punto e a capo (n. 25)

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punto e a capo (n. 25)
RINGRAZIAMO I LETTORI
PER L’ATTENZIONE
GLI ALUNNI DELLA
SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO
“L. ARIOSTO” DI VOGHIERA
GLI INSEGNANTI
Paola Trevisani
Roberta Tosi
Laura Vecchietti
Carmela Varriale
Cristian Abate
Renzo Boldrini
Giornalino della Scuola Secondaria di 1° grado di Voghiera - Anno XV - N. 25 - Anno Scolastico 2008-2009
AI LETTORI
Anche questo anno scolastico è giunto al termine e gli alunni desiderano farvi partecipi di tutte
le esperienze vissute attraverso le pagine di questo giornalino scolastico numero 25
BUONA LETTURA
Concorsi, concerti e lezioni
pag. 2
Visite guidate e viaggi di istruzione
pag. 8
Ricorrenze e celebrazioni
pag. 16
Commento a libri e film
pag. 20
Fiabe e racconti
pag. 24
Nei panni di...
pag. 57
Sentimenti e punti di vista
pag. 59
Hobbies e passioni
pag. 61
Esperienze extrascolastiche
pag. 63
Testi narrativi
pag. 65
L’angolo del poeta in erba
pag. 69
Testi umoristici
pag. 75
SCUOLE MEDIE
Istituto di Istruzione Secondaria
“G. Falcone - P. Borsellino”
Portomaggiore (FE)
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Circa tre anni fa per me e per molti altri ragazzi della mia età è iniziata l’avventura
della terza media. Il nostro primo giorno di
scuola eravamo tutti tesi e parlavamo solo
con le persone che già conoscevamo. Il primo giorno c’erano solo le classi prime per
farci ambientare e per farci conoscere i professori. La domenica volò in un baleno e di
già era lunedì. A scuola sapevamo che al
nostro arrivo ci sarebbero stati anche i ragazzi e le ragazze di seconda e di terza infatti noi delle classi prime eravamo un po’ agitati ; tutti pensavano a cosa fare e a cosa dire
ma la cosa migliore era essere se stessi, alla
fine questi ragazzi che a noi incutevano un
po’ di paura erano ragazzi normalissimi co-
me noi. Facemmo infatti subito amicizia con
loro tranne che con alcuni perché preferivano “frequentare” i ragazzi della loro età. L’anno della prima per noi volò e dopo le vacanze estive ci trovammo di nuovo tra i banchi di scuola ma questa volta eravamo cresciuti ed eravamo cambiati un po’ in tutto,
sia nell’aspetto fisico sia nel carattere e poi
anche a scuola erano cambiate alcune cose,
le classi terze dell’anno precedente non c’erano più e al loro posto c’erano altri ragazzi
e ragazze e tutti gli anni succede e tutto un
ciclo che non finisce mai. L’anno della seconda secondo me è stato meno bello di
quello della prima, o per dire meglio meno
simpatico perché con i ragazzi dell’anno
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passato andavamo tutti d’accordo invece,
con quelli dell’ anno in corso un po’ meno
perché alcuni ragazzi fanno i “preziosi” e
preferivano non prendere in considerazione i
ragazzi di prima e di seconda. A volte gli
stessi ragazzi prendevano in giro noi e quelli
più piccoli, ma per alcuni di noi (almeno per
quanto riguarda me) hanno imparato a non
dare peso alle parole che loro dicevano, anche se in quella situazione erano loro quelli
più grandi noi abbiamo dimostrato di essere
superiori a loro, e questo mi ha fatto sentire
“grande” perché voleva dire che ero maturata e mi faceva sentire fiera di me.
Ilaria Galletti
Concorsi, concerti e lezioni
Testi umoristici (Barzellette)
CONCERTO DI MODENA
Lunedì 15 dicembre 2008 siamo andati a
Modena per un concorso musicale. Eravamo
in cinquanta alunni compresi due del conservatorio, ci hanno accompagnati i professori:
Renzo Boldrini, Massimiliano Urbinati, Domenico Marcello Urbinati, Paolo Rosini e il
nostro direttore d’orchestra Massimo Mantovani. Siamo partiti alle 11.20 dalla scuola
media di Voghiera e siamo arrivati a Modena al teatro Storchi alle 14.30. Dopo un ora
di viaggio ci siamo fermati in un autogrill
per mangiare, vendevano pizze veramente
squisite. Arrivati al teatro ci hanno ospitato
in un corridoio insieme ad altre scuole. Abbiamo aspettato due ore, prima di esibirci,
nella lunga attesa abbiamo riso e scherzato.
Più si avvicinava il momento della nostra
esibizione più la nostra tensione saliva, eravamo molto emozionati e avevamo paura di
sbagliare davanti al pubblico.
Arrivato il nostro momento ci hanno accompagnato dietro alle quinte. Una nostra amica
intanto si è sentita male un po’ per l’agitazione e per un po’ di alterazione. Ad un certo punto si è sentito chiamare il nome della
nostra scuola… i nostri visi da bianchi che
erano sono diventati rossi. Sul palco sono
saliti prima i musicisti poi i coristi, abbiamo
suonato un brano di Bach intitolato “Jesus
bleibet meine Freude” e abbiamo fatto un
esibizione da veri professionisti. Ci hanno
dato inoltre la bella notizia che ci eravamo
classificati per il Concorso di Roma.
Successivamente i professori ci hanno accompagnato nel loggione per assistere all’esibizione di una delle più brave jazziste del
mondo e secondo noi è stata molto brava .
Al ritorno, in pullman, abbiamo cantato, riso
e scherzato. Siamo tornati verso le 19.15.
Secondo noi è stata un esperienza molto bella e interessante, speriamo di poterla rivivere
in futuro.
Nicholas Mantovani
Elena Tralli
“Scusi signor Giudice, c’è una gallina fuori dal tribunale.”
“E cosa vuole??!!”
“Vorrebbe deporre subito…”
Tra pesci…
“L’amo signorina…”
“Che bello! Anche io…”
“Nooo…l’amo è dietro di lei!”
Roberto Piazzi
La prof di Scienze chiede a Pierino: “Dove vivono gli uccelli rapaci?”
Pierino: “Sul monte Civetta!”
In classe un bambino timido incontra una bambina altrettanto timida.
Lei per fare amicizia gli dice: “Io mi chiamo Giuseppina.”
E il bambino: “Io no!”
Eugenio Buzzoni
A MODENA CON IL CORO
Lunedì 15 dicembre 2008, il coro della
scuola media di Voghiera è andato a Modena, nel teatro “Storchi”, per esibirsi in un
pezzo cantato di Johannes Sebastian Bach.
E’ iniziato come un qualunque giorno di
scuola, ma alle dieci la Sandra, l’operatrice
scolastica, ci è venuta a chiamare per fare
una prova con il coro.
Alle 10:20 siamo partiti con il pullman “La
Valle”.
Durante il viaggio, io e la mia amica Maria
Pia abbiamo ascoltato la musica e dormito.
Verso le 12:00 abbiamo fatto una sosta per
mangiare e andare in bagno. Alle 13:00 siamo ripartiti, ma gli alunni di terza facevano
molta confusione e non si riusciva a fare
nulla; meno male che verso le 14:00 siamo
arrivati in una piazza di Modena, il teatro
era a pochi metri. Alle 15:30 siamo saliti sul
palco; avevo paura di non ricordarmi più la
canzone, il prof. di violino diede l’attacco al
pianoforte e alle chitarre e noi cominciammo a cantare, da quel momento mi è passata
la paura. Terminato il brano il pubblico ci ha
applaudito, alcuni genitori si sono commossi
e anche a noi è scappata qualche lacrima.
Successivamente ci siamo riposati e abbiamo fatto merenda. Subito dopo siamo andati
ad ascoltare una ragazza che cantava in un
modo strano, sembrava che volesse parlare
agli animali.
Alle 18:30 circa siamo partiti per il ritorno.
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In pullman ero vicina ad una ragazza di terza, ma lei si è addormentata, allora mi sono
messa a parlare con Altea e Jasmine di una
persona che non ci era molto simpatica.
Raffaele ha cominciato a cantare “We will
rock you” e tutti noi lo abbiamo seguito.
Dopo un po’ il prof di pianoforte ci ha detto
che eravamo stati bravissimi e che se avessimo fatto altri concorsi, avremmo vinto di
sicuro.
Verso le 22:00 siamo arrivati a Voghiera,
dove abbiamo fatto un applauso all’autista e
ai prof, ma soprattutto a noi.
Sharon Musacchi
L’insegnante: “Cos’è l’acido lattico?”
L’alunno: “È un lattosio acido!”
L’insegnante: “Quali funghi si possono mangiare?”
L’alunno: “Tutti i funghi si possono mangiare…ma alcuni si possono mangiare una volta, poi basta!”
Edoardo Piva
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Testi umoristici (Barzellette)
Concorsi, concerti e lezioni
CONCORSO MUSICALE, DESTINAZIONE: NUMANA
La prof dopo aver corretto il compito di Anna le chiede:
“Ma perché scrivi così in piccolo?”
E Anna risponde: “Così si vedono meno gli errori!!!!!”
Marco chiede al padre: “Sai firmare ad occhi chiusi?”
“Certamente.”
“Allora chiudi gli occhi e firma la pagella!”
Mentre la prof la interroga, Alessia si guarda allo specchio.
“Ma che cosa stai facendo?”, chiede l’insegnante.
E Alessia: “L’ha detto lei di riflettere prima di parlare, prof!”
Sara Valeriani
La prof chiede a Marco di esporre la vita di Machiavelli, ma lui non sa rispondere; allora la prof chiede a Renata, ma anche lei non sa dire
nulla…
Chiede poi a Luigi: “E tu lo conosci Nicolò?”
E lui: “Beh! Eh già! È un mio amico, anche ieri abbiamo giocato insieme a calcio!”
La bidella entra in classe per consegnare una circolare e gli alunni con un balzo si alzano in piedi per salutare; poco dopo la prof fa una
domanda a Dino, ma lui non sa rispondere e la prof gli chiede:
“Ma dove hai il cervello?”
E lui: “Mi è saltato in aria prima, prof!”
Il 22 aprile 2009 io, altri sei ragazzi della
mia scuola (tutti pianisti) e alcuni dei loro
genitori, siamo andati a Numana, nelle Marche, per un concorso musicale. Ci siamo
trovati all'ingresso della scuola alle 7.00 del
mattino (può sembrare presto, dato che mi
sono alzato alle 6.00, ma ci sono abituato
poiché ogni giorno mi sveglio a quest'ora) e
dal momento che non c'era il pullman per
portarci a destinazione, ci siamo divisi nelle
nostre macchine (eravamo sette, quindi non
abbiamo avuto problemi di spazio) e siamo
partiti.
Io ero in macchina con Matteo Forlani, insieme al quale dovevo anche suonare, e per
tutto il viaggio mi sono divertito a giocare
con lui. Dopo due ore dalla partenza, ci siamo fermati in un Autogrill per mangiare e,
se volevamo, per comprare qualcosa. Al termine della pausa di un quarto d'ora, abbiamo
ripreso il nostro viaggio e in quaranta minuti
siamo arrivati a destinazione. Lì ci siamo
trovati in un gigantesco, splendido resort sul
mare. Vicino all'entrata c'era una larga, bellissima aiuola con fiori di tutti i colori: rossi,
blu, viola, e al centro c'era una fontana bianca a forma circolare in mezzo alla quale si
trovava una colonna divisa in quattro dischi
di larghezza decrescente da cui usciva l'acqua a zampilli. Sono veramente rimasto incantato e anche mia mamma, che la stava
ammirando, è rimasta stupefatta dal suo
splendore. Avrei voluto guardarmi di più
intorno, ma siamo dovuti entrare. All'ingresso ci stava aspettando un ragazzo che avrà
avuto venti-venticinque anni. Dopo esserci
presentati, ci ha indicato dove trovare tutti
gli orari delle nostre esibizioni e ci ha detti
che dopo mezz'ora un pianoforte si sarebbe
liberato e avremmo potuto esercitarci un po'.
Per prima cosa, siamo andati a guardare
quando ci saremmo esibiti e abbiamo visto
che Caterina Ferrari, un'alunna della prima
superiore e una dei "nostri", avrebbe suonato
dopo quarantacinque minuti, mentre Caterina Garbellini, Matteo, io e il trio, in ordine,
avremmo suonato verso le 13.45, quindi, per
aspettare, ci siamo seduti in alcune poltrone
che si trovavano nella hall. Così ho avuto
modo di guardarmi intorno: di fronte alla
reception c'era una piccola aiuola sintetica
che, con il cartello "non calpestare i fiori",
non si riferiva a quelli artificiali, bensì a
quelli che, invece, si trovavano all'esterno.
La hall era molto estesa, c'erano molti ragaz-
zi di altre scuole e si potevano vedere aule
per i clarinetti, dove si trovava un pianoforte, e una dove c'erano molti strumenti, tra
cui xilofoni, triangoli, batterie, marimba,
bongos e al muro, un pianoforte nero come
la pece che faceva contrasto con i tasti, invece, più bianchi del latte: quello sarebbe stato
lo strumento per le nostre prove.
Il soffitto dell'ingresso era altissimo, formato da cupole di varia grandezza, tutto dipinto
di marrone legno e con qualche sfumatura
bianca, forse per il colore, oppure per il riflesso della luce. Attaccati ad esse c'erano
delle tende rosa-fucsia che congiungevano i
lati opposti delle cupole (due per ognuna) e
al centro si incontravano dividendole in
quattro parti.
Mentre aspettavamo, io ho continuato a giocare con Matteo perché non avevo altro da
fare. Dopo una lunga attesa, quasi interminabile, la stanza si è liberata e noi, velocemente, ci siamo introdotti. Per prima, ha
provato Caterina Ferrari, essendo anche la
prima ad esibirsi; poi si è esercitata Caterina
Garbellini, dopo Matteo da solista, in seguito abbiamo provato io e lui il quattro mani
(duetto) e infine il sei mani (trio).
Poiché Caterina doveva andare a suonare
dopo dieci minuti, il professore ha proposto
di andarla a guardare suonare. Tutti abbiamo
acconsentito, però, dato che avevo provato
poco, mi ha chiesto di rimanere ad esercitarmi ancora un po', quindi io e Matteo abbiamo acconsentito. Purtroppo, passati cinque
minuti, l'insegnante di un'altra scuola, con
sgarbo, ci ha detto di uscire perché era il
loro turno. Quindi ce ne siamo andati e ci
siamo diretti all'altro edificio in cui si svolgevano le esecuzioni, col fine di trovare il
professore. Dopo averlo visto, abbiamo saputo che Caterina doveva ancora esibirsi e
abbiamo avuto, fortunatamente, la possibilità di assistirla. Credo proprio che avesse
suonato bene, anche se non so valutare, come la giuria, un pezzo che non ho mai visto
e suonato.
Al termine, ci siamo tutti congratulati con
lei e abbiamo iniziato a mangiare. Era un'ora
e mezza prima del mio turno ma non mi sentivo emozionato, anzi, io prima del mio turno (anche cinque minuti prima) non sono
MAI emozionato e forse è un male, perché
dovrei scaricare la tensione piano piano, invece mi si concentra al momento dell'esecuzione e faccio fatica a reggerne la pressione
Uno degli alunni chiede alla prof:
“Ma lei è sposata?”
“Ma che domanda strana?! Comunque sì, perché lo vuoi sapere?”
“Niente, volevo solo sapere chi era il poveretto!!!”
Mathilde Stracuzzi
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(spesso dopo aver suonato mi viene mal di
testa).
Comunque, sono rimasto ancora un'ora a
giocare con Matteo e il professore ci ha detto di iniziare ad entrare nella stanza perché
la giuria voleva che al momento dell'esecuzione si fosse già dentro e così abbiamo fatto. Abbiamo assistito alle sonate di alcuni
alunni prima di noi (tra cui una che non sapeva neanche fare il suo pezzo).
Finalmente, o forse purtroppo, era il turno di
Caterina Garbellini e la tensione iniziava a
crescere; poi toccava a Matteo da solista, ed
ero giunto al culmine dell'emozione. Dopo
venne il turno di suonare io e Forlani...quando ho iniziato ero agitato, vicino
alla fine la tensione era raddoppiata. Nonostante avessi finito, le gambe mi tremavano
e mi era venuto mal di testa. Infine, toccava
al sei mani e, al termine, siamo usciti. Fuori,
il professore ci ha spiegato tutti gli errori
dinamici (cioè non delle note, ma del tempo,
dell'intensità, ecc.) che avevamo commesso.
In seguito abbiamo finito di pranzare e siamo andati a guardare l'esibizione della figlia
del professore la quale suona la chitarra. Ho
ascoltato vari pezzi popolari e altri che conoscevo vagamente. Dopo, siamo tornati
nella hall dove ci aspettavano i genitori.
Qui, il professore ci ha detto di andare a fare
le foto e poi di fare una passeggiata; quindi,
siamo usciti e nella prima fotografia eravamo solo noi pianisti, poi si sono aggiunti i
clarinettisti e nell'ultima c'erano tutti i presenti. In seguito siamo andati a fare un giro:
prima abbiamo preso il gelato, poi abbiamo
passeggiato sulla spiaggia. Infine siamo tornati al resort in tempo per la premiazione:
Caterina Garbellini è arrivata terza, mentre
noialtri siamo arrivati secondi (io con 92
punti su 100). Quando sono salito sul palco,
mi è stata data la medaglia e mentre venivamo fotografati, guardavo il pubblico: era
bello vedere che i ragazzi fossero così felici
nel sapere che qualcuno di loro fosse arrivato tra i primi, ma implicitamente, si congratulavano con quelli che neanche conoscevano.
Alla fine della giornata, siamo andati a mangiare una pizza lì vicino e siamo tornati a
casa arrivando a mezzanotte.
Alessandro Passantino
Concorsi, concerti e lezioni
Testi umoristici (Barzellette)
UN GIORNO A NUMANA
Il 22 Aprile 2009, noi clarinettisti della
scuola media di Voghiera, campioni in carica del concorso dalla passata edizione, dopo
un anno di intenso lavoro e con grandi aspettative siamo tornati a Numana per partecipare al concorso nazionale “Concorso Musicale dell’Adriatico”, a cui partecipano
scuole da tutta Italia.
Quest’anno, però, abbiamo portato un
“elemento” in più: alla
formazione originaria,
formata dal trio Nico
Marzocchi, Altea Gallerani e Giulio Belletti, si è aggiunto Raffaele Squarzoni, che si è
rivelato un ottimo
componente del neoquartetto.
In più, non eravamo
soli: anche altri nostri
colleghi di pianoforte
infatti, hanno deciso di
partecipare al concorso. Alle 7:45 siamo
partiti dal piazzale
della nostra “amata”
scuola, accompagnati
dal nostro fantastico prof. Domenico Urbinati. Dopo un allegro e movimentato viaggio di tre ore, siamo arrivati a destinazione
dove (con qualche difficoltà) abbiamo raggiunto i pianisti (che per arrivare hanno
chiesto informazioni ad un ciclista) al Club
Santa Cristiana, l’hotel dove si sarebbe tenuto il concorso. Verso le 14 avevamo l’audizione e così, per un po’ di relax, abbiamo
fatto una partitella a calcio e fatto un giro in
spiaggia.
Eravamo tutti molto emozionati perché avevamo tutte le potenzialità per vincere ancora
è stata un buon risultato, ma potevamo fare
meglio. Ma l’importante, al di fuori del concorso e del punteggio, è che durante l’anno
ci siamo dati molto da fare e che questo ci è
servito per ottenere grandissimi risultati. Noi
e il nostro prof. siamo soddisfattissimi del
lavoro fatto quest’anno, perché è stato davvero un gran bel lavoro.
Dopo l’audizione, abbiamo visitato la cittadina, poi siamo tornati
al Club per le premiazioni. I pianisti sono
arrivati alcuni secondi
e alcuni terzi, mentre
noi primi, con 95/100.
Dopo le premiazioni,
siamo andati a mangiare una pizza tutti insieme e poi siamo ripartiti, destinazione Voghiera, esausti ma soddisfatti, come tutti gli
anni.
Gabriele Battocchio
Giulio Belletti
Nico Marzocchi
una volta il primo premio assoluto, ma anche un po’ impauriti e tesissimi, come si è
normalmente prima di un’audizione o un
saggio. Nonostante tutto, durante la prova
abbiamo sbagliato poco e il nostro punteggio finale è stato 95 su 100. A nostro parere,
“Pierino quanti anni hai?”
“Otto, ma li porto benissimo.”
“E perché?”
“Perché la mia maestra dice sempre che ne dimostro due!”
La maestra interroga Pierino.
“Sapresti dirmi l’alfabeto a memoria?”
“Certo: B, C, D, E, F …”
“No, no. Prova ancora.”
“B, C, D, E, F …”
“Nooo. Non ti accorgi che sbagli!? Riprova su.”
“B, C, D, E, F …”
“No, no, no. Ora vai dietro la lavagna finché non ti accorgi del tuo errore!”
Pierino ubbidisce, ma dà una craniata pazzesca contro la lavagna e grida:
“AAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH!”
“Bravo Pierino. Hai capito in cosa sbagliavi!”
“Mamma, mamma… lo sai che ho scritto un tema così bello che la prof si è commossa?”
“Davvero!!!”
“Sì, ha detto che faceva proprio pietà!!!”
Durante un laboratorio teatrale:
“Allora ragazzi, la nostra lezione finisce qui. Come compito a casa farete una cosa piuttosto insolita: dovrete guardare la televisione e, per
ogni canale, domani mi illustrerete che cosa avete visto.”
Pierino torna a casa tutto contento e si mette a guardare la TV.
Su RAI 1 davano un film dove il protagonista, un bambino, compiva gli anni; su RAI 2 un programma di canzoni in dialetto romanesco;
su RAI 3 la pubblicità di articoli per neonati e su Rete Quattro un film che aveva per protagonisti dei super eroi.
Il giorno dopo Pierino si presenta davanti alla professoressa e comincia a cantare:
“Tanti auguri a te, tanti auguri a teeeee….”
“Pierino, oggi non è mica il mio compleanno.”
“Ma che ce frega, ma che c’emportaaaaa…”
“Ma come osi!? Guarda che ti mando dal direttore!”
“Col passeggino Chiccolino si va più veloci!!!”
“Ma chi ti credi di essere?”
“SUPERMANNNNNNNNNNNN!!!!!!!!!!”
Milo Battaglia
CONCORSO “ENRICO ZANGARELLI” A CITTÀ DI CASTELLO
Giovedì 7 maggio la nostra scuola ha partecipato alla 21^ edizione del concorso
“Enrico Zangarelli”, che si è svolto a Città
di Castello. Siamo partiti alle 6 e 30 del
mattino dal piazzale di fronte alla scuola,
abbiamo viaggiato con 2 corriere: su una
c’erano i genitori e i parenti degli studenti;
sull’altra c’eravamo noi e i nostri professori
accompagnatori: i proff. Paolo Rosini, Massimiliano Urbinati, Domenico Urbinati e
Paolo Gioachin.
Prima della partenza, ho scoperto che la mia
compagna di classe Alessia Benetti era ammalata e non poteva venire. Alessia faceva
parte del mio quartetto di chitarra, composto
da me, Alessia, Martina Patti e Daniele Sovrani. Di conseguenza non avremmo potuto
esibirci nel quartetto, dopo aver fatto tanti
sforzi per prepararci al meglio. Il viaggio è
durato circa 4 ore. Dopo un po’ che eravamo
partiti, il prof Rosini ha chiamato l’altro
quartetto di chitarra, composto da Laura Vignali, Cristian Cestari, Martina Luciani e
Valentina Bortolotti, perché provassero vocalmente i loro pezzi di insieme.
A circa 70 km da Città di Castello, ci siamo
fermati ad un autogrill, dove ho mangiato un
gustosissimo muffin al cioccolato e anche i
miei compagni si sono ristorati.
Siamo arrivati a Città di Castello alle ore 10
circa. Ero un po’ preoccupato e…accaldato.
Successivamente, dopo aver preso i nostri
effetti personali, ci siamo disposti in cerchio
in un piazzale davanti alla scuola media
“Dante Alighieri” e, in 50, abbiamo urlato la
“formula segreta” che ci porta fortuna. Dopodiché abbiamo cercato le aule destinate
alle esibizioni dei vari strumenti musicali.
Noi chitarristi siamo saliti al 1° piano e siamo entrati nella classe B1. Appena entrati,
un giudice ha pronunciato “Baldi Enrico”;
mi sono bloccato per qualche istante e poi
ho dovuto esibirmi. Mentre stavo suonando,
“grondavo” letteralmente di sudore perché il
sole mi batteva sulla nuca. Prima della esecuzione dei pezzi ero molto agitato ma, una
volta seduto, mi sono un po’ calmato, ma
non del tutto purtroppo. Comunque credo di
essere andato abbastanza bene nonostante
qualche incertezza. Quando tutti i solisti di
chitarra di 1^ media avevano terminato la
loro esibizione, siamo andati nell’aula a pian
4
terreno H1, dove il mio quartetto si è esibito
con il prof. Rosini (che sostituiva Alessia)
ma fuori concorso. Prima di noi, si era esibito l’altro quartetto di chitarra che ha ottenuto
il 2° premio.
Dopo aver finito di suonare, sono andato a
pranzare con i miei parenti umbri e i miei
genitori. Dopo aver pranzato, ho guardato le
esibizioni di altri ragazzi che suonavano
strumenti diversi e che hanno terminato nel
tardo pomeriggio.
Le premiazioni sono iniziate verso le ore 19.
Io, con grande stupore e soddisfazione, mi
sono classificato 3°.
Dopo le premiazioni, siamo partiti per tornare. Il viaggio di ritorno è stato un po’ noioso
e lungo. Siamo infatti arrivati a Voghiera
molto più tardi del previsto, circa alle 2 di
notte.
Quello che non dimenticherò mai di questa
esperienza è stata l’emozione di dover iniziare a suonare per primo e di dover rompere il ghiaccio.
Enrico Baldi
“Pierino dove vivevano gli antichi Galli?”
Pierino: “Negli antichi pollai!”
Diego Maestri
La prof entra in classe e dice:
“Ragazzi, oggi finiamo l’argomento cominciato ieri mattina e vi parlerò del calcio.”
Francesco salta su e dice:
“Prof io so già tutto dell’argomento… me ne ha parlato ieri pomeriggio il mio mister all’allenamento!”
La bidella entra in classe e dice agli alunni:
“Ragazzi ricordatevi che oggi avete il rientro.”
Appena finite le lezioni la bidella vede Danilo e Pietro che entrano ed escono dalla porta della scuola…
Sbalordita chiede: “Cosa state facendo??!!”
E Danilo: “Stamani ci hai detto che oggi c’era il rientro!!”
Novella Parolini
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Testi umoristici (Alla maniera di Stefano Benni)
Concorsi, concerti e lezioni
CITTÀ DI CASTELLO 2009
IL SECCHIONE
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Entra in classe dalle finestre. Quando arriva non c’è ancora nessuno
Sul banco è tutto in perfetto ordine. Se qualcosa non è al suo posto ha una crisi di nervi.
Ha un set di trenta matite sempre super appuntite. Se una si spunta, butta via la matita.
Alza la mano sempre per primo, anche se la prof non ha ancora fatto la domanda.
In 1a media sapeva già tutto il programma … anche quello di 3a media.
Quando la prof lo interroga incomincia a parlare dopo il suo VIA! Smette solo quando lo portano via in barella. Non riprende il respiro.
Se sbaglia qualcosa nell’interrogazione dà la colpa all’autore del libro: è un incompetente!
Elena Tamisari
Il 7 maggio 2009, io, alcuni miei compagni
di scuola, i professori e alcuni genitori, siamo andati a Città di Castello, in provincia di
Perugina, per partecipare ad un concorso
musicale.
E’ stata una giornata particolare: la sveglia è
suonata alle 5:00 e, quando mi sono alzato
dal letto, ero in “coma”….
Siamo partiti da casa alle 6:00 per essere
davanti alla scuola alle 6:15. arrivati mi sono messo subito a cercare i miei amici; una
volta trovati, ho cominciato a parlarci, chiedendo se erano stanchi, in tensione o se avevano paura di sbagliare davanti ai giudici.
Dopo un po’ di chiacchiere, l’autista del pullman ci ha detto di mettere gli zaini negli
appositi scompartimenti, ma, prima di mettere il mio, mi sono preso la PSP con tutti i
miei giochi.
Saliti sul pullman, in ordine alfabetico, mi
sono seduto di fianco ad Alessandro, davanti
a noi c’erano Frighi e Ferrari. Siamo partiti
alle 6:30. il viaggio è durato circa quattro
ore e io Ale e Ferro abbiamo giocato quasi
tutto il tempo con le nostre PSP… mi sono
molto divertito!
Arrivati a Città di Castello, tutti noi (alunni
e prof.) abbiamo urlato il nostro rito scaramantico: « MERDA! MERDA!! MERDA!!!» Dopodiché siamo andati con i rispettivi prof. e abbiamo subito assistito all’audi-
zione del duetto di Forlani e Passantino…
sono stati bravissimi!!!
Finita la loro audizione il prof. ci ha detto di
riposarci nel giardino e che saremmo dovuti
andare nell’aula delle audizioni nel momento della pausa pranzo dei giudici, per poter
provare i vari brani che avremmo dovuto
eseguire facendo tesoro degli ultimi suggerimenti del prof..
Quindi io, Rizzo e la Vassalli con la supervisione di mia mamma, della mamma di
Rizzo e di quella della Vassalli, siamo andati a riposarci. Io e Rizzo abbiamo giocato
con le nostre PSP e ad un gioco stupido: lanciare le carte da gioco e poi andarle a riprendere.
Dopo un po’, alle 12:30, abbiamo pranzato
con dei panini che ci siamo portati da casa;
la mamma di Rizzo mi ha anche offerto metà panino con la nutella ed io, ovviamente,ho accettato ringraziando. Finito di pranzare, io e Rizzo, siamo andati a fare una passeggiata fuori dalla scuola e siamo andati ad
un bar a prenderci un gelato. Tornati in giardino abbiamo giocato a muretto.
Più il tempo passava, più aumentavano tensione, paura e agitazione. Mancava poco alla
mia audizione, circa mezzora. Dato che
mancavano molti ragazzi, ho suonato subito… siamo entrati nell’aula dell’audizione,
eravamo io, più tutti gli amici e i genitori.
Ad effettuare l’audizione eravamo in tre: io,
la Cate e Forlani, eravamo della categoria
A2. era il turno di Forlani, è stato molto bravo, si è meritato gli applausi. Dopo toccava
alla Caterina, è stata molto brava e si è meritata molti applausi, infine toccava a me…
mi sono agitato, ero molto nervoso, ma appena mi sono seduto sulla panchetta, mi sono subito rilassato, ho eseguito i miei brani
con calma e, infine, dovevo suonare il brano
d’obbligo: “L’antica canzone napoletana”.
Tutta l’audizione è andata abbastanza bene.
Alla fine di tutto hanno fatto le premiazioni… io sono arrivato al 4° posto con 84 punti!!! Sono stato molto contento del mio risultato.
Dopo che il mio punteggio è stato annunciato, sono andato a giocare a muretto con i
miei amici. Le premiazioni sono durate circa
due ore.
Finite tutte le premiazioni, siamo partiti per
tornare a Voghiera. L’unica nota stonata
della giornata, è stato il ritorno, perché abbiamo cambiato strada due o tre volte per
lavori in corso. Arrivati a Voghiera alle due
di notte siamo andati tutti a casa stremati.
E’ stata un’esperienza da ripetere.
Giovanni Zagagnoni
CITTÀ DI CASTELLO
IL “TRADIZIONALE”
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Arriva a scuola sempre in orario. Nove volte su dieci ancora in pigiama.
Ha sempre i libri in ordine. Le penne sempre … a terra.
Ha una dozzina di matite (tutte avute in prestito!).
Alza la mano dieci volte … all’anno.
Alla fine della 2a media non conosce ancora il programma dei cinque anni della scuola primaria.
Quando viene interrogato apre solo la bocca e non dice una parola, facendosi credere …muto. Spesso ci crede anche lui.
Se sbaglia qualcosa durante un’interrogazione è colpa della prof: l’ha confuso.
Elena Tamisari
IL PIGRO
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Arriva a scuola come un sonnambulo: si guarda in giro, poi esce credendo di avere un incubo.
Non c’è mai ordine sul suo banco. A volte non trova neanche quello.
Per prendere una matita, la cerca… nel cappotto.
Alza la mano molte volte al giorno … per grattarsi sotto le ascelle.
Tutte le volte che sbaglia alza le spalle dicendo: “Sbagliando s’impara.”
Per giustificarsi di non aver studiato inventa scuse assurde: “Il mio cane ha rincorso il gatto, che si è aggrappato al mio diario, che si è
strappato, e non sapevo quali compiti fare. Se vuole le porto i fogli ridotti a striscioline…” Il giorno dopo scrive i compiti sui post-it.
All’esame di 3a media espone ai prof la storia di … Paperino. Quando saprà di non essere stato promosso, si chiederà perplesso PERCHÉ?
Elena Tamisari
76
Giovedì 7 maggio 2009 i miei compagni ed
io abbiamo partecipato ad un Concorso musicale in Umbria, più precisamente a Città di
Castello.
Il ritrovo davanti alla scuola era previsto per
le 6:00, ma io sono arrivato per primo già
alle 5:45.
I professori accompagnatori erano: Domenico Marcello Urbinati, Massimiliano Urbinati, Rosini Paolo e Gioachin
Paolo. Subito dopo di me è arrivato mio
cugino Cristian e, prima che arrivasse il
pulman, sono stato in macchina con lui.
Arrivato il pulman, verso le 6:15, abbiamo caricato le nostre cose nel portabagagli e siamo saliti.
Il viaggio di andata è stato divertente…
Ad un certo punto ci siamo fermati all’Autogril, abbiamo mangiato un panino
e siamo ripartiti.
Verso le 10:00 siamo arrivati a destinazione presso la Scuola Media “Dante
Alighieri”.
Si fa fatica e credere, ma non ero emozionato.
Poi, prima di suonare, abbiamo detto il nostro grido scaramantico:
<< M***A- M***A- M***A >>.
Subito dopo, abbiamo preso le nostre cose e
ci siamo recati in una sala per le prove.
Io e i miei compagni eravamo i primi a suonare.
Dopo 5 minuti veloci di prove, siamo entrati
in un'altra aula dove ci aspettavano dei giudici.
Mentre suonavo ero calmo e pensavo solo
ad ascoltare il mio compagno e ad eseguire
la mia parte.
Alla fine penso di aver suonato bene.
Poi, per il resto del giorno, sono andato a
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giocare e non ha fatto altro di importante.
Nel primo pomeriggio il mio professore di
clarinetto ci ha chiesto se volevamo andare a
fare un giro per il paese, poi ci ha offerto il
gelato. Alla sera ci sono state le premiazioni,
io e il mio compagno siamo arrivati terzi
con 89/100.
Quando hanno chiamato il mio nome e
quello del mio compagno ero contentissimo.
La nostra scuola è arrivata prima e i
clarinettisti primi assoluti con 99/100.
Il viaggio di ritorno è stato altrettanto
bello e io ho dormito un po’, ma era
difficile visto che c’era qualcuno che
mi svegliava sempre.
Ci siamo fermati all’ Autogrill e alle
2:00 circa eravamo a casa.
Sicuramente di questa esperienza non
dimenticherò quando hanno chiamato il
nome della scuola e che i clarinettisti si
siano classificati primi assoluti; l’emozione di quel momento per noi tutti era
altissima ed io, insieme agli altri, ho
pensato di aver tenuto alto l’onore della mia
scuola.
Claudio Miccio
Concorsi, concerti e lezioni
Testi umoristici (Alla maniera di Stefano Benni)
“ULTIMA VOLTA” A CITTÀ DI CASTELLO
Giovedì 7 maggio, noi ragazzi della scuola
media di Voghiera, tutti elettrizzati, siamo
partiti per andare al concorso di Città di Castello a cui partecipiamo tutti gli anni. Abbiamo caricato sul pullman gli strumenti e
siamo partiti. Durante il viaggio abbiamo
cantato dei canti tradizionali come: ” Là nella valle” o “ Sul paion” e tante altre canzoni.
Il tempo era stupendo non c’era neanche una
nuvola in cielo. Quando siamo arrivati abbiamo fatto il rito scaramantico (suggerito
dal prof. Rosini Paolo); a questo punto ci
siamo divisi per strumento. I primi a suonare
sono stati quelli di prima ed erano emozionantissimi perché per loro era un esperienza
totalmente nuova e hanno suonato davvero
bene; poi è toccato a quelli di seconda suonare e anche loro erano agitati, ma hanno
suonato bene anche loro.
Nel frattempo è arrivata l’ora di pranzo e
così verso le 13.00 siamo usciti nel retro
della scuola e siamo andati a mangiare e
giocare. Finito di mangiare, almeno per
quanto riguarda i chitarristi, siamo andati a
provare in un’aula aspettando che arrivasse
la commissione, abbiamo suonato fino alle
16.00 poi siamo andati davanti dalla commissione a suonare: mentre suonavo provavo un’emozione fantastica, speciale: pensavo che quel momento sarebbe stato l’ultimo,
l’ultimo ricordo delle scuole medie. Finito
di suonare siamo usciti e abbiamo aspettato
le 19.00 per sentire le premiazioni, e in quell’ arco di tempo abbiamo giocato e riso e
conosciuto altri ragazzi provenienti da altre
scuole d’Italia. Alle 19.00 sono iniziate le
IL SECCHIONE
premiazioni: tutti i ragazzi della scuola media di Voghiera si sono qualificati ai primi
posti; io mi sono piazzata al secondo posto
con 90 punti su 100. Alcuni ragazzi delle
prime si sono molto emozionati e tutti siamo
stati contenti dell’esito che abbiamo ottenuto. Alle 21.00 siamo partiti per tornare a
casa. Lungo il tragitto abbiamo letto dello
dediche ai prof. di musica che ci hanno accompagnato in queste esperienze. Questa
per alcuni di noi è stata l’ultima volta e volevamo far sapere loro quanto ci era servito il
loro insegnamento. Siamo arrivati a casa
verso le 02.00 della notte. Questa giornata
sarà un ricordo che rimarrà impresso per
sempre dentro di me.
Ilaria Piazzi
UNA LEZIONE SUL TEATRO
Martedì 9 Dicembre il Prof. Urbinati Domenico ci ha presentato
una lezione sul teatro.
Dai greci ai romani, dal Medioevo al Rinascimento, dall’ ‘800 ai
giorni nostri il teatro ha rappresentato da sempre un luogo di
ritrovo, di conversazione, ma
soprattutto di spettacolo.
Abbiamo le prime testimonianze
di teatro con i greci; inizialmente
il teatro non era considerato luogo di spettacolo ma di culto. Il
teatro greco aveva una caratteristica principale: doveva contenere il maggior numero di persone,
infatti veniva costruito su colline
naturali, dove venivano ricavate gradinate (il
teatro di Dioniso e di Epidauro ci danno un
esempio della grandezza dei teatri greci con
circa 10000 posti). Nel teatro greco si dava
molta importanza all’attività coreutica
(ballerini, cantanti), che veniva realizzata in
uno spazio circolare che era il fulcro del teatro; mentre il palco era distaccato dall’orchestra dando alla tragedia o alla commedia
un’importanza di secondo piano. Pur avendo un ruolo di secondo piano, gli attori erano apprezzati ma soprattutto favoriti, difatti
non pagavano le tasse ed erano esonerati dal
servizio militare.
I greci capirono due cose fondamentali: la
prima era che la propagazione del suono
avviene in modo sferico, quindi incominciarono a costruire i teatri a forma circolare,
e poi introdussero maschere per amplificare
il suono.
Con i romani si ha una trasformazione radicale del teatro, infatti diventò più un monumento che luogo di culto, non si costruì più
su colline ma si ricavò dal nulla, la forma da
circolare diventò semicircolare, lo spazio
diventò polifunzionale, si diede più spazio
agli attori, infine si incominciò a costruire
scene fisse, ad esempio con colonnati. Il teatro romano era gratuito e vi potevano accedere tutti, anche gli schiavi, cosa che i greci
non permettevano; naturalmente più la classe sociale era alta più il posto era vicino al
palcoscenico . Curioso era il comportamento
del pubblico, che era molto incivile e maleducato.
Con il Medioevo il teatro si sposta nei luoghi pubblici, come le piazze, o vi è il riutilizzo delle strutture romane; molto spesso
nel Medioevo venivano usati impalcature di
legno che venivano montate e smontate (da
qui il nome palco).
Nel Rinascimento ci fu un ulteriore spostamento del teatro che, dai luoghi pubblici, si
spostò nelle sale ma soprattutto nelle corti. Il
Rinascimento portò ulteriori innovazioni: la
platea divenne uno spazio utilizzabile e vi fu
un’ evoluzione del palcoscenico, l’unico
aspetto negativo fu che non era più uno spazio aperto a tutti, ma solo a chi faceva parte
della corte o a chi disponeva di una certa
quantità di denaro. E’ molto interessante
sapere che il primo tetro venne costruito a
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Ferrara, che allora era tra le corti
più raffinate.
Tra ‘600 e ‘800 si ha l’ultima
evoluzione del teatro e la consacrazione del teatro all’ italiana.
Si ha un’evoluzione in vari settori: nel modo di scrivere, perché
dal melodramma ( che oltretutto
era molto costoso) si passò all’opera, un’insieme di canto e ballo,
ai gradoni si preferì l’uso di palchi dove dietro c’erano anticamere o dependance nelle quali i
ricchi giocavano d’azzardo , facevano affari soprattutto durante
le repliche di uno spettacolo.
Spesso, durante le repliche, venivano chiuse le tende dei palchetti per permettere alla gente di fare ciò che voleva,
venivano riaperte nei momenti più importanti dello spettacolo.
Il teatro diventa un luogo pubblico, si ha
bisogno di uno spettacolo coinvolgente che
non piaccia solo al signore ma a tutti. L’ultima ma forse l’innovazione più importante fu
la comparsa del diritto d’autore, soprattutto
grazie a Verdi. La comparsa del diritto d’autore ridusse tantissimo la produzione teatrale
e musicale, inizialmente si chiedevano in
continuazione opere al compositore che veniva pagato solo per il testo; con il diritto
d’autore, le opere del compositore venivano
fatte risentire a distanza di mesi e il compositore riceveva più soldi se la sua opera aveva fatto successo. Nell’800 il teatro in Italia
ha avuto una diffusione grandissima, diventando il fulcro delle città e dei paesi.
Della lezione del prof D.M. Urbinati ho trovato particolarmente interessante il comportamento del pubblico nelle varie epoche storiche.
Raffaele Squarzoni
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Si trova già in classe, ancora prima che suoni la campanella.
Prima delle verifiche è sempre tranquillo, infatti conosce a menadito tutto il libro, compreso l’editore e le referenze fotografiche.
Scrive velocissimo e talvolta supera il muro del suono.
Nelle interrogazioni è il primo ad offrirsi volontario e parla a raffica, senza neanche sapere che si è dilungato troppo e che sta parlando… della coltivazione dei kiwi.
Quando suona la campanella dell’intervallo è triste perché vorrebbe continuare la lezione.
Il suo astuccio contiene di tutto: dalle normali penne a sfera al calamaio portatile.
Riconosce i libri ad occhi chiusi e li apre sempre alla pagine giusta, anche utilizzando i piedi.
Matteo Forlani
IL MEDIO
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Entra in classe con indifferenza e cerca di nascondersi sotto il banco.
Prima delle verifiche è molto teso: non riuscirà a scrivere tanto a causa di una tremarella incontrollabile.
Scrive con calma e deve riflettere un quarto d’ora dopo ogni parola.
Nelle interrogazioni perde sempre la voce o fatica a ricordare il proprio nome quando viene chiamato dal prof.
Quando arriva l’intervallo è felice perché può finalmente mangiare i dieci snacks al cioccolato che ha nello zaino.
Il suo astuccio è stracolmo e talvolta scoppia mentre cerca di recuperare il tappo della penna scivolato sotto.
Non sa nemmeno che libri ha nello zaino e impiega dieci minuti per trovare la pagina giusta. Un’ora con i piedi.
Matteo Forlani
IL PIGRONE
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Entra in classe mezz’ora dopo l’inizio della lezione e si giustifica dicendo che gli alieni hanno sabotato la sua sveglia. Ride.
Prima delle verifiche è calmo: non gli importa il voto che prenderà perché sa che non è colpa sua, ma di una antica maledizione Maya
che gli impedisce di studiare.
Scrive così lentamente che la penna è più veloce di lui.
Nelle interrogazioni ha sempre le stringhe delle scarpe slacciate e deve continuamente allacciarle.
Quando suona la campanella dell’intervallo è contento perché può finalmente imitare Pelé con le palline di carta stagnola.
Non ha l’astuccio: scrive con le punte delle matite trovate per terra e cancella con un pezzetto della suola gommosa delle sue scarpe.
Dimentica regolarmente i libri tutti i giorni pari e quando li porta non riesce mai ad aprirli alla pagina giusta perché le sue mani sono
specializzate solo nell’impugnare il joystick.
Matteo Forlani
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L’angolo del poeta in erba (Filastrocche)
Concorsi, concerti e lezioni
UNA POSTER PER LA PACE
LA VECCHIETTA, LA BORSA E IL FURFANTE
IL MIO CANE
CAPPUCCETTO
L’altro giorno dal bosco
È spuntato un tipo losco.
Ha derubato una vecchietta
Rubandole la borsetta.
La polizia è intervenuta
Dopo aver visto l’accaduto.
Ha rincorso in lungo e in largo il furfante
Che, però, era nascosto nella tenda di un mercante
In lungo e in largo lo hanno anche cercato
Ma mai lo hanno trovato.
La vecchietta ormai si è rassegnata
A lasciare la sua vecchia borsa, mai più trovata.
Ora però è di nuovo felice
Con la sua nuova borsa di vernice
E il furfante tonto ricercato,
è stato arrestato.
Il mio cane era bello
ma abbaiava tutte le ore
era sempre vicino al cancello
per aspettare le signore.
Mentre queste passavano in fretta
lui abbaiava a squarciagola
e tutte quante scappavano in fretta
e lui rimaneva con l’ abbaio in gola.
Nel verde del bosco
Nel punto più cupo
con fare assai losco
spunta un bel lupo.
Solo soletto
Si deve sbrigare
a cercar Cappuccetto:
la deve mangiare!
Martina Maggi
Enrico Balzeri
Alice Vassalli
PER MASCHI E FEMMINE
O BELL’ ARCOBALENO
IL GATTO MATTO
Ecco una farfalla
che si appoggia su un fiore
dai farfalla, balla
dalle rose alle more.
Amiamo la danza e l’incanto
o un vestito di rose
ascoltami mentre canto
col abito da sposa.
Ora per macchinine, calcio, calciatori
o anche diavoletti e mostri
non ricordiamo più gli sciatori?
Ehi femminucce quelli sono nostri.
Noi non abbiamo tempo per leggere
noi amiamo giocare …
… tacere tacere!!
O bell’ arcobaleno
tutto colorato
che vieni a ciel sereno
ed il temporale, via ti sei portato.
Tu vedi passerotti
usignoli e colibrì
cocci di temporali rotti
e cieli stellati tutto il dì
Tu che stai lassù
e vedi tutto così amaro
ma non ti disperare più
non scomparirai per un temporale avaro.
Per te manderei qualche farfalla
o magari perché no qualche fata
insieme ad una nuvola che con te balla.
Tanto ormai la tempesta è passata.
C’era una volta un gatto matto
che correva dietro a un ratto.
Egli se ne accorse
e per sfuggire a quella belva
si rifugiò in una selva.
Qui quel ratto incontrò un gran bestione:
un leone con un gran vocione.
Con il suo ruggito
a tutte le creature del bosco
fece un “invito”.
Come uno squadrone si organizzarono
e quel gatto matto pestarono
tanto che da matto
divenne un piatto.
Ora ANTONIO qui finisce le strofe
e BUONA ESTATE augura
a compagni e profe.
Zhara Atti
Un venerdì, durante l’ora d’arte, la prof. Fidora fece a me e ai miei compagni di classe
una proposta: partecipare ad un concorso
intitolato “Un poster per la pace”. Consisteva in un disegno che rappresentasse la pace
nel mondo; io ed altri miei compagni abbiamo accettato di partecipare.
Inizialmente non avevo nessuna idea, ero
indecisa se disegnare un bambino con diverse carnagioni o rappresentare la Terra; nella
mia indecisione cercai l’ispirazione
e...ecco !! un autoritratto, ma con qualche
anno in meno, mentre abbraccio il Mondo,
perchè il mondo è prezioso e non bisogna
consumarlo con le guerre. Ho poi rappresentato, seduti sulla Terra a gambe incrociate, quattro bambini di nazionalità diverse: un
bambino cinese, uno eschimese, un’ indiano
d’America e un bambino africano con i loro
vestiti tipici mentre si tengono per mano in
segno di uguaglianza, di fratellanza e in segno di amicizia.
Per far risaltare il mondo ho usato colori
vivi e molto brillanti; infatti nel mio autori-
tratto indosso una maglia a strisce colorata
dei colori della pace.
Lo sfondo ha una base color verde acqua e
in alto ho colorato un bell’ arcobaleno; tutto
il disegno è colorato interamente a pastello
escluse alcune sfumature a tempera azzurra
e bianca nello sfondo per dare il senso di
movimento.
Con questo disegno ho vinto il primo premio nella scuola e quindi sono stata invitata
assieme ai miei genitori ad una cena di premiazione. La sera del 16 aprile , con i miei
genitori e le prof. Paola Trevisani e Patrizia
Fidora siamo andati ad una cena organizzata dal Lions club di Portomaggiore, l’organizzatore del concorso. Appena arrivati ci
hanno fatti accomodare in una sala dove c’erano un buffet con gli antipasti (pizzette,
salatini , patatine, pezzi di pizza…) e dopo
l’arrivo del governatore ci hanno fatto sedere a tavola: noi ragazzi tutti in un tavolo, i
genitori in un altro e così dicendo.
Prima di cenare hanno suonato l’inno d’Italia e l’inno del Lions poi c’è stato il discor-
so d’apertura alla serata.
Dei ragazzi seduti al mio tavolo ne conoscevo solo: Cecilia, vincitrice della scuola di
Portomaggiore, e sua sorella maggiore Alessia, tutti gli altri li ho conosciuti a quella
cena; i loro nomi sono: Erica, Giurai e Alessandro con suo fratello minore.
Finita la cena ci hanno premiati:ci hanno
chiamati uno a uno dal governatore per fare
le fotografie mentre ci consegnavano i nostri
disegni, le targhette di vetro di Murano e
due attestati, uno per la scuola e uno per noi.
Quella sera mi sono divertita tantissimo e ho
fatto nuove amicizie, l’unica cosa che non
mi è piaciuto è stata la cena perché era quasi
tutto a base di asparagi e a me non piacciono.
I professori fanno molto bene a far partecipare gli alunni a questi concorsi perché sono
divertenti e istruttivi.
Elena Tralli
Lucrezia Ghirotto
Antonio Pavani
LO SQUALO GIOCHERELLONE
L’ELETTRICITÀ
LA JUVE
Lo squalo giocherellone
era tutto nero,
era un pestiferone
e si chiamava Calimero.
Il suo gioco preferito
era fare salti mortali
e scivolare sulle rocce di granito
negli splendidi fondali.
La sua famiglia era tranquilla
e viveva spensierata
perché beveva spesso camomilla
con la limonata.
Va in qua e in là l’elettricità,
come un carro colmo di felicità.
Entra in tutte le stanze della casa
e perfino nei laboratori della NASA!
Insomma questa energia pulita
È per noi la nostra vita.
Ma si può sprecare
così si deve graduare!
La juve, la juve
è bianco- nera
perché la juve,
è la più vera.
La juve non si ferma
davanti a niente
perché sembra in caserma
e non sono delle polente
Jacopo Tura
Giada Bottazzi
Michele Canneto
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ENERGIE RINNOVABILI
Venerdì scorso abbiamo avuto la lezione
TELLUS basata sulle energie rinnovabili.
Energia rinnovabile significa che viene generata da fonti che per la loro caratteristica
si rigenerano o non sono “esauribili”. Spesso le energie rinnovabili hanno sinonimi come “energia sostenibile” e “fonti alternative
di energia”.
L’energia sostenibile produce e usa dell’energia per l’aspetto degli usi energetici; le
fonti alternative di energia sono tutte quelle
diverse dagli idrocarburi cioè non fossili.
Le energie rinnovabili non contribuiscono
all’aumento dell’effetto serra. Per creare
dell’energia rinnovabile si usano spesso dei
rifiuti solidi urbani o materie prime non fossili. Poi abbiamo anche parlato del Protocollo di Kioto che è un trattato internazionale in
materia ambientale riguardante il riscaldamento globale. Nei paesi dove ci sono le
industrie si devono ridurre gli elementi inquinanti (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, per fluorocarburi e esafluoruro di zolfo).
Le fonti di energia di biomassa sono costituite dalle sostanze animali e vegetali che
possono essere usate come combustibili per
la produzione di energia. Poi ci hanno anche
spiegato come si ricava l’energia elettrica: si
mette la biomassa dentro un digestore nel
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quale si sviluppano microrganismi che con
la fermentazione dei rifiuti formano il biogas. Dopo essere stato depurato, il biogas
può essere usato come carburante, combustibile per il riscaldamento e per la produzione
di energia elettrica. Questa lezione è stata
molto importante e mi ha fatto capire che se
usiamo troppa energia è sicuro che incomincia il surriscaldamento globale quindi, per il
bene di tutti, è meglio consumare poca energia.
Diego Maestri
Visite guidate e viaggi di istruzione
L’angolo del poeta in erba (Favole in rima)
VISITA ALL’AZIENDA AGRICOLA “IL SERRAGLIO”
LA VOLPE E IL CORVO
Martedì 23 settembre, noi alunni delle classi
2^E e 2^F abbiamo visitato l’azienda agricola “IL SERRAGLIO” di Ospital Monacale,
in provincia di Ferrara.
Appena siamo arrivati Marco, il proprietario, ci ha detto che l’azienda, condotta anche
dalla sua famiglia, è un’azienda multifunzionale ed ecologica, perchè si producono cereali (grano, orzo, mais), foraggio, pere, mele,
pesche, ortaggi e, in misura minore, fragole,
perché ci sono siepi, boschetti, uno stagno
(cioè aree naturalizzate) ed anche una stalla
e l’agriturismo.
L’azienda è estesa su 27 ha e la S.A.U.
(superficie agricola utilizzata) è di 22 ha.
Successivamente abbiamo visto le siepi che
circondano e attraversano l’azienda: esse
frenano il vento e sono composte da alberi
alti (noci, pioppi, querce, salici, olmi, aceri,
carpini, gelsi, ...) alternati ad arbusti
(ligustro, sanguinello, frangola, ...).
In seguito abbiamo visto un prato di erba
medica e il frutteto di mele (rosse, gialle e
verdi) dove ci hanno spiegato che le erbe ai
piedi degli alberi aiutano a fare frutti. saporiti e nutrienti, che si irriga con l’acqua del
Po che confluisce nello stagno, che si usano
veleni naturali per non annientare gli insetti,
ma che quest’ultimi sono sotto controllo e
che l’aumento delle zanzare è stato causato
dalla diminuzione dei predatori di zanzare
(rane, rospi, pipistrelli) che hanno portato ad
uno squilibrio dell’ambiente.
Dopo il frutteto di pere e quello di pesche ci
sono stati mostrati gli stocchi di mais, che
poi sarebbero diventati andane e infine rotoballe (da usare come lettiera o come mangime per gli animali) e le piante di farino (che
rilasciano azoto); inoltre ci è stato spiegato
che le coltivazioni di mais, farino, orzo e
grano si alternano ogni anno in modo da creare una rotazione colturale quadriennale.
