Giorgia Bella

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Giorgia Bella
VERSIONE
PROVVISORIA
Giorgia Bella
Dipartimento di Ricerca Sociale
Università del Piemonte Orientale
Via Cavour, 84 – 15100 Alessandria
[email protected]
Sessione di discussione: Ricerca
Contributi allo studio dello spazio extraurbano: un approfondimento
sui piani strategici italiani.
Abstract
Sebbene il recente orientamento in seno alle pratiche di pianificazione strategica sia
quello di predisporre una pianificazione territoriale che trascenda i confini urbani
amministrativi, si osserva come nella realtà empirica ciò ancora non avvenga. Molto della
pianificazione è tuttora basato su strategie di matrice urbanocentrica rivolte a ridefinire il
ruolo delle città, ad affermarle come attori collettivi con una identità ben definita ed
efficace e a riconfermare una loro supremazia nella organizzazione dello spazio. Questo
lavoro (dopo avere ricordato alcuni fra i più importanti contributi della Sociologia Urbana
attinenti al rapporto fra spazio urbano ed extraurbano nel periodo post-fordista) propone
una riflessione critica sulla pianificazione strategica e presenta l’esito di una analisi
rivolta a definire come l’area vasta sia trattata nei piani strategici italiani.
Indice
Introduzione
Spazio urbano e spazio extraurbano. Alcuni riferimenti concettuali.
Il rapporto fra città e campagna: una asimmetria
Dinamiche di urbanizzazione e spazio extraurbano in Europa
Il dibattito sulla città diffusa
Pianificare lo spazio urbano per preservare lo spazio extraurbano
Il concetto di area vasta nella pianificazione strategica italiana
Il principio della pianificazione strategica
Lo spazio extraurbano nei Piani Strategici italiani: l’area vasta
L’area vasta nei Piani Strategici italiani: una proposta di analisi e una possibile lettura.
Conclusioni
Bibliografia
Introduzione
Questo lavoro intende problematizzare quale sia l’attenzione riservata allo spazio
extraurbano (in particolare, al tema dell’area vasta) da parte delle città che si sono
dotate di un piano strategico in Italia.
Il punto di partenza della riflessione riguarda una storica asimmetria fra
spazio urbano e non urbano, con una netta prevalenza della città sul “non urbano”
(Geddes, 1970; Le Galès, 2002) ravvisabile nella organizzazione e nel governo
degli spazi sin dall’inizio del secolo Ventesimo (Harvey, 1989). Questa stessa
asimmetria è riscontrabile anche negli indirizzi dei Piani Strategici italiani; si
osserva infatti una certa difficoltà dei decisori coinvolti nel definire una visione
futura della città che che vada al di là dei confini amministrativi (Feeli, 2006).
La pianificazione strategica in Europa è tuttora orientata verso una logica
urbanocentrica al fine di ridefinire il ruolo delle città, ad affermare la loro
importanza nelle reti internazionali in quanto attori collettivi (Borelli, 2005)
depositari di una identità (urbana) ben definita ed efficace. Ne consegue che
l’attenzione rivolta agli spazi extraurbani risulta essere ancora residuale.
Tuttavia, fra i numerosi attributi dei piani strategici due in particolare li
hanno resi interessanti agli occhi dei governi europei nazionali e locali: il
carattere collettivo degli interessi coinvolti (Spaziante, 2003) e una progettazione
di lungo periodo e di area vasta (Gibelli, 2003).
Nelle riflessioni di Gibelli questo ultimo punto sottintende che la
pianificazione strategica aspiri a definire “grandi indirizzi di sviluppo (economico,
sociale e ambientale) di un territorio integrato (urbano/periurbano/rurale) e a
renderne le dinamiche insediative più coerenti con i principi dello sviluppo
sostenibile (competitività/solidarietà/cura dell’ambiente) attraverso modelli di
governance capaci di costruire un’idea di cittadinanza metropolitana certamente
rispettosa delle identità locali, ma più cooperante e lungimirante” (ivi, p. 62)
In realtà, come avremo modo di mettere in evidenza nella parte di questo
lavoro, con una riflessione più approfondita sulla realtà italiana, in molti casi la
pianificazione è priva di una visione integrata del territorio o la contempla solo
marginalmente.
Per agevolare la trattazione del tema, il lavoro è stato suddiviso in due
parti.
La prima parte evidenzia l’apporto di alcuni contributi teorici della
Sociologia Urbana (e discipline a essa complementari quali la geografia,
l’urbanistica, la politologia, ecc.) alla comprensione del rapporto fra urbano ed
extraurbano nel corso degli ultimi venti anni. L’attenzione è rivolta in particolare
alle trasformazioni avvenute in seno alla città, ai modelli di sviluppo urbano e al
loro governo. Si procede pertanto ragionando sull’evoluzione dello spazio urbano
per capire le trasformazioni di tutto quello spazio che è “altro” rispetto ad esso,
proponendo una serie di temi interconnessi e complementari.
Come è ragionevole immaginare, la letteratura in materia è estremamente
varia e ciò non consente di effettuare in questa sede una
-2-
analisi completa e organica della stessa. Le argomentazioni qui proposte, dal
rapporto fra città e campagna, al concetto di città diffusa, alle riflessioni sui piani
strategici, ecc. sono ritenute rilevanti ai fini delle considerazioni finali e
dell’oggetto di analisi: il governo dello spazio extraurbano nei piani strategici.
