punto e a capo (n. 25)
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punto e a capo (n. 25)
RINGRAZIAMO I LETTORI PER L’ATTENZIONE GLI ALUNNI DELLA SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO “L. ARIOSTO” DI VOGHIERA GLI INSEGNANTI Paola Trevisani Roberta Tosi Laura Vecchietti Carmela Varriale Cristian Abate Renzo Boldrini Giornalino della Scuola Secondaria di 1° grado di Voghiera - Anno XV - N. 25 - Anno Scolastico 2008-2009 AI LETTORI Anche questo anno scolastico è giunto al termine e gli alunni desiderano farvi partecipi di tutte le esperienze vissute attraverso le pagine di questo giornalino scolastico numero 25 BUONA LETTURA Concorsi, concerti e lezioni pag. 2 Visite guidate e viaggi di istruzione pag. 8 Ricorrenze e celebrazioni pag. 16 Commento a libri e film pag. 20 Fiabe e racconti pag. 24 Nei panni di... pag. 57 Sentimenti e punti di vista pag. 59 Hobbies e passioni pag. 61 Esperienze extrascolastiche pag. 63 Testi narrativi pag. 65 L’angolo del poeta in erba pag. 69 Testi umoristici pag. 75 SCUOLE MEDIE Istituto di Istruzione Secondaria “G. Falcone - P. Borsellino” Portomaggiore (FE) 80 Circa tre anni fa per me e per molti altri ragazzi della mia età è iniziata l’avventura della terza media. Il nostro primo giorno di scuola eravamo tutti tesi e parlavamo solo con le persone che già conoscevamo. Il primo giorno c’erano solo le classi prime per farci ambientare e per farci conoscere i professori. La domenica volò in un baleno e di già era lunedì. A scuola sapevamo che al nostro arrivo ci sarebbero stati anche i ragazzi e le ragazze di seconda e di terza infatti noi delle classi prime eravamo un po’ agitati ; tutti pensavano a cosa fare e a cosa dire ma la cosa migliore era essere se stessi, alla fine questi ragazzi che a noi incutevano un po’ di paura erano ragazzi normalissimi co- me noi. Facemmo infatti subito amicizia con loro tranne che con alcuni perché preferivano “frequentare” i ragazzi della loro età. L’anno della prima per noi volò e dopo le vacanze estive ci trovammo di nuovo tra i banchi di scuola ma questa volta eravamo cresciuti ed eravamo cambiati un po’ in tutto, sia nell’aspetto fisico sia nel carattere e poi anche a scuola erano cambiate alcune cose, le classi terze dell’anno precedente non c’erano più e al loro posto c’erano altri ragazzi e ragazze e tutti gli anni succede e tutto un ciclo che non finisce mai. L’anno della seconda secondo me è stato meno bello di quello della prima, o per dire meglio meno simpatico perché con i ragazzi dell’anno 1 passato andavamo tutti d’accordo invece, con quelli dell’ anno in corso un po’ meno perché alcuni ragazzi fanno i “preziosi” e preferivano non prendere in considerazione i ragazzi di prima e di seconda. A volte gli stessi ragazzi prendevano in giro noi e quelli più piccoli, ma per alcuni di noi (almeno per quanto riguarda me) hanno imparato a non dare peso alle parole che loro dicevano, anche se in quella situazione erano loro quelli più grandi noi abbiamo dimostrato di essere superiori a loro, e questo mi ha fatto sentire “grande” perché voleva dire che ero maturata e mi faceva sentire fiera di me. Ilaria Galletti Concorsi, concerti e lezioni Testi umoristici (Barzellette) CONCERTO DI MODENA Lunedì 15 dicembre 2008 siamo andati a Modena per un concorso musicale. Eravamo in cinquanta alunni compresi due del conservatorio, ci hanno accompagnati i professori: Renzo Boldrini, Massimiliano Urbinati, Domenico Marcello Urbinati, Paolo Rosini e il nostro direttore d’orchestra Massimo Mantovani. Siamo partiti alle 11.20 dalla scuola media di Voghiera e siamo arrivati a Modena al teatro Storchi alle 14.30. Dopo un ora di viaggio ci siamo fermati in un autogrill per mangiare, vendevano pizze veramente squisite. Arrivati al teatro ci hanno ospitato in un corridoio insieme ad altre scuole. Abbiamo aspettato due ore, prima di esibirci, nella lunga attesa abbiamo riso e scherzato. Più si avvicinava il momento della nostra esibizione più la nostra tensione saliva, eravamo molto emozionati e avevamo paura di sbagliare davanti al pubblico. Arrivato il nostro momento ci hanno accompagnato dietro alle quinte. Una nostra amica intanto si è sentita male un po’ per l’agitazione e per un po’ di alterazione. Ad un certo punto si è sentito chiamare il nome della nostra scuola… i nostri visi da bianchi che erano sono diventati rossi. Sul palco sono saliti prima i musicisti poi i coristi, abbiamo suonato un brano di Bach intitolato “Jesus bleibet meine Freude” e abbiamo fatto un esibizione da veri professionisti. Ci hanno dato inoltre la bella notizia che ci eravamo classificati per il Concorso di Roma. Successivamente i professori ci hanno accompagnato nel loggione per assistere all’esibizione di una delle più brave jazziste del mondo e secondo noi è stata molto brava . Al ritorno, in pullman, abbiamo cantato, riso e scherzato. Siamo tornati verso le 19.15. Secondo noi è stata un esperienza molto bella e interessante, speriamo di poterla rivivere in futuro. Nicholas Mantovani Elena Tralli “Scusi signor Giudice, c’è una gallina fuori dal tribunale.” “E cosa vuole??!!” “Vorrebbe deporre subito…” Tra pesci… “L’amo signorina…” “Che bello! Anche io…” “Nooo…l’amo è dietro di lei!” Roberto Piazzi La prof di Scienze chiede a Pierino: “Dove vivono gli uccelli rapaci?” Pierino: “Sul monte Civetta!” In classe un bambino timido incontra una bambina altrettanto timida. Lei per fare amicizia gli dice: “Io mi chiamo Giuseppina.” E il bambino: “Io no!” Eugenio Buzzoni A MODENA CON IL CORO Lunedì 15 dicembre 2008, il coro della scuola media di Voghiera è andato a Modena, nel teatro “Storchi”, per esibirsi in un pezzo cantato di Johannes Sebastian Bach. E’ iniziato come un qualunque giorno di scuola, ma alle dieci la Sandra, l’operatrice scolastica, ci è venuta a chiamare per fare una prova con il coro. Alle 10:20 siamo partiti con il pullman “La Valle”. Durante il viaggio, io e la mia amica Maria Pia abbiamo ascoltato la musica e dormito. Verso le 12:00 abbiamo fatto una sosta per mangiare e andare in bagno. Alle 13:00 siamo ripartiti, ma gli alunni di terza facevano molta confusione e non si riusciva a fare nulla; meno male che verso le 14:00 siamo arrivati in una piazza di Modena, il teatro era a pochi metri. Alle 15:30 siamo saliti sul palco; avevo paura di non ricordarmi più la canzone, il prof. di violino diede l’attacco al pianoforte e alle chitarre e noi cominciammo a cantare, da quel momento mi è passata la paura. Terminato il brano il pubblico ci ha applaudito, alcuni genitori si sono commossi e anche a noi è scappata qualche lacrima. Successivamente ci siamo riposati e abbiamo fatto merenda. Subito dopo siamo andati ad ascoltare una ragazza che cantava in un modo strano, sembrava che volesse parlare agli animali. Alle 18:30 circa siamo partiti per il ritorno. 2 In pullman ero vicina ad una ragazza di terza, ma lei si è addormentata, allora mi sono messa a parlare con Altea e Jasmine di una persona che non ci era molto simpatica. Raffaele ha cominciato a cantare “We will rock you” e tutti noi lo abbiamo seguito. Dopo un po’ il prof di pianoforte ci ha detto che eravamo stati bravissimi e che se avessimo fatto altri concorsi, avremmo vinto di sicuro. Verso le 22:00 siamo arrivati a Voghiera, dove abbiamo fatto un applauso all’autista e ai prof, ma soprattutto a noi. Sharon Musacchi L’insegnante: “Cos’è l’acido lattico?” L’alunno: “È un lattosio acido!” L’insegnante: “Quali funghi si possono mangiare?” L’alunno: “Tutti i funghi si possono mangiare…ma alcuni si possono mangiare una volta, poi basta!” Edoardo Piva 79 Testi umoristici (Barzellette) Concorsi, concerti e lezioni CONCORSO MUSICALE, DESTINAZIONE: NUMANA La prof dopo aver corretto il compito di Anna le chiede: “Ma perché scrivi così in piccolo?” E Anna risponde: “Così si vedono meno gli errori!!!!!” Marco chiede al padre: “Sai firmare ad occhi chiusi?” “Certamente.” “Allora chiudi gli occhi e firma la pagella!” Mentre la prof la interroga, Alessia si guarda allo specchio. “Ma che cosa stai facendo?”, chiede l’insegnante. E Alessia: “L’ha detto lei di riflettere prima di parlare, prof!” Sara Valeriani La prof chiede a Marco di esporre la vita di Machiavelli, ma lui non sa rispondere; allora la prof chiede a Renata, ma anche lei non sa dire nulla… Chiede poi a Luigi: “E tu lo conosci Nicolò?” E lui: “Beh! Eh già! È un mio amico, anche ieri abbiamo giocato insieme a calcio!” La bidella entra in classe per consegnare una circolare e gli alunni con un balzo si alzano in piedi per salutare; poco dopo la prof fa una domanda a Dino, ma lui non sa rispondere e la prof gli chiede: “Ma dove hai il cervello?” E lui: “Mi è saltato in aria prima, prof!” Il 22 aprile 2009 io, altri sei ragazzi della mia scuola (tutti pianisti) e alcuni dei loro genitori, siamo andati a Numana, nelle Marche, per un concorso musicale. Ci siamo trovati all'ingresso della scuola alle 7.00 del mattino (può sembrare presto, dato che mi sono alzato alle 6.00, ma ci sono abituato poiché ogni giorno mi sveglio a quest'ora) e dal momento che non c'era il pullman per portarci a destinazione, ci siamo divisi nelle nostre macchine (eravamo sette, quindi non abbiamo avuto problemi di spazio) e siamo partiti. Io ero in macchina con Matteo Forlani, insieme al quale dovevo anche suonare, e per tutto il viaggio mi sono divertito a giocare con lui. Dopo due ore dalla partenza, ci siamo fermati in un Autogrill per mangiare e, se volevamo, per comprare qualcosa. Al termine della pausa di un quarto d'ora, abbiamo ripreso il nostro viaggio e in quaranta minuti siamo arrivati a destinazione. Lì ci siamo trovati in un gigantesco, splendido resort sul mare. Vicino all'entrata c'era una larga, bellissima aiuola con fiori di tutti i colori: rossi, blu, viola, e al centro c'era una fontana bianca a forma circolare in mezzo alla quale si trovava una colonna divisa in quattro dischi di larghezza decrescente da cui usciva l'acqua a zampilli. Sono veramente rimasto incantato e anche mia mamma, che la stava ammirando, è rimasta stupefatta dal suo splendore. Avrei voluto guardarmi di più intorno, ma siamo dovuti entrare. All'ingresso ci stava aspettando un ragazzo che avrà avuto venti-venticinque anni. Dopo esserci presentati, ci ha indicato dove trovare tutti gli orari delle nostre esibizioni e ci ha detti che dopo mezz'ora un pianoforte si sarebbe liberato e avremmo potuto esercitarci un po'. Per prima cosa, siamo andati a guardare quando ci saremmo esibiti e abbiamo visto che Caterina Ferrari, un'alunna della prima superiore e una dei "nostri", avrebbe suonato dopo quarantacinque minuti, mentre Caterina Garbellini, Matteo, io e il trio, in ordine, avremmo suonato verso le 13.45, quindi, per aspettare, ci siamo seduti in alcune poltrone che si trovavano nella hall. Così ho avuto modo di guardarmi intorno: di fronte alla reception c'era una piccola aiuola sintetica che, con il cartello "non calpestare i fiori", non si riferiva a quelli artificiali, bensì a quelli che, invece, si trovavano all'esterno. La hall era molto estesa, c'erano molti ragaz- zi di altre scuole e si potevano vedere aule per i clarinetti, dove si trovava un pianoforte, e una dove c'erano molti strumenti, tra cui xilofoni, triangoli, batterie, marimba, bongos e al muro, un pianoforte nero come la pece che faceva contrasto con i tasti, invece, più bianchi del latte: quello sarebbe stato lo strumento per le nostre prove. Il soffitto dell'ingresso era altissimo, formato da cupole di varia grandezza, tutto dipinto di marrone legno e con qualche sfumatura bianca, forse per il colore, oppure per il riflesso della luce. Attaccati ad esse c'erano delle tende rosa-fucsia che congiungevano i lati opposti delle cupole (due per ognuna) e al centro si incontravano dividendole in quattro parti. Mentre aspettavamo, io ho continuato a giocare con Matteo perché non avevo altro da fare. Dopo una lunga attesa, quasi interminabile, la stanza si è liberata e noi, velocemente, ci siamo introdotti. Per prima, ha provato Caterina Ferrari, essendo anche la prima ad esibirsi; poi si è esercitata Caterina Garbellini, dopo Matteo da solista, in seguito abbiamo provato io e lui il quattro mani (duetto) e infine il sei mani (trio). Poiché Caterina doveva andare a suonare dopo dieci minuti, il professore ha proposto di andarla a guardare suonare. Tutti abbiamo acconsentito, però, dato che avevo provato poco, mi ha chiesto di rimanere ad esercitarmi ancora un po', quindi io e Matteo abbiamo acconsentito. Purtroppo, passati cinque minuti, l'insegnante di un'altra scuola, con sgarbo, ci ha detto di uscire perché era il loro turno. Quindi ce ne siamo andati e ci siamo diretti all'altro edificio in cui si svolgevano le esecuzioni, col fine di trovare il professore. Dopo averlo visto, abbiamo saputo che Caterina doveva ancora esibirsi e abbiamo avuto, fortunatamente, la possibilità di assistirla. Credo proprio che avesse suonato bene, anche se non so valutare, come la giuria, un pezzo che non ho mai visto e suonato. Al termine, ci siamo tutti congratulati con lei e abbiamo iniziato a mangiare. Era un'ora e mezza prima del mio turno ma non mi sentivo emozionato, anzi, io prima del mio turno (anche cinque minuti prima) non sono MAI emozionato e forse è un male, perché dovrei scaricare la tensione piano piano, invece mi si concentra al momento dell'esecuzione e faccio fatica a reggerne la pressione Uno degli alunni chiede alla prof: “Ma lei è sposata?” “Ma che domanda strana?! Comunque sì, perché lo vuoi sapere?” “Niente, volevo solo sapere chi era il poveretto!!!” Mathilde Stracuzzi 78 3 (spesso dopo aver suonato mi viene mal di testa). Comunque, sono rimasto ancora un'ora a giocare con Matteo e il professore ci ha detto di iniziare ad entrare nella stanza perché la giuria voleva che al momento dell'esecuzione si fosse già dentro e così abbiamo fatto. Abbiamo assistito alle sonate di alcuni alunni prima di noi (tra cui una che non sapeva neanche fare il suo pezzo). Finalmente, o forse purtroppo, era il turno di Caterina Garbellini e la tensione iniziava a crescere; poi toccava a Matteo da solista, ed ero giunto al culmine dell'emozione. Dopo venne il turno di suonare io e Forlani...quando ho iniziato ero agitato, vicino alla fine la tensione era raddoppiata. Nonostante avessi finito, le gambe mi tremavano e mi era venuto mal di testa. Infine, toccava al sei mani e, al termine, siamo usciti. Fuori, il professore ci ha spiegato tutti gli errori dinamici (cioè non delle note, ma del tempo, dell'intensità, ecc.) che avevamo commesso. In seguito abbiamo finito di pranzare e siamo andati a guardare l'esibizione della figlia del professore la quale suona la chitarra. Ho ascoltato vari pezzi popolari e altri che conoscevo vagamente. Dopo, siamo tornati nella hall dove ci aspettavano i genitori. Qui, il professore ci ha detto di andare a fare le foto e poi di fare una passeggiata; quindi, siamo usciti e nella prima fotografia eravamo solo noi pianisti, poi si sono aggiunti i clarinettisti e nell'ultima c'erano tutti i presenti. In seguito siamo andati a fare un giro: prima abbiamo preso il gelato, poi abbiamo passeggiato sulla spiaggia. Infine siamo tornati al resort in tempo per la premiazione: Caterina Garbellini è arrivata terza, mentre noialtri siamo arrivati secondi (io con 92 punti su 100). Quando sono salito sul palco, mi è stata data la medaglia e mentre venivamo fotografati, guardavo il pubblico: era bello vedere che i ragazzi fossero così felici nel sapere che qualcuno di loro fosse arrivato tra i primi, ma implicitamente, si congratulavano con quelli che neanche conoscevano. Alla fine della giornata, siamo andati a mangiare una pizza lì vicino e siamo tornati a casa arrivando a mezzanotte. Alessandro Passantino Concorsi, concerti e lezioni Testi umoristici (Barzellette) UN GIORNO A NUMANA Il 22 Aprile 2009, noi clarinettisti della scuola media di Voghiera, campioni in carica del concorso dalla passata edizione, dopo un anno di intenso lavoro e con grandi aspettative siamo tornati a Numana per partecipare al concorso nazionale “Concorso Musicale dell’Adriatico”, a cui partecipano scuole da tutta Italia. Quest’anno, però, abbiamo portato un “elemento” in più: alla formazione originaria, formata dal trio Nico Marzocchi, Altea Gallerani e Giulio Belletti, si è aggiunto Raffaele Squarzoni, che si è rivelato un ottimo componente del neoquartetto. In più, non eravamo soli: anche altri nostri colleghi di pianoforte infatti, hanno deciso di partecipare al concorso. Alle 7:45 siamo partiti dal piazzale della nostra “amata” scuola, accompagnati dal nostro fantastico prof. Domenico Urbinati. Dopo un allegro e movimentato viaggio di tre ore, siamo arrivati a destinazione dove (con qualche difficoltà) abbiamo raggiunto i pianisti (che per arrivare hanno chiesto informazioni ad un ciclista) al Club Santa Cristiana, l’hotel dove si sarebbe tenuto il concorso. Verso le 14 avevamo l’audizione e così, per un po’ di relax, abbiamo fatto una partitella a calcio e fatto un giro in spiaggia. Eravamo tutti molto emozionati perché avevamo tutte le potenzialità per vincere ancora è stata un buon risultato, ma potevamo fare meglio. Ma l’importante, al di fuori del concorso e del punteggio, è che durante l’anno ci siamo dati molto da fare e che questo ci è servito per ottenere grandissimi risultati. Noi e il nostro prof. siamo soddisfattissimi del lavoro fatto quest’anno, perché è stato davvero un gran bel lavoro. Dopo l’audizione, abbiamo visitato la cittadina, poi siamo tornati al Club per le premiazioni. I pianisti sono arrivati alcuni secondi e alcuni terzi, mentre noi primi, con 95/100. Dopo le premiazioni, siamo andati a mangiare una pizza tutti insieme e poi siamo ripartiti, destinazione Voghiera, esausti ma soddisfatti, come tutti gli anni. Gabriele Battocchio Giulio Belletti Nico Marzocchi una volta il primo premio assoluto, ma anche un po’ impauriti e tesissimi, come si è normalmente prima di un’audizione o un saggio. Nonostante tutto, durante la prova abbiamo sbagliato poco e il nostro punteggio finale è stato 95 su 100. A nostro parere, “Pierino quanti anni hai?” “Otto, ma li porto benissimo.” “E perché?” “Perché la mia maestra dice sempre che ne dimostro due!” La maestra interroga Pierino. “Sapresti dirmi l’alfabeto a memoria?” “Certo: B, C, D, E, F …” “No, no. Prova ancora.” “B, C, D, E, F …” “Nooo. Non ti accorgi che sbagli!? Riprova su.” “B, C, D, E, F …” “No, no, no. Ora vai dietro la lavagna finché non ti accorgi del tuo errore!” Pierino ubbidisce, ma dà una craniata pazzesca contro la lavagna e grida: “AAAAAAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHH!” “Bravo Pierino. Hai capito in cosa sbagliavi!” “Mamma, mamma… lo sai che ho scritto un tema così bello che la prof si è commossa?” “Davvero!!!” “Sì, ha detto che faceva proprio pietà!!!” Durante un laboratorio teatrale: “Allora ragazzi, la nostra lezione finisce qui. Come compito a casa farete una cosa piuttosto insolita: dovrete guardare la televisione e, per ogni canale, domani mi illustrerete che cosa avete visto.” Pierino torna a casa tutto contento e si mette a guardare la TV. Su RAI 1 davano un film dove il protagonista, un bambino, compiva gli anni; su RAI 2 un programma di canzoni in dialetto romanesco; su RAI 3 la pubblicità di articoli per neonati e su Rete Quattro un film che aveva per protagonisti dei super eroi. Il giorno dopo Pierino si presenta davanti alla professoressa e comincia a cantare: “Tanti auguri a te, tanti auguri a teeeee….” “Pierino, oggi non è mica il mio compleanno.” “Ma che ce frega, ma che c’emportaaaaa…” “Ma come osi!? Guarda che ti mando dal direttore!” “Col passeggino Chiccolino si va più veloci!!!” “Ma chi ti credi di essere?” “SUPERMANNNNNNNNNNNN!!!!!!!!!!” Milo Battaglia CONCORSO “ENRICO ZANGARELLI” A CITTÀ DI CASTELLO Giovedì 7 maggio la nostra scuola ha partecipato alla 21^ edizione del concorso “Enrico Zangarelli”, che si è svolto a Città di Castello. Siamo partiti alle 6 e 30 del mattino dal piazzale di fronte alla scuola, abbiamo viaggiato con 2 corriere: su una c’erano i genitori e i parenti degli studenti; sull’altra c’eravamo noi e i nostri professori accompagnatori: i proff. Paolo Rosini, Massimiliano Urbinati, Domenico Urbinati e Paolo Gioachin. Prima della partenza, ho scoperto che la mia compagna di classe Alessia Benetti era ammalata e non poteva venire. Alessia faceva parte del mio quartetto di chitarra, composto da me, Alessia, Martina Patti e Daniele Sovrani. Di conseguenza non avremmo potuto esibirci nel quartetto, dopo aver fatto tanti sforzi per prepararci al meglio. Il viaggio è durato circa 4 ore. Dopo un po’ che eravamo partiti, il prof Rosini ha chiamato l’altro quartetto di chitarra, composto da Laura Vignali, Cristian Cestari, Martina Luciani e Valentina Bortolotti, perché provassero vocalmente i loro pezzi di insieme. A circa 70 km da Città di Castello, ci siamo fermati ad un autogrill, dove ho mangiato un gustosissimo muffin al cioccolato e anche i miei compagni si sono ristorati. Siamo arrivati a Città di Castello alle ore 10 circa. Ero un po’ preoccupato e…accaldato. Successivamente, dopo aver preso i nostri effetti personali, ci siamo disposti in cerchio in un piazzale davanti alla scuola media “Dante Alighieri” e, in 50, abbiamo urlato la “formula segreta” che ci porta fortuna. Dopodiché abbiamo cercato le aule destinate alle esibizioni dei vari strumenti musicali. Noi chitarristi siamo saliti al 1° piano e siamo entrati nella classe B1. Appena entrati, un giudice ha pronunciato “Baldi Enrico”; mi sono bloccato per qualche istante e poi ho dovuto esibirmi. Mentre stavo suonando, “grondavo” letteralmente di sudore perché il sole mi batteva sulla nuca. Prima della esecuzione dei pezzi ero molto agitato ma, una volta seduto, mi sono un po’ calmato, ma non del tutto purtroppo. Comunque credo di essere andato abbastanza bene nonostante qualche incertezza. Quando tutti i solisti di chitarra di 1^ media avevano terminato la loro esibizione, siamo andati nell’aula a pian 4 terreno H1, dove il mio quartetto si è esibito con il prof. Rosini (che sostituiva Alessia) ma fuori concorso. Prima di noi, si era esibito l’altro quartetto di chitarra che ha ottenuto il 2° premio. Dopo aver finito di suonare, sono andato a pranzare con i miei parenti umbri e i miei genitori. Dopo aver pranzato, ho guardato le esibizioni di altri ragazzi che suonavano strumenti diversi e che hanno terminato nel tardo pomeriggio. Le premiazioni sono iniziate verso le ore 19. Io, con grande stupore e soddisfazione, mi sono classificato 3°. Dopo le premiazioni, siamo partiti per tornare. Il viaggio di ritorno è stato un po’ noioso e lungo. Siamo infatti arrivati a Voghiera molto più tardi del previsto, circa alle 2 di notte. Quello che non dimenticherò mai di questa esperienza è stata l’emozione di dover iniziare a suonare per primo e di dover rompere il ghiaccio. Enrico Baldi “Pierino dove vivevano gli antichi Galli?” Pierino: “Negli antichi pollai!” Diego Maestri La prof entra in classe e dice: “Ragazzi, oggi finiamo l’argomento cominciato ieri mattina e vi parlerò del calcio.” Francesco salta su e dice: “Prof io so già tutto dell’argomento… me ne ha parlato ieri pomeriggio il mio mister all’allenamento!” La bidella entra in classe e dice agli alunni: “Ragazzi ricordatevi che oggi avete il rientro.” Appena finite le lezioni la bidella vede Danilo e Pietro che entrano ed escono dalla porta della scuola… Sbalordita chiede: “Cosa state facendo??!!” E Danilo: “Stamani ci hai detto che oggi c’era il rientro!!” Novella Parolini 77 Testi umoristici (Alla maniera di Stefano Benni) Concorsi, concerti e lezioni CITTÀ DI CASTELLO 2009 IL SECCHIONE − − − − − − − Entra in classe dalle finestre. Quando arriva non c’è ancora nessuno Sul banco è tutto in perfetto ordine. Se qualcosa non è al suo posto ha una crisi di nervi. Ha un set di trenta matite sempre super appuntite. Se una si spunta, butta via la matita. Alza la mano sempre per primo, anche se la prof non ha ancora fatto la domanda. In 1a media sapeva già tutto il programma … anche quello di 3a media. Quando la prof lo interroga incomincia a parlare dopo il suo VIA! Smette solo quando lo portano via in barella. Non riprende il respiro. Se sbaglia qualcosa nell’interrogazione dà la colpa all’autore del libro: è un incompetente! Elena Tamisari Il 7 maggio 2009, io, alcuni miei compagni di scuola, i professori e alcuni genitori, siamo andati a Città di Castello, in provincia di Perugina, per partecipare ad un concorso musicale. E’ stata una giornata particolare: la sveglia è suonata alle 5:00 e, quando mi sono alzato dal letto, ero in “coma”…. Siamo partiti da casa alle 6:00 per essere davanti alla scuola alle 6:15. arrivati mi sono messo subito a cercare i miei amici; una volta trovati, ho cominciato a parlarci, chiedendo se erano stanchi, in tensione o se avevano paura di sbagliare davanti ai giudici. Dopo un po’ di chiacchiere, l’autista del pullman ci ha detto di mettere gli zaini negli appositi scompartimenti, ma, prima di mettere il mio, mi sono preso la PSP con tutti i miei giochi. Saliti sul pullman, in ordine alfabetico, mi sono seduto di fianco ad Alessandro, davanti a noi c’erano Frighi e Ferrari. Siamo partiti alle 6:30. il viaggio è durato circa quattro ore e io Ale e Ferro abbiamo giocato quasi tutto il tempo con le nostre PSP… mi sono molto divertito! Arrivati a Città di Castello, tutti noi (alunni e prof.) abbiamo urlato il nostro rito scaramantico: « MERDA! MERDA!! MERDA!!!» Dopodiché siamo andati con i rispettivi prof. e abbiamo subito assistito all’audi- zione del duetto di Forlani e Passantino… sono stati bravissimi!!! Finita la loro audizione il prof. ci ha detto di riposarci nel giardino e che saremmo dovuti andare nell’aula delle audizioni nel momento della pausa pranzo dei giudici, per poter provare i vari brani che avremmo dovuto eseguire facendo tesoro degli ultimi suggerimenti del prof.. Quindi io, Rizzo e la Vassalli con la supervisione di mia mamma, della mamma di Rizzo e di quella della Vassalli, siamo andati a riposarci. Io e Rizzo abbiamo giocato con le nostre PSP e ad un gioco stupido: lanciare le carte da gioco e poi andarle a riprendere. Dopo un po’, alle 12:30, abbiamo pranzato con dei panini che ci siamo portati da casa; la mamma di Rizzo mi ha anche offerto metà panino con la nutella ed io, ovviamente,ho accettato ringraziando. Finito di pranzare, io e Rizzo, siamo andati a fare una passeggiata fuori dalla scuola e siamo andati ad un bar a prenderci un gelato. Tornati in giardino abbiamo giocato a muretto. Più il tempo passava, più aumentavano tensione, paura e agitazione. Mancava poco alla mia audizione, circa mezzora. Dato che mancavano molti ragazzi, ho suonato subito… siamo entrati nell’aula dell’audizione, eravamo io, più tutti gli amici e i genitori. Ad effettuare l’audizione eravamo in tre: io, la Cate e Forlani, eravamo della categoria A2. era il turno di Forlani, è stato molto bravo, si è meritato gli applausi. Dopo toccava alla Caterina, è stata molto brava e si è meritata molti applausi, infine toccava a me… mi sono agitato, ero molto nervoso, ma appena mi sono seduto sulla panchetta, mi sono subito rilassato, ho eseguito i miei brani con calma e, infine, dovevo suonare il brano d’obbligo: “L’antica canzone napoletana”. Tutta l’audizione è andata abbastanza bene. Alla fine di tutto hanno fatto le premiazioni… io sono arrivato al 4° posto con 84 punti!!! Sono stato molto contento del mio risultato. Dopo che il mio punteggio è stato annunciato, sono andato a giocare a muretto con i miei amici. Le premiazioni sono durate circa due ore. Finite tutte le premiazioni, siamo partiti per tornare a Voghiera. L’unica nota stonata della giornata, è stato il ritorno, perché abbiamo cambiato strada due o tre volte per lavori in corso. Arrivati a Voghiera alle due di notte siamo andati tutti a casa stremati. E’ stata un’esperienza da ripetere. Giovanni Zagagnoni CITTÀ DI CASTELLO IL “TRADIZIONALE” − − − − − − − Arriva a scuola sempre in orario. Nove volte su dieci ancora in pigiama. Ha sempre i libri in ordine. Le penne sempre … a terra. Ha una dozzina di matite (tutte avute in prestito!). Alza la mano dieci volte … all’anno. Alla fine della 2a media non conosce ancora il programma dei cinque anni della scuola primaria. Quando viene interrogato apre solo la bocca e non dice una parola, facendosi credere …muto. Spesso ci crede anche lui. Se sbaglia qualcosa durante un’interrogazione è colpa della prof: l’ha confuso. Elena Tamisari IL PIGRO − − − − − − − Arriva a scuola come un sonnambulo: si guarda in giro, poi esce credendo di avere un incubo. Non c’è mai ordine sul suo banco. A volte non trova neanche quello. Per prendere una matita, la cerca… nel cappotto. Alza la mano molte volte al giorno … per grattarsi sotto le ascelle. Tutte le volte che sbaglia alza le spalle dicendo: “Sbagliando s’impara.” Per giustificarsi di non aver studiato inventa scuse assurde: “Il mio cane ha rincorso il gatto, che si è aggrappato al mio diario, che si è strappato, e non sapevo quali compiti fare. Se vuole le porto i fogli ridotti a striscioline…” Il giorno dopo scrive i compiti sui post-it. All’esame di 3a media espone ai prof la storia di … Paperino. Quando saprà di non essere stato promosso, si chiederà perplesso PERCHÉ? Elena Tamisari 76 Giovedì 7 maggio 2009 i miei compagni ed io abbiamo partecipato ad un Concorso musicale in Umbria, più precisamente a Città di Castello. Il ritrovo davanti alla scuola era previsto per le 6:00, ma io sono arrivato per primo già alle 5:45. I professori accompagnatori erano: Domenico Marcello Urbinati, Massimiliano Urbinati, Rosini Paolo e Gioachin Paolo. Subito dopo di me è arrivato mio cugino Cristian e, prima che arrivasse il pulman, sono stato in macchina con lui. Arrivato il pulman, verso le 6:15, abbiamo caricato le nostre cose nel portabagagli e siamo saliti. Il viaggio di andata è stato divertente… Ad un certo punto ci siamo fermati all’Autogril, abbiamo mangiato un panino e siamo ripartiti. Verso le 10:00 siamo arrivati a destinazione presso la Scuola Media “Dante Alighieri”. Si fa fatica e credere, ma non ero emozionato. Poi, prima di suonare, abbiamo detto il nostro grido scaramantico: << M***A- M***A- M***A >>. Subito dopo, abbiamo preso le nostre cose e ci siamo recati in una sala per le prove. Io e i miei compagni eravamo i primi a suonare. Dopo 5 minuti veloci di prove, siamo entrati in un'altra aula dove ci aspettavano dei giudici. Mentre suonavo ero calmo e pensavo solo ad ascoltare il mio compagno e ad eseguire la mia parte. Alla fine penso di aver suonato bene. Poi, per il resto del giorno, sono andato a 5 giocare e non ha fatto altro di importante. Nel primo pomeriggio il mio professore di clarinetto ci ha chiesto se volevamo andare a fare un giro per il paese, poi ci ha offerto il gelato. Alla sera ci sono state le premiazioni, io e il mio compagno siamo arrivati terzi con 89/100. Quando hanno chiamato il mio nome e quello del mio compagno ero contentissimo. La nostra scuola è arrivata prima e i clarinettisti primi assoluti con 99/100. Il viaggio di ritorno è stato altrettanto bello e io ho dormito un po’, ma era difficile visto che c’era qualcuno che mi svegliava sempre. Ci siamo fermati all’ Autogrill e alle 2:00 circa eravamo a casa. Sicuramente di questa esperienza non dimenticherò quando hanno chiamato il nome della scuola e che i clarinettisti si siano classificati primi assoluti; l’emozione di quel momento per noi tutti era altissima ed io, insieme agli altri, ho pensato di aver tenuto alto l’onore della mia scuola. Claudio Miccio Concorsi, concerti e lezioni Testi umoristici (Alla maniera di Stefano Benni) “ULTIMA VOLTA” A CITTÀ DI CASTELLO Giovedì 7 maggio, noi ragazzi della scuola media di Voghiera, tutti elettrizzati, siamo partiti per andare al concorso di Città di Castello a cui partecipiamo tutti gli anni. Abbiamo caricato sul pullman gli strumenti e siamo partiti. Durante il viaggio abbiamo cantato dei canti tradizionali come: ” Là nella valle” o “ Sul paion” e tante altre canzoni. Il tempo era stupendo non c’era neanche una nuvola in cielo. Quando siamo arrivati abbiamo fatto il rito scaramantico (suggerito dal prof. Rosini Paolo); a questo punto ci siamo divisi per strumento. I primi a suonare sono stati quelli di prima ed erano emozionantissimi perché per loro era un esperienza totalmente nuova e hanno suonato davvero bene; poi è toccato a quelli di seconda suonare e anche loro erano agitati, ma hanno suonato bene anche loro. Nel frattempo è arrivata l’ora di pranzo e così verso le 13.00 siamo usciti nel retro della scuola e siamo andati a mangiare e giocare. Finito di mangiare, almeno per quanto riguarda i chitarristi, siamo andati a provare in un’aula aspettando che arrivasse la commissione, abbiamo suonato fino alle 16.00 poi siamo andati davanti dalla commissione a suonare: mentre suonavo provavo un’emozione fantastica, speciale: pensavo che quel momento sarebbe stato l’ultimo, l’ultimo ricordo delle scuole medie. Finito di suonare siamo usciti e abbiamo aspettato le 19.00 per sentire le premiazioni, e in quell’ arco di tempo abbiamo giocato e riso e conosciuto altri ragazzi provenienti da altre scuole d’Italia. Alle 19.00 sono iniziate le IL SECCHIONE premiazioni: tutti i ragazzi della scuola media di Voghiera si sono qualificati ai primi posti; io mi sono piazzata al secondo posto con 90 punti su 100. Alcuni ragazzi delle prime si sono molto emozionati e tutti siamo stati contenti dell’esito che abbiamo ottenuto. Alle 21.00 siamo partiti per tornare a casa. Lungo il tragitto abbiamo letto dello dediche ai prof. di musica che ci hanno accompagnato in queste esperienze. Questa per alcuni di noi è stata l’ultima volta e volevamo far sapere loro quanto ci era servito il loro insegnamento. Siamo arrivati a casa verso le 02.00 della notte. Questa giornata sarà un ricordo che rimarrà impresso per sempre dentro di me. Ilaria Piazzi UNA LEZIONE SUL TEATRO Martedì 9 Dicembre il Prof. Urbinati Domenico ci ha presentato una lezione sul teatro. Dai greci ai romani, dal Medioevo al Rinascimento, dall’ ‘800 ai giorni nostri il teatro ha rappresentato da sempre un luogo di ritrovo, di conversazione, ma soprattutto di spettacolo. Abbiamo le prime testimonianze di teatro con i greci; inizialmente il teatro non era considerato luogo di spettacolo ma di culto. Il teatro greco aveva una caratteristica principale: doveva contenere il maggior numero di persone, infatti veniva costruito su colline naturali, dove venivano ricavate gradinate (il teatro di Dioniso e di Epidauro ci danno un esempio della grandezza dei teatri greci con circa 10000 posti). Nel teatro greco si dava molta importanza all’attività coreutica (ballerini, cantanti), che veniva realizzata in uno spazio circolare che era il fulcro del teatro; mentre il palco era distaccato dall’orchestra dando alla tragedia o alla commedia un’importanza di secondo piano. Pur avendo un ruolo di secondo piano, gli attori erano apprezzati ma soprattutto favoriti, difatti non pagavano le tasse ed erano esonerati dal servizio militare. I greci capirono due cose fondamentali: la prima era che la propagazione del suono avviene in modo sferico, quindi incominciarono a costruire i teatri a forma circolare, e poi introdussero maschere per amplificare il suono. Con i romani si ha una trasformazione radicale del teatro, infatti diventò più un monumento che luogo di culto, non si costruì più su colline ma si ricavò dal nulla, la forma da circolare diventò semicircolare, lo spazio diventò polifunzionale, si diede più spazio agli attori, infine si incominciò a costruire scene fisse, ad esempio con colonnati. Il teatro romano era gratuito e vi potevano accedere tutti, anche gli schiavi, cosa che i greci non permettevano; naturalmente più la classe sociale era alta più il posto era vicino al palcoscenico . Curioso era il comportamento del pubblico, che era molto incivile e maleducato. Con il Medioevo il teatro si sposta nei luoghi pubblici, come le piazze, o vi è il riutilizzo delle strutture romane; molto spesso nel Medioevo venivano usati impalcature di legno che venivano montate e smontate (da qui il nome palco). Nel Rinascimento ci fu un ulteriore spostamento del teatro che, dai luoghi pubblici, si spostò nelle sale ma soprattutto nelle corti. Il Rinascimento portò ulteriori innovazioni: la platea divenne uno spazio utilizzabile e vi fu un’ evoluzione del palcoscenico, l’unico aspetto negativo fu che non era più uno spazio aperto a tutti, ma solo a chi faceva parte della corte o a chi disponeva di una certa quantità di denaro. E’ molto interessante sapere che il primo tetro venne costruito a 6 Ferrara, che allora era tra le corti più raffinate. Tra ‘600 e ‘800 si ha l’ultima evoluzione del teatro e la consacrazione del teatro all’ italiana. Si ha un’evoluzione in vari settori: nel modo di scrivere, perché dal melodramma ( che oltretutto era molto costoso) si passò all’opera, un’insieme di canto e ballo, ai gradoni si preferì l’uso di palchi dove dietro c’erano anticamere o dependance nelle quali i ricchi giocavano d’azzardo , facevano affari soprattutto durante le repliche di uno spettacolo. Spesso, durante le repliche, venivano chiuse le tende dei palchetti per permettere alla gente di fare ciò che voleva, venivano riaperte nei momenti più importanti dello spettacolo. Il teatro diventa un luogo pubblico, si ha bisogno di uno spettacolo coinvolgente che non piaccia solo al signore ma a tutti. L’ultima ma forse l’innovazione più importante fu la comparsa del diritto d’autore, soprattutto grazie a Verdi. La comparsa del diritto d’autore ridusse tantissimo la produzione teatrale e musicale, inizialmente si chiedevano in continuazione opere al compositore che veniva pagato solo per il testo; con il diritto d’autore, le opere del compositore venivano fatte risentire a distanza di mesi e il compositore riceveva più soldi se la sua opera aveva fatto successo. Nell’800 il teatro in Italia ha avuto una diffusione grandissima, diventando il fulcro delle città e dei paesi. Della lezione del prof D.M. Urbinati ho trovato particolarmente interessante il comportamento del pubblico nelle varie epoche storiche. Raffaele Squarzoni − − − − − − − Si trova già in classe, ancora prima che suoni la campanella. Prima delle verifiche è sempre tranquillo, infatti conosce a menadito tutto il libro, compreso l’editore e le referenze fotografiche. Scrive velocissimo e talvolta supera il muro del suono. Nelle interrogazioni è il primo ad offrirsi volontario e parla a raffica, senza neanche sapere che si è dilungato troppo e che sta parlando… della coltivazione dei kiwi. Quando suona la campanella dell’intervallo è triste perché vorrebbe continuare la lezione. Il suo astuccio contiene di tutto: dalle normali penne a sfera al calamaio portatile. Riconosce i libri ad occhi chiusi e li apre sempre alla pagine giusta, anche utilizzando i piedi. Matteo Forlani IL MEDIO − − − − − − − Entra in classe con indifferenza e cerca di nascondersi sotto il banco. Prima delle verifiche è molto teso: non riuscirà a scrivere tanto a causa di una tremarella incontrollabile. Scrive con calma e deve riflettere un quarto d’ora dopo ogni parola. Nelle interrogazioni perde sempre la voce o fatica a ricordare il proprio nome quando viene chiamato dal prof. Quando arriva l’intervallo è felice perché può finalmente mangiare i dieci snacks al cioccolato che ha nello zaino. Il suo astuccio è stracolmo e talvolta scoppia mentre cerca di recuperare il tappo della penna scivolato sotto. Non sa nemmeno che libri ha nello zaino e impiega dieci minuti per trovare la pagina giusta. Un’ora con i piedi. Matteo Forlani IL PIGRONE − − − − − − − Entra in classe mezz’ora dopo l’inizio della lezione e si giustifica dicendo che gli alieni hanno sabotato la sua sveglia. Ride. Prima delle verifiche è calmo: non gli importa il voto che prenderà perché sa che non è colpa sua, ma di una antica maledizione Maya che gli impedisce di studiare. Scrive così lentamente che la penna è più veloce di lui. Nelle interrogazioni ha sempre le stringhe delle scarpe slacciate e deve continuamente allacciarle. Quando suona la campanella dell’intervallo è contento perché può finalmente imitare Pelé con le palline di carta stagnola. Non ha l’astuccio: scrive con le punte delle matite trovate per terra e cancella con un pezzetto della suola gommosa delle sue scarpe. Dimentica regolarmente i libri tutti i giorni pari e quando li porta non riesce mai ad aprirli alla pagina giusta perché le sue mani sono specializzate solo nell’impugnare il joystick. Matteo Forlani 75 L’angolo del poeta in erba (Filastrocche) Concorsi, concerti e lezioni UNA POSTER PER LA PACE LA VECCHIETTA, LA BORSA E IL FURFANTE IL MIO CANE CAPPUCCETTO L’altro giorno dal bosco È spuntato un tipo losco. Ha derubato una vecchietta Rubandole la borsetta. La polizia è intervenuta Dopo aver visto l’accaduto. Ha rincorso in lungo e in largo il furfante Che, però, era nascosto nella tenda di un mercante In lungo e in largo lo hanno anche cercato Ma mai lo hanno trovato. La vecchietta ormai si è rassegnata A lasciare la sua vecchia borsa, mai più trovata. Ora però è di nuovo felice Con la sua nuova borsa di vernice E il furfante tonto ricercato, è stato arrestato. Il mio cane era bello ma abbaiava tutte le ore era sempre vicino al cancello per aspettare le signore. Mentre queste passavano in fretta lui abbaiava a squarciagola e tutte quante scappavano in fretta e lui rimaneva con l’ abbaio in gola. Nel verde del bosco Nel punto più cupo con fare assai losco spunta un bel lupo. Solo soletto Si deve sbrigare a cercar Cappuccetto: la deve mangiare! Martina Maggi Enrico Balzeri Alice Vassalli PER MASCHI E FEMMINE O BELL’ ARCOBALENO IL GATTO MATTO Ecco una farfalla che si appoggia su un fiore dai farfalla, balla dalle rose alle more. Amiamo la danza e l’incanto o un vestito di rose ascoltami mentre canto col abito da sposa. Ora per macchinine, calcio, calciatori o anche diavoletti e mostri non ricordiamo più gli sciatori? Ehi femminucce quelli sono nostri. Noi non abbiamo tempo per leggere noi amiamo giocare … … tacere tacere!! O bell’ arcobaleno tutto colorato che vieni a ciel sereno ed il temporale, via ti sei portato. Tu vedi passerotti usignoli e colibrì cocci di temporali rotti e cieli stellati tutto il dì Tu che stai lassù e vedi tutto così amaro ma non ti disperare più non scomparirai per un temporale avaro. Per te manderei qualche farfalla o magari perché no qualche fata insieme ad una nuvola che con te balla. Tanto ormai la tempesta è passata. C’era una volta un gatto matto che correva dietro a un ratto. Egli se ne accorse e per sfuggire a quella belva si rifugiò in una selva. Qui quel ratto incontrò un gran bestione: un leone con un gran vocione. Con il suo ruggito a tutte le creature del bosco fece un “invito”. Come uno squadrone si organizzarono e quel gatto matto pestarono tanto che da matto divenne un piatto. Ora ANTONIO qui finisce le strofe e BUONA ESTATE augura a compagni e profe. Zhara Atti Un venerdì, durante l’ora d’arte, la prof. Fidora fece a me e ai miei compagni di classe una proposta: partecipare ad un concorso intitolato “Un poster per la pace”. Consisteva in un disegno che rappresentasse la pace nel mondo; io ed altri miei compagni abbiamo accettato di partecipare. Inizialmente non avevo nessuna idea, ero indecisa se disegnare un bambino con diverse carnagioni o rappresentare la Terra; nella mia indecisione cercai l’ispirazione e...ecco !! un autoritratto, ma con qualche anno in meno, mentre abbraccio il Mondo, perchè il mondo è prezioso e non bisogna consumarlo con le guerre. Ho poi rappresentato, seduti sulla Terra a gambe incrociate, quattro bambini di nazionalità diverse: un bambino cinese, uno eschimese, un’ indiano d’America e un bambino africano con i loro vestiti tipici mentre si tengono per mano in segno di uguaglianza, di fratellanza e in segno di amicizia. Per far risaltare il mondo ho usato colori vivi e molto brillanti; infatti nel mio autori- tratto indosso una maglia a strisce colorata dei colori della pace. Lo sfondo ha una base color verde acqua e in alto ho colorato un bell’ arcobaleno; tutto il disegno è colorato interamente a pastello escluse alcune sfumature a tempera azzurra e bianca nello sfondo per dare il senso di movimento. Con questo disegno ho vinto il primo premio nella scuola e quindi sono stata invitata assieme ai miei genitori ad una cena di premiazione. La sera del 16 aprile , con i miei genitori e le prof. Paola Trevisani e Patrizia Fidora siamo andati ad una cena organizzata dal Lions club di Portomaggiore, l’organizzatore del concorso. Appena arrivati ci hanno fatti accomodare in una sala dove c’erano un buffet con gli antipasti (pizzette, salatini , patatine, pezzi di pizza…) e dopo l’arrivo del governatore ci hanno fatto sedere a tavola: noi ragazzi tutti in un tavolo, i genitori in un altro e così dicendo. Prima di cenare hanno suonato l’inno d’Italia e l’inno del Lions poi c’è stato il discor- so d’apertura alla serata. Dei ragazzi seduti al mio tavolo ne conoscevo solo: Cecilia, vincitrice della scuola di Portomaggiore, e sua sorella maggiore Alessia, tutti gli altri li ho conosciuti a quella cena; i loro nomi sono: Erica, Giurai e Alessandro con suo fratello minore. Finita la cena ci hanno premiati:ci hanno chiamati uno a uno dal governatore per fare le fotografie mentre ci consegnavano i nostri disegni, le targhette di vetro di Murano e due attestati, uno per la scuola e uno per noi. Quella sera mi sono divertita tantissimo e ho fatto nuove amicizie, l’unica cosa che non mi è piaciuto è stata la cena perché era quasi tutto a base di asparagi e a me non piacciono. I professori fanno molto bene a far partecipare gli alunni a questi concorsi perché sono divertenti e istruttivi. Elena Tralli Lucrezia Ghirotto Antonio Pavani LO SQUALO GIOCHERELLONE L’ELETTRICITÀ LA JUVE Lo squalo giocherellone era tutto nero, era un pestiferone e si chiamava Calimero. Il suo gioco preferito era fare salti mortali e scivolare sulle rocce di granito negli splendidi fondali. La sua famiglia era tranquilla e viveva spensierata perché beveva spesso camomilla con la limonata. Va in qua e in là l’elettricità, come un carro colmo di felicità. Entra in tutte le stanze della casa e perfino nei laboratori della NASA! Insomma questa energia pulita È per noi la nostra vita. Ma si può sprecare così si deve graduare! La juve, la juve è bianco- nera perché la juve, è la più vera. La juve non si ferma davanti a niente perché sembra in caserma e non sono delle polente Jacopo Tura Giada Bottazzi Michele Canneto 74 ENERGIE RINNOVABILI Venerdì scorso abbiamo avuto la lezione TELLUS basata sulle energie rinnovabili. Energia rinnovabile significa che viene generata da fonti che per la loro caratteristica si rigenerano o non sono “esauribili”. Spesso le energie rinnovabili hanno sinonimi come “energia sostenibile” e “fonti alternative di energia”. L’energia sostenibile produce e usa dell’energia per l’aspetto degli usi energetici; le fonti alternative di energia sono tutte quelle diverse dagli idrocarburi cioè non fossili. Le energie rinnovabili non contribuiscono all’aumento dell’effetto serra. Per creare dell’energia rinnovabile si usano spesso dei rifiuti solidi urbani o materie prime non fossili. Poi abbiamo anche parlato del Protocollo di Kioto che è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il riscaldamento globale. Nei paesi dove ci sono le industrie si devono ridurre gli elementi inquinanti (biossido di carbonio, metano, ossido di azoto, idrofluorocarburi, per fluorocarburi e esafluoruro di zolfo). Le fonti di energia di biomassa sono costituite dalle sostanze animali e vegetali che possono essere usate come combustibili per la produzione di energia. Poi ci hanno anche spiegato come si ricava l’energia elettrica: si mette la biomassa dentro un digestore nel 7 quale si sviluppano microrganismi che con la fermentazione dei rifiuti formano il biogas. Dopo essere stato depurato, il biogas può essere usato come carburante, combustibile per il riscaldamento e per la produzione di energia elettrica. Questa lezione è stata molto importante e mi ha fatto capire che se usiamo troppa energia è sicuro che incomincia il surriscaldamento globale quindi, per il bene di tutti, è meglio consumare poca energia. Diego Maestri Visite guidate e viaggi di istruzione L’angolo del poeta in erba (Favole in rima) VISITA ALL’AZIENDA AGRICOLA “IL SERRAGLIO” LA VOLPE E IL CORVO Martedì 23 settembre, noi alunni delle classi 2^E e 2^F abbiamo visitato l’azienda agricola “IL SERRAGLIO” di Ospital Monacale, in provincia di Ferrara. Appena siamo arrivati Marco, il proprietario, ci ha detto che l’azienda, condotta anche dalla sua famiglia, è un’azienda multifunzionale ed ecologica, perchè si producono cereali (grano, orzo, mais), foraggio, pere, mele, pesche, ortaggi e, in misura minore, fragole, perché ci sono siepi, boschetti, uno stagno (cioè aree naturalizzate) ed anche una stalla e l’agriturismo. L’azienda è estesa su 27 ha e la S.A.U. (superficie agricola utilizzata) è di 22 ha. Successivamente abbiamo visto le siepi che circondano e attraversano l’azienda: esse frenano il vento e sono composte da alberi alti (noci, pioppi, querce, salici, olmi, aceri, carpini, gelsi, ...) alternati ad arbusti (ligustro, sanguinello, frangola, ...). In seguito abbiamo visto un prato di erba medica e il frutteto di mele (rosse, gialle e verdi) dove ci hanno spiegato che le erbe ai piedi degli alberi aiutano a fare frutti. saporiti e nutrienti, che si irriga con l’acqua del Po che confluisce nello stagno, che si usano veleni naturali per non annientare gli insetti, ma che quest’ultimi sono sotto controllo e che l’aumento delle zanzare è stato causato dalla diminuzione dei predatori di zanzare (rane, rospi, pipistrelli) che hanno portato ad uno squilibrio dell’ambiente. Dopo il frutteto di pere e quello di pesche ci sono stati mostrati gli stocchi di mais, che poi sarebbero diventati andane e infine rotoballe (da usare come lettiera o come mangime per gli animali) e le piante di farino (che rilasciano azoto); inoltre ci è stato spiegato che le coltivazioni di mais, farino, orzo e grano si alternano ogni anno in modo da creare una rotazione colturale quadriennale. Successivamente abbiamo visto il bosco, riserva di insetti, uccelli e animali selvatici e lo stagno, luogo di ripopolamento di alcune specie. Dopo aver fatto merenda con prodotti dell’azienda ci è stata mostrata la stalla composta da due zone: una con le mucche fattrici (fanno i vitelli e mangiano foraggio, fieno, erba medica, paglia, orzo, farino, mais) e l’altra con i vitelli (quelli grossi vanno al macello e successivamente in macelleria). Le mucche fattrici e i vitelli producono carne e letame; quest’ultimo, se gettato su un terreno, deve essere subito arato così da nutrirlo insieme ai raccolti che nasceranno. Penso che questa prima uscita del progetto TELLUS di quest’anno scolastico sia stata interessante ed entusiasmante perché ho capito com’è fatta un’azienda multifunzionale ed ho imparato molte cose nuove. Un corvo su un davanzale un pezzo di formaggio trovò e nella sua dimora lo portò. Mentre lo stava per mangiare arrivò una volpe che gli chiese di cantare. E lui per farla felice non si rese conto che era una volpe ingannatrice. Aprì la bocca e il formaggio si sfilò. E la volpe con un balzo l’afferrò. Le lusinghe fan piacere ma non sempre son sincere. Alle volte anzi spesso servon solo a farti “fesso”. Altea Poltronieri Matteo Forlani LA VOLPE E LA CICOGNA Una volpe un giorno una cicogna a cena invitò e un cibo liquido nel piatto versò. Lei molto appetito aveva ma mangiar non poteva. La cicogna a sua volta la volpe invitò e il cibo triturato in un vaso dal collo lungo infilò. Introducendo il becco essa si saziava, ma la volpe, non arrivando al cibo, digiunava. Il collo del vaso inutilmente leccò; La cicogna disse questo poi se ne andò: “Ognuno si deve rassegnare all’esempio che ha voluto dare” Ora l’insegnamento capirai: Se del male tu farai probabilmente in ugual misura lo subirai. PROGETTO “TELLUS”: LO ZUCCHERIFICIO DI MINERBIO Noi alunni della II F, il giorno 21/10/08 siamo andati a Minerbio (BO) per visitare lo zuccherificio. Dapprima il direttore ci ha invitato a stare in una sala in cui ci ha parlato del suo zuccherificio: ci ha detto di non immaginarci una fabbrica di cioccolata, ma uno zuccherificio in cui ci possono essere diversi odori. Ci ha parlato in generale della barbabietola da zucchero da cui si ricava lo zucchero e ci ha detto che la barbabietola ha due fasi: 1. Quella agricola. 