IL SENSO DELLA CURA Coordinate culturali e storiche del concetto
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IL SENSO DELLA CURA Coordinate culturali e storiche del concetto
I QUADERNI DI 6MEMES IL SENSO DELLA CURA Coordinate culturali e storiche del concetto di malattia. 2 Introduzione Non sempre – e non dappertutto – il concetto tutto umano di malattia, così come quello di cura, ha avuto uguale genesi né seguito la medesima filosofia interpretativa, e nemmeno ha individuato le stesse patologie. Se vogliamo dirla tutta, certe malattie, in alcune culture, sono state considerate addirittura come segno di una manifestazione divina o comunque spirituale, e dunque non necessariamente negative. C’è stato inoltre, e agli antipodi, l’esempio di Sparta, in cui chi non era in perfette condizioni fisiche o mentali faceva un salto giù dalla rupe… Senza andare oltre nel citare quelli che sono per un certo verso luoghi comuni, è infine evidente come la “malattia”, in ognuno dei suoi molteplici sensi, è una prova cui ciascun singolo e ogni collettività sono prima o poi sottoposti, con l’avvento di patologie sempre nuove e, a volte, fatali o comunque pandemiche. Tanto vale affrontare tali prove con alcune conoscenze in più in questa materia, confidando – se possibile – di mantenere l’esperienza solamente a livello “virtuale”. :-) Procediamo quindi in un breve, ma interessante viaggio nel tema della malattia e della salute, gettando lo sguardo oltre i confini della nostra cultura e verso i molteplici approcci alle 3 cure, anche quelle che ci prospettano le nuove incombenti tecnologie. Questi gli argomenti che tratteremo: 01. Premessa 02. L’influenza delle malattie nella storia dell’Uomo. 0.3 Le cure del corpo: tradizionali, alternative e naturali. 0.4 Le cure della mente: diagnosi e terapie organiche e funzionali. 0.5 Epidemie, pandemie e zoonosi. 0.6 Conclusione 07. Sitografia 4 ' 01 Premessa Come approcciarsi in maniera indiretta – sempre e comunque in punta di piedi, vista la sensibilità dell’argomento – al tema della malattia e della sofferenza, in una parola sola al concetto di “male”? Quello che proponiamo è innanzitutto uno spunto linguistico: l’origine stessa della parola male che – avverbio o sostantivo – viene dal latino măle, a sua volta da mălu(m) che propriamente vale “cattivo”. Ed è “sintomatico” che la parola mescoli sin dal suo passato le proprie accezioni etiche e morali – ovvero qualcosa di dannoso, non giusto, o imperfetto – a quelle assai più concrete della sofferenza e del dolore fisico o psicologico. Del resto, la sofferenza e il dolore – del corpo o della mente che siano – sono da sempre collegati a un’assenza di equilibrio o a uno scompenso di energie in alcune culture, o peggio ancora a una colpa, quando non sono addirittura e apertamente classificati come la conseguenza di un peccato come nella tradizione dell’Antico Testamento. Questo, sino all’avvento 5 di Cristo, almeno. Da lì in poi, infatti, la sofferenza fisica è stata anche prova possibile di redenzione, via crucis da attraversare per raggiungere la salvezza, individuale o collettiva che fosse… Dove vogliamo arrivare con questa introduzione? Al fatto che, anche su un tema tanto delicato e denso di significati, basta spostare il punto di vista – o rendere più sottili o più spesse le lenti del nostro sguardo – per cambiare non solo ciò che fissiamo, ma anche tutto l’orizzonte su cui il tema stesso si mette in primo piano. Nemmeno la malattia, insomma, può essere ricondotta a un mero stato oggettivo, descrivibile con categorie universali, date una volta per tutte. Tanto che nel mondo anglosassone lo stesso concetto è descritto con parole diverse a seconda della prospettiva da cui lo si contempla. Se illness è la malattia nella percezione del malato stesso, sickness ne è la valutazione da parte della società, mentre disease è la sua descrizione medica e clinica. E se dunque i legami tra salute del corpo e della mente – nonché le implicazioni collettive o sociali della malattia – coinvolgono fattori molto complessi e interconnessi, un’altra definizione ci viene in soccorso, quella di 6 salute secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che