UNZIONE DEGLI INFERMI

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UNZIONE DEGLI INFERMI
I Santi Segni – Percorso di approfondimento per catechisti
2011-2012
I Santi Segni: scoprire e presentare i Sacramenti della Chiesa
Percorso di approfondimento per catechisti
8. Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui:
il sacramento dell’Unzione degli Infermi
Schema dell’intervento di don Antonio Guidolin
Introduzione
Dobbiamo subito riconoscere che questo sacramento è forse:
-
il meno conosciuto tra i sette sacramenti;
-
…e per di più conosciuto male se non addirittura in modo sbagliato.
Ci sono alcuni modi di esprimersi che dicono bene il nostro approccio all’Unzione degli Infermi.
- “Reverendo, venga subito e in fretta! C’è da dare l’estrema unzione ad un malato che sta
morendo”.
- “Padre, aspettiamo che non sia più cosciente, poi potrà dare l’estrema unzione, altrimenti si
spaventa !”.
- “Padre, è appena morto, non siamo riusciti a dargli in tempo l’estrema unzione. Gliela può dare
adesso? ”.
- “Desidera ricevere l’estrema unzione ?” “No grazie ! Non adesso.”.
Il sacramento degli infermi è diventato il sacramento “dei moribondi”, che si dà quando non c’è
più niente da fare. Viene amministrato negli ultimi istanti di vita. Il tutto è ristretto a pochi
familiari presenti, favorendo così una mentalità privatistica del sacramento .
Nell’attuale crisi di fede sta scomparendo del tutto la consapevolezza che questo sacramento può
portare il sollievo corporale o addirittura la guarigione. Oggi infatti la guarigione è considerata dai
più come effetto possibile della sola scienza medica.
1. SACRAMENTO DELL’UNZIONE, CHE COS’È?
L’unzione degli Infermi non una benedizione particolare a chi sta male o sta per morire.
L’Unzione è “un sacramento della fede”. Che cosa sono i sacramenti ?
La catechesi li aveva definiti “SEGNI visibili della GRAZIA” istituiti da Gesù. Segni visibili di
un’azione invisibile nella quale i cristiani possono sperimentare la presenza reale, viva, efficace di
Gesù che sana, che nutre, che perdona, che fortifica e che rende capaci di amore, poiché in tali
segni opera la grazia di Dio, cioè lo Spirito Santo.
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Nei sacramenti Dio vuole raggiungere tutta la persona umana, non solo la sua testa, il suo
pensiero, i suoi sentimenti, ma anche il suo corpo.
I sacramenti ci assicurano che nessun ambito della nostra vita è escluso dall’amorevole cura di Dio.
Sacramento significa che noi incontriamo l’invisibile in qualcosa di visibile.
Il sacramento dell’Unzione ci assicura che proprio nella malattia, nell’infermità noi incontriamo
Gesù Risorto e vivo. Lo stesso Gesù che percorreva tutte le città e i villaggi, sanando ogni malattia
e infermità a dimostrazione che Dio si sta prendendo cura dei suoi figli.
L’Unzione è stata istituita da Gesù medico del corpo e dello spirito che inviava i suoi discepoli non
solo a predicare ma anche “a curare i malati e cacciare i demoni”.
San Giacomo nella sua lettera ci descrive l’Unzione con queste espressioni :
“Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto
con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore
lo rialzerà e se ha commesso peccati gli saranno perdonati” (Gc 4, 14 -15).
2. IL MALATO
Per malato S. Giacomo intende una persona colpita da una GRAVE malattia o infermità. È una
persona che proprio a causa della grave malattia diventa fragile anche nella sua vita di fede.
3. “CHIAMI A SÈ I PRESBITERI DELLA CHIESA”
L’iniziativa è del malato. È lui che deve chiedere il sacramento direttamente o tramite altre
persone (Nel vangelo: “Fa’ che io veda! Se vuoi puoi guarirmi! Il mio servo giace malato, vieni…!”).
Il sacerdote agisce “in persona Christi”, lui solo può amministrare questo sacramento.
Il sacerdote agisce anche a nome della Chiesa. Non è un guaritore privato, non è una persona con
particolari doti terapeutiche.