2. Quella meccanica-industriale. La barbabietola si coltiva alla fine dell’inverno, cioè all’inizio della primavera e viene raccolta a metà estate. Ci ha spiegato che per arrivare dalla barba- bietola allo zucchero ci sono alcuni passaggi: 1. SEPARAZIONE delle foglie dalle radici. 2. LAVAGGIO: pulizia in acqua delle radici da terra e separazione di corpi estranei: pietre e erbe. 3. ESTRAZIONE del sugo zuccherino dal tessuto vegetale. 4. DEPURAZIONE del sugo zuccherino greggio mediante calce e anidride carbonica per precipitare impurezze insolubili: sali di calcio e proteine. 5. EVAPORAZIONE: concentrazione del sugo zuccherino depurato mediante evaporazione di gran parte dell’acqua. 6. CRISTALLIZZAZIONE: formazione di cristalli di zucchero nello sciroppo concen- 8 trato mediante ulteriore evaporazione di acqua. Quando siamo usciti abbiamo visto in che modo le barbabietole venivano portate allo zuccherificio dal camion. Poi abbiamo visto, però da fuori, dove venivano lavate e poi dove venivano tagliate in fettucce. Abbiamo visitato anche la centrale di controllo e anche la centrale termica dove si produce vapore ed elettricità. Prima di visitare la centrale termica siamo andati, con il direttore, in un laboratorio chimico, in cui ci ha fatto vedere che dalle fettucce si ricavano i sughi. Alessandro Zanzi Hassan Mohammad 73 L’angolo del poeta in erba (Poesie) Visite guidate e viaggi di istruzione VISITA AL TEATRO COMUNALE DI FERRARA TERREMOTO Ore 3.32 26 secondi di panico In strada, fuori e dentro casa. Persone, vite che scappano,corrono, fuggono. La terra trema e ci crolla addosso tutto. È il terremoto. il terremoto che ha portato con sé molti di noi Quel terremoto che ha lasciato dolore. Martina Piazzi LA TEMPESTA Il vento soffiava impetuoso, la pioggia cadeva a dirotto; i fiumi allagavano i paesi, le onde radevano al suolo ciò che incontravano. Distese di uffici distrutti da quella tremenda violenza assassina che uccide le persone come se fossero uccelli senza ali, senza dare la possibilità di scappare. Sono la tempesta Nico Marzocchi LA GUERRA RICORDI Tanti soldati cadevano ai miei piedi come petali di rose appassiti. I campi si tingevano di rosso dei corpi di quegli umili soldati; e io restavo inerte in questa situazione. Il rombo dei passi dei soldati diminuiva sempre ogni minuto. Le vite spezzate di quelle persone obbligate a far la guerra è una piccola malvagità dell’ uomo. Ricordi, nient’altro che ricordi Ricordi bellissimi che un giorno saranno tutto ciò che rimane della nostra vita, se non che la speranza di riviverli. Sarebbe bello poterlo fare, ma purtroppo non siamo padroni del tempo, siamo solo padroni di dargli un senso. Giulio Belletti Antonio Stracuzzi 72 Mercoledì 10 dicembre io e i miei compagni, accompagnati dalla prof.ssa Tosi e dal prof. Urbinati, alle 8:30 siamo saliti in pulmino e ci siamo recati presso il teatro comunale di Ferrara. Arrivati ci ha accolto Maria Grazia, la responsabile del teatro, che ci ha fatto accomodare in platea e ci ha parlato della storia di quest’ultimo. Innanzitutto questo teatro è stato realizzato nel 1798 da due architetti: Cosimo Morelli e Antonio Foschini su un progetto già preesistente di Antonio Campana, ci sono voluti ben 20 anni per realizzarlo, questo per rispettare i requisiti fondamentali di un buon teatro “all’italiana”: -prima di tutto la capienza (che in questo teatro è medio-alta), con circa 980 posti complessivi distribuiti tra la platea, al piano terra, due ordini di palchi, al primo e secondo piano, una galleria al terzo piano, ed infine al quarto ed ultimo piano il loggione. -poi un’altra fondamentale caratteristica era l’acustica: infatti, era molto diffuso andare a teatro per vedere degli spettacoli di canto e di lirica, per cui ci doveva essere un’acustica perfetta, che permettesse di sentire bene anche dal loggione. Per questo motivo il teatro è stato realizzato con materiali come il legno, il cartongesso ed il velluto, e la forma ellittica (con la presenza di una “curva” molto accentuata) , garantiva al suono di “scivolare”, e quindi di essere attutito e non di rimbombare. Inoltre nei concerti, al giorno d’oggi, il suono è ancora più “pulito”, grazie alla disposizione di speciale pannelli che permettono anche di amplificarlo. Infine c’è il palcoscenico, che può essere più o meno profondo, anche se quando si assiste a uno spettacolo non si ha la percezione della sua grandezza, infatti, coperti da innumerevoli tendaggi in ferro ci sono le numerose impalcature, in alto si trova il graticcio in legno, che risale alla prima apertura del teatro, con le carrucole che garantiscono il rapido cambio di scena e degli ambienti. L’orchestra si trova nella parte del teatro fra il palcoscenico e la platea, qui il pavimento viene abbassato e rimane visibile solo il mezzo busto del direttore d’orchestra, che si trova in una posizione più rialzata rispetto a questa specie di “buca”, che è nata da una rivoluzione del compositore tedesco Richard Wagner, che voleva creare uno spettacolo dove l’orchestra fosse nascosta, in modo che il pubblico dovesse puntare gli occhi esclusivamente verso lo spettacolo. Questo teatro, durante la II° Guerra Mondiale ha ospitato i tedeschi e, successivamente, fu rifugio per gli sfollati, è stato poi dichiarato inagibile e restaurato. Un successivo restauro per la sicurezza è stato effettuato nel 1989; è stata installata una parete frangifiamme che permette di isolare il fuoco in caso di incendio. Le uniche opere originali rimaste sono i dipinti sul soffitto del teatro e del ridotto e l’orologio sopra il palcoscenico che però è stato bloccato a causa del suo ticchettio che infastidiva gli spettatori durante lo spettacolo, il magnifico rosone sul soffitto è stato trafugato, anche il grande lampadario è andato perduto, il sipario invece è stato sostituito perché durante la guerra si è sgretolato e quindi non era più utilizzabile. Dopo questa approfondita spiegazione ab- biamo attraversato il palcoscenico (dove si stavano svolgendo dei lavori) e siamo andati nei camerini: Maria Grazia ci ha spiegato che i camerini sono disposti su due piani, al primo piano si trovano gli artisti principali, mentre il secondo piano e destinato ai gruppi. Dopo aver visto i palchi, la galleria ed il loggione ci siamo recati al “ridotto” ; è una sala dove un tempo, quando si andava a teatro, si discuteva di vari argomenti, infatti molte persone si annoiavano e molto spesso mangiavano e addirittura andavano per buona parte dello spettacolo in questo posto a discutere o a giocare, per tornare poi solo per vedere le scene principali e quelle più importanti. Infine abbiamo visto una sala di prova dello spettacolo, siamo poi tornati nell’ atrio principale e, saliti in pulmino, siamo tornati a scuola. La visita al teatro mi è piaciuta molto, la spiegazione è stata molto dettagliata ed interessante; consiglierei ad un mio compagno di vederlo perché è stata veramente una bella esperienza. Marta Scanavini VISITA AL TEATRO COMUNALE DI FERRARA!!! Il giorno 11 dicembre 2008 noi della classe 3°f ci siamo recati al teatro comunale di Ferrara. Arrivati abbiamo visto un momento di preparazione per uno spettacolo che sarebbe andato in scena la sera stessa. La signora Maria Grazia Soavi,che ci ha guidato per il teatro,ci ha fatto accomodare nella platea e ha iniziato a spiegarci un po’ le caratteristiche del teatro,ad esempio lo sfondo nero e le travi in legno(traveccio). In seguito ha iniziato ad illustrarci il teatro, nato nel 1798 e progettato da da tre architetti Giuseppe Campana, Antonio Foschini, Cosimo Morelli che volevano un teatro pubblico per soddisfare soprattutto 2 esigenze: -cercare di ospitare più persone possibili. -garantire una buona acustica. il teatro ha una forma ellittica,curva cosi che il suono riesce ad espandersi in maniera libera senza ostacoli. All’ acustica si aggiunge anche il materiale di legno molto ricercato in modo che possa garantire una buona acustica, può essere anche di cartongesso e di vel- luto. Altra caratteristica del teatro è la bocca dell’orchestra che cambia posizione a seconda dello spettacolo es: per lo spettacolo di lirica, lo spazio dell’orchestra viene fatto togliendo le prime 2 file della platea e poi si alza grazie ad un sistema idraulico. Nel teatro ci sono 5 ordini in cui sono presenti 23 salette ognuno, quelle centrali sono per le autorità. Abbiamo notato che in alcuni palchetti c’erano degli specchi, e Maria Grazia ci ha spiegato che venivano portati dai palchettisti cioè quelli che occupavano i palchetti Nell’ultimo ordine un tempo ci stavano al le persone di religione ebraica secondo le leggi razziali emanate nel 1938 durante il fascismo. L’acustica migliore si trova nel loggione, la parte più alta (e la più povera e si spende meno).Nel teatro oltre alla platea e al palco ci sono i camerini degli attori e 3 sale prove disposte una sopra l’altra, ospita anche dei laboratori per i ragazzi. Sono anche presenti le sale del ridotto dove durante 9 gli intervalli il pubblico può fare un break,oppure vengono utilizzate anche per riunioni. Purtroppo non siamo andati a vedere il palcoscenico perchè c’erano gli operai che stavano lavorando quindi per motivi di sicurezza non era il caso, però siamo andati a vedere “il sotto palcoscenico”, li abbiamo visto che c’erano delle travi che sostenevano il palco e il gruppo elettrogeno gestito da alcuni tecnici. Purtroppo la visita era conclusa e siamo dovuti ritornare a scuola, ma è stata una visita istruttiva!! Rachele Bucchi Silvia Cavolesi Giulia Righetti Visite guidate e viaggi di istruzione L’angolo del poeta in erba (Poesie) TUTTI ALL’IPERCOOP !!! Martedì 17 Febbraio noi della classe I E di Voghiera siamo andati all’Ipercoop di Ferrara, con la prof. Monici e la prof. Auletta. Questa uscita ci ha insegnato tante cose. L’attività si intitolava “In principio era Pong”, infatti abbiamo parlato di videogiochi. In un primo momento siamo entrati in una stanza, poi con Jacopo, il ragazzo che ci ha guidato, abbiamo scelto le carte che rappresentavano i giochi e le attività che facevamo di solito dopo le ore dedicate alla scuola. Ognuno di noi, poi, aveva un’etichetta per distinguere i nomi. Dopo le carte attività, Jacopo ha scritto una tabella divisa in quattro parti, dove ha scritto i diversi giochi, per esempio: nascondino, scacchi, dama, gatto, monopoli, calcio… Dopodiché, Jacopo ha spiegato con una fotocopia che i videogiochi, se non ci fosse stato Pong, il primo videogioco, non sarebbero esistiti. Pong compie 50 anni quest’anno: era un videogioco dove una pallina rimbalzava tra due “ pedine” che venivano mosse da chi giocava. Poi ci ha spiegato che il secondo videogioco inventato era Pac-man, una pallina che apriva e chiudeva la bocca per mangiare le bricioline per terra, ma doveva stare attento perché c’erano i fantasmi. Ogni volta che finiva le briciole si passava ad un altro livello. Il campo da gioco era un labirinto che, visto in un’altra posizione sembrava un supermercato. Qui è venuto il bello: Jacopo e le prof. ci hanno fatto giocare a Pac-man, ma nella realtà. Loro erano i fantasmi; c’erano quattro gruppi da quattro persone, e uno da cinque. Ogni gruppo aveva due Pac-man legati insieme da un elastico o dallo scotch, c’era un guidatore e un fantasmino. I Pac-man dovevano ascoltare solo gli ordini del guidatore e, se non lo rispettavano, il fantasmino li puniva, ad esempio facendoli stare immobili trenta secondi. Il mio gruppo era formato da: Teo, Giorgio, Irene ed io. Io facevo il guidatore, Irene il fantasmino, mentre Giorgio e Teo erano Pac-man. Jacopo ci spiegò che ogni gruppo doveva cercare i salvacoda del pane , del prosciutto e del pesce. Subito siamo partiti e, per due volte, abbiamo incontrato la prof. Auletta: la prima per colpa mia che non l’avevo vista e le siamo corsi addosso, la seconda siamo riusciti a fuggire. Senza problemi abbiamo preso i salvacoda, poi io e il mio gruppo ci siamo diretti nella corsia dei videogiochi, dove dovevamo prenderne uno e segnarci il prezzo. Dentro l’Ipercoop per poco ci perdevamo. Mentre gridavo: avanti! Destra! Sinistra! Gira, gira, gira! Siamo arrivati nel “campo base” con tutto il necessario. Eravamo i primi ma tanto non era una gara. Una volta arrivati tutti, abbiamo fatto merenda con succo, cracker e plumcake. Infine abbiamo parlato del denaro e di cos’erano le carte del Bancomat. Alla fine abbiamo capito che è meglio spendere 80€ per quattro palloni e giocare in 88, che spendere 82€ per prendere un videogioco e giocare in otto al massimo. Questa esperienza mi è piaciuta molto e trovo giusto quello che ci è stato detto. Ilaria Ferrari VISITA AL CIMITERO EBRAICO E ALLE SINAGOGHE Lunedì 16 marzo 2009, le classi 3E e 3F sono andate in visita al cimitero ebraico e alle antiche sinagoghe di via Mazzini. Anticamente a Ferrara era presente un numero considerevole di Ebrei che provenivano da altre parti d’Italia e da tutta Europa. Infatti, molto spesso, gli Ebrei venivano cacciati dai loro paesi e trovavano rifugio a Ferrara presso la famiglia degli Estensi che li accoglieva. A Ferrara si creò una comunità veramente numerosa e vennero costruite 4 sinagoghe: la Scola Italiana, la Scola Tedesca, la Scola Spagnola e la Scola Fanese. Gli Ebrei prosperarono fino a quando gli Estensi si trasferirono a Modena e Ferrara passò nelle mani dello Stato Pontificio. In quel periodo le condizioni degli Ebrei peggiorarono molto soprattutto quando, nel 1627, vennero rinchiusi nel ghetto con grandi restrizioni alla loro libertà. Infatti gli Ebrei potevano entrare e uscire dal ghetto solo entro una certa ora e dovevano portare drappi colorati o degli orecchini per farsi riconoscere. Con l’unità d’Italia il ghetto fu eliminato. Le condizioni degli Ebrei peggiorarono nel corso del ‘900 con le leggi razziali del 1938. Io e le due classi, accompagnati dalla professoressa Tosi, dal professor Urbinati e dalla professoressa Varriale, abbiamo visitato inizialmente il cimitero ebraico, anche se purtroppo non ci siamo trattenuti a lungo. Il cimitero era bello perché c’era molta vegetazione e abbiamo visto molte tombe tra cui una a forma di baldacchino dov’erano seppelliti due sposi, ma la più importante è quella di Giorgio Bassani, la cui lapide è stata realizzata da Pomodoro, uno scultore contemporaneo. Sulla tomba non c’erano fiori, bensì sassi perché questa è la regola della tradizione ebraica. Le tombe vengono scavate a una profondità di 6m e appartengono al morto per sempre. Siamo tornati indietro e poi ci siamo recati in via Mazzini, dove sono ancora visibili i segni dei cancelli del ghetto. Qui le due terze si sono divise e, mentre noi di 3E siamo entrati a visitare le sinagoghe, quelli di 3F hanno proseguito percorrendo le antiche vie del ghetto. Quando siamo entrati nella sinagoga tedesca, maschi e femmine si sono divisi: le femmine si sono sedute a sinistra, mentre i maschi si sono seduti a destra con il capo coperto. Questa sinagoga è un luogo di studio e di culto sin dal 1485 e gli Ebrei di tutta Ferrara e provincia attualmente si riuniscono in questo luogo perché è l’unica sinagoga presente. Sulla parete posta in direzione di Gerusalemme troviamo l’Aron che contiene la Torah, il testo sacro; questo è formato da una decina di rotoli e può essere letto solo da un rabbino, in presenza di almeno 10 uomini adulti. Situata a destra dell’Aron c’è una luce bianca, chiamata lume perenne, che indica che la Torah si trova all’interno dell’Aron. La comunità, una volta così numerosa, adesso conta circa 70 iscritti in tutta Ferrara e provincia. Poi ci siamo spostati nel museo e abbiamo visto che i rotoli della Torah sono ricoperti di stoffa e di corone d’argento. Ci è stato comunicato dalla guida che la lettura del libro sacro viene fatta in ebraico e il rabbino deve commentarlo; questo è possibile a seguito di 10 uno studio approfondito. La Torah non si può toccare e per tenere il segno si fa uso della manina indicatrice. Questo libro viene scritto a mano in Israele e, quando alcune parti del testo diventano illeggibili, il libro viene sepolto. Il ghetto venne istituito nel 1555, durante la dominazione dello Stato Pontificio; nel periodo compreso tra il 1627 e il 1859 gli Ebrei vivevano nel ghetto ma, quando uscivano, dovevano portare dei segni che li distinguevano dalle altre persone. Dall’Unità d’Italia al 1938 gli Ebrei si integrarono ed emanciparono, ma nel 1938 furono emanate le leggi razziali e per gli Ebrei la situazione peggiorò moltissimo. La Scola italiana, la più grande di tutte, ora non è più utilizzata. Nella parte sinistra della stanza troviamo molte finestre, mentre a destra troviamo l’armadio che un tempo ospitava la Torah. C’era un’altra Scola che però non abbiamo visitato: è quella Danese. Questa sinagoga è di dimensioni più piccole ma non l’abbiamo visitata perché la stavano ristrutturando. Siamo usciti di nuovo in via Mazzini ripercorrendo le vecchie strade del ghetto. Infine, prima di ricongiungerci agli altri, abbiamo mangiato una pizza e siamo ritornati al pulmino. A me questa uscita è piaciuta molto perché non avevo mai visto né il cimitero ebraico né le sinagoghe e li ho trovati molto interessanti ed istruttivi. Altea Gallerani IL MIO CANE IL MIO GATTINO Chi c’è migliore di lui…. Lui che è felice se lo degno di una carezza… Lui che gioca per farmi contento… Lui che è felice quando arrivo a casa… Lui che non dice una parola… ma con gli occhi ne dice tante… Lui che non mi tradirà mai… Lui che sarà mio amico per sempre… Il mio gattino, fa tante fusa poi si addormenta vicino al camino che pare una musa. Gioca come una bambino felice e spensierato quando correva nel giardino come nel passato. Nicholas Mantovani Sabrina Maresta IN MONTAGNA PRIMAVERA I prati si riempiono di mille colori è primavera e nascono i fiori il sole si accende e il cielo di mille colori risplende. come per magia Gli alberi si riempiono di foglie e il mondo di allegria. i bambini scendono in cortile a giocare e li vedi ridere e scherzare, ma quando tutto è in armonia il cielo si oscura un forte vento gelido le foglie spazza via, e una gigantesca nube nera ritorna a far paura. Tutti ritornano a casa e gli animali nella propria tana aspettando che la pioggia sia già lontana. poi un raggio di sole squarcia il cupo cielo come una candida mano lucente solleva uno oscuro velo, così il tesoro, la natura può risplendere sicura. In alto c'è un bellissimo arcobaleno che regna nel cielo sereno, donando a tutti tanta felicità, che nel mio cuore a primavera nasce, e sempre ogni anno rinascerà. Marco Padovani ESTATE Estate la stagione del sole, del mare, delle vacanze, che dopo un anno di duro lavoro sembrano tengano delle distanze. Si dimentica tutto anche il voto più brutto! Metto via i libri nella credenza, prendo fuori lo zaino per la partenza! In vacanza con gli amici siamo tutti felici. Certo che l’estate è proprio bella, non si sente più la campanella! Solo i pizzicotti delle zanzare allietano poco le nostre serate. E se un temporale viene giù dura solo qualche minuto e poco più. Federica Scanavini 71 In montagna sono andato con la mia famiglia, ho trovato un ghiro addormentato in un prato, che meraviglia! Poi il ghiro si è svegliato e io subito mi son nascosto ma lui è scappato spaventato su un albero del posto. Marcello Ceolotto IL TORRENTE E’ un fresco ricordo il suo sinuoso andamento. Stava passeggiando tranquillamente: i faggi l’ombreggiavano e le piccole trote gli facevano compagnia, Si udiva solo il suo scorrere… ma lo schizzare di un giocoso cane intorpidì la sua limpida acqua. Elena Tralli L’angolo del poeta in erba (Poesie) Visite guidate e viaggi di istruzione VISITA AL MUSEO DI STORIA NATURALE VORREI, VORREI… Vorrei che il mondo non fosse cosi crudele, Vorrei alzarmi alla mattina e che tutte le persone fossero felici, Vorrei che le persone che commettono del male venissero punite, Vorrei che il mondo fosse più pulito, Vorrei uscire di casa e non pensare che dietro all’angolo ci sia qualcuno che mi possa fare del male, Vorrei che le persone non venissero trattate male, Questo è ciò che Vorrei. Sara Pacella GUERRA E PACE VORREI Vorrei che nel mondo non ci fosse più la guerra e che le armi venissero gettate a terra. Questo è un mondo che vorrei cambiare per poterci tranquillamente abitare. Per me la pace è come una rosa che deve essere sopra ad ogni cosa. Vorrei essere il mare per sapere cosa c’è dopo di lui Vorrei essere una stella per essere sempre illuminato Vorrei essere l’estate per divertirmi Vorrei essere il mondo e fermare la guerra Insomma… Vorrei la felicità e per tutti un po’ di serenità Filippo Fabbri Alessandro Quarella LA VITA DIVERTIMENTO La vita è bella o brutta, ma la si deve vivere tutta pensare al presente è la cosa più importante il futuro prima o poi arriverà, ma una sola vita si ha. La vita non va sprecata. La vita è un dono prezioso molto più importante di qualsiasi cosa lussuosa. La vita io me la godo tutta. Divertimento vuol dire voglia di qualcosa di alternativo, Divertimento vuol dire staccare la spina per una sera e lasciarsi andare, Il divertimento e voglia di divertirsi, di evadere dalle regole, vuol dire lasciarsi coinvolgere dalla musica con le voci dei giovani DJ, che urlano e incitano la gente a scatenarsi ancora, tutto diventa un sound generale, nessuno pensa più a nulla, le menti si svuotano, per lasciare spazio solo alla musica Ilaria Gallerani Ilaria Galletti LA VITA AMICIZIA VERA Colline su cui passeggiare, montagne da scalare, ma dopo ogni fatica un fiore brillante. E’ un raggio di sole, una corsa nel silenzio della vita. Lo splendore dell'amicizia non è un tenersi per mano nè un sorriso gentile. L'amicizia è quando si scopre che c'è qualcuno che crede in noi che si fida di noi che farebbe tutto per noi. Nicolò Piazzi Rachele Bucchi 70 Il 24 marzo sono andato con la mia classe al museo di storia naturale, non per visitarlo, ma per parlare dell’estrazione del DNA (io ero già andato a visitarlo con mia madre). Arrivati, ci hanno portato in una stanza con dei microscopi e altri strumenti scientifici. Ci hanno parlato del DNA, della struttura e tutto il resto. Poi abbiamo fatto un esperimento: con una palettina abbiamo grattato l’interno della nostra guancia e quel che c’era sulla palettina l’abbiamo messo su un vetrino che ci avevano dato dove abbiamo scritto le nostre iniziali per riconoscerlo. Poi i vetrini sono stati messi ad asciugare sul termo. Dopo che si sono asciugati ci hanno spiegato che cosa dovevamo fare:con il contagocce dovevamo mettere sopra i vetrini qualche goccia di blu metilene (sporcava un mucchio!) e dopo qualche secondo si sciac- quava con dell’acqua. E dopo di nuovo ad asciugare sul termosifone. Una volta fatto ciò, dopo che i vetrini si sono asciugati, uno alla volta siamo andati a vedere, con il microscopio, sul vetrino che cosa c’era. Ci hanno detto che le macchie blu erano le cellule morte mentre quelle blu chiaro con un puntino azzurro erano cellule vive. Da me c’erano più cellule morte che vive. Dopo aver finito questo esperimento ci siamo divisi in 2 gruppi per fare un altro esperimento. Il mio gruppo si è spostato in un'altra stanza li vicino; l’esperimento consisteva nel “mordere” l’interno della guancia, nell’accumulare la saliva in bocca e con un bicchiere con acqua distillata, bere l’acqua e risputarla nel bicchiere. Poi ci hanno una provetta vuota e con il contagocce dovevamo prendere l’acqua nel bicchiere e metterla nella provet- ta riempendola per un quarto. Dopo ci hanno messo nella provetta il tampone di Lisi e dell’alcool fino a riempirla del tutto, e dopo l’abbiamo chiusa con un tappo e abbiamo scosso lentamente. Dopo bisognava aspettare un po’ per far si che reagisse. Se l’esperimento fosse funzionato, nella provetta bisognava vedere un lungo e sottile filo bianco curvo. A qualcuno è venuto ad altri no. Da me c’era solo un piccolo filo quindi si può dire che non mi è venuto. A chi è venuto l’esperimento, il filo (che sarebbe il DNA) è stato messo in un ciondolo a forma di cuore di vetro. Dopo di che siamo tornati a scuola. E’ stata un’esperienza interessante. Dario Ferraresi ESTRAZIONE DEL D. N. A. Avete mai visto nei film polizieschi, quando trovano l’assassino grazie al D. N. A. (acido desossiribonucleico) … Tutto questo mi ha sempre affascinato, e finalmente ho potuto vedere con i miei occhi come si trova il D. N. A. Il 24 Marzo è stata organizzata dalla mia classe una visita al museo delle scienze di Ferrara e qui abbiamo potuto fare dei laboratori sul D. N. A. Come nei film, ci hanno dato un bastoncino da mettere in bocca per prelevare un po’ di saliva, poi abbiamo depositato la saliva su di un vetrino e lo abbiamo appoggiato su un termosifone per farlo asciugare un po’. Una volta asciugato, sul vetrino vi abbiamo messo un po’ di colorante blu, e poi lo abbiamo lavato con acqua corrente. Ci hanno fatto osservare le nostre cellule al microscopio (quelle col puntino blu scuro al centro (il nucleo) erano vive altrimenti erano morte) e questa prima esperienza è stata molto interessante. La no- stra seconda esperienza è stata ancora più bella e interessante. Ci siamo divisi in due gruppi. Per iniziare ci siamo mordicchiati la bocca (per circa 30 secondi) poi abbiamo bevuto l’acqua senza mandarla giù (per circa 25 secondi) dopo di che l’abbiamo messa 11 dentro una provetta. Con la pipetta di plastica abbiamo messo dentro la provetta 2ml di tampone di lisi poi abbiamo mescolato. Ancora abbiamo aggiunto cinque gocce di proteasi con la pipetta dopo di che abbiamo mescolato e messo dentro un forno a 50°C per circa dodici minuti. Poi abbiamo aggiunto 10ml di alcol puro, abbiamo mescolato un poco la provetta poi abbiamo aspettato per circa due minuti, e osservando bene si vedevano dei filamenti bianchi (a questo punto abbiamo ricavato il D. N. A.). Ci hanno poi messo il nostro D. N. A. in una ampolla di vetro a forma di cuore, e ce lo hanno dato come ricordo di questa esperienza. Questo laboratorio mi ha fatto imparare nuovi termini, mi ha chiarito il D. N. A. ed è stato molto istruttivo ed interessante. Alessio Veronesi Visite guidate e viaggi di istruzione L’angolo del poeta in erba (Poesie) GITA A MODENA ALLA LUNA LA NOTTE Musa che streghi le mie notti più magiche rifiuti sdegnata gli sguardi degli ammiratori. Ogni sera assaporo la tua bellezza divina ma tu vanitosa ti rimiri allo specchio senza nemmeno voltarti. L’aria questa notte è leggera la luna si riflette nel lago facendo brillare i pesci di un argento puro. Questa quiete mi porta via accompagnato dal frinire dei grilli. Vorrei che questo viaggio non finisse ma non riesco a fermarmi un vuoto mi lacera dentro. So che al mio risveglio sarò ancora in un mondo tutt ‘altro che magico. Marta Scanavini Ruggero Bonechi LA LUCE DELLA LUNA LA NOTTE DEI MIEI RICORDI Noi alunni delle classi prime il giorno 23/04/09 assieme ai professori Varriale, Malacarne, Auletta, Bellettini e Boldrini siamo andati in gita ad Ospitale di Modena. Alle 7.00 siamo partiti: eravamo in un pullman molto grande e c’era un piano dove si mettevano gli zaini. I posti erano tanti e noi eravamo disposti a due a due. In pullman abbiamo ascoltato la musica, parlato e giocato con i cellulari, molti hanno anche cantato urlando canzoni fatte nelle lezioni del prof. Boldrini. Quando stavamo per arrivare abbiamo visto delle montagne di cui una ricoperta dalla neve, delle piccole cascate e dei fiumiciattoli che scendevano dalle rocce delle montagne poiché la neve si stava sciogliendo. Arrivati siamo scesi dal pullman, abbiamo preso gli zaini e ci siamo preparati alla visita. Nel frattempo le guide erano arrivate: una si chiamava Gioiello, un uomo di media età, l’altra Simonetta, una giovane ragazza con un bambino di nome Natan. Le guide ci hanno portato su un pendio dove ci hanno fatto notare una croce di legno posta su un piedistallo in pietra, questa stava a significare la morte di un uomo il quale aveva fondato un ospizio; da questo era stato dato il nome di Ospitale. La vicenda narra che quest’uomo fu ucciso dai briganti travestiti da frati una notte in mezzo al bosco. Più avanti Gioiello (per gli amici Lello) ci ha fatto notare un grande sasso con alcuni buchi che rappresentavano le mani di Sansone, il quale in una leggenda aveva lanciato questo sasso contro i briganti perché disturbavano il luogo in cui viveva. Successivamente siamo arrivati all’azienda agricola “Il Feliceto” dove Simonetta ci ha fatto visitare l’allevamento di suini, qui c’era un maialino ancora molto piccolo e di colore nero con una striscia rosa. Inoltre all’interno di un recinto vi erano alcuni bellissimi cavalli. Dopo qualche istante siamo andati nel negozio adiacente l’azienda dove alcuni nostri compagni di viaggio hanno acquistato formaggi, grappe e farina di castagne. Dopo di che siamo andati in un bosco, per raggiungere il quale abbiamo dovuto percorrere una faticosa salita fino ad arrivare al ristorante “il Feliceto” dove abbiamo rifornito d’acqua le nostre bottiglie;:proprio qui abbiamo conosciuto una nuova guida che era una guardia forestale e che ci ha accompagnato per tutto il viaggio dicendoci di raccogliere tutto ciò che si trovava per terra, perché non si deve inquinare l’ambiente. Siamo ripartiti passando per un bosco fino ad arrivare ad un parco dove il prof.Bellettini ci ha fatto notare una croce posta su una montagna e qui abbiamo anche mangiato rilassandoci un momento. uando siamo partiti abbiamo percorso alcuni sentieri molto stretti pieni di ciottoli in discesa che nell’antichità erano le strade dove passavano i carri trainati dagli animali. Dopo circa un’ora, mentre scendevamo per ritornare al pullman, abbiamo incontrato alcuni ruscelli che dovevamo attraversare passando sui sassi, alcuni ponti in legno e addirittura la neve! E’ stato uno spettacolo magnifico! Appena provavamo a camminare a camminare sprofondavamo nella neve visto che oramai si stava sciogliendo. Abbiamo camminato nella neve per un bel po’ di tem- 12 po e per questo ci siamo bagnati piedi e pantaloni. Alle ore 16.00 siamo arrivati nel piazzale dove c’era il pullman e qui abbiamo fatto merenda. Poi i professori hanno deciso di portarci a Fanano. Arrivati il prof. Bellettini ci ha spiegato qualche notizia sul paese. Abbiamo visitato una chiesa molto bella con degli affreschi interessanti. Usciti dalla chiesa il professore ci ha fatto notare alcune sculture dipinte sui muri delle case: erano davvero molto particolari. Siamo ritornati al pullman e ci siamo avviati verso la strada del ritorno. Sul pullman, alcuni ragazzi hanno parlato, altri hanno dormito, altri hanno ascoltato la musica. A Bologna abbiamo fatto sosta in un autogrill, per mangiare e sgranchirci un po’ le gambe. Dopo poco siamo risaliti sul pullman e ci siamo avviati verso Voghiera. Secondo noi, questa gita è stata molto interessante sia dal punto di vista storico che naturalistico. Un motivo per cui sarà difficile dimenticarsene è che è stata la nostra prima gita delle medie, con nuovi compagni e nuovi professori tutti molto carini e simpatici. Non per ultimo bisogna ricordare che lo stare insieme oltre che farci crescere, arricchisce le nostre personalità: l’essere integrati in una comunità è fondamentale per vivere in modo sano e poter costruire una società sempre migliore. Martina Lucani Simona Marini Francesca Fordiani L’aria profuma di dolce di zucchero filato si sentono voci in lontananza della mia gioventù protagonista della notte. Mi affiorano alla mente pensieri dolci amori non corrisposti amici veri lunghe serate passate insieme tra balli e risate. La notte mi fa paura ma allo stesso tempo mi affascina nasconde segreti che vorrei scoprire però ho il timore che mi possano ferire. Sento ancora dentro di me una gioia inspiegabile saranno i nuovi amori un gusto dolce che c’è nell’aria l’atmosfera di divertimento. Le luci di fiera sono offuscate dalla fine rugiada che scende piano piano come un fantasma. E poi… BUM…BUM… il cielo si colora di magiche luci. E poi… tutto scompare come se niente fosse venuto alla mia mente. Martina Rubbi Nel bosco tra i rami intravedo una luce lieve sei tu luna che illumini la notte. Sento un rumore forse un fiume in lontananza c’è l’odore della pioggia caduta sul bosco poche ore fa. Mi tornano alla mente ricordi di quando ero piccolo e stavo in riva a quel fiume lontano il tuo riflesso era lì fermo nell’acqua limpida. Il lancio di un sasso faceva svanire il tuo riflesso riempiendo il mio cuore di tristezza e malinconia. Davide Incerti LA NOTTE… Sento il rumore del mare sento l’estate la calda estate. La luna si specchia nell’immenso mare e il mare inizia ad incresparsi. Poi magicamente si appiattisce come sempre. Non si sentono altri rumori oltre a quello del mare. Ho paura il buio mi mette ansia… i rumori e i suoni si fanno sempre più lontani. La luna inizia a sparire… e torna il sole. Giulia Bertieri 69 É NOTTE E’ notte sulla spiaggia umida la luna schiarisce il tormentato nero. Le onde si infrangono sugli scogli leggere come se non volessero disturbare il profondo silenzio. Nell’aria si respira un dolce profumo di solitudine. Penso alla vita e al senso delle cose. Lo cerco invano mi volto e mi lascio tutto alle spalle. Alessia Ferrari LA NOTTE La notte è buia silenziosa… ma ecco un piccolo rumore non so cosa sia forse un animale sento l’aria accarezzare il mio viso il profumo della natura mi travolge. Sono sola la luna piena mi fa compagnia i ricordi più belli mi tornano alla mente. Ecco un altro rumore spaventata corro ma non so dove sento il battito del mio cuore mi fermo e tutto muore. Valentina Roversi Testi narrativi (Pagine di diario) Visite guidate e viaggi di istruzione LA GITA SCOLASTICA AD OSPITALE LA FELICITÀ 5 Gennaio 2009 Caro diario... Le cose che mi rendono felice sono molte. Mi servirebbero tantissimi fogli protocollo per confidartele. La FELICITA’ per me vuol dire avere la pace nel mondo e che non ci siano più le guerre. Anche l’AMICIZIA per me è molto importante, perché i veri amici devono essere SINCERI, GENEROSI E LEALI. Anche l’AMORE è importante, alcune volte!!! Perché devi avere accanto una persona che sappia dimostrarti i sentimenti e saperti amare, ma soprattutto volerti bene. Mi rende felice anche avere una MAMMA che mi sa ascoltare e a cui posso raccontare i miei segreti (non sempre)! Ma soprattutto mi rende felice incontrare i miei amici alla domenica e anche durante le vacanze, cioè al di fuori della scuola, questo, caro diario non sai quanto mi renda felice. Felice è dir poco! È una cosa STUPENDA!!! La FELICITA’ è anche avere le cose che mi servono, come i libri e i quaderni, importanti per la scuola. Importantissima è la salute. Ma alcune volte per essere felici bisogna staccare un po’ dalle solite cose; andare in vacanza non può essere una brutta idea!!! SECONDO ME LA FELICITA’ COMINCIA DA PICCOLI CIOE’ APPENA NATI… Io vorrei anche che i bambini e le famiglie africani fossero più felici di come sono adesso e vorrei anche che avessero un po’ più soldi. Ciao caro diario adesso vado… Ci sentiamo presto!!! CIAO T.V.B.X.S. Tua Penelope Federica Straforini Il giorno 23 Aprile 2009 le tre classi prime hanno partecipato ad una gita organizzata dal Prof. Bellettini, durante la quale si effettuavano delle escursioni naturalistiche. Verso le 6.40 ci siamo ritrovati davanti alla scuola, dopo alcuni minuti, il Prof. di Ed. Motoria ha fatto l'appello ed ognuno di noi doveva salire sul pulman e occupare un posto a piacere. Ad accompagnarci ad Ospitale, in provincia di Modena, c'erano: la prof. Varriale, la prof. Malacarne, la prof. Auletta, e il prof Boldrini e ovviamente il prof. Bellettini Il viaggio di andata è stato molto lungo, ma divertente. Tutto il tempo abbiamo scherzato, giocato, ascoltato la musica, cantato. Ogni tanto ci affacciavamo al finestrino per vedere se c'erano le montagne. All'arrivo, siamo scesi, abbiamo preso i nostri zaini e ci siamo "sgranchiti" le gambe. Abbiamo camminato per una strada asfaltata vicino ad un bosco; ad un certo punto abbiamo incontrato una casetta, poi ognuno di noi è andato in bagno e abbiamo mangiato della cioccolata. Poi due guide, di nome Simonetta e Gioiello, ci hanno presentato il percorso che dovevamo seguire. Così la giornata è iniziata con ripide salite e nessuna discesa. Lungo il per- corso abbiamo incontrato una lepre e abbiamo visto un lungo ruscello che scorreva dolcemente con delle piccole cascate. Noi eravamo un po' stanchi, ma abbiamo continuato a camminare e a seguire il ruscello fino ad arrivare di fronte ad un enorme sasso di cui Gioiello ci raccontò la leggenda. Tutte le sere una persona di nome Sansone, che possedeva dei pascoli, stava sveglio perchè doveva controllare che i briganti non gli rubassero delle pecore. Una sera vide un brigante così, dalla paura, gli lanciò un sasso che ruzzolò giù da una montagna e si fermò vicino ad un ruscello. Sansone riusciva ad alzare qualsiasi cosa perché aveva una forza incredibile. Ancora oggi ci sono i segni delle cinque dita e del palmo della mano sulla roccia. Dopo il racconto, abbiamo percorso un lungo tragitto fatto di salite e di una discesa e finalmente siamo arrivati ad una fattoria, dove ci siamo fermati a riposare; lì vicino c'era una stalla dove abbiamo visto una cavalla incinta e dei maiali che riescono a sopravvivere anche a temperature molto basse, ed infine abbiamo accarezzato un maialino appena nato. Di nuovo siamo ripartiti e, finalmente, abbiamo visto delle bellissime cascate e della neve, che ognuno di noi lanciava. Verso le 13.00 abbiamo pranzato in un immenso prato verde, lì vicino c'era un lago con delle rane e dei girini. Poi siamo ripartiti e la guida ci ha proposto un gioco: bisognava raccogliere tutte le cartacce presenti nel prato e nei sentieri attorno. Così abbiamo fatto e, alla fine, dopo un lungo tragitto attraversando un bosco bellissimo, siamo arrivati al punto di partenza. Verso le 17.30 siamo andati a Fanano, un paesino con delle bellissime fontane di cui il prof. Bellettini ci ha spiegato la storia, poi abbiamo visitato una chiesa , la facciata era stata ristrutturata nel 1900, mentre dentro risaliva al 1000. Era bellissima! Dopo abbiamo visto un convento di suore; abbiamo visitato il paese ed infine siamo ritornati al pulman.Io con molta tristezza ho salutato quel meraviglioso posto di montagna. Il viaggio di ritorno era un po' silenzioso comunque io ed altri abbiamo giocato al gioco della bottiglia ed ascoltato la musica. Verso le 20.50 siamo ritornati a Voghiera e andati a casa. Ciò che non dimenticherò mai è il ruscello con le cascate perchè guardandole ho provato un senso di pace. Alessia Benetti ALLA FATTORIA DIDATTICA “LA ROTTA” DI MIGLIARINO L’AMICIZIA 28 Aprile 2009 Caro diario... Ti sei mai chiesto se avere un’amica o un amico sia bello? Io penso proprio di sì, fidati di me, per me avere tante amicizie è una cosa stupenda. Però quando si litiga con una di loro la si perde di vista rimanendo con il rimpianto di averla perduta per qualcosa che conta poco e si rimane arrabbiati per un certo tempo. Dopo un po’ si fa la pace e si torna amiche come prima, secondo me è la cosa più bella del mondo ritornare amiche dopo un litigio. Avere un’amica è una cosa bellissima, ti fa sentire bene e libera di sfogare le proprie emozioni di gelosia, gioia, amore e tanti altri sentimenti. Per questo è bellissimo!! Io ho tanti amici, tra cui Maria Pia, Sharon, Serena, Greta, Giada, Sara, Andrea, Alice, Silvia, Camilla, mi sembra di conoscerli da sempre, anche se li frequento da poco. Però con alcuni maschi della mia classe non vado d’accordo, ma cerco comunque di fare del mio meglio per essergli simpatica. Con le mie amiche vado d’accordo e con alcune mi sono scambiata il regalo di Natale, ho servito anche dolci e biscotti fatti da me: quei momenti sono stati fantastici! Avere amici è la cosa più bella del mondo!! Ora vado. Ciao, ciao Ylenia Ylenia Bolognesi 68 Lunedì 27 aprile noi ragazzi delle classi 2^ E e 2^ F, accompagnati dalle professoresse Monici, Ferri e Margutti, siamo andati a visitare la fattoria didattica “La Rotta” di Migliarino, come ultimo appuntamento del progetto Tellus. Appena arrivati, Enrico ci ha fatto mettere tutti quanti in cerchio e ci ha un po’ spiegato cosa avremmo “trovato” durante il percorso, infine abbiamo cantato una canzone “La villana”, che parla del processo produttivo della fava. Dopo aver cantato ci siamo divisi in tre gruppi: Snack, Spizzico, McDonalds, nel quale c’ero anche io insieme ad altri miei compagni e alla prof.ssa Monici. Il nostro compito era quello di ritrovare il carico che trasportava Andrea sul suo aereo, si trattava quindi di una specie di gara e il mio gruppo è arrivato 2°. Successivamente ogni gruppo ha iniziato a svolgere un’attività.; il mio gruppo ha iniziato con dei “giochi” che interessavano soprattutto i nostri cinque sensi e il nostro orientamento. Il primo “gioco” riguardava il senso del tatto e cioè dovevamo capire cosa si nascondeva in alcuni contenitori senza guardare; poi è venuto il momento del gusto: Elena ci ha fatto sentire diverse bevande: menta, amarena e acqua salata, inoltre ci ha suggerito di affermare che ogni bevanda era buona anche se in realtà poteva risultare disgustosa…, infatti la professoressa dalla curiosità ne ha voluto assaggiare anche lei, ma appena ne ha bevuto un sorso ha fatto una faccia disgustata!! Dopo sempre con Elena siamo andati a fare un gioco che riguardava la vista: consisteva nel tirare dei ferri di cavallo centrando delle canne di bambù; anche questa era una gara, ma se devo dire la verità non so proprio chi abbia vinto con sicurezza!! E infine sempre con Elena siamo andati a fare un percorso d’orientamento che abbiamo effettuato da bendati; dopo dovevamo dire il percorso che avevamo fatto. Devo dire che quasi tutti se la sono cavata, anche se c’è stato qualcuno che ha barato… Successivamente siamo andati con Enrico e abbiamo fatto il pane!!! 13 Ė stato stupendo!!! Tutti quanti ci siamo divertiti moltissimo, anche e soprattutto perché ci siamo imbiancati con la farina! Per dare la forma al pane ci siamo sbizzarriti, c’è stato chi come me ha voluto provare a fare la classica coppia, mentre altri hanno dato spazio alla fantasia e hanno fatto tantissime forme divertenti. Come ultima attività abbiamo fatto il giro degli animali, “guidati” da nonna Carla, che ci ha fatto vedere oche, tacchini, faraone, galli, galline, pony, asini, maiali, caprette, cavalli, tortore, conigli, pulcini, e inoltre, come animali domestici, non mancavano due gatti e un cane bellissimo di nome Briciola che adorava le coccole. A chiusura di questa esperienza Andrea ci ha classificato i cibi, che avevamo trovato nel 1° gioco, in base a “sani” o “non sani”; poi ci ha spiegato che cos’è l’etichetta e che simboli si usano per un prodotto biologico o biodinamico… Mentre Andrea ci spiegava questo noi assaggiavamo il pane che Enrico quella mattina aveva preparato. Quando è arrivato il momento di tornare a scuola, tutti siamo saliti sul pullman scambiandoci le reciproche impressioni dopo una giornata trascorsa ad “imparare” sul campo cose di cui non conoscevamo niente o quasi Novella Parolini Visite guidate e viaggi di istruzione Testi narrativi (Lettere) I PROGRAMMI TELEVISIVI ATTIVITÀ COOP “DIETRO UNA GOMMA” Il giorno 4 maggio la classe I F con le professoresse Monici e Margotti è andata alla Coop di Portomaggiore per un progetto dal nome “Dietro una gomma”. Siamo partiti allo ore 8.45 e siamo arrivati circa alle 9.oo Una volta entrati abbiamo conosciuto un ragazzo Jacopo , la nostra “guida”; ci ha fatto salire all’ultimo piano dove, di solito si tengono riunioni col personale o progetti con le scuole. Subito ci ha fatto scrivere i nostri nomi su una etichetta poi ha cominciato a farci delle domande sui vari tipi di supermercato. Abbiamo “scoperto” che ci sono tre tipi di supermercato:SMK (supermercato nel quale ci sono prodotti alimentari, di igiene personale, detersivi…),IPER ( ipermercato che è più grande del supermercato con più prodotti, elettrodomestici, farmaci da banco…) ed infine i DISCOUNT (supermercato con prodotti a basso costo e poco conosciuti, non pubblicizzati). Abbiamo stabilito che un supermercato è un labirinto e ci sono delle regole per- ché ci vogliono per forza vendere qualcosa, il posto dei vari oggetti è scelto in base ad alcuni criteri logici. La “carta di identità di un supermercato” è il settore più colorato, dove troviamo la frutta e la verdura. Ci ha poi divisi in gruppi chiamati con i nomi delle gomme da masticare nelle diverse nazioni. Siamo scesi dall’ultimo piano e siamo andati nel supermercato: ogni gruppo aveva dei fogli e doveva sui quali c’era scritto di trovare un determinato prodotto e dovevamo segnare i percorso che facevamo per trovare il prodotto indicato. Il mio gruppo doveva scrivere i colori delle scatole dei “caucciù” e i colori di quelle dei dentifrici; infine dovevamo fare un’intervista a delle persone che facevano la spesa all’interno del supermercato. Fatto questo siamo ritornati all’ultimo piano ed abbiamo discusso su ciò che ci aveva detto la gente. Abbiamo poi fatto merenda, che ci è stata offerta dalla Coop ed abbiamo parlato della classica gomma da masticare. Principalmente una gomma è forma- ta dalla gomma base, dagli aromi (fragole, menta…)e dai dolcificanti. Di solito tute le gomme sono fatte da Perfetti-Van Melle. Abbiamo sentito la differenza fra le varie gomme battendole sul tavolo ed odorandole. Jacopo ci ha spiegato che la prima goma da masticare è stata brevettata nel 1869 e che in America qualche anno dopo venne fata con la menta piperita. Già ai tempi dei Greci si masticava la resina del astice ( da questo albero deriva la parola masticare); i Maya masticavano una cosa chiamata caucciù e gli Indiani d’America la resina dell’abete rosso. Infine abbiamo disegnato “la nostra gomma” come ce la immaginavamo ed abbiamo scritto uno spot per invogliare la gente a comprarla. Abbiamo poi salutato Jacopo, lo abbiamo ringraziato per averci fatto trascorrere delle ore molto interessanti. Voghiera, lì 12 Febbraio 2009 Caro Ale... Oggi ho visto “Grande Fratello”, il mio secondo programma preferito, a me piace molto, perché è un programma divertente e insegna come comportarsi con certe persone, inoltre non è noioso come, ad esempio “Voyager” oppure “Chi l’ha visto”. Mi piace molto “il grande fratello, perché è movimentato, infatti all’interno della casa possono fare tantissime cose, come andare nelle piscina, fare dei giochi oppure organizzano di fare una vacanza con altre persone. L’altro programma preferito è “I Cesaroni”, perché è molto allegro e ambientato ai giorni nostri, infatti quando lo guardo mi viene in mente la vita di tutti i giorni ed è per questo motivo che mi piace molto. I programmi che non mi piacciono o che mi piacciono meno sono “Voyager” perché parla di cose “vecchie”, ad esempio : l’imbalsamazione dei faraoni, la costruzione delle piramidi, ecc., e anche perché si svolge molto lentamente e parla di cose che non mi interessano, inoltre non c’è azione. Mentre “Chi l’ha visto”non mi piace perché è un programma molto noioso e poco divertente, infatti parla della scomparsa di adulti o bambini, che non vengono quasi mai ritrovati. Ora ti saluto perché devo andare a mangiare, rispondimi presto parlandomi dei tuoi programmi preferiti. Ciao Angelo Angelo Chersoni Marta Viviani ALLA COOP DI PORTOMAGGIORE Noi alunni della classe I F il giorno 4 Maggio assieme alle prof. Monici e Margutti siamo andati alla Coop di Portomaggiore per svolgere l’attività intitolata “Dietro una gomma”. Alle 8:45 siamo partiti con il pulmino della scuola e ci siamo diretto alla Coop. Sul pulmino abbiamo parlato e riso fino a quando non siamo arrivati. All’entrata della Coop c’era la guida che ci attendeva: si chiamava Jacopo. Ci ha portato in una sala dove ci ha spiegato il progetto di nostro interesse che riguardava le gomme da masticare. All’inizio, Jacopo, ci ha spiegato la differenza tra supermercato (smk), ipermercato (iper) e discount. Il primo è di media grandezza e vi si trovano alimenti e oggetti di uso quotidiano; il secondo è molto più grande e oltre agli alimentari vi si trova anche il vestiario, i giochi e gli elettrodomestici; nel terzo si trovano alimenti e oggetti di basso costo. Nei discount la merce costa meno perché sulle marche da loro trattate non incide la pubblicità: sono articoli probabilmente prodotti dalle case produttrici più conosciute ma inserite nel mercato con altre marche. Questo è il motivo per cui la merce costa di meno. In genere i supermercati assomigliano a dei labirinti visto che sono formati da diverse corsie. Solitamente all’entrata si trova il reparto di frutta e verdura, tutta ben disposta e colorata in modo da invogliare i consumatori ad acquistarla. Un’altra cosa che ci ha fatto notare Jacopo e che i prodotti meno costosi, come ad esempio l’acqua, sono esposti in un luogo lontano dall’entrata, in modo da far sì che il cliente compri altri beni fino a che non si trova al prodotto che vuole acquistare veramente. Dopo aver ri- flettuto sull’argomento “Cosa c’è dietro a un supermercato” Jacopo ci ha fatto scendere dalla sala riunioni e subito dopo averci diviso in gruppi ci ha dato tre fogli per capogruppo: il primo consisteva nel trovare un alimento di uso quotidiano e di segnare tutto il percorso che avevamo fatto per