferta era
stato concesso un giro per Gerusalemme
e alcuni non hanno perso l’occasione per
andare al Kotel.
Gli ospiti più illustri, tra quelli provenienti
dall’universo calcistico, sono stati
sicuramente i giocatori del Barcellona,
in visita a Gerusalemme nell’agosto
2013 in occasione del ‘tour della pace’.
Prima dell’incontro con il premier
Netanyahu e con il Presidente Peres,
Leo Messi e compagni, dopo essere stati
ricevuti dal rabbino capo e dal sindaco
di Gerusalemme, si sono recati anche
al Muro: kippah sul capo e, come da
tradizione, hanno infilato nelle crepe
biglietti con preghiere e messaggi.
Non per tutti però era la prima volta: il
difensore Gerard Piqué già c’era stato
due anni prima con la sua fidanzata, la
cantante Shakira.
Il 2013 è stato anche l’anno dell’Europeo
Under 21 ospitato dallo Stato ebraico. Gli
azzurrini di Devis Mangia sono stati tra
le delegazioni che non hanno mancato
la visita al Kotel. Gesti per comunicare
pace e indurre al dialogo messi in atto da
uomini di sport.
DANIELE TOSCANO
Con entrambe le squadre nel cuore,
opinioni contrastanti degli ebrei italo/israeliani
L
a partita Israele-Italia del 5
settembre, giocatasi nello
stadio di Haifa, gara d’esordio
per entrambe le squadre
nelle qualificazioni per i Mondiali di
Russia 2018 - che prevedono la
qualificazione diretta solo per la
prima squadra di ogni girone - si
è conclusa al 93° minuto con una
prevedibile vittoria dell’Italia.
Eppure, inaspettatamente, dopo
l’iniziale 2-0 scaturito da un goal
di Pellé al 14’ e da un rigore di
Candreva al 31’, Israele, una
buona squadra notevolmente
migliorata negli ultimi anni ma
che non ha nemmeno un giocatore
di grande livello internazionale,
è riuscita a segnare con Ben
Haim una rete al 35’, e a difendere il 2-1,
sfiorando in più occasioni il pareggio,
fino all’83’, quando, con il goal di
Immobile, le sorti della partita sono state
definitivamente decise, assestandosi su
un 3-1 per l’Italia.
Oltre ad accendere l’entusiasmo dei
tifosi, la partita ha generato una grande
curiosità: per chi avranno tifato gli ebrei
italiani? Saranno rimasti fedeli alla loro
nazione di nascita o avranno seguito il
cuore schierandosi con il proprio popolo?
Abbiamo chiesto l’opinione degli ebrei
romani e di quelli che si sono trasferiti in
Israele.
Alla domanda “Per chi tifi: Italia o
Israele?”, gli italiani che si sono trasferiti
a Raanana non hanno avuto esitazioni:
“ Ma che domande! Noi tifiamo Israele!”
dice Floriana, “Tifo Israele perché sono
ebreo” risponde Cesare, che ha da poco
fatto l’alyà, come anche Samuel che,
trovandola “un’opportunità per collegare
i due paesi” pensa a Israele come al
“nostro paese”. “Non sapevo chi tifare,
ma sono stata felice quando ha vinto
l’Italia” ci dice invece Tamara, italiana
Chi offre di più? All’asta la maglietta
della nazionale israeliana
Appartenuta al giocatore Kayal, è stata offerta
in beneficienza da Cesare Citoni
“Q
uesta è la maglietta
originale indossata da un
giocatore israeliano nella
partita Israele-Italia. Ho
deciso di metterla all’asta con provento a
favore della Deputazione. Personalmente
offro 250 euro. L’asta terminerà lunedì
12 settembre alle ore 20”. Così ha
scritto Cesare Citoni sui social network,
postando anche l’immagine della casacca
israeliana, all’indomani della sfida
calcistica Israele-Italia, valida per le
qualificazioni della Coppa del Mondo del
2018. La maglietta poi è stata aggiudicata
a Umberto Pavoncello per la cifra di 500
euro. Abbiamo contattato Citoni che
ci ha spiegato come sia nata questa
bella iniziativa: “Prima della partenza
per Israele, vista l’amicizia che ho con
Alessandro Florenzi, giocatore della Roma,
gli avevo chiesto di portarmi la maglia
di un giocatore israeliano. E così è stato.
All’inizio avevo pensato
ad altre soluzioni, poi
ho seguito il consiglio
di Vittorio Pavoncello
che mi ha suggerito
di indire un’asta con il
ricavato da destinare
alla Deputazione di
Assistenza. La gara è
durata pochi giorni con
una decina di offerte,
così si è arrivati a
raggiungere il doppio
della cifra che io avevo
fissato come prezzo
base”.
La maglia contesa è stata quella del
giocatore israeliano che milita nel Celtic,
Beram Kayal, che l’ha scambiata con il
giocatore italiano a fine partita. Kayal,
già prima della gara, aveva dichiarato
il suo interesse per il calcio italiano,
seppur lontana, offrendo il suo commento
sulla partita: “era abbastanza scontato
che sarebbe finita così” e aggiunge
criticamente “non penso che gli israeliani
abbiano giocato molto bene, almeno non
quanto avrebbero potuto”.
Anche alcuni ebrei italiani che non
si perdono mai i Mondiali o le partite
della Champions, in questa occasione
hanno “tradito” gli azzurri per seguire
il cuore e tifare Israele, nonostante la
squadra italiana fosse nettamente
più forte.“Se fosse stata una partita
tra la Roma e il Haifa avrei tifato
Roma, ma tra Italia e Israele. Eretz
tutta la vita”, riflette infatti Eugenio,
“l’Italia era ovviamente tecnicamente
molto più forte, ma penso Israele si
sia difeso bene ed abbia segnato un
bellissimo goal”, la puntuale analisi
di Meir, che con entrambe le squadre
nel cuore, piuttosto che sceglierne
una, preferisce darsi a considerazioni
tecnico-sportive di ciascuna squadra.
Ma c’è anche chi, come David, ha
tifato Italia poiché “è una squadra che ho
sempre seguito e ritengo che in ambito
sportivo sia di gran lunga superiore”,
anche se ammette che “per tutto il resto
preferisco Israele”; simile il parere di
Marco che, con il suo “in guerra si sta con
Eretz, a pallone con l’Italia” con decisione
si esprime, in ambito calcistico, in favore
della madrepatria.
A CURA DI: GIORGIA CALÓ
E JOELLE SARA HABIB
tanto che ha chiamato il suo primo figlio
maschio, Pirlo, in onore del campione
italiano. Si è trattata della prima asta
che coinvolge i correligionari sulla rete
con i proventi che vanno a un’istituzione
ebraica romana di assistenza. L’idea è
talmente piaciuta al presidente della
Deputazione, Piero Bonfiglioli, che oltre
a ringraziare gli ideatori
e i partecipanti per
l’iniziativa sostenuta ha
anticipato “che ci sarà nel
prossimo futuro un’asta
con quadri e oggetti
appartenuti al grande
Rav Elio Toaff donati con
grandissima sensibilità
dai suoi figli. Ricordo
che il Professore era un
grandissimo estimatore
della Deputazione
Ebraica”. Ma c’è di più.
L’idea circolante tra i
correligionari è di mettere
all’asta cimeli ed oggetti esclusivi familiari
ricercati, tanto che si sta approntando
un nuovo gruppo esclusivo su Facebook
dedicato appositamente a queste
negoziazioni.
JONATAN DELLA ROCCA
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Calcio Italia-Israele: e ora per chi tifo?
23
FOCUS
C’è una donna
dietro il miracolo
Hapoel Be’er Sheva
Alona Barkat è il presidente della squadra
che ha vinto il campionato dopo anni
di strapotere del Maccabi Tel Aviv
C’
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
è una donna dietro al fenomeno dell’Hapoel Be’er
Sheva, il club che la scorsa stagione ha conquistato
il campionato a distanza di quarant’anni dall’ultimo
successo e che solo poche settimane fa ha umiliato
l’Inter a San Siro in Europa League. Lei si chiama Alona Barkat,
ha 46 anni e fascino e un carattere di ferro. Moglie del miliardario
Eli Barkat – attivo nel settore tecnologico e a sua volta fratello
del sindaco di Gerusalemme Nir – Alona ha preso la guida
del club nel 2007, investendo 1,4 milioni di euro per l’acquisto
L’inizio però non è stato facile. In molti ignoravano l’Hapoel,
preferendogli altri club, questo anche per colpa di una tifoseria
alquanto movimentata. E poi, si sa, le donne, specie nel calcio,
24
sono circondate da pregiudizio. «All’inizio nessuno mi prendeva in
considerazione – ha raccontato la presidentessa – e i procuratori si
prendevano gioco di me. C’è voluto un po’, come sempre quando le
donne assumono un ruolo di potere. Anche una direttrice di banca
inizialmente viene guardata in modo strano, lo stesso vale per una
cancelliera».
Nel 2009 è arrivata la promozione nella Ligat Ha’Al, mentre la
stagione successiva, dopo l’aggressione di un gruppo di ultras
all’allora allenatore Guy Azuri, Alona aveva deciso di vendere il
club. Poi la frattura si è ricomposta e la presidentessa è diventata
un mito per i tifosi: spesso, quando l’Hapoel gioca in trasferta,
guarda la partita in mezzo a loro nel settore ospiti: «Voglio sapere
cosa pensano. Molti di loro hanno il mio numero, mi chiamano se
hanno idee o critiche da fare».
E così, dopo aver interrotto lo strapotere del Maccabi Tel Aviv
vincendo il suo terzo titolo nazionale nella storia, quest’estate
Be’er Sheva – una citta di 200mila abitanti, capoluogo della
regione desertica del Negev – ha conosciuto la Champions
League, anche se solo per quanto riguarda i preliminari.
L’impresa non è riuscita per poco: dopo aver eliminato
l’Olympiakos nel terzo turno preliminare, gli israeliani hanno
sfiorato l’incredibile rimonta nel playoff contro il Celtic, vincendo
2-0 in casa dopo la sconfitta per 5-2 dell’andata. Ora Alona Barkat
non si accontenta di partecipare all’Europa League, vuole stupire,
come ha fatto a San Siro battendo 2-0 i nerazzurri: «Io sono
ambiziosa e realista, ma l’Hapoel deve sognare. Anche perché
Be’er Sheva è una città che vive a ritmo di calcio».
Squadre israeliane:
sognando il grande gol
Da prestazioni scadenti degli scorsi anni,
all’ultimo clamoroso successo contro l’Inter
D
a sempre lo sport più praticato e seguito in Israele
è il basket ma il football ha fatto passi da gigante
negli ultimi anni: un interesse che è testimoniato
soprattutto dalle tante ore che le dedica il palinsesto
del piccolo schermo, sia dalle emittenti pubbliche che private.
La tv nazionale ha sempre riservato ore e ore agli appassionati
trasmettendo soprattutto calcio inglese, che è stato anche
l’approdo per decenni di tanti calciatori israeliani, non
disdegnando quello italiano. La vera svolta si può dire che sia
avvenuta tre anni fa, quando il paese mediorientale ha ospitato
i Campionati Europei Under 21 con successo e plauso da parte
dei massimi vertici degli organismi calcistici continentali. Si è
trattato della prima volta che un evento calcistico di massima
importanza si è svolto in terra israeliana. La prova è stata
superata a pieni voti con un’organizzazione esemplare che ha
vissuto un mese di notorietà sui media sportivi internazionali,
mostrando strutture sportive moderne e accoglienti tali da far
invidia al calcio nostrano.
I progressi maturati nell’organizzazione della federazione con lo
sviluppo e il moltiplicarsi delle squadre giovanili però non sono
stati accompagnati da altrettanti risultati soddisfacenti in campo
internazionale. Il calcio israeliano è retrocesso di parecchie
posizioni nel ranking mondiale rispetto a qualche anno fa, con
risultati negativi che non gli permettono da decenni di approdare
alle fasi finale di un Mondiale; dal lontano 1970, quando in
Messico nella prima fase affrontò l’Italia.
Mentre nei primi decenni dopo la nascita dello Stato
la federazione calcistica israeliana faceva parte della
Confederazione Calcio Asiatica (AFC), per motivi politici, con
il boicottaggio dei Paesi arabi, dai primi anni Settanta non ne è
stata più affiliata. Da allora è iniziato un lungo percorso che gli
ha permesso negli anni Novanta di divenire membro dell’Uefa,
partecipando con la squadra nazionale alle qualificazioni mondiali
nei gironi europei, e con i rispettivi club nelle competizioni
continentali. Nel campionato locale, che si è arricchito nell’ultimo
decennio a livello dirigenziale di ex campioni internazionali,
da Lothar Matthaus a Jordy Cruyff fino a Paulo Sousa, la fanno
da padroni da sempre il Maccabi Tel Aviv e il Maccabi Haifa;
sebbene l’ultimo anno il titolo l’abbia vinto l’Hapoel Beer
Sheva che appartiene alla famiglia del fratello del sindaco di
Gerusalemme Nir Barkat. Un team che ha fatto il suo esordio
settimane fa dando una lezione di calcio all’Inter nello stadio di
San Siro, vincendo per 2-0 una partita valida per l’Europa League.
JONATAN DELLA ROCCA
Calcio palestinese: una questione un po’ complicata
Dignitosi risultati per la squadra nazionale, con un campionato a 12 squadre.
Tra le curiosità: c’è stato persino un allenatore italiano Stefano Cusin, il vice di Zenga
Sar
tor
ia
squadre partecipanti, è il campionato
più competitivo. Tra gli stranieri che
vi sono entrati a contatto, anche un
italiano, l’allenatore Stefano Cusin,
già vice di Zenga nel campionato
degli Emirati Arabi, ingaggiato nel
2015 dall’Ahli al-Khalil di Hebron. “[I
campi] sono tutti in sintetico e con
un’ottima manutenzione”, raccontava
in un’intervista a Panorama. “Ci sono
squadre che hanno 2-3.000 tifosi e altre
che arrivano anche a 12.000 spettatori.
Come media siamo attorno ai 5.000 spettatori per gara, ma per
partite importanti si arriva anche a 20.000 tifosi”.
Cusin ha vinto la Coppa nazionale e la Coppa di Lega,
guadagnando l’accesso alla Coppa dell’AFC per l’anno successivo.
Ma non solo: la Federazione Palestinese ha deciso di far giocare
una finale di Supercoppa tra la squadra che ha vinto la Coppa della
Striscia di Gaza, l’Al-Ittihad Shejaia, e l’Ahli al-Khalil, vincitore
della Coppa di Cisgiordania. Dopo circa 15 anni, dunque, il 7
agosto 2015, sono tornate ad incontrarsi due squadre dei diversi
campionati palestinesi. L’andata, a Gaza, è finita 0-0; il 15, a
Hebron, la squadra di Cusin si è imposta 2-1, vincendo così il
trofeo.
La situazione del calcio palestinese resta comunque complicata:
gli spostamenti dei giocatori palestinesi sono strettamente
controllati per inevitabili ragioni di sicurezza; proprio per queste
restrizioni nei movimenti, nel maggio 2015, la Federazione
Palestinese ha chiesto l’espulsione di Israele dalla FIFA. La
richiesta è stata poi ritirata e la vicenda si è conclusa con una
stretta di mano tra i Presidenti delle due federazioni. L’interesse
israeliano è infatti quello di un regolare svolgimento della vita
palestinese, incluso il campionato di calcio: “una volta – racconta
ancora Cusin - tornavamo da una trasferta dopo aver vinto 6-0 e
il militare israeliano, dopo averci chiesto il risultato, ci esortò ad
andare a festeggiare in maniera molto amichevole”.