Una precisazione è necessaria. Attribuire al concetto di “extraurbano” una
connotazione circoscritta e dai confini ben definiti costituisce oggi un’impresa
assai complessa e forse per certi versi fuorviante. Come si avrà modo di osservare,
il ciclo di urbanizzazione che ha interessato le città europee ha portato ad una
situazione in cui l’extraurbano assume caratteristiche sempre più sfumate e
indefinite, al punto che non sempre è possibile comprendere dove termini il
carattere urbano e dove inizi quello extra-urbano. Fra i molti significati attribuiti a
“extraurbano” ricordiamo quello che lo identifica con ciò che è rurale, ovvero che
afferisce alla “campagna”; o più semplicemente con tutto ciò che non è urbano né
periurbano, ovvero che pur non essendo parte della “campagna” non è ancora
città; oppure con tutto ciò che fa riferimento al territorio che rimane al di fuori dei
confini amministrativi urbani, ecc. Nella terminologia utilizzata dai documenti di
pianificazione strategica viene spesso utilizzata l’espressione area vasta, che
coinvolge una porzione di territorio “colto nei suoi spessori storici e antropici o
nella sua autonomia di insieme di luoghi specifici e riconoscibili, dotati di
caratteri profondi e della propria identità” (Cusmano, 2002). Quello di area vasta è
pertanto un concetto estremamente allargato che consente di richiamare
l’attenzione su una parte di territorio che, seppur in molti casi supera i confini
amministrativi ben definiti, è strettamente legato allo sviluppo delle città.
La seconda parte del lavoro si concentrerà sui piani strategici italiani per
comprendere se e come essi problematizzino l’area vasta, cercando di mettere in
evidenza similitudini e differenze fra i diversi approcci. L’analisi verterà
sull’esperienza dei Piani Strategici realizzati dalle città della Recs, ovvero il
circuito delle Città in Rete1; gli strumenti utilizzati sono quelli propri dell’analisi
del testo sia con intento descrittivo, sia con un intento esplicativo. Dopo una
descrizione più generale relativa al grado di pregnanza che il tema dell’area vasta
occupa all’interno dei documenti strategici della città della Recs, si propone un
approfondimento, in chiave comparativa, sulle città metropolitane.
1
La Rete delle Città Strategiche – ReCS è un’associazione nazionale fondata nel 2004 da 7 città e
che ne unisce oggi quasi 40 diffuse su tutto il territorio e di tutte le dimensioni. Sono città che
hanno scelto la pianificazione strategica come strumento per sostenere lo sviluppo urbano,
attraverso un modo diverso di governare che mette in relazione attori, interessi, politiche e risorse
del territorio, che facilita una programmazione coordinata e integrata e che disegna nuovi rapporti
interistituzionali tra governi locali e sovralocali. La ReCS mette a confronto più competenze
(politici e operatori delle città, esperti di governo locale e studiosi nazionali e internazionali), è un
osservatore privilegiato in Italia sulle politiche di sviluppo locale ed è un soggetto riconosciuto nel
dibattito locale e nazionale, nel mondo scientifico e nel mondo della formazione (http://recs.it/it)
-3-
Spazio urbano e spazio extraurbano. Alcuni riferimenti concettuali.
Il rapporto fra città e campagna: una asimmetria
Un primo contributo sull’analisi dello spazio extraurbano è individuabile in seno
agli studi relativi al rapporto fra campagna e città.
Numerosi sono i contributi teorici attinenti al rapporto fra città e
campagna. Gli orientamenti cui fanno riferimento sono eterogenei e, tuttavia, si
sono polarizzati per lungo tempo in due discipline distinte, la Sociologia Urbana e
la Sociologia Rurale, con esiti differenti a seconda del punto di vista da cui la
realtà è osservata; se i sociologi urbani hanno posto l’accento su una centralità
forte della città, i sociologi rurali hanno evidenziato aspetti relativi alla autonomia
del rurale rispetto all’urbano.
E’ da rilevare che il dibattito relativo al rapporto fra città e campagna si è
propagato con una certa intensità a partire dall’inizio del Ventesimo secolo, in
concomitanza con il diffondersi di una industrializzazione matura cui è seguita
una massiccia fase di urbanizzazione (Harvey, 1989). La definizione del rapporto
fra i due ambiti spaziali è andata storicamente modificandosi e ha sollevato
questioni diverse a seconda del periodo storico di riferimento e della prospettiva
di analisi utilizzata. Fra gli studiosi di diversi orientamenti interessati a questi temi
all’inizio della loro diffusione se ne annoverano di noti da Tönnies a Sorokin e
Zimmerman, da Simmel a Wirth, Weber, Redfield, Mumford2, ecc.
Non è possibile presentare qui in modo approfondito tutte le
interpretazioni significative che gli studiosi, seppur talvolta in modo contrastante,
hanno sostenuto sin dalla fine del diciannovesimo secolo; tuttavia, questo scritto
propone alcuni dei punti di vista attraverso i quali è stato problematizzato il
rapporto città-campagna, talvolta in modo più diretto talvolta meno,
concentrandosi perlopiù su alcuni percorsi di studio emersi in letteratura più di
recente e soprattutto nel periodo post-fordista3. Occorre tuttavia sottolineare che, a
prescindere dagli eterogenei orientamenti, l’idea sottostante il rapporto campagnacittà ha spesso sottinteso l’attribuzione di un ruolo passivo alla campagna a
vantaggio della città. Ciò è valso nelle società occidentali industrializzate fino alla
fine degli anni Novanta del secolo scorso. Infatti, la questione principale per lungo
tempo (sin dalla fine dell’Ottocento) è stata ‘dove situare la città in un dato
territorio’ (Geddes, 1915) e non come preservare il territorio da essa.
Guidicini (1998a) sottolinea come fra i principali approcci utilizzati più di
frequente dagli studiosi per interpretare il rapporto fra città e campagna vi siano
quello strutturale che considera le due realtà come nettamente separate fra loro e in
costante rapporto di cooperazione e/o competizione e quello pianificatorio che
2
Per una conoscenza più approfondita dell’evoluzione del pensiero sociologico sul rapporto cittàcampagna relativa alla prima metà del Novecento si rimanda a Guidicini (1998b).
