rent to buy
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RENT TO BUY: APPUNTI (2016). 1. Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione Il contratto noto come “rent to buy”, seppure sia conosciuto in Italia ormai da qualche anno, è stato formalmente disciplinato solamente nel 2014, con l’art. 23 del Decreto Legge cosiddetto “Sblocca Italia”( D.L. 12 settembre 2014 n. 133), a norma del quale rientrano in questa categoria negoziale i contratti che prevedono «l'immediata concessione del godimento di un immobile, con diritto per il conduttore di acquistarlo entro un termine determinato, imputando al corrispettivo del trasferimento la parte di canone indicata nell’accordo». Storicamente, questa figura contrattuale è “figlia” del crollo economico-finanziario del 2008: con l’acutirsi della crisi economica e della conseguente difficoltà per molti di accedere al bene casa, il mercato immobiliare ha dovuto coniare figure contrattuali nuove (tra le quali, per l’appunto, il rent to buy) per consentire all’acquirente di ottenere l’immediata disponibilità dell’immobile, senza dover necessariamente ricorrere al credito bancario. Ciò premesso, l’art. 23 del Decreto Sblocca Italia non ha creato uno schema negoziale nuovo, ma ha cercato di disciplinare queste prassi largamente diffuse, per porre fine a una situazione di incertezza, divenuta ormai insostenibile. Il contesto storico in cui è sorto il contratto in esame è utile per comprendere la portata e la funzione dello stesso. Come funziona il rent to buy? Lo schema contrattuale del rent to buy rappresenta un incentivo alla compravendita di immobili, in quanto consente al compratore, privo nell’immediato di risorse finanziarie (ad es., per impossibilità di ottenere un mutuo), di rinviare ad un momento futuro l’impegno economico per l’acquisto del bene, pur potendo avere fin da subito la disponibilità in godimento dello stesso, corrispondendo al proprietario i canoni mensili che poi in parte recupererà, imputandoli al prezzo finale come acconto. Riassumendo, l’operazione rent to buy si articola in due fasi: - nella prima (rent), si realizza il godimento immediato dell’immobile a fronte del pagamento di un canone; - nella seconda (buy), il conduttore ha facoltà di esercitare il diritto di acquisto del bene, imputando al prezzo di vendita dell’immobile, la quota parte del canone indicata nel contratto. In sostanza, la formula contrattuale si compone di due parti: un contratto di locazione, con decorrenza immediata, e un contratto preliminare di futura vendita, che potrà realizzarsi in un secondo momento, a discrezione del promissario acquirente. Come si esercita il diritto di acquisto? Il termine massimo stabilito dalla legge per esercitare il diritto di acquistare l’immobile è di dieci anni. Entro tale termine, il promissario acquirente deve comunicare la propria intenzione al venditore, il quale non può opporre alcun rifiuto. Lo schema, come detto, è analogo a quello del preliminare di vendita. E, infatti, il citato art. 23, richiamando l’art. 2932 c.c., consente al promissario acquirente di convenire in giudizio il venditore per ottenere una sentenza che produca gli stessi effetti del contratto non concluso, qualora quest’ultimo rifiuti di realizzare la vendita. Gli interpreti sono unanimi nel ritenere che la previsione in capo al conduttore dell'obbligo di acquisto, e non di una mera facoltà, concretizzerebbe una figura contrattuale diversa dal rent to buy, con conseguente inapplicabilità della normativa in commento. La formulazione ("diritto di acquistarlo... entro un termine determinato") sembra infatti far sorgere in capo all’acquirente una semplice possibilità, che egli discrezionalmente potrà decidere di esercitare o meno. Successivamente all’esercizio del diritto all’acquisto, si realizza il passaggio di proprietà dell’immobile e si procede a decurtare dal prezzo di vendita quanto già anticipato nella precedente fase di godimento, conteggiando l’ulteriore somma ancora da versare. La quota di canone in precedenza erogata a titolo di godimento andrà “persa”, al pari dei comuni canoni di locazione o affitto. Come si determina l’ammontare del canone? Le dinamiche connesse alle determinazione del canone meritano un approfondimento, utile anche per trarre specifiche conclusioni relativamente al caso sottoposto alla nostra attenzione. Il comma 1, parte prima dell'art. 23, postula la distinzione tra la parte del canone imputata a corrispettivo del godimento e la parte dello stesso imputata a prezzo. Il successivo comma 1 bis, stabilisce che spetta alle parti definire in sede contrattuale la quota da imputare a titolo di godimento e quella a titolo di corrispettivo. La ratio è quella di agevolare entrambe le parti: se l’acquirente deciderà di acquistare, dal prezzo dell’immobile verranno decurtate le quote di canone imputate a prezzo nel frattempo già versate; se deciderà di non acquistare, egli avrà diritto a chiedere la restituzione delle somme versate a titolo di anticipazione del prezzo, che il venditore dovrà ripetere, trattenendosi invece le quote a corrispettivo del godimento (al pari di un comune canone di locazione). Per il venditore, pertanto, è conveniente stipulare un simile contratto, perché gli consente di ricavare un guadagno immediato dall’immobile, anziché lasciarlo vuoto e improduttivo in attesa di trovare