DANIELE TOSCANO
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S
e da noi il calcio israeliano è
diventato popolare grazie alla
partecipazione della Nazionale e
dei club alle competizioni UEFA,
meno noto è ciò che avviene nella parte
palestinese. La Federazione calcistica
della Palestina è stata istituita nel 1962,
ma è stata riconosciuta e affiliata alla
FIFA e all’AFC solo nel 1998 (dopo
la creazione dell’Autorità Nazionale
Palestinese nel 1994). Da quel momento
ha avuto inizio la storia di questa
nazionale, che ha raggiunto risultati abbastanza dignitosi: nel
ranking FIFA, dal 191º posto dell’agosto 1999 è salita fino al
115° dell’aprile 2006 (oggi è al 118°). Fino al 2008 ha disputato
le sue partite prevalentemente in Qatar; il 27 ottobre 2008 ha
giocato il suo primo match “in casa”, allo stadio Al-Husseini,
nella città di Al-Ram, nei pressi di Ramallah: un’amichevole
contro la Giordania, finita 1-1. Il 9 marzo 2010 anche il primo
incontro ufficiale, il match contro la Thailandia (vittoriosa ai
rigori) per le qualificazioni alle Olimpiadi di Londra 2012. La
Nazionale palestinese ha poi ottenuto uno storico successo nel
2014, conquistando l’AFC Challenge Cup 2014 grazie alla vittoria
in finale contro le Filippine. Con questo trofeo ha ottenuto anche
un posto per la Coppa d’Asia 2015, massima competizione
continentale per nazioni, conclusasi però con tre sconfitte contro
Giappone, Giordania e Iraq. Ha poi già mancato la qualificazione
al prossimo mondiale, non superando il girone del secondo turno,
dove è arrivata dietro ad Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti,
ma comunque davanti a Timor Est e Malesia.
Il campionato palestinese invece si divide in due tornei, legati alla
Striscia di Gaza e alla Cisgiordania. Il primo campionato fu nel
1977, la West Bank League in Cisgiordania; nel 1984 si aggiunse
anche la competizione della Striscia. Entrambi non hanno
avuto continuità nello svolgimento a causa delle problematiche
politiche, anche se recentemente, soprattutto nel primo, si è
avuta maggiore regolarità. Quello della Cisgiordania, con 12
25
SPETTACOLI
Leonard Cohen e Bob Dylan:
la spiritualità musicale di due grandi poeti ebrei
Nel lavoro di entrambi è la parola ad essere protagonista
A
mmesso che esistano davvero le
coincidenze è, in ogni caso, uno
strano o quantomeno singolare
destino quello che unisce due
dei più grandi poeti ebrei del Ventesimo e
del Ventunesimo Secolo.
Bob Dylan e Leonard Cohen toccano insieme oltre il secolo e mezzo di vita – il primo è
nato nel 1941, l’altro nel 1934 - e le loro esistenze e carriere si sono spesso intrecciate
per motivi e punti di contatto abbastanza
evidenti: sono diventati celebri negli anni
Sessanta, sono entrambi cantautori, poeti,
ebrei, nordamericani. E sono, soprattutto,
“amici”, con Dylan che, in più, è non solo
un grande fan di Cohen, ma anche una sorta di esegeta sul piano della composizione
musicale del canadese.
Entrambi hanno una grande spiritualità,
ma se Dylan, nelle sue canzoni, offre, talora, qualcosa di più mistico, Cohen viene, spesso, definito come “liturgico”. Del
resto una delle sue più celebri canzoni,
Hallelujah ha richiesto quasi cinque anni
per essere composta diventando un hit
mondiale, di cui lo stesso Bob Dylan offre
una versione nel suo immenso repertorio
dal vivo.
Questo autunno entrambi sono, di nuovo, sotto i riflettori allo stesso momento:
mentre Dylan è stato insignito del Premio
Nobel per la letteratura con tutto quello ne
consegue in termini di riscoperta della sua
opera e del suo lavoro, Leonard Cohen propone al pubblico un nuovo album, intitolato significativamente ‘You want it darker’,
che costituisce un’altra riflessione matura
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
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e commovente sul nostro presente e sulle sue lacerazioni.
Dopo quasi tre anni trascorsi girando l’Europa in tour, Cohen, a
sorpresa, torna a comporre canzoni con la supervisione produttiva di suo figlio Adam, toccando
il suo pubblico con una composizione austera, ma intima e travolgente come sempre.
La canzone che ha preceduto la
release dell’album e che dà il titolo all’intera opera, infatti, non lascia spazio al dubbio. You want it
darker uscita il giorno dell’ottantaduesimo compleanno del cantante, il 21 settembre, insiste su un tema
caro a Cohen: l’essere preparato e pronto
dinanzi all’ultimo viaggio. “Hineni, Hineni” – canta in ebraico – citando Abramo al
cospetto di D-o e i riti di Rosh Hashanah.
E aggiunge in inglese I am ready, my Lord
per rafforzare il senso ultimativo dell’essere umano dinanzi al mistero dell’assoluto.
Ed è, ancora una volta, questo misto di spiritualità e di assoluto a rendere più forte il
messaggio della canzone che facendo riferimento – ideale o allegorico – alla storia
recente, alla soppressione violenta della
speranza per mano di chi vuole il ritorno
del buio, che Cohen si pone dinanzi al pubblico internazionale come una delle voci
più lucide e ispirate: un poeta che, per sua
stessa ammissione in direzione della fine
della sua vita, prima di essere pronto al
passo finale, riflette su un presente in cui
oscurità ed oscurantismo provano a spegnere di nuovo l’arte, la poesia, la bellezza
nonché – ovviamente - la vita delle persone
che credono di potere cambiare il mondo.
Ed in questo senso il Nobel per la letteratura a Bob Dylan assume tutta un’altra luce.
Robert Allen Zimmermann (questo il suo
vero nome) nato a Duluth nel Minnesota 75
anni fa, è per il pianeta intero icona di una
rivoluzione poetica legata alla musica rock
che in mezzo secolo, nonostante tutto, ha
trasformato il mondo così come lo conosciamo. Se, per molto tempo, il leader non ufficiale di quella generazione di artisti nati immediatamente prima o
dopo la seconda guerra mondiale,
è stato John Lennon, oggi, sono
proprio icone come Bob Dylan
e Leonard Cohen a continuare
a suggerire la possibilità di un
mondo diverso, immaginato da
sognatori come loro e non da politici, banchieri e militari.
In più c’è la componente ebraica:
decisamente marcata in Cohen,
poeta della bellezza e dell’assoluto, meno in Dylan, assorto cantore
del tempo che cambia e che, nel
frattempo, si è anche avvicinato al
cristianesimo. Entrambi, però, attraverso la magnificenza assoluta
della loro parola hanno attratto verso la ricchezza intellettuale e spirituale dell’ebraismo milioni di persone in tutto il mondo.
Nel lavoro di entrambi, è la parola ad essere protagonista che se nei versi di Dylan
tocca con la sua asprezza geniale e ruvida il cuore e la mente delle persone, con
Cohen raggiunge direttamente l’anima,
proiettando l’ascoltatore in un mondo di
donne, amori, notti insonni e fredde, segnato talora dal dolore, sublimato, spesso,
nella speranza.
E se Dylan di Cohen dice con affetto che le
sue canzoni sono “grandi, profonde e piene di verità. Multidimensionali e sorprendentemente melodiche: ti fanno pensare
e ‘sentire’”, a proposito del Nobel al suo
amico, Cohen commenta “E’ come dare
una medaglia all’Everest: è la montagna
più alta”. Frasi e pensieri che solo i grandi
poeti possono immaginare.
MARCO SPAGNOLI
‘La verità negata’: un film
che racconta la lotta contro
i negazionisti della Shoah
“Q
uesto film ha a che fare con quello che va molto
oltre la mia storia personale e, con mia stessa sorpresa, trascende l’antisemitismo o la negazione
della Shoah. David Irving è l’espressione e il prodotto di questa ‘teoria del complotto’ che aleggia
su Internet, di persone che continuano ad affermare cose senza fondamento reale e a fare da ‘imbonitori’ per il clima di odio in cui viviamo. Come
storica devo riconoscere che esiste un legame di
qualche natura tra la situazione politica mondiale
di oggi e il mio caso”.
La storica americana Deborah E. Lipstadt non ha
dubbi: sottovalutare il malessere e il rancore che
scorre su Internet è un errore ed è così che l’intenso film La verità negata, presentato alla Festa
del Cinema di Roma sulla sua vicenda personale,
assume un’importanza nuova agli occhi di quanto
sta accadendo. “C’è un legame tra il mondo cui
fa riferimento Irving e quello di Donald Trump.
C’è anche una relazione con uno dei sostenitori
del Klu Klux Klan amico di entrambi”. Continua
Lipstadt “ma è soprattutto un simile modo di pensare e di vedere il mondo che mi spaventa, perché sono persone
che vivono nello stesso spettro di odio e disprezzo degli altri cui si
aggrappano quelli che, per esempio, hanno propugnato la Brexit e,
oggi, farneticano sul rifiuto delle vaccinazioni.”
Basato sul libro “Denial: Holocaust History on Trial” di Deborah E.
Lipstadt, il film racconta della battaglia legale intrapresa dall’autrice, interpretata dal premio Oscar Rachel Weisz, contro lo storico
britannico negazionista David Irving (Timothy Spall) che respingeva l’Olocausto e che – alla fine degli anni Novanta – ha citato la
scrittrice in giudizio per diffamazione. Il sistema legale britannico
prevede in questi casi che l’onere della prova spetti all’imputato;
Lipstadt e il suo gruppo di avvocati guidato da Richard Rampton
(Tom Wilkinson) sono stati costretti a provare che l’Olocausto è realmente accaduto, distruggendo la reputazione, del loro accusatore.
Diretto da Mick Jackson e adattato per lo schermo da David Hare,
candidato al premio Oscar con il film The Reader, La verità negata
(Denial) è distribuito in Italia da Cinema di Valerio De Paolis. Abbiamo chiesto a Deborah Lipstadt:
La verità negata comunica un senso di vergogna e sgomento nel
pensare che possa esistere gente che nega ancora oggi la Shoah…
Non sono queste persone a farmi paura, sono coloro che hanno
commesso la Shoah e che placidamente hanno vissuto, dopo, una
vita normale. Come è stato possibile che sia accaduta una cosa del
genere? In parte anche per colpa di persone come David Irving che
anche se non scaglierebbero una pietra contro gli altri in prima persona, di fatto, danno vita all’ideologia che alimenta l’odio e la rabbia. Sono degli istigatori pericolosi e ce ne sono molti in giro.
Il vero paradosso che al di là dei negazionisti, oggi, 71 anni dopo
la fine della Seconda Guerra Mondiale è anche vero che non sappiamo tutto della Shoah e di cosa è accaduto realmente…
E’ vero, non sappiamo tutto. Ci sono degli archivi che restano chiusi
senza i quali possiamo avere solo un’idea generale di quanto è accaduto, ma non conosciamo ancora i dettagli.
Qualche esempio?
L’archivio segreto del Vaticano è ancora inaccessibile per molte
annate cruciali e molte chiese locali in Europa dell’Est non hanno
ancora rivelato alcuni dettagli che potrebbero essere molto utili. In
più non abbiamo avuto accesso agli archivi di alcune grandi società
dell’epoca. Come si sono comportate alcune Corporation? Come si
comportava, ad esempio, un manager delle Assicurazioni Generali
davanti a quanto stava accadendo? L’apertura degli archivi resta
cruciale. Personalmente mi sono occupata di altri genocidi: quello
del Rwanda e, ad esempio, quello degli Armeni.
Senza, però, l’apertura degli archivi turchi agli
storici, c’è poca speranza di avere le idee del tutto chiare riguardo i dettagli di quegli eventi. Per
andare oltre l’idea generale abbiamo bisogno di
accedere a nuovi documenti.
E’ ottimista?
Certo, sono ottimista, perché c’è una nuova generazione di storici – anche italiani - molto determinata e di grande talento al lavoro e sono sicura che
presto avremo sorprese molto interessanti.
Cosa pensa di David Irving, oggi, dopo la prigione e dopo le interviste in cui ha, di fatto, ritrattato molte delle sue tesi?
E’ una figura sminuita. E’ patetico oggi così come
lo era prima, soltanto che si ammantava di accademia e di citazioni. Ha predicato per anni ai suoi
fans, evitando i confronti. Poi, però, quando mi ha
citato in giudizio ha dovuto confrontarsi con una
figura autorevole come un giudice che lo ha affrontato senza lasciargli possibilità di evitare di rispondere in maniera concreta.
Questo film, oggi, dice cose che non mi aspettavo all’epoca degli
eventi: è una sorta di luce rispetto al buio dell’oscurantismo che
torna a minacciarci. Quando David Hare ha scritto il trattamento
ha usato una citazione di Galileo Galilei per introdurre il testo:
Eppur si Muove. Questo per dire che, prima o poi, la Verità viene
sempre a galla.
MARCO SPAGNOLI
Nella foto in alto: Tom Wilkinson
Al centro: Rachel Weisz con Deborah E. Lipstadt
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Ricostruita la vicenda che portò
al processo e all’arresto di David Irving
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LIBRI
EDITORIA PER RAGAZZI
Alla scoperta dei talenti nascosti
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
P
28
robabilmente qualcuno già lo conosce ma vale lo stesso la
pena raccontare di Hank Zipzer. I libri che lo hanno come
protagonista hanno venduto negli Stati Uniti tre milioni di
copie e da un po’ di tempo le sue avventure sono disponibili anche per il pubblico italiano editi dalla Uovonero. L’ultima
uscita è “Fermate quella rana” (12 euro) ed è il terzo della serie
dedicata ai bambini dai sette ai nove anni (esistono già otto avventure destinate ai ragazzi
dagli otto a dodici). L’autore
è Henry Winkler che oltre a
scrivere per bambini, è attore, produttore e regista,
per i genitori o per gli zii più
grandi probabilmente basta
dire Fonzie, indimenticabile
nel suo giubbotto di pelle
nero in Happy Days. Henry
Winkler e Hank hanno una
cosa in comune, sono entrambi dislessici e anche se
non si tratta di veri e propri racconti autobiografici, gli spunti delle
avventure di Hank sono davvero reali. Ed è proprio per il suo lavoro nel campo della dislessia infantile che Winkler, figlio di emigrati
ebrei, è stato nominato nel 2011 baronetto dalla regina d’Inghilterra. Il piccolo Hank, come spesso avviene, è geniale, affettuoso e
travolgente ma a scuola è un vero disastro e le strategie che mette
in atto per evitare brutti voti e bocciatura sono irresistibili! Nel
caso di “Fermate quella rana” si tratta di badare alla adorata rana
che il preside Love ha lasciato in custodia ai ragazzini della sua
classe. “Solo perché non sei bravo a scuola - ha spiegato Winkler
- questo non significa nulla. Puoi lo stesso volare come un’aquila
una volta che scopri in cosa sei bravo. Tutti abbiamo un talento dentro di noi, bisogna solo scovarlo”. Possono apparire parole
eccessive o fuori luogo eppure chi sta accanto ad una bambina o
ad un bambino dislessico sa bene quanto sia temibile la mancanza di autostima e la frustrazione che un percorso scolastico mal
supportato può provocare. Per questo anche le due pagine poste
alla fine del libro divengono uno strumento significativo: una nota
informativa sulle caratteristiche del carattere e dei criteri utilizzati
lasciando, per esempio, spazio tra le righe, evitando andate a capo
inopportune e senza allineare il testo a sinistra. E, in tredici righe,
una spiegazione su cosa sia la dislessia.