3
Si intende per “postfordista” o “postindustriale” il periodo in cui avviene il superamento del
modello fordista come modello organizzativo dominante nell’assetto economico e sociale, con il
conseguente venir meno dell’organizzazione industriale come principale motore dello sviluppo
economico.
-4-
considera il rapporto fra città e campagna sulla base dell’equilibrio creato (dai
pianificatori) nell’organizzazione degli spazi urbani ed extraurbani.
A prescindere dall’approccio utilizzato gli studi empirici mostrano che lo
spazio extraurbano (inteso come spazio non ancora urbanizzato) è stato
ampiamente plasmato sulla base dei bisogni dello spazio urbano; si potrebbe
affermare che ciò denota un’asimmetria a favore della città e a svantaggio della
campagna. Quanto qui brevemente sottolineato interessa in generale i contesti
occidentali più sviluppati, laddove nel ventesimo secolo il legame esistente fra
processi di industrializzazione e processi di urbanizzazione è stato più forte,
seppur con differenze fra il contesto americano e quello europeo (Vicari Haddock,
2004).
Dinamiche di urbanizzazione e spazio extraurbano in Europa
Un altro tema rilevante nella definizione del rapporto fra spazio urbano ed extraurbano è quello relativo alle dinamiche di urbanizzazione, dal momento che il
modo in cui la città si espande sembra condizionare fortemente il territorio
circostante. Le dinamiche di urbanizzazione in Europa, favorite dal processo di
industrializzazione, si sono caratterizzate per due importanti fattori: da un lato, la
formazione e l’evoluzione delle aree metropolitane e, dall’altro lato, la
“localizzazione territoriale della crescita economica”. A quest’ultimo fenomeno
corrisponde lo strutturarsi di “regioni urbane” (Storper 1997; Porter, 2001)
all’interno delle quali si concentrano i principali poli dello sviluppo economico e
nelle quali si osserva una forte dinamicità dei processi urbani.
Lo sviluppo metropolitano europeo avviene secondo lo schema conosciuto
come “ciclo di crescita metropolitana” (Hall e Hay, 1980; Van den Berg et al.,
1982). Anche lo sviluppo urbano italiano segue questo schema, seppur con le
proprie specificità rispetto alle realtà americane e ad altre realtà europee (Ercole e
Martinotti, 1987; Ercole, 1996).
La prima fase è chiamata “urbanizzazione” e riguarda le trasformazioni
originate dal passaggio dalla società agricola a quella industriale. In questa fase si
verifica, da un lato, una crescita delle città più grandi, futuri poli metropolitani e,
dall’altro, un rallentamento o una stasi della crescita delle zone periurbane e delle
cinture dalle quali molti individui si spostano verso la città per trovare
occupazione nell’industria o nei servizi. La maggior parte delle interazioni
spaziali in questa fase è intra-municipale piuttosto che inter-municipale. Avviene
all’interno delle città piuttosto che fra le città e men che meno fra la città e lo
spazio non urbano.
La seconda fase di “suburbanizzazione” è caratterizzata da quello che nella
letteratura anglosassone è definito urban sprawl, definito come “a low-density,
scattered, urban development without systematic large-scale or regional public
land-use planning”4 (Bruegmann, 2005, 18); in questa fase si osserva una
“deconcentrazione spaziale” spesso priva di una progettazione territoriale definita.
Essa è caratterizzata dallo spostamento delle abitazioni dal centro urbano
4
“uno sviluppo urbano a bassa densità e sparpagliato privo di una pianificazione territoriale del
suolo pubblico sistematica di larga scala o regionale” traduzione a cura di chi scrive.
-5-
principale verso le cinture per ragioni socio-economiche, dal momento che molte
attività industriali sono state destinate alla periferia; dal fenomeno del
pendolarismo per lavoro. Sembra che a questa fase corrisponda un ritorno allo
spazio periurbano, ma non in termini di attenzione alle zone extraurbane: la zona
extraurbana è comunque subalterna alle esigenze degli abitanti/lavoratori urbani.
E’ in questa fase che molto del suolo extraurbano è stato “consumato” in modo
indistinto e approssimativo, con conseguenze non indifferenti sugli ecosistemi
(Cieslewicz, 2002).
La terza fase, di “deurbanizzazione”, è legata alla crisi del fordismo, alla
riduzione degli spazi industriali e alla crisi di quelle grandi industrie localizzate
nei poli principali delle aree metropolitane. Le attività produttive, sempre più
condizionate dall’uso delle nuove tecnologie nella produzione e nei trasporti, sono
trasferite in paesi altri rispetto alle regioni metropolitane più sviluppate. Allo
stesso modo anche la scelta delle residenze (caratteristiche e posizione) è
condizionata dall’evoluzione nei trasporti e nella comunicazione. In questa fase le
città divengono parte di un sistema interdipendente e le scelte di governo
intraprese all’interno di una realtà territoriale sono influenzate ed influenzano altre
realtà territoriali più o meno prossime, ridefinendo nuovamente il rapporto fra
città e campagna.
La quarta fase è quella della “riurbanizzazione”, nella quale le città attuano
strategie per riproporsi come poli attrattivi, non necessariamente solo industriali
ma culturali, scientifici, innovativi, finanziari cercando di potenziare le loro
risorse economiche, politiche e culturali (Vicari Haddock, 2004, 42) anche
attraverso l’ausilio di nuovi strumenti di pianificazione (cfr. paragrafo 2).