pone il focus su un concetto di salute che va al di là della “semplice assenza di malattia”, ma viene descritta piuttosto come uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale”. Un punto può allora orientare la nostra riflessione: progressivamente, nel mondo occidentale almeno – e fortunatamente aggiungiamo noi – la storia della medicina è stata ed è anche la vicenda del cammino verso la laicizzazione della malattia e di conseguenza della cura. Vediamo dal prossimo capitolo come. 7 comune: società e relazioni '02 Mal umane alla prova della malattia All'inizio del nostro elaborato, abbiamo anticipato come i temi della sofferenza e del dolore, e anche la coppia antitetica salute-malattia, trovino nello specchio sociale un riflesso differente rispetto alle loro percezioni ed esperienze individuali o mediche. Approfondiamo ora questo aspetto, interessandoci all’azione incisiva delle malattie sul tessuto sociale, che si verifica quando la loro portata trascende i destini individuali per divenire fenomeno collettivo, come nel caso di epidemie e pandemie, o quando le malattie – anche non necessariamente di natura infettiva – si impongono comunque con una virulenza simbolica tale da incrinare le relazioni e modificare i costumi stessi all’interno della compagine sociale. Se gli uomini in passato combattevano contro una mortalità e una morbilità diffuse, accadeva inoltre che periodicamente si registrassero delle fasi di violenta diffusione delle malattie, causate da condizioni igieniche e socioeconomiche precarie e ovviamente dilaganti per l’assenza di 8 strumenti farmacologici di contrasto. Si trattava di anche lunghissimi periodi di insistenza delle malattie con drastici effetti sulla popolazione e sull’organizzazione delle società e con riduzioni demografiche spaventose. Occorre registrare poi che questa pressione delle malattie sulle società antiche può essere letta anche come una sorta di tragico setaccio evolutivo che comportò un paradossale rafforzamento degli esseri umani, per la sopravvivenza dei soggetti geneticamente più predisposti a resistere, secondo un fenomeno che è stato definito come “coevoluzione”. Se ne potrebbero citare innumerevoli esempi, dal misterioso morbo che colpì Atene nel 430 a.c., fino ai casi resi celebri da tante pagine della letteratura, come la peste nera che giunse in Europa dall’Asia, tra il 1347 e il 1350, e che è la cornice all’interno della quale Boccaccio ambientò e fece scaturire il Decameron. Quella orribile epidemia di peste costò la vita, si stima, a 50 milioni di persone collocandosi così fra le più mortali malattie infettive mai sopportate dall’umanità. E sempre la peste, quella diffusa in Europa nel XVII secolo, è la protagonista di alcune delle pagine più dolorose dei Promessi sposi di Manzoni. Furono momenti in cui la malattia divenne paradigma 9 stesso del male morale e della corruzione sociale, mostrando gli aspetti più odiosi delle relazioni fra gli individui, seppur ricorrenti in ogni simile circostanza, rivelandone l’abiezione e la perdita di dignità. Ad esempio nel ricercare un colpevole e colpire così l’untore, la strega, l’avversario politico o religioso (in Germania nella peste nera del XIV secolo furono gli Ebrei ad esserne accusati), e nell’incrinare i rapporti anche famigliari per paura del contagio. O ancora nelle reazioni all’orrore della malattia sia con comportamenti di fanatica spiritualità che al contrario di relativismo morale. Spesso poi queste epidemie avevano un effetto anche più generale sui sistemi sociali, determinandone dei veri e propri riassetti per le conseguenze economiche e produttive causate da così gravi terremoti demografici, come appunto accadde per la citata peste nera. Venendo ai giorni nostri, nel mondo occidentale, grazie al progresso della scienza medica, con la scoperta e l’utilizzo di antibiotici, penicilline, vaccini, e con il miglioramento delle condizioni igieniche, economiche e culturali, molte malattie di natura endemica ed epidemie infettive sono state scongiurate, nonostante si possano registrare casi isolati o fenomeni di diffusione locale dovuti 10 all’esposizione della nostra società a