1 L`Orso L`ispettore Zanatta percorse assieme all`agente di scorta il

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1 L`Orso L`ispettore Zanatta percorse assieme all`agente di scorta il
L’Orso
L’ispettore Zanatta percorse assieme all’agente di scorta il tratto di marciapiede che li
separava dall’ingresso del negozio e provò a spingere la pesante porta blindata. Chiusa. Pigiò sul
piccolo pulsante rosso subito a fianco, indicato da un’artigianale freccia adesiva con la scritta
“Suonare”. Un secco “Clac!” della serratura segnalò che l’accesso era stato sbloccato.
«Entriamo uno alla volta», disse Zanatta rivolto all’agente. Entrambi erano in borghese.
Il primo poliziotto si infilò nella bussola e attese che il sistema di sicurezza gli concedesse di
procedere. Alzò la testa, guardando dritto nella telecamera puntata verso di lui. Istintivamente si
riavviò i lisci capelli neri. Quindi, spingendo la seconda porta, si ritrovò all’interno.
C’erano parecchi clienti in quel momento, alcuni serviti dal personale al bancone, altri che
nell’attesa contemplavano le preziosità custodite sotto vetro. L’Apicoltura Valdastico, d’altronde,
era la migliore della provincia – forse addirittura della regione – per qualità e per varietà. Era
difficile non trovare ressa, in qualsiasi giorno della settimana.
«Buongiorno, mi dica». Una graziosa commessa si rivolgeva a una signora di mezza età.
«Vorrei delle perle. Sa, per un regalo».
«Certo. Guardi queste. Sono perle di Miele d’Acacia con copertura in gelatina morbida» e
mostrò un grande vaso trasparente colmo di piccole biglie. «Vede che bel giallo brillante? Se
invece preferisce un colore o un sapore più intenso abbiamo quelle al Castagno. Oppure, in
versione opaca, ne abbiamo di Erba Medica. È miele cristallizzato». Tirò giù un secondo
vaso da uno scaffale di legno. «Naturalmente, ci sono diverse misure».
Niente da dire. Erano i migliori.
L’ispettore si guardò intorno. Dentro alle teche e alle vetrine erano esposti i prodotti
dell’arnia. Vide favetti colmi di miele, boccette di propoli, vasetti di polline e di pappa reale,
tavolette e sculture di cera. Alcuni avevano accanto un cartellino con il prezzo. Il miele era il nuovo
oro, pensò. Dopo la celebre “Crisi Mondiale” che aveva sterminato le api, il valore di tutto ciò che
usciva dagli alveari era schizzato alle stelle. Colpa dell’inquinamento, degli insetticidi e di un
morbo che si era propagato sterminando gli sciami in ogni continente. Da quando il miele era
diventato un prodotto di lusso, c’erano state parecchie rapine ai danni delle apicolture, che si erano
dovute attrezzare come un tempo le oreficerie, per difendersi.
Zanatta attese con calma il suo turno, finché una delle addette non si fu liberata.
«Buongiorno. Desidera?».
«Buongiorno. Vorrei parlare col titolare», disse, esibendo con un gesto discreto il suo
distintivo.
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«Oh. Sì, certo». La commessa si girò intorno, leggermente a disagio. «Ora è impegnato con
dei clienti, ma lo avviso subito. Le chiedo di pazientare solo un po’».
La ragazza si avvicinò a un signore basso e tondo, con un gran paio di baffi, che stava
presentando della mercanzia a una coppia. Sussurrò qualcosa all’orecchio dell’uomo che annuì e si
girò sorridendo, guardando in direzione dell’ispettore. Finalmente, Zanatta lo vide congedarsi dai
clienti soddisfatti per venirgli incontro.
«Toni Valente. Buongiorno», si presentò il baffone, sfoggiando un cordiale sorriso e
stringendo la mano al poliziotto. Portava un cappello di paglia ed una camicia di lana a
quadri. Strano abbigliamento per un negozio di preziosi.
«Ispettore Zanatta, piacere».
«Venga con me. Andiamo sul retro, così possiamo stare tranquilli». E così dicendo, Valente
sollevò una parte mobile del bancone e fece strada all’agente che lo seguiva.
I due si infilarono in un corridoio stretto e poco illuminato. Dopo un paio di svolte
raggiunsero il laboratorio, ingombro degli smelatori e del resto dell’attrezzatura necessaria.
«Prego, si accomodi», lo invitò l’apicoltore, e indicò una delle sedie accanto a un tavolino,
su un lato della stanza. «Gradisce un caffè?».
«Grazie».
«A cosa devo la sua visita, ispettore?».
«Sono venuto per avvisarla. Da un’intercettazione che abbiamo ricevuto, pare che stiano
organizzando un furto ai suoi danni».
«Oh!», esclamò Valente facendosi serio.
«Ha notato qualcosa di strano, di recente? Movimenti di persone sospette?».
«No… non mi pare», rispose l’uomo, accigliato. Poi, riprendendosi e ritrovando il sorriso:
«ma abbiamo installato ovunque allarmi e telecamere. Non credo che corriamo pericolo».
«Sì, entrando l’ho notato. Si dà il caso, però, che a volere il vostro miele ci sia L’Orso».
«Oh!», esclamò nuovamente l’uomo rotondo, diventando improvvisamente pallido.
L’Orso era famoso. Era una specie di Arsenio Lupin del miele. Aveva fatto sparire pregiate
produzioni da luoghi ritenuti inviolabili, lasciando ogni volta la sua firma: l’impronta di un
plantigrado stampata sul muro. Come il suo omologo letterario, si distingueva per i metodi raffinati
e per una abilità fuori dal comune nel furto. Le polizie di mezzo mondo gli stavano alle calcagna,
ma senza risultato.