Nonostante in questa fase vi sia un ritorno alla città (con annessi fenomeni di
gentrification e tentativi riqualificazione specialmente dei centri metropolitani)5
sembra esserci un’attenzione nuova al rapporto con il territorio extraurbano, anche
nell’ambito della pianificazione territoriale; ciò è dovuto in buona parte anche al
diffondersi di una nuova sensibilità nei confronti di uno sviluppo territoriale che
sia sostenibile come emergerà nel corso del lavoro. Come sottolinea Mela (2006),
tuttavia, il fenomeno della riurbanizzazione in Italia è presente seppur in forma
debole e tardiva, dal momento che negli anni Novanta si assiste ancora a una
notevole perdita della popolazione urbana e tende ad essere concomitante con
quello della spinta centrifuga rispetto ai centri urbani.
A tal proposito si accenna, per via della sua rilevanza, al tema della cittàrete (Perulli, 2007 ). Tale concetto introdotto da Gottmann (cit. ivi in Perulli)
sottolinea come ormani le relazioni fra città appartengano a reti ormai globali e aspaziali. Questo contributo getta una luce nuova sul rapporto fra urbano ed
extraurbano al momento che trascende dalle tradizionali relazioni gerarchiche fra
territori tipiche di epoca fordist, in favore di relazioni reticolari che si muovono
“in tutte le direzioni”.
Per quanto riguarda l’Italia il dibattito sul tema dell’urbanizzazione si fa più
intenso fra gli anni Sessanta e Settanta, quando si osservano due problematiche
5
Per un approfondimento si consideri Ley D. (1994)
-6-
complementari: la preoccupazione dominante per la polarizzazione dei rischi nelle
aree metropolitane maggiori e il pericolo di una ulteriore rarefazione di centri
minori e delle aree marginali ed extra-urbane. Tuttavia, è con il saggio Tre Italie.
La problematica territoriale dello sviluppo italiano di Arnaldo Bagnasco (1977)
che il processo di sviluppo del sistema territoriale italiano viene problematizzato
in una luce nuova. La tradizionale contrapposizione fra modelli di sviluppo
territoriale basata su due dicotomie, quella Nord/Sud e quella metropoli/centri
minori, viene sostituita con l’individuazione di tre aree fondamentali caratterizzate
da modelli di sviluppo diversi: Nordovest, Meridione e Terza Italia (Italia
nordorientale e centrale) nella quale individua la presenza di distretti industriali di
piccola e media dimensione6. Bagnasco utilizza un nuovo modello interpretativo
che tiene conto delle peculiarità territoriali non solo economiche, ma anche
sociali, politiche e culturali (la struttura familiare, l’organizzazione della società
civile, le caratteritiche dell’ambiente, la cultura politica egli amministratori, ecc.).
Ciò che è interessante rilevare ai fini di questa trattazione è che il modello della
Terza Italia presenta una peculiarità dal punto di vista del processo insediativo;
quest’ultimo si declina in una miriade di centri minori o medio piccoli che
svolgono un ruolo dominante nel processo produttivo (i distretti industriali
appunto), laddove i centri grandi sono invece detentori di servizi rari a supporto
del sistema industriale diffuso (Debernardi, 2002, 24). L’analisi sui distretti della
Terza Italia di Bagnasco apre a numerosi percorsi di ricerca che consentono di
cosiderare lo sviluppo dei territori e il rapporto fra spazi urbani ed extraurbani in
una veste nuova: fra questi prendiamo qui in considerazione il dibattito sulla città
diffusa (identificata da Bagnasco come la forma di sviluppo territoriale più diffusa
nella Terza Italia).
Il dibattito sulla città diffusa
Le riflessioni sulla città diffusa si sovrappongo al concetto di sprawl sopra
illustrato e si sono imposte alla attenzione degli studiosi e dei pianificatori italiani
intorno agli anni Novanta. La città diffusa (Indovina, 1999) è stata
tradizionalmente contrapposta al modello di “città compatta” che propone uno
sviluppo più concentrato dei confini urbani; non è frutto di una pianificazione
generale e sistemica ma deriva piuttosto da «logiche prevalentemente individuali,
secondo una articolazione fisica territoriale perlopiù policentrica, caratterizzata da
insediamenti a bassa densità, che danno luogo, in alcuni casi, a un tessuto misto
(…)» (Bertuglia, 2002, 113). Questa forma urbana si sviluppa in Italia a partire
dagli anni 80 ed è una risposta da un lato al problema abitativo nelle grandi città e
dall’altro alla necessità di individuare luoghi nuovi per la produzione industriale.
Segue pertanto la ricerca di spazi spazi che siano facilmente urbanizzabili perché
liberi da altri insediamenti e accessibili in modo abbastanza agevole dai grandi
centri urbani. Ciò è avvenuto senza «nessuna attenzione ai caratteri morfologici
vegetazionali del territorio circostante rispetto al quale il modello della città
diffusa si pone come progressivo riempimento di spazi suburbani, in genere
agricoli, o come addizione di piccoli nuclei storici, sempre di origine agricola,
6
Per un approfondimento si consideri Bagnasco (1977).
-7-
senza nessun rapporto di disegno morfologico e funzionale capace di integrare il
nuovo con le preesistenze» (Erba, 2003).
La tendenza a produrre insediamenti disseminati in un territorio a bassa
densità costituisce uno degli elementi di maggiore impatto sul consumo di suolo
agricolo e forestale. Infatti la propagazione della forma urbana diffusa implica una
“separazione funzionale delle aree”, dal momento che gli spazi residenziali sono
staccati dai servizi, dalle zone di commercio e da quelle in cui si concentra il
lavoro (spesso localizzato in zone centrali della città o lungo le arterie principali
della comunicazione) con indubbie ricadute sul sistema dei trasporti e la loro
organizzazione; la tendenza è infatti quella di utilizzare un mezzo privato, dal
momento che non tutte le zone residenziali sono raggiunte dal trasporto pubblico
urbano, con conseguenze non indifferenti dal punto di vista dell’inquinamento
atmosferico, di quello acustico e dell’eccessivo tempo ed energie utilizzati per i
trasferimenti (Davico, 2009).