Tutt’altro luogo del mondo e della storia per la graphic novel: “La
scomparsa della figlia del Re”, un racconto di Rabbi Nachman
di Breslav adattato per ragazzi da Breslev Italia (breslevitalia@
hotmail.com) per un progetto ideato da Michael Galante, Joseph
Menda ed Edoardo David Galliani (10 euro). Il tratto delle illustrazioni colloca la storia in un mondo lontano ed anche il testo
ha inizio con il tono della fiaba: “C’era una volta un re che aveva
sei figlie e una figlia … il re amava tutti i figli ma aveva un amore
speciale per la sua unica figlia”. La fiaba d’altronde era il mezzo di
comunicazione scelto da Rabbi Nachman (1772-1810) che egli narrava in Yiddish. “A sentire la gente - spiegò - le storie sono fatte
per far dormire; io invece le racconto per svegliare”. E la riduzione
per ragazzi lascia intatta la curiosità e il desiderio di avventura,
ma anche l’amore e la dedizione incrollabile per la ricerca. Infatti,
spiega Rabbi Nachman seduto di spalle su un carro all’inizio della storia: “E’ un racconto che accese in chiunque lo sentisse una
scintilla di desiderio di fare ritorno a Dio”. La figlia del Re è sparita
e il vice re si mette sulle sue tracce, cercò per anni, e anni e anni,
nei deserti, nei campi e nelle foreste. Preghiere e digiuni aiutarono
il vice re a incontrare la figlia del Re ma la debolezza umana gliela
allontanerà di nuovo e poi di nuovo. Eppure, conclude la storia “Vi
ho raccontato di come il vice re cercò e trovò la figlia del re. Come
la liberò non ve lo dirò, ognuno deve scoprirlo da solo....”.
Altro tipo di impresa è quella di “Armstrong – l’avventurosa
storia del primo topo sulla luna” di Torben Kuhlmann, edita
da Orecchio acerbo (19.50
euro). E c’è poco da scherzare visto che è una storia
che “la Nasa ha nascosto
per anni...”: “Una piccola
zampa girò la rotella di un
enorme telescopio e un minuscolo batuffolo di pelo grigio sbirciò attraverso il tubo
metallico pieno di lenti di
vetro (…) Ogni notte osservava il cielo. Quel che l’affascinava di più era la luna”.
Come accade sempre con Orecchio acerbo i disegni sono magici e
magnifici. Per raggiungere la luna e verificare se sia o meno fatta
di formaggio, il topo astronauta dovrà fare mille esperimenti, avvalersi della consulenza di un vecchio topo storico della aviazione
topesca, sfuggire agli investigatori umani che sono sulle sue tracce e poi.... e poi leggere per credere, scrutare le immagini fino ai
più piccoli degli infiniti particolari e sognare la luna!
LIA TAGLIACOZZO
LA TOP TEN DELLA LIBRERIA
KIRYAT SEFER
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
SOLO IO POSSO SCRIVERE LA MIA STORIA
di O. Fallaci ed. Rizzoli
IN GUERRA CON IL PASSATO
di P. Mieli ed. Rizzoli
L’ANIMA DELLA VITA
di H. Di Volozhin ed. Qiqajon
IL NICHILISMO COME FENOMENO RELIGIOSO
di G. Scholem ed. Giuntina
IL FASCISTA
di A. Elkann ed. Bompiani
L’ALBERO DELLA MEMORIA
di A. Sarfatti M. Sarfatti ed. Mondadori
OGNUNO MUORE SOLO
di H. Fallada ed. Sellerio
LO STUPORE DI UNA NOTTE DI LUCE
di C. Sanchez ed. Garzanti
A MOSCA CIECA
di F. Kellerman ed. Harper Collins
DOVE LA STORIA FINISCE
di A. Piperno ed. Mondadori
U
n paesaggio di ceneri di Ester Gille, edito da Marsilio,
è scritto dalla figlia di Michel Epstein e di Irene
Nemirovski e racconta le vicende di una piccola bimba
affidata dai genitori ad un
convento di suore prima di essere
deportati: è la storia della stessa
Gille. Commovente.
Praga al tempo di Kafka di Patrizia
Runfola, edito da Lindau, non è solo
una guida culturale, come si definisce, ma anche un bel libro che ci
porta a sognare.
Ripensare il cristianesimo di Eugene
Korn, edito da EDB, propone punti di
vista rabbinici e prospettive possibili. Originale e intelligente.
Elena Lea Bartolini De Angeli e
Carmine Di Sante sono gli autori di
Ai piedi del Sinai. Israele e la voce della Torah edito da EDB:
un testo di rara sensibilità.
L’indagine e l’ascolto di Luca
Mazzinghi, edito da EDB, è un viaggio attraverso il libri del Pentateuco.
I cacciatori di libri di Raphael
Jerusalmy, edizioni E/O è un bel
romanzo scritto da un ex agente dei
servizi israeliani che oggi commercia
in libri antichi a Tel Aviv.
Un’avvincente lettura.
Forse Esther di Katja Petrowskaja,
edito da Adelphi è un libro indimenticabile che colpisce nel profondo
dell’anima.
Il braccialetto di Lia Levi, edito da
E/O, è un bel romanzo storico scritto da un’autrice che sorprende
ogni giorno di più.
La grande illusione
delle Olimpiadi di Berlino 1936
D
ietro la facciata della perfetta organizzazione nazista,
prendeva avvio il dramma dell’emarginalizzazione e
persecuzione degli ebrei. Lo racconta il romanzo “L’Ultima Estate a Berlino” di Federico Buffa
Siamo a Berlino nell’estate del ’36 e si avvicina l’inizio
delle Olimpiadi fortemente volute dal Ministro della
Propaganda del Terzo Reich Joseph Goebbels per
mostrare al mondo la grandezza del regime nazista.
Le gesta degli eroi sportivi come Jesse Owens fanno
da cornice alla storia di Wolfgang Früstner, l’ufficiale
tedesco incaricato di dirigere l’organizzazione dell’evento che a pochi giorni dall’arrivo degli atleti si trova destituito per via delle sue origini ebraiche. La
sua vicenda anticipa quella che sarà poi la completa
epurazione degli ebrei tedeschi dalla vita civile del
paese. Allo stesso tempo però il dramma non viene
percepito dalle delegazioni di giornalisti che notano
solo l’organizzazione impeccabile e la cortese ospi-
La vita è piena di trucchi di Enrico
Finzi, edito da Bompiani, descrive
magistralmente il ritratto di una
famiglia colta nevrotica, ebrea e
laica.
Storia dell’ebreo che voleva essere
eroe di Vittorio Dan Segre, edito da
Bollati Boringheri, è una autobiografia che si legge come un romanzo.
Cristianesimo ed ebraismo in Joyce
di Stefano Manferlotti, edito da
Bulzoni, è un saggio letterario di
grande acutezza che getta un fascio
di luce su uno dei capolavori del
Novecento.
Sionismo bifronte di Ettore Ovazza (Anteo edizioni) è un documento storico di grande interesse.
Infamanti dicerie di Cristiana Facchini, edito da EDB descrive
la prima autodifesa ebraica dall’accusa del sangue. Un piccolo
saggio di un centinaio di pagine,
assolutamente magistrali.
La lanterna magica di Molotov di
Rachel Polonsky edito da Adelphi, è
un itinerario attraverso il mondo letterario russo: vicende, luoghi e personaggi oscuri protagonisti di vite
sanguinarie e, tra questi, Babel,
Pasternak, Mandelstam.
Le tre vite di Moses Dobrushka di
Gershom Scholem, edito da Adelphi,
è un bel libro insolito che racconta
una vita straordinariamente avventurosa: una figura enigmatica affascinante.
Giovanni Pico e la cabbalà a cura di Fabrizio Lelli edito da
Olschki raccoglie molti contribuiti originali sui rapporti tra cultura ebraica e cristiana. Stimolante.
Il principio dialogico di Martin Buber, edito da San Paolo, è un
classico della filosofia contemporanea. Questa nuova edizione,
riccamente corredata di note offre pagine di straordinario interesse.
RICCARDO CALIMANI
talità del regime. Nonostante alcuni inequivocabili segnali della
proliferazione dell’odio e della follia razzista a stupire l’altro protagonista, il corrispondente dell’Herald Tribune Dale Warren, è
l’incredibile dimostrazione di potenza della Germania di Hitler.
“L’Ultima Estate a Berlino” è il racconto della grande illusione
creata dai nazisti, quella dei popoli riuniti sotto la bandiera olimpica che si infrangerà poco dopo con le leggi razziali e la Seconda
Guerra Mondiale. Da una parte Früstner che rigettato dalla sua
patria prende coscienza della realtà che lo circonda
e dall’altra Warren che vive solo il fittizio spettacolo
sportivo raffigurano in maniera esemplare il paradosso delle Olimpiadi del ’36.
Il romanzo, tratto dallo spettacolo teatrale “Le Olimpiadi del ‘36”, testimonia ancora una volta l’indissolubile legame tra sport e società e questo Federico
Buffa, probabilmente il miglior storyteller italiano
degli ultimi anni, lo coglie appieno anche grazie alle
storie degli atleti che hanno partecipato a quelle
Olimpiadi. Scritta a quattro mani da Buffa e Paolo
Frusca quest’opera è l’ideale per tutti gli appassionati di sport e del periodo storico in questione.
MARIO DEL MONTE
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Pagine su pagine. Di ebrei e di cose ebraiche
Libri: tra sogni e bisogni
29
STORIA
Storia di un salvataggio
poco conosciuto
Nel 1940 Carlo Orlandi, al comando di una piccola
nave, portò in salvo 500 ebrei di Bratislava.
Un premio alla sua memoria
“C
hi salva una vita salva il mondo intero. Che dire
se si salvano oltre 500 persone mettendo a repentaglio la propria vita?” Con queste parole ha
esordito il Presidente slovacco Andrej Kiska, ospite nella propria ambasciata a Roma per premiare Giulia e Antonio
Kowalczyk, nipoti di Carlo Orlandi, comandante della piccola nave
da trasporto Camogli, con la quale portò in salvo i 520 naufraghi
del Pentcho. La loro era stata una storia avventurosa, forse irrazionale. Era il 16 maggio 1940, quando
questo vecchio rimorchiatore si apprestava a salpare dal porto di Bratislava
sul Danubio. In passato era servito per
il trasporto di bestiame o di grano; la
capienza prevista era di circa 150 persone. Furono montate alcune impalcature di legno in più per un viaggio insolitamente impegnativo: raggiungere
il mandato britannico di Palestina. A
bordo, oltre 500 ebrei di tutti i paesi
dell’Europa orientale, spinti all’avventura dal sogno sionista e dalle persecuzioni razziali ormai diffuse
in Europa. Ad organizzare la traversata era stata l’organizzazione
sionistica Beitar. Carburante, viveri e denaro non abbondavano; le
premesse poco allettanti furono completate dal comandante della
missione: un ex ufficiale della marina zarista, morfinomane, alcolizzato e con un occhio solo. Un viaggio costantemente caratterizzato
dalla necessità di cibo: talvolta giunse provvidenzialmente l’aiuto
delle comunità ebraiche lungo il tragitto del Danubio, in altri momenti si verificarono gravi difficoltà. Nonostante queste condizioni
avverse, il Pentcho riuscì a scendere lungo il fiume, raggiungendo
Budapest e Belgrado. Arrivati in territorio bulgaro, sorsero nuovi
problemi, poiché il battello infatti batteva bandiera bulgara, ma i
documenti erano scaduti e l’equipaggio fu costretto a togliere il
proprio drappo: viaggiarono dunque come una nave pirata. Nel
settembre 1940, dopo numerose peripezie, il Pentcho passò anche
la Romania e arrivò nel Mar Nero. Il nuovo ostacolo sembrava insormontabile: eppure, grazie a un mare sorprendentemente calmo, superò il Bosforo e i Dardanelli e arrivò nell’Egeo. Una pausa
presso la comunità di Atene per festeggiare Rosh haShanà, poi il
viaggio ricominciò. Ma il 9 ottobre accadde la disgrazia: un guasto
al motore, il vento violento, gli scogli. Dopo 144 giorni di navigazione, il Pentcho naufragò sull’isolotto di Kamilanisi, completamente
disabitato e privo di qualsiasi vegetazione. I passeggeri riuscirono
a tirare fuori dalla nave lenzuola, piatti e le poche scorte di cibo; la
nave affondò e loro rimasero sull’isola
per 10 giorni. Lanciarono un SOS: alcune navi inglesi li ignorarono, solo il
Camogli, comandato da Carlo Orlandi,
non esitò a raccoglierli e a trasportarli a Rodi, allora sotto dominio italiano.
In quest’isola i naufraghi rimasero, in
condizioni non semplici, per circa un
anno. Tra il febbraio e il marzo 1942, il
trasferimento al campo di internamento di Ferramonti di Tarsia, nei pressi di
Cosenza. Una fortuna, vista la successiva occupazione di Rodi da parte dei tedeschi e la deportazione della locale comunità ebraica. Ferramonti
invece significò prima sopravvivenza e poi salvezza. Fu infatti una
realtà particolare, grazie alla posizione defilata, lontana dal conflitto e dai centri di potere dell’Italia fascista, e all’atteggiamento
benevolo del suo direttore. Pur essendo luogo di prigionia, recintato dal filo spinato, sorvegliato dalla polizia e dalla milizia fascista,
gli internati di questo campo condussero una vita quasi normale.
E alla fine del conflitto, arrivò la possibilità di emigrare nel futuro
Stato d’Israele, come fece la maggior parte dei passeggeri del Pentcho, che coronò così il proprio sogno. Orlandi, invece, finì in un
lager polacco per non aver aderito alla Repubblica Sociale; morì
nel 1970, senza aver notizie dei naufraghi del Pentcho che aveva
salvato. Oggi finalmente è arrivato questo riconoscimento.
DANIELE TOSCANO
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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
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ROMA EBRAICA
I
l Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha inaugurato, lo scorso 16 ottobre, la mostra che ricorda la deportazione
degli ebrei romani allestita nei locali della Fondazione Museo
della Shoah. Accolto dai vertici dell’ebraismo italiano - dal rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni, dal presidente dell’Unione
delle Comunità ebraiche italiane Noemi Di Segni e dal presidente
della Comunità ebraica di Roma Ruth Dureghello - il presidente della Repubblica ha prima posto una corona
di fiori davanti alla lapide che ricorda la
deportazione di 1024 ebrei romani. Successivamente Mattarella ha visitato la
mostra accompagnato dal presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario
Venezia e dal direttore scientifico prof.
Marcello Pezzetti. Mattarella si è intrattenuto per oltre un’ora nei locali, prima
incontrando alcuni dei pochi sopravvissuti alla Shoah reduci da Auschwitz e poi
ascoltando con particolare attenzione le
spiegazioni e il racconto di come nacque
e come fu realizzata la più tragica deportazione di ebrei italiani. Una mostra che
rispetto ad edizioni precedenti è arricchita di nuove testimonianze, foto, lettere, disegni come quelli di Aldo
Gay che, con una grande passione per il disegno, girava sempre con
un blocco di carta e una matita, si sofferma sui particolari, ingrandisce dettagli, riproduce in diretta o rielabora dopo qualche tempo ciò
che l’occhio ha visto e memorizzato.