Successivamente abbiamo visto il bosco,
riserva di insetti, uccelli e animali selvatici e
lo stagno, luogo di ripopolamento di alcune
specie.
Dopo aver fatto merenda con prodotti dell’azienda ci è stata mostrata la stalla composta
da due zone: una con le mucche fattrici
(fanno i vitelli e mangiano foraggio, fieno,
erba medica, paglia, orzo, farino, mais) e
l’altra con i vitelli (quelli grossi vanno al
macello e successivamente in macelleria).
Le mucche fattrici e i vitelli producono carne e letame; quest’ultimo, se gettato su un
terreno, deve essere subito arato così da nutrirlo insieme ai raccolti che nasceranno.
Penso che questa prima uscita del progetto
TELLUS di quest’anno scolastico sia stata
interessante ed entusiasmante perché ho capito com’è fatta un’azienda multifunzionale
ed ho imparato molte cose nuove.
Un corvo su un davanzale un pezzo di formaggio trovò
e nella sua dimora lo portò.
Mentre lo stava per mangiare
arrivò una volpe che gli chiese di cantare.
E lui per farla felice
non si rese conto che era una volpe ingannatrice.
Aprì la bocca e il formaggio si sfilò.
E la volpe con un balzo l’afferrò.
Le lusinghe fan piacere
ma non sempre son sincere.
Alle volte anzi spesso
servon solo a farti “fesso”.
Altea Poltronieri
Matteo Forlani
LA VOLPE E LA CICOGNA
Una volpe un giorno una cicogna a cena invitò
e un cibo liquido nel piatto versò.
Lei molto appetito aveva
ma mangiar non poteva.
La cicogna a sua volta la volpe invitò
e il cibo triturato in un vaso dal collo lungo infilò.
Introducendo il becco essa si saziava,
ma la volpe, non arrivando al cibo, digiunava.
Il collo del vaso inutilmente leccò;
La cicogna disse questo poi se ne andò:
“Ognuno si deve rassegnare
all’esempio che ha voluto dare”
Ora l’insegnamento capirai:
Se del male tu farai
probabilmente in ugual misura lo subirai.
PROGETTO “TELLUS”: LO ZUCCHERIFICIO DI MINERBIO
Noi alunni della II F, il giorno 21/10/08 siamo andati a Minerbio (BO) per visitare lo
zuccherificio. Dapprima il direttore ci ha
invitato a stare in una sala in cui ci ha parlato del suo zuccherificio: ci ha detto di non
immaginarci una fabbrica di cioccolata, ma
uno zuccherificio in cui ci possono essere
diversi odori. Ci ha parlato in generale della
barbabietola da zucchero da cui si ricava lo
zucchero e ci ha detto che la barbabietola ha
due fasi:
1. Quella agricola.
2. Quella meccanica-industriale.
La barbabietola si coltiva alla fine dell’inverno, cioè all’inizio della primavera e viene
raccolta a metà estate.
Ci ha spiegato che per arrivare dalla barba-
bietola allo zucchero ci sono alcuni passaggi:
1. SEPARAZIONE delle foglie dalle radici.
2. LAVAGGIO: pulizia in acqua delle radici
da terra e separazione di corpi estranei: pietre e erbe.
3. ESTRAZIONE del sugo zuccherino dal
tessuto vegetale.
4. DEPURAZIONE del sugo zuccherino
greggio mediante calce e anidride carbonica
per precipitare impurezze insolubili: sali di
calcio e proteine.
5. EVAPORAZIONE: concentrazione del
sugo zuccherino depurato mediante evaporazione di gran parte dell’acqua.
6. CRISTALLIZZAZIONE: formazione di
cristalli di zucchero nello sciroppo concen-
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trato mediante ulteriore evaporazione di acqua.
Quando siamo usciti abbiamo visto in che
modo le barbabietole venivano portate allo
zuccherificio dal camion. Poi abbiamo visto,
però da fuori, dove venivano lavate e poi
dove venivano tagliate in fettucce. Abbiamo
visitato anche la centrale di controllo e anche la centrale termica dove si produce vapore ed elettricità. Prima di visitare la centrale termica siamo andati, con il direttore,
in un laboratorio chimico, in cui ci ha fatto
vedere che dalle fettucce si ricavano i sughi.
Alessandro Zanzi
Hassan Mohammad
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L’angolo del poeta in erba (Poesie)
Visite guidate e viaggi di istruzione
VISITA AL TEATRO COMUNALE DI FERRARA
TERREMOTO
Ore 3.32
26 secondi di panico
In strada,
fuori e dentro casa.
Persone, vite
che scappano,corrono, fuggono.
La terra trema
e ci crolla addosso tutto.
È il terremoto.
il terremoto che
ha portato con sé
molti di noi
Quel terremoto
che ha lasciato dolore.
Martina Piazzi
LA TEMPESTA
Il vento soffiava impetuoso,
la pioggia cadeva a dirotto;
i fiumi allagavano i paesi, le onde radevano al suolo ciò che incontravano.
Distese di uffici distrutti
da quella tremenda violenza assassina
che uccide le persone
come se fossero uccelli senza ali,
senza dare la possibilità di scappare.
Sono la tempesta
Nico Marzocchi
LA GUERRA
RICORDI
Tanti soldati cadevano ai miei piedi
come petali di rose appassiti.
I campi si tingevano di rosso
dei corpi di quegli umili soldati;
e io restavo inerte in questa situazione.
Il rombo dei passi dei soldati
diminuiva sempre ogni minuto.
Le vite spezzate di quelle persone
obbligate a far la guerra
è una piccola malvagità dell’ uomo.
Ricordi, nient’altro che ricordi
Ricordi bellissimi che un giorno
saranno tutto ciò che rimane
della nostra vita, se non che
la speranza di riviverli.
Sarebbe bello poterlo fare,
ma purtroppo non siamo
padroni del tempo, siamo
solo padroni di dargli un senso.
Giulio Belletti
Antonio Stracuzzi
72
Mercoledì 10 dicembre io e i miei compagni, accompagnati dalla prof.ssa Tosi e dal
prof. Urbinati, alle 8:30 siamo saliti in pulmino e ci siamo recati presso il teatro comunale di Ferrara.
Arrivati ci ha accolto Maria Grazia, la responsabile del teatro, che ci ha fatto accomodare in platea e ci ha parlato della storia
di quest’ultimo.
Innanzitutto questo teatro è stato realizzato
nel 1798 da due architetti: Cosimo Morelli e
Antonio Foschini su un progetto già preesistente di Antonio Campana, ci sono voluti
ben 20 anni per realizzarlo, questo per rispettare i requisiti fondamentali di un buon
teatro “all’italiana”:
-prima di tutto la capienza (che in questo
teatro è medio-alta), con circa 980 posti
complessivi distribuiti tra la platea, al piano
terra, due ordini di palchi, al primo e secondo piano, una galleria al terzo piano, ed infine al quarto ed ultimo piano il loggione.
-poi un’altra fondamentale caratteristica era
l’acustica: infatti, era molto diffuso andare
a teatro per vedere degli spettacoli di canto e
di lirica, per cui ci doveva essere un’acustica
perfetta, che permettesse di sentire bene
anche dal loggione. Per questo motivo il teatro è stato realizzato con materiali come il
legno, il cartongesso ed il velluto, e la forma
ellittica (con la presenza di una “curva” molto accentuata) , garantiva al suono di
“scivolare”, e quindi di essere attutito e non
di rimbombare. Inoltre nei concerti, al giorno d’oggi, il suono è ancora più “pulito”,
grazie alla disposizione di speciale pannelli
che permettono anche di amplificarlo.
Infine c’è il palcoscenico, che può essere più
o meno profondo, anche se quando si assiste
a uno spettacolo non si ha la percezione della sua grandezza, infatti, coperti da innumerevoli tendaggi in ferro ci sono le numerose
impalcature, in alto si trova il graticcio in
legno, che risale alla prima apertura del teatro, con le carrucole che garantiscono il rapido cambio di scena e degli ambienti.
L’orchestra si trova nella parte del teatro fra
il palcoscenico e la platea, qui il pavimento
viene abbassato e rimane visibile solo il
mezzo busto del direttore d’orchestra, che si
trova in una posizione più rialzata rispetto a
questa specie di “buca”, che è nata da una
rivoluzione del compositore tedesco Richard
Wagner, che voleva creare uno spettacolo
dove l’orchestra fosse nascosta, in modo che
il pubblico dovesse puntare gli occhi esclusivamente verso lo spettacolo.
Questo teatro, durante la II° Guerra Mondiale ha ospitato i tedeschi e, successivamente,
fu rifugio per gli sfollati, è stato poi dichiarato inagibile e restaurato. Un successivo
restauro per la sicurezza è stato effettuato
nel 1989; è stata installata una parete frangifiamme che permette di isolare il fuoco in
caso di incendio.
Le uniche opere originali rimaste sono i dipinti sul soffitto del teatro e del ridotto e
l’orologio sopra il palcoscenico che però è
stato bloccato a causa del suo ticchettio che
infastidiva gli spettatori durante lo spettacolo, il magnifico rosone sul soffitto è stato
trafugato, anche il grande lampadario è andato perduto, il sipario invece è stato sostituito perché durante la guerra si è sgretolato
e quindi non era più utilizzabile.
Dopo questa approfondita spiegazione ab-
biamo attraversato il palcoscenico (dove si
stavano svolgendo dei lavori) e siamo andati
nei camerini: Maria Grazia ci ha spiegato
che i camerini sono disposti su due piani, al
primo piano si trovano gli artisti principali,
mentre il secondo piano e destinato ai gruppi.
Dopo aver visto i palchi, la galleria ed il loggione ci siamo recati al “ridotto” ; è una sala
dove un tempo, quando si andava a teatro, si
discuteva di vari argomenti, infatti molte
persone si annoiavano e molto spesso mangiavano e addirittura andavano per buona
parte dello spettacolo in questo posto a discutere o a giocare, per tornare poi solo per
vedere le scene principali e quelle più importanti.
Infine abbiamo visto una sala di prova dello
spettacolo, siamo poi tornati nell’ atrio principale e, saliti in pulmino, siamo tornati a
scuola.
La visita al teatro mi è piaciuta molto, la
spiegazione è stata molto dettagliata ed interessante; consiglierei ad un mio compagno
di vederlo perché è stata veramente una bella esperienza.
Marta Scanavini
VISITA AL TEATRO COMUNALE DI FERRARA!!!
Il giorno 11 dicembre 2008 noi della classe
3°f ci siamo recati al teatro comunale di Ferrara. Arrivati abbiamo visto un momento di
preparazione per uno spettacolo che sarebbe
andato in scena la sera stessa. La signora
Maria Grazia Soavi,che ci ha guidato per il
teatro,ci ha fatto accomodare nella platea e
ha iniziato a spiegarci un po’ le caratteristiche del teatro,ad esempio lo sfondo nero e le
travi in legno(traveccio).
In seguito ha iniziato ad illustrarci il teatro,
nato nel 1798 e progettato da da tre architetti
Giuseppe Campana, Antonio Foschini, Cosimo Morelli che volevano un teatro pubblico
per soddisfare soprattutto 2 esigenze:
-cercare di ospitare più persone possibili.
-garantire una buona acustica.
il teatro ha una forma ellittica,curva cosi che
il suono riesce ad espandersi in maniera libera senza ostacoli. All’ acustica si aggiunge
anche il materiale di legno molto ricercato in
modo che possa garantire una buona acustica, può essere anche di cartongesso e di vel-
luto.
Altra caratteristica del teatro è la bocca dell’orchestra che cambia posizione a seconda
dello spettacolo es: per lo spettacolo di lirica, lo spazio dell’orchestra viene fatto togliendo le prime 2 file della platea e poi si
alza grazie ad un sistema idraulico. Nel teatro ci sono 5 ordini in cui sono presenti 23
salette ognuno, quelle centrali sono per le
autorità. Abbiamo notato che in alcuni palchetti c’erano degli specchi, e Maria Grazia
ci ha spiegato che venivano portati dai palchettisti cioè quelli che occupavano i palchetti Nell’ultimo ordine un tempo ci stavano al le persone di religione ebraica secondo
le leggi razziali emanate nel 1938 durante il
fascismo. L’acustica migliore si trova nel
loggione, la parte più alta (e la più povera e
si spende meno).Nel teatro oltre alla platea e
al palco ci sono i camerini degli attori e 3
sale prove disposte una sopra l’altra, ospita
anche dei laboratori per i ragazzi. Sono anche presenti le sale del ridotto dove durante
9
gli intervalli il pubblico può fare un
break,oppure vengono utilizzate anche per
riunioni.
Purtroppo non siamo andati a vedere il palcoscenico perchè c’erano gli operai che stavano lavorando quindi per motivi di sicurezza non era il caso, però siamo andati a vedere “il sotto palcoscenico”, li abbiamo visto
che c’erano delle travi che sostenevano il
palco e il gruppo elettrogeno gestito da alcuni tecnici.
Purtroppo la visita era conclusa e siamo dovuti ritornare a scuola, ma è stata una visita
istruttiva!!
Rachele Bucchi
Silvia Cavolesi
Giulia Righetti
Visite guidate e viaggi di istruzione
L’angolo del poeta in erba (Poesie)
TUTTI ALL’IPERCOOP !!!
Martedì 17 Febbraio noi della classe I E di
Voghiera siamo andati all’Ipercoop di Ferrara, con la prof. Monici e la prof. Auletta.
Questa uscita ci ha insegnato tante cose.
L’attività si intitolava “In principio era
Pong”, infatti abbiamo parlato di videogiochi. In un primo momento siamo entrati in
una stanza, poi con Jacopo, il ragazzo che ci
ha guidato, abbiamo scelto le carte che rappresentavano i giochi e le attività che facevamo di solito dopo le ore dedicate alla
scuola. Ognuno di noi, poi, aveva un’etichetta per distinguere i nomi. Dopo le carte
attività, Jacopo ha scritto una tabella divisa
in quattro parti, dove ha scritto i diversi giochi, per esempio: nascondino, scacchi, dama, gatto, monopoli, calcio…
Dopodiché, Jacopo ha spiegato con una fotocopia che i videogiochi, se non ci fosse
stato Pong, il primo videogioco, non sarebbero esistiti. Pong compie 50 anni quest’anno: era un videogioco dove una pallina rimbalzava tra due “ pedine” che venivano mosse da chi giocava. Poi ci ha spiegato che il
secondo videogioco inventato era Pac-man,
una pallina che apriva e chiudeva la bocca
per mangiare le bricioline per terra, ma doveva stare attento perché c’erano i fantasmi.
Ogni volta che finiva le briciole si passava
ad un altro livello. Il campo da gioco era un
labirinto che, visto in un’altra posizione
sembrava un supermercato. Qui è venuto il
bello: Jacopo e le prof. ci hanno fatto giocare a Pac-man, ma nella realtà. Loro erano i
fantasmi; c’erano quattro gruppi da quattro
persone, e uno da cinque. Ogni gruppo aveva due Pac-man legati insieme da un elastico o dallo scotch, c’era un guidatore e un
fantasmino. I Pac-man dovevano ascoltare
solo gli ordini del guidatore e, se non lo rispettavano, il fantasmino li puniva, ad esempio facendoli stare immobili trenta secondi.
Il mio gruppo era formato da: Teo, Giorgio,
Irene ed io. Io facevo il guidatore, Irene il
fantasmino, mentre Giorgio e Teo erano
Pac-man. Jacopo ci spiegò che ogni gruppo
doveva cercare i salvacoda del pane , del
prosciutto e del pesce. Subito siamo partiti
e, per due volte, abbiamo incontrato la prof.
Auletta: la prima per colpa mia che non l’avevo vista e le siamo corsi addosso, la seconda siamo riusciti a fuggire. Senza problemi abbiamo preso i salvacoda, poi io e il
mio gruppo ci siamo diretti nella corsia dei
videogiochi, dove dovevamo prenderne uno
e segnarci il prezzo. Dentro l’Ipercoop per
poco ci perdevamo. Mentre gridavo: avanti!
Destra! Sinistra! Gira, gira, gira! Siamo arrivati nel “campo base” con tutto il necessario. Eravamo i primi ma tanto non era una
gara. Una volta arrivati tutti, abbiamo fatto
merenda con succo, cracker e plumcake.
Infine abbiamo parlato del denaro e di cos’erano le carte del Bancomat.
Alla fine abbiamo capito che è meglio spendere 80€ per quattro palloni e giocare in 88,
che spendere 82€ per prendere un videogioco e giocare in otto al massimo.
Questa esperienza mi è piaciuta molto e trovo giusto quello che ci è stato detto.
Ilaria Ferrari
VISITA AL CIMITERO EBRAICO E ALLE SINAGOGHE
Lunedì 16 marzo 2009, le classi 3E e 3F sono andate in visita al cimitero ebraico e alle
antiche sinagoghe di via Mazzini. Anticamente a Ferrara era presente un numero considerevole di Ebrei che provenivano da altre
parti d’Italia e da tutta Europa. Infatti, molto
spesso, gli Ebrei venivano cacciati dai loro
paesi e trovavano rifugio a Ferrara presso la
famiglia degli Estensi che li accoglieva. A
Ferrara si creò una comunità veramente numerosa e vennero costruite 4 sinagoghe: la
Scola Italiana, la Scola Tedesca, la Scola
Spagnola e la Scola Fanese. Gli Ebrei prosperarono fino a quando gli Estensi si trasferirono a Modena e Ferrara passò nelle mani
dello Stato Pontificio. In quel periodo le
condizioni degli Ebrei peggiorarono molto
soprattutto quando, nel 1627, vennero rinchiusi nel ghetto con grandi restrizioni alla
loro libertà. Infatti gli Ebrei potevano entrare e uscire dal ghetto solo entro una certa ora
e dovevano portare drappi colorati o degli
orecchini per farsi riconoscere. Con l’unità
d’Italia il ghetto fu eliminato. Le condizioni
degli Ebrei peggiorarono nel corso del ‘900
con le leggi razziali del 1938. Io e le due
classi, accompagnati dalla professoressa Tosi, dal professor Urbinati e dalla professoressa Varriale, abbiamo visitato inizialmente
il cimitero ebraico, anche se purtroppo non
ci siamo trattenuti a lungo. Il cimitero era
bello perché c’era molta vegetazione e abbiamo visto molte tombe tra cui una a forma
di baldacchino dov’erano seppelliti due sposi, ma la più importante è quella di Giorgio
Bassani, la cui lapide è stata realizzata da
Pomodoro, uno scultore contemporaneo.
Sulla tomba non c’erano fiori, bensì sassi
perché questa è la regola della tradizione
ebraica. Le tombe vengono scavate a una
profondità di 6m e appartengono al morto
per sempre. Siamo tornati indietro e poi ci
siamo recati in via Mazzini, dove sono ancora visibili i segni dei cancelli del ghetto. Qui
le due terze si sono divise e, mentre noi di
3E siamo entrati a visitare le sinagoghe,
quelli di 3F hanno proseguito percorrendo le
antiche vie del ghetto. Quando siamo entrati
nella sinagoga tedesca, maschi e femmine si
sono divisi: le femmine si sono sedute a sinistra, mentre i maschi si sono seduti a destra con il capo coperto. Questa sinagoga è
un luogo di studio e di culto sin dal 1485 e
gli Ebrei di tutta Ferrara e provincia attualmente si riuniscono in questo luogo perché è
l’unica sinagoga presente. Sulla parete posta
in direzione di Gerusalemme troviamo l’Aron che contiene la Torah, il testo sacro;
questo è formato da una decina di rotoli e
può essere letto solo da un rabbino, in presenza di almeno 10 uomini adulti. Situata a
destra dell’Aron c’è una luce bianca, chiamata lume perenne, che indica che la Torah
si trova all’interno dell’Aron. La comunità,
una volta così numerosa, adesso conta circa
70 iscritti in tutta Ferrara e provincia. Poi ci
siamo spostati nel museo e abbiamo visto
che i rotoli della Torah sono ricoperti di
stoffa e di corone d’argento. Ci è stato comunicato dalla guida che la lettura del libro
sacro viene fatta in ebraico e il rabbino deve
commentarlo; questo è possibile a seguito di
10
uno studio approfondito. La Torah non si
può toccare e per tenere il segno si fa uso
della manina indicatrice. Questo libro viene
scritto a mano in Israele e, quando alcune
parti del testo diventano illeggibili, il libro
viene sepolto. Il ghetto venne istituito nel
1555, durante la dominazione dello Stato
Pontificio; nel periodo compreso tra il 1627
e il 1859 gli Ebrei vivevano nel ghetto ma,
quando uscivano, dovevano portare dei segni che li distinguevano dalle altre persone.
Dall’Unità d’Italia al 1938 gli Ebrei si integrarono ed emanciparono, ma nel 1938 furono emanate le leggi razziali e per gli Ebrei la
situazione peggiorò moltissimo. La Scola
italiana, la più grande di tutte, ora non è più
utilizzata. Nella parte sinistra della stanza
troviamo molte finestre, mentre a destra troviamo l’armadio che un tempo ospitava la
Torah. C’era un’altra Scola che però non
abbiamo visitato: è quella Danese. Questa
sinagoga è di dimensioni più piccole ma non
l’abbiamo visitata perché la stavano ristrutturando. Siamo usciti di nuovo in via Mazzini ripercorrendo le vecchie strade del ghetto.
Infine, prima di ricongiungerci agli altri,
abbiamo mangiato una pizza e siamo ritornati al pulmino. A me questa uscita è piaciuta molto perché non avevo mai visto né il
cimitero ebraico né le sinagoghe e li ho trovati molto interessanti ed istruttivi.
Altea Gallerani
IL MIO CANE
IL MIO GATTINO
Chi c’è migliore di lui….
Lui che è felice se lo degno di una carezza…
Lui che gioca per farmi contento…
Lui che è felice quando arrivo a casa…
Lui che non dice una parola… ma con gli occhi ne dice tante…
Lui che non mi tradirà mai…
Lui che sarà mio amico per sempre…
Il mio gattino,
fa tante fusa
poi si addormenta vicino al camino
che pare una musa.
Gioca come una bambino
felice e spensierato
quando correva nel giardino
come nel passato.
Nicholas Mantovani
Sabrina Maresta
IN MONTAGNA
PRIMAVERA
I prati si riempiono di mille colori
è primavera e nascono i fiori
il sole si accende
e il cielo di mille colori risplende.
come per magia
Gli alberi si riempiono di foglie e il mondo di allegria.
i bambini scendono in cortile a giocare
e li vedi ridere e scherzare,
ma quando tutto è in armonia
il cielo si oscura
un forte vento gelido le foglie spazza via,
e una gigantesca nube nera ritorna a far paura.
Tutti ritornano a casa e gli animali nella propria tana
aspettando che la pioggia sia già lontana.
poi un raggio di sole squarcia il cupo cielo
come una candida mano lucente solleva uno oscuro velo,
così il tesoro, la natura
può risplendere sicura.
In alto c'è un bellissimo arcobaleno
che regna nel cielo sereno,
donando a tutti tanta felicità,
che nel mio cuore a primavera nasce, e sempre ogni anno rinascerà.
Marco Padovani
ESTATE
Estate la stagione del sole, del mare, delle vacanze,
che dopo un anno di duro lavoro sembrano tengano delle distanze.
Si dimentica tutto anche il voto più brutto!
Metto via i libri nella credenza,
prendo fuori lo zaino per la partenza!
In vacanza con gli amici
siamo tutti felici.
Certo che l’estate è proprio bella,
non si sente più la campanella!
Solo i pizzicotti delle zanzare allietano poco
le nostre serate.
E se un temporale viene giù
dura solo qualche minuto e poco più.
Federica Scanavini
71
In montagna sono andato
con la mia famiglia,
ho trovato un ghiro addormentato
in un prato, che meraviglia!
Poi il ghiro si è svegliato
e io subito mi son nascosto
ma lui è scappato spaventato
su un albero del posto.
Marcello Ceolotto
IL TORRENTE
E’ un fresco ricordo
il suo sinuoso
andamento.
Stava passeggiando tranquillamente:
i faggi l’ombreggiavano
e le piccole trote gli facevano compagnia,
Si udiva solo il suo scorrere…
ma lo schizzare
di un giocoso cane
intorpidì la sua
limpida acqua.
Elena Tralli
L’angolo del poeta in erba (Poesie)
Visite guidate e viaggi di istruzione
VISITA AL MUSEO DI STORIA NATURALE
VORREI, VORREI…
Vorrei che il mondo non fosse cosi crudele,
Vorrei alzarmi alla mattina e che tutte le persone fossero felici,
Vorrei che le persone che commettono del male venissero punite,
Vorrei che il mondo fosse più pulito,
Vorrei uscire di casa e non pensare che dietro all’angolo ci sia qualcuno che mi possa fare del male,
Vorrei che le persone
non venissero trattate male,
Questo è ciò che Vorrei.
Sara Pacella
GUERRA E PACE
VORREI
Vorrei che nel mondo non ci fosse più la guerra
e che le armi venissero gettate a terra.
Questo è un mondo che vorrei cambiare
per poterci tranquillamente abitare.
Per me la pace è come una rosa
che deve essere sopra ad ogni cosa.
Vorrei essere il mare per sapere cosa c’è dopo di lui
Vorrei essere una stella per essere sempre illuminato
Vorrei essere l’estate per divertirmi
Vorrei essere il mondo e fermare la guerra
Insomma…
Vorrei la felicità e per tutti un po’ di serenità
Filippo Fabbri
Alessandro Quarella
LA VITA
DIVERTIMENTO
La vita è bella o brutta,
ma la si deve vivere tutta
pensare al presente
è la cosa più importante
il futuro prima o poi arriverà,
ma una sola vita si ha.
La vita non va sprecata.
La vita è un dono prezioso
molto più importante di qualsiasi cosa lussuosa.
La vita io me la godo tutta.
Divertimento vuol dire
voglia di qualcosa di alternativo,
Divertimento vuol dire
staccare la spina per una sera
e lasciarsi andare,
Il divertimento e voglia di divertirsi,
di evadere dalle regole,
vuol dire lasciarsi coinvolgere dalla musica
con le voci dei giovani DJ,
che urlano e incitano la gente a scatenarsi ancora,
tutto diventa un sound generale,
nessuno pensa più a nulla,
le menti si svuotano,
per lasciare spazio solo alla musica
Ilaria Gallerani
Ilaria Galletti
LA VITA
AMICIZIA VERA
Colline su cui passeggiare,
montagne da scalare,
ma dopo ogni fatica
un fiore brillante.
E’ un raggio di sole,
una corsa
nel silenzio della vita.
Lo splendore dell'amicizia
non è un tenersi per mano
nè un sorriso gentile.
L'amicizia è quando si scopre
che c'è qualcuno
che crede in noi
che si fida di noi
che farebbe tutto per noi.
Nicolò Piazzi
Rachele Bucchi
70
Il 24 marzo sono andato con la mia classe al
museo di storia naturale, non per visitarlo,
ma per parlare dell’estrazione del DNA (io
ero già andato a visitarlo con mia madre).
Arrivati, ci hanno portato in una stanza con
dei microscopi e altri strumenti scientifici.
Ci hanno parlato del DNA, della struttura e
tutto il resto. Poi abbiamo fatto un esperimento: con una palettina abbiamo grattato
l’interno della nostra guancia e quel che c’era sulla palettina l’abbiamo messo su un vetrino che ci avevano dato dove abbiamo
scritto le nostre iniziali per riconoscerlo. Poi
i vetrini sono stati messi ad asciugare sul
termo. Dopo che si sono asciugati ci hanno
spiegato che cosa dovevamo fare:con il contagocce dovevamo mettere sopra i vetrini
qualche goccia di blu metilene (sporcava un
mucchio!) e dopo qualche secondo si sciac-
quava con dell’acqua. E dopo di nuovo ad
asciugare sul termosifone. Una volta fatto
ciò, dopo che i vetrini si sono asciugati, uno
alla volta siamo andati a vedere, con il microscopio, sul vetrino che cosa c’era. Ci
hanno detto che le macchie blu erano le cellule morte mentre quelle blu chiaro con un
puntino azzurro erano cellule vive. Da me
c’erano più cellule morte che vive. Dopo
aver finito questo esperimento ci siamo divisi in 2 gruppi per fare un altro esperimento.
Il mio gruppo si è spostato in un'altra stanza
li vicino; l’esperimento consisteva nel
“mordere” l’interno della guancia, nell’accumulare la saliva in bocca e con un bicchiere
con acqua distillata, bere l’acqua e risputarla
nel bicchiere. Poi ci hanno una provetta vuota e con il contagocce dovevamo prendere
l’acqua nel bicchiere e metterla nella provet-
ta riempendola per un quarto. Dopo ci hanno messo nella provetta il tampone di Lisi e
dell’alcool fino a riempirla del tutto, e dopo
l’abbiamo chiusa con un tappo e abbiamo
scosso lentamente. Dopo bisognava aspettare un po’ per far si che reagisse. Se l’esperimento fosse funzionato, nella provetta bisognava vedere un lungo e sottile filo bianco
curvo. A qualcuno è venuto ad altri no. Da
me c’era solo un piccolo filo quindi si può
dire che non mi è venuto. A chi è venuto
l’esperimento, il filo (che sarebbe il DNA) è
stato messo in un ciondolo a forma di cuore
di vetro. Dopo di che siamo tornati a scuola.
E’ stata un’esperienza interessante.
Dario Ferraresi
ESTRAZIONE DEL D. N. A.
Avete mai visto nei
film polizieschi,
quando
trovano
l’assassino grazie al
D. N. A. (acido desossiribonucleico)
… Tutto questo mi
ha sempre affascinato, e finalmente
ho potuto vedere
con i miei occhi
come si trova il D.
N. A. Il 24 Marzo è
stata organizzata
dalla mia classe una
visita al museo delle scienze di Ferrara e qui abbiamo
potuto fare dei laboratori sul D. N.
A. Come nei film,
ci hanno dato un
bastoncino da mettere in bocca per
prelevare un po’ di
saliva, poi abbiamo
depositato la saliva
su di un vetrino e lo
abbiamo appoggiato su un termosifone per farlo asciugare un po’. Una
volta asciugato, sul
vetrino vi abbiamo
messo un po’ di
colorante blu, e poi lo abbiamo lavato con
acqua corrente. Ci hanno fatto osservare le
nostre cellule al microscopio (quelle col
puntino blu scuro al centro (il nucleo) erano
vive altrimenti erano morte) e questa prima
esperienza è stata molto interessante. La no-
stra seconda esperienza è stata ancora più
bella e interessante. Ci siamo divisi in due
gruppi. Per iniziare ci siamo mordicchiati la
bocca (per circa 30 secondi) poi abbiamo
bevuto l’acqua senza mandarla giù (per circa
25 secondi) dopo di che l’abbiamo messa
11
dentro una provetta.
Con la pipetta di
plastica abbiamo
messo dentro la
provetta 2ml di
tampone di lisi poi
abbiamo mescolato.
Ancora abbiamo
aggiunto cinque
gocce di proteasi
con la pipetta dopo
di che abbiamo mescolato e messo
dentro un forno a
50°C per circa dodici minuti. Poi abbiamo
aggiunto
10ml di alcol puro,
abbiamo mescolato
un poco la provetta
poi abbiamo aspettato per circa due
minuti, e osservando bene si vedevano dei filamenti
bianchi (a questo
punto abbiamo ricavato il D. N. A.).
Ci hanno poi messo
il nostro D. N. A. in
una ampolla di vetro a forma di cuore, e ce lo hanno
dato come ricordo
di questa esperienza. Questo laboratorio mi ha fatto imparare
nuovi termini, mi ha chiarito il D. N. A. ed è
stato molto istruttivo ed interessante.
Alessio Veronesi
Visite guidate e viaggi di istruzione
L’angolo del poeta in erba (Poesie)
GITA A MODENA
ALLA LUNA
LA NOTTE
Musa
che streghi le mie notti più magiche
rifiuti
sdegnata
gli sguardi degli ammiratori.
Ogni sera
assaporo la tua bellezza divina
ma tu
vanitosa
ti rimiri allo specchio
senza nemmeno voltarti.
L’aria questa notte è leggera
la luna si riflette nel lago
facendo brillare i pesci
di un argento puro.
Questa quiete mi porta via
accompagnato dal frinire dei grilli.
Vorrei che questo viaggio non finisse
ma non riesco a fermarmi
un vuoto mi lacera dentro.
So che al mio risveglio
sarò ancora in un mondo
tutt ‘altro che magico.
Marta Scanavini
Ruggero Bonechi
LA LUCE DELLA LUNA
LA NOTTE DEI MIEI RICORDI
Noi alunni delle classi prime il giorno 23/04/09 assieme ai professori Varriale, Malacarne, Auletta, Bellettini e Boldrini siamo
andati in gita ad Ospitale di Modena. Alle
7.00 siamo partiti: eravamo in un pullman
molto grande e c’era un piano dove si mettevano gli zaini. I posti erano tanti e noi eravamo disposti a due a due. In pullman abbiamo ascoltato la musica, parlato e giocato
con i cellulari, molti hanno anche cantato
urlando canzoni fatte nelle lezioni del prof.
Boldrini. Quando stavamo per arrivare abbiamo visto delle montagne di cui una ricoperta dalla neve, delle piccole cascate e dei
fiumiciattoli che scendevano dalle rocce delle montagne poiché la neve si stava sciogliendo. Arrivati siamo scesi dal pullman,
abbiamo preso gli zaini e ci siamo preparati
alla visita.
Nel frattempo le guide erano arrivate: una si
chiamava Gioiello, un uomo di media età,
l’altra Simonetta, una giovane ragazza con
un bambino di nome Natan. Le guide ci hanno portato su un pendio dove ci hanno fatto
notare una croce di legno posta su un piedistallo in pietra, questa stava a significare la
morte di un uomo il quale aveva fondato un
ospizio; da questo era stato dato il nome di
Ospitale. La vicenda narra che quest’uomo
fu ucciso dai briganti travestiti da frati una
notte in mezzo al bosco. Più avanti Gioiello
(per gli amici Lello) ci ha fatto notare un
grande sasso con alcuni buchi che rappresentavano le mani di Sansone, il quale in
una leggenda aveva lanciato questo sasso
contro i briganti perché disturbavano il luogo in cui viveva. Successivamente siamo
arrivati all’azienda agricola “Il Feliceto”
dove Simonetta ci ha fatto visitare l’allevamento di suini, qui c’era un maialino ancora
molto piccolo e di colore nero con una striscia rosa. Inoltre all’interno di un recinto vi
erano alcuni bellissimi cavalli. Dopo qualche istante siamo andati nel negozio adiacente l’azienda dove alcuni nostri compagni
di viaggio hanno acquistato formaggi, grappe e farina di castagne. Dopo di che siamo
andati in un bosco, per raggiungere il quale
abbiamo dovuto percorrere una faticosa salita fino ad arrivare al ristorante “il Feliceto”
dove abbiamo rifornito d’acqua le nostre
bottiglie;:proprio qui abbiamo conosciuto
una nuova guida che era una guardia forestale e che ci ha accompagnato per tutto il viaggio dicendoci di raccogliere tutto ciò che si
trovava per terra, perché non si deve inquinare l’ambiente. Siamo ripartiti passando
per un bosco fino ad arrivare ad un parco
dove il prof.Bellettini ci ha fatto notare una
croce posta su una montagna e qui abbiamo
anche mangiato rilassandoci un momento.
uando siamo partiti abbiamo percorso alcuni
sentieri molto stretti pieni di ciottoli in discesa che nell’antichità erano le strade dove
passavano i carri trainati dagli animali. Dopo circa un’ora, mentre scendevamo per ritornare al pullman, abbiamo incontrato alcuni ruscelli che dovevamo attraversare passando sui sassi, alcuni ponti in legno e addirittura la neve! E’ stato uno spettacolo magnifico! Appena provavamo a camminare a
camminare sprofondavamo nella neve visto
che oramai si stava sciogliendo. Abbiamo
camminato nella neve per un bel po’ di tem-
12
po e per questo ci siamo bagnati piedi e pantaloni. Alle ore 16.00 siamo arrivati nel
piazzale dove c’era il pullman e qui abbiamo
fatto merenda. Poi i professori hanno deciso
di portarci a Fanano. Arrivati il prof. Bellettini ci ha spiegato qualche notizia sul paese.
Abbiamo visitato una chiesa molto bella con
degli affreschi interessanti. Usciti dalla chiesa il professore ci ha fatto notare alcune
sculture dipinte sui muri delle case: erano
davvero molto particolari. Siamo ritornati al
pullman e ci siamo avviati verso la strada
del ritorno. Sul pullman, alcuni ragazzi hanno parlato, altri hanno dormito, altri hanno
ascoltato la musica.
A Bologna abbiamo fatto sosta in un autogrill, per mangiare e sgranchirci un po’ le
gambe. Dopo poco siamo risaliti sul pullman e ci siamo avviati verso Voghiera. Secondo noi, questa gita è stata molto interessante sia dal punto di vista storico che naturalistico. Un motivo per cui sarà difficile
dimenticarsene è che è stata la nostra prima
gita delle medie, con nuovi compagni e nuovi professori tutti molto carini e simpatici.
Non per ultimo bisogna ricordare che lo stare insieme oltre che farci crescere, arricchisce le nostre personalità: l’essere integrati in
una comunità è fondamentale per vivere in
modo sano e poter costruire una società
sempre migliore.
Martina Lucani
Simona Marini
Francesca Fordiani
L’aria profuma di dolce
di zucchero filato
si sentono voci
in lontananza
della mia gioventù
protagonista della notte.
Mi affiorano alla mente
pensieri dolci
amori non corrisposti
amici veri
lunghe serate passate insieme
tra balli e risate.
La notte mi fa paura
ma allo stesso tempo
mi affascina
nasconde segreti che vorrei scoprire
però ho il timore che mi possano ferire.
Sento ancora dentro di me
una gioia inspiegabile
saranno i nuovi amori
un gusto dolce che c’è nell’aria
l’atmosfera di divertimento.
Le luci di fiera
sono offuscate
dalla fine rugiada
che scende piano piano
come un fantasma.
E poi…
BUM…BUM…
il cielo si colora
di magiche luci.
E poi…
tutto scompare
come se niente
fosse venuto alla mia mente.
Martina Rubbi
Nel bosco
tra i rami
intravedo una luce lieve
sei tu luna
che illumini la notte.
Sento un rumore
forse un fiume in lontananza
c’è l’odore della pioggia
caduta sul bosco poche ore fa.
Mi tornano alla mente
ricordi di quando ero piccolo
e stavo in riva a quel fiume lontano
il tuo riflesso era lì
fermo nell’acqua limpida.
Il lancio di un sasso
faceva svanire
il tuo riflesso
riempiendo il mio cuore
di tristezza e malinconia.
Davide Incerti
LA NOTTE…
Sento il rumore del mare
sento l’estate
la calda estate.
La luna si specchia nell’immenso mare
e il mare inizia ad incresparsi.
Poi
magicamente
si appiattisce
come sempre.
Non si sentono altri rumori
oltre a quello del mare.
Ho paura
il buio mi mette ansia…
i rumori e i suoni si fanno sempre più lontani.
La luna inizia a sparire…
e torna il sole.
Giulia Bertieri
69
É NOTTE
E’ notte
sulla spiaggia umida
la luna schiarisce il tormentato nero.
Le onde si infrangono sugli scogli
leggere
come se non volessero disturbare
il profondo silenzio.
Nell’aria si respira
un dolce profumo di solitudine.
Penso
alla vita e al senso delle cose.
Lo cerco invano
mi volto
e mi lascio tutto alle spalle.
Alessia Ferrari
LA NOTTE
La notte è buia
silenziosa…
ma ecco un piccolo rumore
non so cosa sia
forse un animale
sento l’aria accarezzare il mio viso
il profumo della natura mi travolge.
Sono sola
la luna piena mi fa compagnia
i ricordi più belli
mi tornano alla mente.
Ecco un altro rumore
spaventata corro
ma non so dove
sento il battito del mio cuore
mi fermo
e tutto muore.
Valentina Roversi
Testi narrativi (Pagine di diario)
Visite guidate e viaggi di istruzione
LA GITA SCOLASTICA AD OSPITALE
LA FELICITÀ
5 Gennaio 2009
Caro diario...
Le cose che mi rendono felice sono molte. Mi servirebbero tantissimi fogli protocollo per confidartele. La FELICITA’ per me
vuol dire avere la pace nel mondo e che non ci siano più le guerre. Anche l’AMICIZIA per me è molto importante, perché i veri
amici devono essere SINCERI, GENEROSI E LEALI. Anche l’AMORE è importante, alcune volte!!!
Perché devi avere accanto una persona che sappia dimostrarti i sentimenti e saperti amare, ma soprattutto volerti bene.
Mi rende felice anche avere una MAMMA che mi sa ascoltare e a cui posso raccontare i miei segreti (non sempre)!
Ma soprattutto mi rende felice incontrare i miei amici alla domenica e anche durante le vacanze, cioè al di fuori della scuola, questo, caro diario non sai quanto mi renda felice.
Felice è dir poco! È una cosa STUPENDA!!!
La FELICITA’ è anche avere le cose che mi servono, come i libri e i quaderni, importanti per la scuola. Importantissima è la salute.
Ma alcune volte per essere felici bisogna staccare un po’ dalle solite cose; andare in vacanza non può essere una brutta idea!!!
SECONDO ME LA FELICITA’ COMINCIA DA PICCOLI CIOE’ APPENA NATI…
Io vorrei anche che i bambini e le famiglie africani fossero più felici di come sono adesso e vorrei anche che avessero un po’ più
soldi.
Ciao caro diario adesso vado…
Ci sentiamo presto!!!
CIAO T.V.B.X.S.
Tua Penelope
Federica Straforini
Il giorno 23 Aprile 2009 le tre classi prime
hanno partecipato ad una gita organizzata
dal Prof. Bellettini, durante la quale si effettuavano delle escursioni naturalistiche.
Verso le 6.40 ci siamo ritrovati davanti alla
scuola, dopo alcuni minuti, il Prof. di Ed.
Motoria ha fatto l'appello ed ognuno di noi
doveva salire sul pulman e occupare un posto a piacere. Ad accompagnarci ad Ospitale, in provincia di Modena, c'erano: la prof.
Varriale, la prof. Malacarne, la prof. Auletta,
e il prof Boldrini e ovviamente il prof. Bellettini Il viaggio di andata è stato molto lungo, ma divertente. Tutto il tempo abbiamo
scherzato, giocato, ascoltato la musica, cantato. Ogni tanto ci affacciavamo al finestrino
per vedere se c'erano le montagne. All'arrivo, siamo scesi, abbiamo preso i nostri zaini
e ci siamo "sgranchiti" le gambe.
Abbiamo camminato per una strada asfaltata vicino ad un bosco; ad un certo punto abbiamo incontrato una casetta, poi ognuno di
noi è andato in bagno e abbiamo mangiato
della cioccolata.
Poi due guide, di nome Simonetta e Gioiello, ci hanno presentato il percorso che dovevamo seguire. Così la giornata è iniziata con
ripide salite e nessuna discesa. Lungo il per-
corso abbiamo incontrato una lepre e abbiamo visto un lungo ruscello che scorreva dolcemente con delle piccole cascate. Noi eravamo un po' stanchi, ma abbiamo continuato
a camminare e a seguire il ruscello fino ad
arrivare di fronte ad un enorme sasso di cui
Gioiello ci raccontò la leggenda. Tutte le
sere una persona di nome Sansone, che possedeva dei pascoli, stava sveglio perchè doveva controllare che i briganti non gli rubassero delle pecore. Una sera vide un brigante
così, dalla paura, gli lanciò un sasso che ruzzolò giù da una montagna e si fermò vicino
ad un ruscello. Sansone riusciva ad alzare
qualsiasi cosa perché aveva una forza incredibile. Ancora oggi ci sono i segni delle
cinque dita e del palmo della mano sulla
roccia. Dopo il racconto, abbiamo percorso
un lungo tragitto fatto di salite e di una discesa e finalmente siamo arrivati ad una fattoria, dove ci siamo fermati a riposare; lì
vicino c'era una stalla dove abbiamo visto
una cavalla incinta e dei maiali che riescono
a sopravvivere anche a temperature molto
basse, ed infine abbiamo accarezzato un
maialino appena nato. Di nuovo siamo ripartiti e, finalmente, abbiamo visto delle bellissime cascate e della neve, che ognuno di noi
lanciava. Verso le 13.00 abbiamo pranzato
in un immenso prato verde, lì vicino c'era un
lago con delle rane e dei girini. Poi siamo
ripartiti e la guida ci ha proposto un gioco:
bisognava raccogliere tutte le cartacce presenti nel prato e nei sentieri attorno. Così
abbiamo fatto e, alla fine, dopo un lungo
tragitto attraversando un bosco bellissimo,
siamo arrivati al punto di partenza. Verso le
17.30 siamo andati a Fanano, un paesino
con delle bellissime fontane di cui il prof.
Bellettini ci ha spiegato la storia, poi abbiamo visitato una chiesa , la facciata era stata
ristrutturata nel 1900, mentre dentro risaliva
al 1000. Era bellissima! Dopo abbiamo visto un convento di suore; abbiamo visitato il
paese ed infine siamo ritornati al pulman.Io
con molta tristezza ho salutato quel meraviglioso posto di montagna.
Il viaggio di ritorno era un po' silenzioso
comunque io ed altri abbiamo giocato al
gioco della bottiglia ed ascoltato la musica.
Verso le 20.50 siamo ritornati a Voghiera e
andati a casa. Ciò che non dimenticherò mai
è il ruscello con le cascate perchè guardandole ho provato un senso di pace.
Alessia Benetti
ALLA FATTORIA DIDATTICA “LA ROTTA” DI MIGLIARINO
L’AMICIZIA
28 Aprile 2009
Caro diario...
Ti sei mai chiesto se avere un’amica o un amico sia bello? Io penso proprio di sì, fidati di me, per me avere tante amicizie è una
cosa stupenda. Però quando si litiga con una di loro la si perde di vista rimanendo con il rimpianto di averla perduta per qualcosa
che conta poco e si rimane arrabbiati per un certo tempo. Dopo un po’ si fa la pace e si torna amiche come prima, secondo me è la
cosa più bella del mondo ritornare amiche dopo un litigio.
Avere un’amica è una cosa bellissima, ti fa sentire bene e libera di sfogare le proprie emozioni di gelosia, gioia, amore e tanti altri
sentimenti. Per questo è bellissimo!!
Io ho tanti amici, tra cui Maria Pia, Sharon, Serena, Greta, Giada, Sara, Andrea, Alice, Silvia, Camilla, mi sembra di conoscerli da
sempre, anche se li frequento da poco. Però con alcuni maschi della mia classe non vado d’accordo, ma cerco comunque di fare
del mio meglio per essergli simpatica. Con le mie amiche vado d’accordo e con alcune mi sono scambiata il regalo di Natale, ho
servito anche dolci e biscotti fatti da me: quei momenti sono stati fantastici! Avere amici è la cosa più bella del mondo!! Ora vado.
Ciao, ciao
Ylenia
Ylenia Bolognesi
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Lunedì 27 aprile noi ragazzi delle classi 2^
E e 2^ F, accompagnati dalle professoresse
Monici, Ferri e Margutti, siamo andati a visitare la fattoria didattica “La Rotta” di Migliarino, come ultimo appuntamento del progetto Tellus.
Appena arrivati, Enrico ci ha fatto mettere
tutti quanti in cerchio e ci ha un po’ spiegato
cosa avremmo “trovato” durante il percorso,
infine abbiamo cantato una canzone “La villana”, che parla del processo produttivo della fava.
Dopo aver cantato ci siamo divisi in tre
gruppi: Snack, Spizzico, McDonalds, nel
quale c’ero anche io insieme ad altri miei
compagni e alla prof.ssa Monici.
Il nostro compito era quello di ritrovare il
carico che trasportava Andrea sul suo aereo,
si trattava quindi di una specie di gara e il
mio gruppo è arrivato 2°.
Successivamente ogni gruppo ha iniziato a
svolgere un’attività.; il mio gruppo ha iniziato con dei “giochi” che interessavano soprattutto i nostri cinque sensi e il nostro orientamento.
Il primo “gioco” riguardava il senso del tatto
e cioè dovevamo capire cosa si nascondeva
in alcuni contenitori senza guardare; poi è
venuto il momento del gusto: Elena ci ha
fatto sentire diverse bevande: menta, amarena e acqua salata, inoltre ci ha suggerito di
affermare che ogni bevanda era buona anche
se in realtà poteva risultare disgustosa…,
infatti la professoressa dalla curiosità ne ha
voluto assaggiare anche lei, ma appena ne
ha bevuto un sorso ha fatto una faccia disgustata!!
Dopo sempre con Elena siamo andati a fare
un gioco che riguardava la vista: consisteva
nel tirare dei ferri di cavallo centrando delle
canne di bambù; anche questa era una gara,
ma se devo dire la verità non so proprio chi
abbia vinto con sicurezza!!
E infine sempre con Elena siamo andati a
fare un percorso d’orientamento che abbiamo effettuato da bendati; dopo dovevamo
dire il percorso che avevamo fatto.
Devo dire che quasi tutti se la sono cavata,
anche se c’è stato qualcuno che ha barato…
Successivamente siamo andati con Enrico e
abbiamo fatto il pane!!!
13
Ė stato stupendo!!!
Tutti quanti ci siamo divertiti moltissimo,
anche e soprattutto perché ci siamo imbiancati con la farina! Per dare la forma al pane
ci siamo sbizzarriti, c’è stato chi come me
ha voluto provare a fare la classica coppia,
mentre altri hanno dato spazio alla fantasia e
hanno fatto tantissime forme divertenti.
Come ultima attività abbiamo fatto il giro
degli animali, “guidati” da nonna Carla, che
ci ha fatto vedere oche, tacchini, faraone,
galli, galline, pony, asini, maiali, caprette,
cavalli, tortore, conigli, pulcini, e inoltre,
come animali domestici, non mancavano
due gatti e un cane bellissimo di nome Briciola che adorava le coccole.
A chiusura di questa esperienza Andrea ci
ha classificato i cibi, che avevamo trovato
nel 1° gioco, in base a “sani” o “non sani”;
poi ci ha spiegato che cos’è l’etichetta e che
simboli si usano per un prodotto biologico o
biodinamico…
Mentre Andrea ci spiegava questo noi assaggiavamo il pane che Enrico quella mattina
aveva preparato.
Quando è arrivato il momento di tornare a
scuola, tutti siamo saliti sul pullman scambiandoci le reciproche impressioni dopo una
giornata trascorsa ad “imparare” sul campo
cose di cui non conoscevamo niente o quasi
Novella Parolini
Visite guidate e viaggi di istruzione
Testi narrativi (Lettere)
I PROGRAMMI TELEVISIVI
ATTIVITÀ COOP “DIETRO UNA GOMMA”
Il giorno 4 maggio la classe I F con le professoresse Monici e Margotti è andata alla
Coop di Portomaggiore per un progetto dal
nome “Dietro una gomma”. Siamo partiti
allo ore 8.45 e siamo arrivati circa alle 9.oo
Una volta entrati abbiamo conosciuto un
ragazzo Jacopo , la nostra “guida”; ci ha fatto salire all’ultimo piano dove, di solito si
tengono riunioni col personale o progetti
con le scuole. Subito ci ha fatto scrivere i
nostri nomi su una etichetta poi ha cominciato a farci delle domande sui vari tipi di
supermercato. Abbiamo “scoperto” che ci
sono tre tipi di supermercato:SMK
(supermercato nel quale ci sono prodotti alimentari, di igiene personale, detersivi…),IPER ( ipermercato che è più grande
del supermercato con più prodotti, elettrodomestici, farmaci da banco…) ed infine i
DISCOUNT (supermercato con prodotti a
basso costo e poco conosciuti, non pubblicizzati). Abbiamo stabilito che un supermercato è un labirinto e ci sono delle regole per-
ché ci vogliono per forza vendere qualcosa,
il posto dei vari oggetti è scelto in base ad
alcuni criteri logici. La “carta di identità di
un supermercato” è il settore più colorato,
dove troviamo la frutta e la verdura. Ci ha
poi divisi in gruppi chiamati con i nomi delle gomme da masticare nelle diverse nazioni. Siamo scesi dall’ultimo piano e siamo
andati nel supermercato: ogni gruppo aveva
dei fogli e doveva sui quali c’era scritto di
trovare un determinato prodotto e dovevamo
segnare i percorso che facevamo per trovare
il prodotto indicato. Il mio gruppo doveva
scrivere i colori delle scatole dei “caucciù” e
i colori di quelle dei dentifrici; infine dovevamo fare un’intervista a delle persone che
facevano la spesa all’interno del supermercato. Fatto questo siamo ritornati all’ultimo
piano ed abbiamo discusso su ciò che ci aveva detto la gente. Abbiamo poi fatto merenda, che ci è stata offerta dalla Coop ed abbiamo parlato della classica gomma da masticare. Principalmente una gomma è forma-
ta dalla gomma base, dagli aromi (fragole,
menta…)e dai dolcificanti. Di solito tute le
gomme sono fatte da Perfetti-Van Melle.
Abbiamo sentito la differenza fra le varie
gomme battendole sul tavolo ed odorandole.
Jacopo ci ha spiegato che la prima goma da
masticare è stata brevettata nel 1869 e che in
America qualche anno dopo venne fata con
la menta piperita. Già ai tempi dei Greci si
masticava la resina del astice ( da questo
albero deriva la parola masticare); i Maya
masticavano una cosa chiamata caucciù e gli
Indiani d’America la resina dell’abete rosso.
Infine abbiamo disegnato “la nostra gomma”
come ce la immaginavamo ed abbiamo scritto uno spot per invogliare la gente a comprarla. Abbiamo poi salutato Jacopo, lo abbiamo ringraziato per averci fatto trascorrere
delle ore molto interessanti.
Voghiera, lì 12 Febbraio 2009
Caro Ale...
Oggi ho visto “Grande Fratello”, il mio secondo programma preferito, a me piace molto, perché è un programma divertente e
insegna come comportarsi con certe persone, inoltre non è noioso come, ad esempio “Voyager” oppure “Chi l’ha visto”.
Mi piace molto “il grande fratello, perché è movimentato, infatti all’interno della casa possono fare tantissime cose, come andare
nelle piscina, fare dei giochi oppure organizzano di fare una vacanza con altre persone.
L’altro programma preferito è “I Cesaroni”, perché è molto allegro e ambientato ai giorni nostri, infatti quando lo guardo mi viene
in mente la vita di tutti i giorni ed è per questo motivo che mi piace molto.
I programmi che non mi piacciono o che mi piacciono meno sono “Voyager” perché parla di cose “vecchie”, ad esempio : l’imbalsamazione dei faraoni, la costruzione delle piramidi, ecc., e anche perché si svolge molto lentamente e parla di cose che non mi
interessano, inoltre non c’è azione. Mentre “Chi l’ha visto”non mi piace perché è un programma molto noioso e poco divertente,
infatti parla della scomparsa di adulti o bambini, che non vengono quasi mai ritrovati.
Ora ti saluto perché devo andare a mangiare, rispondimi presto parlandomi dei tuoi programmi preferiti.
Ciao
Angelo
Angelo Chersoni
Marta Viviani
ALLA COOP DI PORTOMAGGIORE
Noi alunni della classe I F il giorno 4 Maggio assieme alle prof. Monici e Margutti siamo andati alla Coop di Portomaggiore per
svolgere l’attività intitolata “Dietro una
gomma”. Alle 8:45 siamo partiti con il pulmino della scuola e ci siamo diretto alla Coop. Sul pulmino abbiamo parlato e riso fino
a quando non siamo arrivati. All’entrata della Coop c’era la guida che ci attendeva: si
chiamava Jacopo. Ci ha portato in una sala
dove ci ha spiegato il progetto di nostro interesse che riguardava le gomme da masticare.