4. “E PREGHINO SU DI LUI”
Un dono grande che possiamo fare per chi è malato è la preghiera. La preghiera ci fa entrare in
una relazione filiale e fiduciosa con Dio Padre. La preghiera sul malato è il dono di un’unione di
questi al Signore.
Come sappiamo stare accanto ad un malato? Un prete gravemente infermo raccontò come
avvertiva che nessuno pregasse attorno a lui.
L’IMPOSIZIONI DELLE MANI
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Nel rito dell’ Unzione, la preghiera diventa invocazione solenne dello Spirito santo, attraverso
l’imposizione delle mani da parte del sacerdote. È un gesto sacramentale, presente nella
celebrazione dell’Eucaristia, nella Cresima, nella Riconciliazione.
5. UNZIONE CON L’OLIO
Il sacerdote unge l’infermo sulle mani e sulla fronte.
L’Unzione con l’olio, nella Bibbia, ha un particolare significato: l’olio dona vigore, agilità, bellezza, è
segno di consacrazione, serve a medicare le ferite (Buon Samaritano).
Questa sacra unzione completa le altre unzioni che segnano la vita del cristiano:
-
quella del Battesimo che suggella vita nuova;
-
quella della Cresima che fortifica per testimoniare;
-
quella dell’Ordine sacro, che consacra le mani di chi agisce in persona Christi;
-
l’Unzione degli infermi dona forza e guarigione nel tempo della grande fragilità fisica.
L’olio degli Infermi viene benedetto dal vescovo durante la preghiera Eucaristica della Messa del
Crisma, il Giovedì santo.
6. GLI EFFETTI DEL SACRAMENTO DELL’UNZIONE
“La preghiera fatta con fede SALVERÀ il malato, e il Signore lo SOLLEVERÀ, e se avrà peccato gli
sarà PERDONATO”.
A) LA SALVEZZA
“Salvezza” indica l’essere afferrato totalmente dall’amore di Dio, che è più forte della morte. Il
Signore ci salva dalla paura di una vita e di morte senza senso. È salvo chi è strappato dal
pericolo mortale di una vita disperata, angosciata.
È salvo chi vive la sua vita unita a Gesù, con la mano nella sua mano.
B) SOLLIEVO
Letteralmente: “sarà rimesso in piedi”. Il sacramento rimette in piedi il malato nelle sue forze
interiori. Gli da sollievo spiritualeMa, se è volontà del Signore, il sacramento produce anche la guarigione fisica, psicologica. Può
produrre un miglioramento
C) PERDONO
La guarigione del Signore tocca tutta la persona. Se il malato conserva dei peccati nel suo cuore,
verranno perdonati (per questo il sacramento può amministrarlo solo il sacerdote).
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Preghiera di benedizione dell’olio nella messa del Crisma
“O Dio Padre, di consolazione che per mezzo del tuo figlio Gesù hai voluto donare sollievo alle
sofferenze degli infermi, ascolta la preghiera della nostra fede: manda dal cielo il tuo Spirito Santo
Paraclito su quest’olio, frutto dell’ulivo, nutrimento e sostegno del nostro corpo; effondi la tu santa
benedizione perché quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello
spirito e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore. Questo dono della tua creazione diventi
olio santo da te benedetto per noi, nel nome del nostro Signore Gesù Cristo.
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1. L’UOMO DI FRONTE ALLA MALATTIA
EDVARD MUNCH, La bambina malata, 1885. Prima opera della maturità dell’artista, che non mancò di
suscitare scandalo, per i toni cupi e apparentemente sciatti, la tecnica nervosa ed essenziale del non
finito che non trovò l’approvazione di una certa critica ma fece del pittore un precursore
dell’espressionismo. Benchè il tema fosse convenzionale (si parlava allora dei pittori del cuscino,
alludendo a coloro che ritraevano la malattia) è chiaro il riferimento alle tragiche vicende biografiche
che segnarono fin dall’infanzia la sua vita: la morte della madre e della sorella per tubercolosi.
