Il Verbo Il Vangelo di Giovanni ci espone (Giovanni 1, 1

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Il Verbo Il Vangelo di Giovanni ci espone (Giovanni 1, 1
Il Verbo
Il Vangelo di Giovanni ci espone (Giovanni 1, 1 - 18), con immaginifico linguaggio
simbolico, l’Origine di tutte le cose, a partire dal Logos. Abbiamo ritenuto di iniziare
dall’Inno al Logos, ponendo in secondo piano il mito della Creazione contenuto in
Genesi, perché crediamo che, ai fini che qui interessano, sia più conveniente. Nelle
parole del Vangelo:
“In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio,
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di Lui,
e senza di Lui niente è stato fatto”.
Il Verbo, cioè il Logos, è il principio di ogni cosa: “Tutto è stato fatto per mezzo di
Lui, e senza di Lui niente è stato fatto”(1). Il Logos si identifica, innanzitutto, con
l’Intelletto Divino (Logos interno), il quale dà poi vita alla Parola (Logos esterno). Il
Logos altro non è che il Principio che, a partire dal puro non-essere, passando poi
dall'essere non-manifestato, e attraversando i vari stadi della manifestazione, giunge a
sottendere e a costituire tutta quanta la realtà, la quale, insomma, non è che un
“simbolo” del Principio (2). La Parola divina, in quanto tale, cioè pura, giacente nello
stato di non-manifestazione è per la realtà (e per l’uomo segnatamente) assolutamente
incomprensibile, poiché tra essa e l’uomo vi è incolmabile distanza (sia spaziale che
temporale). L’uomo, in quanto “mescolanza” di pensiero e materia, non è un essere
puramente intellettuale, così come il Principio, ragion per cui ha bisogno del sostegno
del Simbolo per addivenire alla comprensione (ascolto) del Logos divino. Infatti:
“E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria”.
Tutto fu manifesto, allora, per mezzo dell’incarnazione del Verbo, a coloro che
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(1) In accordo alla loro visione, i Catari traducevano questo passo (Sine Ipso factum est nihil) come:
“Senza di Lui è stato fatto il nulla”, cioè, la creazione materiale non è opera del Dio Supremo, ma di
Satana. Il Dio Supremo, infatti, avrebbe creato solo le cose spirituali (il Tutto). A tal proposito vedi
Jean Duvernoy, La religione dei Catari, ed. Mediterranee, pp. 53 – 54.
(2) René Guénon ha ripetutamente evidenziato come tutto ciò che è reale non è che il riflesso di un
Principio di ordine superiore e puramente intelligibile. Così, le leggi fisiche non sono che la
manifestazione delle forze intelligibili dell'universo.
seppero “vedere” attraverso le tenebre. Il Logos, infatti, fu luce che splendette nelle
tenebre e queste non poterono sopraffarlo. Egli venne nel mondo e si rivelò nella
carne.
Il rapporto che intercorre tra il Logos e le tenebre è di fondamentale importanza,
poiché è lo stesso che intercorre tra la luce e il buio (3), e si riallaccia a ciò che anche
in Genesi è contenuto (4). Vi è una linea di demarcazione (piano della riflessione) tra
le acque inferiori (il mondo materiale) e quelle superiori (il mondo spirituale).
All’inizio, è il caos materiale (5), poi la Parola di Dio dà il via all’ordine. In
principio, cioè in Genesi, la Parola riveste il solo ruolo di ordinatore di tutta quanta la
realtà: la Creazione in quanto tale è la prima e diretta manifestazione del Principio.
Ed è per questo motivo che, prima che il Logos si facesse Carne in Gesù Cristo, vi era
la necessità che l’Intelletto divino si rivelasse attraverso il vaticini presso i betili (6). I
betili, infatti, in quanto “Casa di Dio” (Beith-El), erano i luoghi deputati alla
manifestazione del Logos divino. Le pietre “parlanti” di cui è tradizione anche nelle
isole britanniche, o in Sardegna, hanno avuto il medesimo ruolo. Il ruolo delle pietre
oracolari viene meno quando il Verbo si incarna e viene sulla terra a manifestare la
Parola divina direttamente agli uomini (7).
