IL SENSO DELLA CURA Coordinate culturali e storiche del concetto

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IL SENSO DELLA CURA Coordinate culturali e storiche del concetto
I QUADERNI DI 6MEMES
IL SENSO DELLA CURA
Coordinate culturali e storiche
del concetto di malattia.
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Introduzione
Non sempre – e non dappertutto – il concetto tutto umano di
malattia, così come quello di cura, ha avuto uguale genesi né
seguito la medesima filosofia interpretativa, e nemmeno ha
individuato le stesse patologie.
Se vogliamo dirla tutta, certe malattie, in alcune culture, sono
state considerate addirittura come segno di una
manifestazione divina o comunque spirituale, e dunque non
necessariamente negative. C’è stato inoltre, e agli antipodi, l’esempio
di Sparta, in cui chi non era in perfette condizioni fisiche o mentali
faceva un salto giù dalla rupe…
Senza andare oltre nel citare quelli che sono per un certo verso
luoghi comuni, è infine evidente come la “malattia”, in ognuno
dei suoi molteplici sensi, è una prova cui ciascun singolo e
ogni collettività sono prima o poi sottoposti, con l’avvento di
patologie sempre nuove e, a volte, fatali o comunque
pandemiche. Tanto vale affrontare tali prove con alcune conoscenze
in più in questa materia, confidando – se possibile – di mantenere
l’esperienza solamente a livello “virtuale”. :-)
Procediamo quindi in un breve, ma interessante viaggio nel
tema della malattia e della salute, gettando lo sguardo oltre
i confini della nostra cultura e verso i molteplici approcci alle
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cure, anche quelle che ci prospettano le nuove incombenti
tecnologie.
Questi gli argomenti che tratteremo:
01. Premessa
02. L’influenza delle malattie nella storia dell’Uomo.
0.3 Le cure del corpo: tradizionali, alternative e naturali.
0.4 Le cure della mente: diagnosi e terapie organiche e funzionali.
0.5 Epidemie, pandemie e zoonosi.
0.6 Conclusione
07. Sitografia
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'
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Premessa
Come approcciarsi in maniera indiretta – sempre e
comunque in punta di piedi, vista la sensibilità
dell’argomento – al tema della malattia e della sofferenza, in
una parola sola al concetto di “male”?
Quello che proponiamo è innanzitutto uno spunto
linguistico: l’origine stessa della parola male che –
avverbio o sostantivo – viene dal latino măle, a sua
volta da mălu(m) che propriamente vale “cattivo”.
Ed è “sintomatico” che la parola mescoli sin dal suo
passato le proprie accezioni etiche e morali – ovvero
qualcosa di dannoso, non giusto, o imperfetto – a
quelle assai più concrete della sofferenza e del
dolore fisico o psicologico.
Del resto, la sofferenza e il dolore – del corpo o della
mente che siano – sono da sempre collegati a
un’assenza di equilibrio o a uno scompenso di
energie in alcune culture, o peggio ancora a una
colpa, quando non sono addirittura e apertamente
classificati come la conseguenza di un peccato come nella
tradizione dell’Antico Testamento. Questo, sino all’avvento
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di Cristo, almeno. Da lì in poi, infatti, la sofferenza fisica è
stata anche prova possibile di redenzione, via crucis da
attraversare per raggiungere la salvezza, individuale o
collettiva che fosse…
Dove vogliamo arrivare con questa introduzione? Al fatto
che, anche su un tema tanto delicato e denso di significati,
basta spostare il punto di vista – o rendere più sottili
o più spesse le lenti del nostro sguardo – per
cambiare non solo ciò che fissiamo, ma anche tutto
l’orizzonte su cui il tema stesso si mette in primo
piano. Nemmeno la malattia, insomma, può essere
ricondotta a un mero stato oggettivo, descrivibile
con categorie universali, date una volta per tutte.
Tanto che nel mondo anglosassone lo stesso
concetto è descritto con parole diverse a seconda
della prospettiva da cui lo si contempla.
Se illness è la malattia nella percezione del malato stesso,
sickness ne è la valutazione da parte della società, mentre
disease è la sua descrizione medica e clinica.