movimenti migratori e ai rischi degli scambi commerciali o della mobilità delle persone in un mondo globalizzato. E se lo stesso non si può dire per paesi di altre aree del mondo (si pensi ad esempio alla recente epidemia di ebola in Africa), tuttavia anche il mondo occidentale postbellico ha conosciuto e conosce la diffusione di malattie di notevole impatto sulla società e sul comportamento degli individui, come ad esempio l’AIDS. Ma non sono sempre solo le malattie infettive – nella forma di epidemie o pandemie – a provocare cambiamenti nel comportamento sociale delle persone. Fanno altrettanto malattie determinate invece da un mix di fattori diversi, tra cui quelli genetici e ambientali, come le malattie cardiovascolari o le numerose forme di cancro, le principali cause di morte in Italia: veri e propri flagelli contemporanei le cui cause in parte si rintracciano proprio anche in quella modernità che invece per altri versi ha contribuito a sconfiggere le malattie del passato. Pensiamo alle controindicazioni che ha comportato un’alimentazione più ricca, con lo sfruttamento intensivo delle coltivazioni e degli allevamenti e alla loro incidenza sull’insorgere di malattie, come – per fare un esempio – il 11 cosiddetto morbo della mucca pazza, balzato agli “onori” delle cronache qualche anno fa. Malattie che suscitano nei cittadini più sensibili e nelle politiche delle istituzioni, la spinta a modificare gli stili di vita, adottando un’alimentazione più sana, rispettando gli equilibri ambientali e contrastando l’inquinamento, abbracciando come salutari le attività sportive e respingendo pratiche dannose come il fumo, bandito dai luoghi pubblici e di fatto oggetto anche di una decisa riprovazione sociale. E qui il discorso potrebbe portarci davvero lontano, verso fenomeni differenti, ma anche strettamente connessi al concetto attuale di salute e benessere, come i movimenti vegano e vegetariano che paiono delineare nuovi scenari sociologici e in cui all’elemento etico, di notevole peso, è – ci pare – indissolubilmente intrecciato quello della difesa dalla malattia e della preservazione della propria integrità corporea. 12 ' 03 L’armonia della cura: medicine alternative e complementari A proposito di malattia e cura, abbiamo sviluppato la nostra rubrica sulla medicina in prospettiva culturale, di cui fa parte anche questo articolo, intorno al concetto cardine della loro variabilità. Volendo introdurre una terminologia tecnica, presa a prestito dall’ambito linguistico, potremmo parlare di una relatività che si manifesta in senso diacronico (ovvero nel tempo), diatopico (ovvero nello spazio), e diastratico (ovvero nel plurimo riflesso sociale della malattia e del modo di affrontarla e gestirla da parte degli attori in causa). E proprio alla luce della variabilità sia diatopica che diacronica, ancora una volta il tema che affrontiamo oggi esige una piccola premessa disambiguante. Parliamo infatti delle cosiddette CAM, ovvero le medicine alternative e complementari, in opposizione alla medicina tradizionale. Ma parlare di medicina tradizionale vuol dire di fatto assumere il punto di vista di 13 una precisa linea storica. Prendiamo ad esempio la medicina cinese e l’agopuntura. Se per noi rientrano nel novero, complesso e articolato, delle medicine alternative, per i cinesi è proprio la nostra medicina – tradizionale per noi perché frutto (e tuttora oggetto) di secolare messa a punto metodologica – ad essere medicina alternativa, quanto meno di importazione, occidentale appunto. Dichiarato allora l’orizzonte d’osservazione, partiamo all’esplorazione – almeno panoramica – di questo universo di cure alternative, rimanendo intanto nell’ambito della medicina cinese, forse la più nota anche perché frutto di un sapere millenario, e anche indirettamente riconosciuta dal Nobel, assegnato a una ricerca contro la malaria che partiva appunto da precetti della medicina classica cinese. È di questi giorni la notizia che in Cina il governo ha definitivamente vietato di commerciare e cibarsi di animali e piante protette. Poiché il divieto riguarda elementi naturali utilizzati nella preparazione dei rimedi (ossa di tigre e pelle di