IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS

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IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS
IN PRINCIPIO ERA IL LOGOS
In principio era il Logos e il Logos era presso Dio e il Logos era Dio… E il Lo go s
carne diven ne e pose la sua tenda in mezzo a noi. (Giovanni 1, 1.14)
Abbiamo lasciato intenzion alm en te la parola greca del testo originario n e l
celebre passo bi bli co che proponiamo ai nostri lettori. Logos significa “parola, ve rbo ,
discorso”, ind ica la comunicazione tip ica dell’essere umano. Nella Bibbia, però, co me
ben sappiamo, l a “parola” è qualcosa di più di quello che intendiamo noi occidenta li:
essa è anche l’azione con cui esprimia mo noi stessi, perciò il termine ebraico dab a r
designa contemporaneamente la par ola e l’att o. Non per nulla, nelle prime righe d e lla
Sacra Scrittura l eggiamo: «Dio disse : Sia la luce! E la luce fu» ( Genesi 1,3). La parola
divina esprime la persona stessa e l’oper a del Creatore.
In questa luce è arduo tradurre qu el Logos che apre il prologo innico del Vang e lo
di Giovanni. Goethe, il famoso poeta tedesco, nel suo Faust fa tentare al protagon ista
diverse versioni che cerchino di espr ime re le varie iridescenze di quel vocabolo greco:
in tedesco, cert o, è Wort, ossia “paro la” , m a è anche Sinn , “significato” dell’essere e
dell’esistere; è Kraft , “potenza” effica ce e cr eatrice; e alla fine è Tat, cioè “atto”, eve n to
pieno e perfet to, anzi persona in Cristo. L’eva ngelista, quindi, tratteggia il mistero di vino,
glorioso e trascendente del Figlio di Dio ch e è «presso Dio ed è Dio».
C’è, però, una svolta radicale che si manifesta in un incrocio tra due rea ltà
che la cultura greca vedeva in opposizione, quasi in collisione tra loro, così da esse re
reciprocament e repellenti. Il Logos diven ta sar x, “carne”. Ora, quest’altro termine gre co
definisce la fragilità della creatura, il suo essere finita, caduca, mortale, legata al temp o
e allo spazio. E cco, all ora, quello ch e potr emm o chiamare lo scandalo dell’Incarnazio ne.
Il Logos divino, perf ett o, infinito ed ete rno d iventa sarx , la “carne” umana, limitata, vota ta
alla sequenza temporale, imprigionat a nello spazio. Gesù, il Figlio di Dio, sarà app unto
vincolato a una cultura, a una lingua, a u n m odo di vivere sociale, a un territorio e a
un’epoca storica circoscritta. La sua r ealtà pr of onda di Logos divino è quasi compressa e
umiliata fino all’esperi enza della mor te, che è per eccellenza la nostra carta d’identità di
creature racc hiuse in un perimetro di te mpo e spazio.
È ciò che espri meva san Paolo in u n inno incastonato nella Lettera ai Filippesi:
«Cristo Gesù, pur essendo di natura divina …, svuotò se stesso, assumendo la condizion e
di servo, divenendo come gli uomini e pr ese nt andosi in forma umana; umiliò se ste sso
facendosi obbediente f ino alla morte e alla m orte di croce» (2,6-8). Ed è ciò che a suo
modo ha cantato anche uno scrittore agnost ico come l’argentino Jorge Luis Borges in u na
sua poesia p ubbli cata nel 1969 e in titola ta a ppunto Giovanni 1,14 : «Io che sono l’È , il
Fu e i l S arà / accondiscendo al lingu ag gio / che è tempo successivo…/ Vissi prigio niero
di un corpo e di un’umile anima. / Ap pr esi la veglia, il sonno, i sogni, / l’ignoranza , la
carne, / i tardi labiri nti della mente, l’am icizia degli uomini / e la misteriosa dedizione de i
cani. / Fui amato, compreso, esaltato e a pp eso a una croce». Un antico testo apocrifo
cristiano metteva in bocca a Gesù que ste par ole: «Io, il Signore, divenni piccolo per pote rvi
ricondurre in alt o, donde siete caduti».
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