trovarlo. Negli altri due fogli c’era un’intervista da fare ai consumatori: in particolare dovevamo scoprire se questi sapevano cosa c’era dietro una gomma e quindi gli ingredienti. Dopo aver finito questo lavoro siamo tornati in sala riunioni e prima di far merenda abbiamo segnato su una cartina fatta da Jacopo precedentemente il percorso che avevamo fatto per arrivare al prodotto indicato sul foglio. Subito dopo abbiamo fatto merenda con alimenti offerti dalla Coop. Successivamente si è iniziato a parlare cosa c’è dietro una gomma. Jacopo ci ha detto che la gomma da masticare fu inventata nel 1869 da un uomo che stava costruendo un giocattolo di gomma e visto che aveva fame ha provato ad assaggiarne un pezzo: sentì che era molto buona. Pochi anni dopo un farmacista avendo saputo la notizia di quell’uomo che aveva mangiato la gomma provò anche lui. Sentì che era buona e decise di migliorarne il gusto con aromi alla fragola, alla menta, ecc. Il significato della parola masticare è molto semplice: deriva dalla parola mastice che è un albero antico da cui i Greci mangiavano la resina al posto della gomma. Poi Jacopo dopo averci fatto riflettere un poco ci ha spiegato che la gomma da masticare è formata in particolare da tre elementi: la gomma base che è quella che mangiamo, gli aromi come fragola, menta, limone, ecc. e tutti i 14 tipi di dolcificanti o di zuccheri. Inoltre ci ha fatto osservare alcune scatole di chewingum facendoci notare che alcuni erano duri, altri morbidi, alcuni piccoli e tondi e altri grandi e a forma di confetto. Successivamente ci ha anche fatto notare che le gomme da masticare si trovano vicino alle casse proprio per attirare l’attenzione dei bambini piccoli in passeggino e quindi ad obbligare i genitori a comprarglieli. La cosa che colpisce di più la gente è quella del colore e della forma delle scatole delle gomme. Poi ci ha fatto vedere che sulle scatole dei chewingum oltre ad esserci scritti gli ingredienti e le conseguenze c’è anche scritto che questi pur essendo di marche diverse sono prodotte dalla stessa ditta: Van-Melle. Quindi se vogliamo iniziare a vendere un nuovo tipo di gomma innanzitutto dovremmo metterla in un altro luogo della Coop in modo che attiri la gente, ma bisogna anche fare molta pubblicità altrimenti si fallisce perché vince quella di VanMelle. Infine ci ha fatto disegnare sempre a gruppi la nostra gomma da masticare con alcuni slogan. Poi siamo ritornati a scuola grazie al pulmino della stessa. Questo progetto mi è piaciuto tantissimo anche se secondo me, doveva essere più approfondito per entrare maggiormente nei particolari. Spero di ritornarci anche il prossimo anno naturalmente per parlare di un altro argomento e ritrovare quella persona brava, chiara e disponibile che è stato Jacopo. IL MIO FUTURO Voghiera, lì 2 Aprile 2009 Caro Matteo... Come stai? Ti diverti? Vorrei dirti che da grande, forse, so già cosa vorrei fare. Ho tanti lavori che mi piacciono, ma ho deciso di fare quello che mi viene meglio: il DJ (anche se alcuni miei famigliari non lo considerano un gran lavoro, perché non si guadagnano tanti soldi). Una festa l’ho già fatta, ed era il mio compleanno e, anche se c’erano poche persone, in tanti mi hanno detto che si sono divertiti un mondo. Ora ne sto già preparando delle altre, con molte più persone e spero che si divertiranno. Se ti domandi: « Ma come hai fatto ad imparare con tutta quella tecnologia?» Beh, non è stato semplice, perché ho imparato un po’ da mio padre e a mettere in tempo le musiche e usare gli effetti non era tanto semplice, ma quando si dice: « L’allievo supera il maestro», è quello che, secondo me, ho fatto io, perché adesso sono molto più bravo di mio padre. Quando andavo a casa sua, mi dirigevo in camera, accendevo l’impianto e nel giro di 30 secondi si diffondeva già della musica e in un’ora mixavo, come va detto, “da Dio”. Addirittura, una volta, io e un mio amico, abbiamo simulato una discoteca con le luci e il fumo (quello degli zampironi). Comunque, appena ho dei soldi, devo chiedere al mio professore di clarinetto, perché praticamente è lui l’esperto, di cercare un programma con il quale registro su cd le musiche che scelgo e mixo, così, dopo, potrò venderli per fare divertire le persone e guadagnare qualche soldo. Scaricherò la musica e comprerò dei cd e forse anche un computer. Però ho un desiderio, andare a suonare in locali e in bagni, quelli al mare, in Italia o forse anche all’estero, come fanno certi DJ famosi o addirittura andare anche nelle radio famose di tutta Italia, ma per me resta soltanto un desiderio. Adesso devo andare ho tante cose da fare. Rispondimi al più presto possibile. Ciao! Luca Martina Luciani Luca Zamagni 67 Testi narrativi (Lettere) Visite guidate e viaggi di istruzione LA GUERRA SECONDO ME GITA AL “BOSCO DELLA PANFILIA” E ALL’OASI “IL SEME” A PONTERODONI Voghiera, lì 10 Marzo 2009 Cara Natsumi... Come stai? Sai bene che in questo periodo i conflitti nel mondo stanno aumentando e ti scrivo per parlarne a riguardo e dirti cosa penso. Io credo che la guerra sia una delle cose peggiori che esistono a questo mondo, la si fa solo per imporsi (che sia a causa della religione o per chissà quale altro motivo) ed è una delle cose che tutti temono , ma nonostante questo siamo noi a crearla. Perché due persone devono odiarsi a tal punto da scatenare un conflitto per cui ci rimettono la vita tante persone innocenti? Solo per egoismo, perché ormai le uniche cose “importanti” sono i soldi e il potere (secondo molti), in verità ci sono tanti valori rilevanti quali l'amicizia, l'amore, l'altruismo, la sincerità ma anche la capacità di ragionare in modo intelligente, ormai sono pochi quelli che sanno farlo,perché tutti sono legati a valori inutili , alla moda ,alla propria importanza, alla popolarità, che fanno perdere di vista ciò che importa davvero e che purtroppo sono poco conosciuti da questi demoni perché,si sa, il successo dà alla testa. Qualsiasi sia il motivo di una guerra, io non lo considererò mai valido per uccidere persone, che abbiano colpe o meno. Vorrei vedere questi mostri nei panni delle vittime: cosa proverebbero a vedere la propria famiglia straziata, distrutta da persone neanche conosciute? Cosa proverebbero a vedere la propria fine avvicinarsi inesorabilmente? Dolore, paura, rabbia perché, a causa di persone senza cuore, bisogna soffrire( a volte capita che sia solo per il divertimento di chi è “superiore”). Purtroppo non lo capiranno mai perché sono loro i demoni, i superiori, e non sono le vittime; certe cose bisogna provarle per poterle capire.... tutto ciò è l'unica cosa abbastanza sconvolgente da poter cambiare modo di essere e pensare e nessuno vorrebbe provare questo terribile sentimento. Ogni volta che si fa qualcosa, qualcun altro ci rimette: questo è ciò che pochi riescono a capire; questi si dividono in quelli che lo capiscono ma non se ne preoccupano e quelli che compiono le proprie azioni in base a ciò che possa portare meno conseguenze negative a sé e agli altri. I primi sono egoisti, meno intelligenti e impulsivi, gli altri sono più intelligenti e altruisti, perché riflettono prima di agire,perché pensano a tutte le conseguenze delle proprie azioni e cercano i metodi più vantaggiosi per tutti. Ma, tornando al discorso principale, perché non si può vivere tutti in pace, senza guerra, sofferenza, paura e distruzione? Perché non si può vivere tutti con le stesse possibilità, senza temere di perdere qualcosa solo a causa di pensieri, origini, credenze? L'unica risposta è che c'è sempre qualcuno che deve imporre il proprio potere per controllare il proprio Paese (perché senza di essi mancherebbe la protezione che i limiti danno), ma molti approfittano del loro controllo per avere di più, per imporre il proprio modo di pensare e per controllare chi sta “sotto” di sé. Questi esseri spietati non hanno mai pensato ad una vita di armonia e convivenza di pace tra le persone ? I valori veramente importanti avrebbero sopravvento e la vita sarebbe migliore per tutti, soprattutto per le prossime generazioni. Nonostante questo, si continua a combattere per il vertice al potere... Beh, mi sento più libero dopo essermi confidato, ma non credo che questa confessione possa cambiare qualcosa e portare la libertà alle vittime di guerra che continuano a venirmi in mente... Un abbraccio pieno di speranza Jack P.S. Ricordati di rispondere e dirmi quel che ne pensi e se credi che io abbia detto qualcosa di sbagliato. Alessandro Passantino 66 Il giorno 15 maggio 2009, noi alunni delle classi 2E e 2F ci siamo recati in visita al “Bosco della Panfilia” a Sant’Agostino e all’oasi “Il Seme” a Ponterodoni, vicino a Bondeno. Arrivati a Sant’Agostino, prima di iniziare la visita, la nostra guida ci ha spiegato che il bosco è un ambiente naturalistico sotto la protezione del WWF; ci ha spiegato, inoltre, che il bosco è molto grande e si estende fino ad arrivare nella provincia di Bologna e ci ha distribuito dei fogli con delle domande da completare alla fine del percorso. Dopo la spiegazione, siamo risaliti in pullman per andare a visitare un’altra parte del bosco. Arrivati abbiamo visto il fiume Reno che aveva una parte del suo corso sotto il suolo del bosco. Proseguendo la visita, la guida ci ha spiegato cosa s’intende per pianta igrofila, alloctona e autoctona. Per pianta igrofila s’intende una pianta capace di rimanere in acqua alcuni giorni senza soffrire; per pianta alloctona s’intende una pianta che è stata importata da un altro territorio, mentre per pianta autoctona s’intende una pianta che era già presente nel territorio. Abbiamo anche visto, in fotografia, i vari rettili che popolano il bosco (alcuni erano spaventosi). La guida ci ha detto che qual- che giorno prima, con un’altra classe, avevano potuto ammirare un serpente. Dopodiché, durante il percorso, la guida ha detto che nel bosco sono presenti molti funghi e tartufi e che le persone possono raccoglierli solo in alcuni periodi dell’anno, solo per qualche ora e per cinque giorni alla settimana; inoltre, per i tartufi, devono stare molto attenti a non rovinare la loro base d’appoggio, altrimenti non potrebbero più ricrescere e ne devono raccogliere solo una certa quantità, se no finirebbero. Terminato il primo percorso, la guida ci ha chiesto se volevamo andare subito a mangiare o andare a fare il secondo percorso, noi abbiamo scelto di fare il secondo percorso. Quest’ultimo era molto diverso dal primo, perché c’era la vegetazione più folta, i sentieri non erano ben definiti, perché c’era l’erba molto alta, però è stato bellissimo !! Abbiamo visto alberi enormi tutti ricoperti di edera…stupendi!! Finito questo magnifico percorso, siamo ritornati al punto di partenza per mangiare. Dopo aver pranzato ci siamo recati in visita all’Oasi “Il Seme”,a Ponterodoni, per vedere un ambiente naturalistico creato dall’uomo. La nostra guida era il signor Dario, che ci ha mostrato i vari nidi di uccelli che ha costrui- 15 to per le varie specie; con un binocolo ci ha fatto vedere i Cavalieri d’Italia, spiegandoci che era una specie quasi estinta, ma lui ha ricostruito il loro ambiente naturale e così hanno iniziato a riprodursi nuovamente. Ci ha portati anche su una specie di collina per farci ammirare il nido del falco e il panorama che si poteva vedere da lassù. Ci ha detto che tutti i laghetti che vedevamo erano tutti artificiali: li aveva costruiti lui. Il signor Dario, essendo anche un praticante dello yoga, ha scritto dei messaggi per la natura e li ha appesi ai rami di alcuni alberi, inoltre ci ha mostrato un palo con attaccati vari pezzi di stoffa colorati, dicendo che era un’antica tradizione indiana che praticavano gli amanti della natura. Finito il percorso, Dario ci ha ospitati a casa sua (casa enorme e stupenda) per la merenda e ci ha offerto anche delle bibite. Dopo averlo ringraziato siamo (purtroppo) dovuti tornare a casa. Siamo andati a fare questa gita con lo scopo di capire come fosse un ambiente naturalistico ed è stata sicuramente molto interessante e divertente. Melissa Andreotti Ricorrenze e celebrazioni Testi narrativi (Lettere) 27 GENNAIO GIORNO DELLA MEMORIA <<Ricordati sempre di guardare il cielo e non odiare mai nessuno>> Sono queste le parole che una madre ha detto al proprio bambino durante la loro permanenza in un campo di concentramento; ma è giusto guardare il cielo e non odiare nessuno anche se ti stanno distruggendo la tua infanzia, la tua vita la tua identità ? A quanto pare ci sono stati ebrei che sono riusciti a perdonare, a non odiare; io non so se sarei mai riuscita a non odiare chi mi stava togliendo l’anima, o guardare il cielo e sperare…che tutto finisse, solo a pensarci mi viene un’enorme blocco,penso che coloro che sono riusciti a perdonare hanno avuto davvero una grossa fede… Ogni anno si parla di: Olocausto = sacrificio ma questa è solo una. definizione o c’è qualcosa di più? Beh c’è molto di più di una definizione scritta a penna, ci sono dietro sofferenze, dolori, odi… com’è possibile una cosa del genere?? Coloro che hanno causato tutto questo non dovrebbero nemmeno essere nominati nella Giornata della memoria. GITA A OLTREMARE Ogni anno il 27 gennaio molte persone,scuole ricordano ciò che è successo,ricordare non cancellerà le sofferenze ma potrà fare in modo che non riaccada più. Io sinceramente non riesco a pensare a ciò che è successo, ma quando per esempio mia sorella mi chiede delle cose su questi avvenimenti non manco di spiegarglielo perché è giusto che sappia,come dice Prim o L e v i (sopravvissuto dai campi di concentramento): <<Meditate che questo è stato \ Vi comando queste parole \ Scolpitele nel cuore […]>> Silvia Cavolesi Voghiera, lì 5 Aprile 2009 Caro Matteo... Ti scrivo perché oggi sono andato in gita ad Oltremare a Riccione con la mia famiglia e degli amici e mi sono divertito tanto. Siamo partiti alle 8:30 e siamo arrivati alle 10:00; abbiamo comperato i biglietti e abbiamo iniziato a vedere gli spettacoli: c’era quello dei delfini che è stato bellissimo, perché facevano dei salti molto alti. Quando hanno presentato i delfini e hanno chiamato Ulisse, ho scoperto che è fidanzato con una “delfina” che si chiama Cleo; ne hanno anche uno di quarantacinque anni e non sembrava così anziano, ce n’è anche un altro che si chiama Mery che è di razza diversa dagli altri delfini: grigia con delle macchie bianche sul muso che non era allungato ma normale. In un cinema ho visto la formazione della terra su uno schermo abbastanza grande, con gli occhiali 3D cioè a tre dimensioni, sembrava che le meteoriti mi venissero in faccia e mi faceva un po’ di paura anche se sapevo che era tutto finto. Poi ci hanno portato in varie sale: in una c’era la distruzione dei dinosauri e per farci provare un’emozione di paura buttavano giù le montagne e ti spruzzavano dell’acqua in faccia. C’era anche il volo dei rapaci, non li ricordo proprio tutti, ma quelli che ho visto erano: un’aquila che è planata su uno spettatore e non sull’addestratore, volava molto in alto e aveva il manto bianco e marrone; l’avvoltoio era brutto, non si poteva guardare e non volava tanto; il falco, invece, volava molto in alto ed è riuscito a prendere il nastro di un aquilone molto alto. Abbiamo visto anche la fattoria ed è stato molto divertente perché c’erano molti animali soprattutto quelli della fattoria tradizionale come: galline, maialini e un gallo che ci ha fatto morire dal ridere. Ho visto anche un ambiente tropicale molto caldo e con un odore nauseante, ma in compenso ho visto dei coccodrilli mimetizzati per non farsi riconoscere e catturare le prede. Abbiamo pranzato con dei panini e siamo ripartiti. L’ultimo spettacolo è stata la visione di un altro film in 3D, però sono stato male e mi è venuta la nausea. Abbiamo comprato dei souvenir e siamo tornati a casa verso le 20:30, poi sono andato a dormire. Ciao Andrea Andrea Persia LA GIORNATA DELLA MEMORIA La nostra classe il giorno 26 Gennaio si è recata in biblioteca per svolgere un’attività relativa alla Giornata della memoria. La giornata della memoria è stata istituita nel 2000 , prendendo come riferimento il lontano 27 gennaio 1945 quando avvenne la liberazione del campo di Auschwitz, volendo ricordare sia ciò che è accaduto durante la Seconda Guerra Mondiale sia le persecuzioni e la morte di milioni di innocenti che non potevano difendersi, tra cui ebrei e oppositori politici. Con questo atto del ricordo sconfiggiamo il pensiero nazista, che pensava che i morti sarebbero stati dimenticati nel tempo; invece noi ricordandoli ci opponiamo a quella folle idea. Questo evento è definibile come un “evento unico” nella storia dell’uomo, perché è stata un’uccisione premeditata contro un popolo, contro persone innocenti che non si potevano difendere, contro persone la cui unica colpa era quella di essere nate ebree, pur non avendo commesso alcun crimine, oppure erano oppositori politici che volevano solo difendere le proprie idee, e tante altre persone innocenti come disabili e omosessuali ; insomma tutte le persone ritenute “diverse” furono ingiustamente uccise. Per indicare la persecuzione e lo sterminio degli ebrei si usano due termini: olocausto e shoah; gli ebrei preferiscono la parola shoah, perché essa significa distruzione, invece olocausto significa sacrificio religioso perpetrato con il fuoco, ma gli ebrei pensavano che non ci fosse nulla di religioso in quanto era accaduto. La persecuzione cominciò nel 1935 in Germania a causa delle leggi di Norimberga, che negavano molti diritti agli ebrei. Nel 1938 anche in Italia furono emanate le Leggi razziali. Successivamente, nel 1942, con il congresso di Vansee si pensò di deportare gli ebrei nei campi, dove successivamente sarebbero stati uccisi. Noi abbiamo molte foto aeree dei campi, scattate dagli Alleati, soprattutto del peggiore campo, quello di Auschwitz in Polonia, senza però sminuire gli altri che furono comunque luoghi di orrore. In biblioteca abbiamo visto alcune di queste foto. Ma, essendone a conoscenza, gli Alleati potevano distruggere con bombardamenti aerei i campi e le ferrovie? Probabilmente era possibile, ma l’obiettivo principale degli Alleati era quello di vincere la guerra. Complessivamente nella Seconda Guerra Mondiale morirono 50 milioni di persone; 12 milioni nei campi, di essi 6 milioni erano ebrei e 1,5 milioni bambini. 16 Dopo la presentazione dei libri che avevano come tema le persecuzioni e la Shoah, abbiamo visto una parte del filmato del vero processo ad Adolf Heikmann, uno dei maggiori gerarchi nazisti, svoltosi ad Israele nel 1961. Nel filmato un ebreo ha raccontato la sua testimonianza , successivamente sono state sottoposte delle domande all’ex ufficiale Adolf Heikemann, il quale sosteneva di avere semplicemente obbedito a degli ordini; al processo fu però considerato colpevole e condannato a morte per impiccagione. Come citato all’inizio, questo atto di ricordo ci aiuta a debellare il razzismo dalla faccia della terra. Ricordare che persone che si credevano più “importanti” di altre, abbiano potuto uccidere persone per loro inferiori è molto importante. Ma come possiamo noi, persone dotate di ragione, poter definire altre persone “inferiore” a noi, solo perché non sono della nostra religione, dello stesso colore della pelle o non hanno le nostre capacità. Noi non ci possiamo definire di razza superiore a nessuno perché siamo tutti uguali e, come disse il famoso scienziato Albert Einstein, siamo tutti di un'unica razza, la razza UMANA. LETTERA AD UN AMICO Voghiera, lì 21 Ottobre 2008 Caro Luca... Ciao! Ti scrivo per sapere come va.. a me sta andando tutto bene sai.. E a Berlino come va? State tutti bene? Giada come sta? Ho saputo da Andrea; quel ragazzo romano con gli occhiali, che la settimana scorsa hai subito un intervento allo stomaco.. E’ andato tutto bene? Sono triste.. E’ cominciata la scuola sigh sigh!! Anche se a scuola vado bene il solo pensiero di svegliarmi per sei mesi alle sette di mattina mi viene l’angoscia.. E tu?? Come hai preso il rientro della scuola? Da quando sono partito dalla vacanza e sono arrivato a casa, non ho fatto altro che compiti compiti e ancora compiti!! Quest’anno mi “viene” bene anche la musica.. pensa anche se non mi piace molto suonare ho preso 10 con il flauto. Anche con il tennis sta andando tutto bene. Quest’anno ho vinto quattro tornei e, uno di questi mi ha fatto partecipare a un “master” nazionale che si svolgeva a Torino, mi è anche servito per fare una pausa dai compiti. Il primo giorno sono andato a visitare la Mole Antoneliana , la piazza principale e il palazzo reale. Il secondo giorno era venuta l’ora di giocare. Ho perso giocando orribilmente. Ma basta parlare di cose tristi!! Ti ricordi quel giorno, mi pare fosse il giovedì quando mentre eravamo andati a fare una gita in barca a vedere le grotte tu mi hai spinto giù dalla barca? Non ti parlai per un giorno intero. Ma dopo aver fatto pace siamo tornati amici. Spero di averti divertito con questa lettera. Guarisci presto!!! Nicolò Piazzi Marco Faccini 65 Esperienze extrascolastiche Ricorrenze e celebrazioni ESSERE GRANDE L’estate scorsa , al mio paese ho incontrato un vecchietto che mi ha raccontato che viveva solo perché la moglie era morta e i figli vivevano molto lontano da casa sua. Questo vecchietto molto anziano si chiamava Wainer, era alto 1,55 cm, lui arrivava tutti i pomeriggi con la sua bicicletta e appeso al manubrio aveva una sporta di paglia tutta rotta con dentro una bottiglia d’acqua, una di vino e un pò di pane. Veniva a sedersi nel parco di fronte a casa mia per stare un pò al fresco e all’ombra. Quando lo vedevo andavo a sedermi vicino a lui e lui mi raccontava molte cose: di quando lavorava in campagna, dei giochi che faceva quando era un bambino. Mi spiegava che i giochi se li costruiva da solo, ad esempio la lippa che era un pezzo di legno che veniva lanciato e battuto con un bastone e vinceva chi lo lanciava più lontano. Tutte le volte che lo incontravo vedevo che lui era felice di parlare con me perché gli facevo compagnia. Certamente avrei preferito andare a giocare con i miei amici, ma per fargli piacere rima- LA GIORNATA DELLA MEMORIA nevo anche un po’ con lui, questo mi faceva sentire orgoglioso di dare un po’ d’affetto a questa persona sola e triste e mi sentivo più grande e importante. Poi per passò un po’ di tempo e non lo vidi più; imparai poi dai miei genitori che era stato ricoverato in una casa di riposo in un paese vicino al mio. Penso che al più presto andrò a trovarlo. Filippo Fabbri CIAO Sono Enzo e ho deciso di raccontare cosa mi è successo un paio di anni fa… Era un giorno d’estate dopo essermi lavato e avere fatto colazione sono uscito per andare a giocare con i miei amici. Dopo avere giocato qualche ora siamo andati a pranzare ognuno a casa propria per poi ritrovarci al pomeriggio, finora stava andando tutto bene ma i guai dovevano ancora arrivare!! Infatti dopo pranzo sono uscito di casa, ma ero abbastanza stanco e per lo più faceva caldo. Mentre sono uscito ho incontrato i miei amici e mi hanno chiesto di giocare a nascondino e io ho risposto di no e con la mia bicicletta sono andato a fare un giro rimanendo nei dintorni dove stavano giocan- do e loro, credendo che stavo giocando in bicicletta, hanno incominciato a “dirmi della robaccia”, ma anche “cose pese” oltretutto. All’inizio ho sopportato, ma dopo mezz’ora di insulti non ce la facevo più ho preso la bicicletta e sono andato a casa piangendo e mia mamma curiosa si è fatta dire tutto. Dopo alcune decine di minuti i miei amici sono tornati per chiamarmi a giocare e gli ho rinfacciato l’accaduto insieme a mia mamma. Ma per loro la sfortuna più grande è stata che mentre mia mamma li sgridava sono arrivati i loro genitori che, subito, hanno iniziato a difenderli, ma dopo aver sentito la spiegazione di mia mamma hanno sgridato i propri figli mettendoli in punizio- ne. Un mio amico, mentre correva a casa piangendo, si è girato verso di me dicendomi… a quel punto suo papà gli è “corso dietro” e sua mamma si è scusata con me. Voi penserete siano stati i miei amici gli sfortunati!! Ma provate ad “assorbirvi” gli insulti di tutto un pomeriggio e poi le prese in giro e gli insulti non finivano lì perché, anche a scuola, avevo amici che mi prendevano sempre di mira e alcune volte reagivo, ma altre andavo a casa con il mal di stomaco e non mangiavo. Enzo Righi SONO NATI 5 GATTINI Il sabato prima di Pasqua io non ero a casa. Mia nonna era in giardino insieme a mio nonno, mia mamma era in casa e mio fratello era al computer come al solito. Andava tutto bene, fino a quando la mia gatta di nome Mima non cominciò a stare male. Piedino, un altro mio gatto, se ne era accorto e l’aveva tutta lavata. La Mima ad un certo punto corse nel mio capannone e non si vide per un po’ di tempo; mia nonna cominciava a preoccuparsi!! Mia mamma, incuriosita decise di andare a vedere e... vide tre bellissimi gattini che prendevano il latte dalla loro mamma. Erano tutti grigi uno più bello dell’altro. Quando sono tornata mia nonna mi ha riferito la bella notizia, ero felicissima volevo vederli ma era tardi e dovevo andare a letto. La mattina dopo mi svegliai prestissimo e corsi dai gattini, non ci potevo credere ne erano nati altri due: uno colore caffelatte e uno grigio chiaro. Chiamai mia nonna e le dissi che era il regalo di Pasqua più bello di tutti. Dopo un po’ di giorni i gattini aprirono gli occhi e cominciarono a miagolare sempre più spesso io li andavo a vedere ogni tanto e sembrava che crescessero sempre di più. Adesso sono cresciuti anche se non di molto e miagolano sempre, non vedo l’ora che diventino grandi. Francesca Fordiani LA GATTA DI MIA MAMMA Quando mia mamma era giovane aveva una gatta che si chiamava Micia. Questa gatta era randagia e mio zio, il fratello di mia mamma, era riuscito ad addomesticarla. Un giorno Micia ha partorito cinque gattini, allora, per poterli tenere tutti, mia mamma e la sua famiglia hanno deciso di portarla con i suoi gattini nella casa in campagna a circa sei chilometri da casa. E così hanno preparato una bella cesta con le ciotole per il cibo e per l’acqua e, in macchina, hanno portato Micia con i suoi piccoli nella casa in campagna. Ma alla mattina dopo, quando mia nonna si è alzata ha trovato davanti alla porta Micia con i suoi cinque piccoli, era stanchissima perché probabilmente aveva camminato tutta la notte. Mi hanno infatti detto che quando le gatte trasportano i loro gattini fanno un pezzo di strada per volta in modo da avere sempre tutti i piccoli il più vicino possibile. Mia mamma e la sua famiglia si sono così emozionati nel vedere quello che quella gatta era riuscita a fare che hanno tenuto la Mi- 64 cia ed i cuccioli nella loro casa e solo quando i gattini sono cresciuti ne hanno regalati alcuni. La Micia è invece rimasta a casa da mia nonna fino a qualche anno fa e la ricordo anch’io: era molto bella ma accettava le carezze solo quando lo decideva lei ed io avevo un po’ paura. Edoardo Coletti Martedì 27 Gennaio c’è stata la giornata della memoria e a scuola con i compagni e le professoresse ne abbiamo parlato molto. Venerdì 23 Gennaio siamo andati nella biblioteca comunale di Voghiera dove ad aspettarci c’era Claudia, la bibliotecaria, che ci ha fatto accomodare intorno ad un tavolo e ha iniziato a parlarci della Giornata della Memoria. Ci disse che le persecuzioni contro gli ebrei iniziarono nel 1933 in Germania, che in Europa erano presenti moltissimi campi, circa 10.000, e che si distinguevano in campi di sterminio, campi di sterminio e lavoro forzato, campi di concentramento e lavoro forzato e campi di transito. Poi ci ha presentato alcuni libri che si riferivano proprio a quella giornata. In particolare si è soffermata a parlare di un libro, “Il diario di Anna Frank” e ci ha raccontato la storia della sua autrice. Anna Frank era una bambina ebrea nata in Germania nel 1929. Dopo le leggi razziali il padre di Anna decise di trasferirsi in Olanda. Il 20 giugno del 1942, per il suo compleanno, Anna ricevette in regalo un diario che venne chiamato Kitty. Così la ragazzina decise di iniziare a scrivere ciò che provava o che accadeva. Il 5 luglio 1942 successe un fatto gravissimo, Margot, la sorella maggiore di Anna, ricevette una cartolina dalla polizia olandese. Quel pezzo di carta rettangolare aveva un significato molto brutto, cioè che la polizia avrebbe portato via la ragazza. Così si nascosero tutti in un alloggio segreto che si trovava sopra l’ufficio del padre, la cui porta era nascosta da una libreria. In quel posto, dove la luce era scarsa e all’unica finestra che c’era non potevano neanche affacciarsi, i Frank rimasero per due anni. Però, malgrado la porta fosse ben nascosta, il 4 agosto 1944 la polizia scoprì l’alloggio segreto e arrestò tutta la famiglia. Anna e Margot furono più volte trasferite e, nei primi giorni di settembre, arrivarono ad Auschwitz. Pochi giorni prima della liberazione le sorelle Frank morirono. Una dipendente del padre aveva trovato il diario e l’aveva tenuto nascosto perché voleva restituirlo ad Anna al suo ritorno ma, una volta saputo che non sarebbe più tornata, lo diede al padre che lo fece pubblicare. Tornati a scuola, abbiamo continuato a parlare della storia di questa ragazzina. Qualche giorno dopo la nostra professoressa di Italiano ci ha presentato un libro che raccontava la storia di una bambina di nome Hana Brady. Questo libro si intitolava “La valigia di Hana”. E così iniziò a leggercelo… Hana Brady era una bambina di 10 anni che viveva in Cecoslovacchia, precisamente a Nove Mestro, con la sua famiglia composta dal padre Karel, la madre Marketa e il fratello maggiore George. Era una famiglia normale, Hana andava a scuola e aveva molti amici che le volevano bene. Aveva molti hobby, tra cui andare a pattinare sul lago ghiacciato nel suo paese. Però c’era una cosa che distingueva la famiglia di Hana da tutte le altre: i Brady erano ebrei! I fatti precipitarono quando, nel 1939, a casa arrivò una lettera indirizzata alla madre Marketa con scritto che doveva recarsi subito al commissariato; la notte seguente la madre partì. Hana non aveva ben chiaro che cosa stesse succedendo ma era convinta che la madre sarebbe partita e non sarebbe più tornata. Poi anche il padre fu arrestato e fu costretto a lasciare i figli con una governante di fiducia. Un giorno Hana si recò alla posta dove trovò 17 un piccolo pacchettino marrone inviatole da sua mamma. Dentro c’era un cuore di pane con incise le sue iniziali e una lettera. Hana e George avevano uno zio che voleva loro molto bene. Lo zio Ludvik, pur non essendo ebreo, prese i due fratelli e li portò a vivere con sé, rischiando la propria vita perché a quei tempi i non ebrei non potevano proteggere gli ebrei. Un giorno, però, Hana e George furono allontanati dallo zio e portati nel campo di Terezin dove i maschi dovevano stare separati dalle femmine. Hana e George avevano dovuto separarsi anche se avevano promesso di restare sempre insieme. George sopravvisse grazie alla sua grande abilità nel fare l’idraulico. Hana invece arrivò ad Auschwitz e, lo stesso giorno, fu uccisa. Il fratello, finite le persecuzioni, ritornò a casa dove era convinto di trovare anche la sorella, invece venne a sapere che Hana e i genitori non c’erano più. Alcuni anni dopo una maestra dal Giappone riuscì a mettersi in contatto con lui e gli disse che la valigia di Hana era là. Lui si commosse nel rivedere e ritoccare la valigia di sua sorella, ma soprattutto perché c’era una classe di bambini che lo aveva accolto ed era curiosa di conoscerlo perché voleva ascoltare la storia della famiglia Brady. Oltre a queste due attività abbiamo parlato anche di Giorgio Perlasca e del suo grande coraggio. Di questo uomo non mi ricordo molto: so che lui si era finto Console di Spagna e con questo inganno aveva salvato 5.218 ebrei ungheresi. Abbiamo parlato molto di questa giornata perché è importante sapere ed imparare cose che riguardano il passato per fare in modo che alcuni gravi errori non accadano più. Giulia Marzola Ricorrenze e celebrazioni Esperienze extrascolastiche UNA INTERESSANTE LEZIONE DI STORIA Lunedì 20 Aprile io e la mia classe, accompagnati dalla Prof.ssa Tosi, siamo andati al Centro civico di Voghiera dove abbiamo incontrato il Dott.Umberto Rinaldi e il sig Gianni Bortolotti, che ci hanno raccontato la loro esperienza durante la II guerra mondiale. Umberto Rinaldi, giovanissimo, era diventato partigiano. Prima di parlarci della sua esperienza ci ha fornito molte informazioni sul periodo storico di cui stavamo parlando: dal Fascismo all’entrata in guerra, dalla caduta di Mussolini alla nascita della Repubblica di Salò, dalla Resistenza alla fine della guerra e alla nascita della Costituzione repubblicana. Gianni Bortolotti invece ci ha raccontato la sua esperienza di deportato civile dal 1944 al Settembre del ’45. Un giorno ricevette una lettera che gli ordinava di presentarsi per essere utilizzato come lavoratore e, all’età di soli 17 anni, fu portato in Polonia, dove doveva lavorare per una famiglia tedesca, prendendosi cura della fattoria, insieme ad una ragazza ucraina. Arrivato l’inverno, la guerra stava finendo, i Russi si avvicinavano e lui fu costretto a scappare insieme alla signora tedesca e ai suoi figli; preparò il carro e presero la strada verso Nord, verso la Germania. Il viaggio fu lungo e faticoso e a un certo punto arrivarono in una valle dove c’era un lago ghiacciato. Il ghiaccio riuscì a tenere il passaggio dei primi carri, ma poi iniziò a cedere e alcune carrozze caddero in acqua. Molti cavalli, camminando sul ghiaccio cadevano, rompendosi le gambe, allora venivano uccisi con un colpo di pistola e si proseguiva. Finalmente giunsero in un villaggio, dove sostarono. La notte fu tremenda perché si sentivano esplodere le granate e le bombe. Bortolotti era in una stalla, si rannicchiò in un angolo, era molto spaventato, ma si addormentò comunque a causa della fatica accumulata durante il viaggio. Il giorno dopo si stupì per il gran silenzio; un francese gli disse che erano liberi. Dopo qualche giorno, visto che nessuno si preoccupava di rimpatriarlo, decise di partire da solo, a piedi. Durante il viaggio incontrò altri italiani e, insieme, proseguirono; però le gambe ormai non ce la facevano, così decisero di fermarsi in un campo, da dove , dopo diverse settimane, furono riportati in Italia. Il camion arrivò a Ferrara, qui trovò sua madre che lo abbracciò e lo riportò a casa. Poi il Signor Rinaldi ci ha parlato della sua esperienza di partigiano. Anche se aveva solo 15 anni, i veterani gli avevano dato degli incarichi, come ad esempio spostare o A VENEZIA scambiare i cartelli con le indicazioni stradali in modo da disorientare i Tedeschi. Ebbe anche l’incarico di scrivere, con la macchina da scrivere della zia, un volantino in cui si chiedeva ai contadini di non dare il grano ai tedeschi, in modo da metterli in difficoltà. Portò anche, in segreto, delle armi ai partigiani, rischiando molto perché le strade erano pattugliate dai tedeschi. Fortunatamente non fu notato né considerato pericoloso, proprio perché era un ragazzino. Poi noi ragazzi abbiamo posto diverse domande ad entrambi. Mi sono parsi interessanti entrambi i racconti, ma mi ha colpito in modo particolare quando il signor Rinaldi ha raccontato la sua esperienza, perché quando i fatti sono accaduti cronologicamente era molto vicino alla nostra età. Una iniziativa di questo tipo secondo me è stata molto utile, perché sinceramente mi piace che si raccontino fatti realmente accaduti, nei quali ho cercato di immedesimarmi, pensando a cosa avrei fatto io in determinate situazioni, considerando anche la giovane età delle persone coinvolte quando quei fatti sono accaduti. Luca Bacilieri L’anno scorso mio nonno è venuto dalla Romania in Italia per vedere come stavamo io e i miei genitori. Quando è arrivato in Italia mio nonno ha detto a mia madre che gli sarebbe tanto piaciuto vedere almeno per una volta Venezia. Allora mia madre gli ha detto che lo avremmo portato un giorno intero a Venezia. Il giorno che siamo andati a Venezia era una domenica; siamo partiti la matti- na con il treno da Ferrara. Mentre ero sul treno ascoltavo la musica dal mio telefono, ed i miei genitori parlavano con mio nonno. Arrivati a Venezia davanti alla stazione abbiamo fatto qualche foto,poi siamo partiti verso la nota piazza di S. Marco; durante il percorso abbiamo anche visitato tanti negozi e ci siamo fermati anche a mangiare una pizza. Anche nella piazza di S. Marco abbiamo fatto tante foto con i piccioni. Poi per tornare alla stazione da cui eravamo arrivati abbiamo preso un vaporetto dalla piazza di S. Marco. Arrivati in stazione abbiamo ripreso il treno e siamo quindi ritornati a Ferrara. Arrivati a casa mio nonno ha detto che era davvero molto bella Venezia. Paul Avram IN GITA A VENEZIA Un mese fa sono andato con la mia famiglia a Venezia. Siamo partiti in macchina da Voghiera e siamo andati a Ferrara dove abbiamo preso il treno per Venezia . io ero molto curioso di vedere la città visto che non c’ero mai stato. Alle 10. 30 siamo arrivati. In stazione c’erano molti negozi di souvenir. Siamo usciti dalla stazione e siamo andati sul ponte più famoso di Venezia. Poi siamo stati in un bar per un break. Mi sembrava tutto così affascinante lì a Venezia; poi ci siamo incamminati e per andare in alcuni luoghi l’unico mezzo era la gondola. Anche io avrei voluto andare su una gondola ma c’ era troppa gente pronta a salirvi. . Abbiamo attraversato molti ponticelli che collegavano una strada all’ altra. Finalmente siamo arrivati a piazza San Marco dove abbiamo visto il campanile e la basilica . La piazza era piena di piccioni. Sulla parete della basilica vi è una statua. Non siamo riusciti ad entrare nè nella basilica nè nel campanile perché non era aperta al pubblico quel giorno. Poi ci siamo incamminati per una via dove abbiamo trovato una piazzetta e lì abbiamo pranzato. Siamo andati vicino al mare dove abbiamo visto una nave chiamata ‘Amerigo Vespucci ‘ si poteva entrare a visitarla, ma c era troppa gente anche lì . Infine siamo stati in un parco, dove ci siamo rilassati per la lunga camminata; con una grande statua al centro. Alla fine siamo tornati a Ferrara in treno. È stata un’ esperienza bella e spero di tornarci e di visitare la basilica e il campanile. Mi dispiace che Venezia sia una città destinata a sparire per via dell’ innalzamento dell’ acqua. Alberto Poltronieri RITIRO A ROMA Noi ragazzi del catechismo di Gualdo abbiamo deciso, assieme a Marianna la nostra catechista, di andare a visitare Roma per il ritiro della Cresima. Abbiamo impiegato parecchio tempo per organizzare questo mini-pellegrinaggio: inizialmente avevamo fissato la data in maggio , ma il Pontefice ha programmato un viaggio in Terra Santa, dunque abbiamo pensato di anticipare la nostra visita al 18\19 aprile. Ci siamo trovati noi ragazzi, alcune mamme, la catechista e il parroco in stazione a Ferrara alle 7:30 di sabato mattina e siamo comodamente arrivati a Roma su un Eurostar dopo un bel tragitto attraverso la pianura, l’Appennino e la campagna toscana e romana. Siamo arrivati a destinazione alle 11 circa, per raggiungere l’albergo abbiamo preso l’autobus: l’autista era maleducato e velocista, infatti appena il bus partiva si impennava quasi come una moto. Il nostro albergo era in pieno centro, sempli- 18 ce e carino gestito da suore e tutto costruito attorno alla chiesa: per salire alle camere sembrava di essere in un labirinto. Abbiamo pranzato in hotel e abbiamo dedicato il pomeriggio alla visita della città: Via Condotti, Piazza di Spagna e Trinità dei Monti, Piazza San Pietro e Città del Vaticano dove abbiamo sostato davanti alle tombe dei vari papi. Abbiamo visitato la basilica dove abbiamo potuto ammirare la Pietà di Michelangelo e innumerevoli affreschi e opere d’arte di tutti i tempi. Una particolarità delle opere pittoriche della basilica ci ha particolarmente colpito: sembrano quadri ma in realtà sono mosaici. Oltre ad offrirci la visita di tutta la città su un maxi-bus a due pian,i il nostro parroco ci ha fatto visitare un sacco di chiese, il Pantheon, la fontana di Trevi, Piazza Navona e infine il Colosseo ed i Fori imperiali. Una particolarità molto istruttiva è la sequenza di bassorilievi che si trovano lungo 63 la strada dei Fori Imperiali e che illustrano l’espansione geografica dell’Impero Romano. Domenica mattina, dopo esserci confessati in San Pietro, abbiamo assistito alla Santa Messa in latino, e dato che il papa si trovava a Castel Gandolfo, abbiamo consegnato alle Guardie Svizzere gli stendardi che avevamo disegnato per il Santo Padre. Successivamente ci siamo recati alla basilica di S. Giovanni in Laterano e ultimo ma non meno importante alla Scala Santa: si tratta della scala che ha salito Gesù quando si è recato da Ponzio Pilato. Nel frattempo poi il tempo era molto peggiorato e così sotto un diluvio siamo arrivati alla stazione per prendere il treno che ci ha riportati a Ferrara stanchi ma molto soddisfatti. Cristian Cestari Edoardo Coletti Daniele Sovrani Hobbies e passioni Ricorrenze e celebrazioni 25 APRILE GIORNO DELLA LIBERAZIONE IL NUOTO: LA MIA PIÙ GRANDE PASSIONE Cominciò tutto un pomeriggio di sette anni fa. A quei tempi avevo sei anni e mia madre mi portò nella piscina “Atena” di Argenta. Mi aveva iscritta a un corso di nuoto. Ricordo che a me l’acqua non piaceva tanto, prima di tutto perché era fredda, poi perché, quando ero piccolina, mio fratello mi spinse in acqua anche se non sapevo tanto nuotare e ne bevvi molta. Da quel giorno ero rimasta terrorizzata. Quel pomeriggio entrai in acqua e, rassicurata dalla voce di mia mamma, ricominciai a nuotare. Mi sentivo benissimo. La sensazione più piacevole era sentirmi cullata dall’acqua mentre nuotavo, ciò mi faceva sentire bene. Da quel giorno c’era per me solo una passione: il nuoto! Oggi, a distanza di sette lunghi anni, sono ancora qui, che nuoto felicemente. Per me nuotare è tutto, quando sono nervosa mi aiuta a tranquillizzarmi, mi rilasso e “ritrovo” me stessa. Mi possono togliere tutto, ma il nuoto no! Per me nuotare significa vivere, essere liberi, mi fa sentire viva, mi fa essere quella persona che voglio essere. Se mi togliessero il nuoto o io non potessi più nuotare, sarebbe come uccidere una parte di me, quella parte che la mia passione mi fa diventare. Tutte le volte che entro in acqua mi sento leggera, mi sembra di volare, anche perché l’acqua blu e cristallina della piscina mi ricorda il cielo e quindi tutte le volte mi pare di poter volare, di essere come una stella nel giusto posto del cielo, oppure un pesce nel suo luogo perfetto, ideale per la sua vita. Anno dopo anno continuavo ad andare in piscina e, quando arrivava l’estate, era ora di pausa e io aspettavo sempre con ansia di ritornare e di rivedere i miei amici e compagni di vasca. Ora vado in piscina due volte a settimana, il lunedì e il giovedì, ma purtroppo, a causa di alcuni problemi, ho smesso di andare ad Argenta, adesso vado a Portomaggiore, dove la piscina è molto più piccola, però gli amici non mancano mai e sono tutti molto simpatici! L’allenatore, però, a volte è “peso”, ma comunque è bravo e io mi diverto anche perché continuo la mia passione. Sono contentissima ed entusiasta di continuare a nuotare, ma un po’ mi manca la piscina “Atena”, là ho lasciato l’istruttrice che mi ha insegnato ad amare e a continuare il nuoto, a lei devo tutto il merito se oggi sono così. Poi ho lasciato la mia inseparabile compagna Alessia, con lei era bellissimo parlare e condividere tutto; c’erano anche Simone, sempre presente a tutte le lezioni, Matteo che mi faceva sempre morire dal ridere e infine c’era lui, il mio primo “amore”: Diego, che è stata la persona più importante e la più difficile da lasciare; ora siamo buoni amici, ma la sua presenza mi manca, mi manca moltissimo. Questa voglia non cesserà mai, anche perché, nella piscina “Atena”, ho lasciato una parte della mia vita, una parte di ricordi e quindi il nuoto, anche perché è l’unico sport che amo alla follia, è e rimarrà: LA MIA PIÚ GRANDE PASSIONE!! Caterina Garbellini LE MIE PASSIONI PIÙ GRANDI La mia passione più grande è la corsa, che ho praticato fin dalla prima elementare, quando avevo sei anni. Ho iniziato a correre perché mio papà ha sempre corso e mi raccontava quanto era bello, allora gli chiedevo sempre se un giorno mi avrebbe portato a correre nel circuito vicino a casa, ma lui, lavorando molto e tanto, non riusciva mai. Un martedì di giugno, a sorpresa, mio papà arrivò a casa dal lavoro prima del solito e mi chiese se ero pronta per andare a correre, io, felicissima ed entusiasta, mi cambiai e partii per andare a correre con lui. Proprio quel giorno, c’era un’allenatrice che stava allenando dei miei amici che conoscevo di vista, mi fermò e mi chiese se volessi andare ad allenarmi con lei e io ho subito risposto di sì, pur essendo molto timida. Da quel giorno mi sono innamorata moltissimo della corsa. Lei, purtroppo, mi ha allenato fino alla quinta elementare, poi non ha più allenato nessuno per problemi familiari. Dopo un po’ di mesi sono andata ad allenarmi con un’altra allenatrice, anche se mi trovavo meglio prima. Io, correndo, ho ottenuto molti risultati e soddisfazioni, come ad esempio il mio record su un chilometro, oppure d’estate quando, con mio papà, faccio sempre la gara di sette chilometri a Ferrara, nel sottomura, o quando ero piccola e andavo a correre ed ero la più brava, perché arrivavo davanti alle ragazze più grandi. Tutto questo è quello che mi ha portato la corsa ed il mio sport preferito, e per questo ho un desiderio molto grande, anche se sarà difficile che si realizzi , è di andare alle olimpiadi e fare i cinque chilometri o la maratona. L’altra mia passione è il nuoto. Ho iniziato a praticarlo quando ero in seconda elementare, perché ho dei problemi con la schiena, questo sport non mi piaceva, però poi, una volta entrata in piscina, non volevo mai uscire dall’acqua. I primi due anni andavo a Portomaggiore poi, visto che tutti dicevano che era meglio Molinella, ho iniziato ad andare là con una mia amica. Mi sono trovata bene da subito anche con gli istruttori. D’estate quando finivo i corsi, (purtroppo), con una mia amica andavo a fare nuoto libero e mi divertivo moltissimo, poi andavo anche nella piscina all’esterno che era enorme e facevo i tuffi dal trampolino di cinque metri. Dalla quinta elementare ho avuto un istruttore che, all’inizio non mi piaceva per niente, poi, conoscendolo meglio, mi è piaciuto sempre di più e chiama me e una mia amica “donne bioniche”, perché andiamo molto forte e siamo molto brave. Secondo me, perché piaccia uno sport, bisogna solo che diverta e io mi diverto moltissimo, ed è per questo che questi due sport sono la mia passione più grande e non smetterò mai di praticarli. Greta Dalla Libera ARTE ED IMMAGINE MI PIACE PERCHÉ… Faccio i disegni con gli acquerelli, le tempere, i pennarelli; dipingo i fogli e imparo a ricalcare il contorno dei disegni con il nero. Ho scoperto che mescolando alcuni colori ne vengono fuori altri, quando li mescolo sembra una magia. Quando dipingo sono contento e mi diverto con i miei compagni. L’aula di arte è piena di cose, sul tavolo ci sono tanti colori, pennelli, scatole, fogli e disegni. 