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(3) Il Logos si manifesta come luce, in opposizione alle tenebre (Giovanni 1, 4 -5).
(4) “In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre
ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: “Sia la luce!”. E la luce fu.”
(Genesi 1, 1 – 3).
(5) Il caos che regna sull'abisso è simboleggiato dalle acque su cui lo spirito di Dio aleggia. Per
l'accostamento delle acque al caos vedi anche l'Inno alla Perla: “Quando andrai in Egitto e ne
riporterai l'Unica Perla che giace in mezzo al mare, accerchiata dal serpente sibilante”. La patria
del protagonista di questo bellissimo inno gnostico è situata in Oriente, cioè laddove sorge il Sole.
L'assimilazione di tenebre, acque e caos è un topos della dottrina gnostica.
(6) Possiamo ricordare l'oracolo di Delfi, ove era collocata la pietra vomitata da Crono che servì a
Rea per la sostituzione di Zeus. Anche alla Mecca, in epoca preislamica, vi era un betilo dedicato a
Hobal e che serviva per i vaticini. La famosa “pietra nera” contenuta nella Kaaba non era essa stessa
che un oggetto con la medesima funzione: una pietra caduta dal cielo, un aerolito, tramite tra la terra
e il cielo. Il Graal stesso è una coppa (grasale) ricavata da una pietra, quella che cadde dalla fronte
di Lucifero. Esso, nondimeno, è anche un libro (graduale). Pietra e parola sono attributi del Graal.
(7) Nel Vangelo (cfr. Marco 4,3 e Luca 4,3) il tentatore provoca il Cristo a mutare le pietre in pani.
Tale trasmutazione deve avvenire sul piano spirituale, poiché il Cristo, il Logos, è il “pane di vita”
venuto sulla terra a sostituire la pietra in quanto “Casa di Dio”. Non ci si serve più dei betili, poiché
chi avrà gustato una volta sola quel pane non avrà più fame della Parola di Dio (cfr. Giovanni 6,35).
Nel momento in cui il Logos si dà a noi in quanto pane di vita, o carne (8), dunque,
il ruolo degli oracoli cessa . Anche Maometto distrugge con le sue mani gli idoli (i
betili) della Mecca, essendo egli ora il “Profeta”, il Vate di Allah, pur senza esserne
la incarnazione. La comparsa del Profeta (per l'Islam Gesù è egli stesso un profeta,
secondo solo a Maometto) in quanto inviato di Dio impone un nuovo ordine al
cosmo.
Una immagine simbolica del Logos che si erge al di sopra del caos, è quella del
Cristo che cammina sulle acque (9). Egli è il raggio celeste, inviato da Dio, che brilla
sul piano della riflessione. Spogliatosi della forma, egli si rivela nella sua vera natura,
cioè accede al piano dell'universale. Con questa veste originale incute paura agli
apostoli, i quali lo scambiano per un fantasma. È in questo momento che la
“materialità” del Logos si attenua fin quasi a rivelarsi nella sua superiore purezza
spirituale. L'Evangelista si premura di precisare che la paura degli apostoli fu
originata dalla loro “insensibilità”, perché non avevano capito l'episodio dei pani
(10).
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(8) Gesù è nato a Betlemme. Questa città (puramente simbolica) in ebraico è Beith-lehem, “Casa
della carne”, o “Casa dell'incarnazione”, dove lehem (corrispondente all'arabo lahm) significa
“carne”. Gesù è il pane di vita, ma è anche la carne. Egli moltiplica sia i pani che i pesci e ne sfama
coloro che lo chiedono (cfr. Marco 6, 34 - 44).
(9) Cfr. Marco 6, 45 - 52. Bisogna notare che nell'induismo uno dei nomi di Vishnu è Narayana,
che significa letteralmente “colui che cammina sulle acque”.