All’inizio, Jacopo, ci ha spiegato la differenza tra supermercato (smk), ipermercato
(iper) e discount. Il primo è di media grandezza e vi si trovano alimenti e oggetti di
uso quotidiano; il secondo è molto più grande e oltre agli alimentari vi si trova anche il
vestiario, i giochi e gli elettrodomestici; nel
terzo si trovano alimenti e oggetti di basso
costo. Nei discount la merce costa meno
perché sulle marche da loro trattate non incide la pubblicità: sono articoli probabilmente
prodotti dalle case produttrici più conosciute
ma inserite nel mercato con altre marche.
Questo è il motivo per cui la merce costa di
meno. In genere i supermercati assomigliano
a dei labirinti visto che sono formati da diverse corsie. Solitamente all’entrata si trova
il reparto di frutta e verdura, tutta ben disposta e colorata in modo da invogliare i consumatori ad acquistarla. Un’altra cosa che ci
ha fatto notare Jacopo e che i prodotti meno
costosi, come ad esempio l’acqua, sono esposti in un luogo lontano dall’entrata, in
modo da far sì che il cliente compri altri beni fino a che non si trova al prodotto che
vuole acquistare veramente. Dopo aver ri-
flettuto sull’argomento “Cosa c’è dietro a un
supermercato” Jacopo ci ha fatto scendere
dalla sala riunioni e subito dopo averci diviso in gruppi ci ha dato tre fogli per capogruppo: il primo consisteva nel trovare un
alimento di uso quotidiano e di segnare tutto
il percorso che avevamo fatto per trovarlo.
Negli altri due fogli c’era un’intervista da
fare ai consumatori: in particolare dovevamo
scoprire se questi sapevano cosa c’era dietro
una gomma e quindi gli ingredienti. Dopo
aver finito questo lavoro siamo tornati in
sala riunioni e prima di far merenda abbiamo segnato su una cartina fatta da Jacopo
precedentemente il percorso che avevamo
fatto per arrivare al prodotto indicato sul
foglio. Subito dopo abbiamo fatto merenda
con alimenti offerti dalla Coop. Successivamente si è iniziato a parlare cosa c’è dietro
una gomma. Jacopo ci ha detto che la gomma da masticare fu inventata nel 1869 da un
uomo che stava costruendo un giocattolo di
gomma e visto che aveva fame ha provato
ad assaggiarne un pezzo: sentì che era molto
buona. Pochi anni dopo un farmacista avendo saputo la notizia di quell’uomo che aveva
mangiato la gomma provò anche lui. Sentì
che era buona e decise di migliorarne il gusto con aromi alla fragola, alla menta, ecc. Il
significato della parola masticare è molto
semplice: deriva dalla parola mastice che è
un albero antico da cui i Greci mangiavano
la resina al posto della gomma. Poi Jacopo
dopo averci fatto riflettere un poco ci ha
spiegato che la gomma da masticare è formata in particolare da tre elementi: la gomma base che è quella che mangiamo, gli aromi come fragola, menta, limone, ecc. e tutti i
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tipi di dolcificanti o di zuccheri. Inoltre ci ha
fatto osservare alcune scatole di chewingum
facendoci notare che alcuni erano duri, altri
morbidi, alcuni piccoli e tondi e altri grandi
e a forma di confetto. Successivamente ci ha
anche fatto notare che le gomme da masticare si trovano vicino alle casse proprio per
attirare l’attenzione dei bambini piccoli in
passeggino e quindi ad obbligare i genitori a
comprarglieli. La cosa che colpisce di più la
gente è quella del colore e della forma delle
scatole delle gomme. Poi ci ha fatto vedere
che sulle scatole dei chewingum oltre ad
esserci scritti gli ingredienti e le conseguenze c’è anche scritto che questi pur essendo
di marche diverse sono prodotte dalla stessa
ditta: Van-Melle. Quindi se vogliamo iniziare a vendere un nuovo tipo di gomma innanzitutto dovremmo metterla in un altro luogo
della Coop in modo che attiri la gente, ma
bisogna anche fare molta pubblicità altrimenti si fallisce perché vince quella di VanMelle. Infine ci ha fatto disegnare sempre a
gruppi la nostra gomma da masticare con
alcuni slogan. Poi siamo ritornati a scuola
grazie al pulmino della stessa. Questo progetto mi è piaciuto tantissimo anche se secondo me, doveva essere più approfondito
per entrare maggiormente nei particolari.
Spero di ritornarci anche il prossimo anno
naturalmente per parlare di un altro argomento e ritrovare quella persona brava, chiara e disponibile che è stato Jacopo.
IL MIO FUTURO
Voghiera, lì 2 Aprile 2009
Caro Matteo...
Come stai? Ti diverti? Vorrei dirti che da grande, forse, so già cosa vorrei fare. Ho tanti lavori che mi piacciono, ma ho deciso di
fare quello che mi viene meglio: il DJ (anche se alcuni miei famigliari non lo considerano un gran lavoro, perché non si guadagnano tanti soldi).
Una festa l’ho già fatta, ed era il mio compleanno e, anche se c’erano poche persone, in tanti mi hanno detto che si sono divertiti
un mondo. Ora ne sto già preparando delle altre, con molte più persone e spero che si divertiranno.
Se ti domandi: « Ma come hai fatto ad imparare con tutta quella tecnologia?» Beh, non è stato semplice, perché ho imparato un
po’ da mio padre e a mettere in tempo le musiche e usare gli effetti non era tanto semplice, ma quando si dice: « L’allievo supera
il maestro», è quello che, secondo me, ho fatto io, perché adesso sono molto più bravo di mio padre. Quando andavo a casa sua,
mi dirigevo in camera, accendevo l’impianto e nel giro di 30 secondi si diffondeva già della musica e in un’ora mixavo, come va
detto, “da Dio”. Addirittura, una volta, io e un mio amico, abbiamo simulato una discoteca con le luci e il fumo (quello degli zampironi).
Comunque, appena ho dei soldi, devo chiedere al mio professore di clarinetto, perché praticamente è lui l’esperto, di cercare un
programma con il quale registro su cd le musiche che scelgo e mixo, così, dopo, potrò venderli per fare divertire le persone e guadagnare qualche soldo. Scaricherò la musica e comprerò dei cd e forse anche un computer.
Però ho un desiderio, andare a suonare in locali e in bagni, quelli al mare, in Italia o forse anche all’estero, come fanno certi DJ
famosi o addirittura andare anche nelle radio famose di tutta Italia, ma per me resta soltanto un desiderio.
Adesso devo andare ho tante cose da fare.
Rispondimi al più presto possibile.
Ciao!
Luca
Martina Luciani
Luca Zamagni
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Testi narrativi (Lettere)
Visite guidate e viaggi di istruzione
LA GUERRA SECONDO ME
GITA AL “BOSCO DELLA PANFILIA” E ALL’OASI “IL SEME” A PONTERODONI
Voghiera, lì 10 Marzo 2009
Cara Natsumi...
Come stai? Sai bene che in questo periodo i conflitti nel mondo stanno aumentando e ti scrivo per parlarne a riguardo e dirti cosa
penso.
Io credo che la guerra sia una delle cose peggiori che esistono a questo mondo, la si fa solo per imporsi (che sia a causa della religione o per chissà quale altro motivo) ed è una delle cose che tutti temono , ma nonostante questo siamo noi a crearla.
Perché due persone devono odiarsi a tal punto da scatenare un conflitto per cui ci rimettono la vita tante persone innocenti? Solo
per egoismo, perché ormai le uniche cose “importanti” sono i soldi e il potere (secondo molti), in verità ci sono tanti valori rilevanti quali l'amicizia, l'amore, l'altruismo, la sincerità ma anche la capacità di ragionare in modo intelligente, ormai sono pochi
quelli che sanno farlo,perché tutti sono legati a valori inutili , alla moda ,alla propria importanza, alla popolarità, che fanno perdere di vista ciò che importa davvero e che purtroppo sono poco conosciuti da questi demoni perché,si sa, il successo dà alla testa.
Qualsiasi sia il motivo di una guerra, io non lo considererò mai valido per uccidere persone, che abbiano colpe o meno.
Vorrei vedere questi mostri nei panni delle vittime: cosa proverebbero a vedere la propria famiglia straziata, distrutta da persone
neanche conosciute? Cosa proverebbero a vedere la propria fine avvicinarsi inesorabilmente?
Dolore, paura, rabbia perché, a causa di persone senza cuore, bisogna soffrire( a volte capita che sia solo per il divertimento di chi
è “superiore”). Purtroppo non lo capiranno mai perché sono loro i demoni, i superiori, e non sono le vittime; certe cose bisogna
provarle per poterle capire.... tutto ciò è l'unica cosa abbastanza sconvolgente da poter cambiare modo di essere e pensare e nessuno vorrebbe provare questo terribile sentimento. Ogni volta che si fa qualcosa, qualcun altro ci rimette: questo è ciò che pochi
riescono a capire; questi si dividono in quelli che lo capiscono ma non se ne preoccupano e quelli che compiono le proprie azioni
in base a ciò che possa portare meno conseguenze negative a sé e agli altri. I primi sono egoisti, meno intelligenti e impulsivi, gli
altri sono più intelligenti e altruisti, perché riflettono prima di agire,perché pensano a tutte le conseguenze delle proprie azioni e
cercano i metodi più vantaggiosi per tutti.
Ma, tornando al discorso principale, perché non si può vivere tutti in pace, senza guerra, sofferenza, paura e distruzione? Perché
non si può vivere tutti con le stesse possibilità, senza temere di perdere qualcosa solo a causa di pensieri, origini, credenze? L'unica risposta è che c'è sempre qualcuno che deve imporre il proprio potere per controllare il proprio Paese (perché senza di essi
mancherebbe la protezione che i limiti danno), ma molti approfittano del loro controllo per avere di più, per imporre il proprio
modo di pensare e per controllare chi sta “sotto” di sé. Questi esseri spietati non hanno mai pensato ad una vita di armonia e
convivenza di pace tra le persone ? I valori veramente importanti avrebbero sopravvento e la vita sarebbe migliore
per tutti, soprattutto per le prossime generazioni. Nonostante questo, si continua a combattere per il vertice al potere...
Beh, mi sento più libero dopo essermi confidato, ma non credo che questa confessione possa cambiare qualcosa e
portare la libertà alle vittime di guerra che continuano a venirmi in mente...
Un abbraccio pieno di speranza
Jack
P.S. Ricordati di rispondere e dirmi quel che ne pensi e se credi che io abbia detto qualcosa di sbagliato.
Alessandro Passantino
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Il giorno 15 maggio 2009, noi alunni delle
classi 2E e 2F ci siamo recati in visita al
“Bosco della Panfilia” a Sant’Agostino e
all’oasi “Il Seme” a Ponterodoni, vicino a
Bondeno.
Arrivati a Sant’Agostino, prima di iniziare
la visita, la nostra guida ci ha spiegato che il
bosco è un ambiente naturalistico sotto la
protezione del WWF; ci ha spiegato, inoltre,
che il bosco è molto grande e si estende fino
ad arrivare nella provincia di Bologna e ci
ha distribuito dei fogli con delle domande da
completare alla fine del percorso. Dopo la
spiegazione, siamo risaliti in pullman per
andare a visitare un’altra parte del bosco.
Arrivati abbiamo visto il fiume Reno che
aveva una parte del suo corso sotto il suolo
del bosco. Proseguendo la visita, la guida ci
ha spiegato cosa s’intende per pianta igrofila, alloctona e autoctona. Per pianta igrofila
s’intende una pianta capace di rimanere in
acqua alcuni giorni senza soffrire; per pianta
alloctona s’intende una pianta che è stata
importata da un altro territorio, mentre per
pianta autoctona s’intende una pianta che
era già presente nel territorio.
Abbiamo anche visto, in fotografia, i vari
rettili che popolano il bosco (alcuni erano
spaventosi). La guida ci ha detto che qual-
che giorno prima, con un’altra classe, avevano potuto ammirare un serpente.
Dopodiché, durante il percorso, la guida ha
detto che nel bosco sono presenti molti funghi e tartufi e che le persone possono raccoglierli solo in alcuni periodi dell’anno, solo
per qualche ora e per cinque giorni alla settimana; inoltre, per i tartufi, devono stare
molto attenti a non rovinare la loro base d’appoggio, altrimenti non potrebbero più ricrescere e ne devono raccogliere solo una
certa quantità, se no finirebbero.
Terminato il primo percorso, la guida ci ha
chiesto se volevamo andare subito a mangiare o andare a fare il secondo percorso, noi
abbiamo scelto di fare il secondo percorso.
Quest’ultimo era molto diverso dal primo,
perché c’era la vegetazione più folta, i sentieri non erano ben definiti, perché c’era l’erba molto alta, però è stato bellissimo !!
Abbiamo visto alberi enormi tutti ricoperti
di edera…stupendi!! Finito questo magnifico percorso, siamo ritornati al punto di partenza per mangiare.
Dopo aver pranzato ci siamo recati in visita
all’Oasi “Il Seme”,a Ponterodoni, per vedere
un ambiente naturalistico creato dall’uomo.
La nostra guida era il signor Dario, che ci ha
mostrato i vari nidi di uccelli che ha costrui-
15
to per le varie specie; con un binocolo ci ha
fatto vedere i Cavalieri d’Italia, spiegandoci
che era una specie quasi estinta, ma lui ha
ricostruito il loro ambiente naturale e così
hanno iniziato a riprodursi nuovamente. Ci
ha portati anche su una specie di collina per
farci ammirare il nido del falco e il panorama che si poteva vedere da lassù. Ci ha detto
che tutti i laghetti che vedevamo erano tutti
artificiali: li aveva costruiti lui. Il signor Dario, essendo anche un praticante dello yoga,
ha scritto dei messaggi per la natura e li ha
appesi ai rami di alcuni alberi, inoltre ci ha
mostrato un palo con attaccati vari pezzi di
stoffa colorati, dicendo che era un’antica
tradizione indiana che praticavano gli amanti della natura.
Finito il percorso, Dario ci ha ospitati a casa
sua (casa enorme e stupenda) per la merenda
e ci ha offerto anche delle bibite.
Dopo averlo ringraziato siamo (purtroppo)
dovuti tornare a casa.
Siamo andati a fare questa gita con lo scopo
di capire come fosse un ambiente naturalistico ed è stata sicuramente molto interessante
e divertente.
Melissa Andreotti
Ricorrenze e celebrazioni
Testi narrativi (Lettere)
27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA
<<Ricordati sempre
di guardare il cielo
e non odiare mai
nessuno>> Sono
queste le parole che
una madre ha detto
al proprio bambino
durante la loro permanenza in un campo di concentramento; ma è giusto
guardare il cielo e
non odiare nessuno
anche se ti stanno
distruggendo la tua
infanzia, la tua vita
la tua identità ? A
quanto pare ci sono
stati ebrei che sono
riusciti a perdonare,
a non odiare; io
non so se sarei mai
riuscita a non odiare
chi mi stava togliendo l’anima, o guardare il
cielo e sperare…che tutto finisse, solo a
pensarci mi viene un’enorme blocco,penso
che coloro che sono riusciti a perdonare hanno avuto davvero una grossa fede…
Ogni anno si parla di: Olocausto = sacrificio
ma questa è solo una.
definizione o c’è qualcosa di più? Beh c’è
molto di più di una definizione scritta a penna, ci sono dietro sofferenze, dolori, odi…
com’è possibile una cosa del genere?? Coloro che hanno causato tutto questo non dovrebbero nemmeno essere nominati nella
Giornata della memoria.
GITA A OLTREMARE
Ogni anno il 27
gennaio molte persone,scuole ricordano ciò che è successo,ricordare non
cancellerà le sofferenze ma potrà fare
in modo che non
riaccada più. Io sinceramente non riesco a pensare a ciò
che è successo, ma
quando per esempio
mia sorella mi chiede delle cose su
questi avvenimenti
non manco di spiegarglielo perché è
giusto che sappia,come dice Prim o
L e v i
(sopravvissuto dai
campi di concentramento): <<Meditate che questo è stato \ Vi
comando queste parole \ Scolpitele nel cuore
[…]>>
Silvia Cavolesi
Voghiera, lì 5 Aprile 2009
Caro Matteo...
Ti scrivo perché oggi sono andato in gita ad Oltremare a Riccione con la mia famiglia e degli amici e mi sono divertito tanto.
Siamo partiti alle 8:30 e siamo arrivati alle 10:00; abbiamo comperato i biglietti e abbiamo iniziato a vedere gli spettacoli: c’era
quello dei delfini che è stato bellissimo, perché facevano dei salti molto alti. Quando hanno presentato i delfini e hanno chiamato
Ulisse, ho scoperto che è fidanzato con una “delfina” che si chiama Cleo; ne hanno anche uno di quarantacinque anni e non sembrava così anziano, ce n’è anche un altro che si chiama Mery che è di razza diversa dagli altri delfini: grigia con delle macchie
bianche sul muso che non era allungato ma normale.
In un cinema ho visto la formazione della terra su uno schermo abbastanza grande, con gli occhiali 3D cioè a tre dimensioni, sembrava che le meteoriti mi venissero in faccia e mi faceva un po’ di paura anche se sapevo che era tutto finto.
Poi ci hanno portato in varie sale: in una c’era la distruzione dei dinosauri e per farci provare un’emozione di paura buttavano giù
le montagne e ti spruzzavano dell’acqua in faccia.
C’era anche il volo dei rapaci, non li ricordo proprio tutti, ma quelli che ho visto erano: un’aquila che è planata su uno spettatore e
non sull’addestratore, volava molto in alto e aveva il manto bianco e marrone; l’avvoltoio era brutto, non si poteva guardare e non
volava tanto; il falco, invece, volava molto in alto ed è riuscito a prendere il nastro di un aquilone molto alto.
Abbiamo visto anche la fattoria ed è stato molto divertente perché c’erano molti animali soprattutto quelli della fattoria tradizionale come: galline, maialini e un gallo che ci ha fatto morire dal ridere.
Ho visto anche un ambiente tropicale molto caldo e con un odore nauseante, ma in compenso ho visto dei coccodrilli mimetizzati
per non farsi riconoscere e catturare le prede.
Abbiamo pranzato con dei panini e siamo ripartiti.
L’ultimo spettacolo è stata la visione di un altro film in 3D, però sono stato male e mi è venuta la nausea. Abbiamo comprato dei
souvenir e siamo tornati a casa verso le 20:30, poi sono andato a dormire.
Ciao
Andrea
Andrea Persia
LA GIORNATA DELLA MEMORIA
La nostra classe il giorno 26 Gennaio si è
recata in biblioteca per svolgere un’attività
relativa alla Giornata della memoria.
La giornata della memoria è stata istituita
nel 2000 , prendendo come riferimento il
lontano 27 gennaio 1945 quando avvenne la
liberazione del campo di Auschwitz, volendo ricordare sia ciò che è accaduto durante
la Seconda Guerra Mondiale sia le persecuzioni e la morte di milioni di innocenti che
non potevano difendersi, tra cui ebrei e oppositori politici. Con questo atto del ricordo
sconfiggiamo il pensiero nazista, che pensava che i morti sarebbero stati dimenticati nel
tempo; invece noi ricordandoli ci opponiamo a quella folle idea.
Questo evento è definibile come un “evento
unico” nella storia dell’uomo, perché è stata
un’uccisione premeditata contro un popolo,
contro persone innocenti che non si potevano difendere, contro persone la cui unica
colpa era quella di essere nate ebree, pur non
avendo commesso alcun crimine, oppure
erano oppositori politici che volevano solo
difendere le proprie idee, e tante altre persone innocenti come disabili e omosessuali ;
insomma tutte le persone ritenute “diverse”
furono ingiustamente uccise.
Per indicare la persecuzione e lo sterminio
degli ebrei si usano due termini: olocausto e
shoah; gli ebrei preferiscono la parola shoah,
perché essa significa distruzione, invece olocausto significa sacrificio religioso perpetrato con il fuoco, ma gli ebrei pensavano che
non ci fosse nulla di religioso in quanto era
accaduto.
La persecuzione cominciò nel 1935 in Germania a causa delle leggi di Norimberga,
che negavano molti diritti agli ebrei. Nel
1938 anche in Italia furono emanate le Leggi
razziali. Successivamente, nel 1942, con il
congresso di Vansee si pensò di deportare
gli ebrei nei campi, dove successivamente
sarebbero stati uccisi. Noi abbiamo molte
foto aeree dei campi, scattate dagli Alleati,
soprattutto del peggiore campo, quello di
Auschwitz in Polonia, senza però sminuire
gli altri che furono comunque luoghi di orrore. In biblioteca abbiamo visto alcune di
queste foto.
Ma, essendone a conoscenza, gli Alleati potevano distruggere con bombardamenti aerei
i campi e le ferrovie?
Probabilmente era possibile, ma l’obiettivo
principale degli Alleati era quello di vincere
la guerra.
Complessivamente nella Seconda Guerra
Mondiale morirono 50 milioni di persone;
12 milioni nei campi, di essi 6 milioni erano
ebrei e 1,5 milioni bambini.
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Dopo la presentazione dei libri che avevano
come tema le persecuzioni e la Shoah, abbiamo visto una parte del filmato del vero
processo ad Adolf Heikmann, uno dei maggiori gerarchi nazisti, svoltosi ad Israele nel
1961. Nel filmato un ebreo ha raccontato la
sua testimonianza , successivamente sono
state sottoposte delle domande all’ex ufficiale Adolf Heikemann, il quale sosteneva di
avere semplicemente obbedito a degli ordini; al processo fu però considerato colpevole e condannato a morte per impiccagione.
Come citato all’inizio, questo atto di ricordo
ci aiuta a debellare il razzismo dalla faccia
della terra. Ricordare che persone che si credevano più “importanti” di altre, abbiano
potuto uccidere persone per loro inferiori è
molto importante.
Ma come possiamo noi, persone dotate di
ragione, poter definire altre persone
“inferiore” a noi, solo perché non sono della
nostra religione, dello stesso colore della
pelle o non hanno le nostre capacità.
Noi non ci possiamo definire di razza superiore a nessuno perché siamo tutti uguali e,
come disse il famoso scienziato Albert Einstein, siamo tutti di un'unica razza, la razza
UMANA.
LETTERA AD UN AMICO
Voghiera, lì 21 Ottobre 2008
Caro Luca...
Ciao! Ti scrivo per sapere come va.. a me sta andando tutto bene sai..
E a Berlino come va? State tutti bene? Giada come sta?
Ho saputo da Andrea; quel ragazzo romano con gli occhiali, che la settimana scorsa hai subito un intervento allo stomaco.. E’
andato tutto bene?
Sono triste.. E’ cominciata la scuola sigh sigh!! Anche se a scuola vado bene il solo pensiero di svegliarmi per sei mesi alle sette
di mattina mi viene l’angoscia.. E tu?? Come hai preso il rientro della scuola?
Da quando sono partito dalla vacanza e sono arrivato a casa, non ho fatto altro che compiti compiti e ancora compiti!!
Quest’anno mi “viene” bene anche la musica.. pensa anche se non mi piace molto suonare ho preso 10 con il flauto. Anche con il
tennis sta andando tutto bene.
Quest’anno ho vinto quattro tornei e, uno di questi mi ha fatto partecipare a un “master” nazionale che si svolgeva a Torino, mi è
anche servito per fare una pausa dai compiti.
Il primo giorno sono andato a visitare la Mole Antoneliana , la piazza principale e il palazzo reale. Il secondo giorno era venuta
l’ora di giocare.
Ho perso giocando orribilmente. Ma basta parlare di cose tristi!!
Ti ricordi quel giorno, mi pare fosse il giovedì quando mentre eravamo andati a fare una gita in barca a vedere le grotte tu mi hai
spinto giù dalla barca? Non ti parlai per un giorno intero.
Ma dopo aver fatto pace siamo tornati amici.
Spero di averti divertito con questa lettera.
Guarisci presto!!!
Nicolò Piazzi
Marco Faccini
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Esperienze extrascolastiche
Ricorrenze e celebrazioni
ESSERE GRANDE
L’estate scorsa , al mio paese ho incontrato
un vecchietto che mi ha raccontato che viveva solo perché la moglie era morta e i figli
vivevano molto lontano da casa sua.
Questo vecchietto molto anziano si chiamava Wainer, era alto 1,55 cm, lui arrivava
tutti i pomeriggi con la sua bicicletta e appeso al manubrio aveva una sporta di paglia
tutta rotta con dentro una bottiglia d’acqua,
una di vino e un pò di pane.
Veniva a sedersi nel parco di fronte a casa
mia per stare un pò al fresco e all’ombra.
Quando lo vedevo andavo a sedermi vicino
a lui e lui mi raccontava molte cose: di
quando lavorava in campagna, dei giochi
che faceva quando era un bambino.
Mi spiegava che i giochi se li costruiva da
solo, ad esempio la lippa che era un pezzo di
legno che veniva lanciato e battuto con un
bastone e vinceva chi lo lanciava più lontano.
Tutte le volte che lo incontravo vedevo che
lui era felice di parlare con me perché gli
facevo compagnia.
Certamente avrei preferito andare a giocare
con i miei amici, ma per fargli piacere rima-
LA GIORNATA DELLA MEMORIA
nevo anche un po’ con lui, questo mi faceva
sentire orgoglioso di dare un po’ d’affetto a
questa persona sola e triste e mi sentivo più
grande e importante.
Poi per passò un po’ di tempo e non lo vidi
più; imparai poi dai miei genitori che era
stato ricoverato in una casa di riposo in un
paese vicino al mio.
Penso che al più presto andrò a trovarlo.
Filippo Fabbri
CIAO
Sono Enzo e ho deciso di raccontare cosa mi
è successo un paio di anni fa… Era un giorno d’estate dopo essermi lavato e avere fatto
colazione sono uscito per andare a giocare
con i miei amici. Dopo avere giocato qualche ora siamo andati a pranzare ognuno a
casa propria per poi ritrovarci al pomeriggio, finora stava andando tutto bene ma i
guai dovevano ancora arrivare!!
Infatti dopo pranzo sono uscito di casa, ma
ero abbastanza stanco e per lo più faceva
caldo. Mentre sono uscito ho incontrato i
miei amici e mi hanno chiesto di giocare a
nascondino e io ho risposto di no e con la
mia bicicletta sono andato a fare un giro
rimanendo nei dintorni dove stavano giocan-
do e loro, credendo che stavo giocando in
bicicletta, hanno incominciato a “dirmi della
robaccia”, ma anche “cose pese” oltretutto.
All’inizio ho sopportato, ma dopo mezz’ora
di insulti non ce la facevo più ho preso la
bicicletta e sono andato a casa piangendo e
mia mamma curiosa si è fatta dire tutto.
Dopo alcune decine di minuti i miei amici
sono tornati per chiamarmi a giocare e gli ho
rinfacciato l’accaduto insieme a mia mamma. Ma per loro la sfortuna più grande è
stata che mentre mia mamma li sgridava
sono arrivati i loro genitori che, subito, hanno iniziato a difenderli, ma dopo aver sentito la spiegazione di mia mamma hanno
sgridato i propri figli mettendoli in punizio-
ne.
Un mio amico, mentre correva a casa piangendo, si è girato verso di me dicendomi…
a quel punto suo papà gli è “corso dietro” e
sua mamma si è scusata con me.
Voi penserete siano stati i miei amici gli
sfortunati!! Ma provate ad “assorbirvi” gli
insulti di tutto un pomeriggio e poi le prese
in giro e gli insulti non finivano lì perché,
anche a scuola, avevo amici che mi prendevano sempre di mira e alcune volte reagivo,
ma altre andavo a casa con il mal di stomaco
e non mangiavo.
Enzo Righi
SONO NATI 5 GATTINI
Il sabato prima di Pasqua io non ero a casa.
Mia nonna era in giardino insieme a mio
nonno, mia mamma era in casa e mio fratello era al computer come al solito. Andava
tutto bene, fino a quando la mia gatta di nome Mima non cominciò a stare male. Piedino, un altro mio gatto, se ne era accorto e
l’aveva tutta lavata. La Mima ad un certo
punto corse nel mio capannone e non si vide
per un po’ di tempo; mia nonna cominciava
a preoccuparsi!! Mia mamma, incuriosita
decise di andare a vedere e... vide tre bellissimi gattini che prendevano il latte dalla loro
mamma. Erano tutti grigi uno più bello dell’altro. Quando sono tornata mia nonna mi
ha riferito la bella notizia, ero felicissima
volevo vederli ma era tardi e dovevo andare
a letto. La mattina dopo mi svegliai prestissimo e corsi dai gattini, non ci potevo credere ne erano nati altri due: uno colore caffelatte e uno grigio chiaro. Chiamai mia nonna e le dissi che era il regalo di Pasqua più
bello di tutti. Dopo un po’ di giorni i gattini
aprirono gli occhi e cominciarono a miagolare sempre più spesso io li andavo a vedere
ogni tanto e sembrava che crescessero sempre di più. Adesso sono cresciuti anche se
non di molto e miagolano sempre, non vedo
l’ora che diventino grandi.
Francesca Fordiani
LA GATTA DI MIA MAMMA
Quando mia mamma era giovane aveva una
gatta che si chiamava Micia.
Questa gatta era randagia e mio zio, il fratello di mia mamma, era riuscito ad addomesticarla.
Un giorno Micia ha partorito cinque gattini,
allora, per poterli tenere tutti, mia mamma e
la sua famiglia hanno deciso di portarla con
i suoi gattini nella casa in campagna a circa
sei chilometri da casa.
E così hanno preparato una bella cesta con
le ciotole per il cibo e per l’acqua e, in macchina, hanno portato Micia con i suoi piccoli
nella casa in campagna.
Ma alla mattina dopo, quando mia nonna si
è alzata ha trovato davanti alla porta Micia
con i suoi cinque piccoli, era stanchissima
perché probabilmente aveva camminato tutta la notte.
Mi hanno infatti detto che quando le gatte
trasportano i loro gattini fanno un pezzo di
strada per volta in modo da avere sempre
tutti i piccoli il più vicino possibile.
Mia mamma e la sua famiglia si sono così
emozionati nel vedere quello che quella gatta era riuscita a fare che hanno tenuto la Mi-
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cia ed i cuccioli nella loro casa e solo quando i gattini sono cresciuti ne hanno regalati
alcuni.
La Micia è invece rimasta a casa da mia
nonna fino a qualche anno fa e la ricordo
anch’io: era molto bella ma accettava le carezze solo quando lo decideva lei ed io avevo un po’ paura.
Edoardo Coletti
Martedì 27 Gennaio c’è stata la giornata della memoria e a scuola con i compagni e le
professoresse ne abbiamo parlato molto.
Venerdì 23 Gennaio siamo andati nella biblioteca comunale di Voghiera dove ad aspettarci c’era Claudia, la bibliotecaria, che
ci ha fatto accomodare intorno ad un tavolo
e ha iniziato a parlarci della Giornata della
Memoria.
Ci disse che le persecuzioni contro gli ebrei
iniziarono nel 1933 in Germania, che in Europa erano presenti moltissimi campi, circa
10.000, e che si distinguevano in campi di
sterminio, campi di sterminio e lavoro forzato, campi di concentramento e lavoro forzato
e campi di transito.
Poi ci ha presentato alcuni libri che si riferivano proprio a quella giornata.
In particolare si è soffermata a parlare di un
libro, “Il diario di Anna Frank” e ci ha raccontato la storia della
sua autrice.
Anna Frank era una
bambina ebrea nata in
Germania nel 1929.
Dopo le leggi razziali
il padre di Anna decise di trasferirsi in Olanda.
Il 20 giugno del 1942,
per il suo compleanno, Anna ricevette in
regalo un diario che
venne chiamato Kitty.
Così la ragazzina decise di iniziare a scrivere ciò che provava o
che accadeva.
Il 5 luglio 1942 successe un fatto gravissimo, Margot, la sorella maggiore di Anna, ricevette una cartolina dalla polizia olandese.
Quel pezzo di carta rettangolare aveva un
significato molto brutto, cioè che la polizia
avrebbe portato via la ragazza.
Così si nascosero tutti in un alloggio segreto
che si trovava sopra l’ufficio del padre, la
cui porta era nascosta da una libreria.
In quel posto, dove la luce era scarsa e all’unica finestra che c’era non potevano neanche affacciarsi, i Frank rimasero per due anni.
Però, malgrado la porta fosse ben nascosta,
il 4 agosto 1944 la polizia scoprì l’alloggio
segreto e arrestò tutta la famiglia. Anna e
Margot furono più volte trasferite e, nei primi giorni di settembre, arrivarono ad Auschwitz.
Pochi giorni prima della liberazione le sorelle Frank morirono.
Una dipendente del padre aveva trovato il
diario e l’aveva tenuto nascosto perché voleva restituirlo ad Anna al suo ritorno ma, una
volta saputo che non sarebbe più tornata, lo
diede al padre che lo fece pubblicare.
Tornati a scuola, abbiamo continuato a parlare della storia di questa ragazzina.
Qualche giorno dopo la nostra professoressa
di Italiano ci ha presentato un libro che raccontava la storia di una bambina di nome
Hana Brady. Questo libro si intitolava “La
valigia di Hana”.
E così iniziò a leggercelo…
Hana Brady era una bambina di 10 anni che
viveva in Cecoslovacchia, precisamente a
Nove Mestro, con la sua famiglia composta
dal padre Karel, la madre Marketa e il fratello maggiore George.
Era una famiglia normale, Hana andava a
scuola e aveva molti amici che le volevano
bene. Aveva molti hobby, tra cui andare a
pattinare sul lago ghiacciato nel suo paese.
Però c’era una cosa che distingueva la famiglia di Hana da tutte le altre: i Brady erano
ebrei!
I fatti precipitarono quando, nel 1939, a casa
arrivò una lettera indirizzata alla madre
Marketa con scritto che doveva recarsi subito al commissariato; la notte seguente la madre partì.
Hana non aveva ben chiaro che cosa stesse
succedendo ma era convinta che la madre
sarebbe partita e non sarebbe più tornata.
Poi anche il padre fu arrestato e fu costretto
a lasciare i figli con una governante di fiducia.
Un giorno Hana si recò alla posta dove trovò
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un piccolo pacchettino marrone inviatole da
sua mamma.
Dentro c’era un cuore di pane con incise le
sue iniziali e una lettera.
Hana e George avevano uno zio che voleva
loro molto bene.
Lo zio Ludvik, pur non essendo ebreo, prese i due fratelli e li portò a vivere con sé,
rischiando la propria vita perché a quei tempi i non ebrei non potevano proteggere gli
ebrei.
Un giorno, però, Hana e George furono allontanati dallo zio e portati nel campo di
Terezin dove i maschi dovevano stare separati dalle femmine.
Hana e George avevano dovuto separarsi
anche se avevano promesso di restare sempre insieme.
George sopravvisse
grazie alla sua grande
abilità nel fare l’idraulico. Hana invece arrivò ad Auschwitz e, lo
stesso giorno, fu uccisa.
Il fratello, finite le persecuzioni, ritornò a
casa dove era convinto
di trovare anche la
sorella, invece venne a
sapere che Hana e i
genitori non c’erano
più.
Alcuni anni dopo una
maestra dal Giappone
riuscì a mettersi in
contatto con lui e gli
disse che la valigia di
Hana era là.
Lui si commosse nel
rivedere e ritoccare la
valigia di sua sorella,
ma soprattutto perché
c’era una classe di
bambini che lo aveva
accolto ed era curiosa di conoscerlo perché
voleva ascoltare la storia della famiglia
Brady.
Oltre a queste due attività abbiamo parlato
anche di Giorgio Perlasca e del suo grande
coraggio.
Di questo uomo non mi ricordo molto: so
che lui si era finto Console di Spagna e con
questo inganno aveva salvato 5.218 ebrei
ungheresi.
Abbiamo parlato molto di questa giornata
perché è importante sapere ed imparare cose
che riguardano il passato per fare in modo
che alcuni gravi errori non accadano più.
Giulia Marzola
Ricorrenze e celebrazioni
Esperienze extrascolastiche
UNA INTERESSANTE LEZIONE DI STORIA
Lunedì 20 Aprile io e la mia classe, accompagnati dalla Prof.ssa Tosi, siamo andati al
Centro civico di Voghiera dove abbiamo
incontrato il Dott.Umberto Rinaldi e il sig
Gianni Bortolotti, che ci hanno raccontato
la loro esperienza durante la II guerra mondiale.
Umberto Rinaldi, giovanissimo, era diventato partigiano. Prima di parlarci della sua
esperienza ci ha fornito molte informazioni
sul periodo storico di cui stavamo parlando:
dal Fascismo all’entrata in guerra, dalla caduta di Mussolini alla nascita della Repubblica di Salò, dalla Resistenza alla fine della
guerra e alla nascita della Costituzione repubblicana.
Gianni Bortolotti invece ci ha raccontato la
sua esperienza di deportato civile dal 1944
al Settembre del ’45. Un giorno ricevette
una lettera che gli ordinava di presentarsi
per essere utilizzato come lavoratore e, all’età di soli 17 anni, fu portato in Polonia, dove
doveva lavorare per una famiglia tedesca,
prendendosi cura della fattoria, insieme ad
una ragazza ucraina.
Arrivato l’inverno, la guerra stava finendo, i
Russi si avvicinavano e lui fu costretto a
scappare insieme alla signora tedesca e ai
suoi figli; preparò il carro e presero la strada
verso Nord, verso la Germania.
Il viaggio fu lungo e faticoso e a un certo
punto arrivarono in una valle dove c’era un
lago ghiacciato. Il ghiaccio riuscì a tenere il
passaggio dei primi carri, ma poi iniziò a
cedere e alcune carrozze caddero in acqua.
Molti cavalli, camminando sul ghiaccio cadevano, rompendosi le gambe, allora venivano uccisi con un colpo di pistola e si proseguiva.
Finalmente giunsero in un villaggio, dove
sostarono. La notte fu tremenda perché si
sentivano esplodere le granate e le bombe.
Bortolotti era in una stalla, si rannicchiò in
un angolo, era molto spaventato, ma si addormentò comunque a causa della fatica accumulata durante il viaggio.
Il giorno dopo si stupì per il gran silenzio;
un francese gli disse che erano liberi.
Dopo qualche giorno, visto che nessuno si
preoccupava di rimpatriarlo, decise di partire da solo, a piedi. Durante il viaggio incontrò altri italiani e, insieme, proseguirono;
però le gambe ormai non ce la facevano,
così decisero di fermarsi in un campo, da
dove , dopo diverse settimane, furono riportati in Italia.
Il camion arrivò a Ferrara, qui trovò sua madre che lo abbracciò e lo riportò a casa.
Poi il Signor Rinaldi ci ha parlato della sua
esperienza di partigiano. Anche se aveva
solo 15 anni, i veterani gli avevano dato degli incarichi, come ad esempio spostare o
A VENEZIA
scambiare i cartelli con le indicazioni stradali in modo da disorientare i Tedeschi.
Ebbe anche l’incarico di scrivere, con la
macchina da scrivere della zia, un volantino
in cui si chiedeva ai contadini di non dare il
grano ai tedeschi, in modo da metterli in
difficoltà.
Portò anche, in segreto, delle armi ai partigiani, rischiando molto perché le strade erano pattugliate dai tedeschi. Fortunatamente
non fu notato né considerato pericoloso,
proprio perché era un ragazzino.
Poi noi ragazzi abbiamo posto diverse domande ad entrambi.
Mi sono parsi interessanti entrambi i racconti, ma mi ha colpito in modo particolare
quando il signor Rinaldi ha raccontato la sua
esperienza, perché quando i fatti sono accaduti cronologicamente era molto vicino alla
nostra età.
Una iniziativa di questo tipo secondo me è
stata molto utile, perché sinceramente mi
piace che si raccontino fatti realmente accaduti, nei quali ho cercato di immedesimarmi,
pensando a cosa avrei fatto io in determinate
situazioni, considerando anche la giovane
età delle persone coinvolte quando quei fatti
sono accaduti.
Luca Bacilieri
L’anno scorso mio nonno è venuto dalla Romania in Italia per vedere come stavamo io e
i miei genitori. Quando è arrivato in Italia
mio nonno ha detto a mia madre che gli sarebbe tanto piaciuto vedere almeno per una
volta Venezia. Allora mia madre gli ha detto
che lo avremmo portato un giorno intero a
Venezia. Il giorno che siamo andati a Venezia era una domenica; siamo partiti la matti-
na con il treno da Ferrara. Mentre ero sul
treno ascoltavo la musica dal mio telefono,
ed i miei genitori parlavano con mio nonno.
Arrivati a Venezia davanti alla stazione abbiamo fatto qualche foto,poi siamo partiti
verso la nota piazza di S. Marco; durante il
percorso abbiamo anche visitato tanti negozi
e ci siamo fermati anche a mangiare una pizza. Anche nella piazza di S. Marco abbiamo
fatto tante foto con i piccioni. Poi per tornare alla stazione da cui eravamo arrivati abbiamo preso un vaporetto dalla piazza di S.
Marco. Arrivati in stazione abbiamo ripreso
il treno e siamo quindi ritornati a Ferrara.
Arrivati a casa mio nonno ha detto che era
davvero molto bella Venezia.
Paul Avram
IN GITA A VENEZIA
Un mese fa sono andato
con la mia famiglia a Venezia. Siamo partiti in
macchina da Voghiera e
siamo andati a Ferrara
dove abbiamo preso il
treno per Venezia . io ero
molto curioso di vedere la
città visto che non c’ero
mai stato. Alle 10. 30 siamo arrivati. In stazione
c’erano molti negozi di
souvenir. Siamo usciti
dalla stazione e siamo
andati sul ponte più famoso di Venezia. Poi siamo
stati in un bar per un
break. Mi sembrava tutto
così affascinante lì a Venezia; poi ci siamo incamminati e per andare in alcuni luoghi l’unico mezzo era la gondola. Anche io avrei
voluto andare su una gondola ma c’ era troppa gente pronta a salirvi. . Abbiamo attraversato molti ponticelli che collegavano una
strada all’ altra. Finalmente siamo arrivati a
piazza San Marco dove abbiamo visto il
campanile e la basilica . La piazza era piena
di piccioni. Sulla parete della basilica vi è
una statua. Non siamo riusciti ad entrare nè
nella basilica nè nel campanile perché non
era aperta al pubblico quel giorno. Poi ci
siamo incamminati per
una via dove abbiamo
trovato una piazzetta e lì
abbiamo pranzato. Siamo
andati vicino al mare dove abbiamo visto una nave chiamata ‘Amerigo
Vespucci ‘ si poteva entrare a visitarla, ma c era
troppa gente anche lì .
Infine siamo stati in un
parco, dove ci siamo rilassati per la lunga camminata; con una grande
statua al centro. Alla fine
siamo tornati a Ferrara in
treno. È stata un’ esperienza bella e spero di
tornarci e di visitare la
basilica e il campanile.
Mi dispiace che Venezia sia una città destinata a sparire per via dell’ innalzamento dell’ acqua.
Alberto Poltronieri
RITIRO A ROMA
Noi ragazzi del catechismo di Gualdo abbiamo deciso, assieme a Marianna la nostra
catechista, di andare a visitare Roma per il
ritiro della Cresima. Abbiamo impiegato
parecchio tempo per organizzare questo mini-pellegrinaggio: inizialmente avevamo
fissato la data in maggio , ma il Pontefice ha
programmato un viaggio in Terra Santa,
dunque abbiamo pensato di anticipare la nostra visita al 18\19 aprile.
Ci siamo trovati noi ragazzi, alcune mamme,
la catechista e il parroco in stazione a Ferrara alle 7:30 di sabato mattina e siamo comodamente arrivati a Roma su un Eurostar dopo un bel tragitto attraverso la pianura, l’Appennino e la campagna toscana e romana.
Siamo arrivati a destinazione alle 11 circa,
per raggiungere l’albergo abbiamo preso
l’autobus: l’autista era maleducato e velocista, infatti appena il bus partiva si impennava quasi come una moto.
Il nostro albergo era in pieno centro, sempli-
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ce e carino gestito da suore e tutto costruito
attorno alla chiesa: per salire alle camere
sembrava di essere in un labirinto.
Abbiamo pranzato in hotel e abbiamo dedicato il pomeriggio alla visita della città: Via
Condotti, Piazza di Spagna e Trinità dei
Monti, Piazza San Pietro e Città del Vaticano dove abbiamo sostato davanti alle tombe
dei vari papi. Abbiamo visitato la basilica
dove abbiamo potuto ammirare la Pietà di
Michelangelo e innumerevoli affreschi e
opere d’arte di tutti i tempi. Una particolarità delle opere pittoriche della basilica ci ha
particolarmente colpito: sembrano quadri
ma in realtà sono mosaici.
Oltre ad offrirci la visita di tutta la città su
un maxi-bus a due pian,i il nostro parroco ci
ha fatto visitare un sacco di chiese, il
Pantheon, la fontana di Trevi, Piazza Navona e infine il Colosseo ed i Fori imperiali.
Una particolarità molto istruttiva è la sequenza di bassorilievi che si trovano lungo
63
la strada dei Fori Imperiali e che illustrano
l’espansione geografica dell’Impero Romano. Domenica mattina, dopo esserci confessati in San Pietro, abbiamo assistito alla
Santa Messa in latino, e dato che il papa si
trovava a Castel Gandolfo, abbiamo consegnato alle Guardie Svizzere gli stendardi che
avevamo disegnato per il Santo Padre.
Successivamente ci siamo recati alla basilica
di S. Giovanni in Laterano e ultimo ma non
meno importante alla Scala Santa: si tratta
della scala che ha salito Gesù quando si è
recato da Ponzio Pilato.
Nel frattempo poi il tempo era molto peggiorato e così sotto un diluvio siamo arrivati
alla stazione per prendere il treno che ci ha
riportati a Ferrara stanchi ma molto soddisfatti.
Cristian Cestari
Edoardo Coletti
Daniele Sovrani
Hobbies e passioni
Ricorrenze e celebrazioni
25 APRILE GIORNO DELLA LIBERAZIONE
IL NUOTO: LA MIA PIÙ GRANDE PASSIONE
Cominciò tutto un pomeriggio di sette anni
fa. A quei tempi avevo sei anni e mia madre
mi portò nella piscina “Atena” di Argenta.
Mi aveva iscritta a un corso di nuoto.
Ricordo che a me l’acqua non piaceva tanto,
prima di tutto perché era fredda, poi perché,
quando ero piccolina, mio fratello mi spinse
in acqua anche se non sapevo tanto nuotare
e ne bevvi molta. Da quel giorno ero rimasta
terrorizzata.
Quel pomeriggio entrai in acqua e, rassicurata dalla voce di mia mamma, ricominciai a
nuotare. Mi sentivo benissimo. La sensazione più piacevole era sentirmi cullata dall’acqua mentre nuotavo, ciò mi faceva sentire
bene.
Da quel giorno c’era per me solo una passione: il nuoto!
Oggi, a distanza di sette lunghi anni, sono
ancora qui, che nuoto felicemente.
Per me nuotare è tutto, quando sono nervosa
mi aiuta a tranquillizzarmi, mi rilasso e
“ritrovo” me stessa. Mi possono togliere
tutto, ma il nuoto no!
Per me nuotare significa vivere, essere liberi, mi fa sentire viva, mi fa essere quella persona che voglio essere. Se mi togliessero il
nuoto o io non potessi più nuotare, sarebbe
come uccidere una parte di me, quella parte
che la mia passione mi fa diventare. Tutte le
volte che entro in acqua mi sento leggera, mi
sembra di volare, anche perché l’acqua blu e
cristallina della piscina mi ricorda il cielo e
quindi tutte le volte mi pare di poter volare,
di essere come una stella nel giusto posto
del cielo, oppure un pesce nel suo luogo perfetto, ideale per la sua vita.
Anno dopo anno continuavo ad andare in
piscina e, quando arrivava l’estate, era ora di
pausa e io aspettavo sempre con ansia di
ritornare e di rivedere i miei amici e compagni di vasca.
Ora vado in piscina due volte a settimana, il
lunedì e il giovedì, ma purtroppo, a causa di
alcuni problemi, ho smesso di andare ad Argenta, adesso vado a Portomaggiore, dove la
piscina è molto più piccola, però gli amici
non mancano mai e sono tutti molto simpatici! L’allenatore, però, a volte è “peso”, ma
comunque è bravo e io mi diverto anche perché continuo la mia passione. Sono contentissima ed entusiasta di continuare a nuotare,
ma un po’ mi manca la piscina “Atena”, là
ho lasciato l’istruttrice che mi ha insegnato
ad amare e a continuare il nuoto, a lei devo
tutto il merito se oggi sono così. Poi ho lasciato la mia inseparabile compagna Alessia,
con lei era bellissimo parlare e condividere
tutto; c’erano anche Simone, sempre presente a tutte le lezioni, Matteo che mi faceva
sempre morire dal ridere e infine c’era lui, il
mio primo “amore”: Diego, che è stata la
persona più importante e la più difficile da
lasciare; ora siamo buoni amici, ma la sua
presenza mi manca, mi manca moltissimo.
Questa voglia non cesserà mai, anche perché, nella piscina “Atena”, ho lasciato una
parte della mia vita, una parte di ricordi e
quindi il nuoto, anche perché è l’unico sport
che amo alla follia, è e rimarrà: LA MIA
PIÚ GRANDE PASSIONE!!
Caterina Garbellini
LE MIE PASSIONI PIÙ GRANDI
La mia passione più grande è la corsa, che
ho praticato fin dalla prima elementare,
quando avevo sei anni. Ho iniziato a correre
perché mio papà ha sempre corso e mi raccontava quanto era bello, allora gli chiedevo
sempre se un giorno mi avrebbe portato a
correre nel circuito vicino a casa, ma lui,
lavorando molto e tanto, non riusciva mai.
Un martedì di giugno, a sorpresa, mio papà
arrivò a casa dal lavoro prima del solito e mi
chiese se ero pronta per andare a correre, io,
felicissima ed entusiasta, mi cambiai e partii
per andare a correre con lui. Proprio quel
giorno, c’era un’allenatrice che stava allenando dei miei amici che conoscevo di vista,
mi fermò e mi chiese se volessi andare ad
allenarmi con lei e io ho subito risposto di
sì, pur essendo molto timida. Da quel giorno
mi sono innamorata moltissimo della corsa.
Lei, purtroppo, mi ha allenato fino alla quinta elementare, poi non ha più allenato nessuno per problemi familiari. Dopo un po’ di
mesi sono andata ad allenarmi con un’altra
allenatrice, anche se mi trovavo meglio prima.
Io, correndo, ho ottenuto molti risultati e
soddisfazioni, come ad esempio il mio record su un chilometro, oppure d’estate quando, con mio papà, faccio sempre la gara di
sette chilometri a Ferrara, nel sottomura, o
quando ero piccola e andavo a correre ed ero
la più brava, perché arrivavo davanti alle
ragazze più grandi.
Tutto questo è quello che mi ha portato la
corsa ed il mio sport preferito, e per questo
ho un desiderio molto grande, anche se sarà
difficile che si realizzi , è di andare alle olimpiadi e fare i cinque chilometri o la maratona.
L’altra mia passione è il nuoto. Ho iniziato a
praticarlo quando ero in seconda elementare,
perché ho dei problemi con la schiena, questo sport non mi piaceva, però poi, una volta
entrata in piscina, non volevo mai uscire
dall’acqua.
I primi due anni andavo a Portomaggiore
poi, visto che tutti dicevano che era meglio
Molinella, ho iniziato ad andare là con una
mia amica. Mi sono trovata bene da subito
anche con gli istruttori.
D’estate quando finivo i corsi, (purtroppo),
con una mia amica andavo a fare nuoto libero e mi divertivo moltissimo, poi andavo
anche nella piscina all’esterno che era enorme e facevo i tuffi dal trampolino di cinque
metri.
Dalla quinta elementare ho avuto un istruttore che, all’inizio non mi piaceva per niente,
poi, conoscendolo meglio, mi è piaciuto
sempre di più e chiama me e una mia amica
“donne bioniche”, perché andiamo molto
forte e siamo molto brave.
Secondo me, perché piaccia uno sport, bisogna solo che diverta e io mi diverto moltissimo, ed è per questo che questi due sport sono la mia passione più grande e non smetterò mai di praticarli.
Greta Dalla Libera
ARTE ED IMMAGINE MI PIACE PERCHÉ…
Faccio i disegni con gli acquerelli, le tempere, i pennarelli; dipingo i fogli e imparo a
ricalcare il contorno dei disegni con il nero.
Ho scoperto che mescolando alcuni colori
ne vengono fuori altri, quando li mescolo
sembra una magia.
Quando dipingo sono contento e mi diverto
con i miei compagni. L’aula di arte è piena
di cose, sul tavolo ci sono tanti colori, pennelli, scatole, fogli e disegni.
62
Alle pareti sono appesi i quadri che hanno
fatto i ragazzi della scuola.
Andrea Coltra
Lunedì 20 aprile noi classi terze di Voghiera, siamo andati al centro civico ad ascoltare
ed a confrontarci con alcune persone che
avevano “vissuto” la 2° guerra mondiale.
Arrivati c’erano quattro persone anziane, ma
di queste solo due (Il sig. Rinaldi e il sig.
Bortolotti) ci hanno parlato della loro esperienza il sig. Rinaldi ci ha parlato prima della situazione di quel periodo in Italia. In Italia c’era un clima, un ambiente e una situazione drammatica, i fascisti devastavano le
sedi dei sindacati. Il 10 luglio 1943 gli alleati sbarcarono nell’Italia centro-meridionale e
risalirono finché, il 25 aprile, gli americani
liberarono l’Italia; questo è stato il ricordo
più bello del sig. Rinaldi e, questo giorno,
ogni anno, viene ricordato e festeggiato da
tutta l’Italia come il giorno della liberazione.
In quel periodo i tedeschi, tramite i fascisti,
mandavano cartoline ai ragazzi per la deportazione in Germania per lavorare e, in caso
di mancato reclutamento, provvedevano al
prelievo di un altro componente della famiglia. Il sig. Rinaldi ci ha raccontato quello
che accadde: lui aveva 15 anni quando arrivò la cartolina di reclutamento a casa sua, il
reclutamento riguardava suo fratello. Il treno
partito da Montesanto, prima dell’arrivo a
Ferrara è stato costretto a fermarsi a causa di
tremendi bombardamenti sulla città. Il fratello ha approfittato di questo evento e si è
nascosto a Poggio Renatico da alcuni suoi
parenti. Subito dopo i tedeschi, accortisi che
mancava, mandarono un fascista a casa loro
per dire che se il fratello non fosse partito
sarebbe dovuto andare il padre, che, non era
in condizioni di lavorare. Questo fu il momento più brutto per il sig. Rinaldi e la sua
famiglia che dovevano decidere chi far partire; richiamarono suo fratello che sarebbe
dovuto partire. In questo periodo ci furono
numerose morti, come il fratello minore del
sig. Rinaldi che trovò un ordigno inesploso
e, dopo averlo preso, gli scoppiò all’altezza
dell’addome provocandogli numerose ustioni che in sei ore lo portarono alla morte. Il
28 dicembre sette fratelli furono trucidati; a
Roma, nelle Fosse Ardeatine 335 persone
morirono tramite colpi alla testa; strage a
Marzabotto con 1836 morti. Questi fatti portarono molti ragazzi ad entrare nel gruppo
della resistenza. Per un ragazzo di 15 anni
appartenente al gruppo della resistenza il
compito era quello di reperire armi per gli
anziani. Le squadre minorenni non imbracciavano fucili, cercavano solo di raccogliere
armi e depistare i tedeschi. Mentre le persone di 20 anni scappavano dal fronte i partigiani chiedevano loro le armi oppure le rubavano ai tedeschi o ai fascisti. I partigiani
della zona, avevano un amico che aveva un
deposito da cui prendevano le munizioni; un
giorno, mentre stavano portando delle armi
ai partigiani incontrarono un tedesco che
però, forse per paura, cercò di evitarli. Oltre
a reperire armi e a depistare i tedeschi, i partigiani facevano riunioni per discutere sulle
strategie. Siccome c’erano degli agricoltori
che erano obbligati a cedere il grano ai tedeschi i partigiani cercavano anche venisse
meno questo “beneficio” per indebolire i
tedeschi. La lotta partigiana si articolava in
vari modi a seconda del luogo, siccome lì
erano in campagna l’unica cosa che potevano fare era dare indicazioni errate, dal momento che le persone non capivano il tedesco; quando i tedeschi dovevano passare da
una città all’altra i contadini mettevano dei
cartelli con frecce per indicare la via e i partigiani cercavano di cambiare la direzione di
queste frecce. Essere stato partigiano per il
sig. Rinaldi fu come andare in una grande
scuola. Spesso i capi della resistenza erano
uomini provenienti da stati diversi. Nel 1947
fu deciso di proclamare la costituzione, votata dall’88% della popolazione, solo il 56%
erano repubblicani. A quel punto il sig. Rinaldi citò alcuni importanti articoli della costituzione: Art.3 Tutte le persone hanno pari
diritti e sono eguali davanti alla legge.