E se dunque i legami tra salute del corpo e della mente –
nonché le implicazioni collettive o sociali della malattia –
coinvolgono fattori molto complessi e interconnessi,
un’altra definizione ci viene in soccorso, quella di
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salute secondo l’Organizzazione Mondiale della
Sanità, che pone il focus su un concetto di salute che va al
di là della “semplice assenza di malattia”, ma viene
descritta piuttosto come uno “stato di completo
benessere fisico, psichico e sociale”.
Un punto può allora orientare la nostra riflessione:
progressivamente, nel mondo occidentale almeno – e
fortunatamente aggiungiamo noi – la storia della
medicina è stata ed è anche la vicenda del cammino
verso la laicizzazione della malattia e di
conseguenza della cura. Vediamo dal prossimo
capitolo come.
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comune: società e relazioni
'02 Mal
umane alla prova della malattia
All'inizio del nostro elaborato, abbiamo anticipato come i
temi della sofferenza e del dolore, e anche la coppia
antitetica salute-malattia, trovino nello specchio sociale
un riflesso differente rispetto alle loro percezioni ed
esperienze individuali o mediche.
Approfondiamo ora questo aspetto, interessandoci
all’azione incisiva delle malattie sul tessuto sociale,
che si verifica quando la loro portata trascende i destini
individuali per divenire fenomeno collettivo, come nel caso
di epidemie e pandemie, o quando le malattie – anche non
necessariamente di natura infettiva – si impongono
comunque con una virulenza simbolica tale da incrinare le
relazioni e modificare i costumi stessi all’interno della
compagine sociale.
Se gli uomini in passato combattevano contro una mortalità
e una morbilità diffuse, accadeva inoltre che periodicamente
si registrassero delle fasi di violenta diffusione delle
malattie, causate da condizioni igieniche e socioeconomiche precarie e ovviamente dilaganti per l’assenza di
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strumenti farmacologici di contrasto. Si trattava di anche
lunghissimi periodi di insistenza delle malattie con drastici
effetti sulla popolazione e sull’organizzazione delle società e
con riduzioni demografiche spaventose. Occorre registrare
poi che questa pressione delle malattie sulle società antiche
può essere letta anche come una sorta di tragico
setaccio evolutivo che comportò un paradossale
rafforzamento degli esseri umani, per la sopravvivenza dei
soggetti geneticamente più predisposti a resistere, secondo
un fenomeno che è stato definito come “coevoluzione”.
Se ne potrebbero citare innumerevoli esempi, dal
misterioso morbo che colpì Atene nel 430 a.c., fino ai
casi resi celebri da tante pagine della letteratura,
come la peste nera che giunse in Europa dall’Asia, tra il
1347 e il 1350, e che è la cornice all’interno della quale
Boccaccio ambientò e fece scaturire il Decameron. Quella
orribile epidemia di peste costò la vita, si stima, a 50 milioni
di persone collocandosi così fra le più mortali malattie
infettive mai sopportate dall’umanità. E sempre la peste,
quella diffusa in Europa nel XVII secolo, è la protagonista di
alcune delle pagine più dolorose dei Promessi sposi di
Manzoni.
Furono momenti in cui la malattia divenne paradigma
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stesso del male morale e della corruzione sociale,
mostrando gli aspetti più odiosi delle relazioni fra gli
individui, seppur ricorrenti in ogni simile circostanza,
rivelandone l’abiezione e la perdita di dignità. Ad esempio
nel ricercare un colpevole e colpire così l’untore, la strega,
l’avversario politico o religioso (in Germania nella peste
nera del XIV secolo furono gli Ebrei ad esserne accusati), e
nell’incrinare i rapporti anche famigliari per paura del
contagio. O ancora nelle reazioni all’orrore della malattia sia
con comportamenti di fanatica spiritualità che al contrario
di relativismo morale.
Spesso poi queste epidemie avevano un effetto anche
più generale sui sistemi sociali, determinandone dei veri
e propri riassetti per le conseguenze economiche e
produttive causate da così gravi terremoti demografici,
come appunto accadde per la citata peste nera.
Venendo ai giorni nostri, nel mondo occidentale, grazie al
progresso della scienza medica, con la scoperta e l’utilizzo
di antibiotici, penicilline, vaccini, e con il miglioramento delle
condizioni igieniche, economiche e culturali, molte
malattie di natura endemica ed epidemie infettive
sono state scongiurate, nonostante si possano registrare
casi isolati o fenomeni di diffusione locale dovuti
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all’esposizione della nostra società a movimenti migratori e
ai rischi degli scambi commerciali o della mobilità delle
persone in un mondo globalizzato.
