- Liceo Galilei
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Giornale bimensile del Liceo Scientifico Galileo Galilei Gentili Intervalli Per Dotti Programmi (La lettura è sconsigliata ai minori di 18…mesi) Articoli di particolare interesse: • Giochiamo? Piacere van Gogh pagina 3 • Music & War pagina 3 • Ambiente o genoma? pagina 4 Ragazzi, all’America piace invadere. No, non parleremo delle questioni caotiche che riguardano il Medio Oriente, ma di un invasione più evidente (visibile appunto, ai maggiori di 18 mesi). Infatti, accendendo la tv (per fortuna), non ci sono solo Barbara D’Urso e Maria De Filippi ma anche gente illustre, o meglio, dall’illustre passato che gentilmente intervalla i loro dotti programmi. E poi dicono che in Italia non c’è lavoro! L’Italia è un paese governato dalla meritocrazia e dall’onestà intellettuale, ed è solo grazie a queste virtù se esistono i programmi delle “conduttrici” sopracitate. Ma torniamo ai gentili intervalli e al lavoro: sono state fatte due o più assunzioni di caratura mondiale (sia a livello di fama che di retribuzione economica). Bruce Willis, noto a tutti come nuovo tecnico “Fodavone” (Si, niente pubblicità…diretta) e l’uomo più atteso, colui che ha sostituito le nonne coi suoi biscotti, colui che fu Zorro, colui che “fino alle punte” riempie i cornetti e che ha le fette di pane più spesse, nientepopòdimeno che Josè Antonio Dominguez Banderas, meglio noto come “l’uomo che sussurra alle galline”. Elemento disarmante comune a questi intervalli è la realtà (già presente nei dotti programmi), per coglierla partiremo dall’attore calvo più famoso del Mondo, Bruce Willis. In verità non si vedeva da mesi, a tal punto che anche “Chi l’ha visto?” rese nota la sua scomparsa; certo, senza 4G! L’attore fu trovato in un bosco, solo (con la sua limousine e il suo autista), che gridava “Perso! Non c’è rete!” (frase in cui usa quelle quattro parole italiane che conosce, casualmente!); quando in suo aiuto arriva con una “lapa” il classico fruttivendolo romanaccio con lo smartphone e pure il 4G, che da qui in poi tra red carpet e funivie malridotte (unico elemento astratto) sarà inseparabile compagno del miglior tecnico “Fodavone” mai esistito. Ora, che squillino le trombe, è il suo momento: Antonio Banderas. Questi lo definiremo sintesi hegeliana, ovvero l’unico momento reale, concreto e visibile. Infatti Antonio è un “povero” mugnaio immerso nella campagna; impavido, non si arrende nemmeno davanti ai famigerati ladri di stampi di macine ma continua imperterrito con i suoi momenti “creativi”, che lo portano al pari di grandi inventori grazie al “pane col cioccolato”, una cosa mai vista (flauti?). Il nostro inventore ha anche momenti di svago, che passa osservando bambini che giocano a nascondino, facendo cavalcate durante le quali, per “mangiare”, si porta le “focaccelle” (le avete mai assaggiate? Buonissime!) o parlando e dando consigli d’amore a Rrrosita. Queste sono pubblicità mirate non a “vendere sogni, ma solide realtà”. Insomma, tra biscotti, smartphone, tonni, aperitivi, pentole, jeggins, materassi e docce (installate su vasche da bagno) gli italiani preferiscono cambiare canale ad ogni gentile intervallo perché sono stufi della “realtà”. Con varie licenze “poetiche” Ludovico Poidomani e Leonardo Muriana “LA GUERRA E’ PACE” “LA LIBERTA’ E’ SCHIAVITU” “L’IGNORANZA E’ FORZA” Grafica del Giornale curata da Antonio Pino Attorno a questi tre slogan si articola la profonda denuncia che Orwell fa di quella che era la società del primo novecento. In 1984 critica con ironia non solo il partito dominante (il Socing) ma soprattutto la massa. Il popolo. Questo gregge informe si può ben adattare a quella che è la società attuale e reale: un ammasso di persone “prive di libertà intellettuale perchè non hanno intelletto”. Quelle tre massime si sono perfettamente radicate nella mente dei membri del “Socing” e nella mente dei “prolet” (proletariato), al punto che nessuno era più in grado di pensare con la propria testa. Persino la lingua venne cambiata: le parole vennero drasticamente ridotte, i