Art.11 L’Italia ripudia la guerra come offesa
alla libertà degli altri stati.
Il sig. Rinaldi pensa che quelli come Hitler e
i dirigenti non possono essere perdonati, ma
bisogna cercare di non fare succedere più
“quelle cose”. Poi fu la volta del sig. Bortolotti che raccontò la sua storia: nel giugno
del 1944 arrivò una cartolina che diceva di
mandare dei ragazzi a lavorare in Germania,
i tedeschi avevano liberato Mussolini dal
Gran Sasso e quindi l’Italia continuava ad
essere alleata con Germania e Giappone. Il
sig. Bortolotti dovette partire per la Germania e poi per la Polonia, lui era insieme ad
altri italiani ma poi venne diviso da loro, il
momento più doloroso per il sig. Bortolotti è
stato quando rimase solo ed arrivò in una
fattoria, poichè la padrona di casa parlava in
tedesco il sig. Bortolotti si è dovuto creare
un “dizionario”. Li si continuava a lavorare
anche quando pioveva, data la solitudine se
qualcuno voleva sfogarsi parlava con i cavalli. Nelle domeniche d’estate andava a
trovare gli amici. Ha visto la madre della sua
padrona morire, lui ha visto morire solo lei
in tutta la guerra e molti si sono stupiti che
abbia pianto quando è morta, ma secondo lui
non era cattiva come la sua padrona,
ma ,anzi, con lui, era buona e gentile. L’ultima notte dell’anno era stato invitato ad un
ballo da due ragazze polacche, ma non ci
andò perché erano vestiti male. Le ragazze
però andarono a prenderli per ballare anche
se erano vestiti male: si divertirono e brindarono, è tornò a casa all’una. Non ha mai
più rivisto nessuno di loro perché d’inverno
il fronte russo avanzò e si cominciarono a
sentire i cannoni; quando la padrona di casa
19
decise che dovevano fuggire in Germania
un’ucraina amica del sig. Bortolotti scappò,
ma lui decise di seguire la sua padrona anche perchè con due bambini piccoli aveva
sicuramente bisogno di aiuto. Quando scapparono cominciarono a sentire delle granate;
la strada era piena di profughi, mentre scappavano un tedesco disse loro che era inutile
scappare perché i russi li avevano circondati
e l’unica strada era per attraverso una valle
dove c’era un argine ghiacciato, su quest’argine i cavalli slittavano, alcuni riuscivano a
passare ma molti di loro cadendo si rompevano le gambe. Durante il viaggio il cibo
veniva procurato chiedendolo ai contadini e
qualche volta si pativa la fame, qualche volta si era costretti a rubare il cibo, il sig. Bortolotti sostiene che non ha mai rubato per
mangiare, gli è capitato solo una volta perché un polacco gli chiese se aveva fame, il
sig. Bortolotti rispose di sì e allora il polacco lo condusse in un carro da dove tirò fuori
una pezzo di carne. Il sig. Bortolotti è riuscito ad attraversare la Germania e ad arrivare
a Valdelburgo, una località al confine con
l’Olanda. Poi arrivarono gli americani e ci
fu un tremendo bombardamento, lui cercò di
scappare, trovò un rifugio e si addormentò.
Al risveglio il sig. Bortolotti trovò un francese che gli disse che erano arrivati gli alleati e la guerra era finita, durante tutti quei 16
mesi il sig. Bortolotti non aveva mai pensato
di non riuscire a tornare a casa. Si videro dei
cingolati che passarono insieme ad alcuni
carri che portarono i deportati negli aeroporti per riportargli dalle loro famiglie. Il sig.
Bortolotti rimase lì 7 giorni poi si incamminò verso il sud dove incontrò altri tre italiani
che cercavano di raggiungere l’Italia, alla
fine arrivarono in un campo di concentramento, poi in un altro e in un altro ancora;
oltre ai campi di concentramento gli capitò
di fermarsi a dormire nei boschi. Arrivarono
sul Brennero, poi a Verona, a Bondeno e a
Ferrara; una volta arrivato dissero loro che
forse non avrebbero ritrovato le case e i genitori perché era stato tutto bombardato; invece lui li ritrovò e ritrovò anche tutti gli
amici e la sua fidanzata: questo per lui è stato il momento più bello. Dei 12 italiani partiti uno solo non tornò. Tornando a casa dalla Germania nel 1945 per non dimenticare l’
accaduto scrisse un diario che, però non
pubblicò. Il sig. Bortolotti perdonò i tedeschi che in divisa erano criminali ma a casa
erano persone normali con una famiglia da
mantenere, con loro lavorò e si trovò anche
bene.
Enrico Agostinetto
Ilaria Gallerani
Commento a libri e film
Hobbies e passioni
IL PICCOLO PRINCIPE
L’autore dedica “Il Piccolo Principe” a Leone Werth. Lui era il suo più caro amico. Più
precisamente lo dedicò a Leone Werth quando era bambino. Inizialmente il libro narra
di un bambino di sei anni che aveva una
grande passione: disegnare. Un giorno disegnò, da un libro intitolato “Storie vissute
della natura”, un boa che inghiottiva un animale. Poi ne fece uno di sua inventiva, lo
mostrò ai grandi e gli chiese se li spaventava
ma tutti risposero:
<<Spaventare? Perché mai dovremmo essere spaventati da un cappello?>>
Il suo disegno non era un cappello, ma era
un serpente boa che ingoiava un elefante.
Allora lo disegnò visto dall’interno ma questa volta gli risposero che doveva occuparsi
della matematica, della grammatica e della
storia e lui pensò che i grandi non capiscono
niente. Allora, quando divenne grande, decise di pilotare gli aerei e la conoscenza della
geografia gli fu molto utile per distinguere i
vari continenti e nazioni. Fu così che ebbe
un incidente nel Sahara, lì riposò per la notte
e la mattina lo svegliò una vocetta che gli
diceva:
<<Mi disegni una pecora?>>.
Vide davanti e sé una strana personcina che
lo guardava fisso. Il pilota gli disse che come pittore era un po’ maldestro. Provò varie
volte a disegnare una pecora ma nessun disegno gli riusciva bene. La prima pecora era
malaticcia, la seconda sembrava un ariete e
la terza era vecchia. Il pilota si stancò e gli
disegnò una cassetta dove dentro ci doveva
essere la pecora. Quello era il disegno giu-
sto. Fu così che l’aviatore conobbe il Piccolo Principe. Il Piccolo Principe veniva da un
altro pianeta. Da lui era tutto molto piccolo,
ci stavano a malapena lui e la sua cassetta.
Un giorno sul pianeta nacque un fiore diverso da tutti gli altri. Non smetteva mai di prepararsi ad essere bello, ma ben presto si scoprì che il suo carattere era troppo esigente:
voleva essere annaffiato tutte le mattine,
voleva una campana di vetro per ripararsi
dagli animali feroci e un paravento per le
correnti d’aria. Fu questo comportamento a
costringere il Piccolo Principe ad andarsene.
La mattina successiva ripulì tutto e partì,
unendosi ad una migrazione di uccelli. Visitò gli asteroidi 325- 326- 327- 328- 329- 330
per cercare un’occupazione e per istruirsi.
Nel primo pianeta c’era un re, nel secondo
un vanitoso, nel terzo un ubriacone, nel
quarto un uomo d’affari, nel quinto un lampionaio e nell’ultimo un geografo. Poi decise di andare sulla Terra dietro consiglio del
geografo. All’inizio non vide uomini ma
incontrò, dopo varie avventure, una volpe.
La volpe chiese al Principino se voleva addomesticarla, poi gli spiegò:
<<Addomesticare vuol dire creare dei legami>> e si addomesticarono l’uno con l’altra.
Era l’ottavo giorno della caduta nel deserto
quando finì l’acqua. Con il pilota c’era anche il Piccolo Principe, così si misero in
cammino per cercare un pozzo. Quando lo
trovarono, si stupirono perché era un pozzo
munito di carrucola e secchio, diverso dai
soliti pozzi sahariani che erano un semplice
buco nel terreno. Così prelevarono l’acqua e
LA MUSICA: IL MIO GRANDE AMORE
bevvero. Il pilota doveva mantenere la promessa fatta al Piccolo Principe e disegnargli
una museruola per la sua pecora, in modo
che non mangiasse il suo fiore. Così mantenne la promessa e gliela disegnò. Il Principino, all’insaputa del pilota, si mise d’accordo con il serpente che poteva aiutarlo a ritornare sul suo pianeta. Però ci doveva tornare
solo con l’anima. Quando lo rivelò al pilota
gli disse che quando sarebbe tornato sul suo
pianeta avrebbe riso, così il pilota, quando
avrebbe guardato le stelle, le avrebbe viste
sorridere tutte. La sera spiegò al pilota il
motivo per il quale voleva ritornare sull’asteroide B612 ma dopo un po’ si vide un
guizzo giallo intorno alla caviglia del Principino. Non urlò neanche ma cadde dolcemente come un albero sulla sabbia. Dopo alcuni
giorni il pilota ebbe delle preoccupazioni:
alla museruola non aveva messo la stringa
per allacciarla, così una parte di lui era preoccupata pensando che il fiore sarebbe stato
mangiato, ma un’altra parte era certa che
questo non sarebbe accaduto. Questo libro
mi è piaciuto molto, soprattutto quando il
Principino ha incontrato il lampionaio perché era l’unico che avrebbe potuto diventare
suo amico, ma sul suo pianeta non c’era posto per due.
Matteo Buzzoni
IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA
Nel testo del “Piccolo Principe” ci sono diverse situazioni riguardanti l’amicizia, ad
esempio quando il Piccolo Principe incontra
la volpe ed essa gli dice: “ Tu, fino ad ora,
per me, non sei che un ragazzo uguale ad
altri centomila ragazzi. E non ho bisogno di
te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non
sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi (creare
legami), noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo”.
Per me, un vero amico è la persona con cui
posso parlare liberamente, una persona fidata. Una persona amica deve fidarsi di me,
deve essere simpatica, non deve barare, è
una persona con cui, se litigo, faccio pace
prima di due settimane, se è una cosa importante, se invece è una banalità prima di tre
giorni. Questa persona non è unica perché
ha dei super poteri ma, ad esempio, se accadesse che a me e a questa persona piacesse
lo stesso ragazzo non litighiamo, anzi, ci
ridiamo su e parliamo di altro, oppure giochiamo e ascoltiamo musica, proprio perché,
come nel brano che ho citato sopra tra la
volpe e il Piccolo Principe, abbiamo creato
dei legami.
Questa mia amica è Giada Bottazzi di Ι G;
lei è magra, alta poco più di me anche se è
nata dopo di me, con i capelli rossi e corti
(anche se fino a metà della quinta elementare aveva i capelli lunghi), il naso piccolo e
un pochino a patata, la bocca piccola e gli
occhi di medie dimensioni.
Giada è un po’ maldestra, gentile e chiacchierona, brava nello sport, ma non molto
brava a scuola anche se si impegna , comunque è testarda, infatti, a volte, ottiene quello
che vuole e per me questo è uno dei suoi lati
migliori, è buona, ma a volte rompiscatole,
tanto che non la sopporto e vorrei tirarle
uno scapellotto, comunque è tranquilla, e
spero che rimarrà per sempre la mia migliore amica!!!
Un episodio che rappresenta la sua onestà e
quindi la nostra amicizia è stato quando, in
quinta, vidi al collo di una mia ex-compagna
una collana azzurra che avevo fatto io e ave-
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vo regalato a Giada. Io chiesi a questa ragazza perché l’avesse, lei mi disse che l’aveva
comprata con i penny ( soldi che avevamo
inventato con degli amici). Io andai da Giada per chiederle spiegazioni, lei mi disse che
non era vero nulla, ma io non le avevo creduto. Dopo un po’ capii però che la mia excompagna aveva rubato la collana e io avrei
dovuto fidarmi della mia amica, perché
quella compagna mi aveva rubato anche un
quaderno con la cornicetta che mi aveva
fatto mia madre e un’altra volta il mio quaderno di matematica con i compiti perché
non li aveva fatti. In seguito a questo mi sono resa conto che Giada è una persona fidata!!!
Irene Bellettini
La mia più grande passione è la musica, per
me è tutto. Mi aiuta sempre anche in situazioni difficili, per esempio quando sono triste ascolto della musica molto allegra per
tirarmi su. Quando devo sfogarmi comincio
a cantare e dopo mi sento subito meglio.
Quando sono molto felice, sento la mia canzone preferita suonarmi dentro la testa ed è
una sensazione molto piacevole.
L’estate scorsa ho trascorso intere giornate
ad ascoltare musica con una mia amica
sdraiate su un materassino: ci siamo divertite un mondo.
Guardo spesso programmi televisivi dove
trasmettono della musica, ad esempio
“Amici” o “X Factor”; quando sono in camera metto la musica e faccio i compiti oppure “chatto” con i miei amici. Alcune persone mi dicono che dovrei studiare di più
invece di ascoltare le canzoni, io dico che
studio, però dopo devo rilassarmi.
Quando canto mi sento benissimo, infatti il
mio professore di musica mi ha aggiunto nel
coro della scuola. Dobbiamo fare molti concorsi; l’altro ieri abbiamo partecipato al concorso “Agostini” e siamo arrivati primi. Sabato pomeriggio, alle 17:00, ci premieranno
al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara. Il
28 aprile abbiamo un altro concorso a Portomaggiore, speriamo di vincere anche questa
volta.
La mia musica preferita è quella pop e anche
un po’ house, infatti sul mio MP3 ho solo
quella.
Il mio gruppo preferito sono i “Finley”, non
solo perché sono bravi, ma anche perché
sono molto carini.
Domenica, una mia amica verrà a casa mia e
canteremo tutto il giorno, perché ci piace e
siamo abbastanza brave.
Un’altra mia passione, legata alla musica, è
il violino. Quando comincio a suonare sento
dentro di me una specie di allegria che mi fa
suonare ancora meglio e mi diverto tantissimo. Il violino è molto importante per me,
l’anno scorso non ero bravissima, ma adesso, che mi piace di più, lo suono più volentieri e quindi suono meglio. Il professore di
violino è molto simpatico e ci divertiamo
tantissimo.
L’anno scorso, quando ho fatto il mio primo
saggio di musica, ho avuto tanta paura, ma
poi mi sono rilassata e ho suonato come sapevo fare ed è andato tutto bene. Quest’anno, ancora, stavo per morire di paura, ma
dopo, io e tre mie amiche, ci siamo tranquillizzate ed è andato meglio di quello prima!
Queste mie passioni sono, in pratica, la mia
vita e sarò sempre legata ad esse.
Sara Maiani
LA BATTERIA
di solito suono quello che mi dà il mio professore, oppure suono con mio papà. Di solito suono pezzi degli U2, di Danko Joanes,
oppure con il papà suono pezzi di genere
diverso, come rock, blues, jazz, reggae ecc.
Da un anno ho formato un gruppo costituito
da me, batteria e percussioni, Cestari Cristian, chitarra, Benetti Alessia, voce. Con il
mio gruppo suono dei pezzi rock blues; suoniamo pezzi degli AC/DC, PFM (Premiata
Forneria Marconi), Gun’s Roses ecc. Il nostro gruppo si chiama “The XXX”, è da un
po’ di tempo che non riusciamo più a trovarci per motivi di scuola e per il catechismo,
comunque speriamo di trovarci ancora per
suonare. Per concludere vorrei dire che sono
certo che amerò la batteria per sempre.
La mia più grande passione è suonare la batteria. Ho iniziato a suonare all’età di 5 anni
con la prima batteria che mi è stata regalata;
poi, all’età di 6 anni, sono stato seguito da
un maestro bravo e simpatico. Da 7 mesi sto
frequentando il Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara e vengo seguito da un professore anche lui molto bravo di nome Querci Guido, che io soprannomino “Squercino”.
Lui è basso, magro, molto preciso, con lui
mi trovo veramente bene e non incontro problemi, infatti mi dice sempre che sono molto
bravo. Anche lui mi ha dato un soprannome
che è “Piccolo”. Il mio professore viene da
Milano e io faccio lezione con lui dalle ore
16.30 alle 17.30 di mercoledì. Anche lunedì
devo andare al Conservatorio per suonare
con un pianista e un fagotto. A casa mia mi
esercito nella lavanderia dove ho la batteria;
Roberto Toschi
PODISMO E NUOTO: LE MIE PASSIONI
La passione più importante per me è il podismo, lo pratico da quando avevo sette anni e
da quel giorno non l’ho più lasciato. Anche
Greta pratica insieme a me questo sport e da
sempre è la mia migliore amica.
Da quando ho iniziato a correre e fino alla
quinta elementare ci allenava una persona
molto brava, ma soprattutto una campionessa di maratone e di corsa; era bellissimo fare
gli allenamenti con lei, mi divertivo tanto.
Però un giorno, precisamente una domenica,
durante una gara, lei ci comunicò che non
poteva più allenarci. Il perché non l’abbiamo
mai saputo, per noi è stata una grande perdita come allenatrice e come amica, infatti ci
invitava ogni domenica a casa sua; noi le
volevamo molto bene. Allora, io e Greta, ci
siamo iscritte al “CUS” il centro Universitario Sportivo a Ferrara, dove abbiamo trovato
le nostre allenatrici specializzate; a dire il
vero abbiamo in tutto quattro allenatori, che
ci allenano in diverse specialità, si chiamano: Eleonora e Chiara che ci allenano spessissimo, mentre Marcello ed Enrico gli altri
due. Ci si diverte molto con loro, perché ci
si allena ridendo e scherzando. Ci alleniamo
il mercoledì e il venerdì, il mercoledì stiamo
nel centro sportivo, mentre il venerdì andiamo in una pista di atletica.
Tra poche giorni inizieranno le gare provinciali in pista e se ci classificheremo passeremo alle gare regionali, è un’emozione bellissima!!
Un’altra mia passione è il nuoto, questa, pe-
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rò, non è forte come il podismo. Anche il
nuoto lo pratico insieme a Greta, quindi si
può capire che io e lei non ci lasciamo mai!
Il nuoto è bello perché si provano emozioni
forti, ma un po’ faticose. Da quattro anni
facciamo questo sport a Molinella, ma quando arriva il giorno in cui bisogna andarci,
non vorrei mai partire, perché come istruttore abbiamo un ragazzo un po’
“rompiscatole” e io mi stanco facilmente.
Però, in fondo, alcune volte mi diverto.
Comunque nel mio cuore resta e resterà per
sempre la passione per il podismo, perché
nel praticarlo si provano emozioni stupende,
soprattutto quando si viene premiati.
Serena Rizzati
Sentimenti e punti di vista
Commento a libri e film
UGUALI MA DIVERSI
Mi chiamo Andrew e ho quattordici anni.
Sono una persona introversa, timida e non
mi va come gli altri ragazzini di mangiare
un gelato davanti la scuola o di rintanarmi in
casa di un amico a guardarci in faccia e parlare di scuola. Sempre parole. Solo parole.
Le parole sono le uniche cose che l’uomo
capisce, tranne me. Preferisco passare ore ed
ore a scrivere il mio diario segreto nella casa
sull’albero che ha costruito mio padre prima
di morire. Lui era l’unica cosa bella che mi
era rimasta tra le mani e una volta perso
quello, il mio mondo, la mia fantasia esplose
e cominciai a essere così come sono: inutile.
Mi sentivo così fino alla conoscenza con
Sebastian, quello che mi aveva salvato dalla
depressione e che adesso è il mio migliore
amico. La nostra amicizia iniziò così:
“Era il 27 settembre ed avevo appena ripreso
ad andare a scuola, alle superiori “Einaudi”.
Vi erano un sacco di ragazzi nuovi. Erano
tutti molto vivaci e si radunavano in gruppi
per giocare e parlare. Io ero l’unico incapace
di integrarmi al gruppo e me ne stavo in un
angolino del giardino. Nessuno si era accorto di me , così me ne andai sulla riva del fiume senza accorgermi che Sebastian, il mio
compagno, mi aveva seguito. Io mi sedetti
sulla sponda del fiume. Nel frattempo arrivò
Sebastian che si sedette vicino a me. Egli
disse: << Io sono Sebastian, ho visto che sei
qui tutto solo e sono venuto a chiederti se
vui fare amicizia con me…>>. Io risposi: <<
non ho bisogno di amici… sto bene solo con
me stesso…>>. Lui rispose: << Io adoro la
matematica, la cioccolata, il bianco e la
compagnia>>. Io dissi: << Io invece adoro
l’italiano, la maionese, il nero e la solitudine>>. Lui affermò: << La diversità è un dono del cielo…”. Ma io insistei: << Ma dai…
IL PICCOLO PRINCIPE
preferisci tirare su di morale uno straccio
come me o… e poi perderesti gli amici…>>
<< Che m’importa?! Quella è gentaglia!>>”
A me “scappò da ridere” per la prima volta,
dopo tanti anni e per farmi ridere ci voleva
molto. Capii quindi che sarebbe stato il mio
amico ideale. Ho deciso di raccontare questa
storia per far capire che chi trova l’amicizia
trova il diamante più prezioso che esista sulla Terra.
Lucrezia Ghirotto
Martina Patti
Thomas Azzolini
Zahra Atti
Mattia Lolli
Mattia Stracuzzi
Michele Canneto
Corneliu Moraru
COME MI TROVO ALLA SCUOLA MEDIA
Mi chiamo Cristian e
frequento da pochi
mesi la prima classe
della scuola secondaria di primo grado.
L’ambiente scolastico
al primo impatto,
quando sono venuto a
fare il test attitudinale
per l’assegnazione
dello strumento musicale, non mi sembrava
un gran chè. Poi però,
con i giorni trascorsi
in questa scuola, mi
sono dovuto ricredere
perché mi sono accorto che tutto era molto
attrezzato: dall’aula di
musica, a quella di
arte fino ad arrivare
alla palestra. Il rapporto con i compagni è
bello. E’ molto diverso dalle elementari (che preferivo) soprattutto perché facendo un intervallo molto ridotto
non si Ha la possibilità di parlare, giocare e
quindi conoscere i compagni che arrivano da
altre scuole e perciò non hai nemmeno mai
visto. La stessa cosa vale nel rapporto con i
“nuovi” (non anagraficamente) professori
che ci hanno portato tante novità come alzarsi in piedi quando entra un professore e
rivolgersi a quest’ultimo dando del “Lei”.
Anche in questo caso (con tutto il rispetto
per i miei professori) io preferivo le elementari dove il rapporto con le maestre era molto meno formale. Addirittura durante il
“dopomensa” una di queste maestre ci portava a casa sua dove sua mamma ci accoglieva
molto calorosamente regalandoci caramelle
e pasticcini. Poi durante le gite sempre questa maestra di nome Ornella al ritorno ci
portava al mare dove lei stessa ogni tanto ci
offriva un gelato. Poi giocavamo nella sabbia a piedi nudi e se facevamo i bravi ci faceva anche immergere i piedi nella fredda
acqua dei nostri “Lidi”. Le materie delle elementari le ho ritrovate tutte nelle scuole medie, ma con l’aggiunta di altre due materie:
Francese e chitarra. Le materie in cui mi
trovo meglio sono certamente quelle che ho
fatto anche alle elementari come storia, matematica e italiano. Però non vado affatto
male nelle materie nuove quali francese e
chitarra. Probabilmente la materia in cui va-
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do peggio è geografia
ma anche alle elementari non ho mai avuto
un gran “feeling” con
questa materia!!! Una
cosa che mi ha molto
colpito è stata che durante le ore di arte,
quando stiamo zitti, la
professoressa accende
la radio e ci fa ascoltare la musica per farci
rilassare. Sicuramente
io della scuola elementare rimpiango il meraviglioso rapporto con
le maestre, soprattutto
con Ornella, la maestra
di Italiano che anche
se a volte dicevo che
era severa mi ci ero
affezionato tantissimo.
Senza nulla togliere
alle altre maestre
(Cinzia e Lucia) con cui ho avuto un rapporto diverso avendole avute per tre anni anziché cinque come Ornella. Poi l’altra cosa
che rimpiango è certamente l’intervallo che
alle elementari era più lungo. Però delle medie ci sono due cose che preferisco rispetto
alle elementari: le ore suddivise una per una
anzichè due alla volta e l’altra cosa è che
alle medie si fa un’ora in più di educazione
fisica. Adesso io preferirei le elementari rispetto alle medie ma questo è un discorso
che potrò affrontare solo finiti i tre anni di
scuole medie quindi il paragone è rimandato
alla fine del terzo anno.
Cristian Cestari
Antoine de Saint-Exupéry lavorò per l’Aeropostale e fu tra i primi a trasportare per via
aerea le lettere.
Nel 1935 ebbe un incidente nel deserto del
Sahara col suo aereo.
Anche nel libro si parla di un pilota che ha
avuto un incidente ed è caduto nel deserto
perché qualcosa si era rotto nel motore. Così, al levar del sole, fu svegliato da una vocina che gli chiedeva di disegnare una pecora.
Era un Piccolo Principe, che non dava per
niente l’impressione all’aviatore di essere
smarrito in mezzo al deserto lontano mille
miglia da qualsiasi abitazione umana. Il Piccolo Principe proveniva dall’asteroide B
612.
Sul suo pianeta c’erano tre vulcani, di cui
due attivi e uno spento, e un fiore. Il Piccolo
Principe si mette a raccontare i suoi ricordi
che riguardavano il lungo viaggio prima di
arrivare sulla Terra.
Il principino, dopo essere partito dal suo pianeta insieme a uno stormo di uccelli, visita
gli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329, 330, in
cui incontra tanti personaggi strani: il re, il
vanitoso, l’ubriacone, l’uomo d’affari, il
lampionaio e il suo lampione e un geografo.
Il Piccolo Principe, arrivato sulla Terra, incontra un serpente al quale chiede informazioni del posto in cui si trova, ebbe una discussione con un fiore a tre petali, incontrò
un roseto dove il Piccolo Principe si sentì
triste, perché il suo fiore gli aveva detto di
essere unico nell’universo.
In seguito incontrò una volpe con cui creò
dei legami, addomesticandosi a vicenda.
Infine incontrò un controllore e un mercante
di pillole. Erano da otto giorni nel deserto,
così il pilota e il Piccolo Principe decisero di
andare in cerca di un pozzo e, al levar del
sole, lo trovarono. L’aviatore ritornò dal suo
aeroplano cercando di aggiustarlo e, quando
ci riuscì, ritornando dal Piccolo Principe,
vide che stava parlando con un serpente, che
uccide in trenta secondi; l’aviatore si preoccupò.
La sera si recarono nel punto in cui il Piccolo Principe era caduto la prima volta sulla
Terra e, con un guizzo giallo vicino alla sua
caviglia, il serpente morse il principino che
cadde a terra. Le parole più importanti dette
dal Piccolo Principe sono state:
“L’ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI
OCCHI”; su queste parole bisogna riflettere,
molte persone guardano solo con gli occhi,
ma non con il cuore, che è la cosa più importante.
A me questo libro non è piaciuto perché alla
fine il Piccolo Principe muore, sinceramente
mi sarei aspettato un finale migliore.
Riguardo ad Antoine de Saint-Exupéry,
qualche mese dopo l’apparizione del suo
capolavoro, scomparve in aereo sul mar Mediterraneo.
Ma la favola del fanciullo dai capelli d’oro
continua.
Nicola Piccolo
IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA
In questo libro il tema dell’amicizia è presente in vari punti, già all’inizio quando il
Piccolo Principe incontra il pilota. Il Piccolo
Principe dice al pilota:" Mi disegni una pecora?" Il pilota non credeva alle sue orecchie perchè pensava che fosse solo nel deserto. Fu così che iniziò il loro rapporto e i
due diventarono grandi amici. Si raccontavano tante cose del passato e del presente. Il
Piccolo Principe gli raccontava com'era e
cosa c'era sul suo pianeta. Un altro amico
del Piccolo Principe è stato il fiore. Loro
avevano un legame forte già da quando la
rosa era nata. " Come sei bello"! disse il Piccolo Principe al fiore. L'ultima amicizia che
ha stabilito il Piccolo Principe è stata quella
con la volpe. Si sono addomesticati a vicenda. Si sono divertiti insieme ridendo e giocando. Quando il Piccolo Principe stava per
andare via, la volpe lo ha fermato e gli ha
detto:" Non si vede bene che con il cuore;
l'essenziale è invisibile agli occhi."
Per me l'amicizia è un rapporto importante
perchè due amici si possono aiutare a vicenda." Se io non avessi un amico la mia vita
sarebbe già finita," mi dico sempre.
La mia migliore amica si chiama Ilaria. Fisicamente è bassa e robusta, ha i capelli castani e gli occhi marroni. Di carattere è chiacchierona, intelligente e vivace, é un po’ ge-
losa, ma è veramente molto simpatica.
Quando uno è in difficoltà, lo aiuta volentieri. Non è timida ed è quasi sempre allegra.
Io la conosco da poco perchè ci siamo conosciute all'inizio della scuola media, ma per
me è un' ottima amica, anche se a volte è
impulsiva. Per me Ilaria è un'amica perché,
quando ho bisogno, lei mi aiuta e io aiuto
lei. Un episodio che testimonia l'importanza
del nostro rapporto è quando ci siamo conosciute. All'inizio della scuola non conoscevo
nessuno, quindi stavo sola; poi ho conosciuto Ilaria e ho cominciamo a parlare con lei.
Le ho chiesto come fossero i compagni, i
loro nomi e le loro caratteristiche, lei mi ha
aiutato ad inserirmi e, successivamente, siamo diventate vere amiche. Abbiamo avuto
un momento di crisi, ma poi lo abbiamo superato. Io la voglio ringraziare, perchè, se
non fosse stato per lei, ora non avrei tanti
amici; quindi le dico GRAZIE!!!
Giulia Pareschi
IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA
Il tema centrale del libro “Il Piccolo Principe” è l’importanza dell’amicizia.
I punti del libro in cui ho trovato maggiormente questo tema sono: quando il Piccolo
Principe rimpiange di aver lasciato la sua
rosa, ma anche quando, alla fine del libro, il
pilota non lo vuole lasciare. Il Piccolo Principe ha un rapporto di amicizia anche con la
volpe, la quale si lascia addomesticare, e con
il serpente, che lo accoglie per primo nel
deserto e lo aiuta a tornare nel suo pianeta.
Per me un vero amico è Giorgio. Ci conosciamo da quando eravamo “nella pancia
della mamma”!
Giorgio è magro e non è molto alto, ha gli
occhi marroni e porta gli occhiali. Ha i capelli marroni e un po’ lunghi ( a volte lo
spettino e ci divertiamo a dire a chi assomiglia! ); Giorgio è simpatico e gentile anche
se, a volte, è un po’ critico e vuole sempre
avere l’ultima parola. Quando non capisco
delle cosa, per esempio nei compiti, lui mi
21
aiuta e anche io aiuto lui.
Quest’estate abbiamo deciso di andare in
Inghilterra, un mese, da soli. Io, senza di lui,
non me la sarei sentita di partire e anche lui
non se la sarebbe sentita senza di me… anche perché un mese è molto lungo!
Giorgio è il mio migliore amico e non lo
cambierei con nessun altro al mondo.
Laura Vignali
Commento a libri e film
Sentimenti e punti di vista
IL GIGANTE DI ZERALDA
Durante le vacanze natalizie ho letto un libro
di Tomi Ungerer dal titolo “Il gigante di Zeralda”, un libro abbastanza bello di genere
fiabesco.
Racconta la storia di un orco cattivo con
denti aguzzi e una barba gigante, un grande
naso e un gigantesco appetito. Gli piaceva
più di ogni altra cosa al mondo mangiare per
colazione i bambini piccoli. Ogni giorno gli
orchi andavano nelle case, prendevano i
bambini e li mettevano nei sacchi, così i genitori nascondevano i bambini nelle cantine.
L’orco, non potendo più mangiare i bambini, perché non si facevano più trovare, si
adattava a mangiare spaghetti con polpette,
anche se preferiva mangiare mani e cosce di
bambini. In una valle remota, in una radura
fra i boschi, viveva un contadino che aveva
un’ unica figlia di nome Zeralda. Nessuno
dei due aveva mai sentito parlare dell’orco.
A Zeralda piaceva molto cucinare ogni tipo
di cibi e quello che sapeva fare meglio erano
i ripieni, i fritti, i lessati, gli stufati e le grigliate. Una volta all’anno il contadino andava in città a vendere le sue patate, il grano,
la carne e i pesci. Un pomeriggio, prima del
giorno di mercato, chiamò a sé la sua unica
figlia ,<<Zeralda bambina mia>> disse il
padre <<non mi sento per niente bene, ho
dolori dappertutto e mi gira la testa. Devo
aver mangiato troppi gnocchetti alla mela,
domani è il giorno del mercato, ci andrai tu
da sola e dovrai sostituirmi>>. L’indomani,
la ragazzina andò in carrozza e preparò tutto
ciò che doveva vendere in città; nel frattempo l’orco era nei dintorni, vide la bambina e
la volle mangiare ma, ad un certo punto,
cadde e svenne. Zeralda lo prese, lo portò
sotto l’albero e gli preparò da mangiare; l’orco si svegliò e vide vicino a lui zuppa di
crescione, trote affumicate con capperi fritti,
lumache al burro e cipolla, tre pollastri arro-
TUTTO PUÒ CAMBIARE
stiti e porchetta di latte. L’orco aveva ripreso i sensi e con crescente interesse stava ad
osservare Zeralda. Tutti quei cibi avevano
per lui un sapore completamente nuovo, così
propose a Zeralda di portarla al castello per
preparagli altri piatti. Zeralda era molto felice di preparare piatti per l’orco anche per gli
spuntini di mezzanotte. Gli altri orchi erano
felici di mangiare piatti nuovi e le chiesero
se dava loro le ricette.
L’orco era così felice che diede caramelle a
tutti i bambini della città, anche i bambini
erano felici perché gli orchi non li mangiavano più. Passarono gli anni, Zeralda era
cresciuta e diventata una bella ragazza. L’orco ben nutrito si era rasato la barba e i due si
innamorarono l’uno dell’altra, si sposarono,
ebbero tanti bambini e vissero per sempre
felici e contenti fino alla fine dei loro giorni.
Mirko Stracuzzi
RIASSUNTO DEL ROMANZO: IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI
Il viaggio fu molto avventuroso, attraversarono continenti.
Durante il viaggio incontrarono il detective Fix, che seguì
Fogg per tutto il tragitto, pensando che fosse il famoso ladro della banca e scoprì solo
alla fine che il ladro non era
lui ma un’altra persona che
avevano già arrestato.
Durante il suo passaggio in
India salvò una ragazza di nome Auda da un sacrificio e la
portò con sé per tutto il resto
del viaggio fino in Inghilterra.
Il suo lungo viaggio non fu
sempre facile ma ebbe degli
imprevisti. Tornò a Londra
convinto di essere arrivato in
ritardo e di aver perso la scommessa.
Passepartout, uscendo per una
commissione, si accorse che
invece era in anticipo sulla
data e corse ad avvisare il suo
padrone. Corsero tutti al club e
Fogg entrò nel salone principale giusto un minuto prima
che scadesse l’ora della scommessa. I soci furono costretti a
dargli i soldi.
Phileas Fogg si sposò con Auda e diede un premio in denaro
al fidato Passepartout e. nonostante tutto anche al detective
Fix, che lo aveva accusato di
essere il ladro.
Phileas Fogg è un uomo che
fa parte dell’alta società inglese ed è uno dei membri più
originali e più in vista del
“Reform Club” di Londra.
Era una persona molto misteriosa, non si sapeva che lavoro
facesse; era ricco e molto abitudinario, ogni giorno faceva
le stesse cose ed era sempre
puntuale.
Un giorno, mentre era al circolo, si mise a parlare con altri soci di un furto alla Banca
d’Inghilterra. Parlando della
fuga del ladro, iniziarono a
discutere di quanto tempo ci si
poteva mettere per fare il giro
del mondo e Phileas Fogg disse che si poteva fare in 80
giorni. Gli altri quattro soci
non ci credevano e Fogg decise di scommettere che sarebbe
riuscito a fare il giro del mondo in 80 giorni e che se avesse
vinto, i soci gli avrebbero dato
ventimila sterline, se fosse
successo il contrario sarebbe
stato lui a darle ai soci.
Decise di partire il giorno
stesso, 2 ottobre, e sarebbe
tornato il 21 dicembre alle
8:45.
Tornato a casa chiamò il suo
domestico, Passepartout e gli
ordinò di preparare un sacco
con poche abiti, perché sarebbero partiti per il giro del
mondo in 80 giorni.
Giada Molinari
22
Il mio nome è Alesha. Abito in un piccolo
quartiere a Los Angeles, ma in realtà sono
irachena. Ho quindici anni e frequento la
Howard High School con mia sorella Jasmine.
Mia madre è morta quando avevo tre anni,
insieme a quello che sarebbe stato il mio
fratellino,a causa di un parto malriuscito.
La mia vita? Sola, senza senso, isolata da
tutto il mondo. Avete presente come si sente
un pulcino in gabbia che sa che prima o poi
farà una brutta fine? Ecco,quel pulcino sono
io.
Stavo pensando tra me e me che cosa ero
veramente,fino a quando sentii la voce di
mio papà: <<Alesha!! Vieni, è pronta la colazione!>> <<Sì,papà. Arrivo!>>.
Scesi giù per le scale di corsa pensando a
quello che mi sarebbe successo di nuovo a
scuola. <<Ciao Ale!>>; ecco mia sorella
Jas. Ha 18 anni ma si comporta come una
bambina di due. La invidio…
Mangiai svelta uova e bacon e presi il pullman che conduceva alla mia famosa scuola…quando…<<La cartella!!>>
Corsi in casa di nuovo,la presi e diedi un
bacio a papà, intanto che il pulminista, il
solito maleducato, suonava a più non posso
il clacson e urlava a squarciagola.
A scuola non ho amici. Loro non mi considerano. Forse perché sono irachena, forse
perché non conoscono il mio volto coperto
da un velo o forse perché pensano che puzzi.
Ma sinceramente non m’importa di quello
che pensano di me,perché io immagino esattamente la stessa cosa di loro.
Non ho molti hobby. Adoro scrivere canzoni
e cantarle e lo faccio ogni santa ora,ogni
santo giorno della mia vita.
Ma bado alle ciance, adesso c’è l’ora d’inglese, devo scappare!
Tornai a casa sfinita. Il mercoledì era il giorno di scuola peggiore.
<<Ehi,ciao Ale! Come è andata la scuola?
>> <<Bene papà.>>
non ho molti rapporti con papà, anzi, praticamente nessuno. Nonostante lui faccia tutto
per me e sia sempre gentile e sorridente, io
non lo considero.
Forse, se ci fosse anche mamma con me,
sarebbe tutto diverso…
Andai in camera mia a scrivere canzoni,
mentre la dolce musica di Taylor Swift mi
dava ispirazione. Mia piace molto come cantante: è bella,brava e umile.
Ero persa nel più profondo dei miei pensieri,
quando sentii suonare il campanello.
Appena aprii la porta, mi ritrovai davanti
Kevin. <<Ah,già,il progetto di scienze!
>>.<<Lui mi guardò annoiato. <<Sì,quindi
mettiti al lavoro,non ho intenzione di sprecare tempo con persone come te>>. Mi chiuse la porta in faccia, anche se avrei dovuto
farlo io.
<< Ok,allora ciao…>>. Ero desolata e delusa di me stessa.
Andai in camera traendo dalla mia mente
tutte le idee possibili per il progetto.
Appena finito lo portai da Kevin che non mi
ringraziò e mi chiuse la porta in faccia, di
nuovo.
<<Forse dovrei cambiare.>> C’era una vocina acuta che rimbombava sempre più forte
nel mio stomaco e non mi dava tregua. Ma
forse,in fondo,aveva ragione…
Intanto,a cena,arrivò mio papà. Decisi per la
prima volta,di parlargli,così gli corsi incontro e lo salutai. Iniziammo a parlare del mio
rendimento scolastico,di Kevin e di come gli
“amici” mi trattavano…fino a che la vocina
che continuava a rimbombare, dallo stomaco
passò alla bocca: <<Forse dovrei cambiare>>.
<<E perché dovresti “Cambiare”>>? <<Non
ho amici e nessuno mi considera solo perché
non mi conosce>>.
Lui si alzò e se ne andò a cucinare, offeso, e
non mi parlò per quattro giorni.
Ma in realtà non mi interessava.
Andai in camera ed aprii l’armadio: solo
tuniche lunghissime che non mostravano
quello che ero veramente. Ne presi una, afferrai sicura le forbici, e trasformai quell’enorme tunica rosa, in un grazioso vestitino.
Successivamente andai in bagno e mi guardai allo specchio.
Non notavo niente di particolare, così andai
a cenare senza dire niente a nessuno.
Il giorno dopo, quando gli alunni della Howard mi videro, sbalorditi, si misero a ridere.
E adesso cos’ è successo? Cos’ho fatto di
male?
Corsi piangendo in bagno e mi fissai allo
specchio. Niente.
A lezione tutti mi fissavano con il ghigno
sulla faccia, persino la professoressa sembrava incantata da me…
Così decisi di attuare il secondo piano.
Alla fine delle lezioni mi rivolsi a Sally, la
mia vicina di armadietto: <<Ciao, come
stai?>>.
Lei mi guardò e mi rispose <<Bene>> e se
ne andò.
Sally è una ragazza molto egocentrica e forse non è adatta a me.
Allora mi rivolsi a Taylor (era più gentile),
usando le stesse parole <<Ehi ciao…come
stai? Mi chiedevo se a casa mia, oggi pomeriggio…visto che siamo capitate insieme nel
lavoro di inglese, potessimo farlo in squadra
e non lasciarlo tutto a me…>>.
Mi stupivo di quello che avevo detto: in inglese ero molto brava, ma non so perché mi
erano uscite quelle parole di bocca.
Lei, intanto, si mise a ridere, poi mi rispose:
<<Certo!>>.
Tirai un sospiro di sollievo. In quel momen-
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to mi sentii nuova, senza problemi.
Alle cinque in punto arrivò Taylor che mi
salutò: <<Ciao A…,come avevi detto di
chiamarti?>><<Alesha, ma chiamami Ale>>. La lascia entrare, mentre osservava il
povero arredamento della mia casa.
<< Su andiamo in camera>>. La guidai e
intanto discutevamo sul lavoro scolastico.
Tutto a un tratto lei, annoiata, cambiò discorso, vide un libretto sulla mia scrivania e
disse: <<Scusa, potrei sapere cosa c’è scritto
lì dentro?>><<Ah niente…sono solo delle
stupide canzoni scritte da me…ma sono
brutte>><<Beh, vabbe, posso vederlo, per
favore?>>.
Glielo diedi in mano e intanto lo sfogliava
attenta. <<Alesha, queste canzoni sono stupende! Me le canteresti?>>. Ci mise un
quarto d’ora a convincermi. Io cantavo sicura, ma anche un po’ intimidita e consapevole
di avere una voce orribile.
<<Hai una voce incredibile, credimi! Senti,
ti andrebbe di venire con me a cantare nella
sala discografica di mio papà venerdì? Per
gioco ovviamente>>.
Il mio cuore smise di battere per due secondi. Ero euforica.
Ci incontrammo nella sala. Era pieno di tecnici che ci fissavano con quell’aria da
“bambine, stiamo lavorando tornate a casa!”.
Cantammo tutto il tempo e ci divertimmo da
matti.
Notai purtroppo che là c’era anche un discografico.
Doveva essere il padre di Taylor.
Ci venne incontro e ci parlò:<<Ho notato
che sei molto brava, come dice mia figlia. Ti
andrebbe, visto che non ho clienti, di fare
parte del mondo della musica?>>.
Io pensai profondamente alle cose che avrei
fatto se fossi stata famosa: girare il mondo,
sposarmi con un personaggio importante,
avere un sacco di fans…
<<No>>, dissi convinta. <<Questa città per
me è molto importante, e poi non voglio lasciare la mia famiglia…>>.
Lui, con una faccia sbalordita, borbottò e se
ne andò offeso. Anche Taylor era stupita…
ma ormai era mia amica ed era felice della
mia decisione.
Ormai non mi serve più niente: ho un’amica,
una famiglia, una dignità e preferisco tutto
questo, invece di essere famosa, che la gente
pensi quello che vuole.
Io sono orgogliosa di essere così come sono.
Silvia Lupini
Nei panni di...
Commento a libri e film
VALENTINO ROSSI
Era il venerdì di prove libere prima del gran
premio del Quasar a Losail.
Alla mattina atterrai all’aeroporto e andai
subito verso il paddok, dove c’era tutta la
squadra con le moto pronte a partire.
Alle 13 entrai in pista per il primo turno di
prove libere, ma l’inizio non fu certo dei
migliori. Dopo due giri, in pieno rettilineo,
sfiorando i 320 Km/h, ho avvertito qualcosa
nella moto che non andava e, quando ho effettuato la frenata, mi partì il posteriore e
feci una bruttissima caduta.
Dopo le visite del dottor Costa, scoprii che
mi ero fratturato i due polsi e, secondo i dottori, non avrei dovuto fare la gara. Questa
notizia mi fece andare il morale sotto le
scarpe.
Durante le prove ufficiali mi resi conto che
questa gara era troppo importante per me. Al
termine delle prove, io ero al 24° posto, ultimo, senza nemmeno avere avuto la possibilità di scendere in pista.
La pole position purtroppo andò a Stoner,
mio primo rivale nel mondiale: malissimo!!
A quel punto,dopo aver riflettuto a lungo,
presi la decisione di fare la gara.
La domenica della gara stavo un po’ meglio, ero imbottito di antidolorifici. Anche se
partivo in fondo al gruppo, ero molto fiducioso.
Erano quasi le 14 e partimmo per il giro di
formazione. Una volta schierati, alle 14 in
punto, si spensero le luci rosse e partì il gran
premio del Quasar. Alla prima curva, cadde-
58
JONA CHE VISSE NELLA BALENA
ro 4 piloti ed io, dopo il primo giro, ero gia
dodicesimo.
Giro dopo giro, guadagnavo posizioni e,
man mano che andavo avanti, acquistavo
sempre più fiducia. A tre giri dalla fine ero
secondo. Passarono altri due giri e marcavo
stretto Stoner fino a quando, all’ultima curva, lo superai e andai a vincere il gran premio.
Finita la gara, ero felicissimo.
Quando andai sul podio non riuscivo neanche ad alzare il trofeo per il dolore ai polsi.
È stata l’emozione più forte che il motociclismo mi ha regalato.
Thomas Trentini
Il film “Jona che visse nella balena” parla di
un bambino di nome Jona Oberski, che abitava ad Amsterdam; i fatti narrati avvengono tra il 1942 e il 1945.
Jona nel 1942 aveva solo tre anni, era un
piccolo bambino, un po’ robusto, con una
faccia buffa; la sua famiglia era benestante e
viveva in un appartamento di Amsterdam.
Sua madre era una bella donna, faceva la
casalinga e aveva molto coraggio, infatti un
giorno, mentre era dal fruttivendolo che non
gli voleva vendere la verdura
perché era ebrea, lei prese
quello che gli serviva, pagò e
poi se ne andò. Il padre era
un uomo magro, alto; perse il
lavoro perché era un ebreo,
così andò a lavorare nella
casa del signor Daniel; un
giorno portò con sé Jona e gli
fece vedere cosa faceva.
Un giorno arrivarono i soldati
nazisti e portarono via Jona e
la sua famiglia. Jona non voleva andarsene dalla sua casa
e si rimise a letto, ma nella
sua camera entrò un soldato
che e gli ordinò di vestirsi,
lui non volle e gli buttò i vestiti addosso, per fortuna arrivò sua madre, che mandò
via il soldato.
Tutti i componenti della famiglia vennero portati in un
campo di raccolta, dove Jona
frequentava una “scuola”,
cantavano in ebraico, ma lui
non conosceva la lingua. Una
volta che imparò le parole, la
maestra venne portata via. Un
giorno Jona vide un cavallo
bianco fuori dal recinto del
campo e corse vicino al filo
spinato, ma il padre lo fermò
subito perché aveva paura
che si facesse male.
Un giorno Jona e la sua famiglia vennero trasferiti, pensavano di essere portati in Palestina, invece si trovarono in
un campo di lavori forzati. Il
padre, prima di partire, scese
per andare a prendere i sigari che aveva dimenticato, la moglie e il figlio presero un
grande spavento perché avevano paura che
non li avrebbe raggiunti, ma alla fine riuscì a
salire sul camion.
Arrivati al campo di lavoro vennero divisi; il
padre da una parte, Jona e sua madre dall’altra.
Lì conobbero Simona, una ragazza ebrea che
aiutò molto la madre; i bambini venivano
mandati a tagliare il cuoio delle scarpe delle
persone che andavano via, e Jona che non
sapeva dove andavano si chiedeva: “ma perché le persone vanno via senza scarpe?”; ma
nessuno gli dava una risposta perché lì non
si potevano fare domande.
Dopo qualche tempo, era il compleanno del
papà; la madre e Jona lo andarono a trovare
di nascosto, corrompendo il dottore con i
sigari. Al papà portarono una piccola torta
fatta con patate e un po’ di carne che Jona
riuscì a prendere quando andava a pulire i
pentoloni dei soldati con i ragazzi più gran-
di, poi gli regalarono un sigaro.
Qualche giorno dopo il padre morì, quando
glielo comunicarono e gli diedero le scarpe
Jona si dimenticò di dirlo a sua madre, perché era una cosa che lui non voleva accettare. Quando la mamma lo vide con le scarpe
del papà, capì, insieme raggiunsero l’infermeria, dove il padre era in punto di morte.
Poi Jona diventò amico dei ragazzi più
grandi e, per entrare nel loro gruppo, doveva
superare una dura prova, quella di entrare
nell’”osservatorio” , che in realtà era l’obito-
23
rio. Quando il bambino entrò, capì che era il
posto dove portavano i morti, e , mentre cercava di scappare, vide il corpo del cuoco.
Quando la madre scoprì quello che era accaduto lo costrinse a rasarsi e a lavarsi con
cura.
Un giorno vennero portati via in treno, a
causa di un guasto le carrozze con i passeggeri vennero abbandonate, Simona chiese al
soldato se poteva scendere a prendere un po’
d’acqua, così fecero scendere lei, Jona e
un’altra bambina. A un certo
punto il soldato tedesco, che
stava ascoltando la radio, sentì una canzone di guerra tedesca e ordinò loro di cantare;
proprio in quel momento arrivarono i soldati russi che li
liberarono.
Gli ebrei vennero portati in
un villaggio, la madre di Jona
fu ricoverata all’ospedale perché si rifiutava di mangiare e
dava segni di squilibrio.
Quando Simona e Jona andarono a trovarla lei fece una
scenata, le fecero una puntura di tranquillante e l’ultima
cosa che disse a Jona fu:
“Ricordati sempre di guardare
il cielo e di non odiare mai”.
Poi la madre morì e, dopo un
po’ di tempo, Jona andò a
vivere ad Amsterdam presso
il signor Daniel. All’inizio si
rifiutava di mangiare e buttava per terra tutto ciò che aveva sul tavolo, così la signora
Daniel gli disse che loro non
gli avrebbero più rivolto la
parola fino a quando non avesse pulito ciò che aveva
sporcato; gli regalarono anche
una bicicletta, ma lui non la
degnò di uno sguardo. Allora
i signori Daniel lo lasciarono
da solo , Jona si ricordò di
suo padre, si fece forza e iniziò a pulire tutto, poi iniziò a
mangiare e, alla fine, ad andare in bicicletta.
Adesso Jona Oberski è uno
scienziato e vive ad Amsterdam e per scrivere il libro, da cui è stato tratto il film, ha dovuto fare dieci anni di analisi presso uno
psicanalista.
Del film mi ha colpito in particolare il coraggio della madre.
Il film mi è piaciuto, lo consiglierei ad un
coetaneo perché è un vicenda drammatica,
vista con gli occhi di un bambino.
Martina Rubbi
Fiabe e racconti (Fiabe)
Nei panni di...
IL POTERE DELLA CONCHIGLIA
C’era una volta, in qualche parte sconosciuta
del mondo, un giovane pescatore, il suo nome era Francesco, aveva circa 18 anni,era
muscoloso perché riusciva a prendere i pesci
più grossi ma era anche intelligente perché
mangiava molto pesce. Un giorno Francesco
andò a pescare come tutte le mattine, ma
udì che la principessa Elisa era stata rapita
da un drago acquatico. I draghi acquatici
non sono come tutti i draghi, infatti possono
andare sott’acqua, lanciare lingue di fuoco e
di ghiaccio.
Francesco andò a pescare ma trovò il lago
ghiacciato,
-“Il drago deve essere passato di qui, ma io
farò un buco nel ghiaccio” disse.
E così fece, iniziò a pescare e, dopo cinque
minuti, abboccò un pesce, ma non era come
tutti, infatti era dorato e parlava. Il pesce
disse:
-“Non uccidermi, sono ancora troppo giovane per morire, ho solo 3 anni, se mi lasci
vivere ti darò la mia conchiglia magica che
esaudirà tutti i tuoi desideri !”
-“Grazie!” disse Francesco.
Allora Francesco portò il pesciolino che si
chiamava Geck a casa sua, lì si sarebbe allenato perché il padre di Elisa, il re, aveva
ordinato che tutti gli uomini dovevano trovare il drago e ucciderlo per riportare la
principessa tra le braccia di suo padre.
Intanto Francesco discuteva col pesce:
-“Perché ci devo andare ?”
-“ Perché sì !Ora allenati , usa la conchiglia
per trasformare un oggetto in un’ arma.
Francesco provò, ma la trasformazione non
riusciva alla perfezione perché non durava
più di 5 secondi , finalmente un giorno riuscì a trasformare la sua canna da pesca in 3
spade da samurai. Così Francesco felice dis-
ALEXI LAHIO: DALL’INIZIO ALLA LEGGENDA
se:
-“Finalmente , ci sono riuscito ,domani troverò il drago e lo sconfiggerò”.
La mattina seguente Francesco e Geck andarono in cerca del drago , lo trovarono subito
vicino al lago, Francesco attaccò ed ebbe la
peggio perché il drago volò in aria con la
principessa tra le zampe. Francesco usò il
potere della conchiglia ed ebbe tre spade, la
conchiglia ne aumentò anche le prestazioni e
quindi Francesco, con uno scatto , arrivò dal
drago e lo uccise con il fendente delle tre
spade.
E così salvò la principessa Elisa che sposò
dopo un po’ di tempo, ebbero tre figli, con
cui vissero felici e contenti.
Davide Aliminni
L’ORCO E LA PRINCIPESSA
C’era una volta un castello vicino ad un bosco.
In quel castello vivevano il re, la regina e la
loro figlia Elisabetta che
era molto bella e gentile
con tutti.
Il re e la regina le dicevano sempre: << Non andare nel bosco perché c’è
l’orco cattivo che abita
nella grotta e ti può rapire>>.
La principessa però disubbidì al padre e alla
madre e andò nel bosco a
raccogliere fiori.
Mentre camminava nel
bosco, ad un tratto, vide
la caverna dove abitava
l’orco e, incuriosita,
ci entrò.
La caverna era enorme, piena di disegni sui
muri e, in un angolo, c’era l’orco che dormiva.