E se lo stesso non si può dire per paesi di altre aree del
mondo (si pensi ad esempio alla recente epidemia di ebola
in Africa), tuttavia anche il mondo occidentale postbellico ha
conosciuto e conosce la diffusione di malattie di
notevole impatto sulla società e sul comportamento
degli individui, come ad esempio l’AIDS.
Ma non sono sempre solo le malattie infettive – nella forma
di epidemie o pandemie – a provocare cambiamenti nel
comportamento sociale delle persone. Fanno altrettanto
malattie determinate invece da un mix di fattori
diversi, tra cui quelli genetici e ambientali, come le
malattie cardiovascolari o le numerose forme di cancro, le
principali cause di morte in Italia: veri e propri flagelli
contemporanei le cui cause in parte si rintracciano proprio
anche in quella modernità che invece per altri versi ha
contribuito a sconfiggere le malattie del passato.
Pensiamo alle controindicazioni che ha comportato
un’alimentazione più ricca, con lo sfruttamento intensivo
delle coltivazioni e degli allevamenti e alla loro incidenza
sull’insorgere di malattie, come – per fare un esempio – il
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cosiddetto morbo della mucca pazza, balzato agli “onori”
delle cronache qualche anno fa. Malattie che suscitano nei
cittadini più sensibili e nelle politiche delle istituzioni, la
spinta a modificare gli stili di vita, adottando
un’alimentazione più sana, rispettando gli equilibri ambientali
e contrastando l’inquinamento, abbracciando come salutari
le attività sportive e respingendo pratiche dannose come il
fumo, bandito dai luoghi pubblici e di fatto oggetto anche di
una decisa riprovazione sociale.
E qui il discorso potrebbe portarci davvero lontano, verso
fenomeni differenti, ma anche strettamente connessi al
concetto attuale di salute e benessere, come i movimenti
vegano e vegetariano che paiono delineare nuovi scenari
sociologici e in cui all’elemento etico, di notevole peso, è –
ci pare – indissolubilmente intrecciato quello della difesa
dalla malattia e della preservazione della propria integrità
corporea.
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L’armonia della cura: medicine
alternative e complementari
A proposito di malattia e cura, abbiamo sviluppato la nostra
rubrica sulla medicina in prospettiva culturale, di cui fa parte
anche questo articolo, intorno al concetto cardine della
loro variabilità.
Volendo introdurre una terminologia tecnica, presa a
prestito dall’ambito linguistico, potremmo parlare di una
relatività che si manifesta in senso diacronico
(ovvero nel tempo), diatopico (ovvero nello spazio), e
diastratico (ovvero nel plurimo riflesso sociale della
malattia e del modo di affrontarla e gestirla da parte degli
attori in causa).
E proprio alla luce della variabilità sia diatopica che
diacronica, ancora una volta il tema che affrontiamo
oggi esige una piccola premessa disambiguante.
Parliamo infatti delle cosiddette CAM, ovvero le
medicine alternative e complementari, in opposizione
alla medicina tradizionale. Ma parlare di medicina
tradizionale vuol dire di fatto assumere il punto di vista di
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una precisa linea storica. Prendiamo ad esempio la medicina
cinese e l’agopuntura. Se per noi rientrano nel novero,
complesso e articolato, delle medicine alternative, per i
cinesi è proprio la nostra medicina – tradizionale per noi
perché frutto (e tuttora oggetto) di secolare messa a punto
metodologica – ad essere medicina alternativa, quanto
meno di importazione, occidentale appunto.
Dichiarato allora l’orizzonte d’osservazione, partiamo
all’esplorazione – almeno panoramica – di questo universo
di cure alternative, rimanendo intanto nell’ambito della
medicina cinese, forse la più nota anche perché frutto di un
sapere millenario, e anche indirettamente riconosciuta
dal Nobel, assegnato a una ricerca contro la malaria che
partiva appunto da precetti della medicina classica cinese.