manta, per fare qualche esempio) gli operatori del settore, come produttori e medici, ma anche i pazienti, hanno sollevato aspre critiche e contestazioni. Tuttavia, secondo questo articolo, se è vero che la medicina tradizionale riguarda milioni di cinesi delle aree rurali, “i 14 cinesi in realtà hanno già consumato lo storico strappo: da anni sono in fuga dalla medicina tradizionale, diretti in massa verso i farmaci chimici importati dall’Occidente”, compreso un deciso calo del fatturato interno, ma anche dell’export. E veniamo al punto, ovvero alla medicina alternativa a casa nostra. Accanto alla medicina cinese, sono moltissime le pratiche e i rimedi inseribili in questa categoria, definita anche integrativa e complementare, perché in realtà spesso usata in modo non esclusivo, ma in aggiunta o in temporanea alternanza alla medicina e ai farmaci della nostra tradizione, anche a seconda del disturbo da curare o da prevenire. Senza avviare una disamina delle varie medicine e metodi di cura, si può intanto fissare a contrario il tratto fondante la medicina occidentale, definita anche convenzionale e scientifica. Ovvero il suo derivare dal quel metodo sperimentale in cui affonda la sua radice la scienza moderna e che nello specifico clinico e sanitario prevede la verifica dell’azione di terapie e farmaci secondo le procedure della sperimentazione clinica controllata. Come si possono invece classificare e definire le varie medicine alternative? Intanto vi rientrano pratiche antiche, come ad esempio l’agopuntura e la fitoterapia, e 15 altre che sono relativamente moderne (ad esempio l’omeopatia). Alcune prevedono rimedi strettamente naturali, altre uniscono l’azione su corpo e mente insieme, come l’agopuntura. Altre ancora prevedono la manipolazione corporea, come la massoterapia e l’osteopatia. Ma tutte sfuggono a una fissazione in termini scientifici e sperimentali, essendo la verifica dei risultati tuttalpiù di natura empirica, basata cioè sulla consuetudine dell’osservazione. Anche perché si tratta per lo più di cure e metodi in cui è rilevante la differenziazione della risposta dei singoli individui e in cui spesso agisce anche il rapporto di fiducia e di dialogo che si instaura con il medico o comunque colui che somministra la cura. Tuttavia la distanza tra la medicina tradizionale e quella alternativa non è radicale, né definita una volta per tutte. L’utilizzo nella farmacopea di principi attivi di estrazione vegetale è un fatto assodato, per fare l’esempio più evidente, così come l’utilizzo di pratiche quali l’agopuntura o la manipolazione muscolare o osteopatica in associazione ai farmaci o in alternativa ai farmaci. A questo proposito in Toscana si trova il primo ospedale italiano in cui i pazienti possono trovare 16 tanto le cure classiche che quelle alternative, affidandosi a fitoterapia, omeopatia, agopuntura e medicina cinese. La Regione Toscana risponde così a un’esigenza di conciliazione nelle cure che viene anche dalla cittadinanza. Secondo una recente ricerca diffusa in occasione della Giornata Internazionale della Medicina Omeopatica, l’80% degli Italiani sa cosa è l’omeopatia. La usa regolarmente il 4,5%, almeno una volta all’anno il 20%. Ed ecco l’elemento diastratico: sono soprattutto donne gli utilizzatori, e di istruzione superiore. Mentre l’area geografica regionale prevalente è il Nord Ovest. Anche i dati sull’uso sono interessanti: gli Italiani usano i medicinali omeopatici per evitare effetti collaterali e perché li considerano efficaci per disagi più lievi. L’Italia, che si colloca terza per uso delle cure omeopatiche in Europa, dopo Francia e Germania (mentre nel continente sono cento milioni coloro che si affidano a queste cure), attende però ancora una definizione della normativa, nonostante le politiche avviate da alcune Regioni (oltre alla citata Toscana, anche Emilia Romagna, Lombardia e Lazio). Insomma la materia è complessa e controversa, e come sempre in questi casi si possono configurare 17 anche eccessi pericolosi, quando si intendano queste cure come integralmente sostitutive della medicina scientifica o quando ci si affidi a un fai da te inopportuno, soprattutto in presenza di malattie o disturbi non banali. Certo è che il ricorso a questo tipo di cure rivela il bisogno di una cura più attenta all’organismo come un tutto armonico, l’esigenza di una maggiore naturalità, la preoccupazione per cure troppo aggressive o foriere di effetti collaterali, e infine la necessità di trovare nel medico un ascolto personalizzato. Tutti aspetti che anche una contemporanea medicina tradizionale e scientifica non può tralasciare. 