termini restanti mutilati e contratti, al fine di sopprimere ogni scintilla di ribellione, istinto e traccia di fantasia nella mente del popolo. Inutile stupirci, o pensare che questo libro sia troppo lontano da ciò che è la realtà, o da ciò che è stata la realtà, in quanto non ci serve andare troppo lontano nel tempo per trovare una società simile a quella dipinta da Orwell. Mi riferisco alle dittature nate nel corso della storia come i totalitarismi nazista e comunista a cui lo scrittore fa un chiaro riferimento. Eppure la forza risiede nelle masse, come sostiene lo stesso protagonista del libro: Winston. Egli si rese conto che se i “prolet” avessero deciso di ribellarsi al “Socing” sarebbero riusciti a spodestare l’invisibile ”Grande Fratello”(capo del partito) ed instaurare una democrazia. Era necessario, tuttavia, che questi cittadini aprissero gli occhi, che smettessero di disinteressarsi a ciò che accadeva al resto del mondo prendendo consapevolezza della propria forza, perchè “Finchè non diverranno coscienti della propria forza, non si ribelleranno e, finchè non si ribelleranno, non diverranno coscienti della loro forza”. Ciò era una specie di sogno utopistico per Winston, in quanto la massa è semplice da controllare perchè scarsamente istruita e conseguenzialmente piuttosto disinformata. Si sono rivelati sufficienti quei tre ossimori come slogan per dominare un terzo del mondo e fare in modo che la restante parte venisse detestata, nonostante non se ne conoscessero nè la forma di governo nè i costumi. Tetre le ultime pagine, Orwell è stato crudelmnte realista quando ha presentato al mondo un agghiacciante ritratto di quello che nonostante tutto è il sistema che serviamo, pronto a cancellare senza pietà l’anima e l’esistenza di chi ha il coraggio di cantare fuori dal coro. Gaia Borrometi Il Foglio Pagina 2 Perché il cambiamento climatico è una minaccia ai diritti umani La questione del cambiamento climatico sta finalmente trovando spazio anche tra i mezzi di comunicazione tradizionali, dopo essere rimasta confinata per più di venti anni -potremmo dire dalla conferenza di Rio del 1992, quando si impose come un problema serio e concreto- al web nonché al campo di interesse di pochi specialisti o ambientalisti. Tuttavia, anche ora che vengono ripetute con maggiore frequenza, le parole “surriscaldamento globale” rimangono per molti poco più che una coppia di termini dal suono sgradevole, di gergo troppo tecnico per evocare immagini ben definite o forse inflazionate dall’uso inconsapevole e indirizzate a un pubblico troppo distratto perché possano conservare ancora il potere di attirare l’attenzione. Per un’altra grande parte degli abitanti del pianeta, il cambiamento del clima è invece una realtà tangibile e minacciosa come una guerra in atto. Mentre i paesi più sviluppati riescono ancora a far fronte alle mutazioni che stanno avvenendo grazie a tecnologie più avanzate e ovviamente a una disponibilità economica maggiore, stati più poveri come quelli dell’Africa, del Sud America o del Pacifico si trovano disarmati di fronte all’innalzamento del livello dei mari che cancella un po’ alla volta interi villaggi, uragani che uccidono migliaia di persone in pochissimo tempo, ondate di siccità che sconvolgono economie già di per sé vacillanti. Prendiamo ad esempio il Malawi, paese colpito lo scorso anno da un’inondazione che ha devastato circa un terzo del paese, uccidendo centinaia di persone e privando migliaia di un’abitazione o mezzo alcuno di sostentamento. Un cittadino del Malawi, che non guida la macchina e non ha accesso alla corrente elettrica, è responsabile annualmente dell’emissione di circa ottanta kg di diossido di carbonio, mentre questa cifra si aggira intorno ai milleottocento kg per uno statunitense. Questa non vuole essere un’apologia della vita allo stato primitivo o un rifiuto del progresso, ma al contrario una prova a sostegno del fatto che la ricchezza di conoscenza scientifica che possediamo oggi deve essere utilizzata per fermare la più grande ingiustizia sociale che sia mai avvenuta: la crisi ambientale e