Appena la principessa lo vide fece due passi
indietro, pestò un ramo secco che fece uno
scricchiolio che rimbombò nella caverna,
così l’orco si svegliò.
La principessa cominciò a correre più veloce
che poteva, ma l’orco era più veloce di lei,
la prese e la riportò nella caverna, dove la
rinchiuse in una gabbia.
La principessa cominciò ad urlare: << Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi salvi! Sono stata
rapita dall’orco!!!>>, ma nessuno la poteva
aiutare.
Il re e la regina intanto incominciavano a
preoccuparsi non vedendo più la figlia.
Allora ad entrambi venne un dubbio: <<
Forse nostra figlia è andata nel bosco e l’orco l’ha rapita? Se è così dobbiamo chiamare
subito il principe, il figlio del re nostro alleato>>
Mandarono un messaggio nel regno lì vicino
e, in poche ore, il principe Reginaldo arrivò.
Il re e la regina gli spiegarono tutta la storia
e Reginaldo, con tutto il suo coraggio, decise di andare nel bosco, di uccidere l’orco e
di portare sana e salva la principessa, che in
cambio sarebbe diventata sua sposa.
Alla mattina presto del giorno dopo il principe si alzò e si diresse verso la grotta dell’orco dove era rinchiusa la principessa.
Mentre galoppava verso il bosco, incontrò
un pastore con il suo gregge di pecore.
Il pastore chiese al principe: << Dove andate ?>>.
Lui rispose: << Sto andando a salvare la
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principessa Elisabetta che
è stata rapita dall’orco>>.
Allora il pastore gli diede
un amuleto e gli disse:
<< Questo amuleto è magico, chiedetegli quello
che volete e lui lo farà>>.
I due si salutarono e ognuno andò per la propria
strada.
Finalmente Reginaldo era
davanti alla caverna, era
arrivato proprio nel momento in cui l’orco stava
uscendo.
Allora il principe scese
da cavallo, entrò nella
grotta e, improvvisamente, vide la principessa
rinchiusa nella gabbia
che urlava.
Il principe si avvicinò piano piano, prese
l’amuleto e disse: << Apri questa porta>> ;la porta della gabbia si aprì e così la
principessa potè uscire.
Mentre stavano uscendo dalla caverna l’orco
arrivò. Non fece neanche in tempo a dire:
<<Fermatevi!>> che il principe aveva già
tirato fuori l’amuleto, dicendo: << Uccidilo>>.
Così accadde, l’orco si alzò in aria e scoppiò.
Il principe e la principessa ritornarono al
castello sani e salvi.
Dopo pochi giorni ci furono le nozze e i due
vissero per sempre felici e contenti con tanti
bambini.
Valentina Bortolotti
Mi chiamo Alexi Lahio, sono il cantante e
chitarrista di un gruppo metal abbastanza
famoso: i “Children of Bodom”.
Sono nato in Finlandia in un paese vicino a
Helsinki, il 3 marzo del 1982. A 7 anni ho
iniziato a suonare la chitarra, e a 12 ho imparato la mia prima vera canzone, la canzone era degli Iron Maiden, il titolo era “Fear
of the Dark”.
Fino al mio diciassettesimo compleanno la
mia è stata una vita monotona, la vita di un
finlandese qualunque però, in questo periodo, ho conosciuto quattro ragazzi che poi
sarebbero diventati i miei compagni di grup-
po. Dopo avere compiuto 18 anni, ho fondato il gruppo; la cosa più difficile è stato scegliere il nome, all’inizio ci siamo chiamati
“Children of Evil” e abbiamo fatto alcuni
concerti, però senza alcun successo. In seguito ho rifondato il gruppo con il nome definitivo: “Children of Bodom”.
Finalmente è arrivato il grande giorno, il
giorno del nostro primo vero concerto: Miami Florida, ottobre 2000, noi 5 sotto gli occhi di più di 10000 persone, è stata una forte
emozione , ma c’era anche la paura di sbagliare i pezzi, per fortuna è andato tutto bene.
Nel 2002 è uscito il mio primo vero successo, con l’album “Are you Dead yet?” e le
canzoni “Are you Dead yet?” e “Bodom
Night”.
Da allora a oggi ho composto 7 album e ho
partecipato a numerosi concerti; il concerto
che però ricorderò per sempre è quello del
2004 chiamato “Live in Stoccholm”, nel
quale ho ricevuto una bottiglia di birra diretta in testa da uno spettatore.
Spero di fare altri grandi successi in futuro.
Davide Incerti
FABRIZIO MORO
Sono Fabrizio Moro, il mio vero cognome è
Motrici. Sono nato il 9 aprile 1975 a Roma.
Mi è sempre piaciuta la musica e ,quando
ero piccolo, scrivevo poesie, poi a 15 anni
mio padre mi regalò la prima chitarra e così
ho incominciato a suonare e a scrivere canzoni.
Ho capito che la musica sarebbe stata la mia
vita quando nel 1988 ero al Palazzetto dello
sport, a Roma,con mio padre che vendeva i
gadget del tour di Vasco Rossi “Liberi liberi”. Quando il concerto è finito, ho visto le
espressioni della gente e mi sembrava che lì
dentro fosse successo qualcosa. Il Palazzetto
era ormai vuoto, sono entrato e ho percepito
un’atmosfera quasi magica. Così ho iniziato
a pensare che mi sarebbe piaciuto salire sul
palco e comunicare emozioni, e ho iniziato a
scrivere.
Ho partecipato a Sanremo nella sezione giovani del 2000 con “Un giorno senza fine”,
ma non ho avuto successo, così ho continuato a fare tantissimi altri lavori, come il facchino in un albergo a Guidonia, oltre che a
suonare.
Poi nel 2007 la mia vita è cambiata completamente. Infatti ho partecipato a Sanremo
nella sezione giovani con “Pensa”, una canzone che ho scritto contro la mafia, e ho vinto. Quasi non ci credevo.
Da allora la mia vita è molto cambiata, perché non sono mai a casa ma sempre in giro a
suonare, per strada mi riconoscono ovunque
e i giornalisti mi fanno molte interviste. Nell’estate 2007 sono andato al Festivalbar e ho
aperto diversi concerti di Vasco Rossi davanti a 70 mila persone, proprio io che ero
abituato a club di 100 persone alla volta. È
stata un’ emozione unica, mi tremavano persino le gambe.
Il successo però ha rotto molti dei miei equilibri, infatti il rapporto con i miei familiari ed amici è cambiato ed è finita anche una
storia d’amore molto importante.
Nel 2008 sono tornato a Sanremo con
“Eppure mi hai cambiato la vita”, una canzone dedicata proprio alla mia ex ragazza
Roberta. Ho cantato sul palco anche con Gaetano Curreri degli Stadio. Ero più emozionato nel secondo festival che nel primo, perché cantavo nella sezione big e quindi avevo
maggiore responsabilità. La mia non era una
canzone impegnata, ma una canzone d’amore; mi sono classificato terzo e sono stato
contentissimo.
Infine quest’anno, il 20 febbraio 2009, sono
tornato a Sanremo, ma come ospite a cantare
con Fausto Leali, poi ho continuato la collaborazione con gli Stadio cantando una canzone con loro.
E ora continuerò la mia carriera di cantautore. Anche se con molta fatica e una dura gavetta, ho realizzato il sogno della mia vita:
cantare.
Voglio dire a tutti i ragazzi che inseguono
un sogno di crederci e lottare per realizzarlo
perché anche i sogni che sembrano impossibili alla fine possono realizzarsi. Credetemi.
Erica Fioresi
IL MITICO SANTON
Era arrivato il momento di entrare in campo,
la partita era molto importante, eravamo
contro il Manchester United. Il coach diceva
che io sarei stato titolare e sarei restato in
campo tutti i novanta minuti della partita:
voleva darmi fiducia.
Si entra in campo, l’ arbitro fa testa o croce
per chi avrà palla, sfortunatamente
c e
l’hanno loro!
A centro campo ci sono gli avversari della
vita, i nemici, e noi dobbiamo
“distruggerli”, combattere contro di loro.
Ronaldo passa la palla a Rooney e poi a Vidic nelle retrovie, io scivolo per prendergli
la palla e ci riesco, ma lui simula un fallo, l’
arbitro si avvicina a noi due, io penso che
avrebbe ammonito lui, invece ammonisce
me. Io gli chiedo il perché e lui risponde che
era gamba netta. Quindi lui batte la punizione e la passa a Rooney, che tira molto forte,
ma il portiere para la palla senza problemi,
rinvia ma perdiamo subito il possesso e, con
un contropiede devastante, Ronaldo ci fa
goal al quarantatreesimo.
Negli spogliatoi l’ allenatore fa un cambio e
sposta me con Crespo, quindi io vado in attacco. Alla ripresa, io passo la palla a Ibra,
che però viene messo subito a terra. L’ arbitro però lo ammonisce per simulazione: era
evidente che ce l’ aveva con noi.
Hanno battuto il calcio di punizione, era un
passaggio corto, io ho intuito tutto e sono
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riuscito a prendere la palla, quando sono
arrivato nell’ area avversaria non sono riuscito a tirare, poi ho sentito una voce:- Dacci
di tacco- era Ibra che mi suggeriva. Io gli ho
dato ascolto e, con furbizia, al momento giusto, gliel’ ho passata, lui ha tirato con tutta
la sua forza e ha fatto un gran goal. Così
siamo riusciti a tenerci in vantaggio per tutta
la partita visto giocavamo in trasferta.
Alla fine abbiamo vinto la partita e addirittura abbiamo vinto la Champions league.
Quella è stata la partita più bella della mia
vita.
Mitya Maietti
Fiabe e racconti (Descrizioni, Il territorio)
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
MIO FRATELLO
Mio fratello si chiama Eduardo Luis, ha
venti anni, è alto circa un metro e settanta
ed è muscoloso: Si veste, di solito, in modo
molto sportivo e quando esce di sera si veste
in modo elegante. Ha gli occhi neri come il
cielo quando c’è il temporale e i suoi capelli
sono rossi come quando c’è il tramonto.
Lui “di fisico” ha le gambe molto magre
perché è nato a sei mesi, ma le braccia sono
abbastanza muscolose; ha dei peli ovunque,
gambe, braccia….
Mio fratello Ha un carattere particolare: gli
piace molto giocare con me, proprio come
me, gli piace giocare con la Play Station 2: il
suo gioco preferito è il calcio.
Lui è molto buono e generoso perché aiuta
sempre la mamma, ad esempio pulisce la
casa e quando abbiamo finito di mangiare lo
vedi che è pronto ad aiutare mia mamma.
Anch’io aiuto, ma lui di più.
DUELLO FRA IL BENE E IL MALE
Nel tempo libero ama ascoltare la musica; la
sua cantante preferita è Laura Pausini.
Ogni volta che mi serve aiuto per fare i compiti è molto disponibile e mi spiega sempre
tutto.
Mio fratello ha un solo difetto: quando io
non lo ascolto si arrabbia subito e lo va a
dire alla mamma.
Ernesto Hernandez Gonzales
MIO PADRE
Mio padre si chiama Marco, ha 45 anni. E ‘
abbastanza alto ed ha i capelli neri come il
carbone,ma con qualche ciuffo bianco.; ha
gli occhi marroni, ma quando i raggi del sole si riflettono diventano verdi, in essi ci sono i colori della natura. Non tifa Juve!!!
(meno male) mi basta già mia mamma e mia
sorella che sono interiste; mio padre invece
non tifa per nessuna squadra solo per l’Italia ai mondiali di calcio, anche se non segue
molto le partite.
E ‘ un grande lavoratore e si veste spesso
con vestiti da lavoro, infatti appena finito di
mangiare “sparecchia” la tavola il più velocemente possibile per andare fuori a lavorare; ma la sera quando usciamo si veste in
modo elegante. Si comporta sempre molto
bene e con me è sempre disponibile ed affettuoso. A mio padre piace molto viaggiare ed
andare in luoghi sempre diversi, ma purtroppo non ha mai tempo. Con me è anche simpatico e spiritoso e quando sono arrabbiato o
triste mi viene sempre a consolare. Il suo
hobby preferito è curare l’orto, infatti colti-
va molta frutta e verdura.
Il suo difetto più grande è che soffre in silenzio e non confida mai la sua stanchezza e
il suo dolore a nessuno perché non vuole
intristire anche gli altri; un altro difettuccio è
anche quello di considerarsi “perfettino”.
Per me è IL MIGLIORE PAPA’ DEL
MONDO!!!
Eric Tumiati
Molto tempo fa in un luogo molto lontano
della terra c’era un grande pianeta chiamato
Stoms dove vivevano cavalieri dotati di super poteri che combattevano il male a cavallo dei loro dragoni che li accompagnavano
in ogni battaglia.
Era ormai passato molto tempo dall’ultima
invasione malvagia e sul pianeta regnava la
calma.
In un piccolo villaggio di una foresta viveva
un giovane ragazzo chiamato Conver; egli
era preso in giro da tutti perchè invece di
giocare e divertirsi col suo dragone di nome
Zac si allenava per migliorare le sue abilità.
I giorni passavano e Conver diventava ogni
giorno più forte.
Un giorno però il cielo si coprì di nuvole
nere, tutto iniziò a tremare , e all’improvviso
apparve dal nulla un uomo che cavalcava un
dragone nero: “Siete spacciati!, il vostro pianeta e l’universo cadranno nelle mie mani!!”, gridò l’uomo ,che in un’ istante, rase
al suolo il villaggio di Conver con un solo
attacco. Poi soddisfatto scappò via.
Tutti gli abitanti rimasero sbigottiti, solo
Conver, arrabbiato più che mai, con una sua
MIO ZIO
Mio zio si chiama Valerio , ha circa quarant’anni. E’ alto e robusto; i capelli sono un
po’ grigi e un po’ bianchi, lisci e corti. Ha la
fronte aperta e luminosa. I suoi occhi azzurri
sono luminosi come l’acqua del mare calmo.
Ha il naso grande ed a patata, le orecchie
sono a sventola come Dumbo, però un po’
più piccole!!! Ha la bocca grande e le labbra
carnose contornate dalla barba pungente.
Lui ha due caratteristiche : è molto chiacchierone e ama vestire sportivo. Il suo
hobby è suonare uno strumento: il corno. E ‘
anche molto generoso perché ci porta a vedere i suoi concerti e in altri luoghi sempre
diversi.
E’ altruista perché accoglie le persone con
La campagna è molto estesa, si coltivano
diverse piante da frutto.
Altra parte del terreno è seminata a grano, a
granoturco, a soia e a barbabietole.
Le strade non sono molto lunghe e sono ab-
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nonno per i casi di emergenza e io te la consegno a te” disse.
“Grazie mi sarà molto utile, vedrai che non
fallirlò” e lasciò il pianeta . Volò per ben tre
giorni finché non vide su un piccolo pianeta
l’uomo malvagio che aveva in mano una
sfera.
Subito la strana persona aumentò il suo potere e con il suo dragone iniziò a girare talmente veloce intorno a Conver e a Zac che
generò un tornado che scagliò via il ragazzo
e il drago.
Conver era stremato ma decise di usare subito la sua fera con cui recuperò e aumentò i
suoi poteri iniziando a brillare e a scagliare
energia blu verso l’uomo che cadde a terra.
Zac intanto scagliò una fiamma gigantesca
verso l’altro dragone che morì.
Il ragazzo per finire completamente l’uomo
gli scagliò contro un fulmine che provocò
una gigantesca esplosione. Zac recuperò l’altra sfera e insieme tornarono sul loro pianeta e da qual tempo tutti i ragazzi si allenarono come Conver.
Daniele Sovrani
UN BEL SOGNO MA STRANO
cordialità e simpatico perché quando ha
tempo gioca insieme a noi. Il suo maggior
difetto è di essere molto frettoloso nel fare le
cose. Mi piace molto stare con lui ed è
“perfetto”.
Ambra Bottazzi
IL MIO PAESE
Io abito in un paesino di
campagna: Ducentola di circa trecento abitanti , quasi
tutti anziani, mentre pochi
sono i ragazzi.
In passato era una provincia
romana di circa duecento
abitanti.
Oggi c’ e un comitato fiera
che organizza le feste paesane, come la festa di Santa
Lucia a dicembre, il patrono
di Ducentola San Lorenzo in
agosto.
Ci sono tre piccoli negozi ,
un mobilificio, la parrucchiera , e infine un negozio
in cui vendono: tabacchi,
giornali, merceria e alimentari.
I negozi sono utili per le persone anziane
che non hanno possibilità di arrivare in città.
Gli abitanti sono quasi tutti contadini, pochi
lavorano in città.
tecnica particolare fece delle copie del suo
corpo e di quello di Zac e tutti insieme lo
inseguirono.
Raggiunsero l’uomo malvagio e gli scagliarono contro un attacco di energia blu che
lo fece cadere a terra. ”Questa volta mi avete sconfitto ma non finisce qui!” “ Recupererò la sfera energetica e vi distruggerò!!” ;
detto questo scomparve in una nuvola di
fumo.
Gli amici di Conver che si erano salvati si
congratularono e si scusarono con il ragazzo
per le loro prese in giro ; per farsi perdonare
gli chiesero se potevano combattere il male
con lui. ”No, siete troppo deboli per venire
con me e, se il male entrerà in possesso delle
sfere energetiche, per noi sarà finita: le devo
trovare prima io “.Rispose Conver. “ Che
cosa sono?” chiesero i ragazzi.
“Sono sfere che aumentano incredibilmente
il potere di chi se ne impossessa” disse
Conver , e mentre pronunciò queste parole,
spiccò il volo.
Prima di lasciare il pianeta Conver fu fermato da uno stregone che gli consegnò una delle due sfere energetiche .”Me l’ha data tuo
bastanza strette.
In questi giorni stanno restrutturando la canonica.
Il paese si sta espandendo,
quindi hanno costruito nuovi
edifici negli spazi rimasti
vuoti.
Nella campagna vive una
volpe dalla code lunga, però
non l’ho mai vista.
C’e anche un signore che
alleva mucche.
Ci sono anche due macine in
mezzo la campagna, una più
grande dell’altra, un tempo
servivano per la macinazione
della canapa.
Anche se questo paese non è
un granché mi piace abitarci
e spero di rimanerci per molto tempo, perché qui e nata mia mamma,i miei nonni e
per questo ci sono tanti affetti.
Martina Maggi
Una notte ho fatto un sogno molto strano ed
ero con mio cugino Alessandro che è in 1°F.
Tutto ad un tratto ci siamo ritrovati in un
gioco di guerra. All’inizio pensavamo in un
gioco della seconda guerra mondiale perché
avevamo una mitragliatrice, una pistola, delle granate e addirittura una divisa militare
con un elmetto. Però non è
così perché quando guardammo chi avevamo al di
là delle trincee vedemmo
un intero esercito di extraterrestri armati fino ai denti
con super-carri armati attrezzati di cannoni laser
ultra potenti. Io e Ale ci
guardammo in faccia e
contemporaneamente ci
tremavano le gambe. Iniziammo a correre a tutta
velocità finché non trovammo altri soldati che mentre
sparavamo ci dissero:
-Voi due chi siete?! Andate
dal comandante che vi dirà
cosa dovete fare!Eravamo terrorizzati e paralizzati a vedere tutto quel sangue ma presi
coraggio e dissi a mio cugino:
-Ale! Mi senti? Se restiamo qui diventeremo
un mucchietto di cenere!! Andiamo!Arrivati dal comandante ci portarono al
Quartier Generale, dove ci spiegarono che
questa guerra era in atto da parecchi anni e
che gli avversari erano alieni che proveniva-
no da un’altra dimensione per conquistare la
terra come hanno già fatto con gli altri pianeti del nostro sistema solare. Poi ci dissero
che se vincevamo questa guerra, avremmo
vinto definitivamente. Io e Ale li volevano
aiutare e andammo ad aiutare gli eserciti.
Iniziammo a sparare a tutta volontà e con un
intero caricatore ne avevamo uccisi ben 40.
Mi venne un’idea. E la mettemmo in atto.
Prendemmo tutte le granate che c’erano in
giro e con tutti i soldati contemporaneamente gliele lanciammo addosso. Si sentì un
grande PUM! Subito andammo all’assalto
per uccidere i pochi sopravvissuti. Pensavamo di avere vinto ma quando vidi l’astrona-
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ve nemica rimasti a bocca aperta. Ale non
era per niente stupefatto, mi tirò per un braccio e entrammo in un carro armato nemico.
Gli sparò con il super cannone ma per nostra
sfortuna aveva uno scudo che si poteva disattivare solo con un pannello che si trovava sulla cima della montagna, dove era atterrata l’astronave. Io e Ale
salimmo su per la montagna facendo la strage di
tutti gli alieni. Ne uccidemmo 368. Arrivati in cima
c’era un alieno di guardia
ma avevamo finito i caricatori, allora con 10 colpi di
pistola lo uccisi. Con le ultime forze distrussi il pannello disattivando lo scudo.
I nostri sparavano con tutti i
carri armati nemici dai piedi della montagna e la disintegrarono. Appena piantai la bandiera sulla cima
della montagna mi svegliai
di soprassalto alle 5:00 del
mattino e lo raccontai alla
mia famiglia quando si svegliarono. Loro dissero che un sogno molto
ma molto strano, ma solo a mio papà gli era
piaciuta la storia.
Enrico Balzeri
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
Fiabe e racconti (Testi realistici, Personaggi famosi)
LA CONDANNA DEL PIANETA
Mi trovo su un’astronave spaziale e sto vagando, insieme a milioni di altre persone,
nell’immensità dell’universo e, ora, vi voglio raccontare di come sono giunto a una
situazione del genere.
Mi chiamo Smith e sono uno studioso dell’ambiente e delle sue trasformazioni. Alcuni
anni fa, nella primavera dell’anno 2020, tenevo una conferenza in una delle più importanti università americane, stavo pronunciando il seguente discorso:
« Per me la fine del mondo avverrà fra non
molto, perché stiamo consumando troppo e
il fatto è che ci sono più scarti che alimenti
da consumare. La fine del mondo inizierà
con la morte, intanto, di tutte le persone che
non possono permettersi di mangiare; inoltre
succederà che nel mondo ci saranno troppi
rifiuti, ma talmente tanti, che la tecnologia
non riuscirà ad inventare una macchina per
smaltirli tutti.Lasciando, poi, decomporre i
rifiuti in enormi discariche, riempiranno l’aria di un gas che farà ingrassare in modo
esagerato le persone, perché, quando sarà
inalato, farà impazzire l’intestino e quest’ultimo assimilerà ogni minima particella di
grasso, proteine o vitamine ingeriti e la popolazione sarà costretta a scappare dal pianeta e rifugiarsi in un altro. Ma non solo
questo contribuirà alla distruzione del pianeta; la spazzatura rilascerà un liquido altamente esplosivo ed essendo chimico a con-
tatto con il fuoco o materiali incandescenti
produrrà una reazione nucleare radioattiva.
Questo liquido penetrerà nel suolo fino al
mantello e qui si fermerà, perché il mantello
resisterà alle sostanze chimiche, ma arriverà
il giorno in cui il liquido diventerà troppo e
giungerà al nucleo della terra provocando
un’esplosione nucleare potentissima tanto da
distruggere l’intero sistema solare. Questo
accadrà il 6 settembre prossimo.».
Ricordo che, in una cittadina del Kansas, nel
2019, uno scienziato capì che i moltissimi
rifiuti, prima o poi, avrebbero distrutto il
pianeta. Così, per prima cosa, cercò in tutti i
modi di riuscire ad avvertire il Segretario
della Difesa degli Stati Uniti d’America, ma
non ci riuscì. Passarono mesi e arrivò il 5
gennaio 2020 e decise che doveva avvertire
assolutamente il Presidente degli Stati Uniti.
Così, in piena notte, fece irruzione in casa
sua e riuscì ad arrivare fino a lui, ma, appena
lo raggiunse e iniziò a spiegare con molta
agitazione, arrivarono le guardie, il Presidente le fermò, perché si interessò ai progetti e alle prove che lo scienziato aveva scoperto. Dopo ore di spiegazione, il Presidente
decise di provvedere subito. Iniziarono, perciò, a costruire enormi capannoni di acciaio
extraduro e impermeabile a qualsiasi liquido; questi capannoni non avevano né finestre né porte, solo uno sportello sul tetto. Ne
costruirono a migliaia, perché servivano a
IL GIORNO DELLA GARA
contenere tutti i rifiuti del mondo.
Passarono i mesi, arrivò il 1° settembre e il
lavoro era quasi terminato, bisognava fare
presto. Il 4 settembre il lavoro terminò. Tutti
festeggiarono con un’immensa parata mondiale, ma la felicità non durò molto, perché,
verso le 18:30, un po’ del liquido della spazzatura, che era penetrato nel terreno prima
dello smaltimento dei rifiuti, penetrò nel
nucleo causando un terremoto di grado 8
della scala Richter e durò un giorno intero,
per tutto il 5 settembre, facendo cadere al
suolo i capannoni e favorendo la penetrazione del liquido nel terreno. Ne penetrò a tonnellate e alla fine ci fu il picco, il punto di
rottura del mantello e a quel punto tutto il
liquido penetrò, facendo esplodere il nucleo
e di conseguenza il pianeta e la galassia esplosero, ma la popolazione si salvò, perché
era partita con un’astronave gigantesca con
destinazione ignota.
Così la popolazione terrestre è costretta a
vagare per l’eternità nell’immenso universo
e io con loro.
Luca Rosignoli
Finalmente è domenica 29 marzo.
Sono in camera mia, mi vesto senza curarmi
se sono vestito bene o male: una felpa e un
paio di jeans vanno bene. Controllo la mia
borsa:i parastinchi? Ci sono! I guantini? Sono qui, il kimono c’è! La cintura marrone nera è qui! E il paradenti? Non lo trovo…
cerco per tutta la casa, sto per uscire quando
vedo vicino all’argenteria una custodia bianca, è quella del paradenti, controllo che sia
dentro, fortunatamente c’è.
Metto tutto nella borsa e sono pronto a partire per la gara di karatè a Migliarino.
Arrivo a casa dai nonni, mangio un boccone
e, alle 14:30 parto.
Arrivo sul posto alle 15 meno 10 minuti circa, mi cambio, poi aiuto il mio maestro a
sistemare la palestra per la gara. Finalmente,
Seguo il fiume di corsa e alla foce trovo un
vecchio che costruisce una barca, allora gli
chiedo se me la può prestare e lui mi risponde che deve andare a salvare un burattino
diventato persona. Mentre sto guardando il
vecchio, nel cielo appare un vortice di vento
che posa un motoscafo sul fiume, allora dico
al vecchio che lo porto io dal burattino. Saltiamo sul motoscafo e partiamo in direzione
del mare. Ad un tratto vediamo il burattino
appeso a un dente di una balena, io accelero
più velocemente possibile per arrivare dalla
balena. Essa spalanca l’enorme bocca e ci
divora. Andiamo a finire nello stomaco io,
il vecchio, il motoscafo e il burattino, che
prendiamo e portiamo sul motoscafo. Dal
fondo dell’esofago vediamo una grande onda venirci addosso. Prima che ci travolga
prendiamo una specie di ascensore che va
straveloce, usciamo dall’alto per un buco e
andiamo a cadere su un’ isola. L’isola è abitata da quattro persone, io gli chiedo dove ci
troviamo e loro rispondono nel telefilm
“Lost”, allora prendiamo il motoscafo e
scappiamo. Nella barca, mentre cerco qualcosa da mangiare, trovo una mitragliatrice e
delle scatole di fagioli. Il vecchio e il burattino mi stanno un po’ antipatici, allora prendo la mitragliatrice e li uccido, poi li butto in
26
Ora è il momento dei katà (combattimento
simulato), sono tesissimo, siamo i primi; la
mia squadra è composta da me, Luca e Filippo. Facciamo il saluto e il katà che si chiama
bassai, poi partiamo.
Finito il katà, i giudici ci danno il punteggio
di 74! Questo è il punteggio più alto,delle
altre squadre nessuna ci eguaglia,cosi siamo
arrivati primi.
Dopo la premiazione rimango a vedere la
gara dei master: mia mamma arriva terza
con 47 punti e Mauro primo con 52 punti,è
stato bellissimo.
Il 5 aprile ci sarà un'altra gara e dovrò impegnarmi duramente, senza però trascurare la
scuola!
Gian Andrea Spinozzi
LA COLPA E’ DEL BASKET
Sono un ragazzo vivace un po’ stupido. Tutto è iniziato con il basket. Era una giornata
di sole con quel venticello che ti sposta appena arriva la palla quando palleggi.
Stavo davanti a casa mia vicino al giardino e
stavo giocando a basket con quel minuscolo
canestrino che mi ritrovavo.
Ad un certo punto venne mia madre e con il
suo tono squillante mi chiamò.
Quando mi sono girato vidi la sua figura
robusta, coperta dall’ombra. Mi stava dicendo che ci saremo trasferiti in montagna.
Dallo stupore mi è mancato il respiro e immediatamente chiesi alla mamma il perché
di questa decisione.
Lei mi rispose che papà aveva scoperto di
avere l’asma per cui era meglio andare in un
posto senza inquinamento.
Subito entrai in camere mia e preparai le
valige. Due giorni dopo eravamo su un’ e-
norme montagna,
appena arriva timi misi a giocare a basket e
in dieci minuti totalizzai venti punti. Per la
gioia mi misi a lanciare in aria tutto quello
che avevo sottomano.
Per sbaglio la palla colpì la caserma vicina
spaccando un vetro. Immediatamente vidi la
macchina della polizia in giardino…
Nirvana Pecorari
ALESSANDRO DEL PIERO
VIAGGIO IN UN MONDO FANTASTICO
Sono a casa e, dopo essere tornato da scuola,
mi stendo sul divano a guardare i cartoni.
Ad un tratto sento tremare il pavimento, allora vado a vedere fuori dalla finestra. Vedo
tutto quello che sta attorno alla casa girarmi
intorno, ad un certo punto svengo. Mi sveglio in una stanza vuota e buia, non riesco a
orientarmi. Dopo un po’ mi ricordo di avere
una bussola in tasca, la guardo e sembra che
impazzisca, continua sempre a girare. Provo
a toccare la superficie della stanza ed è molto ruvida, toccando un pezzo di muro si apre
una porta. Attraversata la porta mi ritrovo in
una foresta. Lì vicino c’è una jeep, io non ho
ancora patente, però la prendo lo stesso.
Mentre vado, incontro un gigante che mi
blocca. Io provo a scappare velocemente,
però lui mi prende con la sua manona e mi
alza per guardarmi. Provo a fare conoscenza
e mi accorgo di essergli simpatico. Mi porta
in fondo alla foresta, lo ringrazio e lo saluto.
Improvvisamente davanti a me vedo una
bella fanciulla che sta lavando i panni in un
fiume. Le chiedo dove mi trovo, ma lei mi
risponde in una lingua diversa dalla mia, ho
capito dopo che era francese, allora glilo
chiedo in francese e lei mi risponde che sono nel Mondo Fantastico. Le chiedo dove è
l’uscita e lei mi risponde di seguire il fiume.
alle 15:30, arrivano quasi tutti gli atleti e,
dopo il saluto al pubblico e ai maestri, possiamo cominciare. Prima prendiamo il cartellino: sono nella categoria 14-15 anni.
Prima tocca ai più piccoli (cadetti, esordienti
ecc…..) poi, alle 17:30, tocca a noi.
Facciamo kumitè , ossia combattimento con
protezioni, io riesco a battere una cintura
nera della mia palestra e altri 3 avversari di
altre federazioni, ma non vinco perché contro il quarto, durante il combattimento, ho
utilizzato una tecnica che non dovevo fare,
perciò arrivo secondo.
Durante la premiazione arriva un ragazzo
della nostra palestra, è bravissimo, basti
pensare che è arrivato sul podio in tutte le
gare che ha fatto e che è cintura nera da 4
anni.
mare. Spengo il motoscafo e mi metto a
mangiare una scatola di fagioli. Meno male
che dormo all’aperto altrimenti, se ci fosse
stato qualcuno vicino, sarebbe morto. La
mattina mi sveglio presto e parto per trovare
un porto. Molto lontano vedo una città. Arrivato attracco la barca alla banchina e faccio
un giro per la città. Lontano vedo un castello
su una collina. Rubo una bicicletta ad una
signora e parto per andare al castello. Arrivato vedo una bella ragazza povera pulire le
scale. La cosa più strana è che, pur essendo
povera, è sempre felice. Le chiedo come si
chiama ma lei non mi risponde. Entro nel
castello e tanti topolini mi girano attorno
con un filo rosso. Ad un tratto questi topi
corrono cosi velocemente che svengo. Mi
sveglio e mi ritrovo sul divano. Il viaggio è
stato realtà o solo un sogno?
Matteo Verdura Ferrari
Il mito dei nostri giorni è un giocatore di
calcio, di nome Alessandro Del Piero. Del
Piero ha iniziato a giocare a calcio all’età di
21 anni nella Juventus, la mia squadra preferita. Era già molto bravo e faceva già un sacco di goal. Del Piero a 23 anni è diventato
capitano della Juventus, ed era veramente
stupendo vedere le sue punizioni e i suoi
goal. Dopo essere diventato capitano venne
subito preso in nazionale italiano dove fece
un sacco di goal. Nel 2006 quando lla Juve
andò in serie B, calò molto, ma grazie a Del
Piero e a un altro po’ della squadra, nel 2008
riuscirono a tornare in serie A con dei giocatori più deboli. Erano molto indietro con la
carriera ma riuscirono ad arrivare alla pari
con l’Inter nonostante Del Piero fosse vecchio per la nazionale, Lippi lo prese come
riserva per il secondo tempo. Infatti non si
vede quasi mai giocare nell’Italia. Invece
nella Juve gioca come nei vecchi tempi, ma
si nota molto il calo di Ale. Del Piero per
55
me giocherà per un bel po’ nella Juve, però
se dovesse smettere di giocare a calcio, rimarrà lo stesso uno dei miei miti e mi ricorderò dei suoi splendidi goal di punizione. A
me piacerebbe tantissimo essere come il
grandissimo Alessandro Del Piero, un vero e
proprio giocatore. Comunque al suo posto,
ci sarà Giovinco.
Thomas Azzolini
Fiabe e racconti (Testi di attualità)
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
IL BULLISMO
La parola bullismo si sente molto frequentemente in questo periodo. Deriva dal termine
inglese “bullying”, che vuol dire compiere
azioni fisiche o verbali a danno di una sola o
più persone.
Si può affermare senza dubbio che il luogo
in cui questi fatti si verificano in modo più
accentuato è soprattutto la scuola, in particolare durante l’intervallo, perché i ragazzi in
questa occasione si ritrovano.
Le caratteristiche principali del bullo sono :
l’aggressività ,un forte bisogno di dominare
sugli altri, infatti si dimostra spesso impulsivo,si arrabbia facilmente e presenta una bassa tolleranza, spesso è accompagnato da un
gruppo che lo segue.
Le vittime sono per lo più individui sensibili,diversi dagli altri , sono deboli dal punto
di vista fisico e, quando vengono attaccati ,
spesso non hanno il coraggio di reagire.
Ci sono altri personaggi presenti solitamente
quanto il bullo “minaccia”la vittima e sono
gli spettatori . E’ la classe che sta a guardare
senza intervenire. Questo atteggiamento è
molto pericoloso perché il silenzio e la tolleranza sono “potenti alleati” del bullo, perché
non ci si ribella e le vittime spesso non hanno il coraggio di denunciare né di parlare
con i genitori,quindi gli atti di bullismo rimangono spesso impuniti.
Il bullismo si manifesta in diversi atteggiamenti, uno consiste nell’umiliazione della
vittima principalmente attraverso insulti, a
volte c’è anche uno scontro diretto e questo
riguarda principalmente i maschi. Inizialmente erano solo i maschi ad assumere atteggiamenti di bullismo ,adesso anche le
ragazze sono diventate “bulle”. Questo at-
KAPOEIRA
teggiamento si manifesta con caratteristiche
diverse dal bullismo maschile,infatti questa
nuova forma di bullismo è caratterizzato
molto meno dallo scontro fisico e maggiormente dallo scontro verbale; le bulle tendono ad isolare la vittima dalle sue amicizie e
spesso, per farla soffrire ancora di più, la
umiliano in pubblico. La vittima, nella
maggior parte dei casi, si chiude in se stessa.
Purtroppo questo fenomeno nelle scuole italiane è in crescente aumento, a mio avviso
per affrontarlo la cosa più importante è il
dialogo, è importante aiutare i “bulli” a raccontare i loro problemi agli adulti, per risolverli nel modo migliore, magari aiutandoli a
sfogare la loro aggressività in un modo più
civile.
Alessia Ferrari
L’ABUSO DI DROGA E DI ALCOLICI
I giovani d’oggi hanno comportamenti profondamente sbagliati: come fare uso di droghe e di alcool, oppure arrivare ad atti gravissimi, quali gli stupri e il bullismo.
Le droghe e l’alcool sono spesso i principali
responsabili degli incidenti sulle strade, tanto che, in un anno, circa 1/3 degli incidenti
avviene tra il sabato e la domenica. L’uso
delle droghe, secondo me, ha effetti più gravi dell’alcol, ne basta infatti una piccola
quantità per avere gravi effetti, provocando
danni irreparabili e creando forti dipendenze. Alcuni dati riferiti a un gruppo di studenti tra i 14 e i 19 anni di Roma presentano
una situazione piuttosto allarmante per
quanto riguarda l’uso di sostanze stupefa-
centi, tanto che, da questa inchiesta, risulta
che ne fa uso il 3% in età pari a 14 anni, il
23% dei quindicenni, circa il 37% dei ragazzi di 16 anni e il 37% dei diciassettenni.
Per abbassare queste percentuali si potrebbero fare più controlli nelle discoteche, nelle
scuole e negli stadi che, secondo i dati, sono
i luoghi di maggiore spaccio. Comunque
alcuni sostengono che il problema degli incidenti del sabato sera non sia da ricondurre
esclusivamente all’uso di sostanze stupefacenti o all’abuso di alcool, tendendo a sottovalutare così questo grave fenomeno. Difficilmente queste stragi si estingueranno, solo
con la volontà dei giovani di non spegnersi a
20 anni i traffici e gli incidenti diminuireb-
bero. Spesso si fa uso di queste sostanze per
far parte di un gruppo, per farsi notare, per
essere grandi. In questo caso i giovani si
spronano a vicenda, oppure provano le sostanze per trasgredire alle raccomandazioni
di amici e genitori; questo è emerso dalle
riflessioni in classe e anche dai dati che parlano da soli.
A mio parere basterebbe responsabilizzare
di più i ragazzi per non commettere sciocchezze che potrebbero costare molto e aumentare i controlli nei luoghi di spaccio.
Ma questo è solo un modesto parere di uno
studente delle medie.
Giuseppe Bianco
LO STALKING
Lo stalking è una persecuzione telematica
attuata verso un’altra persona, soprattutto da
uomini e , in percentuale più ridotta, anche
da donne. Questo fenomeno, soprattutto negli ultimi anni, ha preso particolarmente piede. Spesso, alla minaccia verbale, vengono
associati atti di violenze e, per questo, molte
di queste vittime vivono una vita solitaria
dentro le mura di casa, per paura di vedere o
incontrare il persecutore. Lo stalking, per la
maggior parte delle vittime, diviene un vero
e proprio incubo. Spesso, il persecutore è
libero di agire, perché non esiste alcuna legge che lo contrasti. Per me andrebbe introdotto un numero verde, nel quale operano
degli operatori, che possano aiutare e consigliare le persone colpite da queste persecuzioni. In ogni caso, la cosa più importante da
fare sarebbe emanare una legge che punisca,
anche in modo piuttosto duro, i persecutori
perché chi minaccia una persona e non le
consente di vivere a pieno la sua vita, di fat-
to, compie un reato. Al Parlamento, comunque, si sta discutendo una legge, che deve
ancora essere emanata, ma che potrebbe porre fine a questo terribile problema. Di recente, il programma televisivo “Arena” ha dato
voce a questo problema, intervistando molte
vittime. Sono emerse da queste interviste,
risposte paradossali alle richieste di aiuto,
quasi un disinteresse da parte delle autorità
nei confronti delle vittime. Molte vittime
infatti, recatesi dalle autorità locali, hanno
ricevuto questi suggerimenti per risolvere il
problema:<Si trasferisca in un’ altra città>.
Questa per me è una risposta piuttosto paradossale. Certamente se la vittima si trasferisce in un’altra città ha meno probabilità di
incontrare il persecutore, ma non può sacrificare la propria vita, magari privandosi del
lavoro, degli affetti, solo per non incontrare
più questa persona. Questa certo, potrebbe
essere una soluzione, ma una soluzione piuttosto assurda; perché, invece di sacrificare la
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vita di una persona innocente non intervenire su chi compie questo atto di persecuzione? Sarebbe una cosa inaccettabile, un’ ingiustizia, perché siamo in un paese democratico, e quindi ognuno è libero di fare ciò che
vuole ma non di privare della libertà un’altra
persona. Per cui, per risolvere il problema
che io pongo, sarebbe opportuno, anzi indispensabile, emanare una legge che contrasti
il fenomeno dello Stalking, concedendo alle
persone vittime di questo fenomeno di vivere una vita adeguata. Inoltre, come ho già
detto, sarebbe utile utilizzare un numero verde per le situazioni di emergenza, per segnalare eventuali persecuzioni alle autorità.
Io penso che questo fenomeno sia gravissimo, e che dovrebbe essere punito con norme
severissime, perché priva la persona del diritto più importante che essa ha , la libertà.
Benedetto Cavicchi
Justin ex berretto verde è appena tornato in
una cittadina del Texas dall’addestramento
militare in Brasile dove nel tempo libero
praticava insieme, ai brasiliani la kapoeira,
un’arte marziale. Qui si reca nella scuola di
Higt School, dove cerca lavoro come insegnante di ginnastica e di Kapoeira per rifarsi
una vita. Quella scuola era piena di trafficanti di droga e vandali vari. Justin voleva
insegnare questa disciplina alla cui base
c’era la capacità di autocontrollo. Il preside
della scuola rifiutò perché non gli sembrò
una buona idea poiché i ragazzi della sua
scuola non erano estranei alla violenza, essa
faceva parte della loro vitae riteneva che
quella disciplina fosse troppo violenta.. Justin amareggiato uscì dalla scuola e assistette a un pestaggio da parte di un fratello di un
ragazzo della scuola perché esso non aveva
venduto droga sufficiente. Justin intervenne
a difesa del ragazzo scacciando lo spacciatore della zona e si prese la stima di tutti i ragazzi della scuola. Solo allora il preside
decise di provare il suo progetto: prendere i
dieci ragazzi peggiori della scuola per insegnare loro il rispetto facendo loro imparare
la Kapoeira. No appena i ragazzi arrivarono
in palestra Justin fece subito vedere i movimenti di base e fece ascoltare la musica per-
ché quest’ arte marziale aveva un ritmo da
seguire: il Ginga. Esso però si poteva personalizzare; subito i ragazzi inizirono a prenderlo in giro facendo strani versi e movimenti strani finché non iniziarono a insultare
Orlando Olivers, cugino di Silverio il capo
della banda che temeva sotto controllo la
cittadina. Egli estrasse un coltellino e il maestro subito lo disarmò con un calcio nella
mano. Successivamente li mandò via tutti.
Alla seconda lezione alcuni ragazzi stupiti
da quel calcio dato da Justin provarono i
movimenti col Ginca, era divertente solo che
Orlando iniziò a offendere Justin e poi se ne
andò via. Dopo varie lezioni che Orlando
non si presentava neanche a scuola Justin
preoccupato lo andò a cercare e lo trovò con
i compagni della banda che stavano giocando a basket. Subito i componenti della banda
si scagliarono contro Justin che però difendendosi li stese tutti. Ma proprio in quel momento arrivò Silverio che invitò Justin ad
andarsene, questi rifiutò perché voleva che
Orlando tornasse a scuola quindi Silverio
iniziò a colpirlo duramente più volte, infatti,
anche lui, conosceva la kapoeira ed aveva
un Ginga diverso e più veloce di Justin. Justin , però non si arrese, voleva l’attenzione
di Orlando per farlo migliorare e farlo com-
portare meglio. Organizzò allora una gita al
mare, tutti i ragazzi aderirono compreso Orlando e tutti sembrarono entusiasti Justin
riuscì a metterli d’accordo e pian piano diventarono quasi tutti amici. Alla fine della
gita quando Justin stava facendo scendere i
ragazzi dal pullman, arrivò Silverio che voleva che Orlando lasciasse la scuola per diventare il suo capobanda. Il ragazzo rifiutò e
Justin disse a Silverio che doveva andare
via. Il progetto Kapoeira funzionava e quindi si estese per più di 1500 alunni in tutte le
scuole. Silverio si trovò senza giovani ragazzi da sfruttare quindi volle farla finita
con Justin e un giorno lo aspettò fuori dalla
scuola. Non appena Justin uscì Silverio lo
attaccò; subito intorno a loro si formò un
cerchio di ragazzi. Justin stava subendo, ma
non voleva reagire. Dopo aver incassato colpi su colpi, i suoi ragazzi lo incitarono a reagire e cantarono la melodia del suo Ginga.
Allora Justin lo colpì più volte afferrandolo;
Silverio fu arrestato e Justin fu felice; aveva
compiuto il suo obiettivo: salvare dalla rovina molti ragazzi.
Nico Bisaggio
MALE CONTRO BENE
C’era una volta un uomo di nome Erant che
era isolato dalle altre persone perchè era
malvagio, ma così malvagio che aveva ucciso sua moglie e suo figlio, aveva perfino
venduto la sua anima al diavolo. Quando
morì perfino l’inferno lo aveva rimandato
nel mondo reale, perchè era troppo malvagio. Così adesso era diventato immortale;
solo la testa era rimasta vulnerabile.
In un regno lì vicino viveva un ragazzo di
nome David; era un principe che cercava
moglie e perciò andava in tantissimi regni
per trovare la sua sposa.
Un giorno arrivò nel regno di Erant ed appena vide David gli corse incontro per eliminarlo. Ma David era più forte e con la sua
spada iniziò un duello agguerrito. David colpì Erant, ma i colpi non lo ferivano.
Allora i cavalieri aiutarono David ma in men
che non si dica erano già tutti sconfitti. E-
rant stava per uccidere David che però, più
veloce, prese un pezzo di legno e lo colpì
ferendolo alla testa, il suo punto debole.
Sconfitto il nemico, David si sposò con la
principessa di quel regno, e vissero tutti felici e contenti.
Luca Aliminni
L’ANELLO MAGICO
Una volta, in un castello della Scozia, una
madre e un figlio vivevano tranquilli e sereni. Da quando il padre era morto, Jack si
occupava degli animali e la madre della casa
e dell’orto. Una sera, tornando a casa dal
lavoro, Jack non trovò più la madre e capì
subito che doveva essere successo qualcosa
di grave visto che lei non si allontanava mai.
Preoccupato, salì sul suo cavallo, corse in
paese e cominciò a chiedere ai paesani se
qualcuno aveva visto la madre; dopo ore di
inutili ricerche tornò a casa sfinito.
Il giorno dopo, al suo risveglio, notò vicino
al letto della madre una piuma di corvo variopinta. Fece delle ricerche e venne a sapere di una leggenda popolare che diceva che
al passaggio di una strega nel villaggio veniva ritrovata una piuma uguale e concluse
dove vide tanti corvi variopinti. Entrò nella
caverna e cominciò a chiamare la madre,
che poco dopo trovò insieme alla strega.
Questa gli disse: “Per liberare tua madre
devi darmi l’anello che porti al dito”. Era
l’anello che il padre gli aveva lasciato in
punto di morte e Jack non capì perché lei lo
volesse. La strega spiegò che l’anello aveva
poteri magici: esaudiva i desideri di chi lo
portava. Ancor prima di togliere l’anello
Jack espresse un desiderio cioè che la strega
sparisse e questo avvenne.
Jack aveva giocato d’anticipo con astuzia
sulla strega e liberò sua madre.
che era stata una strega a rapire sua madre.
Andò verso il bosco cercando indizi e dopo
molta strada arrivò davanti ad una caverna,
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Mattia Rizzati
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
Fiabe e racconti (Racconti storici)
IO E CAPPUCCETTO ROSSO
Una volta, trovai nella vecchia mansarda di
casa mia un vecchio libro, tutto impolverato,
dopo aver aperto la prima pagina un vortice
mi risucchiò.
Mi accorsi che ero stato risucchiati dal libro, dopo un po’ mi
accorsi che ero in una fiaba, ero
nella fiaba di “Cappuccetto Rosso”.
Vidi un signore che passava di lì
e gli chiesi se ero proprio in
quella fiaba e il signore mi disse
che lo scoprivo da solo e di vivere come se fossi nel mio paese
indicandomi dove abitavo.
Andando verso casa vidi Cappuccetto Rosso
in mano un’
enorme valigia, andai lì e le
chiesi se aveva bisogno e dove
dovesse andare con quell’ enorme valigia, lei mi rispose che
doveva andare dalla nonna a farle il letto perché era molto ammalata e io
che prima o poi correva il rischio di essere
mangiata dal lupo.
La piccola rispose che non ci credeva e ma,
se era vero, di aiutarla lo stesso.
Dopo un po’ mi chiese se potevo andare con
lei, arrivati nel bosco vedemmo il lupo e
decidemmo di andare avanti senza farci scoprire, invece il lupo si accorse di noi e quin-
LA MIA STORIA
di noi scappammo verso la casa della nonna,
mancavano ormai cinquanta metri e Cappuccetto decise di urlare.
La nonna sentì l voce della piccola nipotina, si alzò di colpo e si
mise una tuta da supereroe, prese
il fucile da caccia e uscì di casa
senza paura di essere mangiate,
Ormai io e Cappuccetto eravamo
arrivati, la nonna intanto cercava
di colpire il lupo con il fucile la
nonna colpì il lupo e così lo ammazzò.
Io e Cappuccetto andammo dalla
nonna e così gli raccontammo
tutto, prendemmo un thè caldo,
io gli raccontai tutto quello che
mi era successo e chiesi alla nonna se sapeva qualcosa, la nonna
conosceva una formula magica,
ad un tratto mi trovai di nuovo a
casa mia, tornai giù dai miei genitori e gli raccontai tutto.
Michele Canneto
LA GRANDE STORIA DEL LUPO E DI JENNY
Tanto tempo in un lussuoso castello viveva
con la sua padrona una cagnolina di nome
Jenni, era un labrador molto particolare: il
suo mantello era di un colore panna, quasi
come il caffèlatte, era molto morbido anche
se corto; le orecchie erano a punta e sempre
belle ritte, come un robot quando cerca di
intercettare qualcosa; il naso era come una
ciliegia (si, ma non di colore rosso) di color
roseo come le nuvole quando c'è il tramonto; i suoi occhi erano a mandorla di color
scuro; la coda era bella lunga.
Valeva molto denaro, quindi molti cercavano di raparla e uno di questi ladri ci riuscì
ma con l'inganno.
Questo rapitore di nome Zac, che in realtà
anche giardiniere e maggiordomo della pa-
drona, sapeva benissimo la quotidianità della padrona e di Jenny.
Un bel giorno la padrona andò al mercato,
Jenny era a rotolarsi sull'erba mentre Zac
stava potando le rose. Egli approfittò dell'assenza della padrona, andò in casa per rubare
quadri o cose preziose, ma ad un certo punto
si ricordò che c'era Jenny ben più preziosa di
qualunque altra cosa in quel castello.
A questo punto tutto era favorevole al rapimento di Jenny, quindi lanciò la pallina sul
furgone, Jenny era molto giocherellona
quindi corse sul furgone; il "gioco" era fatto,
quindi portò Jenny in uno scantinato dove,
per pura fortuna, dopo pochi giorni ella riuscì a scappare.
Si trovava in un mondo che non conosceva
molto bene... Anche in questo caso ebbe un
colpo di fortuna: incontro Boop, un lupo
molto generoso che l'aiutò.
Durante la strada di ritorno si conobbero
meglio, tanto che Jenny rimase in cinta; arrivarono a casa e la padrona tenne anche Boop, perchè sicuramente senza di lui Jenny
non sarebbe mai riuscita a ritornare.
Dopo qualche mese partorì cinque bei cuccioletti: quattro erano normalissimi cagnolini labrador, uno invece era un lupacchiotto.
Una volta cresciuta la cucciolata venne messa in vendita dalla padrona di Jenny. Tutti i
cagnolini vennero venduti, tranne il lupacchiotto che rimase a vivere con loro.
Martina Brunelli
IN CAMPO CON RONALDO
Una notte quando sono andato a letto ho subito sognato di stare in un campo al fianco
di C. Ronaldo e che stavamo affrontando,
nella finale di Champions League, l’Inter. Lì
incontrammo pure Ibrahimovic. La partita
stava per cominciare ed ecco il fischio d’inizio, Moro ha la palla (che sarei io), la passa
a C. Ronaldo, egli passa la palla a Messi che
con un tiro potentissimo segna contro Julio
Cesar. Ibrahimovic prende palla, la passa a
Balottelli che tira ma Buffon è troppo bravo. Ecco lo scadere del primo tempo. Il
mister dei Galaxy Michelinho ha detto a
Moro di sfoderare la sua arma vincente che
se non la avesse messa in atto non avrebbero
vinto la Champions. Ecco il fischio che tutti
aspettavano, quello del secondo tempo, Moro come previsto parte subito all’attacco, fa
un cross a Kakà ma ecco Zanetti che entra in
scivolata e fa fallo nell’area di rigore, Moro
sta per battere quando sul tabellone appaiono 0 minuti di recupero l’ultima azione. Ecco Moro: tira, la palla fa tutto il giro del
campo senza uscire, becca la traversa, va in
alto becca la schiena del portiere ed entra in
porta: era un gol da manuale, nessuno aveva
mai visto una cosa del genere: un bambino
di dodici anni aveva giocato in una squadra
come il Galaxy e fare un gol del genere. Da
quel momento io ho continuato a giocare nel
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Galaxy fino a 30 anni dopo sono andato a
giocare nel Milan e dal Milan non mi sono
più trasferito. Ma questo purtroppo era solo
un sogno che non continua perché mia
mamma mi sveglia sempre o per andare a
scuola o per andare da qualche altra parte. Io
ho giocato a calcio per ben 4 anni e adesso
ogni domenica vado a giocare con mio papà
e i suoi amici in palestra o in un campo all’aperto a calcio. Con loro faccio un po’ di
goal ma non tanti perché non ho la loro velocità e la loro bravura ma non mi lamento.
Corneliu Moraru
Mi chiamo Cristina, sono nata in un piccolo
paese in Germania. Sono ebrea.
Anche la mia famiglia era ebrea.
Adesso vivo in Cecoslovacchia con mio marito e due splendidi figli.
Tutto iniziò nel 1935, in quella data iniziarono le persecuzioni contro gli ebrei.
Io e la mia famiglia, nel 1940, siamo andati
a vivere o, per meglio dire, nasconderci in
una cantina, vicino al posto in cui lavorava
mio padre.
Siamo stati per tre anni in quel nascondiglio,
ogni giorno che passava io avevo una paura
da morire.
La cantina non era né grande né piccola, ma
bastava per noi. Dormivamo sopra le valigie
che avevamo preso per i vestiti.
C’erano solo due finestre ma non potevamo
aprirle tanto, solo per pochi minuti, altrimenti ci avrebbero scoperto.
Io, a volte, scrivevo e mi confidavo con il
mio carissimo diario, con il chiavistello a
forma di gatto e la fodera di colore rosa. Era
bellissimo! Mi era stato regalato da mia
nonna per il compleanno.
Dopo tre anni ci hanno scoperto.
Sono piombati dentro la cantina una decina
di soldati.
Io ancora mi ricordo la faccia cattiva di uno
di quei soldati.
Ci hanno preso e portati in un campo, dove
ci hanno fatto lavorare per ore e ore.
Dopo due giorni ci hanno diviso, i maschi
da una parte e le femmine dall’altra.