È di questi giorni la notizia che in Cina il governo ha
definitivamente vietato di commerciare e cibarsi di animali e
piante protette. Poiché il divieto riguarda elementi naturali
utilizzati nella preparazione dei rimedi (ossa di tigre e pelle
di manta, per fare qualche esempio) gli operatori del
settore, come produttori e medici, ma anche i pazienti,
hanno sollevato aspre critiche e contestazioni. Tuttavia,
secondo questo articolo, se è vero che la medicina
tradizionale riguarda milioni di cinesi delle aree rurali, “i
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cinesi in realtà hanno già consumato lo storico strappo: da anni
sono in fuga dalla medicina tradizionale, diretti in massa verso i
farmaci chimici importati dall’Occidente”, compreso un deciso
calo del fatturato interno, ma anche dell’export.
E veniamo al punto, ovvero alla medicina alternativa
a casa nostra. Accanto alla medicina cinese, sono
moltissime le pratiche e i rimedi inseribili in questa
categoria, definita anche integrativa e
complementare, perché in realtà spesso usata in modo
non esclusivo, ma in aggiunta o in temporanea alternanza
alla medicina e ai farmaci della nostra tradizione, anche a
seconda del disturbo da curare o da prevenire. Senza
avviare una disamina delle varie medicine e metodi di cura,
si può intanto fissare a contrario il tratto fondante la
medicina occidentale, definita anche convenzionale e
scientifica. Ovvero il suo derivare dal quel metodo
sperimentale in cui affonda la sua radice la scienza moderna
e che nello specifico clinico e sanitario prevede la verifica
dell’azione di terapie e farmaci secondo le procedure della
sperimentazione clinica controllata.
Come si possono invece classificare e definire le
varie medicine alternative? Intanto vi rientrano pratiche
antiche, come ad esempio l’agopuntura e la fitoterapia, e
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altre che sono relativamente moderne (ad esempio
l’omeopatia).
Alcune prevedono rimedi strettamente naturali,
altre uniscono l’azione su corpo e mente insieme,
come l’agopuntura. Altre ancora prevedono la
manipolazione corporea, come la massoterapia e
l’osteopatia. Ma tutte sfuggono a una fissazione in
termini scientifici e sperimentali, essendo la verifica dei
risultati tuttalpiù di natura empirica, basata cioè sulla
consuetudine dell’osservazione. Anche perché si tratta per
lo più di cure e metodi in cui è rilevante la differenziazione
della risposta dei singoli individui e in cui spesso agisce
anche il rapporto di fiducia e di dialogo che si instaura con il
medico o comunque colui che somministra la cura.
Tuttavia la distanza tra la medicina tradizionale e
quella alternativa non è radicale, né definita una
volta per tutte. L’utilizzo nella farmacopea di principi attivi
di estrazione vegetale è un fatto assodato, per fare
l’esempio più evidente, così come l’utilizzo di pratiche quali
l’agopuntura o la manipolazione muscolare o osteopatica in
associazione ai farmaci o in alternativa ai farmaci.
A questo proposito in Toscana si trova il primo
ospedale italiano in cui i pazienti possono trovare
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tanto le cure classiche che quelle alternative,
affidandosi a fitoterapia, omeopatia, agopuntura e
medicina cinese. La Regione Toscana risponde così a
un’esigenza di conciliazione nelle cure che viene anche dalla
cittadinanza.
Secondo una recente ricerca diffusa in occasione della
Giornata Internazionale della Medicina Omeopatica, l’80%
degli Italiani sa cosa è l’omeopatia. La usa
regolarmente il 4,5%, almeno una volta all’anno il
20%. Ed ecco l’elemento diastratico: sono soprattutto
donne gli utilizzatori, e di istruzione superiore. Mentre l’area
geografica regionale prevalente è il Nord Ovest. Anche i dati
sull’uso sono interessanti: gli Italiani usano i medicinali
omeopatici per evitare effetti collaterali e perché li
considerano efficaci per disagi più lievi.
L’Italia, che si colloca terza per uso delle cure omeopatiche
in Europa, dopo Francia e Germania (mentre nel continente
sono cento milioni coloro che si affidano a queste cure),
attende però ancora una definizione della normativa,
nonostante le politiche avviate da alcune Regioni (oltre alla
citata Toscana, anche Emilia Romagna, Lombardia e Lazio).
Insomma la materia è complessa e controversa, e
come sempre in questi casi si possono configurare
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anche eccessi pericolosi, quando si intendano queste
cure come integralmente sostitutive della medicina
scientifica o quando ci si affidi a un fai da te
inopportuno, soprattutto in presenza di malattie o
disturbi non banali. Certo è che il ricorso a questo tipo
di cure rivela il bisogno di una cura più attenta all’organismo
come un tutto armonico, l’esigenza di una maggiore
naturalità, la preoccupazione per cure troppo aggressive o
foriere di effetti collaterali, e infine la necessità di trovare
nel medico un ascolto personalizzato. Tutti aspetti che
anche una contemporanea medicina tradizionale e
scientifica non può tralasciare.