(10) Nell'episodio antecedente alla camminata sulle acque vi era stata la famosa moltiplicazione dei
pani e dei pesci (cfr. nota 8). Per quanto abbiamo detto, il pane deve essere inteso come pane di
vita, e così la carne. Gesù aveva distribuito i pani e i pesci, cioè aveva distribuito se stesso, il Logos,
e ne aveva “sfamato” cinquemila persone. I numeri, in questo episodio, non possono essere casuali.
I pani da moltiplicare sono in numero di cinque, mentre i pesci sono due. La somma dà il numero
sette, numero “sacro” per eccellenza. Il sette è il numero del Logos, poiché esso si trova al centro
della croce a sei bracci che simboleggia l'estensione (sia spaziale che temporale) sul piano della
manifestazione (a tal proposito cfr. René Guénon, Il simbolismo della croce, ed. Rusconi, p. 39 ss.).
Gli avanzi dei pani e dei pesci sono sufficienti a riempire, rispettivamente, dodici ceste. Il dodici è
altro numero di “perfezione”, che fa tradizionalmente pendant con il sette, poiché la somma di 1 + 2
simboleggia la sintesi dell'Unità e della Dualità. Il numero tre è il ricongiungimento del triadico
separato dalla caduta pleromatica: Assoluto, Bene e Male. Anche il numero di cinquemila, riferito a
quanti hanno “mangiato” del Logos non è casuale. Nel Talmud si dice che la durata del mondo è
suddivisa in periodi di mille anni. Ciò vuol dire che il Logos si era manifestato (aveva sfamato) già
da cinquemila anni. Il calcolo, tuttavia, pare non essere del tutto esatto, poiché, se attualmente ci
troviamo alla fine del Kali Yuga (iniziato seimila anni fa), il numero sarebbe dovuto essere
quattromila, e non cinquemila. René Guénon (cfr. Il simbolismo della croce, ed. cit., pp. 43 - 44) ha
Un altro rimarchevole esempio che mostra il Logos ergersi contro il caos è dato
dall'episodio della tempesta placata (11). Gesù e i discepoli si imbarcano per recarsi a
Gadara. Sul mare si leva una tempesta. Gesù in quel momento dormiva (bisognerebbe
intendere questa parola simbolicamente come “taceva”). I discepoli, atterriti dal
pericolo, lo svegliano. Egli li rimprovera per la loro mancanza di fede, “sgrida” i
venti e il mare, e la tempesta si placa all'istante. Il Logos si manifesta nel mezzo del
caos e vi pone ordine col suono della sua Parola. I discepoli, ancora una volta, non
sembrano aver recepito gli insegnamenti del maestro, poiché di fronte al caos
materiale rimangono smarriti e paventosi. C'è da aggiungere che il simbolismo della
barca è importante: essa è il vascello (vasello) che costituisce il Graal galleggiante
sulle acque inferiori.
Tutto quanto sopra esposto, appartiene al piano manifestativo. Vi è tuttavia un
momento in cui il Logos non si manifesta. Esso, per usare una espressione già
adoperata all'inizio, è in origine Logos interno, cioè non manifestato. Esso cioè è il
puro Intelletto, ed è rappresentato dal punto, privo di dimensioni sul piano
geometrico. È in questo momento precedente alla manifestazione, indicato nella
dottrina ebraica con Avir, che è l'etere misterioso (12), che il non-essere puro si
concentra nel punto che è l'Intelletto.
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sottolineato come tali numeri “temporali” non siano da prendere alla lettera, e che se si vuole
tentare un calcolo reale della durata del mondo bisognerebbe intraprendere uno studio approfondito
sul Manvantara (ciclo cosmico) indù. Da parte nostra, ci premuriamo di sottolineare che se a
cinquemila si aggiunge non mille, ma duemila, il calcolo appare esatto, poiché rispecchierebbe le
sette giornate del mondo creato, dove il settimo giorno sarebbe visto come il culmine del processo
di ristabilimento dell'ordine antecedente. D'altra parte il Cristo stesso dice (cfr. Matteo 24,36) che
l'ora e il giorno non sono noti a nessuno, se non al Padre.