un compratore disposto e disponibile all’affare. La doppia composizione del canone, inoltre, pur esponendolo al rischio di dover restituire delle somme in caso di mancata vendita, gli garantisce in ogni caso il diritto di trattenere le somme per il godimento, come se – di fatto – l’immobile fosse stato locato. Per il compratore, tenendo presente che nella realtà immobiliare il rent to buy viene utilizzato per consentire ugualmente la circolazione di immobili nel caso in cui gli istituti di credito non abbiano concesso mutui per l’acquisto – il vantaggio sta nella possibilità di disporre immediatamente di un immobile in funzione di un acquisto, con la consapevolezza che la parte di canone destinata ad acconto sul prezzo in ogni caso verrà recuperata (con lo storno in caso di acquisto ovvero con la ripetizione in caso contrario). Non avendo il legislatore apposto a tale autonomia particolari limiti o vincoli, ci si chiede se le parti possano liberamente concordare di imputare tutto il canone stabilito a titolo di godimento ovvero (situazione di maggior interesse per il caso che ci occupa) per l’anticipazione del prezzo di vendita. Una simile interpretazione non sarebbe in assoluto contrasto con la novella legislativa, considerato anche che nelle relazioni parlamentari preparatorie alla conversione del D.L. Sblocca Italia, il rent to buy viene testualmente definito come contratto flessibile. Viene inoltre precisato che “La disciplina proposta è «a maglie larghe », per consentire all’autonomia privata di meglio modulare il contenuto del contratto in funzione delle specifiche esigenze e nell’ottica del miglior soddisfacimento degli interessi di entrambe le parti”, includendo specificamente a tal proposito “l’ampia delega all’autonomia privata, riguardo alla durata, all’imputazione al prezzo di una quota di canone, alla possibile previsione di diritti di recesso, clausole penali e meccanismi condizionali, cedibilità della posizione contrattuale ed effetti dell’inadempimento” (Disegno di legge n. 2629 presentato il 12 settembre 2014 per la conversione del D.L. 133/2014). Il condizionale sull’ammissibilità di una simile operazione, ad oggi, resta d’obbligo, stante anche l’assenza di giurisprudenza a supporto. Le ragioni di tali perplessità sono principalmente due. In primo luogo, un simile accordo porterebbe in concreto a svuotare il rent to buy della sua “doppia anima”, rendendolo di fatto un normale contratto di locazione (se il canone è 100% godimento) oppure vendita con pagamento rateale del prezzo (se il canone è 100% prezzo). A questo punto, si potrebbe creare un profilo di illegittimità del negozio, tutt’altro che irrilevante. Se è vero che il contratto in esame ha natura mista (locazione + compravendita), come sembrerebbe evincersi dalla definizione legislativa riportata nelle prime righe della seconda pagina, allora si potrebbe giungere a sostenere la nullità di un contratto rent to buy stipulato esclusivamente con funzioni di vendita o di locazione per mancanza di uno dei suoi elementi essenziali. In secondo luogo, la peculiarità del contratto rent to buy sta nell’incertezza, al momento della sua stipulazione, sulla futura realizzazione della compravendita. Di solito è un’incertezza oggettiva (il compratore non sa se gli verrà concesso il mutuo per il pagamento del prezzo, ma ha bisogno fin da subito dell’immobile), ma può anche essere soggettiva (non sa se l’immobile sarà realmente funzionale alle sue esigenze). Tale condizione di incertezza viene compensata dal pagamento di un canone misto (a titolo di godimento e di vendita), così strutturato proprio per venire incontro alle esigenze di entrambe le parti: - al compratore consente di disporre immediatamente del bene, pur non avendo ancora le disponibilità finanziarie per comprarlo, con la garanzia di poter recuperare in ogni caso la parte di canone imputata ad anticipazione del prezzo, mediante lo scorporo dal costo finale (qualora decidesse di comprare) oppure chiedendone la restituzione (qualora decidesse di non comprare); - al venditore, consente una più facile circolazione del bene, che prescinde dalla disponibilità economico-finanziaria del promissario acquirente, con la garanzia di poter trattenere in ogni caso quanto incassato a titolo di godimento (che di solito è superiore ai canoni di affitto di mercato), anche in caso di mancato esercizio dell’opzione di acquisto. Proprio per questa dicotomia funzionale del contratto, il venditore potrebbe risultare “vittima” di un pessimo affare, qualora l’intero canone dovesse essere imputato a prezzo di vendita. E infatti, egli dovrebbe concedere il bene in godimento al promissario acquirente, sopportando il rischio di dover restituire tutto quanto incassato in caso di mancato esercizio del diritto di acquisto e, dunque, di aver locato un immobile gratuitamente per un periodo fino a dieci anni (!). Ribadendo che ad oggi non vi sono ancora pronunce giudiziali in merito, si fa presente che la dottrina sul punto ritiene, pressoché unanimemente, che il canone debba necessariamente comporsi di entrambi gli emolumenti anzidetti, poiché in difetto il contratto sarebbe o nullo (secondo la tesi interpretativa più rigida), oppure da riqualificare (o come pura locazione o come compravendita ad effetti anticipati), con conseguente inapplicabilità della disciplina dell’art. 23 cit. (Rb)