le sue conseguenze inique e sproporzionate. Anche il rapporto del 2014 del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (Ipcc) afferma che il riscaldamento globale avrà effetti devastanti a livello sociale e politico e, come scrive Michael Klare su The Nation all’aggravarsi delle condizioni dell’ambiente “il numero di stati falliti aumenterà notevolmente, provocando violenza e guerre per quel che resta del cibo e delle terre coltivabili. In altre parole, ampie regioni del pianeta saranno nelle condizioni in cui si trovano oggi la Libia, la Siria e lo Yemen. Una parte della popolazione rimarrà e lotterà per sopravvivere, altri migreranno e molto probabilmente incontreranno una versione ancora più violenta dell’ostilità che devono subire oggi i migranti e i rifugiati nei paesi in cui approdano. L’inevitabile risultato sarà un’epidemia di guerre civili per le risorse e di violenze di ogni tipo.” In sintesi, è fondamentale mettere da parte l’idea che il riscaldamento climatico (insieme ovviamente alle altre forme di sfruttamento e deterioramento dell’ecosistema) sia una questione secondaria, senza vere vittime e anche un po’ frivola. Che possa aspettare in un momento storico già travagliato da sconvolgimenti più gravi. E capire invece che discutere di ecologia significa impegnarsi per un futuro di pace e per il rispetto dei diritti umani. Vittoria Baglieri << Potrebbe interessarti 1 Nel XIX e XX sec. in UK, farsi estrarre i denti e sostituirli condelle dentiere era un regalo molto popolare per un ventunesimo compleanno o un matrimonio. 2 Se ci fosse un tunnel passante per il centro della terra e tu ci saltassi dentro, ti ci vorrebbero esattamente 42m12s per arrivare dall'altra parte. 3 Il Sole e la Luna appaiono grandi allo stesso modo per un'incredibile coincidenza: la Luna è 400 volte più piccola del Sole ma allo stesso tempo 400 volte più vicina alla Terra rispetto al Sole. 4 Walmart ha 2.2 milioni di dipendenti, quasi 7 volte la popolazione dell'Islanda. Se Walmart fosse una nazione, sarebbe la ventiseiesima economia mondiale. 5 L'Estate su Nettuno dura 40 anni ma la temperatura è di circa 60K (-212°C/-350°F). Leandro Cannizzaro>> Pagina 3 Il Foglio Giochiamo? Piacere van Gogh In questo articolo voglio parlarvi di ciò che vedo nella vita della gente, andiamo, di ciò che tutti vedono nella vita della gente. “Andiamo Dario, raccontala ad un altro, dall’alto dei tuoi 17 anni vuoi farci credere che sai come si vive? Vuoi dirci ciò che tutti già sappiamo? Ma guarda questo gradasso chi si crede di essere.” Ebbene, quanto scrivo, è ciò che penso, quanto vedo è ciò che sento; dunque se pensate che quanto sto per scrivere siano banalità di un povero ragazzo qualunque che crede di aver capito qualcosa allora vi prego, fermatevi, non leggete; non ho pretese, non ho giudizi, penso: scrivo. Detto questo, voglio raccontarvi di una teoria matematica, per ridere si intende, che un giorno un professore ci spiegò; si, sono passati tanti anni eppure la ricordo ancora, la teoria de “L’evoluzione del segno”. Ci disse che durante un compito in classe o mentre si fanno degli esercizi a casa, trattando espressioni o equazioni vi possono essere differenze, no? Ma con la fretta che abbiamo ogni volta, perché guardiamo più avanti, abbiamo fretta di finire, il segno meno diventa più piccolo, poi più piccolo, poi più piccolo ancora; ad un certo punto diventerà solo un puntino, simbolo di moltiplicazione in algebra, sballando ogni calcolo, facendoci sbagliare l’esercizio. Io credo che la nostra vita abbia un’involuzione molto simile, ovviamente senza generalizzare. Da bambini ogni cosa assume una sua importanza: ci sentiamo come se al nostro passaggio la luna potesse parlare, giocavamo al Jurassic Park catturando dinosauri, costruivamo case per le bambole e le vedevamo come se avessimo costruito un grattacielo (il meno è normale). Arriva la fretta di crescere, arriva l’età adolescenziale: “Diamine lasciatemi in pace! Datemi le mie libertà! Perché mi stressate così?”, ci stiamo passando tutti, anche tu che leggi, io lo so, sono come te. La nostra