(11) Cfr. Matteo 8, 23 - 27.
(12) Precedentemente al punto non-manifestato, ma intelligibile, non vi è altro che l'etere
misterioso, il vuoto. Questo vuoto antecedente, ineffabile, impronunciabile, che può essere definito
solo in senso negativo, è alla base della dottrina del Tao. Nel Tao Te Ching, Lao Tse dice, infatti:
“Senza nome è il Principio del Cielo e della Terra, quando ha nome è la madre delle diecimila
creature”. Prima del Logos interno concentrato nell'Intelletto vi è dunque il vuoto. Bisogna notare
che Avir è detto “misterioso” (con parola che viene riferita anche al Tao) proprio perché è nascosto,
segreto. La parola “mistero”, così come la parola “mito”, derivano entrambe da una comune radice,
“my”, la quale esprime, appunto, il concetto del segreto, del nascosto. Mythos e Logos sono, come
noto, tra loro opposti. E d'altronde il Mythos precede il Logos.
Questo momento di concentrazione corrisponde, nella dottrina indù, al momento
immediatamente precedente alla fase espirativa di Brahma (13). In questo momento il
Logos inespresso è l'Uno, in perenne quiete e assolutamente silenzioso (14). Nel
Silenzio assoluto, non manifestato, ma intelligibile, il punto concentrato concepisce
tutto ciò che di seguito crea: il punto è allora il luogo del non essere in quanto
potrebbe essere. Esso è il futuro in potenza, poiché esso crea sia lo spazio che il
tempo. Prima di esso il tempo non esiste (15). Ora l'Uno, simboleggiato,
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(13) Per l'induismo l'universo si accorda al respiro di Brahma: inspirazione ed espirazione
corrispondono alle due fasi della creazione e della distruzione del cosmo. Nel momento del
passaggio dalla fase inspirativa a quella espirativa si individua il punto di concentrazione nel punto
originale e ineffabile. Anche il taoismo conosce un'immagine simile a quella del respiro di Brahma.
Dice Lao Tse: “Lo spazio tra Cielo e Terra come somiglia a un mantice! Si vuota ma non si
esaurisce, si muove ed ancora più ne esce”. Si può notare, in tutte queste immagini, una
sorprendente analogia con la teoria del Big Bang, secondo cui l'universo è il risultato dell'esplosione
primordiale di una quantità di materia densissima concentrata in un punto. Ancor più sorprendente
notare che ciò che la scienza ha fatto proprio con secoli (se non millenni) di ritardo, la dottrina
tradizionale ha sempre posseduto.
(14) Nelle opere gnostiche ricorre spesso l'immagine dell'Uno “in quiete” e silenzioso
nell'assolutezza del Pleroma. Cfr. p. es. Vangelo di Maria Maddalena: “È adesso che imbocco la via
della quiete. La quiete annuncia la Pace là dove il Tempo si immobilizza nell’Eternità. In verità, la
mia Via è Una Via di Silenzio”; Vangelo di Verità: “il Logos di per sé è in una grazia silenziosa”;
Protennoia Trimorfica: “Io esisto dal principio nel Silenzio”. L'ultima opera citata, la Protennoia
Trimorfica (Le Tre forme del Primo pensiero) è molto importante per quanto stiamo dicendo,
poiché presenta analogie evidentissime con l'Inno al Logos di Giovanni, ed anche perché (per quel
che si dirà a breve) in sé racchiude il significato ultimo del punto di concentrazione. Conviene
riportare dei passi della Protennoia particolarmente significativi nell'economia di quanto stiamo
esponendo: “Io esisto prima del Tutto e sono il Tutto perché esisto in ognuno. Io sono una voce che
parla sommessamente. Io esisto dal principio nel Silenzio. Io sono ciò che è in ogni voce e la voce
che è nascosta in me, nell’incomprensibile illimitato pensiero all’interno dell’illimitato Silenzio. Io
discesi nel centro degli Inferi e risplendetti sopra l’Oscurità. Io sono colei che versò l’acqua. Io sono
colei che è nascosta nelle acque radianti... Io sono la percezione e la Conoscenza, emettendo una
Voce per mezzo di Pensiero... Allora il Figlio che originò attraverso questa Voce, che procede
dall’alto, egli che possiede dentro di sé il nome che è una Luce, rivelò le cose imperiture e tutte le
cose sconosciute furono rese note e queste cose, difficili da interpretare e segrete, egli rivelò, e per
coloro che dimorano nel Silenzio con il primo Pensiero, egli predicò loro. A coloro che dimorano
nell’Oscurità egli si rivelò, a coloro che dimorano nell’Abisso egli si mostrò, a coloro che dimorano
nei tesori nascosti egli disse i misteri ineffabili e li illuminò, figli della Luce, su dottrine irripetibili”.