Di fronte a questo dipinto provo…
Mi viene in mente…
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2. IL DISCEPOLO DI GESÙ DI FRONTE ALLA
SOFFERENZA
“Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio
ritorno”: sono le parole che il samaritano rivolge al locandiere
mentre gli affida l’uomo ferito dai briganti. Sono anche le parole
che Gesù continua a rivolgere ai discepoli, perché si prendano
cura nel suo nome di ogni uomo sofferente che si fa loro
incontro nelle strade della vita.
Il segno principale della premura per il malato e il sofferente è il
sacramento dell' Unzione degli infermi, che la Chiesa ha
celebrato fin dalle sue origini, continuando fedele la missione di
Gesù. Con l’unzione accompagnata dalla preghiera dei sacerdoti,
la Chiesa raccomanda i malati al Signore sofferente e glorificato,
perché dia loro sollievo e salvezza.
Vincent Van Gogh,
Il buon samaritano - 1890
Il rito del sacramento dell’unzione dei malati si compone di tre momenti: l’imposizione delle mani,
l’unzione delle fronte e delle mani con l’olio benedetto e la preghiera del Padre Nostro. Esso
custodisce la modalità con cui Gesù si è fatto vicino ai malati e si è preso cura delle loro sofferenze e ci
indica uno stile che dobbiamo fare nostro, quando al malattia entra nelle nostre famiglie o nella nostra
comunità.
Aiutiamo i ragazzi a tradurre in concreti atteggiamenti le tre parti del rito.
L’IMPOSIZIONE DELLE MANI:
è il segno della presenza di Gesù, che
attraverso lo Spirito Santo si fa vicino al malato
e non lo abbandona alla sua sofferenza.
L’UNZIONE CON L’OLIO BENEDETTO:
è il segno della cura per alleviare le sofferenze.
L’olio tonifica e dà sollievo.
LA PREGHIERA DEL PADRE NOSTRO:
il celebrante insieme al malato e ai fedeli che
lo accompagnano si rivolgono a Dio con la
preghiera del Padre Nostro, per ricordare che
tutto ciò che facciamo ha la sua sorgente in
Dio.
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3. LA VERA GUARIGIONE
Presentare ai ragazzi due racconti di
miracoli provenienti da Lourdes; il primo è
la guarigione da un tumore di un giovane
sportivo, il secondo la conversione del cuore
di un malato costretto in sedia a rotelle.
Uno spunto per un confronto tra i ragazzi
sulle differenti modalità con cui Dio si fa
presente nelle storie di sofferenza degli
uomini, per aiutarli a comprendere i tratti
della vera guarigione.
L’ULTIMO MIRACOLO ATTESTATO A LOURDES
Vittorio Micheli svolge il servizio militare
presso il corpo degli Alpini a Trento,
quando comincia a lamentare forti dolori
all’anca e alla coscia sinistra, Visitato
all’ospedale di Verona nell’aprile 1962 gli
viene fatta la terribile diagnosi di cancro
alle ossa.
“Mia madre mi convinse ad andare in
pellegrinaggio a Lourdes. Ho seguito il suo
consiglio. Sono stato immerso nell’acqua
della piscina, ma non ho sentito niente,
nessuna sensazione particolare, e sono
ritornato a casa come ne ero partito. Dopo
qualche giorno mi sono sentito meglio.
L’appetito mi era tornato e potevo fare a
meno di prendere le mie medicine senza
sentire quel dolore lancinante che da molto
tempo mi tormentava. Sono tornato
all’ospedale per una visita di controllo e i
medici hanno constatato che il tumore era
scomparso.”
Una preghiera per chi soffre
GIOVANNI TOMASSI, FONDATORE DELL’UNITALSI
All'età di dodici anni deve abbandonare gli studi
perché colto da una grave forma di artrite
deformante. Nonostante le numerose cure il giovane
Tomassi vede ben presto aggravarsi la sua malattia,
fino ad essere irrimediabilmente costretto su di una
carrozzella. La fede comincia a vacillare e il padre
Carlo decide di mandare il figlio ammalato a Lourdes,
per implorare la Madonna ed ottenere la grazia della
guarigione.