immaginazione comincia a scarseggiare, fatichiamo a catturare i dinosauri, fatichiamo a capire la bellezza di un girasole (il meno è più piccolo). Cresciamo, arriva l’età adulta; ogni speranza nel cassetto ogni sogno hanno fatto posto a scadenze, bollette, appuntamenti. A questo punto il nostro girasole è racchiuso in un quadro di van Gogh, si, ma chiuso in una cassaforte, di cui abbiamo perso la combinazione (il meno è un punto). Non riesci a vedere il tuo girasole, più passa, più si sbiadisce; inutile correre alla National per vedere questi girasoli, il tuo van Gogh non c’è. Se proviamo a vederlo c’è un bambino che esce dal quadro e che vuole tornare a giocare con te, non rifiutiamolo, accogliamolo, “giochiamo”? Dario Lauretta Music & War Da sempre vi è stato un legame tra guerra e musica. Spesso i musicisti ricorrono alla musica per trasmettere i loro punti di vista sulla guerra, le proprie emozioni o sfruttare il termine per indicare un conflitto che può essere anche interiore e non riguardare la guerra nel significato vero e proprio. Affrontando questo tema non si poteva certo evitare una delle più famose ballate composta dai Guns 'n roses, traccia d'apertura di Use your illusion II: Civil war. L'intera canzone è un inno di protesta alla guerra, al tutto il dolore che essa provoca, allo sfruttamento dei poveri per "nutrire" i ricchi. Nella canzone Rose e Stradlin, autori del testo, inseriscono chiari riferimenti all'assassinio di John F. Kennedy, alle battaglie per i diritti civili e alla guerra del Vietnam. L'intero significato della canzone lo si può cogliere dall'ultimo verso "Whaz so civil 'bout war anyway?" Passando al genere metal non si poteva non citare Replica dei Sonata Arctica dal primo album, Ecliptica. La base accompagna in modo perfetto, da sottolineare l'utilizzo delle tastiere, seguendo e enfatizzando le parole di un testo dalle varie interpretazioni. La più quotata gira attorno alla guerra interiore che il soggetto del testo ha dovuto affrontare fino alla sua vittoria ("I'm home again, I won the war"). Il percorso che lo ha portato al trionfo lo ha però cambiato inevitabilmente e in modo indelebile (I'm pieces of what I used to be"), si sente debole e ha bisogno di aiuto, ha paura che nonostante tutto quello che ha affrontato non verrà accettato e sarà abbandonato ("Are you gonna leave me now, when it is all over"). Tornando al genere rock, in particolare indie rock, un titolo che dice tutto è "La guerra è finita" del gruppo italiano Baustelle. Testo molto sentito emotivamente da parte dell'autore che descrive la storia la cui protagonista era un'amica. È una canzone che parla di "malavita" (nome dell'album). La protagonista è una sedicenne che cerca una via di fuga dal mondo perbenista che la circonda e la opprime; inizia perciò a drogarsi e a frequentare gente di basso livello. Dopo la minuscola pausa con strumentale la ragazza ci appare più confusa di sempre ma tra tutto il caos sorride un attimo e si convince di aver trovato una via di fuga: il suicidio. Continuando con autori italiani, dall'ambiente underground Murubutu col suo rap ci parla di una stupenda storia d'amore durante la II guerra mondiale. In "La collina dei pioppi" i due protagonisti, Laura e Dino, si innamorano sulle colline. Dino entra presto nella Resistenza e quando i tedeschi arrivano in paese vive già in clandestinità da tempo; il suo impegno con la resistenza lo trattengono dal poter vedere Laura che pensa ai più disparati e disperati scenari per la loro storia d'amore. Ma dopo anni di attesa e tante maldicenze a suo conto un giorno di sole Dino ricompare, è sopravvissuto ad un campo di concentramento ed è tornato per lei, per recuperare il tempo perso in cui sono stati lontani. Poco prima di morire le dirà ciò che le disse una sera su quelle colline. Chiudiamo con i Neutral Milk Hotel e con loro concept album "In the aeroplane over the sea". Album che gira tutto intorno agli scritti di Anna Frank. Ovviamente si consiglia l'ascolto per intero dell'album. Tra le 11 tracce una delle più significative è sicuramente "Holland,1945". La