62 Alle pareti sono appesi i quadri che hanno fatto i ragazzi della scuola. Andrea Coltra Lunedì 20 aprile noi classi terze di Voghiera, siamo andati al centro civico ad ascoltare ed a confrontarci con alcune persone che avevano “vissuto” la 2° guerra mondiale. Arrivati c’erano quattro persone anziane, ma di queste solo due (Il sig. Rinaldi e il sig. Bortolotti) ci hanno parlato della loro esperienza il sig. Rinaldi ci ha parlato prima della situazione di quel periodo in Italia. In Italia c’era un clima, un ambiente e una situazione drammatica, i fascisti devastavano le sedi dei sindacati. Il 10 luglio 1943 gli alleati sbarcarono nell’Italia centro-meridionale e risalirono finché, il 25 aprile, gli americani liberarono l’Italia; questo è stato il ricordo più bello del sig. Rinaldi e, questo giorno, ogni anno, viene ricordato e festeggiato da tutta l’Italia come il giorno della liberazione. In quel periodo i tedeschi, tramite i fascisti, mandavano cartoline ai ragazzi per la deportazione in Germania per lavorare e, in caso di mancato reclutamento, provvedevano al prelievo di un altro componente della famiglia. Il sig. Rinaldi ci ha raccontato quello che accadde: lui aveva 15 anni quando arrivò la cartolina di reclutamento a casa sua, il reclutamento riguardava suo fratello. Il treno partito da Montesanto, prima dell’arrivo a Ferrara è stato costretto a fermarsi a causa di tremendi bombardamenti sulla città. Il fratello ha approfittato di questo evento e si è nascosto a Poggio Renatico da alcuni suoi parenti. Subito dopo i tedeschi, accortisi che mancava, mandarono un fascista a casa loro per dire che se il fratello non fosse partito sarebbe dovuto andare il padre, che, non era in condizioni di lavorare. Questo fu il momento più brutto per il sig. Rinaldi e la sua famiglia che dovevano decidere chi far partire; richiamarono suo fratello che sarebbe dovuto partire. In questo periodo ci furono numerose morti, come il fratello minore del sig. Rinaldi che trovò un ordigno inesploso e, dopo averlo preso, gli scoppiò all’altezza dell’addome provocandogli numerose ustioni che in sei ore lo portarono alla morte. Il 28 dicembre sette fratelli furono trucidati; a Roma, nelle Fosse Ardeatine 335 persone morirono tramite colpi alla testa; strage a Marzabotto con 1836 morti. Questi fatti portarono molti ragazzi ad entrare nel gruppo della resistenza. Per un ragazzo di 15 anni appartenente al gruppo della resistenza il compito era quello di reperire armi per gli anziani. Le squadre minorenni non imbracciavano fucili, cercavano solo di raccogliere armi e depistare i tedeschi. Mentre le persone di 20 anni scappavano dal fronte i partigiani chiedevano loro le armi oppure le rubavano ai tedeschi o ai fascisti. I partigiani della zona, avevano un amico che aveva un deposito da cui prendevano le munizioni; un giorno, mentre stavano portando delle armi ai partigiani incontrarono un tedesco che però, forse per paura, cercò di evitarli. Oltre a reperire armi e a depistare i tedeschi, i partigiani facevano riunioni per discutere sulle strategie. Siccome c’erano degli agricoltori che erano obbligati a cedere il grano ai tedeschi i partigiani cercavano anche venisse meno questo “beneficio” per indebolire i tedeschi. La lotta partigiana si articolava in vari modi a seconda del luogo, siccome lì erano in campagna l’unica cosa che potevano fare era dare indicazioni errate, dal momento che le persone non capivano il tedesco; quando i tedeschi dovevano passare da una città all’altra i contadini mettevano dei cartelli con frecce per indicare la via e i partigiani cercavano di cambiare la direzione di queste frecce. Essere stato partigiano per il sig. Rinaldi fu come andare in una grande scuola. Spesso i capi della resistenza erano uomini provenienti da stati diversi. Nel 1947 fu deciso di proclamare la costituzione, votata dall’88% della popolazione, solo il 56% erano repubblicani. A quel punto il sig. Rinaldi citò alcuni importanti articoli della costituzione: Art.3 Tutte le persone hanno pari diritti e sono eguali davanti alla legge. Art.11 L’Italia ripudia la guerra come offesa alla libertà degli altri stati. Il sig. Rinaldi pensa che quelli come Hitler e i dirigenti non possono essere perdonati, ma bisogna cercare di non fare succedere più “quelle cose”. Poi fu la volta del sig. Bortolotti che raccontò la sua storia: nel giugno del 1944 arrivò una cartolina che diceva di mandare dei ragazzi a lavorare in Germania, i tedeschi avevano liberato Mussolini dal Gran Sasso e quindi l’Italia continuava ad essere alleata con Germania e Giappone. Il sig. Bortolotti dovette partire per la Germania e poi per la Polonia, lui era insieme ad altri italiani ma poi venne diviso da loro, il momento più doloroso per il sig. Bortolotti è stato quando rimase solo ed arrivò in una fattoria, poichè la padrona di casa parlava in tedesco il sig. Bortolotti si è dovuto creare un “dizionario”. Li si continuava a lavorare anche quando pioveva, data la solitudine se qualcuno voleva sfogarsi parlava con i cavalli. Nelle domeniche d’estate andava a trovare gli amici. Ha visto la madre della sua padrona morire, lui ha visto morire solo lei in tutta la guerra e molti si sono stupiti che abbia pianto quando è morta, ma secondo lui non era cattiva come la sua padrona, ma ,anzi, con lui, era buona e gentile. L’ultima notte dell’anno era stato invitato ad un ballo da due ragazze polacche, ma non ci andò perché erano vestiti male. Le ragazze però andarono a prenderli per ballare anche se erano vestiti male: si divertirono e brindarono, è tornò a casa all’una. Non ha mai più rivisto nessuno di loro perché d’inverno il fronte russo avanzò e si cominciarono a sentire i cannoni; quando la padrona di casa 19 decise che dovevano fuggire in Germania un’ucraina amica del sig. Bortolotti scappò, ma lui decise di seguire la sua padrona anche perchè con due bambini piccoli aveva sicuramente bisogno di aiuto. Quando scapparono cominciarono a sentire delle granate; la strada era piena di profughi, mentre scappavano un tedesco disse loro che era inutile scappare perché i russi li avevano circondati e l’unica strada era per attraverso una valle dove c’era un argine ghiacciato, su quest’argine i cavalli slittavano, alcuni riuscivano a passare ma molti di loro cadendo si rompevano le gambe. Durante il viaggio il cibo veniva procurato chiedendolo ai contadini e qualche volta si pativa la fame, qualche volta si era costretti a rubare il cibo, il sig. Bortolotti sostiene che non ha mai rubato per mangiare, gli è capitato solo una volta perché un polacco gli chiese se aveva fame, il sig. Bortolotti rispose di sì e allora il polacco lo condusse in un carro da dove tirò fuori una pezzo di carne. Il sig. Bortolotti è riuscito ad attraversare la Germania e ad arrivare a Valdelburgo, una località al confine con l’Olanda. Poi arrivarono gli americani e ci fu un tremendo bombardamento, lui cercò di scappare, trovò un rifugio e si addormentò. Al risveglio il sig. Bortolotti trovò un francese che gli disse che erano arrivati gli alleati e la guerra era finita, durante tutti quei 16 mesi il sig. Bortolotti non aveva mai pensato di non riuscire a tornare a casa. Si videro dei cingolati che passarono insieme ad alcuni carri che portarono i deportati negli aeroporti per riportargli dalle loro famiglie. Il sig. Bortolotti rimase lì 7 giorni poi si incamminò verso il sud dove incontrò altri tre italiani che cercavano di raggiungere l’Italia, alla fine arrivarono in un campo di concentramento, poi in un altro e in un altro ancora; oltre ai campi di concentramento gli capitò di fermarsi a dormire nei boschi. Arrivarono sul Brennero, poi a Verona, a Bondeno e a Ferrara; una volta arrivato dissero loro che forse non avrebbero ritrovato le case e i genitori perché era stato tutto bombardato; invece lui li ritrovò e ritrovò anche tutti gli amici e la sua fidanzata: questo per lui è stato il momento più bello. Dei 12 italiani partiti uno solo non tornò. Tornando a casa dalla Germania nel 1945 per non dimenticare l’ accaduto scrisse un diario che, però non pubblicò. Il sig. Bortolotti perdonò i tedeschi che in divisa erano criminali ma a casa erano persone normali con una famiglia da mantenere, con loro lavorò e si trovò anche bene. Enrico Agostinetto Ilaria Gallerani Commento a libri e film Hobbies e passioni IL PICCOLO PRINCIPE L’autore dedica “Il Piccolo Principe” a Leone Werth. Lui era il suo più caro amico. Più precisamente lo dedicò a Leone Werth quando era bambino. Inizialmente il libro narra di un bambino di sei anni che aveva una grande passione: disegnare. Un giorno disegnò, da un libro intitolato “Storie vissute della natura”, un boa che inghiottiva un animale. Poi ne fece uno di sua inventiva, lo mostrò ai grandi e gli chiese se li spaventava ma tutti risposero: <<Spaventare? Perché mai dovremmo essere spaventati da un cappello?>> Il suo disegno non era un cappello, ma era un serpente boa che ingoiava un elefante. Allora lo disegnò visto dall’interno ma questa volta gli risposero che doveva occuparsi della matematica, della grammatica e della storia e lui pensò che i grandi non capiscono niente. Allora, quando divenne grande, decise di pilotare gli aerei e la conoscenza della geografia gli fu molto utile per distinguere i vari continenti e nazioni. Fu così che ebbe un incidente nel Sahara, lì riposò per la notte e la mattina lo svegliò una vocetta che gli diceva: <<Mi disegni una pecora?>>. Vide davanti e sé una strana personcina che lo guardava fisso. Il pilota gli disse che come pittore era un po’ maldestro. Provò varie volte a disegnare una pecora ma nessun disegno gli riusciva bene. La prima pecora era malaticcia, la seconda sembrava un ariete e la terza era vecchia. Il pilota si stancò e gli disegnò una cassetta dove dentro ci doveva essere la pecora. Quello era il disegno giu- sto. Fu così che l’aviatore conobbe il Piccolo Principe. Il Piccolo Principe veniva da un altro pianeta. Da lui era tutto molto piccolo, ci stavano a malapena lui e la sua cassetta. Un giorno sul pianeta nacque un fiore diverso da tutti gli altri. Non smetteva mai di prepararsi ad essere bello, ma ben presto si scoprì che il suo carattere era troppo esigente: voleva essere annaffiato tutte le mattine, voleva una campana di vetro per ripararsi dagli animali feroci e un paravento per le correnti d’aria. Fu questo comportamento a costringere il Piccolo Principe ad andarsene. La mattina successiva ripulì tutto e partì, unendosi ad una migrazione di uccelli. Visitò gli asteroidi 325- 326- 327- 328- 329- 330 per cercare un’occupazione e per istruirsi. Nel primo pianeta c’era un re, nel secondo un vanitoso, nel terzo un ubriacone, nel quarto un uomo d’affari, nel quinto un lampionaio e nell’ultimo un geografo. Poi decise di andare sulla Terra dietro consiglio del geografo. All’inizio non vide uomini ma incontrò, dopo varie avventure, una volpe. La volpe chiese al Principino se voleva addomesticarla, poi gli spiegò: <<Addomesticare vuol dire creare dei legami>> e si addomesticarono l’uno con l’altra. Era l’ottavo giorno della caduta nel deserto quando finì l’acqua. Con il pilota c’era anche il Piccolo Principe, così si misero in cammino per cercare un pozzo. Quando lo trovarono, si stupirono perché era un pozzo munito di carrucola e secchio, diverso dai soliti pozzi sahariani che erano un semplice buco nel terreno. Così prelevarono l’acqua e LA MUSICA: IL MIO GRANDE AMORE bevvero. Il pilota doveva mantenere la promessa fatta al Piccolo Principe e disegnargli una museruola per la sua pecora, in modo che non mangiasse il suo fiore. Così mantenne la promessa e gliela disegnò. Il Principino, all’insaputa del pilota, si mise d’accordo con il serpente che poteva aiutarlo a ritornare sul suo pianeta. Però ci doveva tornare solo con l’anima. Quando lo rivelò al pilota gli disse che quando sarebbe tornato sul suo pianeta avrebbe riso, così il pilota, quando avrebbe guardato le stelle, le avrebbe viste sorridere tutte. La sera spiegò al pilota il motivo per il quale voleva ritornare sull’asteroide B612 ma dopo un po’ si vide un guizzo giallo intorno alla caviglia del Principino. Non urlò neanche ma cadde dolcemente come un albero sulla sabbia. Dopo alcuni giorni il pilota ebbe delle preoccupazioni: alla museruola non aveva messo la stringa per allacciarla, così una parte di lui era preoccupata pensando che il fiore sarebbe stato mangiato, ma un’altra parte era certa che questo non sarebbe accaduto. Questo libro mi è piaciuto molto, soprattutto quando il Principino ha incontrato il lampionaio perché era l’unico che avrebbe potuto diventare suo amico, ma sul suo pianeta non c’era posto per due. Matteo Buzzoni IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA Nel testo del “Piccolo Principe” ci sono diverse situazioni riguardanti l’amicizia, ad esempio quando il Piccolo Principe incontra la volpe ed essa gli dice: “ Tu, fino ad ora, per me, non sei che un ragazzo uguale ad altri centomila ragazzi. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi (creare legami), noi avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo”. Per me, un vero amico è la persona con cui posso parlare liberamente, una persona fidata. Una persona amica deve fidarsi di me, deve essere simpatica, non deve barare, è una persona con cui, se litigo, faccio pace prima di due settimane, se è una cosa importante, se invece è una banalità prima di tre giorni. Questa persona non è unica perché ha dei super poteri ma, ad esempio, se accadesse che a me e a questa persona piacesse lo stesso ragazzo non litighiamo, anzi, ci ridiamo su e parliamo di altro, oppure giochiamo e ascoltiamo musica, proprio perché, come nel brano che ho citato sopra tra la volpe e il Piccolo Principe, abbiamo creato dei legami. Questa mia amica è Giada Bottazzi di Ι G; lei è magra, alta poco più di me anche se è nata dopo di me, con i capelli rossi e corti (anche se fino a metà della quinta elementare aveva i capelli lunghi), il naso piccolo e un pochino a patata, la bocca piccola e gli occhi di medie dimensioni. Giada è un po’ maldestra, gentile e chiacchierona, brava nello sport, ma non molto brava a scuola anche se si impegna , comunque è testarda, infatti, a volte, ottiene quello che vuole e per me questo è uno dei suoi lati migliori, è buona, ma a volte rompiscatole, tanto che non la sopporto e vorrei tirarle uno scapellotto, comunque è tranquilla, e spero che rimarrà per sempre la mia migliore amica!!! Un episodio che rappresenta la sua onestà e quindi la nostra amicizia è stato quando, in quinta, vidi al collo di una mia ex-compagna una collana azzurra che avevo fatto io e ave- 20 vo regalato a Giada. Io chiesi a questa ragazza perché l’avesse, lei mi disse che l’aveva comprata con i penny ( soldi che avevamo inventato con degli amici). Io andai da Giada per chiederle spiegazioni, lei mi disse che non era vero nulla, ma io non le avevo creduto. Dopo un po’ capii però che la mia excompagna aveva rubato la collana e io avrei dovuto fidarmi della mia amica, perché quella compagna mi aveva rubato anche un quaderno con la cornicetta che mi aveva fatto mia madre e un’altra volta il mio quaderno di matematica con i compiti perché non li aveva fatti. In seguito a questo mi sono resa conto che Giada è una persona fidata!!! Irene Bellettini La mia più grande passione è la musica, per me è tutto. Mi aiuta sempre anche in situazioni difficili, per esempio quando sono triste ascolto della musica molto allegra per tirarmi su. Quando devo sfogarmi comincio a cantare e dopo mi sento subito meglio. Quando sono molto felice, sento la mia canzone preferita suonarmi dentro la testa ed è una sensazione molto piacevole. L’estate scorsa ho trascorso intere giornate ad ascoltare musica con una mia amica sdraiate su un materassino: ci siamo divertite un mondo. Guardo spesso programmi televisivi dove trasmettono della musica, ad esempio “Amici” o “X Factor”; quando sono in camera metto la musica e faccio i compiti oppure “chatto” con i miei amici. Alcune persone mi dicono che dovrei studiare di più invece di ascoltare le canzoni, io dico che studio, però dopo devo rilassarmi. Quando canto mi sento benissimo, infatti il mio professore di musica mi ha aggiunto nel coro della scuola. Dobbiamo fare molti concorsi; l’altro ieri abbiamo partecipato al concorso “Agostini” e siamo arrivati primi. Sabato pomeriggio, alle 17:00, ci premieranno al Ridotto del Teatro Comunale di Ferrara. Il 28 aprile abbiamo un altro concorso a Portomaggiore, speriamo di vincere anche questa volta. La mia musica preferita è quella pop e anche un po’ house, infatti sul mio MP3 ho solo quella. Il mio gruppo preferito sono i “Finley”, non solo perché sono bravi, ma anche perché sono molto carini. Domenica, una mia amica verrà a casa mia e canteremo tutto il giorno, perché ci piace e siamo abbastanza brave. Un’altra mia passione, legata alla musica, è il violino. Quando comincio a suonare sento dentro di me una specie di allegria che mi fa suonare ancora meglio e mi diverto tantissimo. Il violino è molto importante per me, l’anno scorso non ero bravissima, ma adesso, che mi piace di più, lo suono più volentieri e quindi suono meglio. Il professore di violino è molto simpatico e ci divertiamo tantissimo. L’anno scorso, quando ho fatto il mio primo saggio di musica, ho avuto tanta paura, ma poi mi sono rilassata e ho suonato come sapevo fare ed è andato tutto bene. Quest’anno, ancora, stavo per morire di paura, ma dopo, io e tre mie amiche, ci siamo tranquillizzate ed è andato meglio di quello prima! Queste mie passioni sono, in pratica, la mia vita e sarò sempre legata ad esse. Sara Maiani LA BATTERIA di solito suono quello che mi dà il mio professore, oppure suono con mio papà. Di solito suono pezzi degli U2, di Danko Joanes, oppure con il papà suono pezzi di genere diverso, come rock, blues, jazz, reggae ecc. Da un anno ho formato un gruppo costituito da me, batteria e percussioni, Cestari Cristian, chitarra, Benetti Alessia, voce. Con il mio gruppo suono dei pezzi rock blues; suoniamo pezzi degli AC/DC, PFM (Premiata Forneria Marconi), Gun’s Roses ecc. Il nostro gruppo si chiama “The XXX”, è da un po’ di tempo che non riusciamo più a trovarci per motivi di scuola e per il catechismo, comunque speriamo di trovarci ancora per suonare. Per concludere vorrei dire che sono certo che amerò la batteria per sempre. La mia più grande passione è suonare la batteria. Ho iniziato a suonare all’età di 5 anni con la prima batteria che mi è stata regalata; poi, all’età di 6 anni, sono stato seguito da un maestro bravo e simpatico. Da 7 mesi sto frequentando il Conservatorio “G. Frescobaldi” di Ferrara e vengo seguito da un professore anche lui molto bravo di nome Querci Guido, che io soprannomino “Squercino”. Lui è basso, magro, molto preciso, con lui mi trovo veramente bene e non incontro problemi, infatti mi dice sempre che sono molto bravo. Anche lui mi ha dato un soprannome che è “Piccolo”. Il mio professore viene da Milano e io faccio lezione con lui dalle ore 16.30 alle 17.30 di mercoledì. Anche lunedì devo andare al Conservatorio per suonare con un pianista e un fagotto. A casa mia mi esercito nella lavanderia dove ho la batteria; Roberto Toschi PODISMO E NUOTO: LE MIE PASSIONI La passione più importante per me è il podismo, lo pratico da quando avevo sette anni e da quel giorno non l’ho più lasciato. Anche Greta pratica insieme a me questo sport e da sempre è la mia migliore amica. Da quando ho iniziato a correre e fino alla quinta elementare ci allenava una persona molto brava, ma soprattutto una campionessa di maratone e di corsa; era bellissimo fare gli allenamenti con lei, mi divertivo tanto. Però un giorno, precisamente una domenica, durante una gara, lei ci comunicò che non poteva più allenarci. Il perché non l’abbiamo mai saputo, per noi è stata una grande perdita come allenatrice e come amica, infatti ci invitava ogni domenica a casa sua; noi le volevamo molto bene. Allora, io e Greta, ci siamo iscritte al “CUS” il centro Universitario Sportivo a Ferrara, dove abbiamo trovato le nostre allenatrici specializzate; a dire il vero abbiamo in tutto quattro allenatori, che ci allenano in diverse specialità, si chiamano: Eleonora e Chiara che ci allenano spessissimo, mentre Marcello ed Enrico gli altri due. Ci si diverte molto con loro, perché ci si allena ridendo e scherzando. Ci alleniamo il mercoledì e il venerdì, il mercoledì stiamo nel centro sportivo, mentre il venerdì andiamo in una pista di atletica. Tra poche giorni inizieranno le gare provinciali in pista e se ci classificheremo passeremo alle gare regionali, è un’emozione bellissima!! Un’altra mia passione è il nuoto, questa, pe- 61 rò, non è forte come il podismo. Anche il nuoto lo pratico insieme a Greta, quindi si può capire che io e lei non ci lasciamo mai! Il nuoto è bello perché si provano emozioni forti, ma un po’ faticose. Da quattro anni facciamo questo sport a Molinella, ma quando arriva il giorno in cui bisogna andarci, non vorrei mai partire, perché come istruttore abbiamo un ragazzo un po’ “rompiscatole” e io mi stanco facilmente. Però, in fondo, alcune volte mi diverto. Comunque nel mio cuore resta e resterà per sempre la passione per il podismo, perché nel praticarlo si provano emozioni stupende, soprattutto quando si viene premiati. Serena Rizzati Sentimenti e punti di vista Commento a libri e film UGUALI MA DIVERSI Mi chiamo Andrew e ho quattordici anni. Sono una persona introversa, timida e non mi va come gli altri ragazzini di mangiare un gelato davanti la scuola o di rintanarmi in casa di un amico a guardarci in faccia e parlare di scuola. Sempre parole. Solo parole. Le parole sono le uniche cose che l’uomo capisce, tranne me. Preferisco passare ore ed ore a scrivere il mio diario segreto nella casa sull’albero che ha costruito mio padre prima di morire. Lui era l’unica cosa bella che mi era rimasta tra le mani e una volta perso quello, il mio mondo, la mia fantasia esplose e cominciai a essere così come sono: inutile. Mi sentivo così fino alla conoscenza con Sebastian, quello che mi aveva salvato dalla depressione e che adesso è il mio migliore amico. La nostra amicizia iniziò così: “Era il 27 settembre ed avevo appena ripreso ad andare a scuola, alle superiori “Einaudi”. Vi erano un sacco di ragazzi nuovi. Erano tutti molto vivaci e si radunavano in gruppi per giocare e parlare. Io ero l’unico incapace di integrarmi al gruppo e me ne stavo in un angolino del giardino. Nessuno si era accorto di me , così me ne andai sulla riva del fiume senza accorgermi che Sebastian, il mio compagno, mi aveva seguito. Io mi sedetti sulla sponda del fiume. Nel frattempo arrivò Sebastian che si sedette vicino a me. Egli disse: << Io sono Sebastian, ho visto che sei qui tutto solo e sono venuto a chiederti se vui fare amicizia con me…>>. Io risposi: << non ho bisogno di amici… sto bene solo con me stesso…>>. Lui rispose: << Io adoro la matematica, la cioccolata, il bianco e la compagnia>>. Io dissi: << Io invece adoro l’italiano, la maionese, il nero e la solitudine>>. Lui affermò: << La diversità è un dono del cielo…”. Ma io insistei: << Ma dai… IL PICCOLO PRINCIPE preferisci tirare su di morale uno straccio come me o… e poi perderesti gli amici…>> << Che m’importa?! Quella è gentaglia!>>” A me “scappò da ridere” per la prima volta, dopo tanti anni e per farmi ridere ci voleva molto. Capii quindi che sarebbe stato il mio amico ideale. Ho deciso di raccontare questa storia per far capire che chi trova l’amicizia trova il diamante più prezioso che esista sulla Terra. Lucrezia Ghirotto Martina Patti Thomas Azzolini Zahra Atti Mattia Lolli Mattia Stracuzzi Michele Canneto Corneliu Moraru COME MI TROVO ALLA SCUOLA MEDIA Mi chiamo Cristian e frequento da pochi mesi la prima classe della scuola secondaria di primo grado. L’ambiente scolastico al primo impatto, quando sono venuto a fare il test attitudinale per l’assegnazione dello strumento musicale, non mi sembrava un gran chè. Poi però, con i giorni trascorsi in questa scuola, mi sono dovuto ricredere perché mi sono accorto che tutto era molto attrezzato: dall’aula di musica, a quella di arte fino ad arrivare alla palestra. Il rapporto con i compagni è bello. E’ molto diverso dalle elementari (che preferivo) soprattutto perché facendo un intervallo molto ridotto non si Ha la possibilità di parlare, giocare e quindi conoscere i compagni che arrivano da altre scuole e perciò non hai nemmeno mai visto. La stessa cosa vale nel rapporto con i “nuovi” (non anagraficamente) professori che ci hanno portato tante novità come alzarsi in piedi quando entra un professore e rivolgersi a quest’ultimo dando del “Lei”. Anche in questo caso (con tutto il rispetto per i miei professori) io preferivo le elementari dove il rapporto con le maestre era molto meno formale. Addirittura durante il “dopomensa” una di queste maestre ci portava a casa sua dove sua mamma ci accoglieva molto calorosamente regalandoci caramelle e pasticcini. Poi durante le gite sempre questa maestra di nome Ornella al ritorno ci portava al mare dove lei stessa ogni tanto ci offriva un gelato. Poi giocavamo nella sabbia a piedi nudi e se facevamo i bravi ci faceva anche immergere i piedi nella fredda acqua dei nostri “Lidi”. Le materie delle elementari le ho ritrovate tutte nelle scuole medie, ma con l’aggiunta di altre due materie: Francese e chitarra. Le materie in cui mi trovo meglio sono certamente quelle che ho fatto anche alle elementari come storia, matematica e italiano. Però non vado affatto male nelle materie nuove quali francese e chitarra. Probabilmente la materia in cui va- 60 do peggio è geografia ma anche alle elementari non ho mai avuto un gran “feeling” con questa materia!!! Una cosa che mi ha molto colpito è stata che durante le ore di arte, quando stiamo zitti, la professoressa accende la radio e ci fa ascoltare la musica per farci rilassare. Sicuramente io della scuola elementare rimpiango il meraviglioso rapporto con le maestre, soprattutto con Ornella, la maestra di Italiano che anche se a volte dicevo che era severa mi ci ero affezionato tantissimo. Senza nulla togliere alle altre maestre (Cinzia e Lucia) con cui ho avuto un rapporto diverso avendole avute per tre anni anziché cinque come Ornella. Poi l’altra cosa che rimpiango è certamente l’intervallo che alle elementari era più lungo. Però delle medie ci sono due cose che preferisco rispetto alle elementari: le ore suddivise una per una anzichè due alla volta e l’altra cosa è che alle medie si fa un’ora in più di educazione fisica. Adesso io preferirei le elementari rispetto alle medie ma questo è un discorso che potrò affrontare solo finiti i tre anni di scuole medie quindi il paragone è rimandato alla fine del terzo anno. Cristian Cestari Antoine de Saint-Exupéry lavorò per l’Aeropostale e fu tra i primi a trasportare per via aerea le lettere. Nel 1935 ebbe un incidente nel deserto del Sahara col suo aereo. Anche nel libro si parla di un pilota che ha avuto un incidente ed è caduto nel deserto perché qualcosa si era rotto nel motore. Così, al levar del sole, fu svegliato da una vocina che gli chiedeva di disegnare una pecora. Era un Piccolo Principe, che non dava per niente l’impressione all’aviatore di essere smarrito in mezzo al deserto lontano mille miglia da qualsiasi abitazione umana. Il Piccolo Principe proveniva dall’asteroide B 612. Sul suo pianeta c’erano tre vulcani, di cui due attivi e uno spento, e un fiore. Il Piccolo Principe si mette a raccontare i suoi ricordi che riguardavano il lungo viaggio prima di arrivare sulla Terra. Il principino, dopo essere partito dal suo pianeta insieme a uno stormo di uccelli, visita gli asteroidi 325, 326, 327, 328, 329, 330, in cui incontra tanti personaggi strani: il re, il vanitoso, l’ubriacone, l’uomo d’affari, il lampionaio e il suo lampione e un geografo. Il Piccolo Principe, arrivato sulla Terra, incontra un serpente al quale chiede informazioni del posto in cui si trova, ebbe una discussione con un fiore a tre petali, incontrò un roseto dove il Piccolo Principe si sentì triste, perché il suo fiore gli aveva detto di essere unico nell’universo. In seguito incontrò una volpe con cui creò dei legami, addomesticandosi a vicenda. Infine incontrò un controllore e un mercante di pillole. Erano da otto giorni nel deserto, così il pilota e il Piccolo Principe decisero di andare in cerca di un pozzo e, al levar del sole, lo trovarono. L’aviatore ritornò dal suo aeroplano cercando di aggiustarlo e, quando ci riuscì, ritornando dal Piccolo Principe, vide che stava parlando con un serpente, che uccide in trenta secondi; l’aviatore si preoccupò. La sera si recarono nel punto in cui il Piccolo Principe era caduto la prima volta sulla Terra e, con un guizzo giallo vicino alla sua caviglia, il serpente morse il principino che cadde a terra. Le parole più importanti dette dal Piccolo Principe sono state: “L’ESSENZIALE È INVISIBILE AGLI OCCHI”; su queste parole bisogna riflettere, molte persone guardano solo con gli occhi, ma non con il cuore, che è la cosa più importante. A me questo libro non è piaciuto perché alla fine il Piccolo Principe muore, sinceramente mi sarei aspettato un finale migliore. Riguardo ad Antoine de Saint-Exupéry, qualche mese dopo l’apparizione del suo capolavoro, scomparve in aereo sul mar Mediterraneo. Ma la favola del fanciullo dai capelli d’oro continua. Nicola Piccolo IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA In questo libro il tema dell’amicizia è presente in vari punti, già all’inizio quando il Piccolo Principe incontra il pilota. Il Piccolo Principe dice al pilota:" Mi disegni una pecora?" Il pilota non credeva alle sue orecchie perchè pensava che fosse solo nel deserto. Fu così che iniziò il loro rapporto e i due diventarono grandi amici. Si raccontavano tante cose del passato e del presente. Il Piccolo Principe gli raccontava com'era e cosa c'era sul suo pianeta. Un altro amico del Piccolo Principe è stato il fiore. Loro avevano un legame forte già da quando la rosa era nata. " Come sei bello"! disse il Piccolo Principe al fiore. L'ultima amicizia che ha stabilito il Piccolo Principe è stata quella con la volpe. Si sono addomesticati a vicenda. Si sono divertiti insieme ridendo e giocando. Quando il Piccolo Principe stava per andare via, la volpe lo ha fermato e gli ha detto:" Non si vede bene che con il cuore; l'essenziale è invisibile agli occhi." Per me l'amicizia è un rapporto importante perchè due amici si possono aiutare a vicenda." Se io non avessi un amico la mia vita sarebbe già finita," mi dico sempre. La mia migliore amica si chiama Ilaria. Fisicamente è bassa e robusta, ha i capelli castani e gli occhi marroni. Di carattere è chiacchierona, intelligente e vivace, é un po’ ge- losa, ma è veramente molto simpatica. Quando uno è in difficoltà, lo aiuta volentieri. Non è timida ed è quasi sempre allegra. Io la conosco da poco perchè ci siamo conosciute all'inizio della scuola media, ma per me è un' ottima amica, anche se a volte è impulsiva. Per me Ilaria è un'amica perché, quando ho bisogno, lei mi aiuta e io aiuto lei. Un episodio che testimonia l'importanza del nostro rapporto è quando ci siamo conosciute. All'inizio della scuola non conoscevo nessuno, quindi stavo sola; poi ho conosciuto Ilaria e ho cominciamo a parlare con lei. Le ho chiesto come fossero i compagni, i loro nomi e le loro caratteristiche, lei mi ha aiutato ad inserirmi e, successivamente, siamo diventate vere amiche. Abbiamo avuto un momento di crisi, ma poi lo abbiamo superato. Io la voglio ringraziare, perchè, se non fosse stato per lei, ora non avrei tanti amici; quindi le dico GRAZIE!!! Giulia Pareschi IL PICCOLO PRINCIPE E L’AMICIZIA Il tema centrale del libro “Il Piccolo Principe” è l’importanza dell’amicizia. I punti del libro in cui ho trovato maggiormente questo tema sono: quando il Piccolo Principe rimpiange di aver lasciato la sua rosa, ma anche quando, alla fine del libro, il pilota non lo vuole lasciare. Il Piccolo Principe ha un rapporto di amicizia anche con la volpe, la quale si lascia addomesticare, e con il serpente, che lo accoglie per primo nel deserto e lo aiuta a tornare nel suo pianeta. Per me un vero amico è Giorgio. Ci conosciamo da quando eravamo “nella pancia della mamma”! Giorgio è magro e non è molto alto, ha gli occhi marroni e porta gli occhiali. Ha i capelli marroni e un po’ lunghi ( a volte lo spettino e ci divertiamo a dire a chi assomiglia! ); Giorgio è simpatico e gentile anche se, a volte, è un po’ critico e vuole sempre avere l’ultima parola. Quando non capisco delle cosa, per esempio nei compiti, lui mi 21 aiuta e anche io aiuto lui. Quest’estate abbiamo deciso di andare in Inghilterra, un mese, da soli. Io, senza di lui, non me la sarei sentita di partire e anche lui non se la sarebbe sentita senza di me… anche perché un mese è molto lungo! Giorgio è il mio migliore amico e non lo cambierei con nessun altro al mondo. Laura Vignali Commento a libri e film Sentimenti e punti di vista IL GIGANTE DI ZERALDA Durante le vacanze natalizie ho letto un libro di Tomi Ungerer dal titolo “Il gigante di Zeralda”, un libro abbastanza bello di genere fiabesco. Racconta la storia di un orco cattivo con denti aguzzi e una barba gigante, un grande naso e un gigantesco appetito. Gli piaceva più di ogni altra cosa al mondo mangiare per colazione i bambini piccoli. Ogni giorno gli orchi andavano nelle case, prendevano i bambini e li mettevano nei sacchi, così i genitori nascondevano i bambini nelle cantine. L’orco, non potendo più mangiare i bambini, perché non si facevano più trovare, si adattava a mangiare spaghetti con polpette, anche se preferiva mangiare mani e cosce di bambini. In una valle remota, in una radura fra i boschi, viveva un contadino che aveva un’ unica figlia di nome Zeralda. Nessuno dei due aveva mai sentito parlare dell’orco. A Zeralda piaceva molto cucinare ogni tipo di cibi e quello che sapeva fare meglio erano i ripieni, i fritti, i lessati, gli stufati e le grigliate. Una volta all’anno il contadino andava in città a vendere le sue patate, il grano, la carne e i pesci. Un pomeriggio, prima del giorno di mercato, chiamò a sé la sua unica figlia ,<<Zeralda bambina mia>> disse il padre <<non mi sento per niente bene, ho dolori dappertutto e mi gira la testa. Devo aver mangiato troppi gnocchetti alla mela, domani è il giorno del mercato, ci andrai tu da sola e dovrai sostituirmi>>. L’indomani, la ragazzina andò in carrozza e preparò tutto ciò che doveva vendere in città; nel frattempo l’orco era nei dintorni, vide la bambina e la volle mangiare ma, ad un certo punto, cadde e svenne. Zeralda lo prese, lo portò sotto l’albero e gli preparò da mangiare; l’orco si svegliò e vide vicino a lui zuppa di crescione, trote affumicate con capperi fritti, lumache al burro e cipolla, tre pollastri arro- TUTTO PUÒ CAMBIARE stiti e porchetta di latte. L’orco aveva ripreso i sensi e con crescente interesse stava ad osservare Zeralda. Tutti quei cibi avevano per lui un sapore completamente nuovo, così propose a Zeralda di portarla al castello per preparagli altri piatti. Zeralda era molto felice di preparare piatti per l’orco anche per gli spuntini di mezzanotte. Gli altri orchi erano felici di mangiare piatti nuovi e le chiesero se dava loro le ricette. L’orco era così felice che diede caramelle a tutti i bambini della città, anche i bambini erano felici perché gli orchi non li mangiavano più. Passarono gli anni, Zeralda era cresciuta e diventata una bella ragazza. L’orco ben nutrito si era rasato la barba e i due si innamorarono l’uno dell’altra, si sposarono, ebbero tanti bambini e vissero per sempre felici e contenti fino alla fine dei loro giorni. Mirko Stracuzzi RIASSUNTO DEL ROMANZO: IL GIRO DEL MONDO IN 80 GIORNI Il viaggio fu molto avventuroso, attraversarono continenti. Durante il viaggio incontrarono il detective Fix, che seguì Fogg per tutto il tragitto, pensando che fosse il famoso ladro della banca e scoprì solo alla fine che il ladro non era lui ma un’altra persona che avevano già arrestato. Durante il suo passaggio in India salvò una ragazza di nome Auda da un sacrificio e la portò con sé per tutto il resto del viaggio fino in Inghilterra. Il suo lungo viaggio non fu sempre facile ma ebbe degli imprevisti. Tornò a Londra convinto di essere arrivato in ritardo e di aver perso la scommessa. Passepartout, uscendo per una commissione, si accorse che invece era in anticipo sulla data e corse ad avvisare il suo padrone. Corsero tutti al club e Fogg entrò nel salone principale giusto un minuto prima che scadesse l’ora della scommessa. I soci furono costretti a dargli i soldi. Phileas Fogg si sposò con Auda e diede un premio in denaro al fidato Passepartout e. nonostante tutto anche al detective Fix, che lo aveva accusato di essere il ladro. Phileas Fogg è un uomo che fa parte dell’alta società inglese ed è uno dei membri più originali e più in vista del “Reform Club” di Londra. Era una persona molto misteriosa, non si sapeva che lavoro facesse; era ricco e molto abitudinario, ogni giorno faceva le stesse cose ed era sempre puntuale. Un giorno, mentre era al circolo, si mise a parlare con altri soci di un furto alla Banca d’Inghilterra. Parlando della fuga del ladro, iniziarono a discutere di quanto tempo ci si poteva mettere per fare il giro del mondo e Phileas Fogg disse che si poteva fare in 80 giorni. Gli altri quattro soci non ci credevano e Fogg decise di scommettere che sarebbe riuscito a fare il giro del mondo in 80 giorni e che se avesse vinto, i soci gli avrebbero dato ventimila sterline, se fosse successo il contrario sarebbe stato lui a darle ai soci. Decise di partire il giorno stesso, 2 ottobre, e sarebbe tornato il 21 dicembre alle 8:45. Tornato a casa chiamò il suo domestico, Passepartout e gli ordinò di preparare un sacco con poche abiti, perché sarebbero partiti per il giro del mondo in 80 giorni. Giada Molinari 22 Il mio nome è Alesha. Abito in un piccolo quartiere a Los Angeles, ma in realtà sono irachena. Ho quindici anni e frequento la Howard High School con mia sorella Jasmine. Mia madre è morta quando avevo tre anni, insieme a quello che sarebbe stato il mio fratellino,a causa di un parto malriuscito. La mia vita? Sola, senza senso, isolata da tutto il mondo. Avete presente come si sente un pulcino in gabbia che sa che prima o poi farà una brutta fine? Ecco,quel pulcino sono io. Stavo pensando tra me e me che cosa ero veramente,fino a quando sentii la voce di mio papà: <<Alesha!! Vieni, è pronta la colazione!>> <<Sì,papà. Arrivo!>>. Scesi giù per le scale di corsa pensando a quello che mi sarebbe successo di nuovo a scuola. <<Ciao Ale!>>; ecco mia sorella Jas. Ha 18 anni ma si comporta come una bambina di due. La invidio… Mangiai svelta uova e bacon e presi il pullman che conduceva alla mia famosa scuola…quando…<<La cartella!!>> Corsi in casa di nuovo,la presi e diedi un bacio a papà, intanto che il pulminista, il solito maleducato, suonava a più non posso il clacson e urlava a squarciagola. A scuola non ho amici. Loro non mi considerano. Forse perché sono irachena, forse perché non conoscono il mio volto coperto da un velo o forse perché pensano che puzzi. Ma sinceramente non m’importa di quello che pensano di me,perché io immagino esattamente la stessa cosa di loro. Non ho molti hobby. Adoro scrivere canzoni e cantarle e lo faccio ogni santa ora,ogni santo giorno della mia vita. Ma bado alle ciance, adesso c’è l’ora d’inglese, devo scappare! Tornai a casa sfinita. Il mercoledì era il giorno di scuola peggiore. <<Ehi,ciao Ale! Come è andata la scuola? >> <<Bene papà.>> non ho molti rapporti con papà, anzi, praticamente nessuno. Nonostante lui faccia tutto per me e sia sempre gentile e sorridente, io non lo considero. Forse, se ci fosse anche mamma con me, sarebbe tutto diverso… Andai in camera mia a scrivere canzoni, mentre la dolce musica di Taylor Swift mi dava ispirazione. Mia piace molto come cantante: è bella,brava e umile. Ero persa nel più profondo dei miei pensieri, quando sentii suonare il campanello. Appena aprii la porta, mi ritrovai davanti Kevin. <<Ah,già,il progetto di scienze! >>.<<Lui mi guardò annoiato. <<Sì,quindi mettiti al lavoro,non ho intenzione di sprecare tempo con persone come te>>. Mi chiuse la porta in faccia, anche se avrei dovuto farlo io. << Ok,allora ciao…>>. Ero desolata e delusa di me stessa. Andai in camera traendo dalla mia mente tutte le idee possibili per il progetto. Appena finito lo portai da Kevin che non mi ringraziò e mi chiuse la porta in faccia, di nuovo. <<Forse dovrei cambiare.>> C’era una vocina acuta che rimbombava sempre più forte nel mio stomaco e non mi dava tregua. Ma forse,in fondo,aveva ragione… Intanto,a cena,arrivò mio papà. Decisi per la prima volta,di parlargli,così gli corsi incontro e lo salutai. Iniziammo a parlare del mio rendimento scolastico,di Kevin e di come gli “amici” mi trattavano…fino a che la vocina che continuava a rimbombare, dallo stomaco passò alla bocca: <<Forse dovrei cambiare>>. <<E perché dovresti “Cambiare”>>? <<Non ho amici e nessuno mi considera solo perché non mi conosce>>. Lui si alzò e se ne andò a cucinare, offeso, e non mi parlò per quattro giorni. Ma in realtà non mi interessava. Andai in camera ed aprii l’armadio: solo tuniche lunghissime che non mostravano quello che ero veramente. Ne presi una, afferrai sicura le forbici, e trasformai quell’enorme tunica rosa, in un grazioso vestitino. Successivamente andai in bagno e mi guardai allo specchio. Non notavo niente di particolare, così andai a cenare senza dire niente a nessuno. Il giorno dopo, quando gli alunni della Howard mi videro, sbalorditi, si misero a ridere. E adesso cos’ è successo? Cos’ho fatto di male? Corsi piangendo in bagno e mi fissai allo specchio. Niente. A lezione tutti mi fissavano con il ghigno sulla faccia, persino la professoressa sembrava incantata da me… Così decisi di attuare il secondo piano. Alla fine delle lezioni mi rivolsi a Sally, la mia vicina di armadietto: <<Ciao, come stai?>>. Lei mi guardò e mi rispose <<Bene>> e se ne andò. Sally è una ragazza molto egocentrica e forse non è adatta a me. Allora mi rivolsi a Taylor (era più gentile), usando le stesse parole <<Ehi ciao…come stai? Mi chiedevo se a casa mia, oggi pomeriggio…visto che siamo capitate insieme nel lavoro di inglese, potessimo farlo in squadra e non lasciarlo tutto a me…>>. Mi stupivo di quello che avevo detto: in inglese ero molto brava, ma non so perché mi erano uscite quelle parole di bocca. Lei, intanto, si mise a ridere, poi mi rispose: <<Certo!>>. Tirai un sospiro di sollievo. In quel momen- 59 to mi sentii nuova, senza problemi. Alle cinque in punto arrivò Taylor che mi salutò: <<Ciao A…,come avevi detto di chiamarti?>><<Alesha, ma chiamami Ale>>. La lascia entrare, mentre osservava il povero arredamento della mia casa. << Su andiamo in camera>>. La guidai e intanto discutevamo sul lavoro scolastico. Tutto a un tratto lei, annoiata, cambiò discorso, vide un libretto sulla mia scrivania e disse: <<Scusa, potrei sapere cosa c’è scritto lì dentro?>><<Ah niente…sono solo delle stupide canzoni scritte da me…ma sono brutte>><<Beh, vabbe, posso vederlo, per favore?>>. Glielo diedi in mano e intanto lo sfogliava attenta. <<Alesha, queste canzoni sono stupende! Me le canteresti?>>. Ci mise un quarto d’ora a convincermi. Io cantavo sicura, ma anche un po’ intimidita e consapevole di avere una voce orribile. <<Hai una voce incredibile, credimi! Senti, ti andrebbe di venire con me a cantare nella sala discografica di mio papà venerdì? Per gioco ovviamente>>. Il mio cuore smise di battere per due secondi. Ero euforica. Ci incontrammo nella sala. Era pieno di tecnici che ci fissavano con quell’aria da “bambine, stiamo lavorando tornate a casa!”. Cantammo tutto il tempo e ci divertimmo da matti. Notai purtroppo che là c’era anche un discografico. Doveva essere il padre di Taylor. Ci venne incontro e ci parlò:<<Ho notato che sei molto brava, come dice mia figlia. Ti andrebbe, visto che non ho clienti, di fare parte del mondo della musica?>>. Io pensai profondamente alle cose che avrei fatto se fossi stata famosa: girare il mondo, sposarmi con un personaggio importante, avere un sacco di fans… <<No>>, dissi convinta. <<Questa città per me è molto importante, e poi non voglio lasciare la mia famiglia…>>. Lui, con una faccia sbalordita, borbottò e se ne andò offeso. Anche Taylor era stupita… ma ormai era mia amica ed era felice della mia decisione. Ormai non mi serve più niente: ho un’amica, una famiglia, una dignità e preferisco tutto questo, invece di essere famosa, che la gente pensi quello che vuole. Io sono orgogliosa di essere così come sono. Silvia Lupini Nei panni di... Commento a libri e film VALENTINO ROSSI Era il venerdì di prove libere prima del gran premio del Quasar a Losail. Alla mattina atterrai all’aeroporto e andai subito verso il paddok, dove c’era tutta la squadra con le moto pronte a partire. Alle 13 entrai in pista per il primo turno di prove libere, ma l’inizio non fu certo dei migliori. Dopo due giri, in pieno rettilineo, sfiorando i 320 Km/h, ho avvertito qualcosa nella moto che non andava e, quando ho effettuato la frenata, mi partì il posteriore e feci una bruttissima caduta. Dopo le visite del dottor Costa, scoprii che mi ero fratturato i due polsi e, secondo i dottori, non avrei dovuto fare la gara. Questa notizia mi fece andare il morale sotto le scarpe. Durante le prove ufficiali mi resi conto che questa gara era troppo importante per me. Al termine delle prove, io ero al 24° posto, ultimo, senza nemmeno avere avuto la possibilità di scendere in pista. La pole position purtroppo andò a Stoner, mio primo rivale nel mondiale: malissimo!! A quel punto,dopo aver riflettuto a lungo, presi la decisione di fare la gara. La domenica della gara stavo un po’ meglio, ero imbottito di antidolorifici. Anche se partivo in fondo al gruppo, ero molto fiducioso. Erano quasi le 14 e partimmo per il giro di formazione. Una volta schierati, alle 14 in punto, si spensero le luci rosse e partì il gran premio del Quasar. Alla prima curva, cadde- 58 JONA CHE VISSE NELLA BALENA ro 4 piloti ed io, dopo il primo giro, ero gia dodicesimo. Giro dopo giro, guadagnavo posizioni e, man mano che andavo avanti, acquistavo sempre più fiducia. A tre giri dalla fine ero secondo. Passarono altri due giri e marcavo stretto Stoner fino a quando, all’ultima curva, lo superai e andai a vincere il gran premio. Finita la gara, ero felicissimo. Quando andai sul podio non riuscivo neanche ad alzare il trofeo per il dolore ai polsi. È stata l’emozione più forte che il motociclismo mi ha regalato. Thomas Trentini Il film “Jona che visse nella balena” parla di un bambino di nome Jona Oberski, che abitava ad Amsterdam; i fatti narrati avvengono tra il 1942 e il 1945. Jona nel 1942 aveva solo tre anni, era un piccolo bambino, un po’ robusto, con una faccia buffa; la sua famiglia era benestante e viveva in un appartamento di Amsterdam. Sua madre era una bella donna, faceva la casalinga e aveva molto coraggio, infatti un giorno, mentre era dal fruttivendolo che non gli voleva vendere la verdura perché era ebrea, lei prese quello che gli serviva, pagò e poi se ne andò. Il padre era un uomo magro, alto; perse il lavoro perché era un ebreo, così andò a lavorare nella casa del signor Daniel; un giorno portò con sé Jona e gli fece vedere cosa faceva. Un giorno arrivarono i soldati nazisti e portarono via Jona e la sua famiglia. Jona non voleva andarsene dalla sua casa e si rimise a letto, ma nella sua camera entrò un soldato che e gli ordinò di vestirsi, lui non volle e gli buttò i vestiti addosso, per fortuna arrivò sua madre, che mandò via il soldato. Tutti i componenti della famiglia vennero portati in un campo di raccolta, dove Jona frequentava una “scuola”, cantavano in ebraico, ma lui non conosceva la lingua. Una volta che imparò le parole, la maestra venne portata via. Un giorno Jona vide un cavallo bianco fuori dal recinto del campo e corse vicino al filo spinato, ma il padre lo fermò subito perché aveva paura che si facesse male. Un giorno Jona e la sua famiglia vennero trasferiti, pensavano di essere portati in Palestina, invece si trovarono in un campo di lavori forzati. Il padre, prima di partire, scese per andare a prendere i sigari che aveva dimenticato, la moglie e il figlio presero un grande spavento perché avevano paura che non li avrebbe raggiunti, ma alla fine riuscì a salire sul camion. Arrivati al campo di lavoro vennero divisi; il padre da una parte, Jona e sua madre dall’altra. Lì conobbero Simona, una ragazza ebrea che aiutò molto la madre; i bambini venivano mandati a tagliare il cuoio delle scarpe delle persone che andavano via, e Jona che non sapeva dove andavano si chiedeva: “ma perché le persone vanno via senza scarpe?”; ma nessuno gli dava una risposta perché lì non si potevano fare domande. Dopo qualche tempo, era il compleanno del papà; la madre e Jona lo andarono a trovare di nascosto, corrompendo il dottore con i sigari. Al papà portarono una piccola torta fatta con patate e un po’ di carne che Jona riuscì a prendere quando andava a pulire i pentoloni dei soldati con i ragazzi più gran- di, poi gli regalarono un sigaro. Qualche giorno dopo il padre morì, quando glielo comunicarono e gli diedero le scarpe Jona si dimenticò di dirlo a sua madre, perché era una cosa che lui non voleva accettare. Quando la mamma lo vide con le scarpe del papà, capì, insieme raggiunsero l’infermeria, dove il padre era in punto di morte. Poi Jona diventò amico dei ragazzi più grandi e, per entrare nel loro gruppo, doveva superare una dura prova, quella di entrare nell’”osservatorio” , che in realtà era l’obito- 23 rio. Quando il bambino entrò, capì che era il posto dove portavano i morti, e , mentre cercava di scappare, vide il corpo del cuoco. Quando la madre scoprì quello che era accaduto lo costrinse a rasarsi e a lavarsi con cura. Un giorno vennero portati via in treno, a causa di un guasto le carrozze con i passeggeri vennero abbandonate, Simona chiese al soldato se poteva scendere a prendere un po’ d’acqua, così fecero scendere lei, Jona e un’altra bambina. A un certo punto il soldato tedesco, che stava ascoltando la radio, sentì una canzone di guerra tedesca e ordinò loro di cantare; proprio in quel momento arrivarono i soldati russi che li liberarono. Gli ebrei vennero portati in un villaggio, la madre di Jona fu ricoverata all’ospedale perché si rifiutava di mangiare e dava segni di squilibrio. Quando Simona e Jona andarono a trovarla lei fece una scenata, le fecero una puntura di tranquillante e l’ultima cosa che disse a Jona fu: “Ricordati sempre di guardare il cielo e di non odiare mai”. Poi la madre morì e, dopo un po’ di tempo, Jona andò a vivere ad Amsterdam presso il signor Daniel. All’inizio si rifiutava di mangiare e buttava per terra tutto ciò che aveva sul tavolo, così la signora Daniel gli disse che loro non gli avrebbero più rivolto la parola fino a quando non avesse pulito ciò che aveva sporcato; gli regalarono anche una bicicletta, ma lui non la degnò di uno sguardo. Allora i signori Daniel lo lasciarono da solo , Jona si ricordò di suo padre, si fece forza e iniziò a pulire tutto, poi iniziò a mangiare e, alla fine, ad andare in bicicletta. Adesso Jona Oberski è uno scienziato e vive ad Amsterdam e per scrivere il libro, da cui è stato tratto il film, ha dovuto fare dieci anni di analisi presso uno psicanalista. Del film mi ha colpito in particolare il coraggio della madre. Il film mi è piaciuto, lo consiglierei ad un coetaneo perché è un vicenda drammatica, vista con gli occhi di un bambino. Martina Rubbi Fiabe e racconti (Fiabe) Nei panni di... IL POTERE DELLA CONCHIGLIA C’era una volta, in qualche parte sconosciuta del mondo, un giovane pescatore, il suo nome era Francesco, aveva circa 18 anni,era muscoloso perché riusciva a prendere i pesci più grossi ma era anche intelligente perché mangiava molto pesce. Un giorno Francesco andò a pescare come tutte le mattine, ma udì che la principessa Elisa era stata rapita da un drago acquatico. I draghi acquatici non sono come tutti i draghi, infatti possono andare sott’acqua, lanciare lingue di fuoco e di ghiaccio. Francesco andò a pescare ma trovò il lago ghiacciato, -“Il drago deve essere passato di qui, ma io farò un buco nel ghiaccio” disse. E così fece, iniziò a pescare e, dopo cinque minuti, abboccò un pesce, ma non era come tutti, infatti era dorato e parlava. Il pesce disse: -“Non uccidermi, sono ancora troppo giovane per morire, ho solo 3 anni, se mi lasci vivere ti darò la mia conchiglia magica che esaudirà tutti i tuoi desideri !” -“Grazie!” disse Francesco. Allora Francesco portò il pesciolino che si chiamava Geck a casa sua, lì si sarebbe allenato perché il padre di Elisa, il re, aveva ordinato che tutti gli uomini dovevano trovare il drago e ucciderlo per riportare la principessa tra le braccia di suo padre. Intanto Francesco discuteva col pesce: -“Perché ci devo andare ?” -“ Perché sì !Ora allenati , usa la conchiglia per trasformare un oggetto in un’ arma. Francesco provò, ma la trasformazione non riusciva alla perfezione perché non durava più di 5 secondi , finalmente un giorno riuscì a trasformare la sua canna da pesca in 3 spade da samurai. Così Francesco felice dis- ALEXI LAHIO: DALL’INIZIO ALLA LEGGENDA se: -“Finalmente , ci sono riuscito ,domani troverò il drago e lo sconfiggerò”. La mattina seguente Francesco e Geck andarono in cerca del drago , lo trovarono subito vicino al lago, Francesco attaccò ed ebbe la peggio perché il drago volò in aria con la principessa tra le zampe. Francesco usò il potere della conchiglia ed ebbe tre spade, la conchiglia ne aumentò anche le prestazioni e quindi Francesco, con uno scatto , arrivò dal drago e lo uccise con il fendente delle tre spade. E così salvò la principessa Elisa che sposò dopo un po’ di tempo, ebbero tre figli, con cui vissero felici e contenti. Davide Aliminni L’ORCO E LA PRINCIPESSA C’era una volta un castello vicino ad un bosco. In quel castello vivevano il re, la regina e la loro figlia Elisabetta che era molto bella e gentile con tutti. Il re e la regina le dicevano sempre: << Non andare nel bosco perché c’è l’orco cattivo che abita nella grotta e ti può rapire>>. La principessa però disubbidì al padre e alla madre e andò nel bosco a raccogliere fiori. Mentre camminava nel bosco, ad un tratto, vide la caverna dove abitava l’orco e, incuriosita, ci entrò. La caverna era enorme, piena di disegni sui muri e, in un angolo, c’era l’orco che dormiva. Appena la principessa lo vide fece due passi indietro, pestò un ramo secco che fece uno scricchiolio che rimbombò nella caverna, così l’orco si svegliò. La principessa cominciò a correre più veloce che poteva, ma l’orco era più veloce di lei, la prese e la riportò nella caverna, dove la rinchiuse in una gabbia. La principessa cominciò ad urlare: << Aiuto! Aiuto! Qualcuno mi salvi! Sono stata rapita dall’orco!!!