Il dibattito sulla città diffusa rientra in quell’ambito di riflessioni più generali che
va sotto il cappello più vasto dello sviluppo sostenibile, ormai all’attenzione di
studiosi, decisori politici e opinione pubblica sin dall’inizio degli anni Settanta e
in modo più decisivo a partire dagli anni Novanta7. Come abbiamo accennato più
sopra, le città si muovono sulla via dello sviluppo economico e perseguono una
ricerca del benessere sociale, usando le proprie risorse ambientali e producendo
effetti sull’ambiente sia a scala locale, sia a scala regionale, sia a scala globale
(Stern, 2003). Fra i numerosi contributi portati dalla teoria dello sviluppo
sostenibile, alcuni hanno consentito di modificare il punto di vista fino a quel
momento avuto sul rapporto fra spazio urbano ed extraurbano. Lo sviluppo
sostenibile, infatti, viene concettualmente definito con uno spazio triangolare
(Camagni, 1996; Mela, Belloni, Davico, 1998) nel quale alla componente
ambientale viene data la stessa importanza attribuita alle componenti economica e
sociale.
Pianificare lo spazio urbano per preservare lo spazio extraurbano
Un altro importante contributo viene dalla letteratura sulla pianificazione
territoriale muovendo dalla tradizionale distinzione fra pianificazione “operativa”
e “strategica”. Al primo tipo appartiene la categoria di strumenti di pianificazione
che «fissano criteri e regole certe per l’uso del suolo, l’organizzazione, la
trasformazione e la progettazione della forma urbana, dei suoi spazi, del sistema
viario e delle principali infrastrutture, spesso definendo in modo puntuale
contenuti tecnici, standard, vincoli e norme giuridiche e tecniche di attuazione»
(Davico, 2009, 77). Rientrano in questa categoria, ad esempio, i Piani regolatori
comunali. Al secondo tipo di piani corrispondono i piani che hanno un indirizzo
temporale medio-lungo, con contenuti prescrittivi minimi e orientati a proporre
7
Si ricorda a questo proposito il Rapporto Bruntland – On Our Common Future (1992), in cui
compare per la prima volta l’espressione sviluppo sostenibile, inteso come quello sviluppo che
“soddisfa i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di
soddisfare i propri bisogni”.
-8-
ruoli di indirizzo rispetto ad alcune linee di orientamento dello sviluppo per le
quali è previsto un monitoraggio continuo, sulla base del quale modificare le
indicazioni in corso d’opera. Questi piani si sono proposti all’attenzione dei
decisori anche in virtù delle evoluzioni avvenute in seno ai processi che hanno
interessato la governance territoriale delle città europee (Le Galès, 1998; Mayntz,
2004). Fanno parte di questa categoria strumenti come i Piani Strategici, che
costituiscono l’oggetto principale della nostra trattazione e ai quali si riserva uno
spazio cospicuo nel paragrafo che segue.
Il concetto di area vasta nella pianificazione strategica italiana
Il principio della pianificazione strategica
La pianificazione strategica ha origini relativamente recenti e deriva dalla teoria
sugli strumenti di gestione aziendale (Myntzberg, 2000); sebbene sia alquanto
arduo attribuire ad essa una definizione univoca (Mela, 2006) possiamo affermare
che in generale può essere identificata con l’attività attraverso cui si definiscono
obiettivi di lungo periodo e contemporaneamente si individuano i processi utili a
realizzare questi obiettivi.
Traslando questa definizione alla pianificazione delle città Maria Cristina
Gibelli (2003, 54) ha definito come essa costituisca «l’insieme delle decisioni, dei
progetti, delle tecniche e delle azioni capaci di configurare un progetto della città
per la città». Tale progetto non corrisponde a un piano rigidamente predefinito da
un unico attore nel rispetto del quale gli attori territoriali devono uniformare le
proprie azioni (come nel caso del modello sistemico). In questo caso è previsto il
coinvolgimento, oltre che delle istituzioni, di attori individuali e collettivi che
sono impegnati nello sviluppo della città (i cosidetti stakeholders).
Il progetto su cui si basa la pianificazione strategica non corrisponde
pertanto a obblighi giuridici da parte dei soggetti coinvolti e non prevede un
disegno rigido per lo sviluppo della città, bensì una visione per la città futura. E’
interessante sottolineare come questa visione sia l’esito di un punto di
convergenza tra gli attori coinvolti, che tuttavia è per definizione sempre
provvisoria, dal momento che riguarda scenari di medio e lungo periodo
(Bagnasco, 2003; Perulli, 2006). Come evidenzia Faludi (2000) nella prospettiva
di lungo periodo risiede uno dei punti di forza della pianificazione strategica dal
momento che essa implica la valutazione di conseguenze di lungo periodo di
scelte immediate. Ciò prevede che oltre ai principi della “concertazione” e della
“negoziazione” che orientano il rapporto fra gli stakeholders, sia prevista una
attività di “monitoraggio” della attività dei decisori, in modo da intervenire per
aggiustamenti o correzioni in tempo utile (Mela, 1996).