L
Al Presidente Mattarella sono state mostrare le lettere originali
delle Autorità naziste che temevano la reazione – che mai ci fu –
della Chiesa romana, così come l’originale foglietto che i nazisti
consegnarono alle famiglie dei deportati (fu raccolto da terra da un
povero padre che si era per caso allontanato e ritornato a casa non
aveva trovato più nessuno) con le seguenti istruzioni: “1. Insieme
con la vostra famiglia e con gli altri ebrei appartenenti alla vostra
casa sarete trasferiti. 2. Bisogna portare con sé: a) viveri per almeno otto giorni; b) tessere annonarie;
c) carta d’identità; d) bicchieri. 3. Si
può portare via: a) valigetta con effetti e biancheria personale, coperte; b) denaro e gioielli. 4. Chiudere
a chiave l’appartamento e prendere
con sé le chiavi. 5. Ammalati, anche
casi gravissimi, non possono per
nessun motivo rimanere indietro. Infermeria si trova nel campo. 6. Venti
minuti dopo la presentazione di questo biglietto la famiglia deve essere
pronta per la partenza”. L’ultima
tragica beffa dei nazisti che consentì
loro di arrestare 1.259 persone e inviarle al Collegio militare di via della Lungara; in 252 verranno
rilasciati, gli altri tutti (1024) deportati ad Auschwitz, dove vi entreranno solo 149 uomini e 47 donne, gli altri tutti uccisi nel giro di
poche ore. Torneranno quindici uomini e una donna, Settimia Spizzichino. Degli oltre duecento bambini nessuno tornerà indietro.
G. K.
Detrazioni “School bonus”
a Comunità Ebraica di Roma comunica che, nella Gazzetta Ufficiale del 23 maggio 2016, è stato
pubblicato il D.M. 8 aprile 2016, in
vigore dal 24 maggio 2016, con cui sono
state fornite le disposizioni attuative del
c.d. “school bonus” di cui all’art. 1, commi
145-150, legge n. 107/2015.
Il credito d’imposta, pari:
- al 65% delle erogazioni effettuate in ciascuno dei due periodi d’imposta successivi
a quello in corso al 31 dicembre 2015;
- al 50% di quelle effettuate nel periodo
d’imposta successivo a quello in corso al
31 dicembre 2017, è previsto in favore delle persone fisiche nonché degli enti non
commerciali e dei soggetti titolari di reddito d’impresa che effettuano erogazioni liberali in denaro destinate agli investimenti in favore di tutti gli istituti del sistema
nazionale di istruzione, per la realizzazione
di nuove strutture scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti
e per il sostegno a interventi che migliorino l’occupabilità degli studenti.
I versamenti debbono essere effettuati distintamente per ciascuna istituzione scola-
stica beneficiaria.
Nella causale del versamento deve essere
riportato, nell’esatto ordine di seguito indicato:
a) il codice fiscale delle istituzioni scolastiche beneficiarie;
b) il codice della finalità alla quale è vincolata ciascuna erogazione, scelto tra i seguenti:
C1: realizzazione di nuove strutture scolastiche;
C2: manutenzione e potenziamento di
strutture scolastiche esistenti;
C3: sostegno a interventi che migliorino
l’occupabilità degli studenti;
c) il codice fiscale delle persone fisiche o
degli enti non commerciali o dei soggetti
titolari di reddito d’impresa.
Le somme versate in entrata sono riassegnate al capitolo n. 1260, denominato
“Fondo per l’erogazione alle scuole beneficiarie delle erogazioni liberali in denaro
destinati agli investimenti in favore di tutti
gli istituti del sistema nazionale di istruzione, per la realizzazione di nuove strutture
scolastiche, la manutenzione e il potenziamento di quelle esistenti e per il sostegno
a interventi che migliorano l’occupabilità
degli studenti” iscritto nello stato di previsione del Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca.
Le spese sono ammesse al credito d’imposta nel limite dell’importo massimo di
100.000 euro per ciascun periodo d’imposta.
Il credito d’imposta:
- va indicato nella dichiarazione dei redditi
relativa al periodo d’imposta nel corso del
quale sono effettuate le erogazioni liberali;
- è ripartito in tre quote annuali di pari importo. La quota annuale non utilizzata può
essere riportata in avanti senza alcun limite temporale.
Le persone fisiche e gli enti che non esercitano attività commerciali fruiscono del
credito d’imposta nella dichiarazione dei
redditi, ai fini del versamento delle imposte sui redditi.
Per i soggetti titolari di reddito di impresa il credito d’imposta è utilizzabile, ferma restando la ripartizione in tre quote
annuali di pari importo, a decorrere dal
periodo d’imposta successivo a quello
di effettuazione delle erogazioni liberali, esclusivamente in compensazione nel
modello F24.
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Il Presidente Mattarella
ha inaugurato la mostra
che ricorda la deportazione
degli ebrei romani
31
ROMA
LIBRIEBRAICA
Uniti nel ricordo
Il suono dello shofar e le marce
silenziose per commemorare il 16 ottobre
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
16 ottobre 1943, gli ebrei di Roma venivano strappati dalle loro case
per essere deportati nei campi di sterminio, per il semplice fatto di
essere ebrei.
In ricordo di questo terribile evento, come ogni anno, si sono svolte
due camminate silenziose: la prima, sabato 15 ottobre, organizzata
dalla Comunità Ebraica di Roma insieme alla Comunità di Sant’Egidio; ebrei e cristiani uniti nel ricordo si sono radunati in Piazza Santa Maria in Trastevere e hanno camminato fino a Largo 16 Ottobre
dove sono stati accolti dal presidente della CER Ruth Dureghello,
che nei saluti ha ricordato l’importanza del ricordo, oggi più che
mai soprattutto in relazione alla recente
decisione dell’Unesco di rinnegare l’origine ebraica della città di Gerusalemme, una città in cui convivono tutte le
religioni.
Erano presenti inoltre il Rabbino Capo
Riccardo Di Segni, Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant’Egidio,
il sindaco di Roma Virginia Raggi e il
presidente della Regione Lazio Nicola
Zingaretti.
“Anche quest’anno Roma torna a raccogliersi a Largo 16 ottobre, un luogo nel
cuore di Roma che ancora oggi palpita
di cuori e valori” ha detto il sindaco Raggi. “È importante essere
qui a ricordare: quello che è successo non riguarda solo la comunità
ebraica ma tutta Roma. Solo 15 fecero ritorno tra cui una donna
Settimia Spizzichino. Un profondo ringraziamento a tutti i sopravvissuti per la loro testimonianza nelle scuole e in ogni luogo in cui
sono chiamati. Alcuni di loro non ci sono più ma è nostro dovere
ricordarli”.
“Pochi mesi prima del 16 ottobre Roma fu bombardata il 19 luglio”,
ha concluso Zingaretti: “Le bombe distrussero molti quartieri tra
cui San Lorenzo. Un atto di guerra ingiustificabile che è avvenuto
anche in queste strade: il 16 ottobre non caddero bombe ma centinaia di nazisti invasero queste strade di mattina e percossero uomini donne e bambini, non per vincere una guerra ma per disprezzo.
32
Siamo qui per ricordare che Roma non permetterà mai più quello
che è accaduto”.
Domenica 16 Ottobre invece la Comunità si è prima radunata alle
5 del mattino - nella stessa ora e nei stessi luoghi in cui ebbe inizio
la deportazione – per ascoltare il suono dello shofar e poi più tardi
in Largo Stefano Tachè per dare avvio alla Camminata Silenziosa
organizzata da Daniel Di Porto, Elvira Di Cave e Elio Limentani.
La camminata si è svolta intorno ai luoghi del ghetto mentre si nominavano tutti gli uomini donne e bambini che sono stati arrestati la mattina
del 16 ottobre e i ragazzi hanno letto
estratti di testimonianze sia presi da
libri che dai racconti dei sopravvissuti.
La cerimonia si è conclusa all’interno
del Tempio Maggiore insieme ai sopravvissuti Sami Modiano, Lello Di Segni,
Yosef Varon, Donato Di Veroli, Alberto
Sed e Alberto Mieli, accompagnati dai
canti dei bambini della scuola ebraica
e dai commoventi discorsi di Elvira Di
Cave che ha raccontato la storia della
sua famiglia e il lavoro con i sopravvissuti: “Con l’aiuto dei sopravvissuti non smetteremo mai di raccontare al mondo intero quello che è accaduto con la dignità che ci
hanno insegnato”.
“In questi giorni al tempio sono lette le ultime pagine del libro di
Devarim in cui Mosè si congeda dal popolo ebraico dicendo che
incontreranno delle difficoltà nel cammino, ma il popolo non avrà
fine” ha concluso Rav Di Segni. “Se vogliamo comprendere quello
che succede oggi nel mondo non possiamo non considerare quello
che è successo nel passato. Noi oggi stiamo seguendo l’insegnamento di Mosè, inoltre oggi rispondiamo all’odio con la vita e con la
gioia, infatti stasera festeggeremo Sukkot con le nostre famiglie e
continuiamo a essere orgogliosi”.
GIORGIA CALÓ
Shoah: il ruolo dei medici
che uccidevano anziché curare
Un tema doloroso che verrà affrontato
in un viaggio speciale della Memoria che vedrà
insieme personale dell’Ospedale Israelitico
e del Bambino Gesù
Un lavoro per chi non ha un lavoro
È l’obiettivo di un importante progetto, lanciato
dall’Assessore al Welfare Alberto Ouazana e dalla
Deputazione, che cerca persone che possano offrire
un’occupazione a correligionari disoccupati
D
a circa sei mesi la Comunità Ebraica di Roma ha avviato
un progetto sperimentale chiamato Ufficio Lavoro per aiutare persone in difficoltà a trovare un’occupazione. Aiutare chi non ha un lavoro è una delle principali mitzvot
che un ebreo possa compiere e già in passato il rabbino capo rav Di
Segni aveva rivolto numerosi appelli ad offrire lavoro a chi era privo
di occupazione.
A dirigere il progetto è l’Assessore al Welfare Alberto Ouazana che
insieme ad alcuni volontari e al sostegno logistico della Deputazione Ebraica ha raggiunto già alcuni importanti successi che vanno
considerati soprattutto alla luce di un sostegno a chi prima non
aveva un lavoro. L’idea nasce dalla volontà di superare il mero assistenzialismo del sussidio emancipando la persona in difficoltà, trovandogli un lavoro adatto alle sue caratteristiche. L’Ufficio Lavoro
opera aggregando le domande di lavoro e le offerte delle aziende
in un database, un’operazione che richiama i classici giornali di annunci come “Porta Portese”, e invia settimanalmente i curriculum
delle persone che hanno fatto richiesta a tutte le aziende o privati in cerca di dipendenti. Inoltre i richiedenti vengono aiutati nella
compilazione del proprio curriculum vitae e preparati per futuri colloqui. Con grande sensibilità vengono evitati mezzi di comunicazione come i social network per non ledere la privacy di chi si avvale
viaggio “vada ben oltre la conoscenza della storia, ma miri a tenere
viva, presente e costante cos’è stata la Shoah, soprattutto in
questi tempi in cui attuale è la pericolosità della discriminazione,
dell’indifferenza, e della negazione”.
“Il metodo di sterminio attuato contro gli ebrei - che può essere
considerato simile soltanto a quello riservato a Rom e Sinti - non
aveva niente a che vedere con quello perpetrato, ad esempio,
contro omosessuali ed asociali” ha quindi precisato Marcello
Pezzetti. “La questione biologica, le basi pseudoscientifiche,
erano ritenute dai nazisti fondamentali, ed a un ‘codice genetico
diverso’ corrispondeva una sorte nei campi diversa. Non si parlava
neanche più di religione ebraica, ma di ‘origine’, ed era deportato
anche chi non halachikamente ebreo. Il concetto fondante, ciò che è
indispensabile capire, è che per il nazismo l’ebraismo costituiva una
‘Pericolosità genetica’, una malattia che minava il ‘corpo sano’ del
popolo tedesco. E allora chi, se non i camici bianchi poteva essere
incaricato di sbarazzarsi di questi ‘batteri’?”. Loro avevano in mano
le redini, ed il loro ruolo, centrale nell’organizzazione quotidiana
dei lager, fu chiaro fin da prima dello scoppio della guerra, quando
fu messa in atto un’enorme campagna di sterilizzazione di malati
mentali, disabili e portatori di tare ereditarie. All’arrivo di ogni treno
di deportati, ha sottolineato poi Pezzetti, sulla rampa dove oltre
l’80% dei passeggeri era indirizzato a morte certa, era un medico a
decidere chi fosse abile al lavoro e chi andava eliminato, ed erano
sempre i dottori ad aprire la bombola di Ziklon B nelle camere a
gas e, successivamente, ad accertare la morte dei deportati per
effettuarne la cremazione e compilarne il certificato di decesso.
JOELLE SARA HABIB
dell’aiuto dell’Ufficio e tutto si svolge di persona o telefonicamente.
In media il processo di collocamento va a buon fine una volta su tre,
una statistica più che positiva visto il grande numero di richieste
e la poca offerta. Il problema più grande infatti è che non tutta la
Comunità è a conoscenza di questo progetto e sono pochi i correligionari che mettono a disposizione posti di lavoro. Inoltre alcune categorie di persone, specialmente gli uomini sopra i quarantacinque
anni, difficilmente vengono presi in considerazione quando la maggioranza delle offerte è nel campo dell’assistenza agli anziani dove i
datori di lavoro preferiscono dipendenti di sesso femminile. Alberto
Ouazana si è detto contento dei risultati ottenuti finora, specialmente per quanto riguarda i posti di responsabilità per i quali l’operazione di ricollocamento è avvenuta rapidamente e con successo.
Nei progetti futuri dell’Ufficio Lavoro c’è la creazione di un tavolo
permanente con altre realtà assistenziali per il miglioramento del
servizio e la possibilità di diventare in futuro una base di partenza
per trovare un’occupazione ai più giovani una volta terminati gli
studi. In questo senso è già stata avviata una collaborazione e uno
scambio di esperienze con l’Ufficio lavoro della Comunità ebraica di
Milano. Nel breve termine invece è fondamentale rendere nota l’esistenza di questo servizio a tutte le imprese, sia grandi che piccole,
gestite dagli ebrei romani. Questi ultimi infatti spesso cercano persone di fiducia da inserire in posti strategici e con l’Ufficio Lavoro
possono trovarli compiendo tra l’altro una mitzvà nei confronti di un
correligionario bisognoso.
Per qualsiasi informazione si può contattare l’Ufficio Lavoro alla
casella di posta elettronica [email protected] o al numero di
telefono 39246676470.