Io allora ero una ragazzina, mi è dispiaciuto
moltissimo separarmi dalla mia famiglia.
Dopo un anno è successo una cosa incredibile.
Un ragazzo prigioniero della mia età, di nome Felix, mi aiutò a scappare; lui scappò
insieme a me.
Arrivati in Germania, nel 1946, scoprii che i
miei genitori e mia sorella Kate erano stati
fucilati.
Io, dopo quella notizia, mi misi a piangere
per settimane, però dopo mi feci forza e riuscii a sopravvivere.
Andai a vivere con Felix, con il quale adesso sono sposata e ho due figlie di nome Sara
e Martina.
Vanessa Di Liberto
LA STORIA DI EDWARD
Io mi chiamo Edward e sono
un ragazzo ebreo. Vivevo in
Polonia a Gnienzo con la mia
famiglia e, quando tutto iniziò,
avevo 17 anni. La mia famiglia
era composta da mio fratello
Filip di 15 anni, mia madre
Monique e mio padre Maxime.
Era una calda giornata d’estate,
io e i miei amici stavamo giocando nel mio giardino, quando i loro genitori corsero a
chiamarli dicendo: “ In casa !
In casa, arriva la Gestapo “.
Allora tutti scapparono nelle
loro case compreso io, ero
molto triste perchè questo succedeva troppo spesso ultimamente. Quel giorno la Gestapo
arrestò moltissima gente: uomini, donne, bambini, alcuni
dei quali erano miei amici. Per
fortuna la polizia non si presentò a casa nostra.
Nei giorni successivi, il tempo
passò veloce, ma il 20 Agosto
1942, la Gestapo mandò una
lettera a casa nostra: diceva
che io e mia madre dovevamo
presentarci alla stazione di polizia, per poi essere mandati
nel campo di concentramento
di Auschwitz.
Per fortuna mio padre, che lavorava come autotrasportatore
in giro per l’Europa, era stato
previdente e aveva cercato un
rifugio, lo aveva trovato in Austria. In fretta
e furia dovemmo partire lasciando tutto in
disordine e portando con noi solo poche cose: meno male che i nostri genitori ci permisero di portare un animale per uno; io portai
Titti, la mia cocorita addomesticata, mentre
Filip portò Teo, il suo gatto.
Arrivammo in Austria il 25 Agosto 1942 e
cominciammo la nostra vita da rifugiati, ma
non mi dispiacque. Noi abitammo in una
casa piccola, bruttina e poco spaziosa. Io e
la mia famiglia vivemmo in quella casa per
53
due lunghissimi anni, fino al 15
Gennaio 1944. Purtroppo quello sfortunato giorno la Gestapo
scoprì il nostro nascondiglio e
ci portò nel campo di concentramento di Mauthausen, dove i
tedeschi costrinsero me, mio
fratello e mio padre a separarci
da mia madre. Dopo qualche
ora i tedeschi ci portarono nei
dormitori e, il giorno dopo, ci
costrinsero a lavorare per otto
ore consecutive. Questo successe per tantissimo tempo.
Un giorno, improvvisamente,
tutti i lavori cessarono e i tedeschi cominciarono a scappare
fuori dal campo di concentramento:finalmente erano arrivati
gli inglesi.
Tutti corsero fuori a vedere
cosa fosse successo; con nostra
grande sorpresa vedemmo che
il campo era vuoto, non c’era
più neanche un tedesco. Così
tutti scappammo fuori, noi cominciammo a cercare la mamma, avevamo paura che i tedeschi l’avessero uccisa, per fortuna non era così e, dopo qualche chilometro, la trovammo
vicino ad un albero che piangeva perchè anche lei credeva che
ci avessero ucciso. Appena ci
vide, ci corse incontro e ci abbracciò.
Io ero felicissimo perchè la
nostra famiglia si era riunita e poi, tutti insieme, cercammo di vivere normalmente,
dimenticando le brutte cose accadute.
Nicola Galliera
Fiabe e racconti (Racconti storici)
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
UNA GUERRA SENZA FINE
E’ il 1916.
Ormai è da otto mesi che questa guerra infernale non trova una breve pausa. Ad ogni
attacco si rischia la vita.
La maggior parte dei miei amici morti sono
stati abbandonati come si fa con le mele cadute dagli alberi.
L’ultimo attacco a cui
ho partecipato è avvenuto alla fine di marzo: è stato l’attacco
più cruento che io abbia mai visto; siamo
partiti alle tre del mattino e ci siamo mescolati con il nero della
notte. Purtroppo i soldati che stavano di
guardia hanno notato
il nostro gruppo e così
siamo stati scoperti.
Mancando l’effetto
sorpresa, il nostro
gruppo aveva fallito la
missione, così abbiamo dovuto retrocedere
e nasconderci dietro
alcuni cumuli di terra.
Ma ormai eravamo
stati scoperti e ci fu la controffensiva.
Iniziò così la notte più brutta della mia vita,
costellata da bombardamenti e spari.
La maggior parte delle persone del nostro
gruppo venne uccisa, noi cercavamo di contrattaccare avanzando, ma ogni tentativo era
vano.
Ad un certo punto io suggerii al generale di
retrocedere, ma lui, che era molto orgoglioso e testardo, mandò avanti ciò che rimaneva della compagnia, che venne colpita in
pieno da una bomba.
Mi guardai attorno, non c’era nessuno, ero
l’unico sopravvissuto, allora cominciai a
correre a più non posso verso la base; ero un
bersaglio facile, ma arrivai sano e salvo.
Mi chiesi come mai non fossi stato colpito,
comunque ero stato fortunato.
Ormai era l’alba ed ero distrutto, andai a
sedermi vicino ad un muro e subito mi ad-
IN UNA NOTTE…
dormentai. Le sofferenze che provavo erano
inimmaginabili e terribili.
Veder morire un proprio amico in battaglia
era l’esperienza più sconvolgente e terribile
della guerra di trincea. Mi mancava la mia
vecchia vita: il mio vecchio lavoro, mi mancavano i miei amici, i
miei familiari e, in
questo momento, mi
mancava anche il cibo.
Noi eravamo lasciati
in posti umidi, con
morti e malattie di ogni tipo, il cibo era
crudo e avariato, il
pane duro e non lievitato, l’acqua era stagnante, non potevamo
neanche farci la barba.
Era un invito alla morte.
I giornali scrivevano
di noi che eravamo i
salvatori e che al fronte vivevamo bene: tutte bugie.
La guerra non è come
la si pensa: è paura e
morte, si è tutti sullo
stesso piano. Si è tutti vinti.
Io penso che la guerra è dei soldati che sono
costretti a viverla ogni giorno.
Matteo Moretti
GUERRA IN TRINCEA
Siamo nel 1915, l’Italia è entrata in guerra
insieme alle altre potenze della Triplice Intesa, ed io vengo arruolato nell’esercito e costretto ad abbandonare i miei fratelli e la mia
famiglia.
Il 23 Ottobre 1917 sono partito per Milano
verso le 6 del mattino, sopra una camionetta
con altri soldati per raggiungere il fronte e
combattere contro gli Austriaci.
Siamo arrivati vicino ad un paesino, si chiama San Martino del Carso. Qui altri italiani
scavano trincee, ma veniamo subito
“smistati”e dobbiamo salire sulla stessa camionetta di prima, chi guida ha un cappello
da generale e ci dice che sarà un viaggio
molto lungo.
Siamo otto soldati su questa camionetta; all’inizio ci guardiamo negli occhi , poi un
soldato rompe il ghiaccio chiedendo di presentarci. Lui ha la pelle un po’ scura, sembra
molto abbronzato, dice di essere nato ad Alessandria d’ Egitto nel 1888, ma noi non ci
crediamo molto.
Arriva una notizia che dice che gli Austriaci
stanno avanzando verso Caporetto, ed è proprio lì che dobbiamo andare.
Una volta arrivati, ci mandano subito dentro
una trincea, volevo stare con il mio nuovo
amico, almeno per avere un supporto, un
sostegno.
Siamo armati in modo inadeguato: abbiamo
una pistola, una baionetta, due scorte di munizioni, un elmetto, una divisa con qualche
grado, qualche garza alle gambe che rallenta
il passo e scarpe che dopo tre giorni in trincea non hanno più suola.
Il mio amico scrive stranissime poesie; me
ne ha fatta leggere una, mi pare si intitolasse “ Sveglia” o “ Veglia”.
Della vita civile mi manca il mio lavoro di
postino, mia moglie, che ora è costretta a
sostituire lo zio in fabbrica e lavora sempre,
mio fratello, che lavora nei campi, mio padre, che lavora in fabbrica perché, non avendo una gamba, non è stato arruolato in guerra.
Io non so se rivedrò tutta questa gente, so
solo che pochissime notizie arrivano al fron-
52
te: sappiamo che il generale Cadorna è stato
sostituito da un certo Diaz, ma non ne sono
sicuro.
So che gli Austriaci hanno conquistato tutto
fino a Caporetto, e l’hanno devastata.
E’ il quindicesimo giorno che sto in trincea,
il cibo è scarso, tre di noi sono morti per
essersi ribellati, ci sono alcuni aerei che aggirano la nostra trincea; io sto male, penso
di essermi preso qualche malattia perché mi
sento stanco, ho la tosse e in fronte scotto.
Devo ancora sparare il primo colpo del mio
fucile, la pistola l’ho persa.
Mi faccio scudo con un cadavere che ha la
testa mozzata, sanguina ancora sul mio corpo, ma spero solo che mi ripari dalla tempesta che viene incessantemente da tre giorni.
Pensavo che andare in guerra fosse bello,
eccitante, invece ho capito che è tutto un
inutile massacro.
Giacomo Sovrani
Questa
sera
sono stanchissima. Ho lavorato tutto il
g i or n o,
ho
pranzato con
un panino, il
pomeriggio è
stata una vera e
propria avventura con il capo, e questa
sera sono stata
fuori a cena
con Gorge. Uffa!!! Mamma
mia che giornata
stancante.
Mi sdraio finalmente sul letto
e inizio a pensare… inizio a
pensare come
sarebbe la mia
vita in un paese
come
l’Africa… in un paese più povero… e così, mentre penso, mi addormento….
Quando mi sveglio mi ritrovo sdraiata su
una brandina dentro ad una casetta strana,
sembra quasi una tenda… no, è proprio una
tenda…
Allora, perplessa per ciò che mi circonda, mi
alzo in piedi, esco da questo posto sporchissimo, con ragni e scarafaggi ovunque. Vedo
in lontananza cinque o sei uomini che stanno cantando canzoni che non capisco, in una
lingua che non conosco… poi mi guardo
intorno e non vedo i giganteschi palazzi di
New York, ma in questo deserto di sabbia è
tutto piatto, non c’è una casa, un bar, un ufficio, niente. Non capisco. Che strano… Inizio a camminare un po’, ma non vedo nulla,
tranne delle tende qua e là, qualche pecora,
cinque o sei persone abbigliate in maniera
strana e un cammello. Aspetta…un cammello?? E come può esserci un cammello? Non
capisco.
Ho fame. Vado a chiedere a quelle persone
se sanno dove si può andare a mangiare e
l’unica cosa che mi offrono è un po’ di riso,
vecchio almeno di una settimana, che loro
mangiano con tanto gusto usando le loro
sporche mani.
Ma no, io non mangio, io quella schifezza
non la tocco. Però ho fame. Come faccio?
Dai, se un pasto lo salto non succede nulla.
Così me ne torno alla tenda. Ma non ho nulla da fare. Poco dopo torno da quelle persone e cerco di comunicare loro qualcosa, per
esempio che sarei molto curiosa di sapere
dove mi trovo e come sono finita in questo
posto. Ma sembrano non capire. Io faccio
gesti e parlo
come una stupida, loro si girano guardandosi,
ridono…. Molte
grazie!
Ma cosa mi sta
capitando?
Voglio andare
via… sto male,
ho fame, ho
caldo,
voglio
lavarmi e stare
in un posto pulito. E soprattutto non capisco
quello che mi
sta succedendo.
Poi… in lontananza sento un
rumore…
un
rumore
quasi
assordante, un
rumore che mi
dà
fastidio….piano piano sento sempre meno le
voci di quelle persone e sempre di più questo continuo “bip”.
Apro gli occhi e capisco che è la mia sveglia.
Mi guardo attorno. Sono sdraiata sul letto
con le lenzuola candide, in una camera tutta
bianca e rosa. Guardo fuori dalla finestra e
vedo quei fantastici grattacieli.
Guardo l’orologio. Sono le 8.30! Aiuto!!
Sono in ritardo! Poi mi fermo. Mi siedo e
penso che effettivamente va benissimo così… che non vedo l’ora di litigare ancora
con il capo e di mangiarmi un fantastico panino con una foglia di insalata.
Giulia Bertieri
UN AMICO DALLE STELLE
C’era una volta in una dimensione parallela,
un alieno di nome Baz che fin dall’infanzia,
aveva il desiderio di andare con il suo taxi
sulla Terra. Questo alieno era molto curioso
di scoprire cose nuove e divertenti, ma non
aveva nessun amico che potesse accompagnarlo, desiderandone uno. Contemporaneamente sulla Terra c’era un bambino di nome
Brink. Una notte Baz decise di partire alla
scoperta della Terra con il sua taxi ma a causa di un guasto precipitò in un granaio; più
precisamente in un capannone della Cir.
Dentro a esso vi era un addetto al controllo.
Baz appena caduto mise su un cd e iniziò a
ballare e quindi iniziò a ballare anche lui;
quando perse il controllo, l’uomo cadde in
una vasca piena di ketchup e morì. Baz spaventato corse per tutta la terra e si schiantò
contro una fattoria. Quando si riprese, vide
davanti Brink che lo portò a casa sua e iniziarono a parlare: < chi sei?>> <<sono un
alieno!>>. I militari del Texas avevano intercettato il taxi di Baz e andarono a cercarlo
nel granaio e nei territori circostanti. Andarono nella casa casa di Brink e la misero a
soqquadro. Non trovarono nessuno perché
erano nascosti nella cuccia del cane. Videro
che sopra di essa c’era un aquilone e lo usarono per tornare al proprio taxi in fretta. Arrivati videro che era rotto e lo portarono fuo-
29
ri. Stava arrivando una tempesta e miracolosamente un lampo riparò il motore. Piangendo si salutarono e Baz decollò per il suo pianeta non dimenticandosi di Brink.
Marcello Ceolotto
Martina Maggi
Alice vassalli
Nirvana Pecorari
Enrico Balzeri
Marco Silvestri
Jacopo Tura
Sabrina Maresta
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
Fiabe e racconti (Racconti storici)
LO ZOO DI III E
Mi chiamo Flikka e ogni mattina mi alzo per
andare a scuola; ovviamente mi devo alzare
presto perché ho tante cose da fare: come
prima cosa mi lavo immergendomi in una
calda e profonda pozza d’acqua, in realtà è
una semplice “doccia”, ma a me piace chiamarla così; poi mi devo sistemare tutta la
peluria: elimino i baffi e i peli superflui radendomi, ma in maniera poco evidente , perché poi si vedrebbe troppo (sono molto pelosa), infine prendo il necessario e…mi ritrovo a correre verso la scuola per riuscire
ad arrivare in tempo prima che si chiudano
le porte!
Arrivo in classe affannata, scompigliata e,
ovviamente, in ritardo; ma ormai nessuno ci
fa più caso!
Come ogni mattina si sentono da lontano i
passi della mia professoressa che arriva in
classe; pensate che non sembra un ippopotamo , bensì due ippopotami tanto è cicciotella!
Inizia la lezione e la professoressa che si
chiama Gloria, ma noi la chiamiamo Glorio-
na per via del suo aspetto, sta scegliendo chi
interrogare perché, ovviamente, non si offre
mai nessuno. Così inizia a fissarci con quei
suoi occhietti piccoli, neri come la pece, nascosti dietro a un paio di occhialetti rossi,
posti quasi sulla punta del naso, come se
dovessero cadere da un momento all’altro.
Il suo aspetto farebbe accapponare la pelle a
chiunque!
Dopo aver fissato ogni singolo elemento in
classe, dice: “Flikka, interrogata!”- Ma che
strano, proprio me doveva chiamare, l’unica
volta che non ho studiato- penso tra me e
me….
Alla fine della deludente interrogazione, la
professoressa Gloria è arrabbiatissima, inizia
ad urlare come una scimmia che ha appena
perso le sue banane, diventa persino bordeaux, le vene le si ingrossano e continua a
sbraitare, facendo la sua solita predica che
nessuno ascolta mai, ma alla frase:”Siete
solo un branco di animali…!” tutto tace, per
poi scoppiare in una clamorosa risata. La
profe ci zittisce e ci chiede il motivo per cui
GERARD
ridiamo, così io mi avvicino alla cattedra e
le rispondo: ”Ma profe…noi siamo degli
animali! Guardi, là c’è Raffo, il gorilla maestoso, grande, ma allo stesso tempo sbadato,
poi guardi Erica, una gatta calma e tranquilla, laggiù in fondo c’è Altea, la nostra giraffa dalle gambe lunghe e snelle, Benedetto, il
ghepardo veloce come la luce; e infine mi
guardi prof, Flikka la tigre forte e aggressiva, non vede??”. La professoressa è meravigliata, ad un tratto inizia a vedere anche lei:
vede Clara, la bellissima cavalla libera, Giulia la civetta ammaliatrice, Jari il ghiro, che
vuole sempre dormire, Davide il pigro bradipo….e il resto della classe, tutti sono animali!
Da quel giorno tutti i ragazzi, compresa la
professoressa, si trasformarono negli animali che li rappresentavano meglio.
Così la III E lascerà per sempre un segno in
quella scuola.
Sara Buzzoni
UN’ESTATE A CAVALLO
Oggi 3 Giugno è mattina, e fa un caldo inverosimile, sono le 8:30 circa e sono sul mio
letto che penso. Ad un certo punto i miei
pensieri
vengono
interrotti…
<<Drin,Drin>>, è il mio cellulare che sta
suonando, guardo, è Elena <<Hei Claretta
tutto ok? Dai preparati, andiamo subito dai
cavalli!>> Io sapevo che quel “passo a prenderti subito” equivaleva alle 10:00 circa.
Così chiamo velocemente la mamma
per chiederle se posso andare, lei per
fortuna, senza fare storie mi risponde
di”sì”. Così mi sono fatta preparare il
pranzo, poi inizio a prepararmi, facendo
poco rumore, per non svegliare mia sorella. Dentro di me inizio a pensare dove ho messo l’abbigliamento, cerco prima i pantaloni, poi la canottiera, quella
nera, le calze e una giacca. Scendo e mi
infilo i miei stupendi “Justin”( stivali
adatti per andare a cavallo), mi siedo
sul divano e aspetto. Sono le 9:30 ed
Elena è sulla sua macchina che mi sta
aspettando. Allora, di fretta, prendo le chiavi
di casa, il cellulare, l’Ipod, e gli occhiali da
sole. Salgo in macchina, e le dico di andare
al forno da mia mamma, visto che aveva
preparato il pranzo. Mentre sono in macchina, mi arriva un messaggio << Buon giorno
Amore mio, oggi vieni al mare?>>, io preferisco andare al maneggio e glielo comunico
con un messaggio. Arrivo al maneggio e
scendo dalla macchina con sporte e sportine,
poi sento una ragazza che urla “Picciotta!”,
è la mia Giulietta! Poi, come sempre le do
un bacio sulla fronte, prendo un caffè, offer-
to da Elena, e poi via che si va!
Io prendo Pochaontas, Giulia prende Jesso
ed Elena il suo fantastico paint Apaches.
Io ,nel frattempo, mi siedo 5 minuti nel padock con Pochaontas, lei viene lì, mi annusa
e piano piano prendo la capezza e gliela
metto, la porto dal fens principale per legarla, Giulia fa lo stesso ed Elena anche.
Poco dopo arriva anche Federica, che va a
prendere Valentino.Vado in ufficio a prendere le casse per poi ascoltare la musica; noi
quattro iniziamo a ballare e quei quattro magnifici cavalli ci guardano incuriositi, con il
punto di domanda stampato in faccia.
Una volta sellati i cavalli, prendo il caschetto, vado in arena, mi posiziono al centro e
tengo bene le redini, stringo la sella e finalmente salgo; inizio facendo un po’ di passo,
per scaldare il cavallo, circa 2-3 giri, però
non ce la posso fare, allora inizio a battere
gli speroni nella pancia della cavalla, e faccio il verso della rana. Inizio a trottare per
30
circa un paio di giri, cambio mano e inizio a
battere sella, piano piano con l’aiuto del bacio. Stiamo sul cavallo per circa 2 ore e
mezzo. Alle 11:30 scendiamo, togliamo il
morso e le briglie, leghiamo i cavalli ai fens,
poi ci cambiamo e indossiamo i pantaloncini corti. Tiriamo via le selle, i sotto sella, i
paracolpi. Poi iniziamo una vera e propria
guerra con le pompe dell’acqua, mentre laviamo i cavalli.
Poi facciamo asciugare i cavalli al sole,
mentre noi pranziamo e ridiamo : di
come va cavallo Federica, con la bocca
aperta, e noi le diciamo di chiuderla se
no mangia le mosche! Di Giulia, quando è caduta da ferma, in avanti, dopo
avere fatto una stoppata fantastica, oppure di me, quando stavo galoppando,
la cavalla ha girato, e io sono volata in
avanti.
Nel pomeriggio arrivano molte bambine, che devono fare lezione, per me è
una cosa insopportabile, perché io Giulia, e Federica dobbiamo pulire. Però c’è un
lato positivo, dobbiamo sellare noi i cavalli
alle bambine. Arrivata la sera, verso le 19:30
circa, arriva mia mamma, con la brutta notizia che devo andare a casa perché si è fatto
tardi.
So però che trascorrerò altre giornate come
questa durante l’estate.
Siamo quattro piccole donne, che viviamo
solo per l’amore che ci danno i nostri cavalli.
Clara Turetta
Era un cupo giorno d’autunno, ero assonnato stanco e non riuscivo a far conciliare molte cose.
Piano, piano mi ricordai dov’ero: ero in trincea e mi trovavo lì con il mio migliore amico, si chiamava Gerard, era francese come
me, eravamo cresciuti insieme, lui per me
era come un fratello, mi era sempre stato
accanto.
Eravamo “nuovi” su questo fronte, eravamo
qui da quattro mesi. Ricordo perfettamente
l’arrivo di una guardia verso casa mia, io e
Gerard eravamo felici dell’ arrivo di quell’uomo, sapevamo tutti e due il significato di
quella visita, significava che saremmo partiti
per il fronte, per onorare la patria. Avevo 18
anni e Gerard un anno in più, tutto il mio
mondo girava intorno a lui, se lo avessi perso non so cosa avrei potuto fare.
I miei genitori, però, erano tristi di quella
notizia e solo ora riuscivo a capirne il motivo, la guerra era orrenda!
Io e Gerard eravamo di vedetta, un compito
non troppo complicato; eravamo molti ma
ogni giorno diminuivamo, poi arrivavano
altri soldati che sostituivano i compagni
scomparsi.
Cominciavo a provare dentro di me un’ enorme rabbia nei confronti di chi ci spingeva
a compiere carneficine e ad attaccare ragazzi
che forse erano più giovani, ma la paura era
troppa per ribellarsi, chi ci provava andava
incontro a morte certa.
Qui la pioggia era interminabile e non si riusciva quasi a respirare, tutto ciò che ci cir-
condava era orrendo; alcuni miei compagni
erano stati mutilati.
Tutto questo era disumano, noi qui non eravamo altro che pedine in attesa di un ordine.
Il tempo passava , erano trascorsi altri due
mesi, ed io e Gerard eravamo ancora vivi,
non sapevo se era meglio continuare questa
orrenda vita o morire.
Ci avvicinavamo sempre più al Natale; era
la vigilia e a me e a Gerard era stata affidata
una missione notturna con 25 altri nostri
compagni. Era un compito difficile e pericoloso e né io né Gerard eravamo convinti,
avevamo paura.
Una volta partiti, era mezzanotte, si sentì
uno sparo e Gerard cadde al suolo stremato;
durante l’andata gli era caduto un pugnale
sulla caviglia, aveva perso molto sangue e
aveva urlato, così un soldato nemico ci aveva visti e, con un colpo di mitraglietta, aveva ucciso il mio amico Gerard.
Tutti i ricordi passati con lui mi riempirono
la testa e non potei fare altro, in preda alla
disperazione, che urlare: “Gerard!”. I miei
compagni erano tristi ma tenevano alla loro
vita e, vedendo dei soldati nemici, scapparono; io intanto avevo nascosto il corpo di Gerard e avevo assistito al massacro di tutti i
miei compagni, ero l’unico superstite. Gerard era ricoperto di sangue, era pallido e
non respirava, passai una notte intera con
lui, in quella buca. Gerard mi aveva lasciato,
aveva spezzato la sua promessa, quella che
non ci saremmo mai lasciati.
Il mattino seguente fui costretto ad andarme-
ne, ma presi un foglio e una penna e scrissi
queste precise parole: “Qui giace Gerard, un
amico che ha dato la sua vita per proteggere
gli altri”, non sapevo a cosa sarebbero servite, forse per convincermi del fatto che non
l’avrei mai più rivisto.
Corsi più velocemente possibile verso la mia
trincea. Era Natale e io riuscii ad arrivare dai
miei compagni, non festeggiammo il Natale,
ma il fatto di essere ancora vivi.
Quel giorno scrissi alla mia famiglia, scrissi
della morte di Gerard, di quanto qui la vita
fosse brutta e del senso di angoscia che provavo ogni giorno. In realtà mi mancava tutto, mi mancava la serenità con cui passavo
le mie giornate, mi mancavano i manicaretti
di mia madre e anche le giornate che trascorrevo con mio padre a lavorare.
Tutto mi faceva ricordare i bei tempi trascorsi a casa.
Da poco avevo compiuto gli anni, mi sentivo più saggio, sapevo con certezza che uccidere persone per la patria non aveva senso;
perché dovevamo morire tutti? A seguito di
una spedizione rimasi mutilato, non servivo
più alla guerra, quindi mi rimandarono a
casa, ero felice e dolorante.
Questa è la mia storia; Gerard non ce l’ha
fatta e questa è la cosa più triste.
Ora lavoro come operaio e a volte ho degli
attacchi di panico legati alla mia esperienza,
comunque spero che la guerra finisca presto.
Jasmine Attar
LA VITA AL FRONTE
Due mesi fa siamo partiti da Bologna per
raggiungere i nostri compagni sulle Dolomiti con l’idea di sconfiggere i nostri nemici:”gli austriaci”.
Oggi è Natale,siamo qua in alta quota da
diversi mesi a patire il freddo come i nostri
avversari.
Oggi, come al solito, c’è la nebbia e fa freddo.
Siamo in una specie di “bunker” dentro alla
roccia; uno dei miei compagni è direzionato
da una parte e l’altro,invece, dall’altra per
far sì che non ci prendano alla sprovvista.
Anche questa giornata è passata.
Sono arrivate delle truppe ad affiancarci e,
nel pomeriggio, è arrivato un battaglione
nemico. Oggi pomeriggio c’è anche stato
uno scontro,prima si è mossa la fanteria,in
fondo alla valle,mentre noi sparavamo dall’alto. Ci sono stati una ventina di morti;finché non arrivano nuove truppe, non
riusciremo mai a sfondare il fronte nemico.
Stavo pensando alla vita civile,alla mia famiglia,che sarà sicuramente al caldo,con del
buon cibo e un letto comodo per dormire,mentre noi siamo qua al freddo con il cibo
che scarseggia, dormiamo nel fango e siamo
ansiosi di tornare a casa vittoriosi.
Io ed il mio compagno siamo stati spostati
nel bunker più in basso; dopo qualche ora,finalmente, è arrivato il “grande” battaglione. Abbiamo subito iniziato a combattere,c’erano soldati da tutte le parti; noi sparavamo verso il nemico,ma con quella nebbia non capivamo se avevamo colpito qualcuno.
All’improvviso, sono arrivati una serie di
spari, io mi sono buttato a terra, ma il mio
compagno è restato immobile; un proiettile
lo aveva colpito alla testa. Io mi sono immo-
51
bilizzato per la paura e per ciò che vedevo
davanti a me; in quei pochi secondi ho visto
tutta la mia vita scorrermi davanti. Sono restato a terra per diverse decine di minuti,
perché avevo paura e non sapevo come reagire. Quando mi sono alzato in piedi,la battaglia era ancora in corso, ma io sono rimasto a terra, in un angolo, fino al termine dello scontro. Al termine della battaglia ho
aiutato gli altri a raccogliere i morti; una
volta finito,abbiamo scavato un’enorme buca e li abbiamo seppelliti ,poi abbiamo dedicato loro cinque minuti di silenzio.
Qui al fronte mi manca tutto ,soprattutto la
famiglia,la vita del paese,la serenità, gli amici.
Secondo me in guerra siamo tutti come fratelli, però indossiamo divise diverse, ho orrore per la morte e sono certo che,una volta
tornato, non riuscirò a dimenticare cosa è
accaduto al fronte.
Jari Zanellato
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Racconti fantastici)
TROPPO TARDI... (Seconda parte)
che sembra quasi non finire più. Ho paura…
rifletto su quella scena: la madre che stringe
la mano alla figlia … ma non faccio in tempo a capire tutto, che il silenzio viene interrotto dal pianto disperato di Megan, che intanto balbetta: “E’ ingiusto! E’ terrificante!
Ieri mia sorella è entrata in coma, e ancora
non si hanno buone notizie; oggi invece ho
perso un mio compagno di atletica…” Dopo
di che l’ispettore si alza, ringrazia i miei
amici di aver collaborato, fa gli auguri a Megan per la sorellina; poi sale in macchina, ed
io, curioso, lo seguo entrando dal finestrino
(visto che ancora non riesco a passare tra gli
oggetti) e mi siedo nel sedile accanto al suo.
Ci dirigiamo verso il paese. Poi parcheggia
la macchina in piazza. Apre lo sportello ed
esce, ed io esco con lui. Lo osservo bene:
sembra che stia ragionando. Ci rimettiamo
in cammino, e ovunque vada io lo seguo.
Stiamo andando a casa mia …deve avvertire
i miei genitori della mia morte. Bussa alla
porta. Dopo poco mia madre esce e chiede
chi è e cosa vuole, e dopo aver capito che si
tratta di me lo fa entrare. “Buongiorno” dice
Smith a mio padre. Mio padre lo guarda con
aria strana e infine dice: “Chi sei?” L’ispettore dice che è venuto per parlare di me; allora mio padre sbuffa e gli chiede di andarsene, pensando che si tratta ancora una volta
di guai che ho combinato. Mia madre guarda
mio padre e gli fa una smorfia, e poi dice
all’ispettore: “ Si accomodi” indicando il
divano. L’ispettore si siede e comincia: “E’
successa una cosa questa notte. Non so come mai non ve ne siete accorti ma Michol
non era in casa questa notte. Lui era…”, ma
mia madre lo interrompe:“Michol non trascorre tutte le notti in casa, spesso dorme
fuori, con dei suoi amici, dice che in famiglia non si trova bene.” “Ah sì..” riprende
l’ispettore “Lui era in un boschetto, deve
aver passato la notte lì. Lo abbiamo ritrovato
sul fondo del dirupo, morto, con un coltello
nella schiena… mi dispiace.” e poi aggiunge: “L’ora del decesso risale alle 4:12”. Mia
madre spalanca la bocca e mio padre si mette a fissare il bicchiere di birra vuoto, appoggiato sul tavolino davanti a lui. Una lacrima
scende lungo la guancia di mia madre, mentre mio padre non fa una piega. La mia è una
famiglia particolare. Mia madre è una donna
stupenda ma troppo rigida, che non esce di
casa, neanche per stare un’ora in giardino, se
non è truccata: una snob di prima classe. E
mio padre che non fa altro che bere, ubriacarsi, fumare e picchiarmi, ed è anche per
questo che preferisco starmene fuori casa,
vivendo una vita indipendente dalla loro.
L’ispettore ringrazia ed esce di casa. Grazie
alle parole di mia madre l’ispettore comprende che avevo a che fare con la banda, e
quindi chiama la polizia e ordina di cercare i
miei compagni nel bosco, visto che aveva-
mo trascorso la notte insieme. A questo punto potrebbe pensare che nel mio omicidio
siano coinvolti i miei compagni… non ha
tutti i torti, tuttavia non credo che sia così,
perché eravamo troppo amici e di certo non
sarebbe stato quel litigio a rovinare la nostra
amicizia; oppure potrebbe avere dei sospetti
sui miei compagni del gruppo di atletica,
potrebbe essere un’ipotesi, magari proprio
lei, Megan, ma non penso, visto che è troppo disperata per la perdita di sua sorella.
Oppure sì, durante l’incidente forse mi ha
visto e voleva vendicarsi… anche se mi pare
po’ strano… Più tardi tocca a Jack, l’ispettore suona il campanello di casa sua e il padre
viene ad aprire. Smith spiega che deve proseguire la sua indagine con degli accertamenti su di loro. Il padre lo fa accomodare e
la madre gli offre un caffè. L’ispettore fa un
controllo nell’abitazione cominciando dalla
camera di Jack per arrivare alla cucina; ma
non trovando indizi esce. Pensieroso si avvia verso l’abitazione di Dilan, dove c’erano
anche i genitori di Alice. Lui ispeziona la
casa, fa qualche domanda ai presenti, ma poi
esce con la convinzione che sono tutti innocenti. Infine è toccata alla casa di Megan;
seguo l’ispettore che bussa con forza alla
porta. “Arrivo!” dice la madre. L’ispettore
dopo aver spiegato l’accaduto viene fatto
accomodare. Smith si guarda in giro e fa i
complimenti per la grande casa, poi chiede
come sta la piccola entrata in coma. “Per il
momento non si sa nulla” risponde il padre
con uno sguardo assente. Poi li osserva senza farsi notare: la madre di bassa statura con
un vestito leggero; il padre, un uomo alto
che veste in jeans e camicia; allora l’ispettore chiede se può controllare la casa e con il
loro consenso sale al piano superiore, entra
in camera dei genitori e cerca indizi. In camera di Megan vede delle foto dei ragazzi
del gruppo di atletica dove ci sono anch’io.
Scende e va in cucina, controlla nei cassetti,
il piano della cucina, e nell’angolo vede un
ceppo di coltelli neri, con le sfumature in
argento, dal quale però ne mancano tre. Col
fiato sospeso mi avvicino di più e guardo
attentamente Smith, come reagisce alla vista
dei coltelli; lui guarda nel secchiaio e non
c’è niente; allora apre la lavastoviglie e ne
trova solo due. Non ci credo, allora è stata
proprio lei, Megan…come ha fatto? Non la
credevo capace… L’ispettore va in salotto e
chiede ai genitori dove hanno trascorso la
notte, e la madre risponde: “Io e mia figlia
abbiamo trascorso la notte insieme, qui a
casa e abbiamo dormito accoccolate nel mio
letto; mio marito è stato in ospedale con la
bambina.” A questo punto Smith va in lavanderia e fruga in mezzo ai vestiti sporchi,
e trova una camicia da uomo con la manica
sporca di sangue…senza esitare chiama l’ospedale e chiede conferma se il padre ha tra-
50
LAST DAY
scorso tutta la notte con la bambina. Io appoggio un orecchio al telefono e l’infermiere
risponde “No, guardi, una mia collega gli ha
consigliato di andare a casa a riposare, e lui
se n’è andato alle 2:30”. “La ringrazio.” risponde Smith chiudendo il telefono. “Ora ho
capito tutto” dice l’ispettore entrando nuovamente in casa e rivolgendosi al padre gli
chiede fino a che ora è rimasto in ospedale.
Quest’ultimo risponde irrigidito: “Fino alle
7:00 di questa mattina.” L’ispettore ringrazia ed esce, sale in macchina e chiama la
polizia dicendo di andare alla casa di Megan. Poi andiamo tutti in piazza dove ci sono i miei amici sportivi, quelli della banda,
mia madre … sono tutti riuniti cercando di
capire cos’è successo. Lì fuori c’è Megan
che piange e quando nota la macchina della
polizia con suo padre a bordo che guarda in
basso, lei si irrigidisce e dice con un filo di
voce: “Non è possibile …” Il padre la guarda disperato, come chi si è appena accorto di
quello che ha fatto. Che strano, io neanche
lo conosco bene il mio assassino… eppure
non ha tutti i torti, dopotutto ha quasi perso
una figlia per colpa mia; ciò che abbiamo
fatto su quel cavalcavia è stato terribile, e se
non mi avesse buttato giù lui, mi sarei buttato giù da solo… mi sarei suicidato lanciandomi giù nel Buco Nero. La notte è già passata e adesso è ora che io vada, la terra non è
certo il posto adatto per i fantasmi… Comunque prima di andare decido di passare
ancora una volta dai miei cari. Vado in cucina e noto con piacere che per la prima volta
ci sono i miei che si abbracciano e piangono
per la mia morte… evidentemente adesso
anche mio padre ha scoperto di avere un
cuore… Spero che la sorellina di Megan
guarisca, che lei non soffra più, e che gli
amici della banda mettano la testa a posto,
cosa che purtroppo non ho fatto in tempo a
fare io. Ora devo andare anche se non so
bene dove...
Sara Facchini
Il 2 aprile 2009, è stato uno dei giorni più
belli della mia vita, perché a scuola ho preso
un 9 e un 8 ½. Arrivato a casa ho comunicato la notizia a mia mamma, che stava preparando il pranzo, e a mio papà, che stava
guardando la televisione, erano contentissimi perché è raro che prenda dei bei voti. All’una e trenta minuti la mamma ci ha chiamato per mangiare un piatto di pasta al ragù,
nel frattempo abbiamo acceso la televisione
sul canale dove trasmettono Studio-Sport,
un programma che parla di sport e che mi
piace molto.
Nello stesso momento il mio fratellino è arrivato a casa dall’asilo dove aveva appena
finito di mangiare, solo che aveva ancora
fame, allora la mamma gli ha preparato un
piattino, il suo preferito quello di Nemo, con
un po’ di pasta.
Verso
l’una e quaranta la trasmissione si è
interrotta e si
è sentita una
voce femminile, con lo
schermo buio,
che
diceva
che un meteorite enorme
stava per colpire il sole,
nessuno poteva fare niente,
perché il meteorite
era
troppo grande
e quando lo
avrebbe colpito, lo avrebbe fatto esplodere distruggendo tutti i
pianeti.
Sulla terra si
creò il caos
totale. I trasporti si fermarono, l’elettricità andava via e
ritornava, non funzionava più il riscaldamento, i treni deragliavano e le strade erano
piene di incidenti. In Francia un aereo di
linea precititò sulla Tour Eiffel; un camion,
a Roma, si schiantò contro il Colosseo. Nel
frattempo in America, al Centro Internazionale della N.A.S.A, le menti geniali di
scienziati spaziali di tutto il mondo si riunirono per cercare una soluzione al problema e
calcolare quanto tempo sarebbe rimasto. A
queste due incognite lo scienziato John Lonolei rispose, comunicando ai suoi colleghi
che la terra avrebbe avuto solo due giorni,
dodici ore, 48 minuti e 32 secondi di esistenza, rimasero tutti molto colpiti, mentre
l’altra idea di salvezza fu abolita.
Mentre un’altra quadra di scienziati cercava
una soluzione concreta al problema, nel
mondo esterno il caos non era aumentato,
ma neanche diminuito.
Io e la mia famiglia eravamo disperati non
sapevamo cosa fare, per fortuna avevamo
abbastanza provviste per quattro giorni.
Verso le sei di sera la N.A.S.A decise di comunicare unì importante notizia alla popolazione mondiale. Io, dopo averla sentita, mi
vidi passare la vita davanti in un attimo, ho
riflettuto su tutti i momenti della mia vita e
sulle esperienze emozionanti che avevo vissuto e anche sulle cose stupide che avevo
fatto, e che, pensandoci attentamente potevo
evitarle. Penso che anche i miei genitori abbiano pensato lo stesso, mi dispiaceva anche
per mio fratello che ha solo sei anni.
Ecco qual era la soluzione della N.A.S.A.:
consisteva nel modificare l’acceleratore di
particelle che c’è in Svizzera, facendo in
modo che ci portasse un un’altra galassia.
Io e la mia famiglia stavamo mangiando e
sentimmo la fenomenale notizia.
Ci precipitammo in macchina e partimmo
per la Svizzera. Il viaggio fu molto lungo e
pesante, perché tutte le persone del mondo si
spostarono e quindi c’era molta confusione,
c’erano molti incidenti e anche molte persone morte ai bordi delle strade.
Finalmente arrivammo!!!
Erano le nove di sera, nel frattempo i meccanici e gli scienziati stavano per ritoccare gli
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ultimi particolari.
Ci fecero accampare in tende da dodici persone circa, noi eravamo con dei Tedeschi e
dei Giamaicani. Verso l’una si sentì una sirena di allarme, quell’allarme indicava la
partenza per andare all’acceleratore, per ogni tenda c’erano due soldati che accompagnavano le persone ai cinque ascensori, i
quali portavano sotto terra, dopo alcuni minuti arrivammo in un tunnel sotterraneo il
quale ci condusse all’acceleratore di particelle.
Nello stesso tempo il meteorite si schiantò
contro il sole e, dopo alcuni minuti dall’impatto, il nucleo del sole si ruppe fino ad esplodere come un palloncino. Il sole inghiottì il primo pianeta, in pochi secondi.
« La popolazione si trova sottoterra » si sentì dire da un
soldato a un
altro. Ci fecero entrare nel
bunker dove si
trovava l’acceleratore, era
enorme, alto
circa 400 metri e largo 200.
Era pieno di
tubi, fili e luci
di tutti i colori, dal giallo al
blu e dal rosso
al verde. Al
centro c’era
un varco dove
al suo interno
c’era una pedana di ferro
colorata
di
giallo ai lati,
infine c’erano
dei magneti
sopra la nostra
testa e alcune
valvole.
Ci fecero salire e ci dissero
di stringerci, mi sembrava incredibile: tutta
la popolazione racchiusa in un salo e così
piccolo spazio.
Si sentì un forte “Boom” era il sole che aveva incontrato la terra mentre alcuni piccoli
meteoriti la colpirono, così gli scienziati diedero il via al processo. Si sentì un rumore
simile a quello di un’elica di un elicottero,
sempre più forte, sempre più forte, poi un
silenzio assoluto. Aveva funzionato!
Dopo alcuni secondi di silenzio si sentì un
botto tremendo, la terra non c’era più. Noi,
però, eravamo in salvo su un nuovo pianeta
di una nuova galassia, tutta da scoprire.
Nicola Canella
Fiabe e racconti (Tellus fantastico)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
GINA, LA BIETOLA
TROPPO TARDI... (Prima parte)
rimasta viva. Mi sono sentita sempre più
piccola, compressa dalle macchine, ma sapevo di avere un colore brillante più delle altre, mi stavano trasformando in zucchero
scintillante e di questo ero soddisfatta.
Al momento dell’insaccatura, infatti, l’ operaio vide una luce in mezzo ai molteplici
cristalli: ero io! Venni tenuta da conto per
far parte di una scelta speciale che fu spedita
in un bar.
Un cliente, che prese la bustina nella quale
ero stata confezionata se la fece scivolare
dalle mani, così sono caduta sul pavimento.
Ma la mia storia non finisce qui; è vero che
non sono stata sciolta nel caffè però da lì è
cominciata un’altra avventura che vi racconterò … prossimamente!
Il mio seme è stato deposto nei campi del
signor Rossi circa un anno fa.
Sono cresciuta con tante sorelle, io però mi
sono sentita subito diversa dalle altre, sono
molto ottimista e cerco di vedere le cose in
modo positivo.
Un giorno arrivò l’estrattore che ha iniziato
a raccogliere le mie sorelle, quelle nate ai
bordi del campo; io che sono nata al centro
sono stata raccolta alla fine.
Il giorno dopo con un grosso camion ci hanno portato allo zuccherificio; sapevamo che
in questi spostamenti si prendono tante botte
perciò io non mi sono scrollata dalla terra e
quindi ciò ha attutito i colpi.
Il mio desiderio era quello di finire sulla tavola di un principe, in una zuccheriera tutta
d’oro, raccolta da un cucchiaino tempestato
di diamanti.
Arrivati allo stabilimento ci hanno pesate,
poi lanciate in una fossa, ma io ero ancora
senza lividi perché ero abbastanza ricoperta
dal mio fango. Purtroppo arrivò il momento
del lavaggio ed io sono diventata come tutte
le mie sorelle.
Quando iniziarono a tagliarci a strisce per
cuocerci, ho avuto un po’ di paura, ma mi
sono ripresa subito perché la mia anima è
Filippo Buzzi
ALLO ZUCCHERIFICIO
Uff…! Puff…! Mi hanno appena rovesciata
in una grande buca con le altre mie compagne barbabietole. Che male!
Ora sta per avere inizio la nostra fine, ci
stanno trasportando verso l’impianto di ebollizione… che paura! Per fortuna mi hanno solo immersa in acqua per la pulizia, ma
fra poco… il massacro!
Dovremo essere tutte tagliate come fettuccine. Che ingiustizia!
Ma perché dobbiamo soffrire così tanto solo
per produrre un po’ di zucchero…?!?!
Ohi..! Mi fa male dappertutto: mi hanno
spezzettata tutta.
Ora mi immergono nell’acqua per l’estrazione dello zucchero… Ma è bollente!
Mi vedo trasformata in un liquido scuro…
chissà quante volte verrò depurata!
Come non detto…! Eccomi davanti all’impianto di depurazione: ora sarò trasformata
da sugo greggio in sugo denso.
Oh no…! Adesso devo essere anche filtrata
perché mi dovranno trasformare in sugo leggero. Uffa!
E non è finita…! Ora che sono sugo leggero
dovrò essere perfino cristallizzata per trasformarmi in massocotto.
Ecco, finalmente, dopo essere stata raffinata
sono diventata zucchero!
Che brutta esperienza però!
Sara Valeriani
STRANA LA VITA…
Mi chiamo BT14 e, anche se il mio nome
può farvi pensare a pianeti lontani, in realtà
sono una… zolletta di zucchero!
Ora vi racconto la mia straordinaria storia.
Ero una barbabietola nata in un grandissimo
campo pieno di sole; dopo pochi mesi sono
stata messa insieme ad altre migliaia di barbabietole in casse molto grandi. Il mio posto
nel cassone era proprio accanto ad una stupenda barbabietola di nome BT77, la barbabietola più bella che io abbia mai visto e
sicuramente la più dolce.
Ricordo ancora quel lungo viaggio che dal
campo ci portò alla fabbrica di trasformazione: lo “zuccherificio”!
Già qualche centinaio di metri prima si sentiva nell’aria quel tipico odore di barbabieto-
la bollita che non si può definire un profumo…
Una volta arrivati ci hanno scaricate tutte in
una enorme botola per ripulirci da ogni particella di terra, sassi e altro.
Mi sembrava di stare in un parco giochi
quando ci hanno messe su dei nastri trasportatori e andavamo su e giù per tutta la fabbrica.
Per noi era cominciato il processo di trasformazione ed eravamo tutte felici di quello
che saremmo diventate e quindi pronte a
fare tutto quello che era necessario per diventare quei dolci e bianchi granelli di zucchero.
La trasformazione fu lunga ed impegnativa:
ci pulirono, ci fecero a tocchetti e infine tut-
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te immerse in un bellissimo idromassaggio
bollente!
Insomma ci fecero di tutto…
Quando finalmente tutto finì io e BT77 ci
siamo ritrovate: eravamo diventate zollette
di zucchero!
Eravamo molto contente di poter essere utilizzate per addolcire i cibi o per soddisfare
la golosità di grandi animali come i cavalli…
Strana la vita, vero?
Alessandro Labriola
Sono stato uno sciocco… Mi sono lasciato
prendere troppo la mano… e adesso non so
più che fare. Sono qua, steso a terra affianco
al cadavere di un ragazzo, moro, abbastanza
alto, bellissimi occhi verdi, che non si sarebbero mai più aperti; vestito con una maglietta sbracciata e pantaloncini corti (la divisa
del gruppo di atletica) tutti ricoperti di sangue, e un coltello affondato nella schiena.
Sono io…o meglio dire: ero io. Questo posto non mi piace, ho sempre temuto il Buco
Nero, gli avevamo dato questo nome io e i
miei amici; si tratta di un burrone, nel quale
ora mi trovo in fondo. Vorrei andarmene da
qui eppure non ci riesco…sono stanchissimo
e mi sento pesante, anche se, per quel che ne
so, i fantasmi non dovrebbero pesare nulla;
ma dopotutto non sono esperto: sono fantasma solo da pochi minuti. Non riesco a
smettere di fissare quel coltello, nero con
qualche sfumatura in argento. Chissà chi è
stato a piantarlo con così tanta classe nella
mia schiena, cogliendomi alle spalle e infine
buttandomi quaggiù. Forse David o Emily,
Josh o… Rich. Già, proprio lui, Rich. Avevo
litigato con lui poco prima della mia morte.
Siamo amici e facciamo tutti parte della
stessa banda. Andavamo in giro a divertirci,
facevamo i bulli. Non volevamo creare gravi
danni alle persone, ma a volte la situazione
ci scappava un po’ di mano; anzi diventavamo veramente pericolosi. All’improvviso il
cellulare squilla; saranno i miei genitori che
vogliono sapere dove sono e a che ora torno,
oppure saranno i miei amici che cercano di
avvertirmi dell’arrivo dell’ispettore. Già, ci
dà la caccia da parecchi mesi a causa dell’incendio; di solito ci limitavamo a fregare
la gente, rubacchiando qualche portafoglio,
dare fuoco a qualche cassonetto, ma quella
volta volevamo provare di più, qualcosa di
nuovo e di più emozionante. Così siamo andati nel boschetto vicino al fiume e abbiamo
causato l’incendio. Eravamo comunque al
sicuro, visto che sull’altra sponda del fiume
c’è il nostro rifugio, ben nascosto tra gli alberi, e neanche un chilometro più in là…il
Buco Nero. Avevamo cominciato la nostra
impresa facendo un bel mucchio di foglie
secche e ramoscelli, poi con l’accendino vi
abbiamo dato fuoco. Il nostro tentativo funzionò anche perché il tempo era a nostro
favore: era una bella giornata di sole, di
quelle un po’ secche. Dieci minuti dopo c’era un gran fumo, così siamo andati sull’altra
sponda, al rifugio, passando nel punto dove
le rive sono più vicine, e il fiume è più basso. Preferivamo passare da lì, anche se eravamo bravi nuotatori. Quando siamo arrivati
al rifugio sembrava quasi di vedere i fuochi
d’artificio anche se in pieno giorno. Poco
dopo arrivarono i pompieri e persino gli elicotteri per spegnerlo. Quella dell’incendio è
stata grossa anche se ne abbiamo fatta una
peggiore. Il telefono ha smesso di squillare,
cerco di prenderlo, ma invano. E’ troppo
pesante, e non riesco neanche a sfilarlo dalla
tasca dei pantaloni. Mi alzo, sono tutto sporco di terra. Fisso di nuovo il mio corpo, tutto
coperto di sangue, sfracellato al suolo. Un
brivido mi sale per la schiena. Mi guardo
intorno, solo roccia. Mi chiedo come potrò
mai uscire da quel buco dalle pareti a strapiombo. Cerco di arrampicarmi e, con mia
sorpresa, in un baleno mi trovo su. Da qui il
mio corpo è molto visibile. A pensare da
quale altezza sono caduto comincio a tremare. Mi incammino per il sentiero che va al
paese, lungo il quale correvo con i miei amici del gruppo di atletica. Noi ci allenavamo
per ore. Mi bruciano gli occhi e ho freddo,
eppure è strano: è una bella mattinata d’estate, col sole già alto in cielo. Guardo l’orologio che tengo al polso. Le lancette sono ferme, immobili. Un colpo di vento mi viene
incontro, eppure i miei capelli non si muovono. È terrificante, pensare che avevo una
vita davanti, avevo solo 16 anni, e adesso
non mi resta altro che l’eternità, anche se
non so bene cosa significhi. Dopo una lunga
camminata arrivo al paese. Guardo l’orologio della Chiesa: sono già le 10:40. Sarei già
dovuto essere al ritrovo del campo sportivo.
Eccoli. Mi metto a correre con loro. Spero
tanto che scoprano il mio corpo. Ecco. Siamo appena entrati nel bosco. Intanto che
corriamo ascolto le loro chiacchiere. Megan
e Alice parlano di moda, Jack e Dilan parlano di calcio e, dopo una breve pausa: “Come
mai Michol non è venuto?” chiede Jack. “E
chi lo sa” risponde Alice, e poi aggiunge:
“Da lui non ci si può aspettare niente!” “Ci
aveva detto che oggi sarebbe venuto, invece
alla fine ci dà buca, e preferisce starsene con
quei suoi amichetti piuttosto che stare con
noi!” Wow! Non ci credo! Mi sparano dietro!! E io che li credevo amici! E così dicendo, mi fermo e mi siedo a terra avvilito.
Chissà chi è stato a uccidermi! Forse David,
l’esperto di armi; Emily, l’esperta dei tranelli; Josh,il più ingegnoso... Rich. Il litigio…
tutto a causa di quel maledetto segreto! Eravamo sul cavalcavia, quel masso… Al tre di
Josh avevamo buttato un masso giù dal cavalcavia, facendolo cadere su una macchina…L’impatto fu fatale! Il vetro della macchina si ruppe in mille pezzi… un urlo! La
macchina si fermò in mezzo alla strada, ed
ecco uscire una donna che corse ad aprire lo
sportello posteriore; prese la mano di una
bambina e si mise a urlare, il padre si alzò e
aprì l’altro sportello. La madre si premeva
una mano sulla bocca e singhiozzava; dagli
occhi del padre sembrò cadere una lacrima.
L’uomo prese il cellulare. Poco dopo l’ambulanza era già lì. Gli infermieri si informarono dell’avvenuto, e la donna gridò: “Mia
figlia! Mia figlia! E’ in macchina ed è im-
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mobile! Aiutatela!!!” Poi non sentii più
niente. Vidi solo il padre girarsi verso di noi
e guardarci, ma poi si rigirò, essendo più
interessato alla vita di sua figlia piuttosto
che a ritrovare i criminali. Noi scappammo
impauriti fino al rifugio. Qui io e Rich litigammo, perché io ero fuori di me, ero impaurito e volevo costituirmi mentre lui voleva tenere tutto nascosto. D’un tratto… un
urlo interruppe i miei pensieri… proveniva
proprio da là, dal burrone. Corro in là più
veloce che posso. Vedo Megan seduta a terra terrorizzata; Jack che sta chiamando il
118. Alice se ne sta là, in disparte, con lo
sguardo fisso. Poco dopo arriva la polizia
che calandosi con le corde dall’elicottero
riporta il mio corpo in superficie. La polizia
sta facendo alcune domande ai miei amici su
come hanno ritrovato il mio corpo, allora io
mi siedo lì accanto ad ascoltare. Loro rispondono dicendo che mi hanno ritrovato
per caso, visto che si stavano allenando, per
il sentiero che spesso percorrevamo. Nel
frattempo è arrivato un furgoncino rosso, dal
quale scende un omone alto, attorno ai quarant’anni. Sembra un tipo duro: indossa un
gilè in pelle, dei jeans… Non ci credo! Adesso che si è girato lo riconosco, eccome!
No, con tutti gli ispettori che ci sono, proprio all’ispettore Smith, che ci dava la caccia da mesi, dovevano affidare il mio caso?