La pianificazione strategica così intesa corrisponde a quel modello di
pianificazione più tardiva che Curti e Gibelli (1999) identificano con l’espressione
“reticolare visionaria” (distinta dai modelli sistemico e strategico-aziendale) nata
in risposta all’esigenza di maggiore democraticità nella pianificazione con
l’intento di favorire gli accordi fra le parti attraverso una politica di integrazione
di strategie (top-down e bottom-up), attribuendo all’attore pubblico un ruolo di
-9-
“mediazione” fra gli interessi coinvolti. Oltre alla prospettiva di lungo periodo,
inoltre, i piani strategici prevedono un raggio territoriale che in alcuni casi ha la
pretesa di trascendere la dimensione urbana proponendo come unità di riferimento
l’area vasta (Mela, 2006). Attraverso i piani di “area vasta” è possibile operare
una pianificazione di carattere più sistemico che non tenga solo conto delle
esigenze del singolo centro urbano ma allarghi il suo orizzonte progettuale
all’area extraurbana. Il vantaggio e il valore di questo contributo è quello di
consentire la salvaguarda dei sistemi ambientali, dei corridoi ecologici e della
continuità dell’uniformità paesaggistica (Spaziante, 2003). Esso infatti consente
una progettazione non “urbano-centrica”, ovvero a partire dallo spazio “vuoto” e
non da quello “pieno”, limitando gli aspetti negativi dell’espansione in un’ottica
sostenibile (ivi, 279). Per questa ragione l’area vasta è divenuta il riferimento
territoriale di molte politiche (Donolo, 2006). Come è noto, infatti, a prescindere
dai confini amministrativi, si formano “corpi territoriali più complessi, costrutti
che riflettono le dinamiche delle materie rilevanti: ecosistema, paesaggio, bacino,
sistema locale” (ivi. 233).
A questo proposito si osservi come, in generale, la pianificazione
territoriale sia andata verso la sperimentazione di reti, cooperazioni, trasversalità
che non sempre hanno avuto il risultato sperato ma che tuttavia hanno previsto
una prospettiva territoriale altra rispetto a quella verticale gerarchicamente ed
istituzionalmente costituita. Ciò che tuttavia è all’attenzione di ricercatori e
decisori è la necessità di una presa di coscienza della complessità che la
progettazione di area-vasta richiede dal momento che si propone come un insieme
di “voci molteplici, di diversa provenienza e intensità – geografiche, antropiche,
economiche e sociali, storiche e culturali” (Cusmano, …). Sulla base di queste
considerazioni sono numerosi gli aspetti di area vasta che potrebbero essere presi
in consierazione in un Piano Strategico: da quelli legati al paesaggio a quelli legati
alla mobilità, dai parchi ai fiumi, alle aree verdi, all’identità rurale, al rapporto fra
zone extraurbane e urbane, al turismo naturale, ecc.
Lo spazio extraurbano nei Piani Strategici italiani
L’adesione ai Piani Strategici come pratiche di pianificazione è stata volontaria
fino al 2005, allorquando il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti lo ha
promosso a livello di governo centrale per la prima volta (Crosta, cit. in Fedeli,
2006). In questa prospettiva il piano strategico viene promosso come “il disegno
politico dello sviluppo, di medio e lungo periodo, urbano e di area vasta, che
persegue la competitività in chiave sovra locale tramite la costruzione di patti tra
gli attori istituzionali, sociali ed economici nella città e nel suo territorio e tramite
la promozione di reti di alleanze, nazionali e trasnazionali tra città e territori”
(ibid., 22). Al pieno strategico viene pertanto richiesta la capacità di sapere
trascendere i confini amministrativi perseguendo la coesione sociale e territoriale.
Numerosi contributi in queto senso vengono dalla letteratura anglosassone
(Healey, 2004; Amin e Thrift, 2002) laddove si sottolinea come la pianificazione
territoriale necessiti di superare una concettualizzazione della città come di una
entità data territorialmente.
- 10 -
Tuttavia, osservando le realtà europee, si percepisce come la centralità
della città secondo il city-based approach (Le Galès, 2002) sia tuttora molto
evidente e si esplichi in una concezione di città-attore collettivo che propone
nuove forme di organizzazione dello spazio urbano ed extraurbano. Borelli (2005)
rileva come la pianificazione strategica costituistca per le città tuttora uno
strumento utile a ricercare “nuove forme di governance (…) volte a restituire una
immagine di loro stesse come di attori collettivi”(ivi, 135).
Fedeli (2006) a tal proposito propone un’interpretazione critica dell’idea
che le città attraverso i piani strategici possano recuperare una propria dimensione
tradizionale di attore collettivo, in un epoca in cui i confini tradizionali risultano
essere così sfumati. Tuttavia l’autrice osserva come, all’interno delle realtà
europee le città stesse si autorappresentino come attori collettivi forti, col rischio
che tuttavia questa identità (percepita) si traduca in una mera valenza
comunicativa e restituisca alle città l’opportunità di perseverare in una
pianificazione che sia urbano-centrica: “la città si propone agli attori come arena
in cui riconoscersi – trovare riconoscimento e legittimazione – e allo stesso tempo
come arena che viene riconosciuta, cioè da riconoscere e legittimare” (ivi, 126).
Nella maggior parte dei piani strategici inoltre si osserva il tentativo di ridefinire
l’identità territoriale ed economica (Pichierri, 1998) ma ciò avviene quasi
totalmente nell’assenza di uno sforzo immaginativo che trascende i confini
amministrativi.
L’area vasta nei Piani Strategici italiani: una proposta di analisi e una possibile lettura.
Questo lavoro propone una riflessione su come i Piani Strategici italiani trattino il
tema dell’area vasta, o meglio se contemplino questa dimensione e in quale
misura. L’intento con il quale si procede è descrittivo e corrisponde a una prima
fase di indagine, inserita all’interno di una riflessione più ampia di intento più
esplicativo e comparativo fra le città. Le riflessioni che qui emergono
costituiscono una proposta di indagine e una possibile lettura dei dati raccolti.
Gli estremi di questa proposta di indagine contemplano l’analisi di Piani
Strategici delle città italiane, sostenuta da nuove tecniche di indagine basate
sull’analisi del testo. Questi strumenti consentono di affiancare alla analisi del
testo e dei suoi contenuti tradizionale, alcuni approfondimenti resi possibili
dall’uso di programmi specifici, in particolare quelle che tengono conto delle
frequenze con cui appaiono determinate parole chiave (Wordle) e delle altre
parole alle quali più comunemente vengono associate (WordTree) 8.