MARIO DEL MONTE
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
D
all’8 al 10 Novembre si terrà ad Auschwitz Birkenau il
primo viaggio della Memoria organizzato appositamente
per medici e ricercatori. “Uno mai fatto in questo modo,
forse uno dei più duri mai fatti in termini di viaggio della
memoria”, come è stato definito alla presentazione alla Casina
dei Vallati. Un viaggio che “oltre a far apprendere la storia della
Shoah mira dritto al centro delle atrocità che si sono verificate in
quel campo”. Un viaggio che nasce dalla volontà di mettere in luce
quanto sia stato determinante il ruolo dei dottori nella soluzione
finale nazista e quanto da quella terribile esperienza ancora
oggi i dottori possano e debbano imparare. Parteciperanno circa
50 tra medici, pediatri e ricercatori dell’Ospedale Israelitico e
dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - accompagnati dai direttori
sanitario e scientifico del Bambino Gesù Massimiliano Raponi e
Bruno Dallapiccola e dalla direttrice sanitaria dell’Israelitico, Amalia
Allocca – e saranno guidati nei luoghi dell’orrore del campo di
sterminio dal sopravvissuto Sami Modiano e da Marcello Pezzetti,
consulente scientifico della Fondazione Museo della Shoah.
“Il compito di medici e ricercatori è curare, amare, lavorare per il
bene, per la vita ma i nostri medici vedranno quanto male si può
fare quando si passa dalla parte della morte”, ha spiegato Mariella
Enoc, presidente del Consiglio di Amministrazione del Bambino
Gesù, ricordando come, durante la guerra, l’ospedale rimase aperto
“e delle nostre suore accolsero, come era doveroso fare, molte
famiglie che sarebbero state altrimenti deportate”.
“Molti i sentimenti e pensieri comuni” ha evidenziato la presidente
CER Ruth Dureghello che ha sottolineato come lo scopo di questo
33
ROMA EBRAICA
Una serata speciale per una persona speciale
Limmud in memoria di Shlomo Venezia
U
na serata veramente speciale
quella che si è svolta martedì 18
ottobre presso l’oratorio Di Castro nel Tempio di via Balbo” e
che ha visto la partecipazione di un centinaio di persone.
Solitamente, da circa 10 anni, il martedì
sera in questi locali si riunisce un gruppo
di studio fondato dal M.o Joseph Arbib,
che per tutto l’arco dell’anno approfondisce i temi legati alla Paraschà della settimana. Il gruppo è composto da uomini dai
30 agli 80 anni che dopo una giornata di
lavoro e di impegni, dedica qualche ora
allo studio della Torah e della Halakhà.
Le lezioni solitamente sono arricchite con
un collegamento telefonico da Israele con
Rav Slomo Amar, ispiratore dell’iniziativa,
ma martedì 18 la serata è stata dedicata
ad una grande personalità della nostra
comunità e del mondo ebraico in generale, Shlomo Venezia, attraverso un Limmud
ASSOCIAZIONE
D.A.N.I.E.L.A
DI CASTRO
AMICI MUSEO EBRAICO DI ROMA
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
L’“Associazione Daniela Di Castro
34
Amici del Museo Ebraico di Roma”
è nata per aiutare il Museo Ebraico
di Roma nella tutela, conservazione,
promozione, diffusione e sviluppo
della ricchezza del suo patrimonio.
PER INFORMAZIONI E PER ISCRIZIONI:
www.associazionedanieladicastro.org
[email protected]
Tel. 334 8265285
in occasione del quarto anniversario della
sua scomparsa.
Slomo Venezia, originario di Salonicco, era
un ex deportato nei campi di sterminio nazisti, ed anche se ha cominciato a raccontare la sua drammatica storia solo diversi
anni dopo la fine della guerra e dopo essersi stabilito a Roma dove con la moglie
Marika ha creato la sua famiglia, la sua importanza nel tramandare la profonda ferita
che gli ebrei d’Europa hanno dovuto subire
è stata di straordinaria importanza.
Il suo merito principale è stato senza dubbio quello di saper entrare nel cuore dei ragazzi che spesso accompagnava a visitare
i campi di sterminio; chi scrive ha avuto
il privilegio di accompagnarlo nel suo secondo viaggio, e la particolarità della sua
testimonianza è dovuta al fatto di essere
stato uno dei pochissimi sopravvissuti che
ha fatto parte del Sonderkcommando, l’unita speciale dei prigionieri ebrei costretta a lavorare nelle camere a gas e ai forni
crematori.
Il Limmud è stato organizzato dalla famiglia Venezia ed erano presenti oltre ai
figli - Mario, presidente della Fondazione
Museo della Shoà, Alessandro ed Alberto
- diverse personalità della nostra comunità: il presidente Ruth Dureghello, il Capo
rabbino Rav R. Di Segni, Rav G. Di Segni
e Rav B. Carucci, questi ultimi tre nella
duplice veste di ospiti ed oratori. Ha presentato la serata Alessandro Venezia, che
con l’occasione ha illustrato la sua ultima
iniziativa editoriale e cioè la riedizione
del Pirkè Avot (Massime dei Padri), con
il commento del 1977 ad opera del Prof
Joseph Colombo. La grande miglioria apportata, è l’aggiunta del testo in ebraico
e la migliore impaginazione, che ha reso
possibile la stampa sulla stessa pagina,
del testo in ebraico, della traduzione e del
commento, tutto della stessa dimensione.
Per capire l’importanza del Pirke Avot basta pensare che tradizionalmente viene
letto tra Pesach e Shavuot, un brano ogni
Shabbat In ogni Sinagoga al termine della
regolare funzione. Alessandro ha voluto,
tra l’altro, spiegare dettagliatamente la
prima parte del primo capitolo ed in particolare ha evidenziato che il passaggio
della Torah da Mosè a Giosuè e attraverso
i profeti e la “Magna Congregazione” fino
a noi, non è stato solo un atto pratico, ma
piuttosto un atto spirituale, infatti chiunque studi ciò che ha tramandato un Rav è
come se si collegasse a lui.
E’ stata poi la volta di Rav Riccardo Di
Segni che ha sottolineato l’importanza
dell’iniziativa editoriale in quanto il testo
racchiude in sé aspetti del pensiero rabbinico di 2000 anni fa, ed ha spiegato che il
testo ebraico è sacro proprio perché molto commentato.Il Rav, anche essendo, in
generale, restio a parlare di Shoà, ha poi
stuzzicato il pubblico con un gioco di date,
sottolineando che tra il 1870, anno della
breccia di Porta Pia e della conseguente
liberazione del ghetto di Roma e la deportazione degli ebrei di Roma, il 16 ottobre
1943 passarono 73 anni, esattamente gli
stessi 73 che sono passati da quel tragico
‘43 e il corrente anno 2016, ad ognuno le
osservazioni in merito.
Rav Gianfranco Di segni ha invece fatto
fare ai presenti un tuffo all’interno del testo, illustrando come ci sia un vero e proprio vademecum etico del perfetto giudice
che deve giudicare secondo “Pesciarà”
ovvero l’arte del compromesso e se questo
non bastasse deve giudicare con dolcezza
per poi comunque arrivare fino in fondo al
suo giudizio. Rav G. Di Segni ha poi confidato ai presenti la sua frase preferita del
Pirke Avot e cioè di ascoltare la verità da
chiunque la dica, constatazione meno banale e più ricca di sfumature di quanto possa sembrare.
Infine Rav Benedetto Carucci si è spinto
ancora di più all’interno del testo parlando
del secondo capitolo della quarta Misnà,
all’interno del quale sono esplicitati una
serie di comportamenti da seguire, come
l’invito a non separarsi dalla comunità, al
non dire cose a bassa voce perché prima
o poi si udiranno, al non dire di studiare
quando si avrà tempo perché non lo si avrà
mai. Ma la frase che ha più stimolato i presenti e che ha dato adito a più riflessioni
senza dubbio è stata quella che afferma di
non poter giudicare il proprio amico, il Rav
ha spiegato che è difficile giudicare una
persona perché bisognerebbe essere al
suo posto ed anche nei confronti di un amico che è la persona che conosciamo meglio
questo è un esercizio di estrema difficoltà.
Un riferimento che si adatta all’esperienza della Shoà, proprio per l’impossibilità
di immedesimarsi nei panni di chi questo
dramma lo ha vissuto sulla propria pelle e
in prima persona.
FABIO ASTROLOGO
C
on una cerimonia semplice, senza
cerimoniale ma toccante. la Comunità ebraica di Roma ha ricordato
l’attentato palestinese del 9 ottobre 1982, nel quale fu ucciso il piccolo bambino di due anni Stefano Gay Tachè e nel
quale furono ferite oltre 40 persone.
“Siamo qui riuniti, nello stesso luogo e allo stesso orario dell’attentato
- ha spiegato il vice presidente della
Comunità ebraica romana, Ruben
Della Rocca - per ricordare un giorno particolare della nostra storia, ma
anche della storia di questa città e
dell’Italia. È una storia che non dimentichiamo perché il terrorismo
non è un problema ebraico è un problema purtroppo, come ci raccontano le cronache di questi giorni, che
riguarda tutti, ed è una ferita per noi sempre aperta”.
Alla cerimonia - presenti i genitori e il fratello del piccolo Stefano, insieme a tanti ebrei
romani, fra cui alcuni feriti dell’attentato
- hanno portato il saluto delle istituzioni il
presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito e il consigliere regionale in
rappresentanza del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Alle istituzioni si è rivolta il presidente della Comunità ebraica Ruth Dureghello che
ha ricordato come per molto tempo - con
l’eccezione dei presidenti della Repubblica
Napolitano e Mattarella - le istituzioni avessero ‘dimenticato’ questo attentato ed ha
ringraziato la famiglia Gay Tachè “che ogni
anno nonostante il dolore e la sofferenza è
presente alla cerimonia”.
“Questo non è un appuntamento scontato
- ha spiegato il rabbino capo di Roma, rav
Riccardo Di Segni -. L’attentato del 1982
L’attentato: il prima, il durante e il dopo
Se ne è discusso in una serata – organizzata dal Benè Berith Giovani
e da Delet – con Gadiel Tachè e con il giornalista Pierluigi Battista
“H
o voluto dare tutto me stesso per questo, per raccontare la storia di Stefano, e
soprattutto per portarla
al di fuori delle quattro mura della comunità”, ha spiegato Gadiel Tachè. “Negli ultimi
anni sono stato bombardato dai media, che
sono ora ben felici di parlare con me, ma
quest’anno non me la sentivo ed ho preferito concentrarmi sui giovani della nostra
comunità, cosicché il prossimo anno saremo
insieme a parlare”. Con queste parole ha
preso avvio una serata costruita per ragionare sulle cause e sul clima precedente l’attentato alla Sinagoga Maggiore, organizzata
al Bet Michael dal Benè Berith Giovani e da
Delet, in memoria di Stefano Gaj Tachè, a 34
anni dall’attacco terroristico in cui perse la
vita. “Una serata dove si potesse discutere e
argomentare, sul prima e sul dopo” nelle parole di Gadi, fratello della vittima, e, soprattutto organizzata dai giovani “molti dei quali allora non erano neanche nati, ed è perciò
un grande merito che siano proprio loro a rievocare questo episodio”, come evidenziato
dalla presidente UCEI Noemi Di Segni.
“Fummo venduti a terroristi palestinesi che
colpirono ferocemente, la piccola vittima e
altre 37 persone, e che ancora oggi non so-
no stati trovati”, ha sottolineato invece la
presidente CER Ruth Dureghello, che non
mancando di ricordare l’attentato avvenuto
in Israele, nel quale le vite di Yosef Karmi e
Levana Malihi sono state interrotte, ha ribadito come “nonostante la storia e la volontà
di molti di distruggerci, ci siamo e continueremo ad esserci, ad andare al tempio, a mandare i nostri figli nelle scuole ebraiche”.
“Un atto nefando compiuto contro degli innocenti, con ogni probabilità diretto contro
i bambini, ampiamente presenti quel giorno, venuti per la berachà”, lo definiva il Rav
Elio Toaff ai giornalisti, nel video formato da
spezzoni di telegiornali dell’epoca proiettato
in sala, “non vorrei fosse il sintomo inquietante di un pericolo imminente: 40 anni fa
cominciarono con gli ebrei e finirono con la
seconda guerra mondiale”, continuava allarmato.
“Ma la comunità nazionale non volle capire l’enormità di quel crimine”, ha affermato
Pierluigi Battista, proprio il primo giornalista con cui, nel 2011, Gadiel Tachè, che rimase anch’egli gravemente ferito nell’attentato, decise di incominciare a parlare. “Non
lo volle capire perché non poteva ammettere
che chi chiedeva l’annichilimento dello Stato
di Israele e la cancellazione anche fisica de-
non nacque dal nulla ma fu il culmine di una
marginalizzazione e dell’isolamento della
comunità ebraica; lo dicemmo allora, prima e dopo l’attentato, e la nostra denuncia
non fu capita per molto tempo. La tragedia
di questa storia fu anche la chiara e netta
sensazione che fummo venduti. I terroristi
vollero fare di questo quartiere un luogo di
morte, ma non ci sono riusciti. Noi siamo
qui, celebriamo le nostre feste, celebriamo
i nostri matrimoni e ci resteremo”.
Marco Betti della Comunità S. Egidio ha
sottolineato come “nelle nostre tradizioni
religiose il ricordo non sia solo rivolto al passato, ma sia rivolto al futuro come strumento
contro i predicatori dell’odio”, mentre il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, Noemi Di Segni, in un messaggio, ha ricordato “l’oblio che per troppo
tempo ha accompagnato questa vicenda”.
Alla cerimonia - conclusa con l’accensione
di un lume davanti alla lapide - è intervenuto al termine Gady Tachè: “sentiamo - ha
spiegato - finalmente vicino a noi la presenza delle istituzioni. Abbiamo però il dovere
di ricordare, di tramandare la memoria di
questi tragici eventi alle nuove generazioni
che, a loro volta, ricorderanno ai loro figli.
Solo in questo modo coltiveremo la speranza di un futuro migliore”.
G. K.
gli ebrei che lo abitavano non avanzava una
rivendicazione di indipendenza nazionale,
ma dava corpo a un’ossessione antiebraica”,
scrive nell’articolo uscito il giorno seguente sul Corriere della Sera. “Era truffaldina
la rappresentazione che veniva data della
guerra israelo-palestinese” ha enfatizzato
infatti durante la serata, “e fondamentale a
questo proposito è riportare alla mente altri
due episodi avvenuti a distanza di pochi anni: il dirottamento dell’aereo Air France ad
Entebbe, ed il sequestro della nave Achille
Lauro seguito dall’uccisione del passeggero
ebreo americano, su sedia a rotelle, Leon
Klinghoffer. Chi chiede l’indipendenza non
vuole la cancellazione fisica del nemico. Anche l’Irlanda cercando di ottenere l’indipendenza dalla Gran Bretagna fece uso di terrorismo, ma non pretendeva di negare il diritto
di esistere della stessa e di sterminarne tutti
gli abitanti. Analogo fu il caso dei Baschi, e,
giusto o sbagliato che sia, è evidente come
si tratti di un modus operandi nettamente
diverso da quello usato dal terrorismo palestinese che colpiva sinagoghe, luoghi di
culto, scuole ebraiche... Molti considerano
anche quello che è accaduto a Gerusalemme oggi come una cosa diversa dalle stragi
di Parigi o di Bruxelles. Non è vero, sono la
stessa cosa. La stessa cosa di Roma 1982,
quando un bambino ebreo venne trucidato
nell’indifferenza nazionale. Un episodio dolorosissimo, non solo privato, ma una pagina
di cui l’Italia intera dovrebbe vergognarsi”.