(15) Ciò si accorda anche con la teoria del Big Bang, la quale, scientificamente, ha affermato che il
tempo nasce in quanto tale solo con l'esplosione primordiale.
esotericamente, dalla lettera I, dà vita a tre punti, che sono i tre momenti
dell'universo: l'inizio, il mezzo e la fine (16). Questi tre punti, che si raccolgono
nell'I, sono simboleggiati da tre lettere: A V M. Si noti che nell'induismo il mantra
Om non è che Aum, poiché in sanscrito la O è la risultante di A + U; nella stessa
preghiera cristiana si dice, alla fine, Amen, che è identico ad Aum. Peraltro, Amen
viene tradizionalmente tradotto con “Sia”, cioè Fiat, che è anche, per quanto visto, la
prima parola di Dio in Genesi. Bisogna segnalare anche che il mantra IAW (leggi
iao), diffuso in ambienti gnostici, è composto da Iota, Alfa e Omega, con I che è il
punto ineffabile immediatamente precedente la manifestazione, ed A e W che ne
sono la manifestazione nel suono percettibile (AO = AVM). Alfa e Omega
costituiscono l'inizio e la fine della manifestazione pura. A IAW corrisponde
tradizionalmente JHWH, il tetragrammaton, in realtà formato da tre lettere, poiché la
H si ripete due volte. A chiosa di queste corrispondenze simboliche, bisogna dire che
Eurinome, la dea creatrice di tutte le cose nell'antichissimo mito pelasgico della
creazione, era chiamata anche Iehu).
Quando dallo stato di non-manifestazione si passa allo stato di manifestazione, il
punto smette di essere Avir e diviene Aor (o Hor), cioè luce (si noti l'assonanza tra
Aor e Ao). Si noti anche che Aor non è altro che Avir deprivato dello iod. Allora il
Logos, da interno che era, si esteriorizza e diventa la Parola di luce che crea. La
prima parola è l'unità fondamentale
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(16) La I (iod in ebraico, iota in greco) è lettera altamente simbolica, poiché, geroglificamente,
rappresenta Dio, cioè l'Uno (I = 1). Come dichiara Dante stesso (Paradiso, canto XXVI, v. 135) il
nome originale di Dio fu I. Da notare che nel canto XXVI del Paradiso vengono pronunciate tutte e
tre le lettere: Iota, Alfa e Omega. Alfa e Omega sono le prime due a comparire, segnando così il
piano manifestativo (cfr. Paradiso, v. 21). I viene in seguito, ed è isolata, segnando il piano nonmanifestativo. La lettera I è anche la nona lettera dell'alfabeto, ed il numero nove è dotato di una
carica simbolica fortissima, che è inutile stare a sviscerare. Il nove era anche il numero “sacro” dei
Fedeli d'Amore. Basta leggere la Vita Nova per accorgersi di quante volte esso ricorre. I è il nome
di Dio nello stato immediatamente precedente la manifestazione. Manifestandosi esso cambia e
diventa il suono percettibile del Logos: AO, OM, o ancora AVM. Questi tre punti sono
perfettamente concordanti con la nozione geometrica del piano, il quale passa per tre punti non
allineati. Se il punto geometrico originale è privo di dimensioni e inesteso, quando esso diviene tre
accede all'estensione, che sola può rendere possibile la manifestazione. Dice la Protennoia
Trimorfica: “La Voce che origina dal mio Pensiero, esiste come tre stati, il Padre, la Madre, il
Figlio, come un suono percettibile. Essa possiede la Parola dentro di sé – Parola dotata di ogni
gloria. Possiede tre mascolinità, tre potenze, tre nomi, esistendo come Tre – tetrangolati – nascosti
nel silenzio dell’Ineffabile”. Il taoismo conosce analoga immagine; dice Lao Tse: “Il Tao generò
l'Uno, l'Uno generò il Due, il Due generò il Tre, il Tre generò le diecimila creature”.