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04
Conosci te stesso:
i labirinti della mente
Dopo aver parlato della malattia e della cura del corpo sul
piano sostanzialmente fisico, continuiamo il nostro viaggio
narrativo intorno alla medicina, in prospettiva storicoculturale, affrontando il tema misterioso e affascinante
dei meccanismi della psiche.
Non ne parleremo con pretesa di approfondimento,
essendo una materia troppo delicata per il perimetro del
nostro blog, ma – senza affrontare gli aspetti più dolorosi (e
talvolta tragici) della malattia mentale – ci soffermeremo
invece brevemente su come, nel tempo e fino ad oggi,
le comunità scientifiche e le società ne hanno
affrontato i vari aspetti. E lo faremo alla nostra maniera,
attraverso quella forma di condivisione della conoscenza
rappresentata, appunto, dalla narrazione.
A tal proposito ci facciamo soccorrere dal motto utilizzato
nel titolo. L’antico Nosce te ipsum – del tempio di Apollo a
Delfi, che faceva riferimento, secondo gli studiosi, alla
finitezza dell’essere umano e ai suoi limiti – potrebbe
essere reimpiegato oggi, come esortazione a una maggiore
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consapevolezza del sé, anche a fronte dell’incertezza
esistenziale che indubbiamente caratterizza il nostro
tempo. È perfino banale ricordare come ansia e
depressione, fobie, attacchi di panico, comportamenti
compulsivi, siano una “malattia” del nostro tempo. E
che tale loro incremento sia legato anche al venire sempre
più meno di quella rete di sostegno – sociale, religiosa o
politica, a seconda delle epoche storiche – che abbracciava
gli individui in un contesto assai più ampio della loro
soggettiva finitezza e li guidava attraverso un sistema di
valori, proprio come un faro nella tempesta.
Non è un caso insomma che – con il delinearsi della civiltà
contemporanea – si sia determinata anche una crescente
sistematizzazione della psicologia come disciplina medicoscientifica, con le varie scuole e le molteplici filosofie della
cura. Un bisogno di cura del disagio psicologico non solo
sempre più evidente e inerente una parte significativa della
popolazione, ma rispetto al quale la società stessa ha
maturato una risposta non soltanto clinica, ma
rispettosa dell’individuo e dei suoi diritti.
Fra i diversi modi di guardare al problema, tra cui
l’organico (il disagio e la malattia come frutto di un
problema fisiologico, da curare come tale) e il dinamico
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(la malattia è frutto invece di forze psichiche contrastanti),
citeremo qui quello forse più noto, divenuto per così dire
paradigmatico, ovvero la psicoanalisi freudiana con il
suo corredo iconografico della terapia: l’analista e il suo
famigerato lettino, i sogni da interpretare, il vissuto da
dipanare…
Stereotipi che popolano tanti libri e film, fino a divenire
parodia e nascondere perfino in taluni altri casi una vena
critica per certi compiacimenti e ripiegamenti borghesi sul
sé interiore. Pensiamo ad esempio alla sottile ironia di un
personaggio come lo Zeno di Svevo, o agli stralunati
nevrotici del cinema di Woody Allen.
Insomma, il panorama del mondo della “malattia”
connessa alla sfera psicologica meriterebbe
definizioni e distinguo, anche sociologici, per tacere di
quelli semantici della terminologia da usare, su cui qui non
possiamo che sorvolare.
E arriviamo così, per concludere, a un rapido sguardo
sull’oggi, con i tanti filoni e scuole di pensiero che si sono
sviluppati, dove l’attenzione non è più centrata solo
sull’interiorità dell’individuo, ma è di volta in volta rivolto
all’indissolubile intreccio di corpo e mente, oppure
all’ambiente e al sistema di relazioni in cui si è
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formato ed è immerso il singolo, al suo comportamento,
più che al suo inconscio.
Anche se occorre considerare come in realtà, proprio per
la complessità dei fenomeni e delle persone che li vivono, la
cura non può che essere differenziata e mista, con il
ricorso anche ai farmaci, ad esempio per superare le fasi
acute della sofferenza.