>>, ma nessuno la poteva aiutare. Il re e la regina intanto incominciavano a preoccuparsi non vedendo più la figlia. Allora ad entrambi venne un dubbio: << Forse nostra figlia è andata nel bosco e l’orco l’ha rapita? Se è così dobbiamo chiamare subito il principe, il figlio del re nostro alleato>> Mandarono un messaggio nel regno lì vicino e, in poche ore, il principe Reginaldo arrivò. Il re e la regina gli spiegarono tutta la storia e Reginaldo, con tutto il suo coraggio, decise di andare nel bosco, di uccidere l’orco e di portare sana e salva la principessa, che in cambio sarebbe diventata sua sposa. Alla mattina presto del giorno dopo il principe si alzò e si diresse verso la grotta dell’orco dove era rinchiusa la principessa. Mentre galoppava verso il bosco, incontrò un pastore con il suo gregge di pecore. Il pastore chiese al principe: << Dove andate ?>>. Lui rispose: << Sto andando a salvare la 24 principessa Elisabetta che è stata rapita dall’orco>>. Allora il pastore gli diede un amuleto e gli disse: << Questo amuleto è magico, chiedetegli quello che volete e lui lo farà>>. I due si salutarono e ognuno andò per la propria strada. Finalmente Reginaldo era davanti alla caverna, era arrivato proprio nel momento in cui l’orco stava uscendo. Allora il principe scese da cavallo, entrò nella grotta e, improvvisamente, vide la principessa rinchiusa nella gabbia che urlava. Il principe si avvicinò piano piano, prese l’amuleto e disse: << Apri questa porta>> ;la porta della gabbia si aprì e così la principessa potè uscire. Mentre stavano uscendo dalla caverna l’orco arrivò. Non fece neanche in tempo a dire: <<Fermatevi!>> che il principe aveva già tirato fuori l’amuleto, dicendo: << Uccidilo>>. Così accadde, l’orco si alzò in aria e scoppiò. Il principe e la principessa ritornarono al castello sani e salvi. Dopo pochi giorni ci furono le nozze e i due vissero per sempre felici e contenti con tanti bambini. Valentina Bortolotti Mi chiamo Alexi Lahio, sono il cantante e chitarrista di un gruppo metal abbastanza famoso: i “Children of Bodom”. Sono nato in Finlandia in un paese vicino a Helsinki, il 3 marzo del 1982. A 7 anni ho iniziato a suonare la chitarra, e a 12 ho imparato la mia prima vera canzone, la canzone era degli Iron Maiden, il titolo era “Fear of the Dark”. Fino al mio diciassettesimo compleanno la mia è stata una vita monotona, la vita di un finlandese qualunque però, in questo periodo, ho conosciuto quattro ragazzi che poi sarebbero diventati i miei compagni di grup- po. Dopo avere compiuto 18 anni, ho fondato il gruppo; la cosa più difficile è stato scegliere il nome, all’inizio ci siamo chiamati “Children of Evil” e abbiamo fatto alcuni concerti, però senza alcun successo. In seguito ho rifondato il gruppo con il nome definitivo: “Children of Bodom”. Finalmente è arrivato il grande giorno, il giorno del nostro primo vero concerto: Miami Florida, ottobre 2000, noi 5 sotto gli occhi di più di 10000 persone, è stata una forte emozione , ma c’era anche la paura di sbagliare i pezzi, per fortuna è andato tutto bene. Nel 2002 è uscito il mio primo vero successo, con l’album “Are you Dead yet?” e le canzoni “Are you Dead yet?” e “Bodom Night”. Da allora a oggi ho composto 7 album e ho partecipato a numerosi concerti; il concerto che però ricorderò per sempre è quello del 2004 chiamato “Live in Stoccholm”, nel quale ho ricevuto una bottiglia di birra diretta in testa da uno spettatore. Spero di fare altri grandi successi in futuro. Davide Incerti FABRIZIO MORO Sono Fabrizio Moro, il mio vero cognome è Motrici. Sono nato il 9 aprile 1975 a Roma. Mi è sempre piaciuta la musica e ,quando ero piccolo, scrivevo poesie, poi a 15 anni mio padre mi regalò la prima chitarra e così ho incominciato a suonare e a scrivere canzoni. Ho capito che la musica sarebbe stata la mia vita quando nel 1988 ero al Palazzetto dello sport, a Roma,con mio padre che vendeva i gadget del tour di Vasco Rossi “Liberi liberi”. Quando il concerto è finito, ho visto le espressioni della gente e mi sembrava che lì dentro fosse successo qualcosa. Il Palazzetto era ormai vuoto, sono entrato e ho percepito un’atmosfera quasi magica. Così ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto salire sul palco e comunicare emozioni, e ho iniziato a scrivere. Ho partecipato a Sanremo nella sezione giovani del 2000 con “Un giorno senza fine”, ma non ho avuto successo, così ho continuato a fare tantissimi altri lavori, come il facchino in un albergo a Guidonia, oltre che a suonare. Poi nel 2007 la mia vita è cambiata completamente. Infatti ho partecipato a Sanremo nella sezione giovani con “Pensa”, una canzone che ho scritto contro la mafia, e ho vinto. Quasi non ci credevo. Da allora la mia vita è molto cambiata, perché non sono mai a casa ma sempre in giro a suonare, per strada mi riconoscono ovunque e i giornalisti mi fanno molte interviste. Nell’estate 2007 sono andato al Festivalbar e ho aperto diversi concerti di Vasco Rossi davanti a 70 mila persone, proprio io che ero abituato a club di 100 persone alla volta. È stata un’ emozione unica, mi tremavano persino le gambe. Il successo però ha rotto molti dei miei equilibri, infatti il rapporto con i miei familiari ed amici è cambiato ed è finita anche una storia d’amore molto importante. Nel 2008 sono tornato a Sanremo con “Eppure mi hai cambiato la vita”, una canzone dedicata proprio alla mia ex ragazza Roberta. Ho cantato sul palco anche con Gaetano Curreri degli Stadio. Ero più emozionato nel secondo festival che nel primo, perché cantavo nella sezione big e quindi avevo maggiore responsabilità. La mia non era una canzone impegnata, ma una canzone d’amore; mi sono classificato terzo e sono stato contentissimo. Infine quest’anno, il 20 febbraio 2009, sono tornato a Sanremo, ma come ospite a cantare con Fausto Leali, poi ho continuato la collaborazione con gli Stadio cantando una canzone con loro. E ora continuerò la mia carriera di cantautore. Anche se con molta fatica e una dura gavetta, ho realizzato il sogno della mia vita: cantare. Voglio dire a tutti i ragazzi che inseguono un sogno di crederci e lottare per realizzarlo perché anche i sogni che sembrano impossibili alla fine possono realizzarsi. Credetemi. Erica Fioresi IL MITICO SANTON Era arrivato il momento di entrare in campo, la partita era molto importante, eravamo contro il Manchester United. Il coach diceva che io sarei stato titolare e sarei restato in campo tutti i novanta minuti della partita: voleva darmi fiducia. Si entra in campo, l’ arbitro fa testa o croce per chi avrà palla, sfortunatamente c e l’hanno loro! A centro campo ci sono gli avversari della vita, i nemici, e noi dobbiamo “distruggerli”, combattere contro di loro. Ronaldo passa la palla a Rooney e poi a Vidic nelle retrovie, io scivolo per prendergli la palla e ci riesco, ma lui simula un fallo, l’ arbitro si avvicina a noi due, io penso che avrebbe ammonito lui, invece ammonisce me. Io gli chiedo il perché e lui risponde che era gamba netta. Quindi lui batte la punizione e la passa a Rooney, che tira molto forte, ma il portiere para la palla senza problemi, rinvia ma perdiamo subito il possesso e, con un contropiede devastante, Ronaldo ci fa goal al quarantatreesimo. Negli spogliatoi l’ allenatore fa un cambio e sposta me con Crespo, quindi io vado in attacco. Alla ripresa, io passo la palla a Ibra, che però viene messo subito a terra. L’ arbitro però lo ammonisce per simulazione: era evidente che ce l’ aveva con noi. Hanno battuto il calcio di punizione, era un passaggio corto, io ho intuito tutto e sono 57 riuscito a prendere la palla, quando sono arrivato nell’ area avversaria non sono riuscito a tirare, poi ho sentito una voce:- Dacci di tacco- era Ibra che mi suggeriva. Io gli ho dato ascolto e, con furbizia, al momento giusto, gliel’ ho passata, lui ha tirato con tutta la sua forza e ha fatto un gran goal. Così siamo riusciti a tenerci in vantaggio per tutta la partita visto giocavamo in trasferta. Alla fine abbiamo vinto la partita e addirittura abbiamo vinto la Champions league. Quella è stata la partita più bella della mia vita. Mitya Maietti Fiabe e racconti (Descrizioni, Il territorio) Fiabe e racconti (Racconti fantastici) MIO FRATELLO Mio fratello si chiama Eduardo Luis, ha venti anni, è alto circa un metro e settanta ed è muscoloso: Si veste, di solito, in modo molto sportivo e quando esce di sera si veste in modo elegante. Ha gli occhi neri come il cielo quando c’è il temporale e i suoi capelli sono rossi come quando c’è il tramonto. Lui “di fisico” ha le gambe molto magre perché è nato a sei mesi, ma le braccia sono abbastanza muscolose; ha dei peli ovunque, gambe, braccia…. Mio fratello Ha un carattere particolare: gli piace molto giocare con me, proprio come me, gli piace giocare con la Play Station 2: il suo gioco preferito è il calcio. Lui è molto buono e generoso perché aiuta sempre la mamma, ad esempio pulisce la casa e quando abbiamo finito di mangiare lo vedi che è pronto ad aiutare mia mamma. Anch’io aiuto, ma lui di più. DUELLO FRA IL BENE E IL MALE Nel tempo libero ama ascoltare la musica; la sua cantante preferita è Laura Pausini. Ogni volta che mi serve aiuto per fare i compiti è molto disponibile e mi spiega sempre tutto. Mio fratello ha un solo difetto: quando io non lo ascolto si arrabbia subito e lo va a dire alla mamma. Ernesto Hernandez Gonzales MIO PADRE Mio padre si chiama Marco, ha 45 anni. E ‘ abbastanza alto ed ha i capelli neri come il carbone,ma con qualche ciuffo bianco.; ha gli occhi marroni, ma quando i raggi del sole si riflettono diventano verdi, in essi ci sono i colori della natura. Non tifa Juve!!! (meno male) mi basta già mia mamma e mia sorella che sono interiste; mio padre invece non tifa per nessuna squadra solo per l’Italia ai mondiali di calcio, anche se non segue molto le partite. E ‘ un grande lavoratore e si veste spesso con vestiti da lavoro, infatti appena finito di mangiare “sparecchia” la tavola il più velocemente possibile per andare fuori a lavorare; ma la sera quando usciamo si veste in modo elegante. Si comporta sempre molto bene e con me è sempre disponibile ed affettuoso. A mio padre piace molto viaggiare ed andare in luoghi sempre diversi, ma purtroppo non ha mai tempo. Con me è anche simpatico e spiritoso e quando sono arrabbiato o triste mi viene sempre a consolare. Il suo hobby preferito è curare l’orto, infatti colti- va molta frutta e verdura. Il suo difetto più grande è che soffre in silenzio e non confida mai la sua stanchezza e il suo dolore a nessuno perché non vuole intristire anche gli altri; un altro difettuccio è anche quello di considerarsi “perfettino”. Per me è IL MIGLIORE PAPA’ DEL MONDO!!! Eric Tumiati Molto tempo fa in un luogo molto lontano della terra c’era un grande pianeta chiamato Stoms dove vivevano cavalieri dotati di super poteri che combattevano il male a cavallo dei loro dragoni che li accompagnavano in ogni battaglia. Era ormai passato molto tempo dall’ultima invasione malvagia e sul pianeta regnava la calma. In un piccolo villaggio di una foresta viveva un giovane ragazzo chiamato Conver; egli era preso in giro da tutti perchè invece di giocare e divertirsi col suo dragone di nome Zac si allenava per migliorare le sue abilità. I giorni passavano e Conver diventava ogni giorno più forte. Un giorno però il cielo si coprì di nuvole nere, tutto iniziò a tremare , e all’improvviso apparve dal nulla un uomo che cavalcava un dragone nero: “Siete spacciati!, il vostro pianeta e l’universo cadranno nelle mie mani!!”, gridò l’uomo ,che in un’ istante, rase al suolo il villaggio di Conver con un solo attacco. Poi soddisfatto scappò via. Tutti gli abitanti rimasero sbigottiti, solo Conver, arrabbiato più che mai, con una sua MIO ZIO Mio zio si chiama Valerio , ha circa quarant’anni. E’ alto e robusto; i capelli sono un po’ grigi e un po’ bianchi, lisci e corti. Ha la fronte aperta e luminosa. I suoi occhi azzurri sono luminosi come l’acqua del mare calmo. Ha il naso grande ed a patata, le orecchie sono a sventola come Dumbo, però un po’ più piccole!!! Ha la bocca grande e le labbra carnose contornate dalla barba pungente. Lui ha due caratteristiche : è molto chiacchierone e ama vestire sportivo. Il suo hobby è suonare uno strumento: il corno. E ‘ anche molto generoso perché ci porta a vedere i suoi concerti e in altri luoghi sempre diversi. E’ altruista perché accoglie le persone con La campagna è molto estesa, si coltivano diverse piante da frutto. Altra parte del terreno è seminata a grano, a granoturco, a soia e a barbabietole. Le strade non sono molto lunghe e sono ab- 56 nonno per i casi di emergenza e io te la consegno a te” disse. “Grazie mi sarà molto utile, vedrai che non fallirlò” e lasciò il pianeta . Volò per ben tre giorni finché non vide su un piccolo pianeta l’uomo malvagio che aveva in mano una sfera. Subito la strana persona aumentò il suo potere e con il suo dragone iniziò a girare talmente veloce intorno a Conver e a Zac che generò un tornado che scagliò via il ragazzo e il drago. Conver era stremato ma decise di usare subito la sua fera con cui recuperò e aumentò i suoi poteri iniziando a brillare e a scagliare energia blu verso l’uomo che cadde a terra. Zac intanto scagliò una fiamma gigantesca verso l’altro dragone che morì. Il ragazzo per finire completamente l’uomo gli scagliò contro un fulmine che provocò una gigantesca esplosione. Zac recuperò l’altra sfera e insieme tornarono sul loro pianeta e da qual tempo tutti i ragazzi si allenarono come Conver. Daniele Sovrani UN BEL SOGNO MA STRANO cordialità e simpatico perché quando ha tempo gioca insieme a noi. Il suo maggior difetto è di essere molto frettoloso nel fare le cose. Mi piace molto stare con lui ed è “perfetto”. Ambra Bottazzi IL MIO PAESE Io abito in un paesino di campagna: Ducentola di circa trecento abitanti , quasi tutti anziani, mentre pochi sono i ragazzi. In passato era una provincia romana di circa duecento abitanti. Oggi c’ e un comitato fiera che organizza le feste paesane, come la festa di Santa Lucia a dicembre, il patrono di Ducentola San Lorenzo in agosto. Ci sono tre piccoli negozi , un mobilificio, la parrucchiera , e infine un negozio in cui vendono: tabacchi, giornali, merceria e alimentari. I negozi sono utili per le persone anziane che non hanno possibilità di arrivare in città. Gli abitanti sono quasi tutti contadini, pochi lavorano in città. tecnica particolare fece delle copie del suo corpo e di quello di Zac e tutti insieme lo inseguirono. Raggiunsero l’uomo malvagio e gli scagliarono contro un attacco di energia blu che lo fece cadere a terra. ”Questa volta mi avete sconfitto ma non finisce qui!” “ Recupererò la sfera energetica e vi distruggerò!!” ; detto questo scomparve in una nuvola di fumo. Gli amici di Conver che si erano salvati si congratularono e si scusarono con il ragazzo per le loro prese in giro ; per farsi perdonare gli chiesero se potevano combattere il male con lui. ”No, siete troppo deboli per venire con me e, se il male entrerà in possesso delle sfere energetiche, per noi sarà finita: le devo trovare prima io “.Rispose Conver. “ Che cosa sono?” chiesero i ragazzi. “Sono sfere che aumentano incredibilmente il potere di chi se ne impossessa” disse Conver , e mentre pronunciò queste parole, spiccò il volo. Prima di lasciare il pianeta Conver fu fermato da uno stregone che gli consegnò una delle due sfere energetiche .”Me l’ha data tuo bastanza strette. In questi giorni stanno restrutturando la canonica. Il paese si sta espandendo, quindi hanno costruito nuovi edifici negli spazi rimasti vuoti. Nella campagna vive una volpe dalla code lunga, però non l’ho mai vista. C’e anche un signore che alleva mucche. Ci sono anche due macine in mezzo la campagna, una più grande dell’altra, un tempo servivano per la macinazione della canapa. Anche se questo paese non è un granché mi piace abitarci e spero di rimanerci per molto tempo, perché qui e nata mia mamma,i miei nonni e per questo ci sono tanti affetti. Martina Maggi Una notte ho fatto un sogno molto strano ed ero con mio cugino Alessandro che è in 1°F. Tutto ad un tratto ci siamo ritrovati in un gioco di guerra. All’inizio pensavamo in un gioco della seconda guerra mondiale perché avevamo una mitragliatrice, una pistola, delle granate e addirittura una divisa militare con un elmetto. Però non è così perché quando guardammo chi avevamo al di là delle trincee vedemmo un intero esercito di extraterrestri armati fino ai denti con super-carri armati attrezzati di cannoni laser ultra potenti. Io e Ale ci guardammo in faccia e contemporaneamente ci tremavano le gambe. Iniziammo a correre a tutta velocità finché non trovammo altri soldati che mentre sparavamo ci dissero: -Voi due chi siete?! Andate dal comandante che vi dirà cosa dovete fare!Eravamo terrorizzati e paralizzati a vedere tutto quel sangue ma presi coraggio e dissi a mio cugino: -Ale! Mi senti? Se restiamo qui diventeremo un mucchietto di cenere!! Andiamo!Arrivati dal comandante ci portarono al Quartier Generale, dove ci spiegarono che questa guerra era in atto da parecchi anni e che gli avversari erano alieni che proveniva- no da un’altra dimensione per conquistare la terra come hanno già fatto con gli altri pianeti del nostro sistema solare. Poi ci dissero che se vincevamo questa guerra, avremmo vinto definitivamente. Io e Ale li volevano aiutare e andammo ad aiutare gli eserciti. Iniziammo a sparare a tutta volontà e con un intero caricatore ne avevamo uccisi ben 40. Mi venne un’idea. E la mettemmo in atto. Prendemmo tutte le granate che c’erano in giro e con tutti i soldati contemporaneamente gliele lanciammo addosso. Si sentì un grande PUM! Subito andammo all’assalto per uccidere i pochi sopravvissuti. Pensavamo di avere vinto ma quando vidi l’astrona- 25 ve nemica rimasti a bocca aperta. Ale non era per niente stupefatto, mi tirò per un braccio e entrammo in un carro armato nemico. Gli sparò con il super cannone ma per nostra sfortuna aveva uno scudo che si poteva disattivare solo con un pannello che si trovava sulla cima della montagna, dove era atterrata l’astronave. Io e Ale salimmo su per la montagna facendo la strage di tutti gli alieni. Ne uccidemmo 368. Arrivati in cima c’era un alieno di guardia ma avevamo finito i caricatori, allora con 10 colpi di pistola lo uccisi. Con le ultime forze distrussi il pannello disattivando lo scudo. I nostri sparavano con tutti i carri armati nemici dai piedi della montagna e la disintegrarono. Appena piantai la bandiera sulla cima della montagna mi svegliai di soprassalto alle 5:00 del mattino e lo raccontai alla mia famiglia quando si svegliarono. Loro dissero che un sogno molto ma molto strano, ma solo a mio papà gli era piaciuta la storia. Enrico Balzeri Fiabe e racconti (Racconti fantastici) Fiabe e racconti (Testi realistici, Personaggi famosi) LA CONDANNA DEL PIANETA Mi trovo su un’astronave spaziale e sto vagando, insieme a milioni di altre persone, nell’immensità dell’universo e, ora, vi voglio raccontare di come sono giunto a una situazione del genere. Mi chiamo Smith e sono uno studioso dell’ambiente e delle sue trasformazioni. Alcuni anni fa, nella primavera dell’anno 2020, tenevo una conferenza in una delle più importanti università americane, stavo pronunciando il seguente discorso: « Per me la fine del mondo avverrà fra non molto, perché stiamo consumando troppo e il fatto è che ci sono più scarti che alimenti da consumare. La fine del mondo inizierà con la morte, intanto, di tutte le persone che non possono permettersi di mangiare; inoltre succederà che nel mondo ci saranno troppi rifiuti, ma talmente tanti, che la tecnologia non riuscirà ad inventare una macchina per smaltirli tutti.Lasciando, poi, decomporre i rifiuti in enormi discariche, riempiranno l’aria di un gas che farà ingrassare in modo esagerato le persone, perché, quando sarà inalato, farà impazzire l’intestino e quest’ultimo assimilerà ogni minima particella di grasso, proteine o vitamine ingeriti e la popolazione sarà costretta a scappare dal pianeta e rifugiarsi in un altro. Ma non solo questo contribuirà alla distruzione del pianeta; la spazzatura rilascerà un liquido altamente esplosivo ed essendo chimico a con- tatto con il fuoco o materiali incandescenti produrrà una reazione nucleare radioattiva. Questo liquido penetrerà nel suolo fino al mantello e qui si fermerà, perché il mantello resisterà alle sostanze chimiche, ma arriverà il giorno in cui il liquido diventerà troppo e giungerà al nucleo della terra provocando un’esplosione nucleare potentissima tanto da distruggere l’intero sistema solare. Questo accadrà il 6 settembre prossimo.». Ricordo che, in una cittadina del Kansas, nel 2019, uno scienziato capì che i moltissimi rifiuti, prima o poi, avrebbero distrutto il pianeta. Così, per prima cosa, cercò in tutti i modi di riuscire ad avvertire il Segretario della Difesa degli Stati Uniti d’America, ma non ci riuscì. Passarono mesi e arrivò il 5 gennaio 2020 e decise che doveva avvertire assolutamente il Presidente degli Stati Uniti. Così, in piena notte, fece irruzione in casa sua e riuscì ad arrivare fino a lui, ma, appena lo raggiunse e iniziò a spiegare con molta agitazione, arrivarono le guardie, il Presidente le fermò, perché si interessò ai progetti e alle prove che lo scienziato aveva scoperto. Dopo ore di spiegazione, il Presidente decise di provvedere subito. Iniziarono, perciò, a costruire enormi capannoni di acciaio extraduro e impermeabile a qualsiasi liquido; questi capannoni non avevano né finestre né porte, solo uno sportello sul tetto. Ne costruirono a migliaia, perché servivano a IL GIORNO DELLA GARA contenere tutti i rifiuti del mondo. Passarono i mesi, arrivò il 1° settembre e il lavoro era quasi terminato, bisognava fare presto. Il 4 settembre il lavoro terminò. Tutti festeggiarono con un’immensa parata mondiale, ma la felicità non durò molto, perché, verso le 18:30, un po’ del liquido della spazzatura, che era penetrato nel terreno prima dello smaltimento dei rifiuti, penetrò nel nucleo causando un terremoto di grado 8 della scala Richter e durò un giorno intero, per tutto il 5 settembre, facendo cadere al suolo i capannoni e favorendo la penetrazione del liquido nel terreno. Ne penetrò a tonnellate e alla fine ci fu il picco, il punto di rottura del mantello e a quel punto tutto il liquido penetrò, facendo esplodere il nucleo e di conseguenza il pianeta e la galassia esplosero, ma la popolazione si salvò, perché era partita con un’astronave gigantesca con destinazione ignota. Così la popolazione terrestre è costretta a vagare per l’eternità nell’immenso universo e io con loro. Luca Rosignoli Finalmente è domenica 29 marzo. Sono in camera mia, mi vesto senza curarmi se sono vestito bene o male: una felpa e un paio di jeans vanno bene. Controllo la mia borsa:i parastinchi? Ci sono! I guantini? Sono qui, il kimono c’è! La cintura marrone nera è qui! E il paradenti? Non lo trovo… cerco per tutta la casa, sto per uscire quando vedo vicino all’argenteria una custodia bianca, è quella del paradenti, controllo che sia dentro, fortunatamente c’è. Metto tutto nella borsa e sono pronto a partire per la gara di karatè a Migliarino. Arrivo a casa dai nonni, mangio un boccone e, alle 14:30 parto. Arrivo sul posto alle 15 meno 10 minuti circa, mi cambio, poi aiuto il mio maestro a sistemare la palestra per la gara. Finalmente, Seguo il fiume di corsa e alla foce trovo un vecchio che costruisce una barca, allora gli chiedo se me la può prestare e lui mi risponde che deve andare a salvare un burattino diventato persona. Mentre sto guardando il vecchio, nel cielo appare un vortice di vento che posa un motoscafo sul fiume, allora dico al vecchio che lo porto io dal burattino. Saltiamo sul motoscafo e partiamo in direzione del mare. Ad un tratto vediamo il burattino appeso a un dente di una balena, io accelero più velocemente possibile per arrivare dalla balena. Essa spalanca l’enorme bocca e ci divora. Andiamo a finire nello stomaco io, il vecchio, il motoscafo e il burattino, che prendiamo e portiamo sul motoscafo. Dal fondo dell’esofago vediamo una grande onda venirci addosso. Prima che ci travolga prendiamo una specie di ascensore che va straveloce, usciamo dall’alto per un buco e andiamo a cadere su un’ isola. L’isola è abitata da quattro persone, io gli chiedo dove ci troviamo e loro rispondono nel telefilm “Lost”, allora prendiamo il motoscafo e scappiamo. Nella barca, mentre cerco qualcosa da mangiare, trovo una mitragliatrice e delle scatole di fagioli. Il vecchio e il burattino mi stanno un po’ antipatici, allora prendo la mitragliatrice e li uccido, poi li butto in 26 Ora è il momento dei katà (combattimento simulato), sono tesissimo, siamo i primi; la mia squadra è composta da me, Luca e Filippo. Facciamo il saluto e il katà che si chiama bassai, poi partiamo. Finito il katà, i giudici ci danno il punteggio di 74! Questo è il punteggio più alto,delle altre squadre nessuna ci eguaglia,cosi siamo arrivati primi. Dopo la premiazione rimango a vedere la gara dei master: mia mamma arriva terza con 47 punti e Mauro primo con 52 punti,è stato bellissimo. Il 5 aprile ci sarà un'altra gara e dovrò impegnarmi duramente, senza però trascurare la scuola! Gian Andrea Spinozzi LA COLPA E’ DEL BASKET Sono un ragazzo vivace un po’ stupido. Tutto è iniziato con il basket. Era una giornata di sole con quel venticello che ti sposta appena arriva la palla quando palleggi. Stavo davanti a casa mia vicino al giardino e stavo giocando a basket con quel minuscolo canestrino che mi ritrovavo. Ad un certo punto venne mia madre e con il suo tono squillante mi chiamò. Quando mi sono girato vidi la sua figura robusta, coperta dall’ombra. Mi stava dicendo che ci saremo trasferiti in montagna. Dallo stupore mi è mancato il respiro e immediatamente chiesi alla mamma il perché di questa decisione. Lei mi rispose che papà aveva scoperto di avere l’asma per cui era meglio andare in un posto senza inquinamento. Subito entrai in camere mia e preparai le valige. Due giorni dopo eravamo su un’ e- norme montagna, appena arriva timi misi a giocare a basket e in dieci minuti totalizzai venti punti. Per la gioia mi misi a lanciare in aria tutto quello che avevo sottomano. Per sbaglio la palla colpì la caserma vicina spaccando un vetro. Immediatamente vidi la macchina della polizia in giardino… Nirvana Pecorari ALESSANDRO DEL PIERO VIAGGIO IN UN MONDO FANTASTICO Sono a casa e, dopo essere tornato da scuola, mi stendo sul divano a guardare i cartoni. Ad un tratto sento tremare il pavimento, allora vado a vedere fuori dalla finestra. Vedo tutto quello che sta attorno alla casa girarmi intorno, ad un certo punto svengo. Mi sveglio in una stanza vuota e buia, non riesco a orientarmi. Dopo un po’ mi ricordo di avere una bussola in tasca, la guardo e sembra che impazzisca, continua sempre a girare. Provo a toccare la superficie della stanza ed è molto ruvida, toccando un pezzo di muro si apre una porta. Attraversata la porta mi ritrovo in una foresta. Lì vicino c’è una jeep, io non ho ancora patente, però la prendo lo stesso. Mentre vado, incontro un gigante che mi blocca. Io provo a scappare velocemente, però lui mi prende con la sua manona e mi alza per guardarmi. Provo a fare conoscenza e mi accorgo di essergli simpatico. Mi porta in fondo alla foresta, lo ringrazio e lo saluto. Improvvisamente davanti a me vedo una bella fanciulla che sta lavando i panni in un fiume. Le chiedo dove mi trovo, ma lei mi risponde in una lingua diversa dalla mia, ho capito dopo che era francese, allora glilo chiedo in francese e lei mi risponde che sono nel Mondo Fantastico. Le chiedo dove è l’uscita e lei mi risponde di seguire il fiume. alle 15:30, arrivano quasi tutti gli atleti e, dopo il saluto al pubblico e ai maestri, possiamo cominciare. Prima prendiamo il cartellino: sono nella categoria 14-15 anni. Prima tocca ai più piccoli (cadetti, esordienti ecc…..) poi, alle 17:30, tocca a noi. Facciamo kumitè , ossia combattimento con protezioni, io riesco a battere una cintura nera della mia palestra e altri 3 avversari di altre federazioni, ma non vinco perché contro il quarto, durante il combattimento, ho utilizzato una tecnica che non dovevo fare, perciò arrivo secondo. Durante la premiazione arriva un ragazzo della nostra palestra, è bravissimo, basti pensare che è arrivato sul podio in tutte le gare che ha fatto e che è cintura nera da 4 anni. mare. Spengo il motoscafo e mi metto a mangiare una scatola di fagioli. Meno male che dormo all’aperto altrimenti, se ci fosse stato qualcuno vicino, sarebbe morto. La mattina mi sveglio presto e parto per trovare un porto. Molto lontano vedo una città. Arrivato attracco la barca alla banchina e faccio un giro per la città. Lontano vedo un castello su una collina. Rubo una bicicletta ad una signora e parto per andare al castello. Arrivato vedo una bella ragazza povera pulire le scale. La cosa più strana è che, pur essendo povera, è sempre felice. Le chiedo come si chiama ma lei non mi risponde. Entro nel castello e tanti topolini mi girano attorno con un filo rosso. Ad un tratto questi topi corrono cosi velocemente che svengo. Mi sveglio e mi ritrovo sul divano. Il viaggio è stato realtà o solo un sogno? Matteo Verdura Ferrari Il mito dei nostri giorni è un giocatore di calcio, di nome Alessandro Del Piero. Del Piero ha iniziato a giocare a calcio all’età di 21 anni nella Juventus, la mia squadra preferita. Era già molto bravo e faceva già un sacco di goal. Del Piero a 23 anni è diventato capitano della Juventus, ed era veramente stupendo vedere le sue punizioni e i suoi goal. Dopo essere diventato capitano venne subito preso in nazionale italiano dove fece un sacco di goal. Nel 2006 quando lla Juve andò in serie B, calò molto, ma grazie a Del Piero e a un altro po’ della squadra, nel 2008 riuscirono a tornare in serie A con dei giocatori più deboli. Erano molto indietro con la carriera ma riuscirono ad arrivare alla pari con l’Inter nonostante Del Piero fosse vecchio per la nazionale, Lippi lo prese come riserva per il secondo tempo. Infatti non si vede quasi mai giocare nell’Italia. Invece nella Juve gioca come nei vecchi tempi, ma si nota molto il calo di Ale. Del Piero per 55 me giocherà per un bel po’ nella Juve, però se dovesse smettere di giocare a calcio, rimarrà lo stesso uno dei miei miti e mi ricorderò dei suoi splendidi goal di punizione. A me piacerebbe tantissimo essere come il grandissimo Alessandro Del Piero, un vero e proprio giocatore. Comunque al suo posto, ci sarà Giovinco. Thomas Azzolini Fiabe e racconti (Testi di attualità) Fiabe e racconti (Racconti fantastici) IL BULLISMO La parola bullismo si sente molto frequentemente in questo periodo. Deriva dal termine inglese “bullying”, che vuol dire compiere azioni fisiche o verbali a danno di una sola o più persone. Si può affermare senza dubbio che il luogo in cui questi fatti si verificano in modo più accentuato è soprattutto la scuola, in particolare durante l’intervallo, perché i ragazzi in questa occasione si ritrovano. Le caratteristiche principali del bullo sono : l’aggressività ,un forte bisogno di dominare sugli altri, infatti si dimostra spesso impulsivo,si arrabbia facilmente e presenta una bassa tolleranza, spesso è accompagnato da un gruppo che lo segue. Le vittime sono per lo più individui sensibili,diversi dagli altri , sono deboli dal punto di vista fisico e, quando vengono attaccati , spesso non hanno il coraggio di reagire. Ci sono altri personaggi presenti solitamente quanto il bullo “minaccia”la vittima e sono gli spettatori . E’ la classe che sta a guardare senza intervenire. Questo atteggiamento è molto pericoloso perché il silenzio e la tolleranza sono “potenti alleati” del bullo, perché non ci si ribella e le vittime spesso non hanno il coraggio di denunciare né di parlare con i genitori,quindi gli atti di bullismo rimangono spesso impuniti. Il bullismo si manifesta in diversi atteggiamenti, uno consiste nell’umiliazione della vittima principalmente attraverso insulti, a volte c’è anche uno scontro diretto e questo riguarda principalmente i maschi. Inizialmente erano solo i maschi ad assumere atteggiamenti di bullismo ,adesso anche le ragazze sono diventate “bulle”. Questo at- KAPOEIRA teggiamento si manifesta con caratteristiche diverse dal bullismo maschile,infatti questa nuova forma di bullismo è caratterizzato molto meno dallo scontro fisico e maggiormente dallo scontro verbale; le bulle tendono ad isolare la vittima dalle sue amicizie e spesso, per farla soffrire ancora di più, la umiliano in pubblico. La vittima, nella maggior parte dei casi, si chiude in se stessa. Purtroppo questo fenomeno nelle scuole italiane è in crescente aumento, a mio avviso per affrontarlo la cosa più importante è il dialogo, è importante aiutare i “bulli” a raccontare i loro problemi agli adulti, per risolverli nel modo migliore, magari aiutandoli a sfogare la loro aggressività in un modo più civile. Alessia Ferrari L’ABUSO DI DROGA E DI ALCOLICI I giovani d’oggi hanno comportamenti profondamente sbagliati: come fare uso di droghe e di alcool, oppure arrivare ad atti gravissimi, quali gli stupri e il bullismo. Le droghe e l’alcool sono spesso i principali responsabili degli incidenti sulle strade, tanto che, in un anno, circa 1/3 degli incidenti avviene tra il sabato e la domenica. L’uso delle droghe, secondo me, ha effetti più gravi dell’alcol, ne basta infatti una piccola quantità per avere gravi effetti, provocando danni irreparabili e creando forti dipendenze. Alcuni dati riferiti a un gruppo di studenti tra i 14 e i 19 anni di Roma presentano una situazione piuttosto allarmante per quanto riguarda l’uso di sostanze stupefa- centi, tanto che, da questa inchiesta, risulta che ne fa uso il 3% in età pari a 14 anni, il 23% dei quindicenni, circa il 37% dei ragazzi di 16 anni e il 37% dei diciassettenni. Per abbassare queste percentuali si potrebbero fare più controlli nelle discoteche, nelle scuole e negli stadi che, secondo i dati, sono i luoghi di maggiore spaccio. Comunque alcuni sostengono che il problema degli incidenti del sabato sera non sia da ricondurre esclusivamente all’uso di sostanze stupefacenti o all’abuso di alcool, tendendo a sottovalutare così questo grave fenomeno. Difficilmente queste stragi si estingueranno, solo con la volontà dei giovani di non spegnersi a 20 anni i traffici e gli incidenti diminuireb- bero. Spesso si fa uso di queste sostanze per far parte di un gruppo, per farsi notare, per essere grandi. In questo caso i giovani si spronano a vicenda, oppure provano le sostanze per trasgredire alle raccomandazioni di amici e genitori; questo è emerso dalle riflessioni in classe e anche dai dati che parlano da soli. A mio parere basterebbe responsabilizzare di più i ragazzi per non commettere sciocchezze che potrebbero costare molto e aumentare i controlli nei luoghi di spaccio. Ma questo è solo un modesto parere di uno studente delle medie. Giuseppe Bianco LO STALKING Lo stalking è una persecuzione telematica attuata verso un’altra persona, soprattutto da uomini e , in percentuale più ridotta, anche da donne. Questo fenomeno, soprattutto negli ultimi anni, ha preso particolarmente piede. Spesso, alla minaccia verbale, vengono associati atti di violenze e, per questo, molte di queste vittime vivono una vita solitaria dentro le mura di casa, per paura di vedere o incontrare il persecutore. Lo stalking, per la maggior parte delle vittime, diviene un vero e proprio incubo. Spesso, il persecutore è libero di agire, perché non esiste alcuna legge che lo contrasti. Per me andrebbe introdotto un numero verde, nel quale operano degli operatori, che possano aiutare e consigliare le persone colpite da queste persecuzioni. In ogni caso, la cosa più importante da fare sarebbe emanare una legge che punisca, anche in modo piuttosto duro, i persecutori perché chi minaccia una persona e non le consente di vivere a pieno la sua vita, di fat- to, compie un reato. Al Parlamento, comunque, si sta discutendo una legge, che deve ancora essere emanata, ma che potrebbe porre fine a questo terribile problema. Di recente, il programma televisivo “Arena” ha dato voce a questo problema, intervistando molte vittime. Sono emerse da queste interviste, risposte paradossali alle richieste di aiuto, quasi un disinteresse da parte delle autorità nei confronti delle vittime. Molte vittime infatti, recatesi dalle autorità locali, hanno ricevuto questi suggerimenti per risolvere il problema:<Si trasferisca in un’ altra città>. Questa per me è una risposta piuttosto paradossale. Certamente se la vittima si trasferisce in un’altra città ha meno probabilità di incontrare il persecutore, ma non può sacrificare la propria vita, magari privandosi del lavoro, degli affetti, solo per non incontrare più questa persona. Questa certo, potrebbe essere una soluzione, ma una soluzione piuttosto assurda; perché, invece di sacrificare la 54 vita di una persona innocente non intervenire su chi compie questo atto di persecuzione? Sarebbe una cosa inaccettabile, un’ ingiustizia, perché siamo in un paese democratico, e quindi ognuno è libero di fare ciò che vuole ma non di privare della libertà un’altra persona. Per cui, per risolvere il problema che io pongo, sarebbe opportuno, anzi indispensabile, emanare una legge che contrasti il fenomeno dello Stalking, concedendo alle persone vittime di questo fenomeno di vivere una vita adeguata. Inoltre, come ho già detto, sarebbe utile utilizzare un numero verde per le situazioni di emergenza, per segnalare eventuali persecuzioni alle autorità. Io penso che questo fenomeno sia gravissimo, e che dovrebbe essere punito con norme severissime, perché priva la persona del diritto più importante che essa ha , la libertà. Benedetto Cavicchi Justin ex berretto verde è appena tornato in una cittadina del Texas dall’addestramento militare in Brasile dove nel tempo libero praticava insieme, ai brasiliani la kapoeira, un’arte marziale. Qui si reca nella scuola di Higt School, dove cerca lavoro come insegnante di ginnastica e di Kapoeira per rifarsi una vita. Quella scuola era piena di trafficanti di droga e vandali vari. Justin voleva insegnare questa disciplina alla cui base c’era la capacità di autocontrollo. Il preside della scuola rifiutò perché non gli sembrò una buona idea poiché i ragazzi della sua scuola non erano estranei alla violenza, essa faceva parte della loro vitae riteneva che quella disciplina fosse troppo violenta.. Justin amareggiato uscì dalla scuola e assistette a un pestaggio da parte di un fratello di un ragazzo della scuola perché esso non aveva venduto droga sufficiente. Justin intervenne a difesa del ragazzo scacciando lo spacciatore della zona e si prese la stima di tutti i ragazzi della scuola. Solo allora il preside decise di provare il suo progetto: prendere i dieci ragazzi peggiori della scuola per insegnare loro il rispetto facendo loro imparare la Kapoeira. No appena i ragazzi arrivarono in palestra Justin fece subito vedere i movimenti di base e fece ascoltare la musica per- ché quest’ arte marziale aveva un ritmo da seguire: il Ginga. Esso però si poteva personalizzare; subito i ragazzi inizirono a prenderlo in giro facendo strani versi e movimenti strani finché non iniziarono a insultare Orlando Olivers, cugino di Silverio il capo della banda che temeva sotto controllo la cittadina. Egli estrasse un coltellino e il maestro subito lo disarmò con un calcio nella mano. Successivamente li mandò via tutti. Alla seconda lezione alcuni ragazzi stupiti da quel calcio dato da Justin provarono i movimenti col Ginca, era divertente solo che Orlando iniziò a offendere Justin e poi se ne andò via. Dopo varie lezioni che Orlando non si presentava neanche a scuola Justin preoccupato lo andò a cercare e lo trovò con i compagni della banda che stavano giocando a basket. Subito i componenti della banda si scagliarono contro Justin che però difendendosi li stese tutti. Ma proprio in quel momento arrivò Silverio che invitò Justin ad andarsene, questi rifiutò perché voleva che Orlando tornasse a scuola quindi Silverio iniziò a colpirlo duramente più volte, infatti, anche lui, conosceva la kapoeira ed aveva un Ginga diverso e più veloce di Justin. Justin , però non si arrese, voleva l’attenzione di Orlando per farlo migliorare e farlo com- portare meglio. Organizzò allora una gita al mare, tutti i ragazzi aderirono compreso Orlando e tutti sembrarono entusiasti Justin riuscì a metterli d’accordo e pian piano diventarono quasi tutti amici. Alla fine della gita quando Justin stava facendo scendere i ragazzi dal pullman, arrivò Silverio che voleva che Orlando lasciasse la scuola per diventare il suo capobanda. Il ragazzo rifiutò e Justin disse a Silverio che doveva andare via. Il progetto Kapoeira funzionava e quindi si estese per più di 1500 alunni in tutte le scuole. Silverio si trovò senza giovani ragazzi da sfruttare quindi volle farla finita con Justin e un giorno lo aspettò fuori dalla scuola. Non appena Justin uscì Silverio lo attaccò; subito intorno a loro si formò un cerchio di ragazzi. Justin stava subendo, ma non voleva reagire. Dopo aver incassato colpi su colpi, i suoi ragazzi lo incitarono a reagire e cantarono la melodia del suo Ginga. Allora Justin lo colpì più volte afferrandolo; Silverio fu arrestato e Justin fu felice; aveva compiuto il suo obiettivo: salvare dalla rovina molti ragazzi. Nico Bisaggio MALE CONTRO BENE C’era una volta un uomo di nome Erant che era isolato dalle altre persone perchè era malvagio, ma così malvagio che aveva ucciso sua moglie e suo figlio, aveva perfino venduto la sua anima al diavolo. Quando morì perfino l’inferno lo aveva rimandato nel mondo reale, perchè era troppo malvagio. Così adesso era diventato immortale; solo la testa era rimasta vulnerabile. In un regno lì vicino viveva un ragazzo di nome David; era un principe che cercava moglie e perciò andava in tantissimi regni per trovare la sua sposa. Un giorno arrivò nel regno di Erant ed appena vide David gli corse incontro per eliminarlo. Ma David era più forte e con la sua spada iniziò un duello agguerrito. David colpì Erant, ma i colpi non lo ferivano. Allora i cavalieri aiutarono David ma in men che non si dica erano già tutti sconfitti. E- rant stava per uccidere David che però, più veloce, prese un pezzo di legno e lo colpì ferendolo alla testa, il suo punto debole. Sconfitto il nemico, David si sposò con la principessa di quel regno, e vissero tutti felici e contenti. Luca Aliminni L’ANELLO MAGICO Una volta, in un castello della Scozia, una madre e un figlio vivevano tranquilli e sereni. Da quando il padre era morto, Jack si occupava degli animali e la madre della casa e dell’orto. Una sera, tornando a casa dal lavoro, Jack non trovò più la madre e capì subito che doveva essere successo qualcosa di grave visto che lei non si allontanava mai. Preoccupato, salì sul suo cavallo, corse in paese e cominciò a chiedere ai paesani se qualcuno aveva visto la madre; dopo ore di inutili ricerche tornò a casa sfinito. Il giorno dopo, al suo risveglio, notò vicino al letto della madre una piuma di corvo variopinta. Fece delle ricerche e venne a sapere di una leggenda popolare che diceva che al passaggio di una strega nel villaggio veniva ritrovata una piuma uguale e concluse dove vide tanti corvi variopinti. Entrò nella caverna e cominciò a chiamare la madre, che poco dopo trovò insieme alla strega. Questa gli disse: “Per liberare tua madre devi darmi l’anello che porti al dito”. Era l’anello che il padre gli aveva lasciato in punto di morte e Jack non capì perché lei lo volesse. La strega spiegò che l’anello aveva poteri magici: esaudiva i desideri di chi lo portava. Ancor prima di togliere l’anello Jack espresse un desiderio cioè che la strega sparisse e questo avvenne. Jack aveva giocato d’anticipo con astuzia sulla strega e liberò sua madre. che era stata una strega a rapire sua madre. Andò verso il bosco cercando indizi e dopo molta strada arrivò davanti ad una caverna, 27 Mattia Rizzati Fiabe e racconti (Racconti fantastici) Fiabe e racconti (Racconti storici) IO E CAPPUCCETTO ROSSO Una volta, trovai nella vecchia mansarda di casa mia un vecchio libro, tutto impolverato, dopo aver aperto la prima pagina un vortice mi risucchiò. Mi accorsi che ero stato risucchiati dal libro, dopo un po’ mi accorsi che ero in una fiaba, ero nella fiaba di “Cappuccetto Rosso”. Vidi un signore che passava di lì e gli chiesi se ero proprio in quella fiaba e il signore mi disse che lo scoprivo da solo e di vivere come se fossi nel mio paese indicandomi dove abitavo. Andando verso casa vidi Cappuccetto Rosso in mano un’ enorme valigia, andai lì e le chiesi se aveva bisogno e dove dovesse andare con quell’ enorme valigia, lei mi rispose che doveva andare dalla nonna a farle il letto perché era molto ammalata e io che prima o poi correva il rischio di essere mangiata dal lupo. La piccola rispose che non ci credeva e ma, se era vero, di aiutarla lo stesso. Dopo un po’ mi chiese se potevo andare con lei, arrivati nel bosco vedemmo il lupo e decidemmo di andare avanti senza farci scoprire, invece il lupo si accorse di noi e quin- LA MIA STORIA di noi scappammo verso la casa della nonna, mancavano ormai cinquanta metri e Cappuccetto decise di urlare. La nonna sentì l voce della piccola nipotina, si alzò di colpo e si mise una tuta da supereroe, prese il fucile da caccia e uscì di casa senza paura di essere mangiate, Ormai io e Cappuccetto eravamo arrivati, la nonna intanto cercava di colpire il lupo con il fucile la nonna colpì il lupo e così lo ammazzò. Io e Cappuccetto andammo dalla nonna e così gli raccontammo tutto, prendemmo un thè caldo, io gli raccontai tutto quello che mi era successo e chiesi alla nonna se sapeva qualcosa, la nonna conosceva una formula magica, ad un tratto mi trovai di nuovo a casa mia, tornai giù dai miei genitori e gli raccontai tutto. Michele Canneto LA GRANDE STORIA DEL LUPO E DI JENNY Tanto tempo in un lussuoso castello viveva con la sua padrona una cagnolina di nome Jenni, era un labrador molto particolare: il suo mantello era di un colore panna, quasi come il caffèlatte, era molto morbido anche se corto; le orecchie erano a punta e sempre belle ritte, come un robot quando cerca di intercettare qualcosa; il naso era come una ciliegia (si, ma non di colore rosso) di color roseo come le nuvole quando c'è il tramonto; i suoi occhi erano a mandorla di color scuro; la coda era bella lunga. Valeva molto denaro, quindi molti cercavano di raparla e uno di questi ladri ci riuscì ma con l'inganno. Questo rapitore di nome Zac, che in realtà anche giardiniere e maggiordomo della pa- drona, sapeva benissimo la quotidianità della padrona e di Jenny. Un bel giorno la padrona andò al mercato, Jenny era a rotolarsi sull'erba mentre Zac stava potando le rose. Egli approfittò dell'assenza della padrona, andò in casa per rubare quadri o cose preziose, ma ad un certo punto si ricordò che c'era Jenny ben più preziosa di qualunque altra cosa in quel castello. A questo punto tutto era favorevole al rapimento di Jenny, quindi lanciò la pallina sul furgone, Jenny era molto giocherellona quindi corse sul furgone; il "gioco" era fatto, quindi portò Jenny in uno scantinato dove, per pura fortuna, dopo pochi giorni ella riuscì a scappare. Si trovava in un mondo che non conosceva molto bene... Anche in questo caso ebbe un colpo di fortuna: incontro Boop, un lupo molto generoso che l'aiutò. Durante la strada di ritorno si conobbero meglio, tanto che Jenny rimase in cinta; arrivarono a casa e la padrona tenne anche Boop, perchè sicuramente senza di lui Jenny non sarebbe mai riuscita a ritornare. Dopo qualche mese partorì cinque bei cuccioletti: quattro erano normalissimi cagnolini labrador, uno invece era un lupacchiotto. Una volta cresciuta la cucciolata venne messa in vendita dalla padrona di Jenny. Tutti i cagnolini vennero venduti, tranne il lupacchiotto che rimase a vivere con loro. Martina Brunelli IN CAMPO CON RONALDO Una notte quando sono andato a letto ho subito sognato di stare in un campo al fianco di C. Ronaldo e che stavamo affrontando, nella finale di Champions League, l’Inter. Lì incontrammo pure Ibrahimovic. La partita stava per cominciare ed ecco il fischio d’inizio, Moro ha la palla (che sarei io), la passa a C. Ronaldo, egli passa la palla a Messi che con un tiro potentissimo segna contro Julio Cesar. Ibrahimovic prende palla, la passa a Balottelli che tira ma Buffon è troppo bravo. Ecco lo scadere del primo tempo. Il mister dei Galaxy Michelinho ha detto a Moro di sfoderare la sua arma vincente che se non la avesse messa in atto non avrebbero vinto la Champions. Ecco il fischio che tutti aspettavano, quello del secondo tempo, Moro come previsto parte subito all’attacco, fa un cross a Kakà ma ecco Zanetti che entra in scivolata e fa fallo nell’area di rigore, Moro sta per battere quando sul tabellone appaiono 0 minuti di recupero l’ultima azione. Ecco Moro: tira, la palla fa tutto il giro del campo senza uscire, becca la traversa, va in alto becca la schiena del portiere ed entra in porta: era un gol da manuale, nessuno aveva mai visto una cosa del genere: un bambino di dodici anni aveva giocato in una squadra come il Galaxy e fare un gol del genere. Da quel momento io ho continuato a giocare nel 28 Galaxy fino a 30 anni dopo sono andato a giocare nel Milan e dal Milan non mi sono più trasferito. Ma questo purtroppo era solo un sogno che non continua perché mia mamma mi sveglia sempre o per andare a scuola o per andare da qualche altra parte. Io ho giocato a calcio per ben 4 anni e adesso ogni domenica vado a giocare con mio papà e i suoi amici in palestra o in un campo all’aperto a calcio. Con loro faccio un po’ di goal ma non tanti perché non ho la loro velocità e la loro bravura ma non mi lamento. Corneliu Moraru Mi chiamo Cristina, sono nata in un piccolo paese in Germania. Sono ebrea. Anche la mia famiglia era ebrea. Adesso vivo in Cecoslovacchia con mio marito e due splendidi figli. Tutto iniziò nel 1935, in quella data iniziarono le persecuzioni contro gli ebrei. Io e la mia famiglia, nel 1940, siamo andati a vivere o, per meglio dire, nasconderci in una cantina, vicino al posto in cui lavorava mio padre. Siamo stati per tre anni in quel nascondiglio, ogni giorno che passava io avevo una paura da morire. La cantina non era né grande né piccola, ma bastava per noi. Dormivamo sopra le valigie che avevamo preso per i vestiti. C’erano solo due finestre ma non potevamo aprirle tanto, solo per pochi minuti, altrimenti ci avrebbero scoperto. Io, a volte, scrivevo e mi confidavo con il mio carissimo diario, con il chiavistello