Criteri di selezione e analisi dei documenti. L’analisi condotta sui Piani Strategici
della Recs si è basata sui documenti reperibili a partire dal sito della Rete delle
Città Strategiche. Alcune città, tuttavia, seppur facenti parte della Recs,
rimangono escluse dall’analisi per motivi diversi. Una prima ragione di esclusione
deriva dal fatto che sui relativi siti non è stato impossibile reperire le informazioni
necessarie o perché il sito non è ad oggi accessibile o perché non è ancora stato
8
Per un approfondimento su queste tecniche e gli strumenti di indagine si consideri
http://manyeyes.alphaworks.ibm.com/manyeyes/
- 11 -
pubblicato materiale in merito. Questi i casi di: Asti, Carbonia, Castelsardo,
Ferrara, Nuoro, Olbia, Oristano, Piacenza, Teggiano, Terni, non sono state
analizzate.
Fra le città che hanno reso disponibile i documenti relativi al Piano
Strategico, tuttavia, ciò che immediatamente salta all’attenzione è l’eterogeneità
del materiale disponibile, per quanto attiene a: formato, contenuti, lunghezza del
documento, facilità nel reperire i documenti, classificazione e organizzazione del
materiale, nonché achitettura dei siti (da notare come un’eccessiva
differenziazione denoti mancanza di standardizzazione e sistematicità fra le
singole realtà).
La tabella che segue ha una valenza sinottica e fa riferimento a quanto
appena sottolineato. Come è possibile notare nella colonna “materiale”, il tipo di
materiale rinvenuto riguarda tipi di documenti diversi. Inoltre soltanto 10 città su
29 analizzate (39, se si tiene conto di quelle escluse per mancanza di materiale)
rendono pubblico l’intero volume del Piano Strategico.
Tab. 1 – Tabella riassuntiva del materiale disponibile
Città
Alghero (SS)
Principali attori
istituzionali
Materiale
Specificazione materiale
Alghero 2020 La città amabile ...Piano
Strategico (pag 116)
Barletta (BA)
comune
comune,
provincia,
regione,
confindustria …
comune,
provincia,
regione
Volume PS
Documenti Vari
Piano Strategico e PUM di Area Vasta (pag
175) e Il piano urbano della mobilità di area
vasta (pag 149)
Benevento (BN)
comune
Studio pre
Primi scenari - Studio Preliminare (pag 10)
Bolzano (BZ)
Obiettivi
Obiettivi Strategici (pag 45)
Brindisi (BR)
comune
comune,
provincia,
regione
Cagliari (CA)
comune
Assi strategici
Temi rilevanti ed assi strategici (pag 123)
Caserta (CE)
comune
Documento di indirizzo
Catania (CT)
comune
Linee strategiche
Documento di indirizzo (pag 40)
Piano strategico Catania città metropolitana
(pag 40) e Linee strategiche elenco progetti
(pag 42)
Comuni Copparesi (FE)
comuni
copparesi
Linee strategiche
Il piano: obiettivo e percorso (pag 57) e
Visione strategica, linee strategiche (pag 28)
Cremona (CR)
comune
Presentazione piano
Cuneo (CN)
comune
Linee e progetti
Documenti vari
Il Piano Strategico della città e del suo
territorio (pag 128)
Firenze (FI)
comune
Volume PS I e II
I piano strategico (pag 160) e Verso il II
piano strategico (pag 224)
Jesi (AN)
comune
Volume PS
Piano strategico (pag 68)
La Spezia (SP)
comune
Visioni future
Documenti Vari
Lamezia Terme (CZ)
comune
comune,
regione
Volume PS
Piano strategico definitivo (pag 106)
Doc piano
Documento di Piano (pag 373)
Bari (BA)
Lecce (LE)
Napoli (NA)
Perugia (PG)
Volume PS
Brochure e fasi
Documento
progettualità
strategico
comune
Vision e Assi strategici
comune
e
comuni limitrofi
Linee strategiche
e
Documento Strategico (pag 20)
Vision, assi e azioni (pag 61)
Documenti Vari
- 12 -
Documento di programma (pag 55) e
Dossier progetti (pag 199)
Pesaro (PU)
comune
Quartu S.Elena (CA)
Piano Strategico 2020 (pag 146)
Tempio Pausania (OT)
comune
Volume PS
comune,
provincia,
camcom, cassa
risparmio
Vision
comune,
regione
Volume PS
comune,
regione
Volume PS
Teramo (TE)
comune
Documenti Vari
Torino (TO)
comune
Trento (TN)
comune
Volume PS I e verso il secondo I Piano Strategico della città (pag 116) e
piano
Verso il II Piano Strategico (pag 72)
Scenario futuro,tavola
sinottica
interventi
Documenti Vari
Venezia (VE)
comune
Volume PS
Rimini (RN)
Sassari (SS)
Doc programma e Dossier progetti
Documenti Vari
Piano Strategico (pag 144)
Piano Strategico (pag 154)
Linee programmatiche
Piano Strategico (pag 137)
L’estrema eterogeneità riscontrabile anche nei documenti mostra come in realtà
non esista una condivisione allargata sull’architettura delle informazioni che
sottendono la predisposizione del Piano Strategico.
Per le città che compaiono in Tab.1 si è proceduto all’analisi del testo di
tutti i documenti rinvenuti, al fine di determinare se venisse preso in
considerazione il tema dell’area vasta nei documenti disponibili, per poi
concentrarsi in particolare su quelli che
L’analisi mostra come anche per quanto riguarda il tema dell’area vasta, le
città presentino un approccio differente: alcune lo trattano diffusamente (**), altre
solo in modo marginale (*), altre non lo prendono in considerazione (--).