Siamo nel 1903 ed in vista di quel pellegrinaggio
Giovanni si procura una rivoltella, per suicidarsi ai
piedi della Madonna, come forma estrema di
protesta contro la Chiesa, contro Dio, contro la
sofferenza che lo attanagliava. Giunto alla Grotta,
venne colpito dalla presenza dei volontari che
aiutavano i malati a entrare nella Grotta per pregare.
In lui avviene il cambiamento, si scopre in una
comunità sanante, dove la fede lenisce i dolori del
cuore e toglie forza a quelli della carne. Torna in lui
la gioia di vivere: con l'appoggio di monsignor Radini
Tedeschi e con la benedizione del Pontefice Pio X, il
giovane disabile vede nascere l'Unione Nazionale
per il Trasporto di Ammalati Poveri a Lourdes.
Il vero miracolo per Giovanni è stata la conversione
del cuore: anche oggi grazie alla sua opera molti
malati giungono a Lourdes dove ottengono la vera
guarigione, quella che apre il cuore alla vita.
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DOCUMENTI PER L’APPROFONDIMENTO
IL MEDICO CELESTE. L’UNZIONE DEGLI INFERMI E LA BELLEZZA DI DIO
Lettera pastorale per l’anno di Bruno Forte, arcivescovo metropolita di Chieti-Vasto 2010-2011
1. La domanda del dolore. Quante persone provate dalla sofferenza ho incontrato nella mia vita di
prete! E ora che sono Vescovo, quante ne incontro, specialmente in occasione della visita alle
Parrocchie! Avvicino tanti ammalati nelle case e nelle strutture sanitarie; parecchi mi confidano le
ferite del loro cuore. La fede, che spesso li anima, mi commuove. L’amore di molti dei loro
congiunti mi impressiona. La solitudine, in cui a volte si trovano, e la disperazione di alcuni di loro
mi toccano profondamente. Le loro domande - espresse o taciute - si riassumono per lo più in una
sola: “perché?”. Perché il dolore? Perché proprio a me? Se Dio è giusto, perché il male? Se c’è il
male, come potrà esserci un Dio giusto? Sono le domande di sempre. Da esse nasce per alcuni
l’invocazione, per altri il rifiuto. Nella storia si fa udire la voce degli uni e degli altri: c’è chi, dinanzi
all’inconciliabilità di Dio e del male, sopprime il primo dei due termini: “Per Dio la sola scusa è che
non esiste” (Stendhal). Ridurre tutto a questo mondo e alle sue leggi, però, è come arrendersi di
fronte al dolore e alla morte. Altri risolvono il conflitto rassegnandosi davanti a un Dio, i cui disegni
nessuno può veramente comprendere: è la soluzione degli amici di Giobbe, che tuttavia resta
insoddisfatto delle loro risposte, arso dall’attesa di una giustizia futura: “Io so che il mio redentore
è vivo e che, ultimo, si ergerà sulla polvere!” (Giobbe 19,25). In realtà, una fede in Dio, che
giustificasse la sofferenza e l’ingiustizia del mondo senza avvertirne lo scandalo, rischierebbe di
essere disumana e di produrre frutti diabolici. C’è, poi, chi arriva a pensare a un cammino di
rinunce, che porti ad estinguere ogni sete e quindi ogni capacità di amare e di soffrire: è la
soluzione di alcune mistiche orientali, che suscitano oggi un certo fascino nei paesi dell’Occidente.
Questa prospettiva, però, riduce la storia umana a vuota inconsistenza e la vita alla fuga verso un
“nirvana”, che lascia intatte le lacerazioni e le piaghe della sofferenza del mondo.