a forma di gatto e la fodera di colore rosa. Era bellissimo! Mi era stato regalato da mia nonna per il compleanno. Dopo tre anni ci hanno scoperto. Sono piombati dentro la cantina una decina di soldati. Io ancora mi ricordo la faccia cattiva di uno di quei soldati. Ci hanno preso e portati in un campo, dove ci hanno fatto lavorare per ore e ore. Dopo due giorni ci hanno diviso, i maschi da una parte e le femmine dall’altra. Io allora ero una ragazzina, mi è dispiaciuto moltissimo separarmi dalla mia famiglia. Dopo un anno è successo una cosa incredibile. Un ragazzo prigioniero della mia età, di nome Felix, mi aiutò a scappare; lui scappò insieme a me. Arrivati in Germania, nel 1946, scoprii che i miei genitori e mia sorella Kate erano stati fucilati. Io, dopo quella notizia, mi misi a piangere per settimane, però dopo mi feci forza e riuscii a sopravvivere. Andai a vivere con Felix, con il quale adesso sono sposata e ho due figlie di nome Sara e Martina. Vanessa Di Liberto LA STORIA DI EDWARD Io mi chiamo Edward e sono un ragazzo ebreo. Vivevo in Polonia a Gnienzo con la mia famiglia e, quando tutto iniziò, avevo 17 anni. La mia famiglia era composta da mio fratello Filip di 15 anni, mia madre Monique e mio padre Maxime. Era una calda giornata d’estate, io e i miei amici stavamo giocando nel mio giardino, quando i loro genitori corsero a chiamarli dicendo: “ In casa ! In casa, arriva la Gestapo “. Allora tutti scapparono nelle loro case compreso io, ero molto triste perchè questo succedeva troppo spesso ultimamente. Quel giorno la Gestapo arrestò moltissima gente: uomini, donne, bambini, alcuni dei quali erano miei amici. Per fortuna la polizia non si presentò a casa nostra. Nei giorni successivi, il tempo passò veloce, ma il 20 Agosto 1942, la Gestapo mandò una lettera a casa nostra: diceva che io e mia madre dovevamo presentarci alla stazione di polizia, per poi essere mandati nel campo di concentramento di Auschwitz. Per fortuna mio padre, che lavorava come autotrasportatore in giro per l’Europa, era stato previdente e aveva cercato un rifugio, lo aveva trovato in Austria. In fretta e furia dovemmo partire lasciando tutto in disordine e portando con noi solo poche cose: meno male che i nostri genitori ci permisero di portare un animale per uno; io portai Titti, la mia cocorita addomesticata, mentre Filip portò Teo, il suo gatto. Arrivammo in Austria il 25 Agosto 1942 e cominciammo la nostra vita da rifugiati, ma non mi dispiacque. Noi abitammo in una casa piccola, bruttina e poco spaziosa. Io e la mia famiglia vivemmo in quella casa per 53 due lunghissimi anni, fino al 15 Gennaio 1944. Purtroppo quello sfortunato giorno la Gestapo scoprì il nostro nascondiglio e ci portò nel campo di concentramento di Mauthausen, dove i tedeschi costrinsero me, mio fratello e mio padre a separarci da mia madre. Dopo qualche ora i tedeschi ci portarono nei dormitori e, il giorno dopo, ci costrinsero a lavorare per otto ore consecutive. Questo successe per tantissimo tempo. Un giorno, improvvisamente, tutti i lavori cessarono e i tedeschi cominciarono a scappare fuori dal campo di concentramento:finalmente erano arrivati gli inglesi. Tutti corsero fuori a vedere cosa fosse successo; con nostra grande sorpresa vedemmo che il campo era vuoto, non c’era più neanche un tedesco. Così tutti scappammo fuori, noi cominciammo a cercare la mamma, avevamo paura che i tedeschi l’avessero uccisa, per fortuna non era così e, dopo qualche chilometro, la trovammo vicino ad un albero che piangeva perchè anche lei credeva che ci avessero ucciso. Appena ci vide, ci corse incontro e ci abbracciò. Io ero felicissimo perchè la nostra famiglia si era riunita e poi, tutti insieme, cercammo di vivere normalmente, dimenticando le brutte cose accadute. Nicola Galliera Fiabe e racconti (Racconti storici) Fiabe e racconti (Racconti fantastici) UNA GUERRA SENZA FINE E’ il 1916. Ormai è da otto mesi che questa guerra infernale non trova una breve pausa. Ad ogni attacco si rischia la vita. La maggior parte dei miei amici morti sono stati abbandonati come si fa con le mele cadute dagli alberi. L’ultimo attacco a cui ho partecipato è avvenuto alla fine di marzo: è stato l’attacco più cruento che io abbia mai visto; siamo partiti alle tre del mattino e ci siamo mescolati con il nero della notte. Purtroppo i soldati che stavano di guardia hanno notato il nostro gruppo e così siamo stati scoperti. Mancando l’effetto sorpresa, il nostro gruppo aveva fallito la missione, così abbiamo dovuto retrocedere e nasconderci dietro alcuni cumuli di terra. Ma ormai eravamo stati scoperti e ci fu la controffensiva. Iniziò così la notte più brutta della mia vita, costellata da bombardamenti e spari. La maggior parte delle persone del nostro gruppo venne uccisa, noi cercavamo di contrattaccare avanzando, ma ogni tentativo era vano. Ad un certo punto io suggerii al generale di retrocedere, ma lui, che era molto orgoglioso e testardo, mandò avanti ciò che rimaneva della compagnia, che venne colpita in pieno da una bomba. Mi guardai attorno, non c’era nessuno, ero l’unico sopravvissuto, allora cominciai a correre a più non posso verso la base; ero un bersaglio facile, ma arrivai sano e salvo. Mi chiesi come mai non fossi stato colpito, comunque ero stato fortunato. Ormai era l’alba ed ero distrutto, andai a sedermi vicino ad un muro e subito mi ad- IN UNA NOTTE… dormentai. Le sofferenze che provavo erano inimmaginabili e terribili. Veder morire un proprio amico in battaglia era l’esperienza più sconvolgente e terribile della guerra di trincea. Mi mancava la mia vecchia vita: il mio vecchio lavoro, mi mancavano i miei amici, i miei familiari e, in questo momento, mi mancava anche il cibo. Noi eravamo lasciati in posti umidi, con morti e malattie di ogni tipo, il cibo era crudo e avariato, il pane duro e non lievitato, l’acqua era stagnante, non potevamo neanche farci la barba. Era un invito alla morte. I giornali scrivevano di noi che eravamo i salvatori e che al fronte vivevamo bene: tutte bugie. La guerra non è come la si pensa: è paura e morte, si è tutti sullo stesso piano. Si è tutti vinti. Io penso che la guerra è dei soldati che sono costretti a viverla ogni giorno. Matteo Moretti GUERRA IN TRINCEA Siamo nel 1915, l’Italia è entrata in guerra insieme alle altre potenze della Triplice Intesa, ed io vengo arruolato nell’esercito e costretto ad abbandonare i miei fratelli e la mia famiglia. Il 23 Ottobre 1917 sono partito per Milano verso le 6 del mattino, sopra una camionetta con altri soldati per raggiungere il fronte e combattere contro gli Austriaci. Siamo arrivati vicino ad un paesino, si chiama San Martino del Carso. Qui altri italiani scavano trincee, ma veniamo subito “smistati”e dobbiamo salire sulla stessa camionetta di prima, chi guida ha un cappello da generale e ci dice che sarà un viaggio molto lungo. Siamo otto soldati su questa camionetta; all’inizio ci guardiamo negli occhi , poi un soldato rompe il ghiaccio chiedendo di presentarci. Lui ha la pelle un po’ scura, sembra molto abbronzato, dice di essere nato ad Alessandria d’ Egitto nel 1888, ma noi non ci crediamo molto. Arriva una notizia che dice che gli Austriaci stanno avanzando verso Caporetto, ed è proprio lì che dobbiamo andare. Una volta arrivati, ci mandano subito dentro una trincea, volevo stare con il mio nuovo amico, almeno per avere un supporto, un sostegno. Siamo armati in modo inadeguato: abbiamo una pistola, una baionetta, due scorte di munizioni, un elmetto, una divisa con qualche grado, qualche garza alle gambe che rallenta il passo e scarpe che dopo tre giorni in trincea non hanno più suola. Il mio amico scrive stranissime poesie; me ne ha fatta leggere una, mi pare si intitolasse “ Sveglia” o “ Veglia”. Della vita civile mi manca il mio lavoro di postino, mia moglie, che ora è costretta a sostituire lo zio in fabbrica e lavora sempre, mio fratello, che lavora nei campi, mio padre, che lavora in fabbrica perché, non avendo una gamba, non è stato arruolato in guerra. Io non so se rivedrò tutta questa gente, so solo che pochissime notizie arrivano al fron- 52 te: sappiamo che il generale Cadorna è stato sostituito da un certo Diaz, ma non ne sono sicuro. So che gli Austriaci hanno conquistato tutto fino a Caporetto, e l’hanno devastata. E’ il quindicesimo giorno che sto in trincea, il cibo è scarso, tre di noi sono morti per essersi ribellati, ci sono alcuni aerei che aggirano la nostra trincea; io sto male, penso di essermi preso qualche malattia perché mi sento stanco, ho la tosse e in fronte scotto. Devo ancora sparare il primo colpo del mio fucile, la pistola l’ho persa. Mi faccio scudo con un cadavere che ha la testa mozzata, sanguina ancora sul mio corpo, ma spero solo che mi ripari dalla tempesta che viene incessantemente da tre giorni. Pensavo che andare in guerra fosse bello, eccitante, invece ho capito che è tutto un inutile massacro. Giacomo Sovrani Questa sera sono stanchissima. Ho lavorato tutto il g i or n o, ho pranzato con un panino, il pomeriggio è stata una vera e propria avventura con il capo, e questa sera sono stata fuori a cena con Gorge. Uffa!!! Mamma mia che giornata stancante. Mi sdraio finalmente sul letto e inizio a pensare… inizio a pensare come sarebbe la mia vita in un paese come l’Africa… in un paese più povero… e così, mentre penso, mi addormento…. Quando mi sveglio mi ritrovo sdraiata su una brandina dentro ad una casetta strana, sembra quasi una tenda… no, è proprio una tenda… Allora, perplessa per ciò che mi circonda, mi alzo in piedi, esco da questo posto sporchissimo, con ragni e scarafaggi ovunque. Vedo in lontananza cinque o sei uomini che stanno cantando canzoni che non capisco, in una lingua che non conosco… poi mi guardo intorno e non vedo i giganteschi palazzi di New York, ma in questo deserto di sabbia è tutto piatto, non c’è una casa, un bar, un ufficio, niente. Non capisco. Che strano… Inizio a camminare un po’, ma non vedo nulla, tranne delle tende qua e là, qualche pecora, cinque o sei persone abbigliate in maniera strana e un cammello. Aspetta…un cammello?? E come può esserci un cammello? Non capisco. Ho fame. Vado a chiedere a quelle persone se sanno dove si può andare a mangiare e l’unica cosa che mi offrono è un po’ di riso, vecchio almeno di una settimana, che loro mangiano con tanto gusto usando le loro sporche mani. Ma no, io non mangio, io quella schifezza non la tocco. Però ho fame. Come faccio? Dai, se un pasto lo salto non succede nulla. Così me ne torno alla tenda. Ma non ho nulla da fare. Poco dopo torno da quelle persone e cerco di comunicare loro qualcosa, per esempio che sarei molto curiosa di sapere dove mi trovo e come sono finita in questo posto. Ma sembrano non capire. Io faccio gesti e parlo come una stupida, loro si girano guardandosi, ridono…. Molte grazie! Ma cosa mi sta capitando? Voglio andare via… sto male, ho fame, ho caldo, voglio lavarmi e stare in un posto pulito. E soprattutto non capisco quello che mi sta succedendo. Poi… in lontananza sento un rumore… un rumore quasi assordante, un rumore che mi dà fastidio….piano piano sento sempre meno le voci di quelle persone e sempre di più questo continuo “bip”. Apro gli occhi e capisco che è la mia sveglia. Mi guardo attorno. Sono sdraiata sul letto con le lenzuola candide, in una camera tutta bianca e rosa. Guardo fuori dalla finestra e vedo quei fantastici grattacieli. Guardo l’orologio. Sono le 8.30! Aiuto!! Sono in ritardo! Poi mi fermo. Mi siedo e penso che effettivamente va benissimo così… che non vedo l’ora di litigare ancora con il capo e di mangiarmi un fantastico panino con una foglia di insalata. Giulia Bertieri UN AMICO DALLE STELLE C’era una volta in una dimensione parallela, un alieno di nome Baz che fin dall’infanzia, aveva il desiderio di andare con il suo taxi sulla Terra. Questo alieno era molto curioso di scoprire cose nuove e divertenti, ma non aveva nessun amico che potesse accompagnarlo, desiderandone uno. Contemporaneamente sulla Terra c’era un bambino di nome Brink. Una notte Baz decise di partire alla scoperta della Terra con il sua taxi ma a causa di un guasto precipitò in un granaio; più precisamente in un capannone della Cir. Dentro a esso vi era un addetto al controllo. Baz appena caduto mise su un cd e iniziò a ballare e quindi iniziò a ballare anche lui; quando perse il controllo, l’uomo cadde in una vasca piena di ketchup e morì. Baz spaventato corse per tutta la terra e si schiantò contro una fattoria. Quando si riprese, vide davanti Brink che lo portò a casa sua e iniziarono a parlare: < chi sei?>> <<sono un alieno!>>. I militari del Texas avevano intercettato il taxi di Baz e andarono a cercarlo nel granaio e nei territori circostanti. Andarono nella casa casa di Brink e la misero a soqquadro. Non trovarono nessuno perché erano nascosti nella cuccia del cane. Videro che sopra di essa c’era un aquilone e lo usarono per tornare al proprio taxi in fretta. Arrivati videro che era rotto e lo portarono fuo- 29 ri. Stava arrivando una tempesta e miracolosamente un lampo riparò il motore. Piangendo si salutarono e Baz decollò per il suo pianeta non dimenticandosi di Brink. Marcello Ceolotto Martina Maggi Alice vassalli Nirvana Pecorari Enrico Balzeri Marco Silvestri Jacopo Tura Sabrina Maresta Fiabe e racconti (Racconti fantastici) Fiabe e racconti (Racconti storici) LO ZOO DI III E Mi chiamo Flikka e ogni mattina mi alzo per andare a scuola; ovviamente mi devo alzare presto perché ho tante cose da fare: come prima cosa mi lavo immergendomi in una calda e profonda pozza d’acqua, in realtà è una semplice “doccia”, ma a me piace chiamarla così; poi mi devo sistemare tutta la peluria: elimino i baffi e i peli superflui radendomi, ma in maniera poco evidente , perché poi si vedrebbe troppo (sono molto pelosa), infine prendo il necessario e…mi ritrovo a correre verso la scuola per riuscire ad arrivare in tempo prima che si chiudano le porte! Arrivo in classe affannata, scompigliata e, ovviamente, in ritardo; ma ormai nessuno ci fa più caso! Come ogni mattina si sentono da lontano i passi della mia professoressa che arriva in classe; pensate che non sembra un ippopotamo , bensì due ippopotami tanto è cicciotella! Inizia la lezione e la professoressa che si chiama Gloria, ma noi la chiamiamo Glorio- na per via del suo aspetto, sta scegliendo chi interrogare perché, ovviamente, non si offre mai nessuno. Così inizia a fissarci con quei suoi occhietti piccoli, neri come la pece, nascosti dietro a un paio di occhialetti rossi, posti quasi sulla punta del naso, come se dovessero cadere da un momento all’altro. Il suo aspetto farebbe accapponare la pelle a chiunque! Dopo aver fissato ogni singolo elemento in classe, dice: “Flikka, interrogata!”- Ma che strano, proprio me doveva chiamare, l’unica volta che non ho studiato- penso tra me e me…. Alla fine della deludente interrogazione, la professoressa Gloria è arrabbiatissima, inizia ad urlare come una scimmia che ha appena perso le sue banane, diventa persino bordeaux, le vene le si ingrossano e continua a sbraitare, facendo la sua solita predica che nessuno ascolta mai, ma alla frase:”Siete solo un branco di animali…!” tutto tace, per poi scoppiare in una clamorosa risata. La profe ci zittisce e ci chiede il motivo per cui GERARD ridiamo, così io mi avvicino alla cattedra e le rispondo: ”Ma profe…noi siamo degli animali! Guardi, là c’è Raffo, il gorilla maestoso, grande, ma allo stesso tempo sbadato, poi guardi Erica, una gatta calma e tranquilla, laggiù in fondo c’è Altea, la nostra giraffa dalle gambe lunghe e snelle, Benedetto, il ghepardo veloce come la luce; e infine mi guardi prof, Flikka la tigre forte e aggressiva, non vede??”. La professoressa è meravigliata, ad un tratto inizia a vedere anche lei: vede Clara, la bellissima cavalla libera, Giulia la civetta ammaliatrice, Jari il ghiro, che vuole sempre dormire, Davide il pigro bradipo….e il resto della classe, tutti sono animali! Da quel giorno tutti i ragazzi, compresa la professoressa, si trasformarono negli animali che li rappresentavano meglio. Così la III E lascerà per sempre un segno in quella scuola. Sara Buzzoni UN’ESTATE A CAVALLO Oggi 3 Giugno è mattina, e fa un caldo inverosimile, sono le 8:30 circa e sono sul mio letto che penso. Ad un certo punto i miei pensieri vengono interrotti… <<Drin,Drin>>, è il mio cellulare che sta suonando, guardo, è Elena <<Hei Claretta tutto ok? Dai preparati, andiamo subito dai cavalli!>> Io sapevo che quel “passo a prenderti subito” equivaleva alle 10:00 circa. Così chiamo velocemente la mamma per chiederle se posso andare, lei per fortuna, senza fare storie mi risponde di”sì”. Così mi sono fatta preparare il pranzo, poi inizio a prepararmi, facendo poco rumore, per non svegliare mia sorella. Dentro di me inizio a pensare dove ho messo l’abbigliamento, cerco prima i pantaloni, poi la canottiera, quella nera, le calze e una giacca. Scendo e mi infilo i miei stupendi “Justin”( stivali adatti per andare a cavallo), mi siedo sul divano e aspetto. Sono le 9:30 ed Elena è sulla sua macchina che mi sta aspettando. Allora, di fretta, prendo le chiavi di casa, il cellulare, l’Ipod, e gli occhiali da sole. Salgo in macchina, e le dico di andare al forno da mia mamma, visto che aveva preparato il pranzo. Mentre sono in macchina, mi arriva un messaggio << Buon giorno Amore mio, oggi vieni al mare?>>, io preferisco andare al maneggio e glielo comunico con un messaggio. Arrivo al maneggio e scendo dalla macchina con sporte e sportine, poi sento una ragazza che urla “Picciotta!”, è la mia Giulietta! Poi, come sempre le do un bacio sulla fronte, prendo un caffè, offer- to da Elena, e poi via che si va! Io prendo Pochaontas, Giulia prende Jesso ed Elena il suo fantastico paint Apaches. Io ,nel frattempo, mi siedo 5 minuti nel padock con Pochaontas, lei viene lì, mi annusa e piano piano prendo la capezza e gliela metto, la porto dal fens principale per legarla, Giulia fa lo stesso ed Elena anche. Poco dopo arriva anche Federica, che va a prendere Valentino.Vado in ufficio a prendere le casse per poi ascoltare la musica; noi quattro iniziamo a ballare e quei quattro magnifici cavalli ci guardano incuriositi, con il punto di domanda stampato in faccia. Una volta sellati i cavalli, prendo il caschetto, vado in arena, mi posiziono al centro e tengo bene le redini, stringo la sella e finalmente salgo; inizio facendo un po’ di passo, per scaldare il cavallo, circa 2-3 giri, però non ce la posso fare, allora inizio a battere gli speroni nella pancia della cavalla, e faccio il verso della rana. Inizio a trottare per 30 circa un paio di giri, cambio mano e inizio a battere sella, piano piano con l’aiuto del bacio. Stiamo sul cavallo per circa 2 ore e mezzo. Alle 11:30 scendiamo, togliamo il morso e le briglie, leghiamo i cavalli ai fens, poi ci cambiamo e indossiamo i pantaloncini corti. Tiriamo via le selle, i sotto sella, i paracolpi. Poi iniziamo una vera e propria guerra con le pompe dell’acqua, mentre laviamo i cavalli. Poi facciamo asciugare i cavalli al sole, mentre noi pranziamo e ridiamo : di come va cavallo Federica, con la bocca aperta, e noi le diciamo di chiuderla se no mangia le mosche! Di Giulia, quando è caduta da ferma, in avanti, dopo avere fatto una stoppata fantastica, oppure di me, quando stavo galoppando, la cavalla ha girato, e io sono volata in avanti. Nel pomeriggio arrivano molte bambine, che devono fare lezione, per me è una cosa insopportabile, perché io Giulia, e Federica dobbiamo pulire. Però c’è un lato positivo, dobbiamo sellare noi i cavalli alle bambine. Arrivata la sera, verso le 19:30 circa, arriva mia mamma, con la brutta notizia che devo andare a casa perché si è fatto tardi. So però che trascorrerò altre giornate come questa durante l’estate. Siamo quattro piccole donne, che viviamo solo per l’amore che ci danno i nostri cavalli. Clara Turetta Era un cupo giorno d’autunno, ero assonnato stanco e non riuscivo a far conciliare molte cose. Piano, piano mi ricordai dov’ero: ero in trincea e mi trovavo lì con il mio migliore amico, si chiamava Gerard, era francese come me, eravamo cresciuti insieme, lui per me era come un fratello, mi era sempre stato accanto. Eravamo “nuovi” su questo fronte, eravamo qui da quattro mesi. Ricordo perfettamente l’arrivo di una guardia verso casa mia, io e Gerard eravamo felici dell’ arrivo di quell’uomo, sapevamo tutti e due il significato di quella visita, significava che saremmo partiti per il fronte, per onorare la patria. Avevo 18 anni e Gerard un anno in più, tutto il mio mondo girava intorno a lui, se lo avessi perso non so cosa avrei potuto fare. I miei genitori, però, erano tristi di quella notizia e solo ora riuscivo a capirne il motivo, la guerra era orrenda! Io e Gerard eravamo di vedetta, un compito non troppo complicato; eravamo molti ma ogni giorno diminuivamo, poi arrivavano altri soldati che sostituivano i compagni scomparsi. Cominciavo a provare dentro di me un’ enorme rabbia nei confronti di chi ci spingeva a compiere carneficine e ad attaccare ragazzi che forse erano più giovani, ma la paura era troppa per ribellarsi, chi ci provava andava incontro a morte certa. Qui la pioggia era interminabile e non si riusciva quasi a respirare, tutto ciò che ci cir- condava era orrendo; alcuni miei compagni erano stati mutilati. Tutto questo era disumano, noi qui non eravamo altro che pedine in attesa di un ordine. Il tempo passava , erano trascorsi altri due mesi, ed io e Gerard eravamo ancora vivi, non sapevo se era meglio continuare questa orrenda vita o morire. Ci avvicinavamo sempre più al Natale; era la vigilia e a me e a Gerard era stata affidata una missione notturna con 25 altri nostri compagni. Era un compito difficile e pericoloso e né io né Gerard eravamo convinti, avevamo paura. Una volta partiti, era mezzanotte, si sentì uno sparo e Gerard cadde al suolo stremato; durante l’andata gli era caduto un pugnale sulla caviglia, aveva perso molto sangue e aveva urlato, così un soldato nemico ci aveva visti e, con un colpo di mitraglietta, aveva ucciso il mio amico Gerard. Tutti i ricordi passati con lui mi riempirono la testa e non potei fare altro, in preda alla disperazione, che urlare: “Gerard!”. I miei compagni erano tristi ma tenevano alla loro vita e, vedendo dei soldati nemici, scapparono; io intanto avevo nascosto il corpo di Gerard e avevo assistito al massacro di tutti i miei compagni, ero l’unico superstite. Gerard era ricoperto di sangue, era pallido e non respirava, passai una notte intera con lui, in quella buca. Gerard mi aveva lasciato, aveva spezzato la sua promessa, quella che non ci saremmo mai lasciati. Il mattino seguente fui costretto ad andarme- ne, ma presi un foglio e una penna e scrissi queste precise parole: “Qui giace Gerard, un amico che ha dato la sua vita per proteggere gli altri”, non sapevo a cosa sarebbero servite, forse per convincermi del fatto che non l’avrei mai più rivisto. Corsi più velocemente possibile verso la mia trincea. Era Natale e io riuscii ad arrivare dai miei compagni, non festeggiammo il Natale, ma il fatto di essere ancora vivi. Quel giorno scrissi alla mia famiglia, scrissi della morte di Gerard, di quanto qui la vita fosse brutta e del senso di angoscia che provavo ogni giorno. In realtà mi mancava tutto, mi mancava la serenità con cui passavo le mie giornate, mi mancavano i manicaretti di mia madre e anche le giornate che trascorrevo con mio padre a lavorare. Tutto mi faceva ricordare i bei tempi trascorsi a casa. Da poco avevo compiuto gli anni, mi sentivo più saggio, sapevo con certezza che uccidere persone per la patria non aveva senso; perché dovevamo morire tutti? A seguito di una spedizione rimasi mutilato, non servivo più alla guerra, quindi mi rimandarono a casa, ero felice e dolorante. Questa è la mia storia; Gerard non ce l’ha fatta e questa è la cosa più triste. Ora lavoro come operaio e a volte ho degli attacchi di panico legati alla mia esperienza, comunque spero che la guerra finisca presto. Jasmine Attar LA VITA AL FRONTE Due mesi fa siamo partiti da Bologna per raggiungere i nostri compagni sulle Dolomiti con l’idea di sconfiggere i nostri nemici:”gli austriaci”. Oggi è Natale,siamo qua in alta quota da diversi mesi a patire il freddo come i nostri avversari. Oggi, come al solito, c’è la nebbia e fa freddo. Siamo in una specie di “bunker” dentro alla roccia; uno dei miei compagni è direzionato da una parte e l’altro,invece, dall’altra per far sì che non ci prendano alla sprovvista. Anche questa giornata è passata. Sono arrivate delle truppe ad affiancarci e, nel pomeriggio, è arrivato un battaglione nemico. Oggi pomeriggio c’è anche stato uno scontro,prima si è mossa la fanteria,in fondo alla valle,mentre noi sparavamo dall’alto. Ci sono stati una ventina di morti;finché non arrivano nuove truppe, non riusciremo mai a sfondare il fronte nemico. Stavo pensando alla vita civile,alla mia famiglia,che sarà sicuramente al caldo,con del buon cibo e un letto comodo per dormire,mentre noi siamo qua al freddo con il cibo che scarseggia, dormiamo nel fango e siamo ansiosi di tornare a casa vittoriosi. Io ed il mio compagno siamo stati spostati nel bunker più in basso; dopo qualche ora,finalmente, è arrivato il “grande” battaglione. Abbiamo subito iniziato a combattere,c’erano soldati da tutte le parti; noi sparavamo verso il nemico,ma con quella nebbia non capivamo se avevamo colpito qualcuno. All’improvviso, sono arrivati una serie di spari, io mi sono buttato a terra, ma il mio compagno è restato immobile; un proiettile lo aveva colpito alla testa. Io mi sono immo- 51 bilizzato per la paura e per ciò che vedevo davanti a me; in quei pochi secondi ho visto tutta la mia vita scorrermi davanti. Sono restato a terra per diverse decine di minuti, perché avevo paura e non sapevo come reagire. Quando mi sono alzato in piedi,la battaglia era ancora in corso, ma io sono rimasto a terra, in un angolo, fino al termine dello scontro. Al termine della battaglia ho aiutato gli altri a raccogliere i morti; una volta finito,abbiamo scavato un’enorme buca e li abbiamo seppelliti ,poi abbiamo dedicato loro cinque minuti di silenzio. Qui al fronte mi manca tutto ,soprattutto la famiglia,la vita del paese,la serenità, gli amici. Secondo me in guerra siamo tutti come fratelli, però indossiamo divise diverse, ho orrore per la morte e sono certo che,una volta tornato, non riuscirò a dimenticare cosa è accaduto al fronte. Jari Zanellato Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Racconti fantastici) TROPPO TARDI... (Seconda parte) che sembra quasi non finire più. Ho paura… rifletto su quella scena: la madre che stringe la mano alla figlia … ma non faccio in tempo a capire tutto, che il silenzio viene interrotto dal pianto disperato di Megan, che intanto balbetta: “E’ ingiusto! E’ terrificante! Ieri mia sorella è entrata in coma, e ancora non si hanno buone notizie; oggi invece ho perso un mio compagno di atletica…” Dopo di che l’ispettore si alza, ringrazia i miei amici di aver collaborato, fa gli auguri a Megan per la sorellina; poi sale in macchina, ed io, curioso, lo seguo entrando dal finestrino (visto che ancora non riesco a passare tra gli oggetti) e mi siedo nel sedile accanto al suo. Ci dirigiamo verso il paese. Poi parcheggia la macchina in piazza. Apre lo sportello ed esce, ed io esco con lui. Lo osservo bene: sembra che stia ragionando. Ci rimettiamo in cammino, e ovunque vada io lo seguo. Stiamo andando a casa mia …deve avvertire i miei genitori della mia morte. Bussa alla porta. Dopo poco mia madre esce e chiede chi è e cosa vuole, e dopo aver capito che si tratta di me lo fa entrare. “Buongiorno” dice Smith a mio padre. Mio padre lo guarda con aria strana e infine dice: “Chi sei?” L’ispettore dice che è venuto per parlare di me; allora mio padre sbuffa e gli chiede di andarsene, pensando che si tratta ancora una volta di guai che ho combinato. Mia madre guarda mio padre e gli fa una smorfia, e poi dice all’ispettore: “ Si accomodi” indicando il divano. L’ispettore si siede e comincia: “E’ successa una cosa questa notte. Non so come mai non ve ne siete accorti ma Michol non era in casa questa notte. Lui era…”, ma mia madre lo interrompe:“Michol non trascorre tutte le notti in casa, spesso dorme fuori, con dei suoi amici, dice che in famiglia non si trova bene.” “Ah sì..” riprende l’ispettore “Lui era in un boschetto, deve aver passato la notte lì. Lo abbiamo ritrovato sul fondo del dirupo, morto, con un coltello nella schiena… mi dispiace.” e poi aggiunge: “L’ora del decesso risale alle 4:12”. Mia madre spalanca la bocca e mio padre si mette a fissare il bicchiere di birra vuoto, appoggiato sul tavolino davanti a lui. Una lacrima scende lungo la guancia di mia madre, mentre mio padre non fa una piega. La mia è una famiglia particolare. Mia madre è una donna stupenda ma troppo rigida, che non esce di casa, neanche per stare un’ora in giardino, se non è truccata: una snob di prima classe. E mio padre che non fa altro che bere, ubriacarsi, fumare e picchiarmi, ed è anche per questo che preferisco starmene fuori casa, vivendo una vita indipendente dalla loro. L’ispettore ringrazia ed esce di casa. Grazie alle parole di mia madre l’ispettore comprende che avevo a che fare con la banda, e quindi chiama la polizia e ordina di cercare i miei compagni nel bosco, visto che aveva- mo trascorso la notte insieme. A questo punto potrebbe pensare che nel mio omicidio siano coinvolti i miei compagni… non ha tutti i torti, tuttavia non credo che sia così, perché eravamo troppo amici e di certo non sarebbe stato quel litigio a rovinare la nostra amicizia; oppure potrebbe avere dei sospetti sui miei compagni del gruppo di atletica, potrebbe essere un’ipotesi, magari proprio lei, Megan, ma non penso, visto che è troppo disperata per la perdita di sua sorella. Oppure sì, durante l’incidente forse mi ha visto e voleva vendicarsi… anche se mi pare po’ strano… Più tardi tocca a Jack, l’ispettore suona il campanello di casa sua e il padre viene ad aprire. Smith spiega che deve proseguire la sua indagine con degli accertamenti su di loro. Il padre lo fa accomodare e la madre gli offre un caffè. L’ispettore fa un controllo nell’abitazione cominciando dalla camera di Jack per arrivare alla cucina; ma non trovando indizi esce. Pensieroso si avvia verso l’abitazione di Dilan, dove c’erano anche i genitori di Alice. Lui ispeziona la casa, fa qualche domanda ai presenti, ma poi esce con la convinzione che sono tutti innocenti. Infine è toccata alla casa di Megan; seguo l’ispettore che bussa con forza alla porta. “Arrivo!” dice la madre. L’ispettore dopo aver spiegato l’accaduto viene fatto accomodare. Smith si guarda in giro e fa i complimenti per la grande casa, poi chiede come sta la piccola entrata in coma. “Per il momento non si sa nulla” risponde il padre con uno sguardo assente. Poi li osserva senza farsi notare: la madre di bassa statura con un vestito leggero; il padre, un uomo alto che veste in jeans e camicia; allora l’ispettore chiede se può controllare la casa e con il loro consenso sale al piano superiore, entra in camera dei genitori e cerca indizi. In camera di Megan vede delle foto dei ragazzi del gruppo di atletica dove ci sono anch’io. Scende e va in cucina, controlla nei cassetti, il piano della cucina, e nell’angolo vede un ceppo di coltelli neri, con le sfumature in argento, dal quale però ne mancano tre. Col fiato sospeso mi avvicino di più e guardo attentamente Smith, come reagisce alla vista dei coltelli; lui guarda nel secchiaio e non c’è niente; allora apre la lavastoviglie e ne trova solo due. Non ci credo, allora è stata proprio lei, Megan…come ha fatto? Non la credevo capace… L’ispettore va in salotto e chiede ai genitori dove hanno trascorso la notte, e la madre risponde: “Io e mia figlia abbiamo trascorso la notte insieme, qui a casa e abbiamo dormito accoccolate nel mio letto; mio marito è stato in ospedale con la bambina.” A questo punto Smith va in lavanderia e fruga in mezzo ai vestiti sporchi, e trova una camicia da uomo con la manica sporca di sangue…senza esitare chiama l’ospedale e chiede conferma se il padre ha tra- 50 LAST DAY scorso tutta la notte con la bambina. Io appoggio un orecchio al telefono e l’infermiere risponde “No, guardi, una mia collega gli ha consigliato di andare a casa a riposare, e lui se n’è andato alle 2:30”. “La ringrazio.” risponde Smith chiudendo il telefono. “Ora ho capito tutto” dice l’ispettore entrando nuovamente in casa e rivolgendosi al padre gli chiede fino a che ora è rimasto in ospedale. Quest’ultimo risponde irrigidito: “Fino alle 7:00 di questa mattina.” L’ispettore ringrazia ed esce, sale in macchina e chiama la polizia dicendo di andare alla casa di Megan. Poi andiamo tutti in piazza dove ci sono i miei amici sportivi, quelli della banda, mia madre … sono tutti riuniti cercando di capire cos’è successo. Lì fuori c’è Megan che piange e quando nota la macchina della polizia con suo padre a bordo che guarda in basso, lei si irrigidisce e dice con un filo di voce: “Non è possibile …” Il padre la guarda disperato, come chi si è appena accorto di quello che ha fatto. Che strano, io neanche lo conosco bene il mio assassino… eppure non ha tutti i torti, dopotutto ha quasi perso una figlia per colpa mia; ciò che abbiamo fatto su quel cavalcavia è stato terribile, e se non mi avesse buttato giù lui, mi sarei buttato giù da solo… mi sarei suicidato lanciandomi giù nel Buco Nero. La notte è già passata e adesso è ora che io vada, la terra non è certo il posto adatto per i fantasmi… Comunque prima di andare decido di passare ancora una volta dai miei cari. Vado in cucina e noto con piacere che per la prima volta ci sono i miei che si abbracciano e piangono per la mia morte… evidentemente adesso anche mio padre ha scoperto di avere un cuore… Spero che la sorellina di Megan guarisca, che lei non soffra più, e che gli amici della banda mettano la testa a posto, cosa che purtroppo non ho fatto in tempo a fare io. Ora devo andare anche se non so bene dove... Sara Facchini Il 2 aprile 2009, è stato uno dei giorni più belli della mia vita, perché a scuola ho preso un 9 e un 8 ½. Arrivato a casa ho comunicato la notizia a mia mamma, che stava preparando il pranzo, e a mio papà, che stava guardando la televisione, erano contentissimi perché è raro che prenda dei bei voti. All’una e trenta minuti la mamma ci ha chiamato per mangiare un piatto di pasta al ragù, nel frattempo abbiamo acceso la televisione sul canale dove trasmettono Studio-Sport, un programma che parla di sport e che mi piace molto. Nello stesso momento il mio fratellino è arrivato a casa dall’asilo dove aveva appena finito di mangiare, solo che aveva ancora fame, allora la mamma gli ha preparato un piattino, il suo preferito quello di Nemo, con un po’ di pasta. Verso l’una e quaranta la trasmissione si è interrotta e si è sentita una voce femminile, con lo schermo buio, che diceva che un meteorite enorme stava per colpire il sole, nessuno poteva fare niente, perché il meteorite era troppo grande e quando lo avrebbe colpito, lo avrebbe fatto esplodere distruggendo tutti i pianeti. Sulla terra si creò il caos totale. I trasporti si fermarono, l’elettricità andava via e ritornava, non funzionava più il riscaldamento, i treni deragliavano e le strade erano piene di incidenti. In Francia un aereo di linea precititò sulla Tour Eiffel; un camion, a Roma, si schiantò contro il Colosseo. Nel frattempo in America, al Centro Internazionale della N.A.S.A, le menti geniali di scienziati spaziali di tutto il mondo si riunirono per cercare una soluzione al problema e calcolare quanto tempo sarebbe rimasto. A queste due incognite lo scienziato John Lonolei rispose, comunicando ai suoi colleghi che la terra avrebbe avuto solo due giorni, dodici ore, 48 minuti e 32 secondi di esistenza, rimasero tutti molto colpiti, mentre l’altra idea di salvezza fu abolita. Mentre un’altra quadra di scienziati cercava una soluzione concreta al problema, nel mondo esterno il caos non era aumentato, ma neanche diminuito. Io e la mia famiglia eravamo disperati non sapevamo cosa fare, per fortuna avevamo abbastanza provviste per quattro giorni. Verso le sei di sera la N.A.S.A decise di comunicare unì importante notizia alla popolazione mondiale. Io, dopo averla sentita, mi vidi passare la vita davanti in un attimo, ho riflettuto su tutti i momenti della mia vita e sulle esperienze emozionanti che avevo vissuto e anche sulle cose stupide che avevo fatto, e che, pensandoci attentamente potevo evitarle. Penso che anche i miei genitori abbiano pensato lo stesso, mi dispiaceva anche per mio fratello che ha solo sei anni. Ecco qual era la soluzione della N.A.S.A.: consisteva nel modificare l’acceleratore di particelle che c’è in Svizzera, facendo in modo che ci portasse un un’altra galassia. Io e la mia famiglia stavamo mangiando e sentimmo la fenomenale notizia. Ci precipitammo in macchina e partimmo per la Svizzera. Il viaggio fu molto lungo e pesante, perché tutte le persone del mondo si spostarono e quindi c’era molta confusione, c’erano molti incidenti e anche molte persone morte ai bordi delle strade. Finalmente arrivammo!!! Erano le nove di sera, nel frattempo i meccanici e gli scienziati stavano per ritoccare gli 31 ultimi particolari. Ci fecero accampare in tende da dodici persone circa, noi eravamo con dei Tedeschi e dei Giamaicani. Verso l’una si sentì una sirena di allarme, quell’allarme indicava la partenza per andare all’acceleratore, per ogni tenda c’erano due soldati che accompagnavano le persone ai cinque ascensori, i quali portavano sotto terra, dopo alcuni minuti arrivammo in un tunnel sotterraneo il quale ci condusse all’acceleratore di particelle. Nello stesso tempo il meteorite si schiantò contro il sole e, dopo alcuni minuti dall’impatto, il nucleo del sole si ruppe fino ad esplodere come un palloncino. Il sole inghiottì il primo pianeta, in pochi secondi. « La popolazione si trova sottoterra » si sentì dire da un soldato a un altro. Ci fecero entrare nel bunker dove si trovava l’acceleratore, era enorme, alto circa 400 metri e largo 200. Era pieno di tubi, fili e luci di tutti i colori, dal giallo al blu e dal rosso al verde. Al centro c’era un varco dove al suo interno c’era una pedana di ferro colorata di giallo ai lati, infine c’erano dei magneti sopra la nostra testa e alcune valvole. Ci fecero salire e ci dissero di stringerci, mi sembrava incredibile: tutta la popolazione racchiusa in un salo e così piccolo spazio. Si sentì un forte “Boom” era il sole che aveva incontrato la terra mentre alcuni piccoli meteoriti la colpirono, così gli scienziati diedero il via al processo. Si sentì un rumore simile a quello di un’elica di un elicottero, sempre più forte, sempre più forte, poi un silenzio assoluto. Aveva funzionato! Dopo alcuni secondi di silenzio si sentì un botto tremendo, la terra non c’era più. Noi, però, eravamo in salvo su un nuovo pianeta di una nuova galassia, tutta da scoprire. Nicola Canella Fiabe e racconti (Tellus fantastico) Fiabe e racconti (Testi in giallo) GINA, LA BIETOLA TROPPO TARDI... (Prima parte) rimasta viva. Mi sono sentita sempre più piccola, compressa dalle macchine, ma sapevo di avere un colore brillante più delle altre, mi stavano trasformando in zucchero scintillante e di questo ero soddisfatta. Al momento dell’insaccatura, infatti, l’ operaio vide una luce in mezzo ai molteplici cristalli: ero io! Venni tenuta da conto per far parte di una scelta speciale che fu spedita in un bar. Un cliente, che prese la bustina nella quale ero stata confezionata se la fece scivolare dalle mani, così sono caduta sul pavimento. Ma la mia storia non finisce qui; è vero che non sono stata sciolta nel caffè però da lì è cominciata un’altra avventura che vi racconterò … prossimamente! Il mio seme è stato deposto nei campi del signor Rossi circa un anno fa. Sono cresciuta con tante sorelle, io però mi sono sentita subito diversa dalle altre, sono molto ottimista e cerco di vedere le cose in modo positivo. Un giorno arrivò l’estrattore che ha iniziato a raccogliere le mie sorelle, quelle nate ai bordi del campo; io che sono nata al centro sono stata raccolta alla fine. Il giorno dopo con un grosso camion ci hanno portato allo zuccherificio; sapevamo che in questi spostamenti si prendono tante botte perciò io non mi sono scrollata dalla terra e quindi ciò ha attutito i colpi. Il mio desiderio era quello di finire sulla tavola di un principe, in una zuccheriera tutta d’oro, raccolta da un cucchiaino tempestato di diamanti. Arrivati allo stabilimento ci hanno pesate, poi lanciate in una fossa, ma io ero ancora senza lividi perché ero abbastanza ricoperta dal mio fango. Purtroppo arrivò il momento del lavaggio ed io sono diventata come tutte le mie sorelle. Quando iniziarono a tagliarci a strisce per cuocerci, ho avuto un po’ di paura, ma mi sono ripresa subito perché la mia anima è Filippo Buzzi ALLO ZUCCHERIFICIO Uff…! Puff…! Mi hanno appena rovesciata in una grande buca con le altre mie compagne barbabietole. Che male! Ora sta per avere inizio la nostra fine, ci stanno trasportando verso l’impianto di ebollizione… che paura! Per fortuna mi hanno solo immersa in acqua per la pulizia, ma fra poco… il massacro! Dovremo essere tutte tagliate come fettuccine. Che ingiustizia! Ma perché dobbiamo soffrire così tanto solo per produrre un po’ di zucchero…?!?! Ohi..! Mi fa male dappertutto: mi hanno spezzettata tutta. Ora mi immergono nell’acqua per l’estrazione dello zucchero… Ma è bollente! Mi vedo trasformata in un liquido scuro… chissà quante volte verrò depurata! Come non detto…! Eccomi davanti all’impianto di depurazione: ora sarò trasformata da sugo greggio in sugo denso. Oh no…! Adesso devo essere anche filtrata perché mi dovranno trasformare in sugo leggero. Uffa! E non è finita…! Ora che sono sugo leggero dovrò essere perfino cristallizzata per trasformarmi in massocotto. Ecco, finalmente, dopo essere stata raffinata sono diventata zucchero! Che brutta esperienza però! Sara Valeriani STRANA LA VITA… Mi chiamo BT14 e, anche se il mio nome può farvi pensare a pianeti lontani, in realtà sono una… zolletta di zucchero! Ora vi racconto la mia straordinaria storia. Ero una barbabietola nata in un grandissimo campo pieno di sole; dopo pochi mesi sono stata messa insieme ad altre migliaia di barbabietole in casse molto grandi. Il mio posto nel cassone era proprio accanto ad una stupenda barbabietola di nome BT77, la barbabietola più bella che io abbia mai visto e sicuramente la più dolce. Ricordo ancora quel lungo viaggio che dal campo ci portò alla fabbrica di trasformazione: lo “zuccherificio”! Già qualche centinaio di metri prima si sentiva nell’aria quel tipico odore di barbabieto- la bollita che non si può definire un profumo… Una volta arrivati ci hanno scaricate tutte in una enorme botola per ripulirci da ogni particella di terra, sassi e altro. Mi sembrava di stare in un parco giochi quando ci hanno messe su dei nastri trasportatori e andavamo su e giù per tutta la fabbrica. Per noi era cominciato il processo di trasformazione ed eravamo tutte felici di quello che saremmo diventate e quindi pronte a fare tutto quello che era necessario per diventare quei dolci e bianchi granelli di zucchero. La trasformazione fu lunga ed impegnativa: ci pulirono, ci fecero a tocchetti e infine tut- 32 te immerse in un bellissimo idromassaggio bollente! Insomma ci fecero di tutto… Quando finalmente tutto finì io e BT77 ci siamo ritrovate: eravamo diventate zollette di zucchero! Eravamo molto contente di poter essere utilizzate per addolcire i cibi o per soddisfare la golosità di grandi animali come i cavalli… Strana la vita, vero? Alessandro Labriola Sono stato uno sciocco… Mi sono lasciato prendere troppo la mano… e adesso non so più che fare. Sono qua, steso a terra affianco al cadavere di un ragazzo, moro, abbastanza alto, bellissimi occhi verdi, che non si sarebbero mai più aperti; vestito con una maglietta sbracciata e pantaloncini corti (la divisa del gruppo di atletica) tutti ricoperti di sangue, e un coltello affondato nella schiena. Sono io…o meglio dire: ero io. Questo posto non mi piace, ho sempre temuto il Buco Nero, gli avevamo dato questo nome io e i miei amici; si tratta di un burrone, nel quale ora mi trovo in fondo. Vorrei andarmene da qui eppure non ci riesco…sono stanchissimo e mi sento pesante, anche se, per quel che ne so, i fantasmi non dovrebbero pesare nulla; ma dopotutto non sono esperto: sono fantasma solo da pochi minuti. Non riesco a smettere di fissare quel coltello, nero con qualche sfumatura in argento. Chissà chi è stato a piantarlo con così tanta classe nella mia schiena, cogliendomi alle spalle e infine buttandomi quaggiù. Forse David o Emily, Josh o… Rich. Già, proprio lui, Rich. Avevo litigato con lui poco prima della mia morte. Siamo amici e facciamo tutti parte della stessa banda. Andavamo in giro a divertirci, facevamo i bulli. Non volevamo creare gravi danni alle persone, ma a volte la situazione ci scappava un po’ di mano; anzi diventavamo veramente pericolosi. All’improvviso il cellulare squilla; saranno i miei genitori che vogliono sapere dove sono e a che ora torno, oppure saranno i miei amici che cercano di avvertirmi dell’arrivo dell’ispettore. Già, ci dà la caccia da parecchi mesi a causa dell’incendio; di solito ci limitavamo a fregare la gente, rubacchiando qualche portafoglio, dare fuoco a qualche cassonetto, ma quella volta volevamo provare di più, qualcosa di nuovo e di più emozionante. Così siamo andati nel boschetto vicino al fiume e abbiamo causato l’incendio. Eravamo comunque al sicuro, visto che sull’altra sponda del fiume c’è il nostro rifugio, ben nascosto tra gli alberi, e neanche un chilometro più in là…il Buco Nero. Avevamo cominciato la nostra impresa facendo un bel mucchio di foglie secche e ramoscelli, poi con l’accendino vi abbiamo dato fuoco. Il nostro tentativo funzionò anche perché il tempo era a nostro favore: era una bella giornata di sole, di quelle un po’ secche. Dieci minuti dopo c’era un gran fumo, così siamo andati sull’altra sponda, al rifugio, passando nel punto dove le rive sono più vicine, e il fiume è più basso. Preferivamo passare da lì, anche se eravamo bravi nuotatori. Quando siamo arrivati al rifugio sembrava quasi di vedere i fuochi d’artificio anche se in pieno giorno. Poco dopo arrivarono i pompieri e persino gli elicotteri per spegnerlo. Quella dell’incendio è stata grossa anche se ne abbiamo fatta una peggiore. Il telefono ha smesso di squillare, cerco di prenderlo, ma invano. E’ troppo pesante, e non riesco neanche a sfilarlo dalla tasca dei pantaloni. Mi alzo, sono tutto sporco di terra. Fisso di nuovo il mio corpo, tutto coperto di sangue, sfracellato al suolo. Un brivido mi sale per la schiena. Mi guardo intorno, solo roccia. Mi chiedo come potrò mai uscire da quel buco dalle pareti a strapiombo. Cerco di arrampicarmi e, con mia sorpresa, in un baleno mi trovo su. Da qui il mio corpo è molto visibile. A pensare da quale altezza sono caduto comincio a tremare. Mi incammino per il sentiero che va al paese, lungo il quale correvo con i miei amici del gruppo di atletica. Noi ci allenavamo per ore. Mi bruciano gli occhi e ho freddo, eppure è strano: è una bella mattinata d’estate, col sole già alto in cielo. Guardo l’orologio che tengo al polso. Le lancette sono ferme, immobili. Un colpo di vento mi viene incontro, eppure i miei capelli non si muovono. È terrificante, pensare che avevo una vita davanti, avevo solo 16 anni, e adesso non mi resta altro che l’eternità, anche se non so bene cosa significhi. Dopo una lunga camminata arrivo al paese. Guardo l’orologio della Chiesa: sono già le 10:40. Sarei già dovuto essere al ritrovo del campo sportivo. Eccoli. Mi metto a correre con loro. Spero tanto che scoprano il mio corpo. Ecco. Siamo appena entrati nel bosco. Intanto che corriamo ascolto le loro chiacchiere. Megan e Alice parlano di moda, Jack e Dilan parlano di calcio e, dopo una breve pausa: “Come mai Michol non è venuto?” chiede Jack. “E chi lo sa” risponde Alice, e poi aggiunge: “Da lui non ci si può aspettare niente!” “Ci aveva detto che oggi sarebbe venuto, invece alla fine ci dà buca, e preferisce starsene con quei suoi amichetti piuttosto che stare con noi!” Wow! Non ci credo! Mi sparano dietro!! E io che li credevo amici! E così dicendo, mi fermo e mi siedo a terra avvilito. Chissà chi è stato a uccidermi! Forse David, l’esperto di armi; Emily, l’esperta dei tranelli; Josh,il più ingegnoso... Rich. Il litigio… tutto a causa di quel maledetto segreto! Eravamo sul cavalcavia, quel masso… Al tre di Josh avevamo buttato un masso giù dal cavalcavia, facendolo cadere su una macchina…L’impatto fu fatale! Il vetro della macchina si ruppe in mille pezzi… un urlo! La macchina si fermò in mezzo alla strada, ed ecco uscire una donna che corse ad aprire lo sportello posteriore; prese la mano di una bambina e si mise a urlare, il padre si alzò e aprì l’altro sportello. La madre si premeva una mano sulla bocca e singhiozzava; dagli occhi del padre sembrò cadere una lacrima. L’uomo prese il cellulare. Poco dopo l’ambulanza era già lì. Gli infermieri si informarono dell’avvenuto, e la donna gridò: “Mia figlia! Mia figlia! E’ in macchina ed è im- 49 mobile! Aiutatela!!!” Poi non sentii più niente. Vidi solo il padre girarsi verso di noi e guardarci, ma poi si rigirò, essendo più interessato alla vita di sua figlia piuttosto che a ritrovare i criminali. Noi scappammo impauriti fino al rifugio. Qui io e Rich litigammo, perché io ero fuori di me, ero impaurito e volevo costituirmi mentre lui voleva tenere tutto nascosto. D’un tratto… un urlo interruppe i miei pensieri… proveniva proprio da là, dal burrone. Corro in là più veloce che posso. Vedo Megan seduta a terra terrorizzata; Jack che sta chiamando il 118. Alice se ne sta là, in disparte, con lo sguardo fisso. Poco dopo arriva la polizia che calandosi con le corde dall’elicottero riporta il mio corpo in superficie. La polizia sta facendo alcune domande ai miei amici su come hanno ritrovato il mio corpo, allora io mi siedo lì accanto ad ascoltare. Loro rispondono dicendo che mi hanno ritrovato per caso, visto che si stavano allenando, per il sentiero che spesso percorrevamo. Nel frattempo è arrivato un furgoncino rosso, dal quale scende un omone alto, attorno ai quarant’anni. Sembra un tipo duro: indossa un gilè in pelle, dei jeans… Non ci credo! Adesso che si è girato lo riconosco, eccome! No, con tutti gli ispettori che ci sono, proprio all’ispettore Smith, che ci dava la caccia da mesi, dovevano affidare il mio caso? Ad ogni modo lui si ferma a salutare i poliziotti, poi si dirige verso il mio corpo, e con il medico legale cerca di risalire ai fatti principali. Ecco, hanno appena notato l’orologio dal vetro rotto che tengo al polso, che ha le lancette ferme alle 4:12. Adesso l’ispettore si allontana dal mio corpo, e si avvicina ai miei amici. Dopo