canzone più rockettara dell'album e anche quella in cui più si sente la vicinanza ad Anna Frank e alla sua famiglia. Nella canzone si parla de "l'unica ragazza che io ho mai amato, nacque con le rose dentro gli occhi", queste rose, che prima o poi sfioriranno, rappresentano il forte legame che si viene a creare tra persone che mai si sono conosciute ma nonostante tutto riescono a provare le stesse emozioni e stanno l'una accanto all'altra. Andrea Guarrasi Van Gogh Painting Sunflowers - Paul Gauguin Il Foglio Pagina 4 Ambiente o genoma? Perché diversi se il DNA è uguale? Prevalgono i geni o l'ambiente in cui l'individuo si forma? Da sempre il mondo dei gemelli ha affascinato non solo noi, ma anche i più grandi scienziati, i quali da anni conducono esperimenti con lo scopo di capire se nella formazione di questi individui prevalga l'innatismo o l'esperienza. Alcuni studiosi sostengono che la nostra personalità sia innata, inclusa nel corredo genetico che ognuno di noi possiede; altri, invece, sostengono che si nasca come fogli bianchi e che tramite l'educazione, le esperienze e l'ambiente di crescita ognuno di noi formi la propria persona. A sostegno dell'innatismo Rowe, Scarr e McCartney studiarono casi di gemelli omozigoti cresciuti separatamente e notarono che le coppie presentavano numerose somiglianze, non solo a livello fisico ma anche caratteriale. Ne sono un esempio i gemelli Jim Lewis e Jim Springer, separati alla nascita e dati in adozione nel 1940. Si incontrarono per la prima volta all'età di trentanove anni, il nome Jim fu infatti dato loro in modo del tutto casuale dai genitori adottivi. Conosciutisi meglio scoprirono che entrambi si erano sposati ben due volte, la loro prima moglie si chiamava Linda, la seconda Betty. Entrambi da bambini avevano chiamato il loro cane Toy e i nomi dei loro figli erano James Allen e James Alan. Entrambi erano stati vice sceriffo, bevevano la stessa birra, fumavano le stesse sigarette e avevano avuto la stessa auto. Tuttavia a questi risultati ne seguirono altri che dimostrarono il contrario: coppie di gemelli eterozigoti cresciuti separatamente presentavano più somiglianze di quelli omozigoti cresciuti insieme. Condotti nuovi esperimenti si arrivò alla conclusione che gemelli omozigoti cresciuti in realtà e ambienti completamente diversi raramente presentavano somiglianze caratteriali e anzi, molto spesso, sviluppavano un modo del tutto diverso di percepire le cose. Turkheimer cercò di spiegare l'errore commesso facendo notare che i risultati dei quiz sottoposti da Rowe, Scarr e McCartney erano stati ottenuti tramite test a risposta multipla o aperta e che le risposte date potevano non essere del tutto vere: spesso erano infatti condizionate da un fattore di "desiderabilità sociale", si scriveva ciò che la gente voleva leggere. Oltretutto i quiz vennero sottoposti solamente alla scarsa minoranza delle famiglie che accettavano liberamente di contribuire al progresso della ricerca e quindi non interessava la totalità dei casi gemellari. I risultati erano quindi, da un punto di vista scientifico, non attendibili. Nonostante ciò ci furono psicologi, come ad esempio Susan Farber, che li rilessero sotto un'altra chiave. La Farber ipotizzò che era stato proprio l'ambiente ad aver reso i gemelli omozigoti separati alla nascita tanto simili. Sostenne infatti che persone con lo stesso corredo genetico, cresciute in ambienti simili seppur separatamente, reagiscono nello stesso modo all'ambiente esterno, ciò li porta a vivere le stesse esperienze e a formare quindi una personalità omologa. Analogamente si ipotizzò che gemelli cresciuti insieme tendono, invece, a creare personalità complementari e talvolta del tutto opposte, incoraggiati dai genitori che attribuiscono loro ruoli diversi. A dimostrare l'importanza dell'esperienza nella formazione della persona fu l'esperimento condotto il 10 Maggio 2013 dal politecnico di Dresda. Si dimostrò che esseri geneticamente identici, sottoposti ad esperienze differenti, sviluppano differenti neuroni. L'esperimento consisteva nell'esaminare per 3 mesi, 24 