Ad ogni modo lui si ferma a salutare i poliziotti, poi si dirige verso il mio corpo, e con
il medico legale cerca di risalire ai fatti principali. Ecco, hanno appena notato l’orologio
dal vetro rotto che tengo al polso, che ha le
lancette ferme alle 4:12. Adesso l’ispettore
si allontana dal mio corpo, e si avvicina ai
miei amici. Dopo essersi presentato chiede
loro cosa stavano facendo all’ora del decesso, ed essi rispondono che stavano dormendo, e che si sarebbero dovuti incontrare la
mattina stessa alle 10:30 al campo sportivo
per l’allenamento d’atletica. Allora Smith
continua domandando cosa stavano facendo
il giorno prima. Tutti avevano una gara, alla
quale però sono potuti essere presenti soltanto Dilan e Jack perché Alice aveva una
visita medica e Megan doveva andare a fare
shopping con i suoi. Dopo di che l’ispettore
chiede ai miei compagni i loro dati anagrafici. Poi Smith si mette ad osservarli: prima
guarda Dilan, poi Alice, Jack, adesso tiene il
suo sguardo di ghiaccio fisso su Megan, la
quale per la vergogna guarda a terra, e le
chiede: “Megan, tu sei la ragazza dell’incidente? Quello avvenuto ieri, sulla statale 17,
sotto il cavalcavia…” Lei lo guarda per un
attimo, poi ritorna a fissare a terra, e risponde con voce fioca: “ Sì, sono io.” Non è possibile! In quella macchina c’era anche Megan… Oddio cosa ho fatto!!! Lui allora le
chiede come sta sua sorella. In seguito c’è
un breve silenzio, ma un silenzio profondo
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Tellus fantastico)
OLIMPIADI DI LONDRA (Seconda parte)
stato lui. Presto, andiamo ad arrestarlo.
E ci precipitammo al negozio di Warrington.
Ma ben presto ci accorgemmo che né noi né
nessun altro lo avrebbe mai più potuto arrestare.
Intorno al negozio vedemmo l'ormai familiare nastro giallo della polizia e un tripudio
di giornalisti che scattavano foto al cadavere
di un uomo anziano disteso a faccia in giù.
Trovammo sul posto il Colonnello McCartney, che ci spiegò che qualcuno aveva avvelenato il caffè di Warrington.
E così il nostro unico sospettato divenne la
prima vera vittima!
Proprio mentre stavamo per salutare il Colonnello Parker vide che Warrington stringeva in mano un biglietto stampato al computer, che diceva:
SE VOLETE SCOPRIRE CHI MI HA UCCISO ANDATE NELLA METROPOLITANA DI LONDRA VENERDI' A MEZZANOTTE
Senza dire nulla a McCartney, Parker me lo
fece leggere e se lo mise in tasca.
Quella sera l' ispettore venne nella mia suitte
e mi disse:
- E' chiaro che Warrington non può aver
scritto quel biglietto: non poteva sapere che
MR.X lo avrebbe ucciso prima di essere stato avvelenato, e di sicuro non avrebbe avuto
il tempo di stampare un biglietto al computer dopo essersene accorto. Credo che il nostro caro MR.X voglia confonderci le idee.
Comunque Venerdì è dopodomani e ci converrà andare comunque a controllare.
Detto questo se ne andò nella sua camera e
ci mettemmo a dormire.
Il giorno dopo ci fu il terzo attentato: MR.X
stavolta aveva colpito Ato Bolton, un altro
atleta dei 100 metri piani, e per la seconda
volta ci dovemmo sorbire Xavier che si vantava della propria bravura.
Venerdì notte, come scritto sul biglietto,
scendemmo nella metropolitana di Londra.
Il luogo sembrava deserto. Poi all'improvviso le luci si accesero e fece capolino davanti
a noi un uomo con un fucile in mano.
I lunghi capelli rossi erano più arruffati del
solito e attraverso gli occhialetti da intellettuale traspariva uno sguardo di pura follia.
MRX, Maurice Roger Xavier, era impalato
davanti a noi e puntava l' arma verso di me.
- Mi aspettavo dei poliziotti, ad essere sincero. Ma non importa, state tranquilli: tutti
sapranno come sono andati i fatti: tutti sapranno come il famigerato MR.X ha sparato
a te - e indicò Parker - e come tu, disperato,
mi hai telefonato - disse stavolta indicando
me - e di come io, di fronte ai vostri due cadaveri ho messo in fuga il terribile MR.X.
Diventeremo tutti famosissimi.
- Naturale - disse calmo Parker - con la tua
intelligenza hai superato me, il mio assistente e tutta la polizia londinese. Sei un genio.
Sei forse l'uomo più intelligente che abbia
mai conosciuto.
EVVIVA LA DOLCEZZA!
Xavier, intontito da tutte queste lodi, quasi
non si accorse che Parker mi aveva fatto un
cenno e qualche secondo dopo gli fummo
addosso.
Non fu difficile: due contro uno, e per giunta piuttosto piccolo, riuscimmo subito a disarmarlo e ad ammanettarlo.
Parker telefonò a McCartney, che quella
notte era di pattuglia, e che ci raggiunse in
un batter d'occhio.
Il mio capo allora iniziò a spiegare:
- Ecco a voi, Colonnello: questo è l' uomo
che cercavate.
MRX in realtà voleva dire Maurice Roger
Xavier, in quanto al 1950 ... non era altro
che il suo numero di matricola al contrario.
Ecco perché era sempre in perfetto orario e
sapeva benissimo cosa fare: aveva sparato
lui.
Vi starete chiedendo: Perché l'ha fatto? Che
senso ha ferire qualcuno e poi curarlo? Qual
è il movente? E' presto detto: la fama. Per
lui è come una droga: più ne ha e più ne vorrebbe.
- Brillante, ispettore, davvero brillante. Quest'uomo sarà senz'altro condannato. - disse
McCartney.
E così , quattro settimane dopo, vale a dire
alla fine delle Olimpiadi, io e Parker tornammo in America, più ricchi di 500.000
sterline, circa un milione di dollari.
Milo Battaglia
Sono una zolletta di zucchero e sto per tuffarmi in una tazza di tè fumante. La mia dolcezza è indispensabile per tantissime cose,
dalle industrie alle pasticcerie, nelle case e
così via. Però per diventare così dolce, bianca e fine, mi hanno tanto “lavorato”.
Io in origine ero una barbabietola nata in
campagna. Mi hanno piantata che ero ancora
un semino a febbraio – marzo e mi hanno
raccolta che ero ormai una barbabietola matura ad agosto – settembre. Quando mi hanno estratto … ahia !!!
Geltrude Mezzaluna, la falce con la quale
siamo amici dell’infanzia, non avrebbe volu-
to farmi male nel tagliarmi le foglie, ma è il
suo dovere se no va dritta nel cestino!
Mi hanno caricata sopra a due grandi rimorchi assieme a tante altre compagne di viaggio e mi hanno portata in un posto, lo zuccherificio, dove è iniziato un lungo procedimento.
Quando sono arrivata mi hanno scaricata dal
rimorchio e mi hanno messa sopra a dei
grandi nastri che mi hanno portata in giro
per un bel po’!
Mi hanno lavata, pesata, tagliata ed estratto
il mio succo.
Insomma, è stato un procedimento lento, ma
ben studiato ed il risultato è stupefacente!
So che nel corso di tale lavorazione estraggono anche la melassa che è un mio sottoprodotto, da cui ricavano i miei amichetti:
alcole B.G. e denaturati oli amilici, lieviti
usati per mangimi.
Direi che sono proprio importante per l’uomo e questo mi fa veramente felice.
Matteo Cassani
CHE VITA D’AGLIO!
Pensate che la vita per una testa d’ aglio sia
semplice ?
Ebbene non è così.
Io sono una comune testa d’aglio: rotonda,
bianca, puzzolente e divisa in cinque spicchi.
Come vi dicevo la vita di una testa d’aglio è
molto complessa e faticosa; adesso ve ne
parlerò …
Inizialmente, come tutte le altre piante, siamo piccoli semini , che sviluppano le proprie radici nel terreno e che con il tempo
crescono. Quando poi si è adulti , si viene
raccolti e portati in fabbrica per poi essere
messi in commercio.
Ora io mi trovo in una cucina e questa sera
verrò usata come condimento per del cibo:
che destino crudele!!!
Tutto iniziò così …
Era una giornata di Ottobre quando fui estirpata dal terreno e portata in fabbrica, lì vi
restai per una nottata. La mattina dopo mi
misero in una macchina insieme a molte altre teste d’aglio, da lì fui poi catapultata in
re con i carrelli e prendere ciò di cui avevano bisogno.
Un brutto giorno passò una signora piuttosto
anziana che mi raccolse e gettò me e le mie
compagne nel carrello: la botta fu tale che
svenni !
Poco dopo mi svegliai, eravamo appesi al
gancio di una cucina!!!
Ma la cosa terribile sapete qual è?
Che successivamente mi misero in un vasetto insieme ad una cipolla, non vi dico che
puzza!
E figuratevi che lei diceva lo stesso di me!
Questa è la mia tragica storia….
Spero che da adesso in poi, ogni volta che
mangerete dell’aglio, penserete a me e a tutti
i sacrifici che ho fatto prima di storcere il
naso se mi trovate nella minestra!
una retina insieme ad altre quattro compagne; infine ci misero in un camion che ci
trasportò in un centro commerciale.
Lì era un mondo completamente diverso dal
solito, vedevo continuamente persone passa-
Eugenio Buzzoni
SOLO UNO SPICCHIO D’AGLIO…?
Nel mese di settembre inizia la mia vita: sono uno spicchio d’aglio che, dopo essere
stato selezionato, aver subìto vari trattamenti
ed essere stato sgranato, vengo finalmente
seminato per dare origine ad una nuova
piantina.
La selezione è una fase molto importante
perché se il bulbillo ha deformazioni oppure
è troppo piccolo deve essere portato al macero; infatti se venisse piantato infetterebbe
il terreno con malattie fungine.
Anche i trattamenti sono essenziali, ma detesto tutte quelle sostanze chimiche che mi
vengono iniettate: ogni tanto mi fanno sentire male!
Quando invece vengo piantato sotto terra
sono felicissimo: adoro infatti il clima intorno a me.
Il terreno, poi, è capace di smaltire veloce-
48
mente l’acqua, che io temo, così non marcisco.
A dicembre spuntano le mie prime foglie e
sono contento perché significa che sto crescendo.
Dopo qualche mese nasce il bulbo: da esso
si ricaveranno tanti bulbilli tramite una macchina che li separa sfruttando il calore.
E così, in giugno, avviene l’estirpo, ossia
vengo sradicato per ottenere altri spicchi;
questo mi rende molto infelice perché dovrò
dire addio al terreno su cui ero cresciuto e a
cui ero tanto affezionato, oltre al fatto di
dover perdere qualcosa di mio!
Ciononostante i miei bulbilli non faranno
una brutta fine; infatti, dopo l’essiccazione,
alcuni verranno selezionati per far nascere
altri bulbi; altri, invece, saranno utilizzati a
scopo alimentare e commerciale.
33
Esiste infatti una sagra, la “Fiera dell’Aglio”, dove si può degustare quest’ultimo
insieme ad altri alimenti, ma anche acquistarlo in trecce o in confezioni di vario peso.
Se uno dei miei bulbilli dovesse finire in
tavola sarei felice perché l’aglio fa bene alla
salute e contiene numerose sostanze nutritive.
Sarà per questo che sono così orgoglioso di
me, oltre al fatto che sono un ottimo alimento con cui si possono preparare tante gustose
pietanze o perché su di me sono nate numerose credenze popolari in virtù delle mie
eccellenti proprietà?
Scopritelo voi!
Matteo Forlani
Fiabe e racconti (Tellus fantastico)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
UN ALBERO RACCONTA
Sono un albero e sono nato in un campo; mi
trovo vicino a un laghetto, sono circondato
da un prato verde e da altri alberi che sono
poco lontani.
Sono cresciuto in un terreno fertile, ricco di
sali minerali e sostanze nutritive.
Sono solo, però non sono triste perché c’è
sempre il passaggio di uccelli.
Mi sento felice perché non sono vicino alla
stalla e non sento il muggire delle mucche a
differenza di quegli alberi che lo sopportano
tutto il giorno.
Quando sono nato ero un piccolo seme e con
il passare degli anni sono cresciuto e le mie
radici si sono sviluppate.
Durante la mia gioventù ho iniziato a dare
gemme e anche a produrre frutti per il contadino che mi ha cresciuto sano e forte con
tanto sacrificio e amore.
Durante l’autunno perdo le foglie e così in
inverno sono spoglio, ma a primavera mi
rinascono le gemme e in estate produco tanti
bei frutti.
I miei rami sono grossi, folti e lunghi tanto
che molti uccelli ci costruiscono i nidi per i
loro piccoli.
Mi ricordo che, quando ero un piccolo albero, un giorno arrivò una grossa tempesta;
pioveva e un fortissimo vento mi piegò sino
a toccare il terreno.
Alla fine della tempesta ero ancora vivo,
non mi ero spezzato perché le mie radici
OLIMPIADI DI LONDRA (Prima parte)
erano ben fisse nel terreno quindi ho capito
che sarei cresciuto sano e forte.
Purtroppo ora ho quarant’anni e sono felice
anche se produco pochi frutti.
Sono contento della mia vita anche se il contadino viene a trovarmi meno spesso di prima.
Aspetto che un alberello giovane e forte
prenda il mio posto; il mio desiderio è che
venga piantato prima che io muoia perché
possa aiutarlo a crescere sano e forte come
lo ero io in gioventù.
Stefano Lorusso
CHIAMATEMI PROGETTO!
Finalmente! Finalmente è arrivato il mese di
giugno!
È tempo di raccolta!
Dopo la bellezza di dieci mesi, io e gli altri
bulbi siamo pronti ad uscire dal terreno!
Ma… che cosa ci aspetterà in superficie?
Mi ricordo ben poco di quando ero un piccolo bulbillo e sono stato seminato il 15 settembre. Gli altri bulbi dicono che al di là c’è
un essere umano che ti prende e ti mette in
una palla di vetro piena d’acqua e neve finta*.
Spero proprio che non sia vero! Sono claustrofobico! Non so nuotare! Non voglio…
Ahia! Ma chi è che mi tira i capelli!?
Oh, ora ho capito: mi stanno raccogliendo!
Fa’ che non sia l’umano, fa’ che non sia l’umano…
Ohhh, no! È un umano! Allora era vero
quello che dicevano gli altri!
Non voglio finire in una palla di vetro!
All’improvviso si alza una forte raffica di
vento.
È la mia occasione!
Con abilità scivolo via dalle mani dell’umano e rotolo, fino a tuffarmi nello scolino. Per
fortuna un bambino che era venuto a caccia
di rane mi vede e mi raccoglie, dicendo:
- Questo bulbo è perfetto! Lo pianterò per il
mio progetto di Scienze!
34
Che fortuna: non finirò nella palla di vetro!
Da quel giorno il bambino mi tiene sempre
in un vasetto sul davanzale della sua camera
da letto e mi dà persino un nome, adesso mi
chiamo Progetto.
Che nome curioso… chissà che vorrà dire?
Ad ogni modo è sempre meglio della famigerata palla di vetro!
*I FATTI NARRATI CORRISPONDONO
IN PARTE ALLA REALTÀ.
Milo Battaglia
Fine Luglio 2012.
Mancavano solamente due settimane all'
inizio delle Olimpiadi di Londra, ma non è
per questo che io e il mio capo, l'ispettore
James Parker, ci precipitammo sul primo
volo per la capitale inglese.
Il giorno prima ci era arrivata una e-mail che
diceva testualmente:
OGGETTO: Nuovo caso
Venite subito a Londra: qualcuno vuole boicottare le Olimpiadi. Voglio quell'uomo.
Ricompensa: 500.000 sterline
Colonnello Peter McCartney
Certo, a chi non farebbero gola 500.000 sterline?
E così il giorno dopo ci trovammo all' aeroporto di Londra, con il Colonnello McCartney che ci aspettava.
Era un uomo robusto sulla quarantina, un
po’ stempiato, con i capelli arancioni e un
paio di lunghi baffi.
Ci accolse, ci scortò alla stazione di polizia e
qui ci disse:
- Ecco, guardate qui: è arrivato tre giorni fa.
E girò verso di noi il monitor di un computer portatile.
Mostrava una pagina web, apparentemente
un forum sulle Olimpiadi.
Sotto a vari elogi agli atleti da parte dei tifosi, c' era un testo molto lineare ma incisivo:
io fermerò una volta per tutte queste dannate
Olimpiadi!
MR.X 1950
Parker rimase in silenzio a rimuginare qualcosa, mentre McCartney spiegava:
- All'inizio pensavamo che fosse solo un
pazzo che voleva fare un po’ di scena, ma il
giorno dopo qualcuno ha sparato con un fucile ad aria compressa contro uno dei nuovi
atleti, uno sconosciuto, uno che aveva tante
possibilità di arrivare al podio quante ne ho
io di diventare Regina. Per fortuna è intervenuto un medico bravissimo, di cui però non
ricordo il nome....Ad ogni modo dopo qualche ora il nostro caro MR.X si è fatto risentire.
Il Colonnello mandò la pagina un po’ più in
basso ed evidenziò un'altra scritta:
VE L'AVEVO DETTO!
MR.X 1950
Parker ad un certo punto disse:
- E' possibile che 1950 sia l' anno di nascita ... ma perché metterlo? Avrebbe ristretto
la lista dei sospettati. Anche se così facendo
avrebbe...
- ...distolto la nostra attenzione da tutti quelli
nati in quell'anno se avessimo pensato che
quest’ipotesi fosse troppo scontata. Esatto!
- E' per questo che il sospettato numero uno
(e anche l' unico) è John Warrington, nato
appunto nel 1950. Una vecchia conoscenza
della polizia: detesta tutte le manifestazioni
sportive, soprattutto le Olimpiadi, anche se
possiede un negozio di articoli sportivi. Spa-
venta gli eventuali ladri dicendo di avere un
fucile sotto al bancone.
Sono anni che parla di boicottare le Olimpiadi.
L' ispettore allora esclamò:
- Bene! Domani faremo una visitina a questo Warrington.
Così dicendo ci congedammo da McCartney
e prendemmo alloggio al Ritz di Londra.
Il mattino seguente, dopo un'abbondante
colazione, andammo a cercare il negozio di
Warrington. Lo trovammo quasi subito perché era vicino al nostro hotel.
Vendeva articoli sportivi delle migliori marche: Nike, Adidas, Puma ecc ...
Entrammo e trovammo il negozio quasi vuoto: c'erano solo due ragazzi che si provavano
delle magliette ed un uomo di età indefinibile dietro al bancone.
Io gli chiesi:
- Possiamo parlare con John Warrington?
- Ce l' hai davanti agli occhi- rispose lui.
Parker continuò:
- Lei sa qualcosa riguardo all' attentato di tre
giorni fa?
- Quale attentato?- chiese lui raddrizzandosi
gli occhiali
- Qualcuno ha sparato ad un atleta mentre si
allenava. Lei non ne sa niente?
- Ah ah ah! Era ora! Vorrei tanto esser stato
io, ma , mi dispiace per voi, non mi muovo
mai dal negozio.
Mentre l'individuo farneticava sul riempire
le suole delle scarpe degli atleti con una miscela di nitroglicerina sussurrai a Parker:
- E' abbastanza sospetto?
- Non lo so...- rispose lui -...Più lo ascolto e
più mi convinco che sia solo un vecchio arteriosclerotico ...
Così ci allontanammo dal negozio con lui
che continuava imperterrito a parlare di modi sempre più truculenti per uccidere gli atleti, apparentemente ignaro della nostra assenza.
- E ora che facciamo?- chiesi al mio capo
- Andiamo al campo di allenamento.
Così ci avviammo verso la pista dove si allenavano gli atleti della corsa in piano e cominciammo a fare domande.
Mentre stavamo per andarcene sentimmo il
rumore di uno sparo dall'altra parte della
pista.
Corremmo subito sul luogo e vedemmo Usain Bolt, medaglia d'oro dei 100 metri piani
e record del mondo per l'uomo più veloce,
disteso a terra e sanguinante, con una folla
di persone radunata attorno.
Qualcuno telefonò ad un medico e ben presto arrivò l'ambulanza a sirene spiegate, si
fermò e ne scesero due medici.
Uno era molto grosso, alto e castano, con i
lineamenti marcati; l'altro era magro, di statura medio-bassa , aveva lunghi capelli rossi
e portava un paio di occhialetti che gli dava-
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no un'aria molto intellettuale.
Il medico più basso si affrettò verso Bolt, lo
esaminò velocemente e alla fine disse:
- Gli hanno sparato con un fucile ad aria
compressa, altrimenti non sarebbe vivo. Ma
è comunque grave: il proiettile si è incastrato nello sterno. Dobbiamo portarlo in ospedale, subito!
Bolt fu disteso su una barella e caricato sull'ambulanza, mentre la folla chiedeva informazioni sull’accaduto.
- Sono Maurice Xavier, il medico che ha
curato anche il primo atleta preso di mira da
questo pazzo.
- Come fa a sapere che è la stessa persona
che spara agli atleti? - Chiese un giornalista
- Beh, i due casi sono analoghi: un colpo
dritto al petto con un fucile ad aria compressa sparato da una breve distanza. Per fortuna
che io sono il medico più bravo del mondo
e ...- Modesto il tipo!- sussurrai a Parker.
Ed intanto ascoltavamo Xavier che continuava a vantarsi finché il suo collega gli gridò dall’ambulanza:
- E' più grave del previsto, abbiamo bisogno
di te!
E Xavier, che sarebbe stato lì a lodarsi in
eterno, salì controvoglia sull'ambulanza, che
ripartì a sirene spiegate.
Stavamo per andarcene quando vidi per terra
un oggetto luccicante. Lo feci notare al mio
capo che lo raccolse.
Era una targhetta, che citava: Maurice Roger
Xavier - numero di matricola : 0591
Due giorni dopo si venne a sapere che l'operazione era andata bene, ma che Bolt non
avrebbe potuto partecipare alle gare.
Andammo al London Hospital per visitare
Bolt ed interrogarlo.
L'infermiera si raccomandò di non farlo
stancare troppo, ma ci fece comunque entrare senza troppe storie. Bolt era seduto sul
lettino rialzato e leggeva il giornale. Quando
ci vide ci fece cenno di accomodarci.
- Buongiorno - ci disse.
- Buongiorno, signor Bolt. - disse Parker
- Mi chiami pure Usain.
- D'accordo Usain, andrò subito al sodo: hai
visto chi ti ha sparato?
- No. Mi dispiace di non poter esservi d'aiuto, ma come ho detto alla polizia l'uomo era
con le spalle al sole e non l'ho visto bene.
Ricordo solo di aver visto un riflesso intorno
alla zona degli occhi: sono quasi sicuro che
portasse gli occhiali.
- Occhiali ... grazie Usain, le tue risposte
sono state molto utili.
Dopo esserci congedati da Bolt dissi a Parker:
- Te l'avevo detto che quel Warrington era
pericoloso!
- Sì, evidentemente mi ero sbagliato - mi
rispose Parker - Ora però siamo certi che è
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Tellus fantastico)
DELITTO IN HOTEL (Seconda parte)
Lì vi rimase molto tempo, troppo tempo:
John e Andrew allora si preoccuparono e
decisero di andare a vedere cosa fosse successo, ma lo incrociarono lungo le scale e si
fermarono a parlare.
- Ehi, Jeff, dove sei stato tutto questo tempo?
- No, no, niente di grave, ho solo avuto un
piccolo problemino…
- Che genere di problema?- chiese l’investigatore.
- Mah, non ricordo, forse mi sono addormentato perché ero ubriaco, devo anche essere rimasto a lungo in bagno!- disse Albert
ridendo.
- Bah, lasciamo perdere e torniamo giù alla
festa: credo che stiano facendo una gara di
ballo… non senti anche tu della musica?concluse Andrew.
E così i tre signori tornarono giù e ballarono, chiacchierarono, bevvero, si divertirono,
tanto che il tempo volò in un attimo e alle
24:00 la sala era deserta, salvo qualche cameriere che portava in cucina gli ultimi piatti rimasti.
Era notte fonda e Jefford, stanco e sfinito, si
addormentò, senza sapere che cosa lo avrebbe aspettato il giorno dopo.
La mattina seguente stava sorseggiando un
caffè in sala colazione, quando entrò un cameriere con la faccia sconvolta gridando:
-Allarme, allarme! Thomas Perrington è stato assassinato! Chiamate un’ambulanza!
Chiamate la polizia! Fate qualcosa! Presto!
Jefford rimase stupefatto: Thomas Perrington era il più noto magnate finanziario e
possedeva un patrimonio immenso; non aveva eredi, quindi chissà per quale motivo era
avvenuto il delitto.
Dopo un po’ arrivò la polizia con l’ispettore
John, accompagnato dal suo aiutante Charlie
Kingston, soprannominato Bob.
Jefford li raggiunse e chiese che cosa fosse
successo: John e Bob si sedettero con lui e
gli raccontarono tutto ciò che era successo:
- Questa mattina - cominciò l’ispettore l’inserviente è entrato nella camera del signor Perrington per sistemare la camera e
quando ha tirato fuori le lenzuola pulite dall’armadio vide quest’ultimo disteso sul ripiano superiore con un coltello conficcato
nella schiena. Accanto a lui c’era un messaggio con su scritto:
Finalmente ho sistemato il mio conto in sospeso!
Vendetta.
L’inserviente si è precipitato giù dalle scale
per dare l’allarme e … il resto lo sapete.
- Sapete già qualcosa riguardo al colpevole?- domandò Albert.
- No, ma possiamo ricavare molti dati grazie
al sistema di videosorveglianza.- disse John.
I tre signori entrarono nella sala monitor,
esaminarono i video, e scoprirono che…
…dentro la camera di Thomas Perrington il
titolare Albert Jefford impugnava un coltello e colpiva ripetutamente la schiena del magnate!
Jefford rimase di sasso e si paralizzò.
- Non è possibile! – disse - Non posso essere
stato io! Non sono stato io!
- Beh, è anche vero che lei è stato assente
dalle 22:30 alle 23:30, ora del delitto!- esclamò l’ispettore, pur non convinto che fosse lui l’assassino.
- E ci sono anche delle prove che la inchiodano!- continuò Bob.
- La terremo sotto sorveglianza, ed intanto
visiteremo la scena del delitto! - concluse
infine John
Raggiunta la scena del crimine, i due cominciarono a cercare, e trovarono molti indizi:
qualche goccia di sangue, un frammento di
gomma color pelle grande circa 3cm, alcune
tracce di narcotico nel corridoio e dei capelli
finti e bianchi.
- Proprio un delitto originale! - esclamò
John - Ho capito come è avvenuto, ma ora
devo scoprire il colpevole!L’ispettore interrogò tutte le persone presenti alla festa, ma tre erano assenti: Jim Marble, Elias Apple e Oswald Lewis. Allora egli
chiese il loro indirizzo alla reception e si
recò da loro. Ecco ciò che ricavò dai loro
racconti
Il signor Marble era rimasto sempre in sala e
dalle 23:00 alle 23:45 si era fermato al bar a
parlare con Elias, il quale lo confermò e aggiunse che dalle 24:00 alle 24:10 aveva visto Oswald con un atteggiamento sospetto
nella sala colazione, dove non ci sono telecamere. Oswald infine disse solo che Perrington doveva saldargli un debito, che ora vorrebbe ricevere, e negò di essere stato in sala
colazione.
- Uhm, vedrò di riflettere!- e poi prese ad
interrogare tutti gli altri invitati, che però
sembravano avere ciascuno un alibi indiscutibile.
L’ispettore decise di tornare in camera,
quando vide una porta diversa dalle altre.
Chiese dove conducesse e gli fu riferito che
oltre vi si trovavano le scale usate dagli inservienti per spostarsi più rapidamente all’interno dell’albergo.
John decise di salirle, e scoprì che quelle del
terzo piano uscivano proprio vicino alla camera di Perrington … l’ispettore provò a
immaginarsi la scena dove Jefford colpiva la
schiena del magnate…
- Un momento! Ho capito tutto! - disse ad
un tratto John.
Fece radunare gli invitati, il suo aiutante
Bob ed i collaboratori dell’hotel: finalmente
poteva arrestare il colpevole!
John esclamò:
- Ed ecco qui Oswald Lewis, colui che ha
ucciso il noto Thomas Perrington, e che ora
46
ARRIVEDERCI RAGAZZI
ne pagherà le conseguenze!- indicandolo
con l’indice destro.
Poi raccontò tutto:
- Il piano era semplice, ma molto astuto:
prima ha aspettato il momento buono che
qualcuno, come Jefford, si assentasse dalla
festa, poi ha condotto Thomas, ignaro, nella
sala colazione, dove lo ha ucciso; in seguito
ha portato il cadavere su per le scale di servizio fino alla camera del magnate dove rimarrà. Intanto Jefford entrò in camera, qui
lo attendeva Oswald che lo ha narcotizzato e
poi ha indossato una maschera con la sua
faccia. Il finto Jefford è ritornato poi nella
camera di Thomas e lì lo colpisce più volte
con il coltello davanti alla telecamera: si
sarebbe così pensato che il colpevole fosse
Jefford, il quale non si sarebbe ricordato dell’accaduto. Infine Oswald è tornato giù per
controllare che non ci fossero tracce di sangue nella sala colazione, che è sempre rimasta deserta. Il movente è chiaro: con la morte
di Perrington Oswald ha libero accesso al
suo patrimonio, egli ha infatti pagato le conseguenze del debito non saldato e ora Oswald può prendere quanti soldi vuole rubandoglieli.
- Complimenti!- disse il direttore dell’albergo - Ma mi sfugge una cosa: come ha fatto
Oswald ad entrare nelle camere di Thomas
ed Albert?- Ma è ovvio! Per Thomas è stato semplice:
gliel’ha presa dalla tasca; per Albert, invece,
è bastato narcotizzarlo prima che entrasse in
camera e poi sottrargli le chiavi, entrare,
portarlo dentro e lasciarlo lì finché non si
fosse ripreso, infine chiudere la porta. Narcotizzarlo è stato solo un sistema per far rimanere Jefford più a lungo in camera: ha
capito?- Certo - disse il direttore, e lei si merita sicuramente un premio: ecco un assegno.
Ma l’ispettore rifiutò, in fondo aveva solo
fatto il suo dovere.
Sono Uri, un cane, per la precisione un Border Collie. Come tutte le mattine mi ero già
organizzato per la caccia al riccio quando
sentii il mio padrone dire:
“Sono pronte le merende per i ragazzi che
devono arrivare?”
Io mi chiesi: “Ma cosa vengono a fare dei
ragazzi qui?”
La moglie del padrone chiese: “I ragazzi
della scuola?”
Ed io: “Ma chi sono i ragazzi della scuola?”
Poi il padrone mi chiamò e mi disse: “Uri,
oggi verranno dei ragazzi, fai il bravo mi
raccomando!”
Io dissi al padrone. “Sì, ho capito! Ma cosa
vengono a fare qui?”
Per tutta risposta lui se ne andò, pensate!
Capisco che non sono un genio in Italiano,
però almeno un po’ di considerazione… Così, invece di dare la caccia ai ricci ho seguito
il mio padrone.
Indovinate dove? Ma nella stalla per dar da
mangiare alle mucche, quelle pelandrone…
Mi avvicinai a lui e gli chiesi ancora una
volta: “Chi sono i ragazzi?” , ma lui disse:
“Uri fai il bravo, spaventi le mucche!” e una
mucca aggiunse: “Oh, questi cani! S’impicciano sempre e per fortuna che dovrebbero
essere i migliori amici dell’uomo.”
Allora le ho ringhiato contro e lei ha raggiunto le altre mucche.
Che puzza in quella stalla, le mucche non si
fanno mai la doccia e non hanno il WC. Allora andai dalla moglie del padrone e le rifeci la domanda; lei mi diede un crostino di
pane e mi accarezzò la testa.
Io le dissi:” Ma non ho fame!!! Parlo arabo?”
Per far passare il tempo cominciai a rincorrere i conigli; io sono più veloce di loro ma
non quanto Lenny, il levriero dei vicini, anche se secondo me è un po’ deperito; penso
che qualche chilo in più non gli starebbe
male.
Andai poi al laghetto per chiedere alle oche
giulive se sapevano qualcosa dei ragazzi di
cui parlava il padrone. Pettegole come sono,
lo avrebbero saputo, no?
“Sapete qualcosa sui ragazzi che devono
arrivare oggi?”
“No, ma sappiamo che Adelina ha il raffreddore, poverina… ecc…”
Io le interruppi: “Basta, basta così!” e loro
andarono via tutte impettite, quelle presuntuose!
Mi rivolsi allora a quei precisini dei ricci,
ma anche loro dissero: “No, non sappiamo
darti una risposta esauriente.”
Stavo tornando dal padrone quando vidi arrivare un pullman giallo limone, che con un
fischio si fermò. Dentro c’erano dei ragazzi,
zainetto in spalla, quaderno e macchina foto-
grafica…
Il padrone mi chiamò: “Ecco sono arrivati i
ragazzi, vengono a visitare la nostra azienda.”
Allora capii! Era un’uscita didattica e i ragazzi erano venuti a visitare i boschi, il laghetto, i campi e i frutteti.
Saltai intorno al mio padrone e un filo d’erba si lamentò: “Guarda dove metti le zampe!”
Io ero troppo curioso di vedere cosa avrebbero fatto tutti quei ragazzi.
Essi erano accompagnati da una donna che a
momenti non faceva parlare il mio padrone!
Ma la cosa più bella è che i ragazzi non erano interessati a quella donna che parlava,
parlava … ma a me! Mi accarezzavano e mi
facevano tanti complimenti; io mi facevo
fare di tutto perché i loro zainetti emanavano
un buon odore di panini e di merendine!
Entrati nella stalla, quegli irascibili dei tori
muggirono infastiditi contro i ragazzi, ma a
loro non interessavano né i tori né quelle
pelandrone delle mucche, tanto erano affascinati dai vitellini.
All’ora della merenda i miei padroni offrirono dei pinzini e dei succhi; uno dei ragazzi
mi diede un pezzo del suo panino che ho
gradito molto.
Dovrebbero venire più spesso questi bravi
ragazzi.
Quando poi andarono via, il mio padrone mi
accarezzò dicendomi: “Uri, sei proprio un
bravo cane.”
Io mi rannicchiai nella mia cuccia per riposarmi, sgranocchiando il mio meritato osso!
Serena Cassani
LA SOLITA VITA
Matteo Forlani
E anche oggi il solito tran tran non ne posso
più!
Voglio una vacanza…..!!! Scusate dimenticavo di salutarvi e di presentarmi…
Salve a tutti, io sono Maya una piccola apina che vive nella grande azienda agricola
“IL SERRAGLIO”. Quello che mi chiedo è
perchè noi api dobbiamo sempre svolgere lo
stesso lavoro: raccogli il polline, portalo all’alveare, lavoralo… Insomma, basta!
Mi piacerebbe tanto essere libera per una
volta e credo che se almeno oggi mi prendo
una pausa faccio proprio bene. Allora ho
deciso,vado a visitare tutta l’azienda centimetro per centimetro perché sono molto curiosa. Inizio immediatamente dai frutteti come prima tappa e mi accorgo che non sono
sola perché ci sono tanti altri insetti che abi-
tano qui come me, ad esempio la coccinella,la farfalla, la zanzara, la cimice…. E capisco che anche loro stanno lavorando per prepararsi per la stagione fredda. Volo poi fino
al boschetto, mi poso su una foglia e…sento
gridare:
“Aiuto, aiuto!!!”
Subito mi precipito al centro del bosco per
vedere cosa sta succedendo e… provate a
immaginare chi c’era: una piccola mosca per
sbaglio era finita in una grande ragnatela
dove c’era un grosso ragno ad aspettarla; se
non fossi arrivata in tempo a salvarla, l’avrebbe già digerita, ma con il mio pungiglione ho messo in fuga il ragnaccio e aiutato la
mosca a liberarsi.
Appena uscita dal boschetto mi dirigo verso
il laghetto dove osservo incuriosita il cane
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del contadino Yuri. È lì, fermo, che fissa
un’anatra mentre nuota tranquilla, chissà
cosa vuole da lei??!!
L’anatra si sente osservata e scappa via come un razzo; a quel punto anche il cane va
via tutto immusonito perché non ha ottenuto
ciò che voleva; in realtà voleva divertirsi a
rincorrere l’anatra facendola starnazzare come una matta!
Anch’io decido di andare via e di tornare a
casa perché ormai si è fatto tardi; di sicuro la
mia mamma mi starà cercando.
Nel tragitto verso casa ripenso a quanto è
stata bella la mia avventura ed ho deciso che
sicuramente voglio ripetere questa esperienza.
Valentina Maranini
Fiabe e racconti (Racconti di avventura)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
AIUTO!!!
Evviva! Finalmente estate. La mamma e il
papà avevano già deciso da tempo di fare
una vacanza nel deserto del Sahara, visto
che dei nostri amici ci avevano detto che era
molto bello e coinvolgente. Partimmo alle
sei del mattino, prendemmo il secondo volo.
Eravamo tutti molto stanchi, perché avevamo finito i preparativi appena prima di partire. Salii su un aereo che si chiamava
“StarLight”.
Era molto bello e spazioso, ma io avevo un’ansia terribile, era la prima volta che viaggiavo davvero. Alle sette partimmo. Quando
decollammo, mi accorsi che c’erano nuvole
dappertutto e io ebbi ancora più paura di
prima, si sa, con tutte le cose che accadono
adesso in aereo, (schianti al suolo, rapimenti…). L’hostess avvisò che sarebbe stato un
viaggio molto tranquillo, perché non si erano verificati fenomeni particolari. Mi addormentai dopo due ore che viaggiavamo, ma
fui svegliata da un frastuono terribile, che
smise, ma che poi ricominciò. A quel punto
mi sentii assalita da un timore spaventoso.
Ero disperata, l’aereo stava perdendo quota;
dentro di me pensavo: “ Ma come… due ore
prima l’hostess aveva detto che…” ODDIO!
Stavamo precipitando! Gridai più forte che
potei: “ Aiuto!”. Ma gli altri passeggeri erano in preda al panico, quando infine precipitammo, non sapevo bene che fine avessero
fatto i miei genitori.
Lì eravamo rimasti solo io e un bambino,
avrà avuto più o meno sette anni. Era magrissimo, quasi un grissino, era abbastanza
basso per la sua età, ma molto furbo. Uscimmo dall’aereo, era tutto fracassato, la scritta
“StarLight” non si leggeva più, anzi si intravvedeva appena la stella graffiata e infangata. Quando fummo abbastanza lontani mi
guardai intorno e mi resi conto che eravamo
in mezzo al nulla, eravamo circondati dall’immenso nulla. C’erano bisce e scorpioni
qua e là e io mi sentivo ansiosa. Mi decisi di
chiedere al bambino chi fosse e da dove venisse, lui mi rispose che si chiamava Marco,
aveva sei anni e veniva da Roma. Io pensai:
“ Che fortuna, è italiano, almeno avremmo
potuto parlare”!
Ci incamminammo; dopo due lunghe ore
eravamo molto assetati, Marco era talmente
stanco che per incoraggiarlo gli dissi; “ Ci
vuole ben altro per fermarci”.
Dopo un miglio circa, Marco intravide un’oasi fra le dune, era abbastanza grande, l’acqua che passava di lì era molto fredda, ma
noi corremmo sfiniti a bere, poi riprendemmo il cammino. Ormai era sera e all’orizzonte si mescolavano, con il rosso del sole, i
cammelli. Marco mi disse che era molto
stanco, in effetti Marco era molto magrolino
e minuto, ma anch’ io ero stanca, così ci accampammo al fianco di una duna. Quando ci
svegliammo erano le sette di mattina, il mio
cellulare non funzionava più, ma il suo
“Swatch” funzionava ancora, per fortuna.
L’IMPRONTA DEL DELITTO
Verso mezzogiorno ci fermammo sotto una
palma; trovammo dietro una roccia un turbante nero ornato con teste di tigri d’oro,
erano belle, ma il turbante non mi diceva
niente di buono. Pensammo che finalmente
avremmo potuto trovare qualcuno che ci
desse una mano, invece, era un predatore del
deserto. Era alto con le spalle larghissime,
molto brutto, con lunghi baffi e una folta
barba nera. Lì per lì non sapevamo cosa fare, lui ci rincorse in groppa al suo cammello,
con la sciabola in mano. Noi correvamo a
perdifiato fino a che Marco, inciampò. Io
tornai indietro a riprenderlo, a quel punto
capii che l’aveva preso per un braccio. Si
scatenò una tempesta di sabbia che mi offuscò gli occhi, dov’era Marco? Dove siamo?
Aiuto! Mi svegliai di soprassalto, ero arrivata all’aeroporto di Tunisi. Fortuna che era
solo un sogno, ma Marco c’era davvero e
quando scendemmo era sconvolto , scosso,
con lo sguardo perso nel vuoto, forse anche
lui aveva fatto il mio stesso sogno, poi mi
guardo e mi salutò…
Alice Belluco
L’AVVENTURA DI KATI E CLARK
Il 18 Marzo Kati e Clark, due giornalisti, per
motivi di lavoro, devono andare in Amazzonia per documentare una tribù chiamata “gli
indios fantasmi “.Si imbarcarono sul primo
aereo diretto in Brasile . Però, mentre sorvolavano l’ oceano Atlantico, l’aereo sembrava
aver problemi al motore e dopo un grosso
frastuono planò verso una spiaggia dell’Amazzonia. Kati e Clark, quasi per miracolo,
rimasero vivi, mentre altri tre, feriti, scesero
dall’aereo. Tutti decisero di andare a cercare
aiuto camminando senza meta per più di sei
ore. Dopodiché decisero, per la scarsità di
luce, di fermarsi sotto una palma e riprendere il giorno dopo all’alba. Il mattino seguente proseguirono il cammino e dopo circa due
ore trovarono una vecchia casetta abbandonata ed entrarono con la speranza di trovare
cure mediche, ma trovano soltanto quadri di
un uomo alto sui 40 anni, pelato, occhi verdi, giubbino in pelle e un paio di jeans blu
che era vicino a uno dei componenti della
tribù degli “indios fantasmi”, una vecchia
scrivania con nel cassetto ricerche sulla tribù
e sopra un vecchio telefono. Clark provò a
chiamare ma il telefono non dava la linea,
allora uscirono date le condizioni pericolanti
della casetta. Proseguirono il cammino e
arrivarono a un punto della foresta che era
top secret, di proprietà del governo. Clark,
preso dalla curiosità, scavalcò la rete ed entrò, ma non riuscì a trovare e vedere molto,
soltanto una botola , per il resto era tutto
deserto. Riscavalcò la rete per uscire e lui e
Kati si accamparono lì vicino. Il mattino
dopo Clark disse: “Kati, devo assolutamente
capire che cosa c’è lì dentro”. Allora, preso
dalla curiosità, entrò nella botola e non credette ai suoi occhi: il governo stava facendo
degli esperimenti sulla tribù degli “indios
fantasma “.
Uscì dalla botola e raccontò
tutto a Kati e le disse che voleva andare a
prendere quello che avevano scoperto, scaricarlo su un floppy e andare a pubblicarlo su
di un giornale e le disse anche che se lui non
avesse fatto ritorno di andare a dire tutto alla
polizia. Clark entrò, scaricò tutto su di un
floppy, lentamente uscì, ce l’ aveva quasi
fatta ma, quando stava scavalcando la rete,
due uomini con un giubbotto in pelle nera lo
presero, ma nel frattempo Clark riuscì a lanciare il floppy a Kati che, appena preso, cercò di tornare all’aereo. Mentre Clark era imprigionato, riuscì a riconoscere uno dei suoi
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rapitori: era quell’ uomo che era stato fotografato insieme a un componente della tribù
degli indios fantasma nella catapecchia, a sei
ore di cammino. Clark gli disse che la polizia ormai sapeva tutto sulla clonazione degli
“indios fantasma”. Intanto Kati, correndo,
arrivò all’aereo dove uno dei feriti era riuscito a chiamare la polizia. Kati parlò con lo
sceriffo e lo portò alla base dove avevano
rinchiuso Clark. Allora il poliziotto scavalcò
la rete, entrò nella botola e sparò colpendo
tutti gli uomini di guardia; prese Clark, uscirono e insieme a Kati ritornarono all’aereo e
lì trovarono i loro genitori, si abbracciarono
e ritornarono nelle loro case. Il mattino seguente, ritrovandosi al lavoro, pubblicarono
la loro storia sul giornale, come promesso.
Nicola Frighi
La famiglia Acer era appena arrivata nella
villa del signor Roosevelt, in America, dove
avrebbero trascorso le vacanze; i figli della
signora e del signor Acer si precipitarono a
scaricare dalla macchina le loro strapiene
valigie, poi salendo le scale di corsa andarono nelle loro camere.
Susan aveva l’abitudine di sistemare subito i
vestiti appena arrivavano in un posto nuovo,
ma quando aprì l’armadio… cadde sul pavimento un uomo, un po’ grassottello e pelato,
con un coltello da cucina conficcato nel petto!
Il silenzio venne lacerato dall’urlo di Susan.
Subito gli altri componenti della famiglia si
precipitarono da Susan che, per il terrore,
non riusciva a muoversi.
La signora Acer telefonò immediatamente
alla polizia e in men che non si dica un commissario arrivò sul luogo del delitto e osservava con attenzione il corpo della vittima. Il
commissario Volpetti notò qualcosa di bianco che spuntava dalla tasca della vittima, lo
estrasse e iniziò a leggerlo.
Era la lettera del notaio Halliday che informava il signor Roosevelt dell’apertura del
testamento di suo figlio Joseph.
«Guarda guarda – pensò Volpetti – il movente di questo delitto sarà sicuramente l’eredità del figlio; dovrò parlare con questo
notaio al più presto.»
«Bene, signori Acer, come avrete potuto
dedurre la vittima è il signor Roosevelt,
l’uomo che vi ospita in questa villa. Ora vogliate scusarmi, vorrei iniziare a interrogare
le persone che conoscevano Roosevelt e che
l’hanno visto ieri.»
Qualche minuto più tardi il commissario si
trovava faccia a faccia con il maggiordomo
di Roosevelt.
«Quando è stata l’ultima volta che avete visto il vostro padrone?»
«Ieri mattina a colazione, poi il signor Roosevelt è uscito perché aveva un appuntamen-
to con un notaio; è tornato a casa tardi e mi
ha detto di andare alla villa per sistemarla e
che dovevo passare la notte là. Ha poi aggiunto che sarebbe passato anche lui per ricevere stamani la famiglia Acer »
«Come mai questa mattina lei non si trovava
alla villa?»
«Il giardiniere mi aveva chiamato dicendomi
che era appena arrivata la signora Betty, la
vedova del figlio del signor Roosevelt, con
l’intenzione di parlare con lui che nel frattempo era già uscito. Allora sono ritornato a
casa, ma il giardiniere mi ha trattenuto per
farsi indicare con precisione dove avrebbe
dovuto piantare i nuovi rosai. Quando sono
entrato in casa la signora Betty era seduta
sul divano e stava sorseggiando una limonata fresca, mentre guardava un programma
televisivo. Abbiamo iniziato a parlare, poi
ho preparato il pranzo e verso le tre del pomeriggio la signora è andata via dicendo che
sarebbe tornata un’altra volta. Vista l’ora
non sono più tornato alla villa. Posso offrirle
qualcosa?»
«No, grazie. Intanto farò analizzare questo
coltello da cucina perché mi sembra simile a
quello usato dall’assassino.»
«Certo, prenda pure, ma le vorrei chiedere di
riportarlo quando avrà finito, ce n’è già sparito uno e il signor Roosevelt era molto dispiaciuto perché erano un ricordo di sua moglie.»
Qualche ora più tardi il commissario Volpetti si trovava a parlare con Betty Roosevelt.
«Mi dispiace per la morte di suo marito.»
«Grazie.»
«Comunque passando all’omicidio di suo
suocero – continuò Volpetti – vorrei farle
qualche domanda. Dove si trovava ieri mattina?»
«Ieri mattina ero andata a casa di mio suocero per parlare con lui di una questione di
lavoro che riguardava mio marito. Ho aspettato a lungo, ho anche pranzato lì, poi visto
che non rientrava decisi di tornare a casa
mia. Erano più o meno le tre del pomeriggio.»
Volpetti tornò ancora ad osservare il luogo
in cui era stata trovata la vittima e il suo vice
gli fece vedere l’impronta di uno scarpone
da montagna numero 38.
«Strano – pensò Volpetti – sembrano come
quelli che uso quando lavoro in giardino!»
A questo punto il caso era più che risolto,
mancava solo un particolare da controllare…
Alle quattro del pomeriggio di quello stesso
giorno, tutte le persone, dalla famiglia Acer
al giardiniere, erano presenti nel salotto di
casa Roosevelt.
«Signore e signori – iniziò il commissario –
ho scoperto chi è l’assassino ed anche il suo
complice. Ora vi dirò come sono andati i
fatti. Betty ieri non era andata a casa di Roosevelt per parlare del lavoro di suo marito,
ma per crearsi un alibi. Betty non aveva sposato Joseph per amore ma per i soldi; era già
d’accordo con il suo complice, il giardiniere,
che una volta morto il marito, ammalato gravemente da tempo, sarebbero scappati per
vivere felicemente con i soldi dell’eredità.
Ma Joseph aveva lasciato tutto a suo padre
perché aveva capito quanto fosse calcolatrice sua moglie. Quando il signor Roosevelt
andò via dallo studio del notaio e arrivò alla
villa dove non c’era nessuno (il giardiniere
aveva allontanato il maggiordomo con una
scusa) Betty lo uccise conficcandogli nel
petto un coltello che il suo complice aveva
rubato dalla cucina. Poi corse a casa Roosevelt per “aspettare” il suocero.
Piano astuto, ma siete stati traditi dagli scarponi ancora infangati che i miei uomini hanno trovato nella serra del giardino. Strano
che fossero del numero 38 visto che il giardiniere indossa scarpe del numero 40! »
Novella Parolini
DELITTO IN HOTEL (Prima parte)
Era un tiepido sabato mattina e Albert Jefford era uscito per la sua passeggiata quotidiana quando vide una lettera azzurra spuntare dalla buchetta della posta. Preso dalla
curiosità la prese e lesse: era stata inviata
dall’hotel Gran Duca, il più lussuoso e costoso albergo della città in cui abitava. Il
testo diceva:
Gentile signor Jefford,
la invitiamo a partecipare alla festa che si
terrà domenica 31 dicembre nel nostro hotel.
Le è stata assegnata la camera 108 dove soggiornerà per tutta la settimana.
La quota di soggiorno e la consumazione
del buffet sono gratuite. Gradita conferma.
L’hotel Gran Duca
e i collaboratori
- Bene bene! Credo proprio che ci andrò!
Dopotutto, ho davvero bisogno di una piccola vacanza! - e si avviò lungo la strada.
Albert Jefford era un uomo anziano, grassoccio, basso e aveva gli occhi di un verde
intenso.
Era il titolare di una ditta che fabbricava materassi, i quali avevano un discreto successo.
Era un uomo molto astuto e furbo, e infatti
pensò che magari partecipare a quella festa
sarebbe stata un buona occasione per avere
in seguito una buona immagine fra la gente,
e così avrebbe venduto di più.
La giornata passò molto in fretta, e la stessa
cosa avvenne per la mattina ed il pomeriggio
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seguente. Il signor Jefford era ansioso e si
preparò con molta attenzione per la festa.
Appena entrò nella hall incontrò subito due
suoi amici: John Crambler, di professione
investigatore, e Andrew Linner, un banchiere.
Essi lo salutarono subito e gli chiesero come
andavano gli affari, senza dimenticare di
dire che nella sala vicina era stato allestito
un buffet sontuoso pieno di pietanze prelibate.
Jefford si precipitò subito al tavolo e si abbuffò in maniera esagerata: mangiò pesce,
carne, frutta, dolci, tanto che ad un tratto
dovette salire in camera per tentare di digerire.
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Racconti di avventura)
UNA UNDICENNE CORAGGIOSA
Era una giornata piovosa quando tutto ad un
tratto si sentì bussare la porta di casa, in casa
c’era solo una ragazza di 11 anni di nome
Laura.
I suoi genitori erano usciti a fare delle commissioni, Laura tutta spaventata andò a vedere chi poteva essere, guardò dalla serratura della porta e vide una faccia a lei del tutto
sconosciuta,intanto il tizio continuò a bussare alla porta, Laura non sapeva cosa fare, se
potersi fidare di quel tipo oppure dare retta
ai suoi genitori che le avevano raccomandato di non aprire a nessuno!
Poi aprì la porta, ma l’uomo misterioso non
c’era più, era scomparso; nel frattempo ritornarono a casa i suoi genitori e vedendola
impaurita ed infreddolita, le chiesero cosa
facesse là fuori; lei spiegò della visita che
aveva ricevuto, loro la rimproverarono:
-Se quel tizio ti avesse fatto del male tu cosa
avresti fatto?!
Il giorno dopo Laura andò a piantare nel
giardino dei fiori e sentì qualcosa di duro;
allora scavò ancora più a fondo per capire
che cosa poteva essere.
Ad un tratto vide una mano e, dopo averlo
detto ai suoi genitori, chiamarono subito la
polizia.
Nel frattempo lo seppe tutto il vicinato, tutti
erano sconvolti a parte il vicino di casa, un
tipo un po’ misterioso e strano, che si diresse verso di loro e chiese se conoscevano
quel tipo che era morto, gli risposero di no e
allora il padre di Laura gli chiese:
-Perché per caso lei lo conosce?
Lui rispose:- No affatto, non l’ho mai visto
in giro da queste parti .
Laura cominciò a riflettere e si chiese come
mai il loro vicino di casa non era rimasto
sconvolto dalla vicenda, mentre tutti gli altri
sì.
Allora chiese ai suoi genitori:
-Ma per caso il nostro vicino di casa può
essere coinvolto con l’accaduto?
I suoi genitori le risposero:
-Niente affatto … sarà un po’ strano, ma non
può arrivare a tanto !
Laura non era così convinta.
Così l’indomani, Laura iniziò a spiare il suo
vicino e vide che stava facendo i bagagli,
poi mentre scendeva giù in strada per depositare la valigia nella macchina, gli cadde un
biglietto di volo per l’Australia, allora Laura
pensò che se lui andava via proprio ora che
era successo questo fatto forse lui era veramente coinvolto nell’omicidio!
Nel frattempo apparve un altro tizio, si mise
a parlare con il vicino, poi tutti e due misero
IL MISTEO DELL’ISOLA
i bagagli in macchina; Laura non sapeva
cosa fare … se quei due erano veramente dei
criminali doveva assolutamente fermarli
perciò chiamò l’ispettore di polizia per avvertirlo.
Li portarono in caserma e gli fecero l’interrogatorio con Laura lì presente, la quale poteva testimoniare tutto, ma loro dissero che
non c’entravano proprio niente con la morte
di quel tipo, ma i poliziotti non gli credettero e quindi non poterono più partire.
Intanto Laura si ricordò che, poiché c’erano
stati molti furti nella zona, erano state messe
delle telecamere.
Laura prese la registrazione della sera precedente e vide il suo vicino di casa bussava
alla sua porta; allora capì, ora coincideva
tutto: evidentemente il vicino aveva bussato
alla sua porta di casa per distrarla, intanto il
suo complice sotterrava il cadavere.
Laura si precipitò alla polizia e portò la registrazione.
La polizia ringraziò Laura, l’ispettore con i
suoi agenti andò ad arrestare i due assassini.
Selles Giulia
OMICIDIO “PULITO”
Come gli scorsi anni le vacanze estive erano
già passate e per me era già ora di andare al
college; sicuramente cambiando scuola e
metodi di studio avrei fatto molta fatica.
Mia madre mi portò davanti all’istituto e,
visto che non conoscevo nessuno, aspettai in
macchina fino all’ora di entrare; giunta l’ora
entrai e trovai davanti alla cattedra tutti i
professori e con loro il preside che ci spiegò
tutte le regole e normative dell’istituto.
In seguito i professori si presentarono e
spiegarono le loro materie; intanto che spiegavano entrò in ritardo un ragazzo robusto e
con i capelli biondi che si chiamava Paul;
con lui entrò il bidello Steven che ci portò
all’estremità dell’istituto in cui c’era il dormitorio.