Dopo questa lunga divagazione torniamo dunque all’iniziale
“conosci te stesso”… ci piace infatti ricordare una
specifica pratica di cura, chiamata mindfulness, che
viene accostata anche ad antiche pratiche meditative.
Pratica che focalizza non più il vissuto e l’inconscio come
origine nascosta della sofferenza da riportare alla luce per
risolvere le difficoltà esistenziali, ma il qui e ora da
affrontare con gli strumenti della consapevolezza e
dell’accettazione di sé.
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05
Un’Arca di Noè a rovescio: uomo,
animali e zoonosi.
Iniziamo ora l'ultimo capitolo del nostro viaggio narrativo
nella storia della medicina e delle malattie, a varie latitudini
e longitudini storico-culturali. Abbiamo già affrontato il
tema dell’impatto della malattia sulla società parlando
soprattutto di epidemie e pandemie. Ci riallacciamo a
quell’argomento, approfondendone un aspetto specifico.
Partiamo, come sempre facciamo, dal significato dei termini
pertinenti. Spillover è un termine inglese che letteralmente
significa “traboccamento”. Tra le accezioni, è usato anche in
ambito “sanitario” per indicare il salto di un agente
patogeno da un animale all’uomo. Si tratta dunque di
un momento puntuale nell’evoluzione della malattia che,
faticosamente e al prezzo di lunghe ricerche, talvolta gli
scienziati riescono a ipotizzare con una certa precisione.
“Spillover” è anche il titolo di un fortunato libro (che qui
usiamo come principale fonte) scritto dal giornalista
americano David Quammen e pubblicato in Italia da
Adelphi.
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In questo corposo volume il giornalista compie un
intrigante – e per certi versi spaventoso – viaggio
attraverso quei particolari tipi di malattia che possono
essere incasellati fra le zoonosi, ovvero morbi di origine
animale che, per varie ragioni e con complesse modalità,
dall’animale passano all’uomo, e dall’uomo ad altri uomini,
spesso anche attraverso passaggi animali intermedi. Il
“fascino” dell’articolata ricerca di Quammen sta nel suo
delinearla come una sorta di avventuroso romanzo, dai
contorni quasi di giallo o spy story, mentre segue le
vicende umane delle comunità esposte ai morbi, le
sconfitte e le vittorie nella ricerca degli studiosi che a
vario titolo si sono occupati di malattie come Ebola, Sars,
AIDS.
Abbiamo citato casi eclatanti, tutte malattie che hanno
avuto diffusione epidemica e pandemica. Questo perché è
un dato di fatto che molte epidemie e pandemie
sono causate (nel passato e oggi) da malattie
infettive di origine zoonotica.
La peste bubbonica che ha scatenato cicliche epidemie da
milioni di morti, ad esempio, non è stata compresa nei suoi
meccanismi di diffusione fino ad epoca relativamente
recente. Solo a partire dal XIX secolo infatti se ne è
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cominciato a scoprire l’iter, dai ratti all’uomo, attraverso le
pulci. Anche l’AIDS rientra nel novero di queste malattie.
Lo spillover dell’AIDS pare infatti essere stato individuato
nel passaggio da uno scimpanzé all’uomo, addirittura nel
lontano 1908 nel Camerun sudorientale, da cui poi
avrebbe impiegato diverse decine di anni e compiuto
tortuosi percorsi per manifestarsi con tutta la sua
virulenza – quando se ne sono presentate le condizioni –
negli Stati Uniti degli anni ’80 del secolo scorso.
I come, quando e perché avviene uno spillover – e le
ragioni di un’espansione epidemica di una determinata
zoonosi – non sono certo facili da rintracciare, ma
sembrano risiedere negli articolati rapporti tra l’uomo
e la natura. Hanno a che fare dunque anche con aspetti
ecologici ed evoluzionistici.
Non è un caso che queste malattie sembrano destinate a
proporsi nella nostra epoca in un modo sempre più
violento, a dispetto delle nostre conoscenze scientifiche e
mediche, e delle migliorate condizioni di vita in tanta parte
del globo. In questo articolo da nature.com si legge
come le zoonosi, sebbene siano il 15% della totalità degli
agenti patogeni umani, costituiscano il 65% di quelli
scoperti dagli anni ’80 del Novecento. Al punto che la
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comunità scientifica si attende un Big One proprio
come si fa con i terremoti: la prossima imprevedibile e
temuta manifestazione di un’emergenza pandemica.