JOELLE SARA HABIB
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
9 ottobre: ricordato il 34mo anniversario
dell’attentato palestinese alla Sinagoga di Roma
35
ROMA EBRAICA
Vivere e sopravvivere
nella Città Eterna
gante sia dal punto di vista lavorativo che umano nonostante la
fatica, lo stress e le tantissime difficoltà”. Il film infatti è stato realizzato con pochissimi mezzi a disposizione e questo ha complicato
ulteriormente il già tortuoso percorso per concretizzare l’idea, in alcuni aspetti autobiografica, partorita qualche anno fa. “Non è solo
caparbietà e testardaggine” ha aggiunto, “a volte devi veramente
chiedere a te stesso cosa vuoi. Un po’ come Maria che nel film capisce che non basta credere: bisogna avere chiaro l’obiettivo, volerlo
e impegnarsi per raggiungerlo.”
Anarchica e restia a farsi incatenare dalle regole sociali, Karen (figlia di ‘Pucci’, personaggio molto amato e conosciuto dalla ‘Piazza’)
è però molto legata alla Comunità Ebraica di Roma in cui è cresciuta, una famiglia allargata di cui, abitando per molto tempo in Via del
Tempio, tutt’oggi sente il calore e la creatività popolare che in parte
ha assorbito.
In attesa dell’uscita nelle sale di “Maria per Roma” Karen è già tornata al lavoro per il prossimo sforzo artistico. Tra i vari progetti c’è
una storia scritta a quattro mani con la sorella minore molti anni
fa ma che non andò mai in porto per l’assenza di una certa maturità come regista che ora, rotto definitivamente il ghiaccio con il
mondo del cinema, si sente in grado di realizzare. Una donna forte,
indipendente e dotata di una grande autoironia, nel solco della tradizione ebraica come fa notare lei stessa, che merita ampiamente
l’attenzione dedicatagli dalla stampa dopo il Festival e di cui molto
probabilmente torneremo a sentir parlare.
MARIO DEL MONTE
‘Maria per Roma’, l’opera prima della regista,
sceneggiatrice e interprete Karen Di Porto.
A breve nelle sale cinematografiche
P
resentata come possibile sorpresa al Festival del Cinema
di Roma, l’opera prima della regista, sceneggiatrice e interprete Karen Di Porto ha raccolto diversi consensi e stimolato una certa curiosità per l’uscita nelle sale prevista per il
2017. “Maria per Roma” è la storia di una donna che sogna di fare
l’attrice ma è costretta a correre per la città, accompagnata dalla
sua cagnetta Bea, svolgendo il suo lavoro di key-holder (consegna
cioè ai turisti le chiavi di case-vacanze ndr). Una Roma maestosa
ma totalmente indifferente alla vicenda fa da cornice alla storia: un
macrocosmo abitato da famiglie borghesi decadute, emarginati che
nonostante abitino i luoghi più rappresentativi della città sembrano
usciti dalla lontana periferia e turisti esigenti quanto scortesi, la Città Eterna diventa il palcoscenico in cui i protagonisti si arrangiano
per far fronte ad un nemico tanto insolito per il cinema quanto comune nella realtà, la vita quotidiana con i suoi ostacoli che spesso
non permettono di realizzare i sogni nel cassetto. Un film che non ha
una morale ma veicola diversi messaggi e analizza temi importanti
come il crescente ruolo del turismo nel sostentamento degli abitanti
della città senza necessariamente urlare, prendendo però posizione
in maniera decisa.
Per la regista all’esordio è stata “un’esperienza bellissima e appa-
COMUNITÀ EBRAICA
DI ROMA
UNIONE DELLE COMUNITÀ
EBRAICHE ITALIANE
Vuoi studiare con
figlia? Pagani dello staff, ma anche il fatto che riservi “un
datua
Eleonora
Matan: la preparazione
speciale, unico, tra madre e figlia, in cui fermarsi e parVuoi studiare conmomento
tua mamma?
lare di ebraismo e valori” come sottolineato invece da Lidia Calò,
al bat mitzvà per madri e figlie direttrice del Dipeduc.
Bat
mitzvah
P
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
P
36
R
O
G
R
A
M
Ogni incontro, della durata di due ore, a cadenza mensile, sarà
infatti costituito da una fase di studio condiviso (chavruta) tra
madre e figlia a partire dalle fonti, una di ‘esperienza creativa’, attraverso l’esperienza delle arti – dal teatro al disegno, dalla danza
roposto dall’UCEI in collaborazione con il Dipartimento
al
canto - ed una di ‘confronto ed elaborazione’, con discussione
Vi
invitiamo
a
partecipare
al
Bat Mitzvah Program
Educativo della CER e il Pitigliani, Matan è unVuoi
corso
i pre- con
studiare
figlia?
deitua
valori
emersi durante il percorso. Ogni unità, per un totale
“LE DONNE ATTRAVERSO
I SECOLI”
parazione al Bat mitzvà organizzato “per le
dalle
Undonne
percorso
che,
attraverso
lo
studio
delle fonti,
Vuoi
studiare
condi
tua
mamma?
8,
sarà
incentrata
su una figura femminile della storia Biblica
ci farà sentire
parte
della catena delle donne ebree
donne” che, ripercorrendo il “ruolo della donna
ebrea
atdalla Bibbia ai giorni nostri
(Rebecca, Miriam, Debora, Hanna, Ester ecc.),
traverso le generazioni”, propone degli inconVi aspettiamo alla presentazione del corso
dedicandosi soprattutto agli attributi positiR
O
G
R
A
M
martedì 27Psettembre
2016
alle
ore
18.00
tri-guidati di studio madre-figlia. Auspicando
presso il Centro Bibliografico “Tullia Zevi”
vi e ai valori da ognuna incarnati, da cui le
Lungotevere R. Sanzio, 5, Roma
una crescita della madre accanto a quella della
ragazze potranno trarre insegnamento, arriArea
Cultura
UCEI
06.45542211
[email protected]
figlia si propone di far capire a quest’ultima
Dipeduc 06.87450210 - [email protected]
vando, a fine corso a presentare “La donna di
Il Pitigliani 06.5800539 - [email protected]
come il Bat mitzvà costituisca un ponte per colvalore attraverso la donna di valore che è in
legare se stesse alla continuità ebraica - “una
me”, scegliendo un personaggio femminile in
Vi invitiamo a partecipare al Bat Mitzvah Program
catena che scorre nelle generazioni”-, e mira
“LE DONNE ATTRAVERSO I SECOLI”
cui si identificano e mostrandone in una ceriUn percorso che, attraverso lo studio delle fonti,
alla conoscenza “dei diritti e responsabilità lemonia finale le caratteristiche, le qualità, ed i
ci farà sentire parte della catena delle donne ebree
gati all’appartenenza al popolo di Israele una
dalla Bibbia ai giorni nostri
comportamenti attraverso diverse espressioVi aspettiamo alla presentazione del corso
volta raggiunta l’età adulta, l’insegnamento
ni artistiche.
martedì 27 settembre 2016 alle ore 18.00
presso il Centro Bibliografico “Tullia Zevi”
dei valori ebraici, e la scoperta della loro rile“È questo uno dei tentativi di dare un ruolo
Lungotevere R. Sanzio, 5, Roma
vanza nella nostra vita”.
e significato diverso al bat mitzvà, una celeArea Cultura UCEI 06.45542211 - [email protected]
Il progetto - che avrà inizio a novembre ed
Dipeduc 06.87450210 - [email protected]
brazione che era ai miei tempi a mio avviso
Il Pitigliani 06.5800539 - [email protected]
è “un piccolo importante contributo per una
un po’ dequalificante, senza sostanza, nella
piccola rivoluzione”, come annunciato da Rav
quale le ragazze non avevano un ruolo attivo. Non ha senso dare
Roberto Della Rocca alla presentazione - è frutto di un lungo larassicurazioni buoniste dicendo che tutti sono uguali, ma bisogna
voro congiunto tra educatori ed insegnanti UCEI, Pitigliani e del
enfatizzare che come l’uomo ha il suo ruolo, anche la donna ha una
Dipartimento educativo. Infatti, nonostante si tratti, come spiesua specificità”, ha quindi concluso Rav Della Rocca, ribadendo
gato da Barbara Zarfati, coordinatrice del progetto, di un format
l’importanza di “dare un ruolo dignitoso alla donna in conformità
già collaudato, ideato nel 1994 da Oshra Koren ed ormai attivo in
con quella che è la tradizione ebraica”. Per informazioni
più di cento comunità in Israele e all’estero, per portarlo in Italia
contattare: Area Cultura UCEI 0645542211 [email protected] Dipeè occorso un corso di formazione per tutte le persone coinvolte.
duc 0687450210 [email protected]
Particolare in questo progetto è “l’aspetto esperienziale, creatiPitigliani 065800539 [email protected]
vo, dinamico, originale, e molto coinvolgente” come evidenziato
JOELLE SARA HABIB
Sarà un modo originale di trasmettere l’educazione
ebraica ‘di generazione in generazione’
UNIONE DELLE COMUNITÀ
EBRAICHE ITALIANE
COMUNITÀ EBRAICA
DI ROMA
Bat
mitzvah
LA PILLOLA DEL MESE DOPO
Nuovo cinema mammasciudde
N
10) ROMANZO FORSIALOMALE: tre negozianti monopolizzano la
produzione di golfetti a Roma, divenendo così i re del mercato, meglio conosciuti con il nome “Banda della maglia”.
11) I CANNONI DI...FA DAVARRONE: ambientato al Gianicolo nel
corso della Seconda Guerra Mondiale, narra la genesi dell’arma segreta di cui nessuno doveva parlare.
12) CER UNA VOLTA IL WEST: ovvero le grandi commattute all’interno della comunità.
Da non dimenticare anche le prossime uscite: TORAH TORAH
TORAH, NATALE IN ISDRAELLE (con Judian De Sica e Massimo
Bondi’), INDIPENDENCE PRAY (storia del tempio riformista), FIFA
E AMARENA (interamente girato all’interno del bar Totò), JURASSI
A BABBO, SCUOLA DI PULIZIA (performance da Premio Oscar di
Collozozzo), IL VIOLINISTA SUL GHETTO (un insegnante di musica
nghevrimme alle prese con i liceali della Renzo Levi), 50 SFORMATURE DI GIGGIO, e ROGER RABBI.
Le alternative non mancheranno, quindi, a tutti coloro che vorranno passare un paio d’ore in allegria. Con l’avvertenza che potranno
incorrere in alcuni episodi poco edificanti, già vissuti in diverse occasioni dai frequentatori del Multisala: tra il primo ed il secondo
tempo, in molte sale, si è potuto distintamente sentire il grido: “Ma
baastaa! Puro qua!”, rivolto all’indirizzo del povero Shammash (è a
lui che spetta passare con la cassettina della zedaká durante l’intervallo). L’altro episodio, al momento dell’uscita delle sale, è stato
il poco elegante: “E SEMPRE PE QUESTO CE SE VENGA...” proveniente dagli spettatori in coda.
ATTILIO BONDÍ & FRIENDS
Sukkot Delet: un successo nonostante la pioggia
M
usica, un ricco buffet di paste, stuzzichini e dolci, wine
bar e sushi a volontà per l’ormai tradizionale Sukkot Party
organizzato a Via Balbo dal Delet - assessorato alle politiche giovanili in collaborazione con
l’UGEI.
Una
serata che nonostante le intemperie e la
conseguente
impossibilità
di utilizzare la
sukkà nel terrazzo del tempio, ha saputo
reinventarsi,
all’ultimo piano del palazzo,
senza per questo rinunciare alla tipica atmosfera, festiva ed ebraica insieme, propria di queste
iniziative. “Uno speciale momento di aggregazione per i ragazzi della nostra comunità, una tappa fissa” lo definisce l’as-
sessore Giordana Moscati che, molto soddisfatta della collaborazione, ricorda come
questa sia ormai abituale per l’annuale
festa di Sukkot ed il Seder di Pesach.
Potendo contare, nonostante la partita e
gli altri eventi tenutisi in concomitanza,
ben 160 partecipanti, la serata
ha riscosso grande successo, ed
è stato il primo incontro da
quando a Marco
Caviglia
sono
succeduti
alla
guida del Delet
Alessandra Calò
e Ruben Spizzichino che, soddisfatto dei risultati raggiunti, ci
informa: “ci saranno molte novità rispetto
allo scorso anno, puntiamo molto su questo canale e abbiamo in serbo tante nuove
iniziative”.
JOELLE SARA HABIB
Un grazie della Comunità
agli uomini della sorveglianza
Tradizionale cena
sotto la sukkà
C
ome
da
tradizione,
anche
quest’anno con una cena informale sotto la sukkà nel giardino
del Tempio Maggiore, la Comunità ebraica ha voluto ringraziare tutti coloro, dipendenti e volontari, che nel corso
dell’anno si sono dedicati ed impegnati
nella sorveglianza.
A portare saluti e parole di ringraziamento, il capo rabbino rav Riccardo Di Segni, il
presidente Ruth Dureghello e il responsabile delle attività Gianni Zarfati che hanno
sottolineato il sacrificio e le rinunce che
tanti uomini e donne della nostra Comunità affrontano per cooperare nelle attività
di vigilanza e sorveglianza. Un pensiero, in
particolare, è stato rivolto ai giovani, coloro che nel breve e medio futuro dovranno
prendere il testimone nel passaggio naturale di generazioni. In un clima sereno e
rilassato, al termine tutti gli ospiti hanno
apprezzato le celebri “pasta con i broccoli”
e “pasta con ceci” di Ciccio Verdura.
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
ell’ambito della riqualificazione di Portico d’Ottavia, non
poteva certo mancare l’inaugurazione di un cinema di
nuova concezione. Finalmente a portata di mano 24 sale,
tra le quali una d’attesa ed una da tè, dedicate completamente al cinema ebraico. Titoli più o meno famosi, che trattano di
ebraismo nelle sue diverse sfaccettature, anche le più particolari.
Abbiamo avuto un’anteprima sulla prossima programmazione, della quale di seguito proponiamo alcuni esempi.
1) PROVA A PRENDERMI: storia vera di Settimio Resciudde, uno
nghevrimme inseguito dal Preside della scuola e dalle sue lettere
di ingiunzioni di pagamento. Si tratta di un remake di un vecchio
film dal titolo VIA COL VENTO, nel quale il protagonista era allora
perseguitato dalle tasse della comunità.
2) Clienti che andavano e tornavano dai negozi cercando di cambiare articoli più e più volte, questo il leitmotiv del film PASTI STELLARI, a cui è seguito subito il sequel IL RITORNO DEL CARATODDE.
Ormai dei cult alcune battute dei due film: “A che ora aprite?”. “A
che ora chiudete?”. “Domani siete aperti?”. Cose da fantascienza!
3) Finalmente sul grande schermo la storia dello nghevrimme che fa
l’alià, intitolata IL RITORNO DELLO JUDÍO.
4) Uno scienziato pazzo restituisce la vita a una coppia di nghevrimmi vissuti durante l’epoca del ghetto: FRANKO E STERINA
JUNIOR.
5) I parenti del defunto decidono di ingaggiare una iorbedde professionista per proteggere l’ottone di Prima Porta dalle scorrerie di
rumeni e zingari: I MAGNIFICI 7 DI’.
6) Una madre si vanta del pupo, 4.5 kg alla nascita: GRANDE GROSSO E PICCIONE.
7) VERA GLACIALE: vicende di una nghevrimme che non dava
confidenza a nessuno.
8) “MAMONNE LETALE 4”: storia della sorveglianza a scuola con
Tom e Jenny.