18 ' 04 Conosci te stesso: i labirinti della mente Dopo aver parlato della malattia e della cura del corpo sul piano sostanzialmente fisico, continuiamo il nostro viaggio narrativo intorno alla medicina, in prospettiva storicoculturale, affrontando il tema misterioso e affascinante dei meccanismi della psiche. Non ne parleremo con pretesa di approfondimento, essendo una materia troppo delicata per il perimetro del nostro blog, ma – senza affrontare gli aspetti più dolorosi (e talvolta tragici) della malattia mentale – ci soffermeremo invece brevemente su come, nel tempo e fino ad oggi, le comunità scientifiche e le società ne hanno affrontato i vari aspetti. E lo faremo alla nostra maniera, attraverso quella forma di condivisione della conoscenza rappresentata, appunto, dalla narrazione. A tal proposito ci facciamo soccorrere dal motto utilizzato nel titolo. L’antico Nosce te ipsum – del tempio di Apollo a Delfi, che faceva riferimento, secondo gli studiosi, alla finitezza dell’essere umano e ai suoi limiti – potrebbe essere reimpiegato oggi, come esortazione a una maggiore 19 consapevolezza del sé, anche a fronte dell’incertezza esistenziale che indubbiamente caratterizza il nostro tempo. È perfino banale ricordare come ansia e depressione, fobie, attacchi di panico, comportamenti compulsivi, siano una “malattia” del nostro tempo. E che tale loro incremento sia legato anche al venire sempre più meno di quella rete di sostegno – sociale, religiosa o politica, a seconda delle epoche storiche – che abbracciava gli individui in un contesto assai più ampio della loro soggettiva finitezza e li guidava attraverso un sistema di valori, proprio come un faro nella tempesta. Non è un caso insomma che – con il delinearsi della civiltà contemporanea – si sia determinata anche una crescente sistematizzazione della psicologia come disciplina medicoscientifica, con le varie scuole e le molteplici filosofie della cura. Un bisogno di cura del disagio psicologico non solo sempre più evidente e inerente una parte significativa della popolazione, ma rispetto al quale la società stessa ha maturato una risposta non soltanto clinica, ma rispettosa dell’individuo e dei suoi diritti. Fra i diversi modi di guardare al problema, tra cui l’organico (il disagio e la malattia come frutto di un problema fisiologico, da curare come tale) e il dinamico 20 (la malattia è frutto invece di forze psichiche contrastanti), citeremo qui quello forse più noto, divenuto per così dire paradigmatico, ovvero la psicoanalisi freudiana con il suo corredo iconografico della terapia: l’analista e il suo famigerato lettino, i sogni da interpretare, il vissuto da dipanare… Stereotipi che popolano tanti libri e film, fino a divenire parodia e nascondere perfino in taluni altri casi una vena critica per certi compiacimenti e ripiegamenti borghesi sul sé interiore. Pensiamo ad esempio alla sottile ironia di un personaggio come lo Zeno di Svevo, o agli stralunati nevrotici del cinema di Woody Allen. Insomma, il panorama del mondo della “malattia” connessa alla sfera psicologica meriterebbe definizioni e distinguo, anche sociologici, per tacere di quelli semantici della terminologia da usare, su cui qui non possiamo che sorvolare. E arriviamo così, per concludere, a un rapido sguardo sull’oggi, con i tanti filoni e scuole di pensiero che si sono sviluppati, dove l’attenzione non è più centrata solo sull’interiorità dell’individuo, ma è di volta in volta rivolto all’indissolubile intreccio di corpo e mente, oppure all’ambiente e al sistema di relazioni in cui si è 21 formato ed è immerso il singolo, al suo comportamento, più che al suo inconscio. Anche se occorre considerare come in realtà, proprio per la complessità dei