I fattori di pericolosità e rischio in campo sono molti, tra
cui il fatto che si tratta spesso di malattie di origine
virale (contro cui nulla possono farmaci come antibiotici
e penicilline) e imprevedibili, perché capaci di rimanere
silenti in un ospite animale a lungo per poi manifestarsi
secondo percorsi ogni volta differenti, quando appunto i
“tempi” sono maturi.
Insomma lo sfruttamento di territori naturali
come le foreste, il nostro modo di trattare e
commerciare animali selvatici, le nostre abitudini
alimentari e i conseguenti allevamenti intensivi di animali, la
densità di popolazione, hanno un ruolo determinante
nell’insorgere di queste malattie.
Alla loro diffusione contribuisce poi la dimensione globale
dei commerci e dei traffici, lo spostamento delle persone,
perfino il cambiamento climatico con il distribuirsi in aree
geografiche inconsuete di talune specie, come le zanzare
tropicali.
Come in passato – quando furono studiate le modalità
di diffusione delle malattie con modelli matematici – così
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oggi la risposta pare sia da affidare al rigore e alla
perseveranza della ricerca, cui sono preposti molti
organismi ed enti globali e nazionali in materia di sanità
pubblica. È un lavoro lungo, fatto di inciampi e mille tessere
da combinare, quello di questi studiosi: lo scopo è cercare
di prevedere almeno in parte i fenomeni o comunque farsi
trovare preparati, dotati degli strumenti giusti per
affrontarli e gestirli.
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Conclusioni
L'esperienza della malattia e quella della cura mutano nello
spazio e nelle culture, oltre che se osservate da un punto di vista
storico. Anche perché l’esperienza della malattia e del dolore
invade il vissuto delle persone e agisce nella società, come
illustra la lezione di un grande protagonista della cultura italiana, da
poco scomparso, Umberto Eco, che in una sua lectio magistralis
sul tema del dolore parla di “educazione culturale al dolore”
sottolieando come “la cultura alza le soglie della sofferenza”.
L'innovazione e la tecnologia possono e forse devono – pur
con tutti i rischi presenti – andare anche in questa direzione.
Un esempio potrebbe esserne questa mappatura dei vari tipi di
specie animali ospite, in rapporto alla popolazione umana, che
potrebbe aiutare a evidenziare i luoghi a rischio di sviluppo di una
zoonosi. Non solo dati dunque, ma Big Data.
Nell’emergenza in corso del virus Zika – per fare un altro esempio –
Google, oltre a un più ovvio supporto informativo, ha messo a
disposizione i suoi algoritmi per “combinare” dati utili a individuare
l’evoluzione del fenomeno, come già fatto con successo in passato
con altre emergenze sanitarie negli Stati Uniti.
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La conoscenza e la consapevolezza ,insomma, sono da più
punti di vista individuati come l'unica strada percorribile
(tutt’altro che piana) verso un benessere che non è – come
abbiamo visto – semplicemente il contrario della malattia.
Speriamo di essere nella giusta direzione.
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Sitografia
www.treccani.it
www.treccani.it/enciclopedia/malattie
www.it.wikipedia.org/wiki/Salute
www.focus.it
www.istat.it
www.msn.com
www.nationalgeographic.it
www.treccani.it
www.it.wikipedia.org
www.t.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicoterapia
www.it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicologia
www.treccani.it/enciclopedia/ansia-e-depressione
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About
MAPS GROUP
Dai Big Data ai Relevant Data, il gruppo sviluppa sistemi software che
creano conoscenza a supporto dei processi decisionali. I prodotti
Maps Group strutturano il patrimonio di informazioni di aziende
private e Pubbliche Amministrazioni in Data Warehouse, gestionali ed
analitici, che si pongono come strumenti di governance e di business.
6MEMES
Quando si parla di Dati, l’attenzione si sposta su questioni numeriche
o al limite statistiche, ma sotto a quest’algida apparenza la realtà è
un’altra. Il blog 6Memes, dedicato all’opera Six Memos for the Next
Millennium di Italo Calvino, vuole mettere a nudo le potenzialità dei
Dati, traducendoli nei linguaggi dell’Uomo: Cultura, Natura, Economia,
Arte e, perché no, Ironia.
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