essersi presentato chiede loro cosa stavano facendo all’ora del decesso, ed essi rispondono che stavano dormendo, e che si sarebbero dovuti incontrare la mattina stessa alle 10:30 al campo sportivo per l’allenamento d’atletica. Allora Smith continua domandando cosa stavano facendo il giorno prima. Tutti avevano una gara, alla quale però sono potuti essere presenti soltanto Dilan e Jack perché Alice aveva una visita medica e Megan doveva andare a fare shopping con i suoi. Dopo di che l’ispettore chiede ai miei compagni i loro dati anagrafici. Poi Smith si mette ad osservarli: prima guarda Dilan, poi Alice, Jack, adesso tiene il suo sguardo di ghiaccio fisso su Megan, la quale per la vergogna guarda a terra, e le chiede: “Megan, tu sei la ragazza dell’incidente? Quello avvenuto ieri, sulla statale 17, sotto il cavalcavia…” Lei lo guarda per un attimo, poi ritorna a fissare a terra, e risponde con voce fioca: “ Sì, sono io.” Non è possibile! In quella macchina c’era anche Megan… Oddio cosa ho fatto!!! Lui allora le chiede come sta sua sorella. In seguito c’è un breve silenzio, ma un silenzio profondo Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Tellus fantastico) OLIMPIADI DI LONDRA (Seconda parte) stato lui. Presto, andiamo ad arrestarlo. E ci precipitammo al negozio di Warrington. Ma ben presto ci accorgemmo che né noi né nessun altro lo avrebbe mai più potuto arrestare. Intorno al negozio vedemmo l'ormai familiare nastro giallo della polizia e un tripudio di giornalisti che scattavano foto al cadavere di un uomo anziano disteso a faccia in giù. Trovammo sul posto il Colonnello McCartney, che ci spiegò che qualcuno aveva avvelenato il caffè di Warrington. E così il nostro unico sospettato divenne la prima vera vittima! Proprio mentre stavamo per salutare il Colonnello Parker vide che Warrington stringeva in mano un biglietto stampato al computer, che diceva: SE VOLETE SCOPRIRE CHI MI HA UCCISO ANDATE NELLA METROPOLITANA DI LONDRA VENERDI' A MEZZANOTTE Senza dire nulla a McCartney, Parker me lo fece leggere e se lo mise in tasca. Quella sera l' ispettore venne nella mia suitte e mi disse: - E' chiaro che Warrington non può aver scritto quel biglietto: non poteva sapere che MR.X lo avrebbe ucciso prima di essere stato avvelenato, e di sicuro non avrebbe avuto il tempo di stampare un biglietto al computer dopo essersene accorto. Credo che il nostro caro MR.X voglia confonderci le idee. Comunque Venerdì è dopodomani e ci converrà andare comunque a controllare. Detto questo se ne andò nella sua camera e ci mettemmo a dormire. Il giorno dopo ci fu il terzo attentato: MR.X stavolta aveva colpito Ato Bolton, un altro atleta dei 100 metri piani, e per la seconda volta ci dovemmo sorbire Xavier che si vantava della propria bravura. Venerdì notte, come scritto sul biglietto, scendemmo nella metropolitana di Londra. Il luogo sembrava deserto. Poi all'improvviso le luci si accesero e fece capolino davanti a noi un uomo con un fucile in mano. I lunghi capelli rossi erano più arruffati del solito e attraverso gli occhialetti da intellettuale traspariva uno sguardo di pura follia. MRX, Maurice Roger Xavier, era impalato davanti a noi e puntava l' arma verso di me. - Mi aspettavo dei poliziotti, ad essere sincero. Ma non importa, state tranquilli: tutti sapranno come sono andati i fatti: tutti sapranno come il famigerato MR.X ha sparato a te - e indicò Parker - e come tu, disperato, mi hai telefonato - disse stavolta indicando me - e di come io, di fronte ai vostri due cadaveri ho messo in fuga il terribile MR.X. Diventeremo tutti famosissimi. - Naturale - disse calmo Parker - con la tua intelligenza hai superato me, il mio assistente e tutta la polizia londinese. Sei un genio. Sei forse l'uomo più intelligente che abbia mai conosciuto. EVVIVA LA DOLCEZZA! Xavier, intontito da tutte queste lodi, quasi non si accorse che Parker mi aveva fatto un cenno e qualche secondo dopo gli fummo addosso. Non fu difficile: due contro uno, e per giunta piuttosto piccolo, riuscimmo subito a disarmarlo e ad ammanettarlo. Parker telefonò a McCartney, che quella notte era di pattuglia, e che ci raggiunse in un batter d'occhio. Il mio capo allora iniziò a spiegare: - Ecco a voi, Colonnello: questo è l' uomo che cercavate. MRX in realtà voleva dire Maurice Roger Xavier, in quanto al 1950 ... non era altro che il suo numero di matricola al contrario. Ecco perché era sempre in perfetto orario e sapeva benissimo cosa fare: aveva sparato lui. Vi starete chiedendo: Perché l'ha fatto? Che senso ha ferire qualcuno e poi curarlo? Qual è il movente? E' presto detto: la fama. Per lui è come una droga: più ne ha e più ne vorrebbe. - Brillante, ispettore, davvero brillante. Quest'uomo sarà senz'altro condannato. - disse McCartney. E così , quattro settimane dopo, vale a dire alla fine delle Olimpiadi, io e Parker tornammo in America, più ricchi di 500.000 sterline, circa un milione di dollari. Milo Battaglia Sono una zolletta di zucchero e sto per tuffarmi in una tazza di tè fumante. La mia dolcezza è indispensabile per tantissime cose, dalle industrie alle pasticcerie, nelle case e così via. Però per diventare così dolce, bianca e fine, mi hanno tanto “lavorato”. Io in origine ero una barbabietola nata in campagna. Mi hanno piantata che ero ancora un semino a febbraio – marzo e mi hanno raccolta che ero ormai una barbabietola matura ad agosto – settembre. Quando mi hanno estratto … ahia !!! Geltrude Mezzaluna, la falce con la quale siamo amici dell’infanzia, non avrebbe volu- to farmi male nel tagliarmi le foglie, ma è il suo dovere se no va dritta nel cestino! Mi hanno caricata sopra a due grandi rimorchi assieme a tante altre compagne di viaggio e mi hanno portata in un posto, lo zuccherificio, dove è iniziato un lungo procedimento. Quando sono arrivata mi hanno scaricata dal rimorchio e mi hanno messa sopra a dei grandi nastri che mi hanno portata in giro per un bel po’! Mi hanno lavata, pesata, tagliata ed estratto il mio succo. Insomma, è stato un procedimento lento, ma ben studiato ed il risultato è stupefacente! So che nel corso di tale lavorazione estraggono anche la melassa che è un mio sottoprodotto, da cui ricavano i miei amichetti: alcole B.G. e denaturati oli amilici, lieviti usati per mangimi. Direi che sono proprio importante per l’uomo e questo mi fa veramente felice. Matteo Cassani CHE VITA D’AGLIO! Pensate che la vita per una testa d’ aglio sia semplice ? Ebbene non è così. Io sono una comune testa d’aglio: rotonda, bianca, puzzolente e divisa in cinque spicchi. Come vi dicevo la vita di una testa d’aglio è molto complessa e faticosa; adesso ve ne parlerò … Inizialmente, come tutte le altre piante, siamo piccoli semini , che sviluppano le proprie radici nel terreno e che con il tempo crescono. Quando poi si è adulti , si viene raccolti e portati in fabbrica per poi essere messi in commercio. Ora io mi trovo in una cucina e questa sera verrò usata come condimento per del cibo: che destino crudele!!! Tutto iniziò così … Era una giornata di Ottobre quando fui estirpata dal terreno e portata in fabbrica, lì vi restai per una nottata. La mattina dopo mi misero in una macchina insieme a molte altre teste d’aglio, da lì fui poi catapultata in re con i carrelli e prendere ciò di cui avevano bisogno. Un brutto giorno passò una signora piuttosto anziana che mi raccolse e gettò me e le mie compagne nel carrello: la botta fu tale che svenni ! Poco dopo mi svegliai, eravamo appesi al gancio di una cucina!!! Ma la cosa terribile sapete qual è? Che successivamente mi misero in un vasetto insieme ad una cipolla, non vi dico che puzza! E figuratevi che lei diceva lo stesso di me! Questa è la mia tragica storia…. Spero che da adesso in poi, ogni volta che mangerete dell’aglio, penserete a me e a tutti i sacrifici che ho fatto prima di storcere il naso se mi trovate nella minestra! una retina insieme ad altre quattro compagne; infine ci misero in un camion che ci trasportò in un centro commerciale. Lì era un mondo completamente diverso dal solito, vedevo continuamente persone passa- Eugenio Buzzoni SOLO UNO SPICCHIO D’AGLIO…? Nel mese di settembre inizia la mia vita: sono uno spicchio d’aglio che, dopo essere stato selezionato, aver subìto vari trattamenti ed essere stato sgranato, vengo finalmente seminato per dare origine ad una nuova piantina. La selezione è una fase molto importante perché se il bulbillo ha deformazioni oppure è troppo piccolo deve essere portato al macero; infatti se venisse piantato infetterebbe il terreno con malattie fungine. Anche i trattamenti sono essenziali, ma detesto tutte quelle sostanze chimiche che mi vengono iniettate: ogni tanto mi fanno sentire male! Quando invece vengo piantato sotto terra sono felicissimo: adoro infatti il clima intorno a me. Il terreno, poi, è capace di smaltire veloce- 48 mente l’acqua, che io temo, così non marcisco. A dicembre spuntano le mie prime foglie e sono contento perché significa che sto crescendo. Dopo qualche mese nasce il bulbo: da esso si ricaveranno tanti bulbilli tramite una macchina che li separa sfruttando il calore. E così, in giugno, avviene l’estirpo, ossia vengo sradicato per ottenere altri spicchi; questo mi rende molto infelice perché dovrò dire addio al terreno su cui ero cresciuto e a cui ero tanto affezionato, oltre al fatto di dover perdere qualcosa di mio! Ciononostante i miei bulbilli non faranno una brutta fine; infatti, dopo l’essiccazione, alcuni verranno selezionati per far nascere altri bulbi; altri, invece, saranno utilizzati a scopo alimentare e commerciale. 33 Esiste infatti una sagra, la “Fiera dell’Aglio”, dove si può degustare quest’ultimo insieme ad altri alimenti, ma anche acquistarlo in trecce o in confezioni di vario peso. Se uno dei miei bulbilli dovesse finire in tavola sarei felice perché l’aglio fa bene alla salute e contiene numerose sostanze nutritive. Sarà per questo che sono così orgoglioso di me, oltre al fatto che sono un ottimo alimento con cui si possono preparare tante gustose pietanze o perché su di me sono nate numerose credenze popolari in virtù delle mie eccellenti proprietà? Scopritelo voi! Matteo Forlani Fiabe e racconti (Tellus fantastico) Fiabe e racconti (Testi in giallo) UN ALBERO RACCONTA Sono un albero e sono nato in un campo; mi trovo vicino a un laghetto, sono circondato da un prato verde e da altri alberi che sono poco lontani. Sono cresciuto in un terreno fertile, ricco di sali minerali e sostanze nutritive. Sono solo, però non sono triste perché c’è sempre il passaggio di uccelli. Mi sento felice perché non sono vicino alla stalla e non sento il muggire delle mucche a differenza di quegli alberi che lo sopportano tutto il giorno. Quando sono nato ero un piccolo seme e con il passare degli anni sono cresciuto e le mie radici si sono sviluppate. Durante la mia gioventù ho iniziato a dare gemme e anche a produrre frutti per il contadino che mi ha cresciuto sano e forte con tanto sacrificio e amore. Durante l’autunno perdo le foglie e così in inverno sono spoglio, ma a primavera mi rinascono le gemme e in estate produco tanti bei frutti. I miei rami sono grossi, folti e lunghi tanto che molti uccelli ci costruiscono i nidi per i loro piccoli. Mi ricordo che, quando ero un piccolo albero, un giorno arrivò una grossa tempesta; pioveva e un fortissimo vento mi piegò sino a toccare il terreno. Alla fine della tempesta ero ancora vivo, non mi ero spezzato perché le mie radici OLIMPIADI DI LONDRA (Prima parte) erano ben fisse nel terreno quindi ho capito che sarei cresciuto sano e forte. Purtroppo ora ho quarant’anni e sono felice anche se produco pochi frutti. Sono contento della mia vita anche se il contadino viene a trovarmi meno spesso di prima. Aspetto che un alberello giovane e forte prenda il mio posto; il mio desiderio è che venga piantato prima che io muoia perché possa aiutarlo a crescere sano e forte come lo ero io in gioventù. Stefano Lorusso CHIAMATEMI PROGETTO! Finalmente! Finalmente è arrivato il mese di giugno! È tempo di raccolta! Dopo la bellezza di dieci mesi, io e gli altri bulbi siamo pronti ad uscire dal terreno! Ma… che cosa ci aspetterà in superficie? Mi ricordo ben poco di quando ero un piccolo bulbillo e sono stato seminato il 15 settembre. Gli altri bulbi dicono che al di là c’è un essere umano che ti prende e ti mette in una palla di vetro piena d’acqua e neve finta*. Spero proprio che non sia vero! Sono claustrofobico! Non so nuotare! Non voglio… Ahia! Ma chi è che mi tira i capelli!? Oh, ora ho capito: mi stanno raccogliendo! Fa’ che non sia l’umano, fa’ che non sia l’umano… Ohhh, no! È un umano! Allora era vero quello che dicevano gli altri! Non voglio finire in una palla di vetro! All’improvviso si alza una forte raffica di vento. È la mia occasione! Con abilità scivolo via dalle mani dell’umano e rotolo, fino a tuffarmi nello scolino. Per fortuna un bambino che era venuto a caccia di rane mi vede e mi raccoglie, dicendo: - Questo bulbo è perfetto! Lo pianterò per il mio progetto di Scienze! 34 Che fortuna: non finirò nella palla di vetro! Da quel giorno il bambino mi tiene sempre in un vasetto sul davanzale della sua camera da letto e mi dà persino un nome, adesso mi chiamo Progetto. Che nome curioso… chissà che vorrà dire? Ad ogni modo è sempre meglio della famigerata palla di vetro! *I FATTI NARRATI CORRISPONDONO IN PARTE ALLA REALTÀ. Milo Battaglia Fine Luglio 2012. Mancavano solamente due settimane all' inizio delle Olimpiadi di Londra, ma non è per questo che io e il mio capo, l'ispettore James Parker, ci precipitammo sul primo volo per la capitale inglese. Il giorno prima ci era arrivata una e-mail che diceva testualmente: OGGETTO: Nuovo caso Venite subito a Londra: qualcuno vuole boicottare le Olimpiadi. Voglio quell'uomo. Ricompensa: 500.000 sterline Colonnello Peter McCartney Certo, a chi non farebbero gola 500.000 sterline? E così il giorno dopo ci trovammo all' aeroporto di Londra, con il Colonnello McCartney che ci aspettava. Era un uomo robusto sulla quarantina, un po’ stempiato, con i capelli arancioni e un paio di lunghi baffi. Ci accolse, ci scortò alla stazione di polizia e qui ci disse: - Ecco, guardate qui: è arrivato tre giorni fa. E girò verso di noi il monitor di un computer portatile. Mostrava una pagina web, apparentemente un forum sulle Olimpiadi. Sotto a vari elogi agli atleti da parte dei tifosi, c' era un testo molto lineare ma incisivo: io fermerò una volta per tutte queste dannate Olimpiadi! MR.X 1950 Parker rimase in silenzio a rimuginare qualcosa, mentre McCartney spiegava: - All'inizio pensavamo che fosse solo un pazzo che voleva fare un po’ di scena, ma il giorno dopo qualcuno ha sparato con un fucile ad aria compressa contro uno dei nuovi atleti, uno sconosciuto, uno che aveva tante possibilità di arrivare al podio quante ne ho io di diventare Regina. Per fortuna è intervenuto un medico bravissimo, di cui però non ricordo il nome....Ad ogni modo dopo qualche ora il nostro caro MR.X si è fatto risentire. Il Colonnello mandò la pagina un po’ più in basso ed evidenziò un'altra scritta: VE L'AVEVO DETTO! MR.X 1950 Parker ad un certo punto disse: - E' possibile che 1950 sia l' anno di nascita ... ma perché metterlo? Avrebbe ristretto la lista dei sospettati. Anche se così facendo avrebbe... - ...distolto la nostra attenzione da tutti quelli nati in quell'anno se avessimo pensato che quest’ipotesi fosse troppo scontata. Esatto! - E' per questo che il sospettato numero uno (e anche l' unico) è John Warrington, nato appunto nel 1950. Una vecchia conoscenza della polizia: detesta tutte le manifestazioni sportive, soprattutto le Olimpiadi, anche se possiede un negozio di articoli sportivi. Spa- venta gli eventuali ladri dicendo di avere un fucile sotto al bancone. Sono anni che parla di boicottare le Olimpiadi. L' ispettore allora esclamò: - Bene! Domani faremo una visitina a questo Warrington. Così dicendo ci congedammo da McCartney e prendemmo alloggio al Ritz di Londra. Il mattino seguente, dopo un'abbondante colazione, andammo a cercare il negozio di Warrington. Lo trovammo quasi subito perché era vicino al nostro hotel. Vendeva articoli sportivi delle migliori marche: Nike, Adidas, Puma ecc ... Entrammo e trovammo il negozio quasi vuoto: c'erano solo due ragazzi che si provavano delle magliette ed un uomo di età indefinibile dietro al bancone. Io gli chiesi: - Possiamo parlare con John Warrington? - Ce l' hai davanti agli occhi- rispose lui. Parker continuò: - Lei sa qualcosa riguardo all' attentato di tre giorni fa? - Quale attentato?- chiese lui raddrizzandosi gli occhiali - Qualcuno ha sparato ad un atleta mentre si allenava. Lei non ne sa niente? - Ah ah ah! Era ora! Vorrei tanto esser stato io, ma , mi dispiace per voi, non mi muovo mai dal negozio. Mentre l'individuo farneticava sul riempire le suole delle scarpe degli atleti con una miscela di nitroglicerina sussurrai a Parker: - E' abbastanza sospetto? - Non lo so...- rispose lui -...Più lo ascolto e più mi convinco che sia solo un vecchio arteriosclerotico ... Così ci allontanammo dal negozio con lui che continuava imperterrito a parlare di modi sempre più truculenti per uccidere gli atleti, apparentemente ignaro della nostra assenza. - E ora che facciamo?- chiesi al mio capo - Andiamo al campo di allenamento. Così ci avviammo verso la pista dove si allenavano gli atleti della corsa in piano e cominciammo a fare domande. Mentre stavamo per andarcene sentimmo il rumore di uno sparo dall'altra parte della pista. Corremmo subito sul luogo e vedemmo Usain Bolt, medaglia d'oro dei 100 metri piani e record del mondo per l'uomo più veloce, disteso a terra e sanguinante, con una folla di persone radunata attorno. Qualcuno telefonò ad un medico e ben presto arrivò l'ambulanza a sirene spiegate, si fermò e ne scesero due medici. Uno era molto grosso, alto e castano, con i lineamenti marcati; l'altro era magro, di statura medio-bassa , aveva lunghi capelli rossi e portava un paio di occhialetti che gli dava- 47 no un'aria molto intellettuale. Il medico più basso si affrettò verso Bolt, lo esaminò velocemente e alla fine disse: - Gli hanno sparato con un fucile ad aria compressa, altrimenti non sarebbe vivo. Ma è comunque grave: il proiettile si è incastrato nello sterno. Dobbiamo portarlo in ospedale, subito! Bolt fu disteso su una barella e caricato sull'ambulanza, mentre la folla chiedeva informazioni sull’accaduto. - Sono Maurice Xavier, il medico che ha curato anche il primo atleta preso di mira da questo pazzo. - Come fa a sapere che è la stessa persona che spara agli atleti? - Chiese un giornalista - Beh, i due casi sono analoghi: un colpo dritto al petto con un fucile ad aria compressa sparato da una breve distanza. Per fortuna che io sono il medico più bravo del mondo e ...- Modesto il tipo!- sussurrai a Parker. Ed intanto ascoltavamo Xavier che continuava a vantarsi finché il suo collega gli gridò dall’ambulanza: - E' più grave del previsto, abbiamo bisogno di te! E Xavier, che sarebbe stato lì a lodarsi in eterno, salì controvoglia sull'ambulanza, che ripartì a sirene spiegate. Stavamo per andarcene quando vidi per terra un oggetto luccicante. Lo feci notare al mio capo che lo raccolse. Era una targhetta, che citava: Maurice Roger Xavier - numero di matricola : 0591 Due giorni dopo si venne a sapere che l'operazione era andata bene, ma che Bolt non avrebbe potuto partecipare alle gare. Andammo al London Hospital per visitare Bolt ed interrogarlo. L'infermiera si raccomandò di non farlo stancare troppo, ma ci fece comunque entrare senza troppe storie. Bolt era seduto sul lettino rialzato e leggeva il giornale. Quando ci vide ci fece cenno di accomodarci. - Buongiorno - ci disse. - Buongiorno, signor Bolt. - disse Parker - Mi chiami pure Usain. - D'accordo Usain, andrò subito al sodo: hai visto chi ti ha sparato? - No. Mi dispiace di non poter esservi d'aiuto, ma come ho detto alla polizia l'uomo era con le spalle al sole e non l'ho visto bene. Ricordo solo di aver visto un riflesso intorno alla zona degli occhi: sono quasi sicuro che portasse gli occhiali. - Occhiali ... grazie Usain, le tue risposte sono state molto utili. Dopo esserci congedati da Bolt dissi a Parker: - Te l'avevo detto che quel Warrington era pericoloso! - Sì, evidentemente mi ero sbagliato - mi rispose Parker - Ora però siamo certi che è Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Tellus fantastico) DELITTO IN HOTEL (Seconda parte) Lì vi rimase molto tempo, troppo tempo: John e Andrew allora si preoccuparono e decisero di andare a vedere cosa fosse successo, ma lo incrociarono lungo le scale e si fermarono a parlare. - Ehi, Jeff, dove sei stato tutto questo tempo? - No, no, niente di grave, ho solo avuto un piccolo problemino… - Che genere di problema?- chiese l’investigatore. - Mah, non ricordo, forse mi sono addormentato perché ero ubriaco, devo anche essere rimasto a lungo in bagno!- disse Albert ridendo. - Bah, lasciamo perdere e torniamo giù alla festa: credo che stiano facendo una gara di ballo… non senti anche tu della musica?concluse Andrew. E così i tre signori tornarono giù e ballarono, chiacchierarono, bevvero, si divertirono, tanto che il tempo volò in un attimo e alle 24:00 la sala era deserta, salvo qualche cameriere che portava in cucina gli ultimi piatti rimasti. Era notte fonda e Jefford, stanco e sfinito, si addormentò, senza sapere che cosa lo avrebbe aspettato il giorno dopo. La mattina seguente stava sorseggiando un caffè in sala colazione, quando entrò un cameriere con la faccia sconvolta gridando: -Allarme, allarme! Thomas Perrington è stato assassinato! Chiamate un’ambulanza! Chiamate la polizia! Fate qualcosa! Presto! Jefford rimase stupefatto: Thomas Perrington era il più noto magnate finanziario e possedeva un patrimonio immenso; non aveva eredi, quindi chissà per quale motivo era avvenuto il delitto. Dopo un po’ arrivò la polizia con l’ispettore John, accompagnato dal suo aiutante Charlie Kingston, soprannominato Bob. Jefford li raggiunse e chiese che cosa fosse successo: John e Bob si sedettero con lui e gli raccontarono tutto ciò che era successo: - Questa mattina - cominciò l’ispettore l’inserviente è entrato nella camera del signor Perrington per sistemare la camera e quando ha tirato fuori le lenzuola pulite dall’armadio vide quest’ultimo disteso sul ripiano superiore con un coltello conficcato nella schiena. Accanto a lui c’era un messaggio con su scritto: Finalmente ho sistemato il mio conto in sospeso! Vendetta. L’inserviente si è precipitato giù dalle scale per dare l’allarme e … il resto lo sapete. - Sapete già qualcosa riguardo al colpevole?- domandò Albert. - No, ma possiamo ricavare molti dati grazie al sistema di videosorveglianza.- disse John. I tre signori entrarono nella sala monitor, esaminarono i video, e scoprirono che… …dentro la camera di Thomas Perrington il titolare Albert Jefford impugnava un coltello e colpiva ripetutamente la schiena del magnate! Jefford rimase di sasso e si paralizzò. - Non è possibile! – disse - Non posso essere stato io! Non sono stato io! - Beh, è anche vero che lei è stato assente dalle 22:30 alle 23:30, ora del delitto!- esclamò l’ispettore, pur non convinto che fosse lui l’assassino. - E ci sono anche delle prove che la inchiodano!- continuò Bob. - La terremo sotto sorveglianza, ed intanto visiteremo la scena del delitto! - concluse infine John Raggiunta la scena del crimine, i due cominciarono a cercare, e trovarono molti indizi: qualche goccia di sangue, un frammento di gomma color pelle grande circa 3cm, alcune tracce di narcotico nel corridoio e dei capelli finti e bianchi. - Proprio un delitto originale! - esclamò John - Ho capito come è avvenuto, ma ora devo scoprire il colpevole!L’ispettore interrogò tutte le persone presenti alla festa, ma tre erano assenti: Jim Marble, Elias Apple e Oswald Lewis. Allora egli chiese il loro indirizzo alla reception e si recò da loro. Ecco ciò che ricavò dai loro racconti Il signor Marble era rimasto sempre in sala e dalle 23:00 alle 23:45 si era fermato al bar a parlare con Elias, il quale lo confermò e aggiunse che dalle 24:00 alle 24:10 aveva visto Oswald con un atteggiamento sospetto nella sala colazione, dove non ci sono telecamere. Oswald infine disse solo che Perrington doveva saldargli un debito, che ora vorrebbe ricevere, e negò di essere stato in sala colazione. - Uhm, vedrò di riflettere!- e poi prese ad interrogare tutti gli altri invitati, che però sembravano avere ciascuno un alibi indiscutibile. L’ispettore decise di tornare in camera, quando vide una porta diversa dalle altre. Chiese dove conducesse e gli fu riferito che oltre vi si trovavano le scale usate dagli inservienti per spostarsi più rapidamente all’interno dell’albergo. John decise di salirle, e scoprì che quelle del terzo piano uscivano proprio vicino alla camera di Perrington … l’ispettore provò a immaginarsi la scena dove Jefford colpiva la schiena del magnate… - Un momento! Ho capito tutto! - disse ad un tratto John. Fece radunare gli invitati, il suo aiutante Bob ed i collaboratori dell’hotel: finalmente poteva arrestare il colpevole! John esclamò: - Ed ecco qui Oswald Lewis, colui che ha ucciso il noto Thomas Perrington, e che ora 46 ARRIVEDERCI RAGAZZI ne pagherà le conseguenze!- indicandolo con l’indice destro. Poi raccontò tutto: - Il piano era semplice, ma molto astuto: prima ha aspettato il momento buono che qualcuno, come Jefford, si assentasse dalla festa, poi ha condotto Thomas, ignaro, nella sala colazione, dove lo ha ucciso; in seguito ha portato il cadavere su per le scale di servizio fino alla camera del magnate dove rimarrà. Intanto Jefford entrò in camera, qui lo attendeva Oswald che lo ha narcotizzato e poi ha indossato una maschera con la sua faccia. Il finto Jefford è ritornato poi nella camera di Thomas e lì lo colpisce più volte con il coltello davanti alla telecamera: si sarebbe così pensato che il colpevole fosse Jefford, il quale non si sarebbe ricordato dell’accaduto. Infine Oswald è tornato giù per controllare che non ci fossero tracce di sangue nella sala colazione, che è sempre rimasta deserta. Il movente è chiaro: con la morte di Perrington Oswald ha libero accesso al suo patrimonio, egli ha infatti pagato le conseguenze del debito non saldato e ora Oswald può prendere quanti soldi vuole rubandoglieli. - Complimenti!- disse il direttore dell’albergo - Ma mi sfugge una cosa: come ha fatto Oswald ad entrare nelle camere di Thomas ed Albert?- Ma è ovvio! Per Thomas è stato semplice: gliel’ha presa dalla tasca; per Albert, invece, è bastato narcotizzarlo prima che entrasse in camera e poi sottrargli le chiavi, entrare, portarlo dentro e lasciarlo lì finché non si fosse ripreso, infine chiudere la porta. Narcotizzarlo è stato solo un sistema per far rimanere Jefford più a lungo in camera: ha capito?- Certo - disse il direttore, e lei si merita sicuramente un premio: ecco un assegno. Ma l’ispettore rifiutò, in fondo aveva solo fatto il suo dovere. Sono Uri, un cane, per la precisione un Border Collie. Come tutte le mattine mi ero già organizzato per la caccia al riccio quando sentii il mio padrone dire: “Sono pronte le merende per i ragazzi che devono arrivare?” Io mi chiesi: “Ma cosa vengono a fare dei ragazzi qui?” La moglie del padrone chiese: “I ragazzi della scuola?” Ed io: “Ma chi sono i ragazzi della scuola?” Poi il padrone mi chiamò e mi disse: “Uri, oggi verranno dei ragazzi, fai il bravo mi raccomando!” Io dissi al padrone. “Sì, ho capito! Ma cosa vengono a fare qui?” Per tutta risposta lui se ne andò, pensate! Capisco che non sono un genio in Italiano, però almeno un po’ di considerazione… Così, invece di dare la caccia ai ricci ho seguito il mio padrone. Indovinate dove? Ma nella stalla per dar da mangiare alle mucche, quelle pelandrone… Mi avvicinai a lui e gli chiesi ancora una volta: “Chi sono i ragazzi?” , ma lui disse: “Uri fai il bravo, spaventi le mucche!” e una mucca aggiunse: “Oh, questi cani! S’impicciano sempre e per fortuna che dovrebbero essere i migliori amici dell’uomo.” Allora le ho ringhiato contro e lei ha raggiunto le altre mucche. Che puzza in quella stalla, le mucche non si fanno mai la doccia e non hanno il WC. Allora andai dalla moglie del padrone e le rifeci la domanda; lei mi diede un crostino di pane e mi accarezzò la testa. Io le dissi:” Ma non ho fame!!! Parlo arabo?” Per far passare il tempo cominciai a rincorrere i conigli; io sono più veloce di loro ma non quanto Lenny, il levriero dei vicini, anche se secondo me è un po’ deperito; penso che qualche chilo in più non gli starebbe male. Andai poi al laghetto per chiedere alle oche giulive se sapevano qualcosa dei ragazzi di cui parlava il padrone. Pettegole come sono, lo avrebbero saputo, no? “Sapete qualcosa sui ragazzi che devono arrivare oggi?” “No, ma sappiamo che Adelina ha il raffreddore, poverina… ecc…” Io le interruppi: “Basta, basta così!” e loro andarono via tutte impettite, quelle presuntuose! Mi rivolsi allora a quei precisini dei ricci, ma anche loro dissero: “No, non sappiamo darti una risposta esauriente.” Stavo tornando dal padrone quando vidi arrivare un pullman giallo limone, che con un fischio si fermò. Dentro c’erano dei ragazzi, zainetto in spalla, quaderno e macchina foto- grafica… Il padrone mi chiamò: “Ecco sono arrivati i ragazzi, vengono a visitare la nostra azienda.” Allora capii! Era un’uscita didattica e i ragazzi erano venuti a visitare i boschi, il laghetto, i campi e i frutteti. Saltai intorno al mio padrone e un filo d’erba si lamentò: “Guarda dove metti le zampe!” Io ero troppo curioso di vedere cosa avrebbero fatto tutti quei ragazzi. Essi erano accompagnati da una donna che a momenti non faceva parlare il mio padrone! Ma la cosa più bella è che i ragazzi non erano interessati a quella donna che parlava, parlava … ma a me! Mi accarezzavano e mi facevano tanti complimenti; io mi facevo fare di tutto perché i loro zainetti emanavano un buon odore di panini e di merendine! Entrati nella stalla, quegli irascibili dei tori muggirono infastiditi contro i ragazzi, ma a loro non interessavano né i tori né quelle pelandrone delle mucche, tanto erano affascinati dai vitellini. All’ora della merenda i miei padroni offrirono dei pinzini e dei succhi; uno dei ragazzi mi diede un pezzo del suo panino che ho gradito molto. Dovrebbero venire più spesso questi bravi ragazzi. Quando poi andarono via, il mio padrone mi accarezzò dicendomi: “Uri, sei proprio un bravo cane.” Io mi rannicchiai nella mia cuccia per riposarmi, sgranocchiando il mio meritato osso! Serena Cassani LA SOLITA VITA Matteo Forlani E anche oggi il solito tran tran non ne posso più! Voglio una vacanza…..!!! Scusate dimenticavo di salutarvi e di presentarmi… Salve a tutti, io sono Maya una piccola apina che vive nella grande azienda agricola “IL SERRAGLIO”. Quello che mi chiedo è perchè noi api dobbiamo sempre svolgere lo stesso lavoro: raccogli il polline, portalo all’alveare, lavoralo… Insomma, basta! Mi piacerebbe tanto essere libera per una volta e credo che se almeno oggi mi prendo una pausa faccio proprio bene. Allora ho deciso,vado a visitare tutta l’azienda centimetro per centimetro perché sono molto curiosa. Inizio immediatamente dai frutteti come prima tappa e mi accorgo che non sono sola perché ci sono tanti altri insetti che abi- tano qui come me, ad esempio la coccinella,la farfalla, la zanzara, la cimice…. E capisco che anche loro stanno lavorando per prepararsi per la stagione fredda. Volo poi fino al boschetto, mi poso su una foglia e…sento gridare: “Aiuto, aiuto!!!” Subito mi precipito al centro del bosco per vedere cosa sta succedendo e… provate a immaginare chi c’era: una piccola mosca per sbaglio era finita in una grande ragnatela dove c’era un grosso ragno ad aspettarla; se non fossi arrivata in tempo a salvarla, l’avrebbe già digerita, ma con il mio pungiglione ho messo in fuga il ragnaccio e aiutato la mosca a liberarsi. Appena uscita dal boschetto mi dirigo verso il laghetto dove osservo incuriosita il cane 35 del contadino Yuri. È lì, fermo, che fissa un’anatra mentre nuota tranquilla, chissà cosa vuole da lei??!! L’anatra si sente osservata e scappa via come un razzo; a quel punto anche il cane va via tutto immusonito perché non ha ottenuto ciò che voleva; in realtà voleva divertirsi a rincorrere l’anatra facendola starnazzare come una matta! Anch’io decido di andare via e di tornare a casa perché ormai si è fatto tardi; di sicuro la mia mamma mi starà cercando. Nel tragitto verso casa ripenso a quanto è stata bella la mia avventura ed ho deciso che sicuramente voglio ripetere questa esperienza. Valentina Maranini Fiabe e racconti (Racconti di avventura) Fiabe e racconti (Testi in giallo) AIUTO!!! Evviva! Finalmente estate. La mamma e il papà avevano già deciso da tempo di fare una vacanza nel deserto del Sahara, visto che dei nostri amici ci avevano detto che era molto bello e coinvolgente. Partimmo alle sei del mattino, prendemmo il secondo volo. Eravamo tutti molto stanchi, perché avevamo finito i preparativi appena prima di partire. Salii su un aereo che si chiamava “StarLight”. Era molto bello e spazioso, ma io avevo un’ansia terribile, era la prima volta che viaggiavo davvero. Alle sette partimmo. Quando decollammo, mi accorsi che c’erano nuvole dappertutto e io ebbi ancora più paura di prima, si sa, con tutte le cose che accadono adesso in aereo, (schianti al suolo, rapimenti…). L’hostess avvisò che sarebbe stato un viaggio molto tranquillo, perché non si erano verificati fenomeni particolari. Mi addormentai dopo due ore che viaggiavamo, ma fui svegliata da un frastuono terribile, che smise, ma che poi ricominciò. A quel punto mi sentii assalita da un timore spaventoso. Ero disperata, l’aereo stava perdendo quota; dentro di me pensavo: “ Ma come… due ore prima l’hostess aveva detto che…” ODDIO! Stavamo precipitando! Gridai più forte che potei: “ Aiuto!”. Ma gli altri passeggeri erano in preda al panico, quando infine precipitammo, non sapevo bene che fine avessero fatto i miei genitori. Lì eravamo rimasti solo io e un bambino, avrà avuto più o meno sette anni. Era magrissimo, quasi un grissino, era abbastanza basso per la sua età, ma molto furbo. Uscimmo dall’aereo, era tutto fracassato, la scritta “StarLight” non si leggeva più, anzi si intravvedeva appena la stella graffiata e infangata. Quando fummo abbastanza lontani mi guardai intorno e mi resi conto che eravamo in mezzo al nulla, eravamo circondati dall’immenso nulla. C’erano bisce e scorpioni qua e là e io mi sentivo ansiosa. Mi decisi di chiedere al bambino chi fosse e da dove venisse, lui mi rispose che si chiamava Marco, aveva sei anni e veniva da Roma. Io pensai: “ Che fortuna, è italiano, almeno avremmo potuto parlare”! Ci incamminammo; dopo due lunghe ore eravamo molto assetati, Marco era talmente stanco che per incoraggiarlo gli dissi; “ Ci vuole ben altro per fermarci”. Dopo un miglio circa, Marco intravide un’oasi fra le dune, era abbastanza grande, l’acqua che passava di lì era molto fredda, ma noi corremmo sfiniti a bere, poi riprendemmo il cammino. Ormai era sera e all’orizzonte si mescolavano, con il rosso del sole, i cammelli. Marco mi disse che era molto stanco, in effetti Marco era molto magrolino e minuto, ma anch’ io ero stanca, così ci accampammo al fianco di una duna. Quando ci svegliammo erano le sette di mattina, il mio cellulare non funzionava più, ma il suo “Swatch” funzionava ancora, per fortuna. L’IMPRONTA DEL DELITTO Verso mezzogiorno ci fermammo sotto una palma; trovammo dietro una roccia un turbante nero ornato con teste di tigri d’oro, erano belle, ma il turbante non mi diceva niente di buono. Pensammo che finalmente avremmo potuto trovare qualcuno che ci desse una mano, invece, era un predatore del deserto. Era alto con le spalle larghissime, molto brutto, con lunghi baffi e una folta barba nera. Lì per lì non sapevamo cosa fare, lui ci rincorse in groppa al suo cammello, con la sciabola in mano. Noi correvamo a perdifiato fino a che Marco, inciampò. Io tornai indietro a riprenderlo, a quel punto capii che l’aveva preso per un braccio. Si scatenò una tempesta di sabbia che mi offuscò gli occhi, dov’era Marco? Dove siamo? Aiuto! Mi svegliai di soprassalto, ero arrivata all’aeroporto di Tunisi. Fortuna che era solo un sogno, ma Marco c’era davvero e quando scendemmo era sconvolto , scosso, con lo sguardo perso nel vuoto, forse anche lui aveva fatto il mio stesso sogno, poi mi guardo e mi salutò… Alice Belluco L’AVVENTURA DI KATI E CLARK Il 18 Marzo Kati e Clark, due giornalisti, per motivi di lavoro, devono andare in Amazzonia per documentare una tribù chiamata “gli indios fantasmi “.Si imbarcarono sul primo aereo diretto in Brasile . Però, mentre sorvolavano l’ oceano Atlantico, l’aereo sembrava aver problemi al motore e dopo un grosso frastuono planò verso una spiaggia dell’Amazzonia. Kati e Clark, quasi per miracolo, rimasero vivi, mentre altri tre, feriti, scesero dall’aereo. Tutti decisero di andare a cercare aiuto camminando senza meta per più di sei ore. Dopodiché decisero, per la scarsità di luce, di fermarsi sotto una palma e riprendere il giorno dopo all’alba. Il mattino seguente proseguirono il cammino e dopo circa due ore trovarono una vecchia casetta abbandonata ed entrarono con la speranza di trovare cure mediche, ma trovano soltanto quadri di un uomo alto sui 40 anni, pelato, occhi verdi, giubbino in pelle e un paio di jeans blu che era vicino a uno dei componenti della tribù degli “indios fantasmi”, una vecchia scrivania con nel cassetto ricerche sulla tribù e sopra un vecchio telefono. Clark provò a chiamare ma il telefono non dava la linea, allora uscirono date le condizioni pericolanti della casetta. Proseguirono il cammino e arrivarono a un punto della foresta che era top secret, di proprietà del governo. Clark, preso dalla curiosità, scavalcò la rete ed entrò, ma non riuscì a trovare e vedere molto, soltanto una botola , per il resto era tutto deserto. Riscavalcò la rete per uscire e lui e Kati si accamparono lì vicino. Il mattino dopo Clark disse: “Kati, devo assolutamente capire che cosa c’è lì dentro”. Allora, preso dalla curiosità, entrò nella botola e non credette ai suoi occhi: il governo stava facendo degli esperimenti sulla tribù degli “indios fantasma “. Uscì dalla botola e raccontò tutto a Kati e le disse che voleva andare a prendere quello che avevano scoperto, scaricarlo su un floppy e andare a pubblicarlo su di un giornale e le disse anche che se lui non avesse fatto ritorno di andare a dire tutto alla polizia. Clark entrò, scaricò tutto su di un floppy, lentamente uscì, ce l’ aveva quasi fatta ma, quando stava scavalcando la rete, due uomini con un giubbotto in pelle nera lo presero, ma nel frattempo Clark riuscì a lanciare il floppy a Kati che, appena preso, cercò di tornare all’aereo. Mentre Clark era imprigionato, riuscì a riconoscere uno dei suoi 36 rapitori: era quell’ uomo che era stato fotografato insieme a un componente della tribù degli indios fantasma nella catapecchia, a sei ore di cammino. Clark gli disse che la polizia ormai sapeva tutto sulla clonazione degli “indios fantasma”. Intanto Kati, correndo, arrivò all’aereo dove uno dei feriti era riuscito a chiamare la polizia. Kati parlò con lo sceriffo e lo portò alla base dove avevano rinchiuso Clark. Allora il poliziotto scavalcò la rete, entrò nella botola e sparò colpendo tutti gli uomini di guardia; prese Clark, uscirono e insieme a Kati ritornarono all’aereo e lì trovarono i loro genitori, si abbracciarono e ritornarono nelle loro case. Il mattino seguente, ritrovandosi al lavoro, pubblicarono la loro storia sul giornale, come promesso. Nicola Frighi La famiglia Acer era appena arrivata nella villa del signor Roosevelt, in America, dove avrebbero trascorso le vacanze; i figli della signora e del signor Acer si precipitarono a scaricare dalla macchina le loro strapiene valigie, poi salendo le scale di corsa andarono nelle loro camere. Susan aveva l’abitudine di sistemare subito i vestiti appena arrivavano in un posto nuovo, ma quando aprì l’armadio… cadde sul pavimento un uomo, un po’ grassottello e pelato, con un coltello da cucina conficcato nel petto! Il silenzio venne lacerato dall’urlo di Susan. Subito gli altri componenti della famiglia si precipitarono da Susan che, per il terrore, non riusciva a muoversi. La signora Acer telefonò immediatamente alla polizia e in men che non si dica un commissario arrivò sul luogo del delitto e osservava con attenzione il corpo della vittima. Il commissario Volpetti notò qualcosa di bianco che spuntava dalla tasca della vittima, lo estrasse e iniziò a leggerlo. Era la lettera del notaio Halliday che informava il signor Roosevelt dell’apertura del testamento di suo figlio Joseph. «Guarda guarda – pensò Volpetti – il movente di questo delitto sarà sicuramente l’eredità del figlio; dovrò parlare con questo notaio al più presto.» «Bene, signori Acer, come avrete potuto dedurre la vittima è il signor Roosevelt, l’uomo che vi ospita in questa villa. Ora vogliate scusarmi, vorrei iniziare a interrogare le persone che conoscevano Roosevelt e che l’hanno visto ieri.» Qualche minuto più tardi il commissario si trovava faccia a faccia con il maggiordomo di Roosevelt. «Quando è stata l’ultima volta che avete visto il vostro padrone?» «Ieri mattina a colazione, poi il signor Roosevelt è uscito perché aveva un appuntamen- to con un notaio; è tornato a casa tardi e mi ha detto di andare alla villa per sistemarla e che dovevo passare la notte là. Ha poi aggiunto che sarebbe passato anche lui per ricevere stamani la famiglia Acer » «Come mai questa mattina lei non si trovava alla villa?» «Il giardiniere mi aveva chiamato dicendomi che era appena arrivata la signora Betty, la vedova del figlio del signor Roosevelt, con l’intenzione di parlare con lui che nel frattempo era già uscito. Allora sono ritornato a casa, ma il giardiniere mi ha trattenuto per farsi indicare con precisione dove avrebbe dovuto piantare i nuovi rosai. Quando sono entrato in casa la signora Betty era seduta sul divano e stava sorseggiando una limonata fresca, mentre guardava un programma televisivo. Abbiamo iniziato a parlare, poi ho preparato il pranzo e verso le tre del pomeriggio la signora è andata via dicendo che sarebbe tornata un’altra volta. Vista l’ora non sono più tornato alla villa. Posso offrirle qualcosa?» «No, grazie. Intanto farò analizzare questo coltello da cucina perché mi sembra simile a quello usato dall’assassino.» «Certo, prenda pure, ma le vorrei chiedere di riportarlo quando avrà finito, ce n’è già sparito uno e il signor Roosevelt era molto dispiaciuto perché erano un ricordo di sua moglie.» Qualche ora più tardi il commissario Volpetti si trovava a parlare con Betty Roosevelt. «Mi dispiace per la morte di suo marito.» «Grazie.» «Comunque passando all’omicidio di suo suocero – continuò Volpetti – vorrei farle qualche domanda. Dove si trovava ieri mattina?» «Ieri mattina ero andata a casa di mio suocero per parlare con lui di una questione di lavoro che riguardava mio marito. Ho aspettato a lungo, ho anche pranzato lì, poi visto che non rientrava decisi di tornare a casa mia. Erano più o meno le tre del pomeriggio.» Volpetti tornò ancora ad osservare il luogo in cui era stata trovata la vittima e il suo vice gli fece vedere l’impronta di uno scarpone da montagna numero 38. «Strano – pensò Volpetti – sembrano come quelli che uso quando lavoro in giardino!» A questo punto il caso era più che risolto, mancava solo un particolare da controllare… Alle quattro del pomeriggio di quello stesso giorno, tutte le persone, dalla famiglia Acer al giardiniere, erano presenti nel salotto di casa Roosevelt. «Signore e signori – iniziò il commissario – ho scoperto chi è l’assassino ed anche il suo complice. Ora vi dirò come sono andati i fatti. Betty ieri non era andata a casa di Roosevelt per parlare del lavoro di suo marito, ma per crearsi un alibi. Betty non aveva sposato Joseph per amore ma per i soldi; era già d’accordo con il suo complice, il giardiniere, che una volta morto il marito, ammalato gravemente da tempo, sarebbero scappati per vivere felicemente con i soldi dell’eredità. Ma Joseph aveva lasciato tutto a suo padre perché aveva capito quanto fosse calcolatrice sua moglie. Quando il signor Roosevelt andò via dallo studio del notaio e arrivò alla villa dove non c’era nessuno (il giardiniere aveva allontanato il maggiordomo con una scusa) Betty lo uccise conficcandogli nel petto un coltello che il suo complice aveva rubato dalla cucina. Poi corse a casa Roosevelt per “aspettare” il suocero. Piano astuto, ma siete stati traditi dagli scarponi ancora infangati che i miei uomini hanno trovato nella serra del giardino. Strano che fossero del numero 38 visto che il giardiniere indossa scarpe del numero 40! » Novella Parolini DELITTO IN HOTEL (Prima parte) Era un tiepido sabato mattina e Albert Jefford era uscito per la sua passeggiata quotidiana quando vide una lettera azzurra spuntare dalla buchetta della posta. Preso dalla curiosità la prese e lesse: era stata inviata dall’hotel Gran Duca, il più lussuoso e costoso albergo della città in cui abitava. Il testo diceva: Gentile signor Jefford, la invitiamo a partecipare alla festa che si terrà domenica 31 dicembre nel nostro hotel. Le è stata assegnata la camera 108 dove soggiornerà per tutta la settimana. La quota di soggiorno e la consumazione del buffet sono gratuite. Gradita conferma. L’hotel Gran Duca e i collaboratori - Bene bene! Credo proprio che ci andrò! Dopotutto, ho davvero bisogno di una piccola vacanza! - e si avviò lungo la strada. Albert Jefford era un uomo anziano, grassoccio, basso e aveva gli occhi di un verde intenso. Era il titolare di una ditta che fabbricava materassi, i quali avevano un discreto successo. Era un uomo molto astuto e furbo, e infatti pensò che magari partecipare a quella festa sarebbe stata un buona occasione per avere in seguito una buona immagine fra la gente, e così avrebbe venduto di più. La giornata passò molto in fretta, e la stessa cosa avvenne per la mattina ed il pomeriggio 45 seguente. Il signor Jefford era ansioso e si preparò con molta attenzione per la festa. Appena entrò nella hall incontrò subito due suoi amici: John Crambler, di professione investigatore, e Andrew Linner, un banchiere. Essi lo salutarono subito e gli chiesero come andavano gli affari, senza dimenticare di dire che nella sala vicina era stato allestito un buffet sontuoso pieno di pietanze prelibate. Jefford si precipitò subito al tavolo e si abbuffò in maniera esagerata: mangiò pesce, carne, frutta, dolci, tanto che ad un tratto dovette salire in camera per tentare di digerire. Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Racconti di avventura) UNA UNDICENNE CORAGGIOSA Era una giornata piovosa quando tutto ad un tratto si sentì bussare la porta di casa, in casa c’era solo una ragazza di 11 anni di nome Laura. I suoi genitori erano usciti a fare delle commissioni, Laura tutta spaventata andò a vedere chi poteva essere, guardò dalla serratura della porta e vide una faccia a lei del tutto sconosciuta,intanto il tizio continuò a bussare alla porta, Laura non sapeva cosa fare, se potersi fidare di quel tipo oppure dare retta ai suoi genitori che le avevano raccomandato di non aprire a nessuno! Poi aprì la porta, ma l’uomo misterioso non c’era più, era scomparso; nel frattempo ritornarono a casa i suoi genitori e vedendola impaurita ed infreddolita, le chiesero cosa facesse là fuori; lei spiegò della visita che aveva ricevuto, loro la rimproverarono: -Se quel tizio ti avesse fatto del male tu cosa avresti fatto?! Il giorno dopo Laura andò a piantare nel giardino dei fiori e sentì qualcosa di duro; allora scavò ancora più a fondo per capire che cosa poteva essere. Ad un tratto vide una mano e, dopo averlo detto ai suoi genitori, chiamarono subito la polizia. Nel frattempo lo seppe tutto il vicinato, tutti erano sconvolti a parte il vicino di casa, un tipo un po’ misterioso e strano, che si diresse verso di loro e chiese se conoscevano quel tipo che era morto, gli risposero di no e allora il padre di Laura gli chiese: -Perché per caso lei lo conosce? Lui rispose:- No affatto, non l’ho mai visto in giro da queste parti . Laura cominciò a riflettere e si chiese come mai il loro vicino di casa non era rimasto sconvolto dalla vicenda, mentre tutti gli altri sì. Allora chiese ai suoi genitori: -Ma per caso il nostro vicino di casa può essere coinvolto con l’accaduto? I suoi genitori le risposero: -Niente affatto … sarà un po’ strano, ma non può arrivare a tanto ! Laura non era così convinta. Così l’indomani, Laura iniziò a spiare il suo vicino e vide che stava facendo i bagagli, poi mentre scendeva giù in strada per depositare la valigia nella macchina, gli cadde un biglietto di volo per l’Australia, allora Laura pensò che se lui andava via proprio ora che era successo questo fatto forse lui era veramente coinvolto nell’omicidio! Nel frattempo apparve un altro tizio, si mise a parlare con il vicino, poi tutti e due misero IL MISTEO DELL’ISOLA i bagagli in macchina; Laura non sapeva cosa fare … se quei due erano veramente dei criminali doveva assolutamente fermarli perciò chiamò l’ispettore di polizia per avvertirlo. Li portarono in caserma e gli fecero l’interrogatorio con Laura lì presente, la quale poteva testimoniare tutto, ma loro dissero che non c’entravano proprio niente con la morte di quel tipo, ma i poliziotti non gli credettero e quindi non poterono più partire. Intanto Laura si ricordò che, poiché c’erano stati molti furti nella zona, erano state messe delle telecamere. Laura prese la registrazione della sera precedente e vide il suo vicino di casa bussava alla sua porta; allora capì, ora coincideva tutto: evidentemente il vicino aveva bussato alla sua porta di casa per distrarla, intanto il suo complice sotterrava il cadavere. Laura si precipitò alla polizia e portò la registrazione. La polizia ringraziò Laura, l’ispettore con i suoi agenti andò ad arrestare i due assassini. Selles Giulia OMICIDIO “PULITO” Come gli scorsi anni le vacanze estive erano già passate e per me era già ora di andare al college; sicuramente cambiando scuola e metodi di studio avrei fatto molta fatica. Mia madre mi portò davanti all’istituto e, visto che non conoscevo nessuno, aspettai in macchina fino all’ora di entrare; giunta l’ora entrai e trovai davanti alla cattedra tutti i professori e con loro il preside che ci spiegò tutte le regole e normative dell’istituto. In seguito i professori si presentarono e spiegarono le loro materie; intanto che spiegavano entrò in ritardo un ragazzo robusto e con i capelli biondi che si chiamava Paul; con lui entrò il bidello Steven che ci portò all’estremità dell’istituto in cui c’era il dormitorio. Steven ci fece vedere le camere; io ero con Paul, il ragazzo che era arrivato in ritardo; ci sistemammo in camera e cominciammo a parlare e a fare conoscenza. Il giorno dopo cominciò con la lezione di scienze; il professore era il fratello del vicepreside e aveva una carnagione abbastanza pallida, ma era molto buono. Continuammo con le altre lezioni del mattino e poi tornammo nel dormitorio. La sera stavo facendo i compiti, ma mi accorsi di aver dimenticato il mio quaderno di scienze in aula, allora mi affrettai ad andarlo a prendere prima che mi vedesse il mio pro- fessore, entrai cercando di non far rumore per non farmi beccare. Evidentemente era appena passato il bidello a pulire e c’era il pavimento bagnato, in punta di piedi mi avvicinai al mio banco e presi il quaderno, ma da dietro la cattedra vidi spuntare una mano pallida, allora preso dal panico corsi via e tornai nella mia camera. Chiamai Paul e gli dissi tutto, allora prendemmo due torce e ci avviammo verso la classe……, il mio respiro diventava sempre più forte e cominciai a sudare freddo; Paul aprì la porta visto che io avevo troppa paura quindi, ci dirigemmo verso la cattedra, guardammo verso di lei e….. vidi il mio professore per terra in una pozza di sangue. Ci guardammo impauriti, quasi impietriti, ci girammo verso il cadavere e guardando meglio aveva un coltello nella schiena e solo a quel punto decidemmo il da farsi:avvertire il vicepreside, che era anche il professore di ginnastica. Il vicepreside, che era anche il fratello del professore di scienze provò a guardare se c’era ancora un minimo segno di vita, ma purtroppo non c’era niente da fare. Coleman, il prof di ginnastica, in lacrime, chiamò la polizia che arrivò in pochi attimi e sua volta arrivò anche l’ambulanza. A quel punto ci volle poco a capire che era 44 stato un omicidio, ma chi poteva essere stato? La polizia interrogò tutti i professori, noi studenti e i bidelli, più tardi sapemmo che la scientifica aveva analizzato l’arma del delitto e nel manico avevano trovato tracce di detergenti. L’ispettore di polizia ci disse che l’omicidio doveva essere avvenuto dopo che il bidello avesse pulito il pavimento anche perché il pavimento era ancora umido. Nel corso delle indagini i sospetti caddero su un bidello che era molto solitario. Per molti giorni il bidello fu ascoltato e interrogato per svariate ore e alla fine confessò: “Sono stato io ad uccidere il professore perché, quando frequentavamo il liceo e studiavamo insieme, eravamo grandi amici ed anche innamorati della stessa donna; dopo gli studi io riuscii a sposarla, ma dopo poco tempo lei scappò con lui, lasciandomi solo…senza mia moglie e il mio migliore amico. In quel momento lo odiai più della mia vita. Adesso che l’ho ucciso non avrà più mia moglie!” Roberto Piazzi Un gruppo di pirati avventurosi partì alla ricerca dell’Isola Misteriosa, stanchi di tutte quelle voci che, in città, ne parlavano. Partirono con la nave “Vento Rosso”; si portarono dietro uno studioso di fama mondiale: Edward Mink, esperto di misteri e leggende. Con lui c’era anche il suo fidato maggiordomo, che lo seguiva sempre nelle sue esplorazioni. Con un’aria contenta e un sorriso brillante, la sig.ra Sara Kein: una scienziata non ancora conosciuta nel mondo, andò dal capitano, il sig. Martin Zigrelli, a ringraziarlo, per averla invitata nella sua ciurma. Ad un certo punto si sentì la nave barcollare… era arrivato Richard May, il più temibile e forte cacciatore di taglie, venerato da tutti. Erano pronti per partire. La ciurma urlò: ”Aprite le vele! Si può partire!”