Steven ci fece vedere le camere; io ero con
Paul, il ragazzo che era arrivato in ritardo; ci
sistemammo in camera e cominciammo a
parlare e a fare conoscenza.
Il giorno dopo cominciò con la lezione di
scienze; il professore era il fratello del vicepreside e aveva una carnagione abbastanza
pallida, ma era molto buono.
Continuammo con le altre lezioni del mattino e poi tornammo nel dormitorio.
La sera stavo facendo i compiti, ma mi accorsi di aver dimenticato il mio quaderno di
scienze in aula, allora mi affrettai ad andarlo
a prendere prima che mi vedesse il mio pro-
fessore, entrai cercando di non far rumore
per non farmi beccare.
Evidentemente era appena passato il bidello
a pulire e c’era il pavimento bagnato, in
punta di piedi mi avvicinai al mio banco e
presi il quaderno, ma da dietro la cattedra
vidi spuntare una mano pallida, allora preso
dal panico corsi via e tornai nella mia camera.
Chiamai Paul e gli dissi tutto, allora prendemmo due torce e ci avviammo verso la
classe……, il mio respiro diventava sempre
più forte e cominciai a sudare freddo; Paul
aprì la porta visto che io avevo troppa paura
quindi, ci dirigemmo verso la cattedra, guardammo verso di lei e….. vidi il mio professore per terra in una pozza di sangue.
Ci guardammo impauriti, quasi impietriti, ci
girammo verso il cadavere e guardando meglio aveva un coltello nella schiena e solo a
quel punto decidemmo il da farsi:avvertire il
vicepreside, che era anche il professore di
ginnastica.
Il vicepreside, che era anche il fratello del
professore di scienze provò a guardare se
c’era ancora un minimo segno di vita, ma
purtroppo non c’era niente da fare.
Coleman, il prof di ginnastica, in lacrime,
chiamò la polizia che arrivò in pochi attimi e
sua volta arrivò anche l’ambulanza.
A quel punto ci volle poco a capire che era
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stato un omicidio, ma chi poteva essere stato?
La polizia interrogò tutti i professori, noi
studenti e i bidelli, più tardi sapemmo che la
scientifica aveva analizzato l’arma del delitto e nel manico avevano trovato tracce di
detergenti.
L’ispettore di polizia ci disse che l’omicidio
doveva essere avvenuto dopo che il bidello
avesse pulito il pavimento anche perché il
pavimento era ancora umido.
Nel corso delle indagini i sospetti caddero
su un bidello che era molto solitario.
Per molti giorni il bidello fu ascoltato e interrogato per svariate ore e alla fine confessò:
“Sono stato io ad uccidere il professore perché, quando frequentavamo il liceo e studiavamo insieme, eravamo grandi amici ed anche innamorati della stessa donna; dopo gli
studi io riuscii a sposarla, ma dopo poco
tempo lei scappò con lui, lasciandomi solo…senza mia moglie e il mio migliore amico. In quel momento lo odiai più della mia
vita. Adesso che l’ho ucciso non avrà più
mia moglie!”
Roberto Piazzi
Un gruppo di pirati avventurosi partì alla
ricerca dell’Isola Misteriosa, stanchi di tutte
quelle voci che, in città, ne parlavano.
Partirono con la nave “Vento Rosso”; si portarono dietro uno studioso di fama mondiale: Edward Mink, esperto di misteri e leggende. Con lui c’era anche il suo fidato
maggiordomo, che lo seguiva sempre nelle
sue esplorazioni. Con un’aria contenta e un
sorriso brillante, la sig.ra Sara Kein: una
scienziata non ancora conosciuta nel mondo,
andò dal capitano, il sig. Martin Zigrelli, a
ringraziarlo, per averla invitata nella sua
ciurma.
Ad un certo punto si sentì la nave barcollare… era arrivato Richard May, il più temibile e forte cacciatore di taglie, venerato da
tutti.
Erano pronti per partire. La ciurma urlò:
”Aprite le vele! Si può partire!”. Allora il
capitano prese i comandi e partì.
Il viaggio durò dei giorni, e la sera del quarto giorno attraccarono in un’Isola a loro sconosciuta. Stanchi e affamati scesero, montarono le tende e iniziarono a dormire. Ad un
tratto, durante la notte,la sig.ra Sara Kein
sentì uno strano suono di canti e di festeggiamenti. Aprì gli occhi e si trovò dentro
una capanna di bambù e di foglie tutte intrecciate tra loro, legata come un maiale prima di essere cotto.
Allora impaurita e nauseata dall’odore di
sangue che si sentiva, iniziò ad urlare e cercò di svegliare tutta la ciurma, che dormiva
tranquillamente come se niente fosse succes-
so. Dopo poco arrivò un uomo dalla pelle
scura con una maschera sul volto, che rappresentava un animale mai visto, e iniziò a
suonare violentemente un corno di toro;
quello strano rumore riuscì a svegliare di
colpo tutta la ciurma.
Questa persona, che sembrava un cannibale,
aveva un marchio su una spalla: una stella
con cinque punte, che era stato fatto nello
stesso modo di come marchiavano le mucche: lo sapeva benissimo Richard May, perché lui era stato in una prigione, dove, il primo giorno in cui si arrivava, a tutti veniva
impresso sulla pelle quel marchio, e lui l’aveva fatto.
Come una sfilata entrò, dentro la capanna di
bambù, una fila da cannibali che slegarono i
superstiti. Il capitano Martin Zigrelli chiese
spiegazioni: «Voi chi siete ? In che posto ci
troviamo? Cosa volete da noi ?». I cannibali
si misero in cerchio e si consultarono. Parlavano un misto tra ebraico e portoghese. Poi
si rivolsero al capitano della “Vento Rosso”
dicendogli: «Voi avete messo piede su quest’ isola: l’Isola del Male, e tutti quelli che
sono attraccati qui non sono più tornati indietro.» Allora i cannibali misero della legna
attorno ad un grande tronco, sul quale attaccarono i superstiti e appiccarono il fuoco.
Però Edward Mink, l’abile studioso di misteri, riuscì a scappare ed entrare nella foresta buia e silenziosa, che tutti temevano.
Nel frattempo i cannibali, non accortisi dell’assenza di un superstite, iniziarono ad accendere il fuoco. Edward Mink ad un certo
punto si ritrovò davanti ad una piramide di
pietre con un teschio in cima e, attirato da
una grande luce, entrò, lì trovò degli uomini
trasformati in statue e attaccata al muro una
grande pergamena scritta in ebraico. Per fortuna Edward lo sapeva parlare, perché era
andato a frequentare una scuola dove lo aveva studiato.
Lesse ad alta voce: «Per abbattere tutte queste maledizioni, e per far ritornare tutti allo
stato normale, bisogna trovare una chiave ed
infilarla proprio qui!». Edward, allora, incominciò a cercare; però nel frattempo i suoi
amici erano in pericolo, non riusciva a trovarla. Ad un certo punto sentì arrivare un
uccello, che lo guardò, e con un movimento
della testa condusse Edward alla chiave. Edward prese la chiave e la infilò nella serratura e tutte le statue tornarono persone, mentre i cannibali diventarono statue, come il
fuoco che circondava i superstiti.
Tutti si riunirono e ripartirono sani e salvi da
quell’Isola Misteriosa.
Edward buttò la chiave in mare e finalmente
l’incubo finì.
Camilla Benetti
GRANDE CAPO, ADDIO!
Mi chiamo Grande Lupo Bianco, sono un
indiano e ho13 anni. Sono già diventato capo della mia tribù per aver ucciso un invasore del Nord America, con il mio arco.
Sono in una fossa profonda circa 4 metri,
nello stato dell’Oklahoma, dove c’era la mia
riserva, che adesso è solo un mucchio di cenere per colpa degli invasori americani.
Hanno ucciso i miei genitori, i miei fratelli e
le mie sorelle, della riserva siamo rimasti
solo io e un mio alleato, un indiano “ Comanche”.
È un’ esperienza traumatica che mi segnerà
per tutto il mio avvenire, se ci sarà.
Oggi io e il mio amico abbiamo corso per
tutto il pomeriggio, arrivando quasi fino al
Texas, dove abbiamo trovato un accampamento americano. Avevamo entrambi sete e
fame, non mangiavamo da oltre una settimana, così ci siamo nascosti dietro una duna e
abbiamo aspettato che abbassassero la guardia. Ci siamo infilati dentro una capanna e lì
siamo riusciti a mangiare poi, uscendo, un
americano ci ha visto ed ha incominciato a
sparare. Il mio amico “Hiwatha” è stato colpito in pieno petto, io invece solo alla spalla
e sono riuscito a scappare. Il sangue mi usciva fuori come una cascata, non potevo resistere a lungo ma, fortunatamente, ho visto
su una roccia del muschio, me lo sono appoggiato sulla ferita e il sangue si è fermato.
È da più di 3 giorni che mi stanno cercando.
Gli inseguitori erano 15, sono riuscito ad
ucciderne 5. Erano troppi, non ce l’ avrei
mai fatta a ucciderli tutti, così mi sono detto
che dovevo andare a chiedere rinforzi al
Nord, nel Kansas, dove risiedeva la tribù
Irochese; era un’ impresa ardua ma si poteva
tentare.
Tenendo stretto al mio petto il mio portafortuna, un’ aquila fatta d’osso, ho aggirato gli
invasori e mi sono incamminato. Dopo circa
2 settimane di cammino ero circa a metà
strada per arrivare alla salvezza, non mi potevo arrendere proprio allora, anche se camminavo in condizioni disumane sotto la
pioggia.
Arrivato a destinazione, ho visto che era tutto bruciato e distrutto, una sensazione di dolore e desolazione mi avvolgeva, poi ho sentito una voce che mi chiamava. Era il capo
degli Irochesi,"Capo due lune".
37
Insieme abbiamo costruito delle barricate
per ostacolare gli Americani, abbiamo scavato buchi molto profondi con sotto dei bastoni appuntiti e li abbiamo ricoperti.
Poi li abbiamo visti arrivare, ho pensato che
in quella situazione ogni respiro poteva essere l'ultimo della mia vita, così mi sono
fatto forte e ho cominciato a scagliare frecce, ma un tiratore scelto ha impugnato il fucile e mi ha sparato.
Sono caduto a terra. "Capo due lune" si è
avvicinato per soccorrermi, ma era troppo
tardi.
"Capo Due lune" si è disperato, è uscito fuori allo scoperto, poi anche la sua anima ha
incominciato a volare nel cielo insieme a
quella di "Grande lupo bianco".
Manuele Mimosa
Fiabe e racconti (Racconti di avventura)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
LA FATICA DI JOHNSON NELLA GIUNGLA
In un’immensa giungla,un giovane ed affascinante ragazzo viveva in una bellissima
casetta che si era costruito da sé con ruvide
foglie giallastre, con bastoncini di legno intrecciati l’uno con l’altro e moltissimi fiorellini colorati che l’abbellivano.
Costui si chiamava Johnson. Un bel giorno
decise di fare una visita alla sua cara amica
Wendy per trascorrere un giorno insieme in
compagnia a chiacchierare felicemente.
Così, il ragazzo si era incamminato fino ad
arrivare alla casetta della sua amica Wendy;
lui la trovava molto dolce, affascinante, leale, aveva degli occhi azzurri, con biondi capelli ondulati, il naso aquilino, e labbra di
seta.
Il ragazzo arrivò e bussò alla sua porta, lei
non l’aprì e Johnson restò ad aspettare per
molto tempo, ma non c’era nulla da fare, la
porta non si apriva.
Il fanciullo si era molto insospettito. Inoltre
lei, di solito, rimaneva sempre in casa o, se
doveva uscire, andava a chiamare il suo amico Johnson per girare insieme nella giungla, perché loro pensavano che nella giungla
non ci fosse nessuno oltre a loro due e ad
alcuni animali feroci.
Così, il ragazzo si incamminò per andare a
cercare la ragazza, per lei Johnson avrebbe
fatto qualsiasi cosa.
Passate ore e ore a girovagare nella giungla,
che era molto fitta e cupa, con moltissimi
alberi e foglie di colore verde e giallo, con
melma che pareva cioccolata liquida al latte,
con bastoni e bastoncini di legno intrecciati
l’uno all’altro, il ragazzo gridava il nome
della ragazza: « Wendy!», ma lei non gli
rispondeva.
Passava molti giorni e molte notti nella
giungla gridando con tutta la sua voce, ma
lei non dava alcun segnale. Poi il ragazzo si
addormentò per un po’ di ore.
La ragazza Wendy era stata rapita da una
vecchia orrenda, con tantissimi brufoli sul
naso appuntito, i capelli bianchi come la neve nascosti da un cappuccio nero, delle rughe sul viso e sulle labbra ruvide come le
grattugie per il formaggio.
La vecchia viveva in una casa molto più elegante di quella di Johnson, lontana molti
chilometri da quella dei due ragazzi; aveva
portato nella sua casa di legno la ragazza e
l’aveva legata in tutte le parti del corpo.
Passato un po’ di tempo, il ragazzo riprese
la sua ricerca per trovare la ragazza. In lontananza aveva visto una piccola casetta che,
dal suo piccolo camino, emetteva del fumo.
Johnson era rimasto esterrefatto perché non
pensava che ci fosse qualcun altro oltre a lui
e alla sua amica Wendy nella giungla.
Arrivò alla porta della vecchia ed esclamò:
«C’è nessuno? Se c’è qualcuno per favore
mi apra!».
La vecchia aveva nascosto velocemente la
fanciulla sotto il suo letto fatto di pelle di
cinghiale, poi, insospettendosi molto, era
corsa davanti alla porta per andare a vedere
chi fosse e chiese: «Sì, chi è?». Egli rispose:
«Sono un ragazzo della giungla che vive a
molti chilometri in una casetta.».
La vecchia aprì la porta e salutò con molta
gentilezza il ragazzo e gli disse: «Entra pure
caro figliolo, ti sei perso?». Lui rispose:«No,
signora, sto cercando una cara amica, non la
trovo più in casa sua, lei l’ha vista per caso?». La vecchia gli rispose:« No, ragazzo,
OMICIDIO IN RETE
descrivimela, forse ti posso dare un aiutino,
non credi? Desideri qualcosa da bere, vedo
che sei molto affannato?!». Johnson aveva
fatto segno con la testa per dire sì e aveva
spiegato alla vecchia cosa era accaduto a
Wendy. La signora dispiaciuta o come lui
credeva, gli disse che se avesse visto passare
la ragazza o se fosse stata in mano a qualcuno che le avrebbe potuto fare del male, lo
avrebbe avvisato subito.
Mentre la vecchia lo accompagnava alla
porta, lui aveva avvertito uno strano lamento
che sembrava di Wendy e che proveniva
dalla stanza della vecchia.
Johnson corse a vedere se fosse Wendy e
infatti lo era, aveva sentito bene.
Mentre il ragazzo cercò di slegare la corda
che legava il corpo della ragazza, la vecchia
aveva fatto in tempo a prendere delle fiocine
per cercare di colpire il ragazzo, che però
schivò il colpo.
Così, quando Wendy fu liberata, si mise a
piangere al collo del suo caro amico e lui le
disse:« Wendy, non c’è più tempo, la vecchia ormai è già qui, vieni, andiamo verso
l’uscita!».
Il ragazzo lasciò la sua amica vicino ad un
albero nella giungla e, afferrato un bastone,
andò in casa della vecchia e la colpì in pieno.
Il cielo si stava oscurando sempre di più e
nella giungla non filtrava neanche un filo di
luce. La ragazza aveva preso fuori dalla tasca del suo vestitino una torcia e l’aveva
accesa, così, alla fine, aveva illuminato la
strada per il loro ritorno.
Maria Pia Zappaterra
Sir John Smith era un appassionato di
Internet e adorava navigare in rete. Lui usava il computer come niente, era una cosa
elementare per lui, infatti spesso cercava di
dare lezioni di informatica ai figli più grandi: Eric e Antony. La giornata di Sir John
procedeva sempre uguale e quindi ogni giorno era molto monotono. Anche quel mattino
fece la sua solita colazione leggera a base di
cereali e latte, poi andò nel suo studio a navigare in rete per tutto il giorno. Ad un certo
punto il computer segnalò l’arrivo di un
messaggio, Sir John si affrettò ad aprire la
casella credendo fosse un messaggio che
proveniva dal Parlamento. Lo aprì e iniziò a
leggere quello che c’era scritto:
TU CHE IN QUESTO MOMENTO STAI
LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO RICEVERAI UN SORPRESA MOLTO SPECIALE QUESTA SERA ALLE 18.00 IN
PUNTO.
P.S NON ELIMINARE QUESTO MESSAGGIO ALTRIMENTI LA SORPRESA
SARÀ ANCORA PIÙ GRANDE.
Sir John credette che fosse uno scherzo di
qualche ragazzino e continuò le sue ricerche.
Arrivarono le 18.00 e il campanello della
casa di Sir John suonò energicamente. Lui si
alzò e andò ad aprire: era un uomo di cui
non poteva bene il volto perché era coperto
da un cappuccio; vendeva dei particolari
mouse tutti colorati e alcuni avevano il rivestimento in pelle. Questi insistette perché Sir
John ne comprasse uno ma lui non voleva
comprare nulla; allora l’uomo alzò anche la
voce e lo minacciò con un mouse color nero.
Sir John si mise a ridere e proprio in quel
momento vide che dal mouse era spuntato
LA CASA NEL PARCO
Era un giorno d’estate, e non sapendo come trascorrere il tempo
chiamai i miei amici per chiedere
loro se potevamo venire a fare un
giro in bici fino alla collina. Risposero tutti di si, poco dopo eravamo tutti in sella in direzione
della collina. Arrivati in cima ci
soffermammo per ammirare il
panorama e poco dopo vedemmo
in distanza un parco recintato.
Incuriositi ci avvicinammo e scoprimmo un cancello arrugginito e
socchiuso. Decidemmo di entrare
per esplorare il parco. Al centro
del parco vedemmo una grande
casa abbandonata. Senza paura
provammo ad entrare ma, la porta
era chiusa. Cominciammo a girarci in torno finché Matteo trovò
una leva, la tirò e la porta d’entrata si aprì
con un rumore sinistro. Impavidi entrammo
e davanti a noi c’era una grande scalinata. Ci
38
Lady Katy era molto perplessa e camminava
nervosamente avanti e indietro quando ad un
certo punto vide dalla finestra un tipo che
aveva il volto coperto. Quando lo chiamò lui
si voltò, vide la polizia e iniziò a correre
verso una via molto buia e poco popolata.
La polizia lo inseguì. Una volta preso lo
portarono in commissariato per interrogarlo
ma lui disse che era innocente, che non sapeva nulla e che non era stato lui a commettere l’omicidio. Lady Katy lo osservò per
bene perché lei non era convinta di quello
che diceva il venditore, che poi si chiamava
Kirk Poninski. Il commissario incaricò un
poliziotto del distretto di appurare se Kirk
Poninski aveva dei precedenti penali. Dopo
poco si seppe che quel tale aveva due precedenti penali: tutti e due per omicidio. La cosa cominciava a diventare abbastanza chiara
per Lady Katy che volle raccontare come si
erano svolti i fatti secondo lei: Poninski aveva suonato alla porta di Sir John Smith per
vendergli un mouse, ma Sir John non aveva
voluto comprare nulla così lui lo aveva accoltellato. Avevano anche trovato tra i
mouse quello dal quale attraverso un pulsante usciva una lama: l’arma del delitto! L’email era un avvertimento! Ma perché? Kirk
Poninski disse che era tutto vero; lui voleva
solo vendicarsi perché Sir John lo aveva licenziato dopo che era stato proprio lui a insegnarli ad usare il PC.
Un altro delitto risolto, brava LADY
KATY!
Valentina Merolli
IL POZZO DI MONDO NUOVO
da sola, il cane uscì: era un Rot
Wailer con la bava alla bocca, gli
occhi infuocati e al collo aveva
appeso una medaglietta con il nome di “Fufi”, che si avvicinava
minaccioso. Indietreggiammo e
urlando ci indirizzammo verso la
secondo porta che chiudemmo
dietro alle nostre spalle. Non c’era
niente nella stanza, solo un rumorino che proveniva da un buco nel
soffitto. Puntammo gli occhi al
buco e vedemmo uscire un’enorme ragno peloso. Scappammo subito da quella stanza terrorizzati e
inseguiti dal cane e dal ragno. Ognuno scappò per proprio conto in
una direzione diversa. Ero solo io
inseguito. Una volta uscito dalla
casa non esitai…
salimmo e vedemmo tantissime porte chiuse
e dietro una di quelle si sentì un cane che
ringhiava. Ad un certo punto la porta si aprì
un coltello che con un gesto velocissimo gli
conficcò nel petto. Sir John cadde a terra
mentre l’uomo scappava via. Nel cadere Sir
John si aggrappò alla sedia che nell’ingresso
della casa; la sedia si rovesciò facendo un
gran tonfo. La signora Anne che era in cucina a controllare la cena corse nell’ingresso e
vide il marito steso per terra in una pozza di
sangue. Si disperò e cercò di aiutarlo, ma
vedendo che era tutto inutile chiamò la polizia dicendogli di accorrere al più presto in
Via London Eye al numero 24. La polizia
arrivò assieme all’ispettrice Lady Katy che
la signora Anne conosceva perché era un’amica di famiglia. Lady Katy osservò il corpo
della vittima con molta attenzione in cerca
di qualche indizio ma nulla, vicino al corpo
non c’era che poteva aiutarci a scovare il
colpevole o qualche sua traccia. Vicino alla
sedia rovesciata dalla vittima c’era però una
chiavetta usb che si usava per collegare i
mouse senza fili ai computer portatili come
quello che aveva Sir John e all’ispettrice
venne in mente che Sir John era molto abile
nell’ usare il computer così chiese alla moglie se poteva controllare le e-mail arrivate.
Fu così che il sospetto che la vittima avesse
ricevuto un messaggio legato all’omicidio;
ma l’indirizzo di posta elettronica era stato
reso invisibile. Lady Katy lo osservò a lungo
cercando di capire cosa significasse quello
che c’era scritto. Secondo Lady Katy non
era un messaggio ricattatorio perché il messaggio diceva chiaramente:
RICEVERAI UNA SORPRESA
Io continuavo a non essere sicura di quello
che sosteneva Lady Katy ma dal tronde è lei
l’ispettore, io sono solo la sua assistente.
Marcello Ceolotto
Era un giorno come tutti gli altri, nel paesino di Mondo Nuovo ,un posto tranquillo
situato in campagna composta da brava gente. Ma non si può mai sapere, cosa si nasconde dietro tanta tranquillità!!! Mary andò
a prendere l’acqua nel pozzo che c’era di
fianco a casa sua, con un secchio preso nello
scantinato. La ragazza legò al secchio, per
poi buttarlo nel pozzo e tirarlo su pieno d’acqua. Tirando su il secchio si accorse che
era sporco di qualcosa di color rosso; si avvicinò al pozzo, si affacciò e vide in fondo
al pozzo il corpo di un uomo ormai senza
vita, che galleggiava nell’acqua si spaventò
e, presa dal panico, si mise ad urlare dall’orrore di ciò che aveva appena visto. La madre
di Mary sentì le sue urla,corse subito da lei,
e la chiese del perché era così sconvolta e
spaventata; ma la ragazza, ma non aveva la
forza di dirlo e indicò con un dito il pozzo.
La madre s’affacciò per vedere e vide anche
lei il cadavere dell’uomo, lì, immobile! La
donna, sconvolta, disse alla figlia di andare
di corsa in centro dove si trovava l’investigatore del paesino di Mondo Nuovo. Arrivata a destinazione, Mary cercò di calmarsi e
disse a voce alta: - C’é un uomo morto in
fondo al pozzo, di fianco a casa mia. L’investigatore restò molto sorpreso perché che in
un paese così sarebbe mai potuto succedere
qualcosa di sgradevole. L’investigatore era
uno che di solito era immerso nella sua
“sonnolenza” anche se diceva che così pensava meglio! Hopkins cioè l’investigatore,
aveva sempre le mani pulite e possedeva una
straordinaria delicatezza quando usava i suoi
strumenti di lavoro. Egli cercò di tranquillizzare la ragazza. Poi gli venne in mente di
colpo una cosa molto importante da riferire
a lei e a sua madre: un certo Bill era arrivato
in paese e avere delle informazioni su dove
abitava una certa Mary Bill, diceva di essere
imparentato con lei. - Doveva darti un documento molto importante sul quale era descritto il patrimonio, che aveva accumulato
il tuo bis nonno per parte di madre. E infatti
43
aveva un testamento per ricevere l’eredità,
sul quale però serviva anche la firma dell’erede. - Mr. Hopkins si ricordò che , mentre
parlava con il sig. Bill lui non era solo ma
c’era anche un contadino che stava aspettando di parlare con lui; dopo aver finito la conversazione con il sig. Bill, che intanto stava
andando verso la casa di Mary, si vide il
contadino che si dirigeva anche lui per la
stessa strada. E la sua faccia adesso che ci
pensava era,un po’ sospetta. Andarono sul
luogo del delitto, e trovarono il cappello di
paglia del contadino stretto dalle mani oramai irrigidite del cadavere. Andarono quindi
ad arrestarlo e videro che era pieno di graffi
e gli sanguinava ancora il labbro; l’uomo
cercò di scappare ma riuscirono a catturarlo,
lo perquisirono e infatti trovarono il testamento nella tasca destra dei suoi pantaloni!!!
Il testamento venne restituito a Mary e a sua
madre.
Arantxa Hernandez Arias
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
OMICIDIO NELLA 48TH STRADA
Era notte quando Jim Cooper, famoso avvocato di Miami, tornò a casa distrutto dopo
una lunga giornata di lavoro e vide suo fratello Marco morto, riverso sul cofano della
sua macchina, la finestra della loro cucina in
frantumi. Chiamò subito la polizia che arrivò immediatamente. Era ormai l’alba quando Jim fu portato in centrale per essere interrogato. L’ufficiale di polizia che prese l’incarico di risolvere il caso si chiamava Orazio.
Il giorno seguente Orazio e la sua squadra
andarono a casa di Jim e di suo fratello per
esaminare ancora una volta la scena del crimine sperando di trovare qualcosa che li
avrebbe aiutati a risolvere il caso, e infatti
uno dei suoi collaboratori trovò ben nascosta
una pistola calibro 9: era forse l’arma che
aveva ucciso Marco?
La portarono in centrale per esaminarla e
trovarono delle impronte digitali che appartenevano a un certo Gimmi Scoop, venditore
di gomme e cerchioni per automobili. Orazio andò a fare una visitina a Gimmi facendogli qualche domanda sulla pistola che avevano trovato a casa di Marco. Lui rispose
che non ne sapeva nulla. Il giorno seguente
i ragazzi di Orazio andarono di nuovo nell’appartamento di Marco per cercare altri indizi e questa volta trovarono nella copertina
dell’agenda di Marco un biglietto che diceva
che Gimmi e i suoi colleghi erano coinvolti
in un traffico di droga. Tornarono di nuovo
all’officina di Gimmi che, appena li vide,
uscì velocemente dalla porta di servizio e
scappò sulla sua auto; anche Orazio salì in
auto e lo inseguì a lungo fino a che Gimmi
non si ritrovò in trappola, bloccato da un tir
che gli aveva attraversato la strada. Orazio
lo arrestò ma… prima di portarlo in macchi-
OMICIDIO A VIENNA
na un cecchino lo colpì con un fucile di precisione. Prima di morire Gimmi confessò
che aveva ucciso Marco perché questi aveva
scoperto che lui era coinvolto in un traffico
di droga e voleva denunciarlo. Il giorno seguente Orazio interrogò i colleghi di Scoop
e dopo due ore trascorse nella sala degli interrogatori riuscì a sapere chi era la persona
che gestiva il traffico di droga a Miami e che
viveva in una villa sul mare a Fordstreet.
Orazio inviò sul posto tutte le auto di polizia
disponibili e un elicottero, così riuscirono ad
arrestare il capo dell’organizzazione insieme
a tutti i suoi tirapiedi.
Federico Amadelli
DELITTO NELLA FAMIGLIA PARKER
Jim Parker era un miliardario, abitava a Oxford, la moglie Clara era una meravigliosa
donna alta, bionda e magra con gli occhi
azzurri. Avevano due figlie Jessica e Veronica.
Jessica era solare e allegra mentre Veronica
non parlava mai con nessuno e se ne stava
sempre in disparte.
Jim e Clara erano seduti sul divano mentre
le figlie erano fuori di casa.
In salotto c’era un’atmosfera tranquilla, il
cammino era acceso, lui indossava come
sempre vestiti firmati, scarpe italiane e aveva in mano un bicchiere di scotch.
Lei indossava una gonna nera, un maglione
rosso a collo alto, scarpe col tacco nere.
Stavano ascoltando musica degli anni ’80.
Jessica e Veronica non erano quasi mai con
loro di sera, certo non potevano dire che non
avevano mai privacy.
Jim mise giù il bicchiere di scotch poi abbracciò forte la moglie e le disse che l’ama-
va molto e che non l’avrebbe lasciata mai.
Più tardi ritornarono le loro figlie dopo essere in discoteca; entrarono in salotto a salutare i genitori, poi salirono le scale per andare
nelle loro stanze, si sdraiarono sul letto ascoltando la loro musica preferita.
Ad un tratto le ragazze sentirono due colpi
di pistola… corsero subito giù per le scale e
si precipitarono in salotto. Videro il padre di
fianco alla madre, c’era sangue sparso dappertutto!
Non c’erano dubbi: Clara era morta…
Le figlie si avvicinarono a lei e poi chiamarono subito l’F.B.I. per vedere chi fosse stato il colpevole.
Il giorno dopo Jim arrivò nel suo ufficio e la
prima cosa che fece fu quella di mettere la
foto di sua moglie sulla scrivania. Qualche
ora dopo arrivò la nuova segretaria. Era bellissima: fisico da modella, capelli rosso fuoco e occhi verdi come due smeraldi.
La ricevette nel suo ufficio, sbalordito da-
vanti a tanta bellezza.
Tutto sembrava come sempre…
Intanto l’F.B.I. stava analizzando le impronte e le pallottole ritrovate sulla scena del
delitto e i risultati portavano direttamente al
signor Parker!
Jessica e Veronica che erano nei laboratori
non riuscivano a credere alle loro orecchie.
L’ispettore dell’F.B.I. andò nell’ufficio di
Jim e gli disse: “Lei è in arresto perché ha
ucciso sua moglie Clara”.
Così Parker fu portato al commissariato, e lì
Jim confessò che aveva ucciso sua moglie
perché aveva scoperto che lo tradiva.
Jim Parker venne arrestato e le due figlie
ereditarono i suoi soldi e l’azienda di famiglia.
Debora Gargioni
zia, ma la trovò molto triste, anche se se l’era cavata con due punti soltanto; Stive le
chiese se poteva fare qualcosa per lei che gli
fece segno di avvicinarsi e gli sussurrò una
risposta, ma le parole non erano molto chiare; così la saluto e andò via pensoso.
Quando fu a casa chiamò subito la nonna e
le chiese che cosa stava facendo quando si
era sentito l’urlo della zia, lei rispose che
stava scrollando la tovaglia; fece lo stesso
con sua zia, sua cugina, suo zio e suo nonno;
ma tutti e quattro i parenti risposero che non
erano in casa in quel momento; rimaneva
Simone, il fidanzato di sua cugina, così lo
chiese anche a lui che dichiarò di essere an-
42
chiamata effettuata.
- Deve aver chiamato qualcuno prima di morire… - intervenne Sophie.
- Ottima osservazione, mia cara Sophie.
Il fidanzato, James, un uomo alto e robusto,
raccontò che era appena tornato a casa da
un’importante cena di lavoro e dovevano
festeggiare assieme a due amiche la sua promozione. Ma … una lacrima silenziosa gli
cadde sulla guancia.
- E mi dica, queste due amiche chi sono? chiese Anne.
- Sono Sandy e Christy, l’ispettore Connelly
le sta già interrogando. - rispose per lui Sophie
- Pare che Christy, abbia un alibi: all’ora del
decesso, era ancora a casa, un vecchio l’ha
vista; mentre invece Sandy, ha lasciato il
lavoro un’ora prima dell’appuntamento,
confermato dalle telecamere del parcheggio;
ma da allora nessuno l’ha più vista … - aggiunse Sophie sicura di aver già risolto il
caso.
- Calma, mia cara Sophie, non essere precipitosa, rifletti.
- Facciamo un giro per la casa e vediamo se
troviamo qualche indizio…
Non notarono nulla di strano: era tutto in
perfetto ordine,non mancava nulla; l’orologio d’oro, le pietre preziose, gioielli costosi,
tutti gli anelli ed il portafoglio.
- Di certo, non è stata una rapina - commentò Sophie.
Anne rifletté in silenzio guardando un punto
sulla parete.
- Hai capito che cosa è successo, non è vero? - si lamentò Sophie.
- Proprio così mia cara, adesso capirai …
Incominciò a spiegare:
- Innanzitutto v’informo che si tratta di un
omicidio, in quanto l’ultima telefonata era
rivolta a me: ieri sera una ragazza impaurita
mi chiedeva aiuto, ho pensato che fosse solo
uno scherzo.
Abbassò lo sguardo, comprendendo l’errore
che aveva fatto la notte scorsa trattando con
leggerezza quella chiamata; forse ora, quella
ragazza sarebbe ancora viva.
Poi, continuò:
- Christy non può essere stata perché aveva
un alibi, inoltre è troppo gracile per riuscire
a sollevare un corpo, mentre Sandy, come
risulta dalla cartella clinica, è affetta da sclerosi: non avrebbe certo potuto sollevare un
corpo come quello di Nina, senza riportare
danni visibili.
- Ma allora… - intervenne Sophie.
- Aspetta, mia cara, l’unico che poteva sollevare un corpo era James, il fidanzato, che
inoltre ci ha mentito - continuò Anne.
- A che proposito? - chiese Sophie.
- Intanto quale uomo esce di casa senza l’orologio d’oro o il portafoglio? E ho notato
che non aveva le scarpe bagnate, quindi non
è uscito. In secondo luogo sul comodino,
prima, ho notato delle foto in cui Nina appare con un uomo che non è James: ho pensato
che fosse stata pedinata, ma questo ce lo
potrà confermare meglio James. Evidentemente, non fidandosi di Nina, l’aveva fatta
seguire e aveva scoperto il tradimento. Ecco
perché l’ha uccisa, creando la messa in scena del suicidio, poi ha chiamato l’ambulanza.
Se confrontiamo l’ora del decesso, con la
chiamata all’ambulanza, e l’orario di uscita
dal lavoro, è evidente che il tempo trascorso
sia minimo; quindi impossibile che le cose
stiano come ci ha raccontato.
- Siamo davanti ad un delitto passionale affermò Sophie - Brava mia cara, ancora una
volta hai risolto il caso!
Elena Tamisari
DUPLICE OMICIDIO
IL PRIMO CASO DELL’ISPETTORE STIVE
Era il 12 aprile del lontano anno 2009.
Si stava festeggiando la Pasqua in compagnia e in allegria, c’era un sole meraviglioso
ed erano tutti in giardino a parlare e a giocare. Stive stava parlando al telefono con Alice, la sua migliore amica, si stavano augurando una buona Pasqua e lo stava invitando
al suo compleanno che si sarebbe festeggiato il giorno seguente; all’improvviso si sentì
un urlo provenire dalla casa, tutti si affrettarono ad entrare e videro la zia Patrizia per
terra, con una ferita alla testa; qualcuno corse a chiamare il 118 che dopo cinque minuti
arrivò e portò la zia all’ospedale.
Il giorno seguente Stive andò a far visita alla
Pioveva. Era notte. Il buio circondava ogni
cosa, sembrava che cercasse malignamente
di inghiottire il mondo; la pioggia batteva
energicamente sul terreno. Un lampo squarciava le tenebre della notte, ma il rumore del
tuono che faceva vibrare i vetri delle finestre, dando l’impressione di frantumarli da
un momento all’altro, non scomponeva minimamente Anne, che tranquilla se ne stava
sul letto a riflettere.
Il rumore del telefono superò il muro di
pioggia e tuoni, arrivando acuto e penetrante
alle orecchie di Anne, che sussultò; recuperata la calma, allungò un braccio, quel tanto
che bastava per sollevare la cornetta e rispondere.
- Pronto? - E una voce terrorizzata, che Anne fece fatica a sentire a causa del temporale, rispose con la voce rotta dalla paura, ridotta ad un sussurro…
- Aiutami, mi vuole uccidere, aiutami!!!La ragazza non fece neanche in tempo a pronunciare altro che cadde la linea…
- Sarà solo uno scherzo - disse tra sé Anne,
cercando di scacciare quel senso d’angoscia
che era corso a stringerle il petto. Voltatasi
dall’altra parte, si addormentò.
Al mattino seguente, quando Anne, comandante della polizia di Vienna, una donna
splendida con lunghi capelli color dell’ebano, occhi verdi, furbi, svegli ed attenti, arrivò al distretto, le venne affidato un caso: una
ragazza di vent’anni era stata trovata morta
nella notte, impiccata alla trave del soffitto.
Sbuffando Anne, disse:
- Sophie! - e Sophie, appassionata di romanzi gialli e aiutante di Anne, scattò in piedi e
la seguì. Arrivate sul luogo, parlarono con il
fidanzato della ragazza morta; era stato lui
che l’aveva trovata e aveva chiamato l’ambulanza, ma i soccorsi erano risultati inutili,
perché al loro arrivo la ragazza era già deceduta. Anne notò che la cornetta del telefono
era per terra e decise di controllare l’ultima
dato a riempire la ciotola per il cane.
A quel punto Stive radunò tutti a casa della
nonna e con soddisfazione disse: “Ho scoperto il colpevole, è …. Simone; infatti lui
era l’unico ad essere in casa; tra l’altro Patrizia mi aveva detto che il colpevole non era
della famiglia ma quasi, e infine è il solo che
ha in antipatia la zia. Sono contento comunque per Patrizia ed anche perché è il primo
caso che risolvo!”
Sheila Bellettati
Era un pomeriggio tranquillo in casa Margogni, ma improvvisamente un urlo straziante
tagliò il silenzio. Quell’urlo veniva dal salotto e precisamente da Sabrina Felloni, la
moglie del ricco imprenditore Marco Margogni che si occupava di oro e pietre preziose. La moglie aveva trovato il corpo del marito senza vita e allora, prima della polizia,
chiamò Jean Pierre, un investigatore privato
amico da tempo di suo marito.
Egli viveva a Parigi e si erano conosciuti là
quando Marco vi era andato con la moglie in
vacanza.Ogni anno vi ritornava per rivedere
il suo amico francese. Appena Jean Pierre
seppe dell’accaduto prese il primo volo per
Roma e iniziò a investigare. Seppe che era
stato trovato un orecchino vicino alla poltro-
na dove c’era la vittima e che era della signorina Chiara Balboni, la segretaria di
Marco (cosa che la moglie Sabrina aveva
capito subito). Chiara fu convocata da Jean
Pierre nel suo vecchio ufficio di Roma e lei
confessò che da due anni era l’amante della
vittima, ma continuava a dire che non l’aveva ucciso lei. Sabrina invece pensava esattamente il contrario. Jean Pierre tornò sul luogo del delitto e, ben nauseato, trovò un
guanto, lo fece analizzare e scoprì che le
macchie di sangue non erano solo di Marco.
Questo fatto gli fece venire un sospetto…
Nel frattempo si seppe che un certo Rossi
Martino aveva chiamato la polizia perché
purtroppo aveva trovato morta la sua ragazza Chiara Balboni! Jean fu informato che lì
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vicino al corpo della vittima era stato trovato
un candelabro e vi erano le impronte di Sabrina! Jean Pierre allora capì tutto: Sabrina
aveva scoperto che Marco la tradiva con la
segretaria e aveva deciso di ammazzare suo
marito, ma Chiara, che aveva capito tutto,
aveva cominciato a ricattarla così Sabrina
era stata costretta ad uccidere anche Chiara!!!
Eleonora Casoni
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
Fiabe e racconti (Testi in giallo)
RACCONTO GIALLO
Era una notte buia e spaventosa e il signor
Harvei se ne stava seduto nel suo ufficio ad
aspettare il maggiordomo che gli doveva
portare una tazza di the caldo. Ricevette una
telefonata, lui rispose ma non sentiva nessuno parlare.
Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta
del suo ufficio, entrò un uomo incappucciato
che tirò fuori un coltello e lo uccise.
Fu il maggiordomo a denunciare l’accaduto.
Chi poteva essere stato? Forse la sua ex moglie o anche il maggiordomo stesso?
La polizia e i RIS arrivarono dopo circa dieci minuti e incominciarono subito a indagare
e scoprirono che le porte non erano state
forzate, quindi l’assassino doveva essere in
possesso delle chiavi della villa del signor
Harvei oppure doveva essere stato fatto entrare da un complice.
La polizia controllò per giorni l’ex moglie di
LA DONNA MISTERIOSA
Harvei e il suo maggiordomo che erano gli
unici due indiziati. Dopo qualche i poliziotti
li sorpresero mentre si dividevano i soldi
dell’eredità del ricco signor Harvei, allora le
loro ipotesi fu confermata e i due sospettati
furono arrestati per l’omicidio del signor
Harvei.
Nicola Franzoni
OMICIDIO A LONDRA
La polizia girava tra le strade come zanzare,
elicotteri volteggiavano verso l’ignoto,
i pompieri non riuscivano a domare il fuoco,
Londra non poteva dormire pacifica quella
notte del 24 Dicembre.
La mattina giunse al Westmister per essere
messo al corrente della situazione: giornalisti e reporter lo assalirono, ma non poteva
fermarsi.
Giunto nel palazzo del Parlamento vide i
poliziotti cercare ovunque, l’ufficiale lo raggiunse:
“Abbiamo trovato le guardie malridotte, ora
sono all’ospedale e…”
“Higgings!” Si voltò: sotto il porticato c’era
un uomo piuttosto alto, in giacca e cravatta
contrastanti con la camicia bianca ormai grigia dal fango.
“Ryan! Cos’è successo?”
“Mi sono buttato nel Tamigi per sfuggire al
fuoco.” Qualcosa gli brillò nel taschino.
“A cosa ti serve un coltellino?- dissi prendendo l’oggetto luccicante – L’ha ferita?! È
sporco di sangue.”
Arrivò un’auto d’epoca scoppiettante e ne
uscì una figura robusta in tenuta verde scozzese che accorse:
“Ryan! Ma cos’è successo?!?”
“Le fiamme mi stavano accerchiando... - i
poliziotti lo reggevano a stento - allora ho
attraversato il fuoco…”
“Wilde, venga!”, urlò un pompiere:
“Higgings, gestisci tu qui.Arrivo!”
“Ho bisogno di una mappa completa dell’incendio, non può aver ucciso solo le guardie.”
“Giusto, procedete uomini una mappa…”
Cercò ovunque ma non c’erano indizi, come
se il porticato si fosse portato via tutto e nel
fumo ci fosse l’agonia di quelle guardie:
“Higgi.” Il suo nomignolo gli dava fastidio,
ma detto dall’investigatore migliore d’Inghilterra, suonava dolce.
Esitò un attimo ma andò, se c’era un caso da
risolvere, non poteva tirarsi indietro.
Dietro il Parlamento, il Big Ben suonava più
cupo e misterioso, vidi tra le torri della cattedrale la striscia gialla CRIME SCENE e si
pietrificò:
“Com’è possibile!?”
L’eco risuonava tremolante oltre l’altare.
“È così...”. Wilde si chinò sul corpo di un
signore familiare:
“Bryan - era una situazione assurda – c’è
qualcosa per…”
“Si, è un principiante: ha lasciato le scarpe
infangate. Ryan il commercialista le aveva,
no?”
“Come puoi pensare che sia stato lui?”
“Signore, la serratura è forzata!”
“Finalmente possiamo sapere con certezza
che è stato un omicidio. Fotografa a fondo e
trasferisci tutto nel mio database.”
In ufficio Wilde cercò di fare il punto della
situazione ma senza risultato, io intanto aspettavo le foto:
“Eccole, la serratura forzata …”
“... con un filetto di metallo arrugginito(come farà a vederci così bene nonostante la
sua età!) – era un ladro.”
“Però guarda - con un click gli mostrai la
foto della ferita dell’uomo – l’emorragia era
scarsa, come lo spieghi?”
“Semplice! È stata trasportata.- rispose scorrendo le altre foto – Ora vado al parlamento,
per interrogare il commercialista.” Uscì,
sbattendo la porta deluso.
Ora solo una cosa poteva aiutarci: il referto
dell’autopsia, quindi appena arrivò il medico
legale:
“James! Entra, dai, siediti, hai qualcosa, eh,
dai, rispondi.”
Non fece nemmeno in tempo a sedersi che
lo tempestò di domande:
“Allora, con calma, è una faccenda molto
seria - aprì la scatola che aveva posto sul
bancone bianco a fianco al computer – c’è
della ruggine nella ferita, l’ora del decesso è
12:29 ma…”
“È stata spostata alle 12:31, dopo aver appiccato il fuoco!”
“Ciò fa pensare che il colpevole è un tipo
del palazzo del Parlamento - non dovevo
disturbarlo ora –Dunque,- disse scrivendo
alla lavagna posta di fronte al computer –
abbiamo tre orari: 12:29 decesso; 12:30 incendio e 12:31 spostamento del corpo, ma
da dove?”
Mi venne incontro come posseduto.
“Fammi vedere una cosa ... - si mise alla
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tastiera –Ma certo!”
Dopo due minuti mi ritrovai nella sua cinquecento giallo crema, come quella di Lupin, ma sembrava esserci Zazà:
“Dove andiamo?”
“Vedrai.” Così chiuse la porta e partì in impennata:
“NON SIAMO SUL KATUN!”
Ero mezzo morto, tra il Parlamento e la cattedrale c’era una casetta:
“L’incendio - mi fece vedere la mappa che
avevo richiesto – non ha colpito il retro del
Parlamento, guarda nella casetta.”
La porta era sfondata:
“Ma che è?- Entrai, era un posticino stretto,
spoglio, senza mobili – Sangue?!?”
“Eh sì, qui è stato ucciso.”
A sirene spiegate arrivò la polizia con tutti i
presenti al palazzo nelle fatidiche ore:
“Wilde, è inammissibile tutto ciò!”
“La questione la riguarda da vicino, lei e
qualcuno degli altri. Sappiamo chi ha ucciso
Ryan - un ooohhhh di sottofondo lo accompagnò – e questo è lei, Bryan - il primo ministro indietreggiò – Ryan era come sempre
nel chioschetto ad aspettare, questo lei lo
sapeva, è uscito e, per deviare l’attenzione,
ha dato fuoco al prato vicino al Parlamento e
ha spostato il corpo poi per errore con questo ferretto - e ne alzò una copia fedele – e
ha sporcato di ruggine la ferita di Ryan, il
suo coltellino era troppo sporco di sangue
per averla ferita, e non galleggia fango nel
Tamigi, che pessima idea.
Tutti rimasero sbalorditi.
“Però il movente... qualcuno l’ha pagata,
chi?”
Ryan puntò il dito:
“Jonatan, voleva impadronirsi del nostro
mercato, solo ora me ne sono accorto.”
Tutti, scandalizzati se ne andarono mentre la
prigione ospitò i due grandi personaggi.
“E le scarpe?”, chiesi a Wilde in tenuta nera:
“Non potevano lasciarle per un delitto simile, sapevo che ci avrebbero messo sulla falsa
pista.”
Che Natale incredibile.
Edoardo Piva
Era una notte buia e tempestosa, il signor
Adrian Forester era seduto sulla sua poltrona
di pelle rossa e guardava il fuoco nel camino
che sembrava gli parlasse. Adrian era un
importante scrittore di storie gialle e aveva
già pubblicato circa un centinaio di libri con
un discreto successo. Il vento di quella notte
si faceva sempre più forte, tanto che ad un
tratto si spalancò la portafinestra del salone
ed il maggiordomo corse immediatamente
per vedere che cosa fosse successo. Forester
gli chiese di chiudere la portafinestra e di
portargli un bicchiere di scotch; il maggiordomo chiuse i vetri e tornò in cucina con
l’intento di preparare il drink, ma…il campanello suonò ed andò ad aprire. Una donna
affascinante e formosa, con la giacca fradicia d’acqua chiese del signor Forester; il
maggiordomo la invitò ad entrare dicendole
che l’avrebbe annunciata. Lei attraversò
l’ingresso e si fece guidare dal maggiordomo fino al salone; quando il signor Forester
la vide le chiese chi fosse e che cosa volesse, poi vedendola infreddolita la invitò a bere con lui un drink. Quando la donna si chinò per prendere il bicchiere le cadde dalla
borsa un biglietto tutto bagnato. Improvvisamente la donna disse di aver fretta e si affrettò ad uscire dalla casa. Forester restò
senza parole, non sapeva spiegarsi quello
strano comportamento…intanto si chinò per
raccogliere il biglietto, lo aprì e lesse:
Complimenti,
Lei ha vinto un viaggio strepitoso per la
morte certa…
Non si preoccupi che prima o poi arriverò e
da quel momento cominceranno i suoi problemi … mio caro scrittore!
Le porgo i miei più cordiali saluti
L’ammiratore segreto
Il signor Forester impallidì e cominciò a sudare, urlò al maggiordomo di sbrigarsi e di
correre lì con il numero del suo amico Goldmin, un famosissimo investigatore… molto
scaltro e attento (nonostante il suo abbigliamento molto eccentrico: un cappotto color
indaco, un cappello a dir poco più grande
della testa e una valigia marrone dove aveva
tutto l’occorrente per una indagine, che portava sempre con sé). Dopo molti tentativi
Goldmin rispose e il signor Forester ebbe
solo il tempo di dire: “Aiutami sono in pericolo,corri subito da me!” che la linea si interruppe. Un attimo dopo la luce se ne andò
e il signor Forester prese una candela, l’accese con difficoltà accostandola al fuoco del
camino praticamente spento. Un cigolio terrorizzò tutta la casa. Forester si avvicinò alla
foto di sua madre, la baciò e ad un certo
punto…smise di respirare e cadde a terra,
morto! Il maggiordomo, preoccupato dal
silenzio, andò in salotto e vide il signor Forester steso a terra; pensò che si fosse sentito
male e alzò la cornetta del telefono per chia-
mare il dottore, ma… l’assassino lo sorprese
alle spalle e uccise anche lui. La mattina
seguente Goldmin andò a trovare il suo amico, un po’ preoccupato, ed ebbe l’orrenda
sorpresa di trovare i due cadaveri stesi a terra, entrambi con un biglietto attaccato alla
schiena. Chiamò subito la polizia e intanto
osservava con grande attenzione ogni dettaglio del scena dei due delitti. Si accorse dei
due bicchieri poggiati sul tavolino di noce,
uno aveva tracce di rossetto rosso sul bordo,
e così corse a mettersi i guanti per prelevarne un campione. Poi lesse i due biglietti attaccati alla schiena; quello sulla schiena di
Adrian diceva:
Mi sono vendicato di colui che odiavo, tocca
a voi scoprire chi sono.
Mentre su quello del maggiordomo c’era
scritto:
Questo è solo un omicidio che intralciava il
funzionamento del mio piano.
Comunque… AUGURI!!
Non troverete
niente
Inoltre lesse l’altro biglietto sul tavolino di
noce; questo era scritto a mano e sarebbe
stato più facile risalire al colpevole. Diede i
biglietti alla polizia, e si raccomandò di far
analizzare il rossetto del bicchiere. Poi andò
in cucina per cercare altri indizi e infatti nella spazzatura trovò un coltello e un candeliere sporchi di sangue. Li prese per controllare
se c’erano delle impronte digitali, e pensò ad
un passo avanti… Quando arrivarono i primi
risultati poté scoprire che quella sera era
venuta una donna a trovare il signor Forester
e che si chiamava Vanessa Jones. Andò
quindi a trovare la signorina Vanessa per
capire il motivo della sua visita al signor
Forester. Lei gli disse che non c’entrava
niente con l’omicidio del signor Forester,
che anzi le dispiaceva, ma Goldmin non le
credette e le disse che sarebbe finita in galera con l’accusa di omicidio plurimo. Trascorsero altri due giorni e finalmente gli arrivarono i risultati delle analisi sul coltello e
sul candeliere, ma c’erano solo le impronte
del maggiordomo. Goldmin era sempre più
confuso, allora si recò alla casa dell’amico
per trovare qualcosa per incolpare del tutto
la signorina Jones. Nel salone cercò altri
indizi, ed ecco la risposta al caso: un capello
nero con piccole particelle di forfora; egli
mandò immediatamente il capello in laboratorio e successivamente tornò a parlare con
la signorina Jones. La signorina Jones finalmente si decise a spiegare perché si trovasse
là ed anche perché avesse “consegnato” quel
biglietto fatale. Il mese passato era a Parigi,
ad una festa molto importante con il suo ex
partner, un regista che però non aveva avuto
una gran fortuna ed era arrabbiato a morte
con tutti i presenti, ma soprattutto con il signor Forester, perché si era messo in mostra
davanti a tutti, recitando uno dei suoi versi
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più famosi. La settimana scorsa l’aveva
chiamata e le aveva detto che l’avrebbe uccisa se non avesse portato quel biglietto al
signor Forester. Allora lei impaurita glielo
aveva portato. Prima che la signorina gli
dicesse chi era l’uomo, suonò il cellulare di
Goldmin; egli rispose e gli dissero di chi era
il capello trovato sul tappeto del salone, del
signor Andrew Sheperd. Goldmin si scusò
con la signorina Jones e si recò immediatamente all’indirizzo di questo nuovo presunto
assassino. Arrivato alla casa di Sheperd bussò con molta insistenza e lo minacciò di buttare giù la porta se non l’avesse aperta. Sheperd aprì la porta molto lentamente…e Goldmin entrò con molta violenza e disse al signor Sheperd che era inutile mentire perché
ormai l’aveva scoperto. Sheperd si mise sulla difensiva e gli disse che la signorina Jones
non c’entrava niente e neanche lui, il vero
colpevole era suo fratello gemello Oliver.
Sheperd disse a Goldmin che suo fratello
odiava da sempre il signor Forester, perché
da giovani erano amici e quando Forester
era diventato famoso con il suo primo libro,
lui volle vendicarsi perché il suo amico lo
aveva allontanato. Oliver una sera lo aveva
chiamato e gli aveva detto che se non avesse
collaborato con lui lo avrebbe ucciso e quindi dovette chiamare la Jones, minacciarla e
intrufolarsi poi in casa Forester per lasciare
un suo capello nel salone. Ma non era stato
lui a uccidere Adrian… Goldmin dopo aver
parlato due ore con Sheperd, non sapeva più
a chi credere. Il suo intuito gli diceva di non
fidarsi delle chiacchiere di Sheperd e della
Jones… Lui cercò l’indirizzo del signor
Oliver Sheperd e scoprì che abitava nelle
vicinanze. Arrivato lì, Sheperd gli aprì subito, preoccupato, Goldmin non gli lasciò
nemmeno il tempo di parlare che cominciò a
fargli l’interrogatorio. Sheperd ammise solo
che non c’entrava niente e che lui e suo fratello si odiavano per vari motivi; suo fratello
e Vanessa erano persone spregevoli e avari e
inoltre che avrebbero fatto di tutto per incolparlo. Aggiunse di aver saputo che la sua
fidanzata, la signorina Vanessa Jones, e suo
fratello sarebbero scappati insieme all’estero
il giorno stesso. Goldmin si piombò al porto
dove vide salire su una nave della compagnia “CostaCrociera”, il signor Sheperd e la
signorina Jones. Goldmin si precipitò sulla
nave assieme ad una pattuglia di polizia.
Arrestarono i due furfanti e li portarono in
tribunale, li accusarono e li portarono in prigione con l’accusa di omicidio plurimo.
Goldmin tornò nel suo ufficio, si sedette sulla sua poltrona girevole e finì di leggere l’ultimo libro pubblicato dal suo amico scrittore.
Mathilde Stracuzzi