«Possiamo fornirle tutto il nostro aiuto. In cambio, le chiediamo di collaborare con noi per
acciuffarlo».
«Capisco. Dovrei essere una specie di esca?»
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«Una cosa del genere».
Valente rimase per un po’ in silenzio. Pensieroso.
«E quando credete che agirà?».
«Ancora non sappiamo. Ma le nostre fonti indicano che non si trova molto lontano da qui».
Per la prima volta, l’uomo col cappello di paglia sentì un brivido. I peli dei baffoni si
rizzarono.
«Siete sicuri? La nostra apicoltura è fiorente, ha un buon giro, ma è piccola. Niente a che
vedere con le famose Mielerie Turche o Brasiliane».
«Sì. Sospettiamo che “Orsenio Lupin”… lo chiamiamo anche così, certe volte. Sa, per
assonanza», aggiunse l’ispettore vedendo l’espressione perplessa dell’altro. «Dicevo:
riteniamo che a lui interessi un vostro prodotto in particolare».
Zanatta fece un’altra pausa.
«Ci risulta che siate gli unici ad avere il Miele di Corbezzolo Dolce di Rocca».
«Oooh certo!», si illuminò l’ometto. «Ne siamo molto orgogliosi. Una produzione minima,
si intende. È estremamente complicato far succhiare quel nettare. I fiori si schiudono in
autunno, all’imbrunire. Abbiamo addestrato alcuni sciami appositamente per riuscirci».
«Un bell’impegno».
«Sì. Ma ne valeva la pena». Valente ora si stava infervorando. «Abbiamo ottenuto un tesoro
che possiamo vendere al prezzo che vogliamo. E a parte questo, lei neanche si immagina il
sapore sublime di quel miele!».
«Hmmm. È comprensibile quindi che susciti un interesse speciale… Immagino che un
prodotto così prezioso non sia esposto in bellavista».
«No, naturalmente. È conservato in un armadio blindato e refrigerato. Lo vendiamo col
contagocce, a clienti esclusivi».
«Ottimo. Ecco, io vorrei chiederle di applicare anche questo sensore al contenitore del
miele». Zanatta estrasse dalla tasca una specie di bottone scuro. Era largo e piatto. Il
poliziotto lo sfiorò con il pollice e quello diventò di un rosso tenue per poi tornare al colore
originale. «Nel caso in cui L’Orso riuscisse ad eludere le altre sicurezze, cosa assolutamente
plausibile visto con chi abbiamo a che fare, potremo seguire questa traccia. Le posso
spiegare come attivarlo».
«Oh, certo, certo. Andiamo».
L’ispettore imboccò a ritroso il corridoio per uscire. Si girò un attimo a guardare Toni
Valente che rimaneva nel retrobottega.
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«Grazie, signor Valente. La sua disponibilità è stata davvero preziosa. Ci vediamo presto».
Si affacciò nel negozio, dove l’agente di scorta lo attendeva in un angolo. Salutò con un
cenno la commessa che lo aveva aiutato. Poi i due uomini si infilarono nella bussola e sparirono.
Dopo una ventina di minuti, Zanatta era di ritorno. Aveva un cipiglio serio. Come poco
prima, varcò la bussola e si guardò brevemente intorno. Poi, senza attendere il turno andò diritto
verso il primo addetto al di là del bancone.
«Ispettore Zanatta», disse burbero, mostrando il distintivo.
«Ah… Toni è ancora là dietro, in laboratorio. Dovete parlarvi ancora?».
Zanatta sbiancò:
«Come sarebbe a dire “parlarvi ancora”? Sono arrivato adesso».
Il poliziotto e due commessi si precipitarono nel retrobottega, dove trovarono Toni Valente
imbavagliato e legato come un salame. Naturalmente, un rapido controllo all’armadio blindato
rivelò che del Miele di Corbezzolo Dolce non c’era più traccia.
«Maledetto Orso! Ci ha fregato un’altra volta», ringhiò Zanatta.
«Il colpo all’Apicoltura Valdastico si potrebbe definire un classico esempio di “furto con
destrezza”, giusto ispettore?».
Il giornalista avvicinò il microfono al poliziotto, che si apprestò a rispondere riluttante, sul
volto un’espressione visibilmente scocciata.
«Sì. Confermo che non ci sono state effrazioni. Né feriti».
«Si dice che, per introdursi nel laboratorio, il malvivente abbia usato una maschera
prendendo le sembianze di uno dei vostri agenti. Conferma?»
«No comment. Stiamo ancora completando le indagini».
«Capisco. Comunque la firma non lascia dubbi sull’autore del misfatto: L’Orso. Pare che
questo ladro sia inafferrabile. Pensa che agisca su commissione?».
«Anche su questo stiamo valutando alcune ipotesi, ma sono coperte dal segreto istruttorio».
«Sarebbe interessante capire dove va a finire tutta la refurtiva».
Il sole è appena sorto su una caletta nel sud della Sardegna. Sul terrazzo vista mare di una
villa, il tavolo è imbandito per la colazione. L’aria è fresca e piena di profumi. L’Orso, il ladro più
ricercato del pianeta, fa colare miele raro da un bastoncino di legno su una larga fetta di pane cotto a
legna. Spalma con cura il fluido ambrato e poi addenta con voluttà. Mai gustato un miele tanto
sublime.
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