. Allora il capitano prese i comandi e partì. Il viaggio durò dei giorni, e la sera del quarto giorno attraccarono in un’Isola a loro sconosciuta. Stanchi e affamati scesero, montarono le tende e iniziarono a dormire. Ad un tratto, durante la notte,la sig.ra Sara Kein sentì uno strano suono di canti e di festeggiamenti. Aprì gli occhi e si trovò dentro una capanna di bambù e di foglie tutte intrecciate tra loro, legata come un maiale prima di essere cotto. Allora impaurita e nauseata dall’odore di sangue che si sentiva, iniziò ad urlare e cercò di svegliare tutta la ciurma, che dormiva tranquillamente come se niente fosse succes- so. Dopo poco arrivò un uomo dalla pelle scura con una maschera sul volto, che rappresentava un animale mai visto, e iniziò a suonare violentemente un corno di toro; quello strano rumore riuscì a svegliare di colpo tutta la ciurma. Questa persona, che sembrava un cannibale, aveva un marchio su una spalla: una stella con cinque punte, che era stato fatto nello stesso modo di come marchiavano le mucche: lo sapeva benissimo Richard May, perché lui era stato in una prigione, dove, il primo giorno in cui si arrivava, a tutti veniva impresso sulla pelle quel marchio, e lui l’aveva fatto. Come una sfilata entrò, dentro la capanna di bambù, una fila da cannibali che slegarono i superstiti. Il capitano Martin Zigrelli chiese spiegazioni: «Voi chi siete ? In che posto ci troviamo? Cosa volete da noi ?». I cannibali si misero in cerchio e si consultarono. Parlavano un misto tra ebraico e portoghese. Poi si rivolsero al capitano della “Vento Rosso” dicendogli: «Voi avete messo piede su quest’ isola: l’Isola del Male, e tutti quelli che sono attraccati qui non sono più tornati indietro.» Allora i cannibali misero della legna attorno ad un grande tronco, sul quale attaccarono i superstiti e appiccarono il fuoco. Però Edward Mink, l’abile studioso di misteri, riuscì a scappare ed entrare nella foresta buia e silenziosa, che tutti temevano. Nel frattempo i cannibali, non accortisi dell’assenza di un superstite, iniziarono ad accendere il fuoco. Edward Mink ad un certo punto si ritrovò davanti ad una piramide di pietre con un teschio in cima e, attirato da una grande luce, entrò, lì trovò degli uomini trasformati in statue e attaccata al muro una grande pergamena scritta in ebraico. Per fortuna Edward lo sapeva parlare, perché era andato a frequentare una scuola dove lo aveva studiato. Lesse ad alta voce: «Per abbattere tutte queste maledizioni, e per far ritornare tutti allo stato normale, bisogna trovare una chiave ed infilarla proprio qui!». Edward, allora, incominciò a cercare; però nel frattempo i suoi amici erano in pericolo, non riusciva a trovarla. Ad un certo punto sentì arrivare un uccello, che lo guardò, e con un movimento della testa condusse Edward alla chiave. Edward prese la chiave e la infilò nella serratura e tutte le statue tornarono persone, mentre i cannibali diventarono statue, come il fuoco che circondava i superstiti. Tutti si riunirono e ripartirono sani e salvi da quell’Isola Misteriosa. Edward buttò la chiave in mare e finalmente l’incubo finì. Camilla Benetti GRANDE CAPO, ADDIO! Mi chiamo Grande Lupo Bianco, sono un indiano e ho13 anni. Sono già diventato capo della mia tribù per aver ucciso un invasore del Nord America, con il mio arco. Sono in una fossa profonda circa 4 metri, nello stato dell’Oklahoma, dove c’era la mia riserva, che adesso è solo un mucchio di cenere per colpa degli invasori americani. Hanno ucciso i miei genitori, i miei fratelli e le mie sorelle, della riserva siamo rimasti solo io e un mio alleato, un indiano “ Comanche”. È un’ esperienza traumatica che mi segnerà per tutto il mio avvenire, se ci sarà. Oggi io e il mio amico abbiamo corso per tutto il pomeriggio, arrivando quasi fino al Texas, dove abbiamo trovato un accampamento americano. Avevamo entrambi sete e fame, non mangiavamo da oltre una settimana, così ci siamo nascosti dietro una duna e abbiamo aspettato che abbassassero la guardia. Ci siamo infilati dentro una capanna e lì siamo riusciti a mangiare poi, uscendo, un americano ci ha visto ed ha incominciato a sparare. Il mio amico “Hiwatha” è stato colpito in pieno petto, io invece solo alla spalla e sono riuscito a scappare. Il sangue mi usciva fuori come una cascata, non potevo resistere a lungo ma, fortunatamente, ho visto su una roccia del muschio, me lo sono appoggiato sulla ferita e il sangue si è fermato. È da più di 3 giorni che mi stanno cercando. Gli inseguitori erano 15, sono riuscito ad ucciderne 5. Erano troppi, non ce l’ avrei mai fatta a ucciderli tutti, così mi sono detto che dovevo andare a chiedere rinforzi al Nord, nel Kansas, dove risiedeva la tribù Irochese; era un’ impresa ardua ma si poteva tentare. Tenendo stretto al mio petto il mio portafortuna, un’ aquila fatta d’osso, ho aggirato gli invasori e mi sono incamminato. Dopo circa 2 settimane di cammino ero circa a metà strada per arrivare alla salvezza, non mi potevo arrendere proprio allora, anche se camminavo in condizioni disumane sotto la pioggia. Arrivato a destinazione, ho visto che era tutto bruciato e distrutto, una sensazione di dolore e desolazione mi avvolgeva, poi ho sentito una voce che mi chiamava. Era il capo degli Irochesi,"Capo due lune". 37 Insieme abbiamo costruito delle barricate per ostacolare gli Americani, abbiamo scavato buchi molto profondi con sotto dei bastoni appuntiti e li abbiamo ricoperti. Poi li abbiamo visti arrivare, ho pensato che in quella situazione ogni respiro poteva essere l'ultimo della mia vita, così mi sono fatto forte e ho cominciato a scagliare frecce, ma un tiratore scelto ha impugnato il fucile e mi ha sparato. Sono caduto a terra. "Capo due lune" si è avvicinato per soccorrermi, ma era troppo tardi. "Capo Due lune" si è disperato, è uscito fuori allo scoperto, poi anche la sua anima ha incominciato a volare nel cielo insieme a quella di "Grande lupo bianco". Manuele Mimosa Fiabe e racconti (Racconti di avventura) Fiabe e racconti (Testi in giallo) LA FATICA DI JOHNSON NELLA GIUNGLA In un’immensa giungla,un giovane ed affascinante ragazzo viveva in una bellissima casetta che si era costruito da sé con ruvide foglie giallastre, con bastoncini di legno intrecciati l’uno con l’altro e moltissimi fiorellini colorati che l’abbellivano. Costui si chiamava Johnson. Un bel giorno decise di fare una visita alla sua cara amica Wendy per trascorrere un giorno insieme in compagnia a chiacchierare felicemente. Così, il ragazzo si era incamminato fino ad arrivare alla casetta della sua amica Wendy; lui la trovava molto dolce, affascinante, leale, aveva degli occhi azzurri, con biondi capelli ondulati, il naso aquilino, e labbra di seta. Il ragazzo arrivò e bussò alla sua porta, lei non l’aprì e Johnson restò ad aspettare per molto tempo, ma non c’era nulla da fare, la porta non si apriva. Il fanciullo si era molto insospettito. Inoltre lei, di solito, rimaneva sempre in casa o, se doveva uscire, andava a chiamare il suo amico Johnson per girare insieme nella giungla, perché loro pensavano che nella giungla non ci fosse nessuno oltre a loro due e ad alcuni animali feroci. Così, il ragazzo si incamminò per andare a cercare la ragazza, per lei Johnson avrebbe fatto qualsiasi cosa. Passate ore e ore a girovagare nella giungla, che era molto fitta e cupa, con moltissimi alberi e foglie di colore verde e giallo, con melma che pareva cioccolata liquida al latte, con bastoni e bastoncini di legno intrecciati l’uno all’altro, il ragazzo gridava il nome della ragazza: « Wendy!», ma lei non gli rispondeva. Passava molti giorni e molte notti nella giungla gridando con tutta la sua voce, ma lei non dava alcun segnale. Poi il ragazzo si addormentò per un po’ di ore. La ragazza Wendy era stata rapita da una vecchia orrenda, con tantissimi brufoli sul naso appuntito, i capelli bianchi come la neve nascosti da un cappuccio nero, delle rughe sul viso e sulle labbra ruvide come le grattugie per il formaggio. La vecchia viveva in una casa molto più elegante di quella di Johnson, lontana molti chilometri da quella dei due ragazzi; aveva portato nella sua casa di legno la ragazza e l’aveva legata in tutte le parti del corpo. Passato un po’ di tempo, il ragazzo riprese la sua ricerca per trovare la ragazza. In lontananza aveva visto una piccola casetta che, dal suo piccolo camino, emetteva del fumo. Johnson era rimasto esterrefatto perché non pensava che ci fosse qualcun altro oltre a lui e alla sua amica Wendy nella giungla. Arrivò alla porta della vecchia ed esclamò: «C’è nessuno? Se c’è qualcuno per favore mi apra!». La vecchia aveva nascosto velocemente la fanciulla sotto il suo letto fatto di pelle di cinghiale, poi, insospettendosi molto, era corsa davanti alla porta per andare a vedere chi fosse e chiese: «Sì, chi è?». Egli rispose: «Sono un ragazzo della giungla che vive a molti chilometri in una casetta.». La vecchia aprì la porta e salutò con molta gentilezza il ragazzo e gli disse: «Entra pure caro figliolo, ti sei perso?». Lui rispose:«No, signora, sto cercando una cara amica, non la trovo più in casa sua, lei l’ha vista per caso?». La vecchia gli rispose:« No, ragazzo, OMICIDIO IN RETE descrivimela, forse ti posso dare un aiutino, non credi? Desideri qualcosa da bere, vedo che sei molto affannato?!». Johnson aveva fatto segno con la testa per dire sì e aveva spiegato alla vecchia cosa era accaduto a Wendy. La signora dispiaciuta o come lui credeva, gli disse che se avesse visto passare la ragazza o se fosse stata in mano a qualcuno che le avrebbe potuto fare del male, lo avrebbe avvisato subito. Mentre la vecchia lo accompagnava alla porta, lui aveva avvertito uno strano lamento che sembrava di Wendy e che proveniva dalla stanza della vecchia. Johnson corse a vedere se fosse Wendy e infatti lo era, aveva sentito bene. Mentre il ragazzo cercò di slegare la corda che legava il corpo della ragazza, la vecchia aveva fatto in tempo a prendere delle fiocine per cercare di colpire il ragazzo, che però schivò il colpo. Così, quando Wendy fu liberata, si mise a piangere al collo del suo caro amico e lui le disse:« Wendy, non c’è più tempo, la vecchia ormai è già qui, vieni, andiamo verso l’uscita!». Il ragazzo lasciò la sua amica vicino ad un albero nella giungla e, afferrato un bastone, andò in casa della vecchia e la colpì in pieno. Il cielo si stava oscurando sempre di più e nella giungla non filtrava neanche un filo di luce. La ragazza aveva preso fuori dalla tasca del suo vestitino una torcia e l’aveva accesa, così, alla fine, aveva illuminato la strada per il loro ritorno. Maria Pia Zappaterra Sir John Smith era un appassionato di Internet e adorava navigare in rete. Lui usava il computer come niente, era una cosa elementare per lui, infatti spesso cercava di dare lezioni di informatica ai figli più grandi: Eric e Antony. La giornata di Sir John procedeva sempre uguale e quindi ogni giorno era molto monotono. Anche quel mattino fece la sua solita colazione leggera a base di cereali e latte, poi andò nel suo studio a navigare in rete per tutto il giorno. Ad un certo punto il computer segnalò l’arrivo di un messaggio, Sir John si affrettò ad aprire la casella credendo fosse un messaggio che proveniva dal Parlamento. Lo aprì e iniziò a leggere quello che c’era scritto: TU CHE IN QUESTO MOMENTO STAI LEGGENDO QUESTO MESSAGGIO RICEVERAI UN SORPRESA MOLTO SPECIALE QUESTA SERA ALLE 18.00 IN PUNTO. P.S NON ELIMINARE QUESTO MESSAGGIO ALTRIMENTI LA SORPRESA SARÀ ANCORA PIÙ GRANDE. Sir John credette che fosse uno scherzo di qualche ragazzino e continuò le sue ricerche. Arrivarono le 18.00 e il campanello della casa di Sir John suonò energicamente. Lui si alzò e andò ad aprire: era un uomo di cui non poteva bene il volto perché era coperto da un cappuccio; vendeva dei particolari mouse tutti colorati e alcuni avevano il rivestimento in pelle. Questi insistette perché Sir John ne comprasse uno ma lui non voleva comprare nulla; allora l’uomo alzò anche la voce e lo minacciò con un mouse color nero. Sir John si mise a ridere e proprio in quel momento vide che dal mouse era spuntato LA CASA NEL PARCO Era un giorno d’estate, e non sapendo come trascorrere il tempo chiamai i miei amici per chiedere loro se potevamo venire a fare un giro in bici fino alla collina. Risposero tutti di si, poco dopo eravamo tutti in sella in direzione della collina. Arrivati in cima ci soffermammo per ammirare il panorama e poco dopo vedemmo in distanza un parco recintato. Incuriositi ci avvicinammo e scoprimmo un cancello arrugginito e socchiuso. Decidemmo di entrare per esplorare il parco. Al centro del parco vedemmo una grande casa abbandonata. Senza paura provammo ad entrare ma, la porta era chiusa. Cominciammo a girarci in torno finché Matteo trovò una leva, la tirò e la porta d’entrata si aprì con un rumore sinistro. Impavidi entrammo e davanti a noi c’era una grande scalinata. Ci 38 Lady Katy era molto perplessa e camminava nervosamente avanti e indietro quando ad un certo punto vide dalla finestra un tipo che aveva il volto coperto. Quando lo chiamò lui si voltò, vide la polizia e iniziò a correre verso una via molto buia e poco popolata. La polizia lo inseguì. Una volta preso lo portarono in commissariato per interrogarlo ma lui disse che era innocente, che non sapeva nulla e che non era stato lui a commettere l’omicidio. Lady Katy lo osservò per bene perché lei non era convinta di quello che diceva il venditore, che poi si chiamava Kirk Poninski. Il commissario incaricò un poliziotto del distretto di appurare se Kirk Poninski aveva dei precedenti penali. Dopo poco si seppe che quel tale aveva due precedenti penali: tutti e due per omicidio. La cosa cominciava a diventare abbastanza chiara per Lady Katy che volle raccontare come si erano svolti i fatti secondo lei: Poninski aveva suonato alla porta di Sir John Smith per vendergli un mouse, ma Sir John non aveva voluto comprare nulla così lui lo aveva accoltellato. Avevano anche trovato tra i mouse quello dal quale attraverso un pulsante usciva una lama: l’arma del delitto! L’email era un avvertimento! Ma perché? Kirk Poninski disse che era tutto vero; lui voleva solo vendicarsi perché Sir John lo aveva licenziato dopo che era stato proprio lui a insegnarli ad usare il PC. Un altro delitto risolto, brava LADY KATY! Valentina Merolli IL POZZO DI MONDO NUOVO da sola, il cane uscì: era un Rot Wailer con la bava alla bocca, gli occhi infuocati e al collo aveva appeso una medaglietta con il nome di “Fufi”, che si avvicinava minaccioso. Indietreggiammo e urlando ci indirizzammo verso la secondo porta che chiudemmo dietro alle nostre spalle. Non c’era niente nella stanza, solo un rumorino che proveniva da un buco nel soffitto. Puntammo gli occhi al buco e vedemmo uscire un’enorme ragno peloso. Scappammo subito da quella stanza terrorizzati e inseguiti dal cane e dal ragno. Ognuno scappò per proprio conto in una direzione diversa. Ero solo io inseguito. Una volta uscito dalla casa non esitai… salimmo e vedemmo tantissime porte chiuse e dietro una di quelle si sentì un cane che ringhiava. Ad un certo punto la porta si aprì un coltello che con un gesto velocissimo gli conficcò nel petto. Sir John cadde a terra mentre l’uomo scappava via. Nel cadere Sir John si aggrappò alla sedia che nell’ingresso della casa; la sedia si rovesciò facendo un gran tonfo. La signora Anne che era in cucina a controllare la cena corse nell’ingresso e vide il marito steso per terra in una pozza di sangue. Si disperò e cercò di aiutarlo, ma vedendo che era tutto inutile chiamò la polizia dicendogli di accorrere al più presto in Via London Eye al numero 24. La polizia arrivò assieme all’ispettrice Lady Katy che la signora Anne conosceva perché era un’amica di famiglia. Lady Katy osservò il corpo della vittima con molta attenzione in cerca di qualche indizio ma nulla, vicino al corpo non c’era che poteva aiutarci a scovare il colpevole o qualche sua traccia. Vicino alla sedia rovesciata dalla vittima c’era però una chiavetta usb che si usava per collegare i mouse senza fili ai computer portatili come quello che aveva Sir John e all’ispettrice venne in mente che Sir John era molto abile nell’ usare il computer così chiese alla moglie se poteva controllare le e-mail arrivate. Fu così che il sospetto che la vittima avesse ricevuto un messaggio legato all’omicidio; ma l’indirizzo di posta elettronica era stato reso invisibile. Lady Katy lo osservò a lungo cercando di capire cosa significasse quello che c’era scritto. Secondo Lady Katy non era un messaggio ricattatorio perché il messaggio diceva chiaramente: RICEVERAI UNA SORPRESA Io continuavo a non essere sicura di quello che sosteneva Lady Katy ma dal tronde è lei l’ispettore, io sono solo la sua assistente. Marcello Ceolotto Era un giorno come tutti gli altri, nel paesino di Mondo Nuovo ,un posto tranquillo situato in campagna composta da brava gente. Ma non si può mai sapere, cosa si nasconde dietro tanta tranquillità!!! Mary andò a prendere l’acqua nel pozzo che c’era di fianco a casa sua, con un secchio preso nello scantinato. La ragazza legò al secchio, per poi buttarlo nel pozzo e tirarlo su pieno d’acqua. Tirando su il secchio si accorse che era sporco di qualcosa di color rosso; si avvicinò al pozzo, si affacciò e vide in fondo al pozzo il corpo di un uomo ormai senza vita, che galleggiava nell’acqua si spaventò e, presa dal panico, si mise ad urlare dall’orrore di ciò che aveva appena visto. La madre di Mary sentì le sue urla,corse subito da lei, e la chiese del perché era così sconvolta e spaventata; ma la ragazza, ma non aveva la forza di dirlo e indicò con un dito il pozzo. La madre s’affacciò per vedere e vide anche lei il cadavere dell’uomo, lì, immobile! La donna, sconvolta, disse alla figlia di andare di corsa in centro dove si trovava l’investigatore del paesino di Mondo Nuovo. Arrivata a destinazione, Mary cercò di calmarsi e disse a voce alta: - C’é un uomo morto in fondo al pozzo, di fianco a casa mia. L’investigatore restò molto sorpreso perché che in un paese così sarebbe mai potuto succedere qualcosa di sgradevole. L’investigatore era uno che di solito era immerso nella sua “sonnolenza” anche se diceva che così pensava meglio! Hopkins cioè l’investigatore, aveva sempre le mani pulite e possedeva una straordinaria delicatezza quando usava i suoi strumenti di lavoro. Egli cercò di tranquillizzare la ragazza. Poi gli venne in mente di colpo una cosa molto importante da riferire a lei e a sua madre: un certo Bill era arrivato in paese e avere delle informazioni su dove abitava una certa Mary Bill, diceva di essere imparentato con lei. - Doveva darti un documento molto importante sul quale era descritto il patrimonio, che aveva accumulato il tuo bis nonno per parte di madre. E infatti 43 aveva un testamento per ricevere l’eredità, sul quale però serviva anche la firma dell’erede. - Mr. Hopkins si ricordò che , mentre parlava con il sig. Bill lui non era solo ma c’era anche un contadino che stava aspettando di parlare con lui; dopo aver finito la conversazione con il sig. Bill, che intanto stava andando verso la casa di Mary, si vide il contadino che si dirigeva anche lui per la stessa strada. E la sua faccia adesso che ci pensava era,un po’ sospetta. Andarono sul luogo del delitto, e trovarono il cappello di paglia del contadino stretto dalle mani oramai irrigidite del cadavere. Andarono quindi ad arrestarlo e videro che era pieno di graffi e gli sanguinava ancora il labbro; l’uomo cercò di scappare ma riuscirono a catturarlo, lo perquisirono e infatti trovarono il testamento nella tasca destra dei suoi pantaloni!!! Il testamento venne restituito a Mary e a sua madre. Arantxa Hernandez Arias Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Testi in giallo) OMICIDIO NELLA 48TH STRADA Era notte quando Jim Cooper, famoso avvocato di Miami, tornò a casa distrutto dopo una lunga giornata di lavoro e vide suo fratello Marco morto, riverso sul cofano della sua macchina, la finestra della loro cucina in frantumi. Chiamò subito la polizia che arrivò immediatamente. Era ormai l’alba quando Jim fu portato in centrale per essere interrogato. L’ufficiale di polizia che prese l’incarico di risolvere il caso si chiamava Orazio. Il giorno seguente Orazio e la sua squadra andarono a casa di Jim e di suo fratello per esaminare ancora una volta la scena del crimine sperando di trovare qualcosa che li avrebbe aiutati a risolvere il caso, e infatti uno dei suoi collaboratori trovò ben nascosta una pistola calibro 9: era forse l’arma che aveva ucciso Marco? La portarono in centrale per esaminarla e trovarono delle impronte digitali che appartenevano a un certo Gimmi Scoop, venditore di gomme e cerchioni per automobili. Orazio andò a fare una visitina a Gimmi facendogli qualche domanda sulla pistola che avevano trovato a casa di Marco. Lui rispose che non ne sapeva nulla. Il giorno seguente i ragazzi di Orazio andarono di nuovo nell’appartamento di Marco per cercare altri indizi e questa volta trovarono nella copertina dell’agenda di Marco un biglietto che diceva che Gimmi e i suoi colleghi erano coinvolti in un traffico di droga. Tornarono di nuovo all’officina di Gimmi che, appena li vide, uscì velocemente dalla porta di servizio e scappò sulla sua auto; anche Orazio salì in auto e lo inseguì a lungo fino a che Gimmi non si ritrovò in trappola, bloccato da un tir che gli aveva attraversato la strada. Orazio lo arrestò ma… prima di portarlo in macchi- OMICIDIO A VIENNA na un cecchino lo colpì con un fucile di precisione. Prima di morire Gimmi confessò che aveva ucciso Marco perché questi aveva scoperto che lui era coinvolto in un traffico di droga e voleva denunciarlo. Il giorno seguente Orazio interrogò i colleghi di Scoop e dopo due ore trascorse nella sala degli interrogatori riuscì a sapere chi era la persona che gestiva il traffico di droga a Miami e che viveva in una villa sul mare a Fordstreet. Orazio inviò sul posto tutte le auto di polizia disponibili e un elicottero, così riuscirono ad arrestare il capo dell’organizzazione insieme a tutti i suoi tirapiedi. Federico Amadelli DELITTO NELLA FAMIGLIA PARKER Jim Parker era un miliardario, abitava a Oxford, la moglie Clara era una meravigliosa donna alta, bionda e magra con gli occhi azzurri. Avevano due figlie Jessica e Veronica. Jessica era solare e allegra mentre Veronica non parlava mai con nessuno e se ne stava sempre in disparte. Jim e Clara erano seduti sul divano mentre le figlie erano fuori di casa. In salotto c’era un’atmosfera tranquilla, il cammino era acceso, lui indossava come sempre vestiti firmati, scarpe italiane e aveva in mano un bicchiere di scotch. Lei indossava una gonna nera, un maglione rosso a collo alto, scarpe col tacco nere. Stavano ascoltando musica degli anni ’80. Jessica e Veronica non erano quasi mai con loro di sera, certo non potevano dire che non avevano mai privacy. Jim mise giù il bicchiere di scotch poi abbracciò forte la moglie e le disse che l’ama- va molto e che non l’avrebbe lasciata mai. Più tardi ritornarono le loro figlie dopo essere in discoteca; entrarono in salotto a salutare i genitori, poi salirono le scale per andare nelle loro stanze, si sdraiarono sul letto ascoltando la loro musica preferita. Ad un tratto le ragazze sentirono due colpi di pistola… corsero subito giù per le scale e si precipitarono in salotto. Videro il padre di fianco alla madre, c’era sangue sparso dappertutto! Non c’erano dubbi: Clara era morta… Le figlie si avvicinarono a lei e poi chiamarono subito l’F.B.I. per vedere chi fosse stato il colpevole. Il giorno dopo Jim arrivò nel suo ufficio e la prima cosa che fece fu quella di mettere la foto di sua moglie sulla scrivania. Qualche ora dopo arrivò la nuova segretaria. Era bellissima: fisico da modella, capelli rosso fuoco e occhi verdi come due smeraldi. La ricevette nel suo ufficio, sbalordito da- vanti a tanta bellezza. Tutto sembrava come sempre… Intanto l’F.B.I. stava analizzando le impronte e le pallottole ritrovate sulla scena del delitto e i risultati portavano direttamente al signor Parker! Jessica e Veronica che erano nei laboratori non riuscivano a credere alle loro orecchie. L’ispettore dell’F.B.I. andò nell’ufficio di Jim e gli disse: “Lei è in arresto perché ha ucciso sua moglie Clara”. Così Parker fu portato al commissariato, e lì Jim confessò che aveva ucciso sua moglie perché aveva scoperto che lo tradiva. Jim Parker venne arrestato e le due figlie ereditarono i suoi soldi e l’azienda di famiglia. Debora Gargioni zia, ma la trovò molto triste, anche se se l’era cavata con due punti soltanto; Stive le chiese se poteva fare qualcosa per lei che gli fece segno di avvicinarsi e gli sussurrò una risposta, ma le parole non erano molto chiare; così la saluto e andò via pensoso. Quando fu a casa chiamò subito la nonna e le chiese che cosa stava facendo quando si era sentito l’urlo della zia, lei rispose che stava scrollando la tovaglia; fece lo stesso con sua zia, sua cugina, suo zio e suo nonno; ma tutti e quattro i parenti risposero che non erano in casa in quel momento; rimaneva Simone, il fidanzato di sua cugina, così lo chiese anche a lui che dichiarò di essere an- 42 chiamata effettuata. - Deve aver chiamato qualcuno prima di morire… - intervenne Sophie. - Ottima osservazione, mia cara Sophie. Il fidanzato, James, un uomo alto e robusto, raccontò che era appena tornato a casa da un’importante cena di lavoro e dovevano festeggiare assieme a due amiche la sua promozione. Ma … una lacrima silenziosa gli cadde sulla guancia. - E mi dica, queste due amiche chi sono? chiese Anne. - Sono Sandy e Christy, l’ispettore Connelly le sta già interrogando. - rispose per lui Sophie - Pare che Christy, abbia un alibi: all’ora del decesso, era ancora a casa, un vecchio l’ha vista; mentre invece Sandy, ha lasciato il lavoro un’ora prima dell’appuntamento, confermato dalle telecamere del parcheggio; ma da allora nessuno l’ha più vista … - aggiunse Sophie sicura di aver già risolto il caso. - Calma, mia cara Sophie, non essere precipitosa, rifletti. - Facciamo un giro per la casa e vediamo se troviamo qualche indizio… Non notarono nulla di strano: era tutto in perfetto ordine,non mancava nulla; l’orologio d’oro, le pietre preziose, gioielli costosi, tutti gli anelli ed il portafoglio. - Di certo, non è stata una rapina - commentò Sophie. Anne rifletté in silenzio guardando un punto sulla parete. - Hai capito che cosa è successo, non è vero? - si lamentò Sophie. - Proprio così mia cara, adesso capirai … Incominciò a spiegare: - Innanzitutto v’informo che si tratta di un omicidio, in quanto l’ultima telefonata era rivolta a me: ieri sera una ragazza impaurita mi chiedeva aiuto, ho pensato che fosse solo uno scherzo. Abbassò lo sguardo, comprendendo l’errore che aveva fatto la notte scorsa trattando con leggerezza quella chiamata; forse ora, quella ragazza sarebbe ancora viva. Poi, continuò: - Christy non può essere stata perché aveva un alibi, inoltre è troppo gracile per riuscire a sollevare un corpo, mentre Sandy, come risulta dalla cartella clinica, è affetta da sclerosi: non avrebbe certo potuto sollevare un corpo come quello di Nina, senza riportare danni visibili. - Ma allora… - intervenne Sophie. - Aspetta, mia cara, l’unico che poteva sollevare un corpo era James, il fidanzato, che inoltre ci ha mentito - continuò Anne. - A che proposito? - chiese Sophie. - Intanto quale uomo esce di casa senza l’orologio d’oro o il portafoglio? E ho notato che non aveva le scarpe bagnate, quindi non è uscito. In secondo luogo sul comodino, prima, ho notato delle foto in cui Nina appare con un uomo che non è James: ho pensato che fosse stata pedinata, ma questo ce lo potrà confermare meglio James. Evidentemente, non fidandosi di Nina, l’aveva fatta seguire e aveva scoperto il tradimento. Ecco perché l’ha uccisa, creando la messa in scena del suicidio, poi ha chiamato l’ambulanza. Se confrontiamo l’ora del decesso, con la chiamata all’ambulanza, e l’orario di uscita dal lavoro, è evidente che il tempo trascorso sia minimo; quindi impossibile che le cose stiano come ci ha raccontato. - Siamo davanti ad un delitto passionale affermò Sophie - Brava mia cara, ancora una volta hai risolto il caso! Elena Tamisari DUPLICE OMICIDIO IL PRIMO CASO DELL’ISPETTORE STIVE Era il 12 aprile del lontano anno 2009. Si stava festeggiando la Pasqua in compagnia e in allegria, c’era un sole meraviglioso ed erano tutti in giardino a parlare e a giocare. Stive stava parlando al telefono con Alice, la sua migliore amica, si stavano augurando una buona Pasqua e lo stava invitando al suo compleanno che si sarebbe festeggiato il giorno seguente; all’improvviso si sentì un urlo provenire dalla casa, tutti si affrettarono ad entrare e videro la zia Patrizia per terra, con una ferita alla testa; qualcuno corse a chiamare il 118 che dopo cinque minuti arrivò e portò la zia all’ospedale. Il giorno seguente Stive andò a far visita alla Pioveva. Era notte. Il buio circondava ogni cosa, sembrava che cercasse malignamente di inghiottire il mondo; la pioggia batteva energicamente sul terreno. Un lampo squarciava le tenebre della notte, ma il rumore del tuono che faceva vibrare i vetri delle finestre, dando l’impressione di frantumarli da un momento all’altro, non scomponeva minimamente Anne, che tranquilla se ne stava sul letto a riflettere. Il rumore del telefono superò il muro di pioggia e tuoni, arrivando acuto e penetrante alle orecchie di Anne, che sussultò; recuperata la calma, allungò un braccio, quel tanto che bastava per sollevare la cornetta e rispondere. - Pronto? - E una voce terrorizzata, che Anne fece fatica a sentire a causa del temporale, rispose con la voce rotta dalla paura, ridotta ad un sussurro… - Aiutami, mi vuole uccidere, aiutami!!!La ragazza non fece neanche in tempo a pronunciare altro che cadde la linea… - Sarà solo uno scherzo - disse tra sé Anne, cercando di scacciare quel senso d’angoscia che era corso a stringerle il petto. Voltatasi dall’altra parte, si addormentò. Al mattino seguente, quando Anne, comandante della polizia di Vienna, una donna splendida con lunghi capelli color dell’ebano, occhi verdi, furbi, svegli ed attenti, arrivò al distretto, le venne affidato un caso: una ragazza di vent’anni era stata trovata morta nella notte, impiccata alla trave del soffitto. Sbuffando Anne, disse: - Sophie! - e Sophie, appassionata di romanzi gialli e aiutante di Anne, scattò in piedi e la seguì. Arrivate sul luogo, parlarono con il fidanzato della ragazza morta; era stato lui che l’aveva trovata e aveva chiamato l’ambulanza, ma i soccorsi erano risultati inutili, perché al loro arrivo la ragazza era già deceduta. Anne notò che la cornetta del telefono era per terra e decise di controllare l’ultima dato a riempire la ciotola per il cane. A quel punto Stive radunò tutti a casa della nonna e con soddisfazione disse: “Ho scoperto il colpevole, è …. Simone; infatti lui era l’unico ad essere in casa; tra l’altro Patrizia mi aveva detto che il colpevole non era della famiglia ma quasi, e infine è il solo che ha in antipatia la zia. Sono contento comunque per Patrizia ed anche perché è il primo caso che risolvo!” Sheila Bellettati Era un pomeriggio tranquillo in casa Margogni, ma improvvisamente un urlo straziante tagliò il silenzio. Quell’urlo veniva dal salotto e precisamente da Sabrina Felloni, la moglie del ricco imprenditore Marco Margogni che si occupava di oro e pietre preziose. La moglie aveva trovato il corpo del marito senza vita e allora, prima della polizia, chiamò Jean Pierre, un investigatore privato amico da tempo di suo marito. Egli viveva a Parigi e si erano conosciuti là quando Marco vi era andato con la moglie in vacanza.Ogni anno vi ritornava per rivedere il suo amico francese. Appena Jean Pierre seppe dell’accaduto prese il primo volo per Roma e iniziò a investigare. Seppe che era stato trovato un orecchino vicino alla poltro- na dove c’era la vittima e che era della signorina Chiara Balboni, la segretaria di Marco (cosa che la moglie Sabrina aveva capito subito). Chiara fu convocata da Jean Pierre nel suo vecchio ufficio di Roma e lei confessò che da due anni era l’amante della vittima, ma continuava a dire che non l’aveva ucciso lei. Sabrina invece pensava esattamente il contrario. Jean Pierre tornò sul luogo del delitto e, ben nauseato, trovò un guanto, lo fece analizzare e scoprì che le macchie di sangue non erano solo di Marco. Questo fatto gli fece venire un sospetto… Nel frattempo si seppe che un certo Rossi Martino aveva chiamato la polizia perché purtroppo aveva trovato morta la sua ragazza Chiara Balboni! Jean fu informato che lì 39 vicino al corpo della vittima era stato trovato un candelabro e vi erano le impronte di Sabrina! Jean Pierre allora capì tutto: Sabrina aveva scoperto che Marco la tradiva con la segretaria e aveva deciso di ammazzare suo marito, ma Chiara, che aveva capito tutto, aveva cominciato a ricattarla così Sabrina era stata costretta ad uccidere anche Chiara!!! Eleonora Casoni Fiabe e racconti (Testi in giallo) Fiabe e racconti (Testi in giallo) RACCONTO GIALLO Era una notte buia e spaventosa e il signor Harvei se ne stava seduto nel suo ufficio ad aspettare il maggiordomo che gli doveva portare una tazza di the caldo. Ricevette una telefonata, lui rispose ma non sentiva nessuno parlare. Ad un certo punto qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, entrò un uomo incappucciato che tirò fuori un coltello e lo uccise. Fu il maggiordomo a denunciare l’accaduto. Chi poteva essere stato? Forse la sua ex moglie o anche il maggiordomo stesso? La polizia e i RIS arrivarono dopo circa dieci minuti e incominciarono subito a indagare e scoprirono che le porte non erano state forzate, quindi l’assassino doveva essere in possesso delle chiavi della villa del signor Harvei oppure doveva essere stato fatto entrare da un complice. La polizia controllò per giorni l’ex moglie di LA DONNA MISTERIOSA Harvei e il suo maggiordomo che erano gli unici due indiziati. Dopo qualche i poliziotti li sorpresero mentre si dividevano i soldi dell’eredità del ricco signor Harvei, allora le loro ipotesi fu confermata e i due sospettati furono arrestati per l’omicidio del signor Harvei. Nicola Franzoni OMICIDIO A LONDRA La polizia girava tra le strade come zanzare, elicotteri volteggiavano verso l’ignoto, i pompieri non riuscivano a domare il fuoco, Londra non poteva dormire pacifica quella notte del 24 Dicembre. La mattina giunse al Westmister per essere messo al corrente della situazione: giornalisti e reporter lo assalirono, ma non poteva fermarsi. Giunto nel palazzo del Parlamento vide i poliziotti cercare ovunque, l’ufficiale lo raggiunse: “Abbiamo trovato le guardie malridotte, ora sono all’ospedale e…” “Higgings!” Si voltò: sotto il porticato c’era un uomo piuttosto alto, in giacca e cravatta contrastanti con la camicia bianca ormai grigia dal fango. “Ryan! Cos’è successo?” “Mi sono buttato nel Tamigi per sfuggire al fuoco.” Qualcosa gli brillò nel taschino. “A cosa ti serve un coltellino?- dissi prendendo l’oggetto luccicante – L’ha ferita?! È sporco di sangue.” Arrivò un’auto d’epoca scoppiettante e ne uscì una figura robusta in tenuta verde scozzese che accorse: “Ryan! Ma cos’è successo?!?” “Le fiamme mi stavano accerchiando... - i poliziotti lo reggevano a stento - allora ho attraversato il fuoco…” “Wilde, venga!”, urlò un pompiere: “Higgings, gestisci tu qui.Arrivo!” “Ho bisogno di una mappa completa dell’incendio, non può aver ucciso solo le guardie.” “Giusto, procedete uomini una mappa…” Cercò ovunque ma non c’erano indizi, come se il porticato si fosse portato via tutto e nel fumo ci fosse l’agonia di quelle guardie: “Higgi.” Il suo nomignolo gli dava fastidio, ma detto dall’investigatore migliore d’Inghilterra, suonava dolce. Esitò un attimo ma andò, se c’era un caso da risolvere, non poteva tirarsi indietro. Dietro il Parlamento, il Big Ben suonava più cupo e misterioso, vidi tra le torri della cattedrale la striscia gialla CRIME SCENE e si pietrificò: “Com’è possibile!?” L’eco risuonava tremolante oltre l’altare. “È così...”. Wilde si chinò sul corpo di un signore familiare: “Bryan - era una situazione assurda – c’è qualcosa per…” “Si, è un principiante: ha lasciato le scarpe infangate. Ryan il commercialista le aveva, no?” “Come puoi pensare che sia stato lui?” “Signore, la serratura è forzata!” “Finalmente possiamo sapere con certezza che è stato un omicidio. Fotografa a fondo e trasferisci tutto nel mio database.” In ufficio Wilde cercò di fare il punto della situazione ma senza risultato, io intanto aspettavo le foto: “Eccole, la serratura forzata …” “... con un filetto di metallo arrugginito(come farà a vederci così bene nonostante la sua età!) – era un ladro.” “Però guarda - con un click gli mostrai la foto della ferita dell’uomo – l’emorragia era scarsa, come lo spieghi?” “Semplice! È stata trasportata.- rispose scorrendo le altre foto – Ora vado al parlamento, per interrogare il commercialista.” Uscì, sbattendo la porta deluso. Ora solo una cosa poteva aiutarci: il referto dell’autopsia, quindi appena arrivò il medico legale: “James! Entra, dai, siediti, hai qualcosa, eh, dai, rispondi.” Non fece nemmeno in tempo a sedersi che lo tempestò di domande: “Allora, con calma, è una faccenda molto seria - aprì la scatola che aveva posto sul bancone bianco a fianco al computer – c’è della ruggine nella ferita, l’ora del decesso è 12:29 ma…” “È stata spostata alle 12:31, dopo aver appiccato il fuoco!” “Ciò fa pensare che il colpevole è un tipo del palazzo del Parlamento - non dovevo disturbarlo ora –Dunque,- disse scrivendo alla lavagna posta di fronte al computer – abbiamo tre orari: 12:29 decesso; 12:30 incendio e 12:31 spostamento del corpo, ma da dove?” Mi venne incontro come posseduto. “Fammi vedere una cosa ... - si mise alla 40 tastiera –Ma certo!” Dopo due minuti mi ritrovai nella sua cinquecento giallo crema, come quella di Lupin, ma sembrava esserci Zazà: “Dove andiamo?” “Vedrai.” Così chiuse la porta e partì in impennata: “NON SIAMO SUL KATUN!” Ero mezzo morto, tra il Parlamento e la cattedrale c’era una casetta: “L’incendio - mi fece vedere la mappa che avevo richiesto – non ha colpito il retro del Parlamento, guarda nella casetta.” La porta era sfondata: “Ma che è?- Entrai, era un posticino stretto, spoglio, senza mobili – Sangue?!?” “Eh sì, qui è stato ucciso.” A sirene spiegate arrivò la polizia con tutti i presenti al palazzo nelle fatidiche ore: “Wilde, è inammissibile tutto ciò!” “La questione la riguarda da vicino, lei e qualcuno degli altri. Sappiamo chi ha ucciso Ryan - un ooohhhh di sottofondo lo accompagnò – e questo è lei, Bryan - il primo ministro indietreggiò – Ryan era come sempre nel chioschetto ad aspettare, questo lei lo sapeva, è uscito e, per deviare l’attenzione, ha dato fuoco al prato vicino al Parlamento e ha spostato il corpo poi per errore con questo ferretto - e ne alzò una copia fedele – e ha sporcato di ruggine la ferita di Ryan, il suo coltellino era troppo sporco di sangue per averla ferita, e non galleggia fango nel Tamigi, che pessima idea. Tutti rimasero sbalorditi. “Però il movente... qualcuno l’ha pagata, chi?” Ryan puntò il dito: “Jonatan, voleva impadronirsi del nostro mercato, solo ora me ne sono accorto.” Tutti, scandalizzati se ne andarono mentre la prigione ospitò i due grandi personaggi. “E le scarpe?”, chiesi a Wilde in tenuta nera: “Non potevano lasciarle per un delitto simile, sapevo che ci avrebbero messo sulla falsa pista.” Che Natale incredibile. Edoardo Piva Era una notte buia e tempestosa, il signor Adrian Forester era seduto sulla sua poltrona di pelle rossa e guardava il fuoco nel camino che sembrava gli parlasse. Adrian era un importante scrittore di storie gialle e aveva già pubblicato circa un centinaio di libri con un discreto successo. Il vento di quella notte si faceva sempre più forte, tanto che ad un tratto si spalancò la portafinestra del salone ed il maggiordomo corse immediatamente per vedere che cosa fosse successo. Forester gli chiese di chiudere la portafinestra e di portargli un bicchiere di scotch; il maggiordomo chiuse i vetri e tornò in cucina con l’intento di preparare il drink, ma…il campanello suonò ed andò ad aprire. Una donna affascinante e formosa, con la giacca fradicia d’acqua chiese del signor Forester; il maggiordomo la invitò ad entrare dicendole che l’avrebbe annunciata. Lei attraversò l’ingresso e si fece guidare dal maggiordomo fino al salone; quando il signor Forester la vide le chiese chi fosse e che cosa volesse, poi vedendola infreddolita la invitò a bere con lui un drink. Quando la donna si chinò per prendere il bicchiere le cadde dalla borsa un biglietto tutto bagnato. Improvvisamente la donna disse di aver fretta e si affrettò ad uscire dalla casa. Forester restò senza parole, non sapeva spiegarsi quello strano comportamento…intanto si chinò per raccogliere il biglietto, lo aprì e lesse: Complimenti, Lei ha vinto un viaggio strepitoso per la morte certa… Non si preoccupi che prima o poi arriverò e da quel momento cominceranno i suoi problemi … mio caro scrittore! Le porgo i miei più cordiali saluti L’ammiratore segreto Il signor Forester impallidì e cominciò a sudare, urlò al maggiordomo di sbrigarsi e di correre lì con il numero del suo amico Goldmin, un famosissimo investigatore… molto scaltro e attento (nonostante il suo abbigliamento molto eccentrico: un cappotto color indaco, un cappello a dir poco più grande della testa e una valigia marrone dove aveva tutto l’occorrente per una indagine, che portava sempre con sé). Dopo molti tentativi Goldmin rispose e il signor Forester ebbe solo il tempo di dire: “Aiutami sono in pericolo,corri subito da me!” che la linea si interruppe. Un attimo dopo la luce se ne andò e il signor Forester prese una candela, l’accese con difficoltà accostandola al fuoco del camino praticamente spento. Un cigolio terrorizzò tutta la casa. Forester si avvicinò alla foto di sua madre, la baciò e ad un certo punto…smise di respirare e cadde a terra, morto! Il maggiordomo, preoccupato dal silenzio, andò in salotto e vide il signor Forester steso a terra; pensò che si fosse sentito male e alzò la cornetta del telefono per chia- mare il dottore, ma… l’assassino lo sorprese alle spalle e uccise anche lui. La mattina seguente Goldmin andò a trovare il suo amico, un po’ preoccupato, ed ebbe l’orrenda sorpresa di trovare i due cadaveri stesi a terra, entrambi con un biglietto attaccato alla schiena. Chiamò subito la polizia e intanto osservava con grande attenzione ogni dettaglio del scena dei due delitti. Si accorse dei due bicchieri poggiati sul tavolino di noce, uno aveva tracce di rossetto rosso sul bordo, e così corse a mettersi i guanti per prelevarne un campione. Poi lesse i due biglietti attaccati alla schiena; quello sulla schiena di Adrian diceva: Mi sono vendicato di colui che odiavo, tocca a voi scoprire chi sono. Mentre su quello del maggiordomo c’era scritto: Questo è solo un omicidio che intralciava il funzionamento del mio piano. Comunque… AUGURI!! Non troverete niente Inoltre lesse l’altro biglietto sul tavolino di noce; questo era scritto a mano e sarebbe stato più facile risalire al colpevole. Diede i biglietti alla polizia, e si raccomandò di far analizzare il rossetto del bicchiere. Poi andò in cucina per cercare altri indizi e infatti nella spazzatura trovò un coltello e un candeliere sporchi di sangue. Li prese per controllare se c’erano delle impronte digitali, e pensò ad un passo avanti… Quando arrivarono i primi risultati poté scoprire che quella sera era venuta una donna a trovare il signor Forester e che si chiamava Vanessa Jones. Andò quindi a trovare la signorina Vanessa per capire il motivo della sua visita al signor Forester. Lei gli disse che non c’entrava niente con l’omicidio del signor Forester, che anzi le dispiaceva, ma Goldmin non le credette e le disse che sarebbe finita in galera con l’accusa di omicidio plurimo. Trascorsero altri due giorni e finalmente gli arrivarono i risultati delle analisi sul coltello e sul candeliere, ma c’erano solo le impronte del maggiordomo. Goldmin era sempre più confuso, allora si recò alla casa dell’amico per trovare qualcosa per incolpare del tutto la signorina Jones. Nel salone cercò altri indizi, ed ecco la risposta al caso: un capello nero con piccole particelle di forfora; egli mandò immediatamente il capello in laboratorio e successivamente tornò a parlare con la signorina Jones. La signorina Jones finalmente si decise a spiegare perché si trovasse là ed anche perché avesse “consegnato” quel biglietto fatale. Il mese passato era a Parigi, ad una festa molto importante con il suo ex partner, un regista che però non aveva avuto una gran fortuna ed era arrabbiato a morte con tutti i presenti, ma soprattutto con il signor Forester, perché si era messo in mostra davanti a tutti, recitando uno dei suoi versi 41 più famosi. La settimana scorsa l’aveva chiamata e le aveva detto che l’avrebbe uccisa se non avesse portato quel biglietto al signor Forester. Allora lei impaurita glielo aveva portato. Prima che la signorina gli dicesse chi era l’uomo, suonò il cellulare di Goldmin; egli rispose e gli dissero di chi era il capello trovato sul tappeto del salone, del signor Andrew Sheperd. Goldmin si scusò con la signorina Jones e si recò immediatamente all’indirizzo di questo nuovo presunto assassino. Arrivato alla casa di Sheperd bussò con molta insistenza e lo minacciò di buttare giù la porta se non l’avesse aperta. Sheperd aprì la porta molto lentamente…e Goldmin entrò con molta violenza e disse al signor Sheperd che era inutile mentire perché ormai l’aveva scoperto. Sheperd si mise sulla difensiva e gli disse che la signorina Jones non c’entrava niente e neanche lui, il vero colpevole era suo fratello gemello Oliver. Sheperd disse a Goldmin che suo fratello odiava da sempre il signor Forester, perché da giovani erano amici e quando Forester era diventato famoso con il suo primo libro, lui volle vendicarsi perché il suo amico lo aveva allontanato. Oliver una sera lo aveva chiamato e gli aveva detto che se non avesse collaborato con lui lo avrebbe ucciso e quindi dovette chiamare la Jones, minacciarla e intrufolarsi poi in casa Forester per lasciare un suo capello nel salone. Ma non era stato lui a uccidere Adrian… Goldmin dopo aver parlato due ore con Sheperd, non sapeva più a chi credere. Il suo intuito gli diceva di non fidarsi delle chiacchiere di Sheperd e della Jones… Lui cercò l’indirizzo del signor Oliver Sheperd e scoprì che abitava nelle vicinanze. Arrivato lì, Sheperd gli aprì subito, preoccupato, Goldmin non gli lasciò nemmeno il tempo di parlare che cominciò a fargli l’interrogatorio. Sheperd ammise solo che non c’entrava niente e che lui e suo fratello si odiavano per vari motivi; suo fratello e Vanessa erano persone spregevoli e avari e inoltre che avrebbero fatto di tutto per incolparlo. Aggiunse di aver saputo che la sua fidanzata, la signorina Vanessa Jones, e suo fratello sarebbero scappati insieme all’estero il giorno stesso. Goldmin si piombò al porto dove vide salire su una nave della compagnia “CostaCrociera”, il signor Sheperd e la signorina Jones. Goldmin si precipitò sulla nave assieme ad una pattuglia di polizia. Arrestarono i due furfanti e li portarono in tribunale, li accusarono e li portarono in prigione con l’accusa di omicidio plurimo. Goldmin tornò nel suo ufficio, si sedette sulla sua poltrona girevole e finì di leggere l’ultimo libro pubblicato dal suo amico scrittore. Mathilde Stracuzzi