9) DOI STORY: vite parallele di due ex compagni di giochi in piazza,
ai quali la vita ha riservato destini diversi.
37
DOVE E QUANDO
NOVEMBRE
21
27
30
DICEMBRE
16.30 LE PALME
Visita audiometrica gratuita
L U N E D I eseguita dalla Dott.ssa Carola Astrologo
-------------------------------------------------------------------------------
06
Giochiamo con l’alfabeto
DOMENICA -------------------------------------------------------------------------------
MERCOLEDI
Nell’ambito del PKF 2016 cenetta e talk show
“Cabalà Woody Allen e il cinema ebraico”
in collaborazione con Hamos Guetta
Conduce David Parenzo. Con il Prof. David Meghnagi e
Guido Barlozzetti di Unomattina
Info e prenotazioni: 065800539 [email protected]
-------------------------------------------------------------------------------
ADEI WIZO, Lungotevere Ripa, 6
M A R T E D Ì Lezione con cena per il ciclo
17.00 LE PALME
20.20 Il PitiglianI
20.30 Centro di Cultura Ebraica - ADEI WIZO
08
14
GIOVEDI
La tefillà e il rapporto con D-o con Rav Alfonso Arbib
Costo della cena € 16,00, posti limitati, prenotazione
obbligatoria entro venerdì 2 dicembre: centrocultura@
romaebraica.it 065897589
-------------------------------------------------------------------------------
17.00 LE PALME
Raccontiamo e commentiamo un Midrash
-------------------------------------------------------------------------------
16.30 LE PALME
Alla riscoperta dei canti tradizionali di channukkà
MERCOLEDI -------------------------------------------------------------------------------
NOTES
CENTRO DI CULTURA EBRAICA
Sono appena iniziati i corsi di ebraico
moderno a vari livelli e in diverse fasce
orarie con Alumà Mieli, insegnante madrelingua
Info: 065897589 - [email protected] – www.culturaebraica.roma.it
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
IL PITIGLIANI
38
Nuovi corsi:
Ebraico principianti con la morà Ester Di
Segni ogni mercoledì ore 18.00- 19.30
Ebraico intermedi e avanzati con Assaf Kedem il martedì ore 18.00-19.30/19.45-21.15
Ebraico a portata di mano: lezioni a tema
con la morà Ester Di Segni ore 19.45-21.15
Arte con Cesare Terracina ore 16.30-18.30
Auto trucco con Carol Spizzichino giovedì
20.30 – 22.00 4 lezioni da un’ora e mezza a
partire dal 6 ottobre
Flower design con Mario Di Castro giovedì
18.00 - 20.00
Krav maga con Chantal Di Porto 8 lezioni a
partire dal 31 ottobre. lunedì 20.30 - 21.30
L’abc dei social con Tami Fiano ore 10.3011.30
Trattamenti shiatsu con Dalia Di Veroli
18.00 - 21.00 il giovedì su prenotazione
Ginnastica posturale con Gianni Ciccarone
lunedì, mercoledì e venerdì dalle 9.00 alle
10.00
Laboratorio voce canto con Evelina Meghnagi martedì dalle 19.30 alle 21.30
Metodo Feldenkrais con Irene Habib lunedì
e mercoledì 19.30 - 21.00 giovedì 9.45 - 11.15
seminario domenicale 20 novembre dalle
10.00 alle 14.00
“Rivitalizzare la colonna vertebrale per rin-
novare la postura” - info e prenotazioni
Irene 3403680717 –
Info e prenotazioni su tutti i corsi: Micaela
o Federica 065897756 – 065898061 – corsi@
pitigliani.it
Undicesima edizione del Pitigliani Kolno’a Festival – Ebraismo e Israele nel
cinema Dal 19 al 24 novembre
Gruppo Ghimel
tutti i giovedì alle ore 16.30
17 novembre Massimo Moscati - la musica
e la tradizione ebraica: il controverso rapporto tra la musica e l’ ebraismo dalla Torah
a Schoenberg
24 novembre Fabio Spizzichino - uno sguardo multifocale su numeri e permutazioni
1 dicembre Giacomo Moscati - mitologia
ebraica
15 dicembre Maurizio Tomasi & David Ajò
- presentazione del libro “Amos e lo smeraldo del testaccio”
Info David: [email protected] 3934288178
Programmi educativi:
Un lunedì ogni 15 giorni alle 18.30
continuano gli incontri del Pitigliani Vocal
Project - il coro dei bambini dai 6 ai 13 anni
condotto da Evelina Meghnagi
Info Giorgia: 065898061 – educazione@
pitigliani.it
Domenica 20 novembre, 4 e 18 dicembre
Proseguono le domeniche di ebraismo: per
i bambini dai 3 ai 11 anni – identità e cultura ebraica, feste e tradizioni, lingua ebraica
e corso post bar/bat mitzvà
Info Giorgia Di Veroli: 065898061 [email protected]
Nell’ambito delle domeniche di ebraismo il
20 novembre alle 11.00 ci sarà il primo
Jclub a viale Marconi
Il Jclub - dopo il grande successo a piazza Bologna – apre una nuova
sede anche a viale Marconi. Ogni domenica dalle 10 alle 11.20
incontro per genitori con la dott.ssa Hora
Aboaf: 5 incontri a cadenza mensile che
avranno con tema le principali festività
ebraiche discusse attraverso un particolare
approccio che utilizza le radici delle parole
bibliche alla scoperta di un profondo intreccio fra significante e significato.
Save the date domenica 18 dicembre
Festa di channukkà!
Info Giorgia: 065898061
[email protected]
SHABAT SHALOM
Parashà: Vaierà
Venerdì 18 NOVEMBRE
Nerot Shabath: h. 16:28
Sabato 19 NOVEMBRE
Mozè Shabath: h. 17:30
---------------------------------------------------Parashà: Cheyè Sarà
Venerdì 25 NOVEMBRE
Nerot Shabath: h. 16.23
Sabato 26 NOVEMBRE
Mozè Shabath: h. 17.26
---------------------------------------------------Parashà: Toledot
Venerdì 2 DICEMBRE
Nerot Shabath: h. 16.21
Sabato 3 DICEMBRE
Mozè Shabath: h. 17.24
---------------------------------------------------Parashà: Vayetzè
Venerdì 9 DICEMBRE
Nerot Shabath: h. 16.20
Sabato 10 DICEMBRE
Mozè Shabath: h. 17.24
per bambini dai 6 agli 8 anni e dai 9 agli 11 anni.
Costo 30 € che comprenderà 4 allenamenti. Per info: Yosi 3271881544
(piazza Bologna); Samuel 3347940519; Aron 3338946465;
Daniel 3402255134 (Piazza Bologna).
AUGURI
NASCITE
Mazal tov a Roberto Anticoli e Gina Sonnino (Jenny), segretaria
dell’AGS, per la nascita di Liel Shana.
Liel, Shana Anticoli di Roberto e Gina Sonnino
Sara Bondì di Aldo e Micol Perugia
Auguri a Enrico Modigliani (già consigliere CER, curatore di
Sorgente di Vita e fondatore di Shalom con Lia Levi e Luciano Tas)
per il matrimonio della nipote Iara Modigliani Caviglia con
Shimon Berkley in Israele. Ovviamente auguri ai genitori Silvia
Modigliani e a Massimo Caviglia, per molti anni direttore di
Shalom.
BAR/BAT MITZVÀ
Samuel Piazza di Giacomo e Pamela Mieli
Micol Misano di Leone e Barbara Efrati
Michal Colafranceschi di Daniel e Betty Astrologo
Daniel Anticoli di Ruben e Micol Finzi
Shirel Perugia di Cesare e Alessandra Manasse
Riccardo Piperno di Romeo e Micol Sonnino
Dan Baranes di Moise e Debora Volterra
Federico Spizzichino di Andrea e Fabiana Moscati
Michelle Pavoncelli di Marco e Simona Marcozzi
Meir Angelo Moscati di Roberto e Ilaria Limentani
David Terracina di Marco e Linda Vivanti
Nicole Efrati di Simone e Loredana Hakmun
partecipazioni - mishmaroth - birchonim - editoria ebraica
Via Giuseppe Veronese, 22 - Tel. 06.55302798
MATRIMONI
David, Carlo Pitigliani – Simona Calò
Michael Abraham Sasson – Victoria, Guta, Hanna Raccah
Invalsi: buoni risultati
per la scuola elementare ebraica
Sono arrivati a settembre i risultati delle prove Invalsi sostenute
dagli alunni di seconda e quinta elementare nel maggio scorso,
risultati molto buoni, che registrano un’ottima performance degli
studenti nelle prove scritte realizzate dall’Istituto Nazionale per
la Valutazione del Sistema dell’Istruzione, sostenute a livello
nazionale ed uguali in tutta la Penisola.
I test - per l’italiano circoscritti alla valutazione della competenza
di lettura (intesa come comprensione, interpretazione, e riflessione
sul testo) e della grammatica, e per la matematica concernenti i
quattro ambiti ‘Numeri, Spazio e figure, Dati e previsioni, Relazioni
e funzioni’ - si prefiggono non di giudicare i bambini, che li
sostengono in forma anonima, bensì di indagare il livello scolastico
delle scuole e di testarne le capacità di trasmettere competenze,
costituendo quindi un elemento potenzialmente molto efficace
se utilizzate come guida per un miglioramento dell’offerta del
sistema nel suo complesso, e di ogni singola istituzione e docente
in particolare. La comparazione dei risultati delle determinate
classi o scuole con gli esiti complessivi delle prove, interpretati
alla luce della conoscenza del contesto specifico in cui l’istituto
opera, può servire per individuare i punti di forza e di debolezza
del percorso effettivamente realizzato in classe e delle scelte
didattiche effettuate.
Nelle quinte risultati molto buoni per l’italiano, con punteggi
dell’8% superiori alla media, e soprattutto, “molto oltre la media”
la matematica, con una differenza del 12,7%. Espresso il giudizio
di ‘significativamente superiore’ in entrambe le materie per le
seconde, per cui le percentuali non sono esplicitamente calcolate.
JOELLE SARA HABIB
Il Presidente della Deputazione Ebraica ed il Consiglio desiderano esprimere i loro più affettuosi auguri e sentiti ringraziamenti
a Lello e Rina Sonnino che in occasione delle loro Nozze d’Oro
hanno generosamente devoluto quanto destinato ai lori regali al
sostegno delle famiglie in grave difficoltà della nostra Comunità.
A Lello e Rina un affettuoso Mazal Tov!
Auguri a Hatanim 5777
HATAN TORÀ
HATAN BERESCITH
Tempio Maggiore
Alberto Funaro
Massimiliano Calò
Tempio Spagnolo
Roberto Calò
Graziano Di Veroli
Tempio V. Balbo
Alberto Piperno
Dario Coen
Tempio Ashkenazita
Bruno Funaro Alberto Heimler
Tempio Casa di Riposo
Giacomo Moscato
Umberto Piperno
Tempio dei Giovani
David Baungarten
Fabrizio Manasse
Tempio Beth Shalom
Josef Anticoli
Giovanni Cristofari
Beth Michael
Uri Bahbout
Fabio Perugia
Tempio Colli Portuensi
Ariel Astrologo
Emanuele Pavoncello
Tempio V. Veronese
Enrico Anav
Gabriele Frig
Hatan Meonà: Victor Debach
Tempio V. Garfagnana
Emanuel Hayon, Daniel Raccah
Alon Guetta
Tempio dei Parioli
Yochan Benjamin Fadlun
Eli Molinello Fadlun Rabba
Hatan Meonà: Davide Bendaud
CI HANNO LASCIATO
Fiorella Anticoli ved. Amati 05/11/1925 – 08/10/2016
Bianca Bracci in Anzellotti 19/101934 – 04/10/2016
Enrico David Di Veroli 02/02/1964 – 10/10/2016
Sion Hassan 01/10/1920 – 22/10/2016
Ester Pavoncello Moscato 30/04/1938 – 05/10/2016
Fiorina Sermoneta ved. Calò 20/10/1923 – 02/10/2016
Eleonora Spizzichino ved. Limentani 20/09/1923 – 21/10/2016
Wanda Tagliacozzo ved. Spizzichino 04/09/1922 – 15/10/2016
Luciano Terracina 22/08/1936 – 19/10/2016
IFI
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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
e sempre pe’ questo ce se venga ...
RINGRAZIAMENTI
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STORIE
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D
Bye, bye Obama
iabete, pressione alta, colesterolo: Berto era afflitto da molti di
quei malanni che tormentano la
vita degli anziani e che ne minano le arterie, candidandoli all’infarto.
Già per tre volte era passato dal pronto
soccorso alla sala operatoria. Le angioplastiche gli avevano evitato il peggio,
ma ogni volta era uscito dall’ospedale più
depresso, con la sensazione di aver fatto
un passo in più verso la definitiva uscita
di scena.
Dopo quegli episodi, quasi inconsapevolmente, aveva
preso a flirtare con
la morte, stilando
deprimenti bilanci
di un’esistenza ormai ai titoli di coda.
Sono pronto, continuava a ripetersi.
Venga pure il tristo
mietitore e faccia il
suo lavoro, che io
non ho più nulla da
chiedere alla vita.
Vero è che, da
quando sua moglie
se n’era andata, la solitudine gli era sola
compagna. Ambizioni, desideri, speranze
appartenevano al passato mentre vivacchiava di una misera pensione che lo costringeva a fare della parsimonia un malinconico stile di vita. Quanto al lavoro poi,
era ormai su un binario morto: lo assorbiva
e affaticava, senza gratificarlo.
Di tutto questo, ad ogni modo, Berto non
si curava poi troppo. La mattina, entrando
nel suo bugigattolo, si lasciava alle spalle
ogni inquietudine e scivolava nella dimensione dei pensieri, delle idee, delle riflessioni.
Sfogliava cataste di giornali, di libri, di
pubblicazioni e lasciava vagare la mente
in ogni direzione. Scavava dentro le notizie
come dovesse separare il grano dalla crusca e cercava fra le verità gridate la verità
del buonsenso.
C’era sempre qualcosa che lo inquietava,
che lo stupiva, che lo scuoteva. Ora poi che
la corsa alla Casa Bianca stava entrando
in dirittura finale, seguiva le vicende americane con rassegnata apprensione. Uno
peggio dell’altra pensava. E gli venivano in
mente i pupazzi del Gianicolo, Pulcinella e
il Diavolo, che se le davano di santa ragione a suon di bastonate senza concludere
mai nulla.
Da ragazzo aveva amato l’America. Libertà, democrazia, progresso. John Wayne,
Hollywood, il sogno americano. La bandiera a stelle e strisce gli appariva allora
un faro cui far riferimento per dirimere il
bene dal male. Crescendo, aveva visto il
cinismo, gli errori, gli scandali solcare di
crepe quel bastione ideale delle libertà. È
vero che gli altri erano peggio ma quella
mezza assoluzione gli lasciava ogni volta
l’amaro in bocca.
Poi era arrivato Obama. Yes we can! e aveva incantato il mondo, promettendo mirabolanti cambiamenti di rotta.
Un fuoco di paglia di speranze mal riposte,
pensava Berto. Otto anni e il mondo era più
fragile e insicuro.
Otto anni e un Occidente senza guida era ostaggio di
ogni sorta di fanatismo. Senza contare
i sentimenti ambigui verso Israele.