fenomeni e delle persone che li vivono, la cura non può che essere differenziata e mista, con il ricorso anche ai farmaci, ad esempio per superare le fasi acute della sofferenza. Dopo questa lunga divagazione torniamo dunque all’iniziale “conosci te stesso”… ci piace infatti ricordare una specifica pratica di cura, chiamata mindfulness, che viene accostata anche ad antiche pratiche meditative. Pratica che focalizza non più il vissuto e l’inconscio come origine nascosta della sofferenza da riportare alla luce per risolvere le difficoltà esistenziali, ma il qui e ora da affrontare con gli strumenti della consapevolezza e dell’accettazione di sé. 22 ' 05 Un’Arca di Noè a rovescio: uomo, animali e zoonosi. Iniziamo ora l'ultimo capitolo del nostro viaggio narrativo nella storia della medicina e delle malattie, a varie latitudini e longitudini storico-culturali. Abbiamo già affrontato il tema dell’impatto della malattia sulla società parlando soprattutto di epidemie e pandemie. Ci riallacciamo a quell’argomento, approfondendone un aspetto specifico. Partiamo, come sempre facciamo, dal significato dei termini pertinenti. Spillover è un termine inglese che letteralmente significa “traboccamento”. Tra le accezioni, è usato anche in ambito “sanitario” per indicare il salto di un agente patogeno da un animale all’uomo. Si tratta dunque di un momento puntuale nell’evoluzione della malattia che, faticosamente e al prezzo di lunghe ricerche, talvolta gli scienziati riescono a ipotizzare con una certa precisione. “Spillover” è anche il titolo di un fortunato libro (che qui usiamo come principale fonte) scritto dal giornalista americano David Quammen e pubblicato in Italia da Adelphi. 23 In questo corposo volume il giornalista compie un intrigante – e per certi versi spaventoso – viaggio attraverso quei particolari tipi di malattia che possono essere incasellati fra le zoonosi, ovvero morbi di origine animale che, per varie ragioni e con complesse modalità, dall’animale passano all’uomo, e dall’uomo ad altri uomini, spesso anche attraverso passaggi animali intermedi. Il “fascino” dell’articolata ricerca di Quammen sta nel suo delinearla come una sorta di avventuroso romanzo, dai contorni quasi di giallo o spy story, mentre segue le vicende umane delle comunità esposte ai morbi, le sconfitte e le vittorie nella ricerca degli studiosi che a vario titolo si sono occupati di malattie come Ebola, Sars, AIDS. Abbiamo citato casi eclatanti, tutte malattie che hanno avuto diffusione epidemica e pandemica. Questo perché è un dato di fatto che molte epidemie e pandemie sono causate (nel passato e oggi) da malattie infettive di origine zoonotica. La peste bubbonica che ha scatenato cicliche epidemie da milioni di morti, ad esempio, non è stata compresa nei suoi meccanismi di diffusione fino ad epoca relativamente recente. Solo a partire dal XIX secolo infatti se ne è 24 cominciato a scoprire l’iter, dai ratti all’uomo, attraverso le pulci. Anche l’AIDS rientra nel novero di queste malattie. Lo spillover dell’AIDS pare infatti essere stato individuato nel passaggio da uno scimpanzé all’uomo, addirittura nel lontano 1908 nel Camerun sudorientale, da cui poi avrebbe impiegato diverse decine di anni e compiuto tortuosi percorsi per manifestarsi con tutta la sua virulenza – quando se ne sono presentate le condizioni – negli Stati Uniti degli anni ’80 del secolo scorso. I come, quando e perché avviene uno spillover – e le ragioni di un’espansione epidemica di una determinata zoonosi – non sono certo facili da rintracciare, ma sembrano risiedere negli articolati rapporti tra l’uomo e la natura. Hanno a che fare dunque anche con aspetti ecologici ed evoluzionistici. Non è un caso che queste malattie sembrano destinate a proporsi nella nostra epoca in un modo sempre più violento, a dispetto delle nostre conoscenze scientifiche e mediche, e delle migliorate condizioni di vita in tanta parte del globo. In questo articolo da nature.com si legge come le zoonosi, sebbene siano il 15% della totalità degli agenti patogeni umani, costituiscano il 65% di quelli scoperti dagli anni ’80 del Novecento. Al punto che la 25 comunità scientifica si attende