manifestazione, ed in origine essa, per quanto visto, non è che una sillaba. Dio disse:
“Fiat [lux]”: esso è il Logos esterno primordiale.
E così, il punto manifestato è pronto per estendersi in irraggiamento e dare vita alla
molteplicità e al divenire: esso non è più, geometricamente, privo di dimensioni, ma
diviene il centro della manifestazione, come il centro del cerchio (17). Prima, esso
non può essere centro, poiché manca il piano dell'estensione: può esserlo solo dopo,
ed egli ne è parte integrante e centro, cuore assoluto dell'essere (18).
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(17) Nella Vita Nova (Vita Nova, XII, ed. BUR pp. 123 - 124) , Dante ha una visione, nella quale
quale gli appare un giovinetto vestito di bianco (colore della nobiltà, oltre che della fede) che gli
dice: “Ego tamquam centrum circuli, cui simili modo se habent circumferentiae partes; tu autem
non sic”, cioè: “Io sono come il centro del cerchio dal quale tutte le parti della circonferenza sono
equidistanti; ma tu non sei così”. Il giovinetto che così si manifesta non è altri che Dio, il quale gli
rimprovera il suo rimanere decentrato e disperso nel piano della manifestazione, quella di cui Dio è
il centro, cioè I, in continuo irraggiamento e costante “discorso”. Bisogna notare che i Catari erano
usi praticare il battesimo simbolico con fuoco e spirito, secondo le parole di Giovanni Battista
(Marco 3,11). Tale battesimo veniva impartito all'età di sette, oppure dodici anni, a seconda delle
varie comunità catare. Il rifiuto del battesimo con acqua derivava dal fatto che chi è incapace di
discernimento, come i neonati, non può accogliere la Parola di Dio, la quale è il Logos, il fuoco e lo
spirito. Cfr. a tal proposito Jean Dovernoy, op. cit., pp. 127 - 128.
(18) Dio è “l'Amor che move il sole e l'altre stelle” (Dante, Paradiso, canto XXXIII, v. 159). Egli
risiede al centro della manifestazione e dimora nel Paradiso, cioè nel Paradesha sanscrito
(corrispondente al Pardes dei Caldei), la Terra Santa, la Gerusalemme Celeste. Amore, quell'amore
che è centrale nella poetica dei Fedeli d'Amore, non può essere che Dio, poiché Amor deve essere
inteso in senso geroglifico come A-Mor (Senza Morte), cioè immortale, eterno, che gira “sì come
rota ch'igualmente è mossa” (Paradiso, canto XXXIII, v. 158). Gira in eterno e torna su se stesso,
analogamente al Tao: “Il tornare è il movimento del Tao, la debolezza è quel che adopra il Tao. Le
diecimila creature che sono sotto il cielo hanno vita dall'essere, l'essere ha vita dal non-essere”;
analogamente al respiro eterno di Brahma.