ore su 24, 40 coppie di topi inseriti in uno stesso ambiente pieno di stimoli. Esaminando i loro cervelli attraverso tecniche di diagnosi per immagini, si notò la presenza di nuovi neuroni in diverse aree dell'ippocampo. L'ambiente sembra quindi prevalere sui geni così tanto che, ammesso che la personalità sia già presente nel nostro genoma, la sua azione è in grado di alterare l'individuo a livello neurobiologico, mutandone, così, il patrimonio genetico stesso. Miriam Abbate, Adele Palazzolo Recensione film – American Sniper ”American Sniper” è un film diretto da Clint Eastwood che racconta la storia del cecchino Chris Kyle, tratta dal libro omonimo scritto dallo stesso Kyle. Il film racconta la sua vita: dopo alcune scene di vita familiare, viene narrato il percorso di Kyle dal suo arruolamento alle missioni. Le sue abilità non passano inosservate, facendolo diventare ben presto un eroe sia tra i compagni che tra gli americani. Mentre nel libro Chris vive tutte la guerra a 360 gradi, provandone lo stress post traumatico e successivamente adottando comportamenti violenti, cadendo nel baratro dell’alcolismo e rimanendo in Locandina American Sniper generale molto scosso dall’esperienza vissuta in Iraq, nel film vengono alleggeriti tutti questi aspetti, valorizzando l’eroismo e il patriottismo del protagonista. Ma torniamo alla trama: durante il periodo di addestramento, Chris conosce Taya, una giovane donna che diventerà sua moglie; la loro vita coniugale viene però interrotta dalle missioni intraprese dal protagonista, le quali lo allontaneranno da casa per parecchi mesi. Sul fronte, Kyle ha modo di conoscere l’orrore che caratterizza quei posti, una realtà troppo lontana da quella a cui era abituato. Si ritrova in situazioni difficili, nelle quali deve prendere decisioni che non sempre approva, sia che si tratti di sparare a dei bambini, che ricordano tanto i suoi figli, sia che si tratti di dover abbandonare i corpi dei suoi amici a causa di attacchi da parte dei nemici. Questo film ci ha fatto riflettere sulla situazione che stiamo vivendo in prima persona. Molti ragazzi spesso non si fermano a riflettere fin in fondo su questa realtà, limitandosi a pensare che la vera guerra sia qualcosa di lontano da noi, e che si limiti ad esplosioni e colpi di mitra. Questo film è riuscito a farci capire che la guerra non è così lontana come crediamo – soprattutto in questi ultimi mesi – e che si tratta di un’esperienza che ti segna, come dimostrato da Kyle. Alessia Modica, Chiara Scribano Pagina 5 Il Foglio Delizie da quattro angoli del mondo! Vi siete mai chiesti cosa si mangia nel resto del mondo il giorno di Natale? Siamo abituati a sentir parlare di pesce, maiale, focacce e panettone, ma cosa succede fuori dai confini dell’Italia? Uno dei pranzi natalizi più conosciuti è sicuramente quello inglese, in cui fa da regina l’anatra arrosto, talvolta sostituita dalla “bread sauce” (crema arricchita di pane secco), accompagnata dal pudding dello Yorkshire e dalle “chipoladas” (salsicce avvolte nel bacon), mentre il dolce caratteristico è il “Christmas Pudding”. La tradizione vuole che venga preparato la venticinquesima domenica dopo la Trinità, usando tredici ingredienti, che rimandano simbolicamente al numero di Gesù e dei suoi Apostoli e che venga mescolato da ciascun membro della famiglia in senso antiorario, per ricordare il percorso dei Re Magi. Inoltre, si usa inserire al suo interno una moneta, un anello o un ditale come portafortuna per chi se li ritroverà tra i denti, e chi non ne mangia almeno un pezzo è destinato a perdere un amico l’anno successivo! Il pudding affonda le sue origini nel lontano XIV secolo, quando si usava preparare un “porridge” bollendo carni di manzo e montone con uva passa, prugne, ribes, vino e spezie, ma qualche secolo dopo vennero aggiunti alla ricetta ingredienti come uova, liquori e pangrattato, che lo resero più denso e prese dunque il nome di “plum pudding”. Dopo essere stato bandito dalle tavole dai Puritani perché considerato un cibo “non adatto alla gente timorata di Dio” a causa dei suoi ingredienti, venne