Ora, d’accordo, per
Berto la politica
verso Israele era
una cartina tornasole della politica
in generale, un metro di giudizio della
statura e dell’etica
di un Leader. Lui
stesso la definiva una sana ossessione, ma
il malanimo di Obama gli sembrava tangibile. Fuori discussione.
E invece no. La stampa, gli addetti ai lavori e la Casa Bianca lo nascondevano sotto
tonnellate di melassa. Ogni volta buone parole e stucchevoli dichiarazioni precedevano e seguivano atti lesivi della sicurezza e
dell’agibilità politica di Israele. Obama era
stato capace di mettere al centro dell’agenda mondiale la questione di qualche decina di condomini in Israele mentre in Siria
la gente moriva di bombe, di gas e di fame,
in scenari da Seconda Guerra Mondiale.
Mentre il Califfo Misericordioso metteva a
ferro e fuoco mezzo modo, mandando i suoi
a seminare panico e morte in Europa.
L’ultimo episodio, poi, per Berto era stato
eclatante.
Obama che certifica la sua amicizia verso
Israele, rinnovando per dieci anni l’accordo per gli aiuti militari ad Israele. Una cifra
astronomica dicono i giornali. La più grande che sia mai stata stanziata da qualunque Amministrazione americana. Un atto
di generosità senza precedenti. Ma è davvero così? Berto non si contenta di quello
che legge. Come un cane da tartufo, fiuta,
cerca, scava. Ma soprattutto pensa.
È vero, la cifra è la più grande che sia mai
stata stanziata, ma detratta l’inflazione è
inferiore a quella dei precedenti stanziamenti. Senza contare che i nemici che Israele deve affrontare sono oggi più forti che
mai. Più agguerriti e implacabili, dopo lo
sciagurato accordo con l’Iran.
Ma ciò che fa davvero arricciare il naso a
Berto è la sua presentazione come un grazioso dono americano agli amici di Israele.
Niente di più lontano dal vero.
Nemmeno un dollaro lascerà gli Stati Uniti.
L’intero stanziamento sarà appannaggio
dell’industria bellica americana e sosterrà in definitiva il più strategico dei settori
industriali, con modalità inattaccabili da
un Congresso che storicamente non ama
i finanziamenti pubblici alle imprese. L’accordo svilupperà inoltre ricerca e posti di
lavoro con ricadute benefiche sull’intera
economia americana.
A prescindere da questo poi, Israele è un
solido alleato in uno scacchiere tanto instabile quanto strategico. Ogni dollaro speso
per la sua sicurezza è un dollaro speso per
la sicurezza americana. Mantenere alte le
sue capacità di difesa e deterrenza è un
imperativo strategico irrinunciabile, non
un semplice atto di amicizia.
Ma tant’è. Questione di mesi. Obama è in
procinto di lasciare, solo che…
Beh, i suoi oppositori lasciano trapelare
che lo stanziamento a favore di Israele
servirebbe solo a preparare il suo ultimo
dono avvelenato a Bibi e al suo governo:
un’astensione americana in Consiglio di
Sicurezza che lascerà passare una mozione devastante per Israele. L’imposizione al
ritiro sui confini del ‘67, senza compensazioni, senza trattative, senza garanzie. Un
premio all’unilateralismo di Abu Mazen,
una pietra tombale su qualunque trattativa. Una resa incondizionata al terrorismo.
Berto stenta a crederlo, ma come diceva
Andreotti…
Del resto, pensa, la storia non insegna mai
nulla.
All’Unesco l’Occidente non si è prostituito?
E Renzi poi…
MARIO PACIFICI
[email protected]
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Berto l’edicolante
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LETTERE AL DIRETTORE
voce lettori
La
dei
NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Cultura e danze ebraiche
Nell’ambito delle celebrazioni per la giornata europea della cultura
ebraica tenutasi domenica 18 settembre scorso, noi della comunità
ebraica di Ancona, abbiamo organizzato, in aggiunta al programma
nazionale, sia una conferenza sui dialetti ebraici tenuta dal nostro
responsabile del culto Sig. Nahamiel Ahronee, che una rappresentazione di balli/danze ebraiche antiche e moderne. Il tutto all’interno della sala convegni del museo “Omero” di Ancona. Alla fine
della conferenza la compagnia di danza “DANZINTONDO” ha effettuato un vasto repertorio di circa 15 danze. Abbiamo riscosso un
enorme ed inaspettato successo, tanto che è stato richiesto anche il
bis. Un’ora quindi di piacevoli sonorità e musiche ebraiche che sono
piaciute molto sia al folto pubblico presente, che alla delegazione
della comunità ebraica stessa. Insomma una bella serata all’insegna della musica ebraica.
Io iscritto alla comunità ebraica di Ancona, faccio anche parte di
questo gruppo di danza (con sede sociale a Morro d’Alba, piccolo
paese all’interno delle campagne marchigiane a 30 km da Ancona), e siamo specializzati soprattutto nelle danze ebraiche, oltre che
ovviamente nel classico repertorio folkloristico tradizionale popolare-regionale: saltarello, tarantella, pizzica del sud Italia, danze in
cerchio, in catena, danze Francesi e balcaniche, ecc.... Per chi si dovesse trovare per lavoro o per ferie qui nelle Marche/Ancona, venga
a trovarci a Morro d’Alba. Cordiali saluti.
SERGIO FORNARI
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Piccoli sionisti
Egregio Direttore,
Il 6 ottobre è stata una giornata piena e ricca di emozioni agli Asili
Israelitici Rav Elio Toaff. Durante la mattinata c’è stato un bellissimo ed emozionante incontro con una famiglia del kibbutz Nir Izchak
in rappresentanza del GAN TUT con il quale i nostri asili hanno da
poco stretto un gemellaggio. Il kibbutz si trova al nord del Neghev,
al confine con la striscia di Gaza. Come purtroppo sappiamo, in tutta quell’area la popolazione è in continuo pericolo, a causa dei tantissimi missili che da anni colpiscono il sud d’Israele. Ovviamente i
bambini sono spesso costretti a passare dal caldo delle loro classi,
ai poco accoglienti bunker antimissili, vivendo quindi spesso situazioni di pericolo e stress.
Desideravamo da subito far
capire ai nostri piccoli studenti il legame forte che da
sempre lega ogni ebreo con i
propri fratelli e sorelle in Erez
Israel, cercando così di poter
incentivare delle future amicizie tra i nostri bambini ed
piccoli del kibbutz.
La direttrice Judith Di Porto ha fatto visitare la nostra scuola alla
famiglia Lanternari. Daniel ha fatto l’alya nel 1995, in Kibbutz ha
conosciuto la futura moglie Naty e assieme hanno formato una bellissima famiglia con tre bambini. Le tre classi dei bimbi più grandi
li hanno accolti con canti e balli e hanno donato loro diversi lavori,
tra i quali un album con foto di vita scolastica e disegni abbinati
a belle immagini della città di Roma. Simpatico il momento in cui
quattro bimbi hanno regalato una bandiera della squadra giallorossa ai piccoli amici israeliani. A loro volta il GAN TUT ha donato alla
scuola un libro fatto dai piccoli kibuznik con foto e disegni dei suoi
talmidim. Con l’aiuto di Internet sarà facile mantenere i contatti,
rendere sempre più partecipi i bambini e far loro conoscere realtà
diverse, con un bel sentimento ispirato all’amicizia e all’amore per
la terra d’Israele.
GINO MOSCATI, PRESIDENTE ASILI
[email protected]
L’Unesco mi indigna
Spett. Redazione,
Mi indigna e mi addolora la dichiarazione dell’Unesco. Prossimamente dovrei salire a Gerusalemme e per prima cosa andrò al Kotel
per pregare. Cordialmente shalom.
ROSA MARIA PERRERA
Il romanticismo dell’Unesco e il monte del Tempio
Se come si afferma polemicamente, e criticando la Il Guerra Mondiale raccontata dagli alleati, “La storia la scrivono i vincitori” dobbiamo a questo punto temere che la risoluzione UNESCO in merito
al Monte del Tempio che non riconosce all’ebraismo mondiale alcune legame con il Monte del Tempio, sia una pagina della storia
scritta dal fondamentalismo islamico trionfante, per il quale tutto
ciò che non è conforme alla visione dell’estremismo e fondamentalismo islamico e dei suoi partner non è degno di esistere. Non
c’è differenza, quindi, fra la cancellazione della storia e la distruzione dei siti storici. Che tutto questo possa accadere nei luoghi di
guerra conquistati dal fondamentalismo islamico e dai suoi seguaci,
sostenitori e supporter istituzionali può offenderci, indignarci, ma
non sorprenderci (chi non ricorda le gigantesche statue dei Buddah
fatte esplodere alcuni anni fa). Che l’UNESCO sia diventato o stia
diventando un luogo dove si abbatte la storia dell’umanità (che l’UNESCO dovrebbe riconoscere e proteggere) è, invece, un dato preoccupante più serio e grave della risoluzione che è stata ratificata.
Non c’è protezione e salvaguardia dei siti patrimonio dell’umanità
se dietro, sopra o in mezzo non vi sia anche una storia che ne racconti la nascita e la sopravvivenza. Se così non fosse sarebbero questi luoghi, carichi di storia umana, delle rovine senza storia, ruderi,
immersi nella natura e facenti parte della selvaggia natura. Questo
romanticismo dell’UNESCO che non riconosce al popolo d’Israele
alcun legame storico sociale e finanche cultuale con Il Monte del
Tempio invece che esaltare e promuovere la pace, innesca ideali
falsi nella reconquista (in questo caso reconquista islamica) di Gerusalemme come città unicamente islamica.
Che la proclamazione di Gerusalemme come capitale indissolubile
dello stato di Israele e gli scavi possano essere un atto unilaterale
è discutibile e biasimevole ma questo non ci esime, oggi, dal discutere e combattere chi vuole sottometterci a delle visioni della storia
negazioniste. E che questo paradossale e strambo negazionismo
sia la voce ufficiale dell’UNESCO, sede competente per la memoria
e per la conservazione del patrimonio dell’umanità, è una nuova
realtà con la quale ci si dovrà confrontare. La proposta è stata discussa e approvata in sede UNESCO ma che si sia arrivati a discuterla è già questa la oltraggiosa menzogna di cui l’UNESCO si rende
complice. Con il negazionismo non è possibile trattare.
E non è una semplice disattenzione che il testo parli dei luoghi oggetto di contesa soltanto in lingua araba. In pieno spirito romantico
l’UNESCO fa finta di non sapere e, anzi, accetta come il romanticismo teorizzava che: lo spirito di un popolo risiede nel suo linguaggio che esprime una visione del mondo e del pensiero, oltreché,
ovviamente, l’espressione manifesta dello spirito di un popolo.
E se il Monte del Tempio ha soltanto un nome in arabo significa che
in primo luogo è un territorio islamico e di nessun altro. Poiché questa è la visione del mondo che quel linguaggio vuole esprimere nel
parlare una sola lingua. A noi la storia insegna che nei territori con
pluralità linguistiche, la segnaletica e anche le informazioni commerciali nei negozi, sono scritte nelle diverse lingue che formano la
popolazione del luogo.
Mi viene in mente che anche quando si costruì la Torre di Babele gli
uomini parlavano una sola lingua e furono poi costretti a diversificarle per non essere empi. Quella delle differenze è una nostra conquista dopo che qualcuno volle, parlando una sola lingua, edificare
non un Tempio dedicato al Signore, come Gerusalemme dovrebbe
essere per le tre religioni monoteiste, ma una Torre di Babele segno
di una fede fondamentalista che non parla che il proprio linguaggio
e accusa gli altri di non capirlo.
VITTORIO PAVONCELLO, REGISTA
SHALOM‫שלום‬
EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
Smokéd / affumicato: un gioco di parole. Una sfida nel segno di
uno humor che non vuole offendere nessuno, ma sorridere di tutto.
ONU. Sigla per “Organizzazione Nazioni Ubbidienti”. Simpatico
club internazionale, formato da moltissime nazioni, alcune delle
quali solo apparentemente sovrane. Le iniziative del club non
sempre risultano innocue. Le Nazioni Ubbidienti, insieme con i
club affiliati (cultura, alimentazione, salute, ecc.), si riuniscono
periodicamente per condannare, sanzionare e biasimare uno dei
propri affiliati e cioè lo Stato di Israele. Di solito su richiesta di alcune decine di altri Stati ispirati, a loro avviso, dalla comune appartenenza al mondo arabo e islamico. Ephraim Kishon, un umorista israeliano scomparso nel 2005, spiegò a suo tempo come
una eventuale mozione araba, proposta nel club per indurlo a dichiarare solennemente che la luna è fatta di formaggio, avrebbe
comunque trovato una larghissima maggioranza. Anche dopo lo
sbarco umano sul satellite della Terra. In questi casi oggi, come
è noto, i paesi dell’Unione Europea si astengono. Forse anche le
missioni spaziali europee si schiantano sul formaggio marziano.
Colà depositato dai soliti sionisti.
Smokéd
Fabio Astrologo
David Meghnagi
Attilio Bondì
Fiamma Nirenstein
Marcello Bondi
Mario Pacifici
Riccardo Calimani
Angelo Pezzana
Giorgia Calò
Clelia Piperno
Luca D’Ammando
Pierpaolo P. Punturello
Jonatan Della Rocca
Jacqueline Sermoneta
Segretaria diSermoneta
redazione
Jacqueline
Mario Del Monte
Marco Spagnoli
Piero Di Nepi
Lia Tagliacozzo
Sigmund Dollinar
Francesca Tardella
Ghidon Fiano
Daniele Toscano
Joelle Sara Habib
Ugo Volli
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Visto si stampi 4 novembre 2016
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Prof. Emanuele Di Porto scrivendo alla Segreteria della Comunità - Lungo­tevere Cenci - Tempio
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NOVEMBRE 2016 • CHESHVAN 5777
Giacomo Kahn Direttore responsabile
Un bel gesto di solidarietà
Egregio Direttore
Mi fa piacere poter condividere con i lettori di Shalom questa calorosa lettera, inviatami dall’Ambasciatrice di Francia in Italia, Catherine Colonna (e gentilmente tradotta da Rita Josè Scandaliato).
La prego di volerla pubblicare.
Ho preso visione della sua magnifica lettera del 22 agosto 2016,
per la quale sentitamente ringrazio. Essa costituisce da parte sua
un bel gesto di solidarietà dopo il terribile attentato del 14 luglio
2016 commesso a Nizza. Si tratta di una testimonianza importante
di unione nei grandi momenti di avversità e gliene sono grata. Ha
avuto la gentilezza di condividere parte del suo eccelso lavoro artistico, ed è con piacere che ho scoperto il catalogo della sua esposizione “Come miele nel marmo” del maggio 2014. Mi permetta
anche di cogliere l’occasione di questo messaggio per complimentarmi con lei per l’opera che ha offerto al Sommo Pontefice il giorno
della sua visita al Tempio Maggiore di Roma nel gennaio 2016.
Il dinamismo della comunità ebraica di Roma e la ricchezza degli
avvenimenti che organizza costituiscono un contributo di primo
piano per la vita intellettuale e culturale di Roma, dell’Italia, e del
continente europeo, e so che le manifestazioni organizzate in occasione della Giornata europea della cultura ebraica nel settembre
2016 ne sono state una ulteriore testimonianza. La prego di gradire, egregio signore, l’espressione della mia alta considerazione.
CATHERINE COLONNA,
AMBASCIATRICE DI FRANCIA IN ITALIA
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