un Big One proprio come si fa con i terremoti: la prossima imprevedibile e temuta manifestazione di un’emergenza pandemica. I fattori di pericolosità e rischio in campo sono molti, tra cui il fatto che si tratta spesso di malattie di origine virale (contro cui nulla possono farmaci come antibiotici e penicilline) e imprevedibili, perché capaci di rimanere silenti in un ospite animale a lungo per poi manifestarsi secondo percorsi ogni volta differenti, quando appunto i “tempi” sono maturi. Insomma lo sfruttamento di territori naturali come le foreste, il nostro modo di trattare e commerciare animali selvatici, le nostre abitudini alimentari e i conseguenti allevamenti intensivi di animali, la densità di popolazione, hanno un ruolo determinante nell’insorgere di queste malattie. Alla loro diffusione contribuisce poi la dimensione globale dei commerci e dei traffici, lo spostamento delle persone, perfino il cambiamento climatico con il distribuirsi in aree geografiche inconsuete di talune specie, come le zanzare tropicali. Come in passato – quando furono studiate le modalità di diffusione delle malattie con modelli matematici – così 26 oggi la risposta pare sia da affidare al rigore e alla perseveranza della ricerca, cui sono preposti molti organismi ed enti globali e nazionali in materia di sanità pubblica. È un lavoro lungo, fatto di inciampi e mille tessere da combinare, quello di questi studiosi: lo scopo è cercare di prevedere almeno in parte i fenomeni o comunque farsi trovare preparati, dotati degli strumenti giusti per affrontarli e gestirli. 27 Conclusioni L'esperienza della malattia e quella della cura mutano nello spazio e nelle culture, oltre che se osservate da un punto di vista storico. Anche perché l’esperienza della malattia e del dolore invade il vissuto delle persone e agisce nella società, come illustra la lezione di un grande protagonista della cultura italiana, da poco scomparso, Umberto Eco, che in una sua lectio magistralis sul tema del dolore parla di “educazione culturale al dolore” sottolieando come “la cultura alza le soglie della sofferenza”. L'innovazione e la tecnologia possono e forse devono – pur con tutti i rischi presenti – andare anche in questa direzione. Un esempio potrebbe esserne questa mappatura dei vari tipi di specie animali ospite, in rapporto alla popolazione umana, che potrebbe aiutare a evidenziare i luoghi a rischio di sviluppo di una zoonosi. Non solo dati dunque, ma Big Data. Nell’emergenza in corso del virus Zika – per fare un altro esempio – Google, oltre a un più ovvio supporto informativo, ha messo a disposizione i suoi algoritmi per “combinare” dati utili a individuare l’evoluzione del fenomeno, come già fatto con successo in passato con altre emergenze sanitarie negli Stati Uniti. 28 La conoscenza e la consapevolezza ,insomma, sono da più punti di vista individuati come l'unica strada percorribile (tutt’altro che piana) verso un benessere che non è – come abbiamo visto – semplicemente il contrario della malattia. Speriamo di essere nella giusta direzione. 29 Sitografia www.treccani.it www.treccani.it/enciclopedia/malattie www.it.wikipedia.org/wiki/Salute www.focus.it www.istat.it www.msn.com www.nationalgeographic.it www.treccani.it www.it.wikipedia.org www.t.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicoterapia www.it.wikipedia.org/wiki/Storia_della_psicologia www.treccani.it/enciclopedia/ansia-e-depressione 30 About MAPS GROUP Dai Big Data ai Relevant Data, il gruppo sviluppa sistemi software che creano conoscenza a supporto dei processi decisionali. I prodotti Maps Group strutturano il patrimonio di informazioni di aziende private e Pubbliche Amministrazioni in Data Warehouse, gestionali ed analitici, che si pongono come strumenti di governance e di business. 6MEMES Quando si parla di Dati, l’attenzione si sposta su questioni numeriche o al limite statistiche, ma sotto a quest’algida apparenza la realtà è un’altra. Il blog 6Memes, dedicato all’opera Six Memos for the Next Millennium di Italo Calvino, vuole mettere a nudo le potenzialità dei Dati, traducendoli nei linguaggi dell’Uomo: Cultura, Natura, Economia, Arte e, perché no, Ironia. 31 32