reintrodotto in epoca vittoriana con una preparazione pressoché uguale a quella moderna. Cambiando continente, immaginiamo di sederci a tavola con una famiglia di neozelandesi: le portate saranno soprattutto a base di carne, come maiale, agnello o tacchino. A dare il tocco finale e dolce al pranzo sarà l’elegantissima “Pavlova”, una torta di meringa con frutta e panna montata. La sua “paternità” è in realtà contesa tra Australiani e Neozelandesi, ma entrambi sono d’accordo nel riconoscere l’ispiratrice di questo dolce in Anna Pavlova. Descritta come una donna bella e leggiadra, era un delle più grandi ballerine degli anni Venti, famosa soprattutto per il suo ruolo nella “Morte del Cigno”, e nel 1926 fece un tour proprio in Australia e Nuova Zelanda: fu qui che uno chef di Wellington volle creare un dolce in suo onore, la cui consistenza ricordasse quella delle piume del suo tutù, e la cui forma irregolare ricordasse il modo in cui la Pavlova si “librava nell’aria come se avesse avuto le ali”. Torniamo di nuovo in Europa, ma questa volta nella fredda Polonia, dove il giorno della Viglia (Wagilia in polacco) molte famiglie restano a digiuno fino alla sera, quando viene consumato un pasto da dodici portate, per ricordare il numero degli Apostoli, tutte generalmente vegetariane. La cena ha inizio con il taglio del pane, simbolo di buon auspicio, e viene lasciato un posto libero a tavola per eventuali viandanti. I dolci tipici sono tre: il “Pierniki”, un dolce al miele a forma di stella, cuore o animale; l’ “Oplatek”, una pagnotta schiacciata con una figura natalizia sulla crosta che viene divisa con amici, vicini e parenti come simbolo di fortuna e perdono; la “Babka”, una torta lievitata spugnosa (preparata anche a Pasqua), che è diffusa anche in Romania, Albania e Russia. Le origini di quest’ultimo dolce si perdono nella leggenda, che vuole che la babka sia stata inventata da un re polacco dal nome impronunciabile, Stanislaw Lezczynski, durante il suo esislio a Konigsberg presso Guglielmo I di Prussia all’inizio della guerra di secessione polacca. Si narra che il sovrano, durante uno dei suoi scatti d’ira, abbia rovesciato una bottiglie di rum delle Antille su un dolce che il re del luogo trovava troppo asciutto, e abbia ottenuto una pasta molto morbida e profumata. Il nome babka potrebbe derivare a dal fatto che la forma di questo dolce ricorda le gonne delle nonne (il termine stesso vuol dire “vecchia nonna”), o potrebbe ispirarsi alla fiaba persiana “Alì babà e i quaranta ladroni”, perché preparato con ingredienti tipicamente orientali. Da questo dolce derivano il babà francese e quello napoletano. Come ultima tappa andiamo in Argentina, dove il giorno di Natale si consumano bistecche tagliate a quadratini e riempite con uova sode e spezie, accompagnate da champagne e una bevanda con frutta e sidro. Uno dei dolci più amati è il Roscon de Reyes (tipico anche della tradizione spagnola e preparato lì durante il giorno dell’Epifania), una grande ciambella con frutta candita. Le origini sono da ricercarsi nell’epoca romana, e in particolare nel II secolo a.C., quando a dicembre si organizzava una festa in onore di Saturno per celebrare la fine del lavoro nei campi. All’interno di questo dolce venne sempre messo un oggetto, che variò col passare dei secoli: inizialmente era un fagiolo, e chi lo trovava veniva nominato “re dei re” a avrebbe avuto un anno di prosperità, successivamente venne inserita una moneta d’oro e dopo ancora una statuetta raffigurante uno dei Re Magi (che sancì il legame di questo dolce con la tradizione cristiana). Oggi vengono generalmente inseriti due oggetti: un fagiolo o una fava e un Re Magio o una moneta. Chi trova il primo è lo sfortunato del gruppo ed è costretto a pagare il dolce, mentre chi trova il secondo ha il diritto di indossare la corona di carta che viene generalmente posta sopra il Roscon. Questo, tuttavia, è solo un piccolo assaggio delle tante, bizzarre, affascinanti tradizioni del mondo, perché a volerle scoprire una per una, non si finirebbe mai! Elena Fede Panettone tradizionale