Tab. 2 – Presenza tema Area Vasta e sua frequenza
Città
Materiale
Area vasta
Alghero (SS)
Volume PS
**
Bari (BA)
Brochure e fasi
**
Barletta (BA)
**
Brindisi (BR)
Volume PS
Documento strategico e
progettualità
Cagliari (CA)
Assi strategici
**
La Spezia (SP)
Visioni future
**
Lamezia Terme (CZ)
Volume PS
**
Lecce (LE)
Doc piano
**
Quartu S.Elena (CA)
Volume PS
**
Caserta (CE)
Documento di indirizzo
*
**
- 13 -
Cremona (CR)
Presentazione piano
*
Firenze (FI)
Volume PS I e II
*
Jesi (AN)
Volume PS
*
Perugia (PG)
Linee strategiche
*
Rimini (RN)
Vision
*
Tempio Pausania (OT)
*
Trento (TN)
Volume PS
Scenario futuro,tavola
sinottica interventi
Venezia (VE)
Volume PS
*
Benevento (BN)
Studio pre
--
Bolzano (BZ)
Obiettivi
--
Catania (CT)
Linee strategiche
--
Comuni Copparesi (FE)
Linee strategiche
--
Cuneo (CN)
Linee e progetti
--
Napoli (NA)
--
Pesaro (PU)
Vision e Assi strategici
Doc programma e Dossier
progetti
Sassari (SS)
Volume PS
--
Teramo (TE)
Linee programmatiche
Volume PS I e verso il
secondo piano
--
Torino (TO)
*
--
--
Osservando la tabella, si può notare che fra le città che utilizzano più diffusamente
l’espressione area vasta nel loro piano strategico o nei documenti ad esso relativi
(**), siano quasi del tutto escluse le città metropolitane. Fra queste infatti
(evidenziate dal grassetto nella tabella) solo Bari e Cagliari trattano il tema con un
certo approfondimento, mentre Firenze e Venezia se ne occupano solo in modo
marginale e Catania, Napoli e Torino (né nel primo né nel secondo piano
strategico) non se ne occupano affatto.
Fra le città che contemplano la dimensione di area vasta è da rilevare,
inoltre, come la dimensione urbana prevalga su quella extraurbana, dal momento
che le considerazioni in merito di area vasta riguardano perlopiù i problemi
urbani della città diffusa, mentre le questioni relative alla salvaguardia di spazi
agricoli e paesaggistici, alla qualità della vita, all’identità degli spazi non urbani,
alle necessità delle zone periurbane ed extra-urbane sono quasi del tutto
inesistenti.
Tuttavia, fra le città che non contemplano l’area vasta come espressione
per la pianificazione del proprio territorio, emerge che fra le città di dimensione
minore è più comune l’uso di espressioni che contemplino maggiormente una
- 14 -
apertura dei confini urbani. Isolando due fra queste città città, Torino e Cuneo, si
noti come all’interno del documento le prime 30 parole più ricorrenti sono:
Figura 1 – Prime 30 parole più diffuse nel Piano Strategico di Torino (la granezza della parola esprime
la frequenza del suo utilizzo)
Figura 2 – Prime 30 parole più diffuse nel Piano Strategico di Cuneo (la granezza della parola esprime
la frequenza del suo utilizzo)
Quanto emerge denota una realtà decisamente diversa. Il documento relativo a
Torino mostra come siano più diffusi termini come metropolitana, internazionale,
nuovo, progetto, collegamento, obiettivi, formazione, azione, soggetti, sviluppare,
creare, ricerca, collegamento, servizi, ecc. Si tratta di attributi o apposizioni legate
perlopiù alla città, al suo carattere dinamico, alla sua capacità. Tuttavia il punto di
- 15 -
vista è esclsusivamente sulla città mentre non compare una dimensione più
allargata. Nel caso di Cuneo, al contrario, fra i più diffusi nel Piano Strategico
emergono termini quali territorio, sistema, rete, attori, servizi, attività, sviluppo,
associazioni, risorse, ecc. Il che denoterebbe una attenzione maggiore alla
dimensione allargata, al territorio extraurbano, alla capacità di fare rete da parte di
un centro di dimensioni minori, che storicamente e tradizionalmente ha promosso
un tipo di sviluppo più diffuso, a differenza della città metropolitana di Torino
(che storicamente è stata interessata da uno sviluppo city-based).
Conclusione
Le brevi riflessioni fino ad ora messe in luce non hanno assolutamente pretesa di
esaustività ma vogliono essere una indicazione su come dall’analisi dei piani
strategici e dell’uso delle parole (o il non impiego di determinate altre parole) in
essi contenute possa risultare evidente l’approccio su cui si basa lo sviluppo della
città. Quanto detto costituisce solo l’incipit di un processo di ricerca che
proseguirà e con particolare attenzione all’analisi dei piani strategici delle città
metropolitane, con particolare attenzione al modello di sviluppo che le interessa
(Nordovest, Terza Italia, Sud e Isole), secondo l’approccio proposto da Bagnasco.
Sebbene molto velocemente si è scelto qui di mettere in luce, da una prima
analisi di testo, come in realtà l’approccio più utilizzato dai piani strategici sia
perlopiù ancora basato sulla centralità della città rispetto al territorio circostante,
sia esso definito spazio rurale, area vasta, spazio extraurbano. Il che denota una
mancanza di attenzione, tuttora diffuso, alla dimensione non urbana e una
difficoltà a produrre uno sviluppo condiviso (e democratico) fra i diversi interessi
presenti sul territorio.
Se i piani strategici di prima generazione non sono riusciti a contemplare
una visione di area vasta, sarebbe è auspicabile che i piani di seconda generazione
possano adempiere a questo compito; del resto, democraticità e concertazione
sono fra i principi guida della pianificazione strategica.
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