2. L’altra risposta: Gesù Crocifisso. Chi crede in Cristo sa che il significato del dolore e la
liberazione dal male ci sono stati offerti da Lui sulla Sua Croce: nella sofferenza e nella lotta col
male non siamo soli. Il Figlio di Dio, fatto uomo per noi, ci ha preceduto e ci accompagna sulla “via
dolorosa”: è “il grande compagno del nostro soffrire”, come lo chiama un “Negro spiritual”,
“l’uomo dei dolori” di cui parla il Profeta Isaia (53,3). “Come una pecora fu condotto al macello e
come un agnello senza voce innanzi a chi lo tosa, così egli non aprì la sua bocca” (Atti 8,32). Gesù
ha fatto suo il nostro dolore per aiutarci a portarne il peso: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi
e oppressi, e io vi darò ristoro” (Matteo 11,28). Con la Sua sofferenza “ci ha riscattati dalla
maledizione della Legge, diventando lui stesso maledizione per noi, poiché sta scritto: Maledetto
chi è appeso al legno, perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse ai pagani e noi,
mediante la fede, ricevessimo la promessa dello Spirito” (Galati 3,13s). Il grido di Gesù morente è
voce di tutto il dolore umano: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” (Marco 15,34; cf.
Matteo 27,46). La Sua offerta d’amore ci dischiude un orizzonte di vita più forte della morte:
quello dell’abbraccio del Padre, che accoglie l’offerta: “Padre, nelle tue mani consegno il mio
spirito” (Luca 23,36). Il valore salvifico della sofferenza del Figlio, ci interroga su come noi
possiamo vivere la malattia e il dolore insieme con Lui. Paolo arriva a dire: “Ora io sono lieto nelle
sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella
mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa” (Colossesi 1,24). Dolore e malattia possono
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essere una via preziosa di purificazione e di salvezza per chi li vive con Cristo e un aiuto di grazia
per coloro per cui vengono offerti. Il timore di non riuscire a farcela potrà essere superato con la
fede in Gesù: essa ci fa riconoscere complici dei Suoi carnefici, ma ci fa anche sentire la forza del
Suo perdono, la compagnia dolcissima della Sua presenza, la grazia di liberazione e di salvezza che
sgorga dalla Sua morte in croce.
3. La Trinità e il dolore. A consegnare Gesù alla morte per tutti noi è il Padre: “Dio infatti ha tanto
amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia
la vita eterna” (Giovanni 3,16). “Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato
per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?” (Romani 8,32). Si manifesta qui la
profondità dell’amore divino per gli uomini: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare
Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri
peccati” (1 Giovanni 4,10). L’offerta della Croce rivela il Padre come la sorgente del dono più
grande, amore infinito: “Dio (il Padre) è amore” (1 Giovanni 4,8-16)! Alla sofferenza del Figlio, “che
mi ha amato e ha consegnato se stesso per me” (Galati 2,20), corrisponde, dunque, una sofferenza
del Padre, parimenti scelta e vissuta per amore: Dio soffre sulla Croce come Padre che offre il suo
Unigenito, come Figlio che si consegna alla morte per noi, come Spirito, che è l’amore in persona
che li unisce. La Croce è la rivelazione dell’amore infinito di Dio per il mondo: un amore che non
subisce la sofferenza, ma la sceglie. Diversamente dalla mentalità greco-occidentale, che
concepisce la sofferenza sempre come passiva, subita e dunque imperfetta, il Dio cristiano rivela
un dolore attivo, liberamente scelto, perfetto della perfezione dell’amore: “Nessuno ha un amore
più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Giovanni 15,13). Un mistero di sofferenza e di
amore si lascia scrutare nell’abisso della vita divina: come afferma l’Enciclica Dominum et
vivificantem (1986) di Giovanni Paolo II, “il Libro sacro... sembra intravvedere un dolore,
inconcepibile e inesprimibile, nelle ‘profondità di Dio’ e, in un certo senso, nel cuore stesso
dell’ineffabile Trinità... Si ha così un paradossale mistero d’amore: in Cristo soffre un Dio rifiutato
dalla propria creatura... ma, nello stesso tempo, dal profondo di questa sofferenza lo Spirito trae
una nuova misura del dono fatto all’uomo e alla creazione fin dall’inizio. Nel profondo del mistero
della Croce agisce l’amore” (nn. 39 e 41).
4. L’amore vittorioso. La sofferenza divina - rivelata sulla Croce - è dolore di amore: è sofferenza
liberamente accettata per amore. La Croce non è il vessillo di un’atea morte di Dio, ma la buona
novella della morte in Dio, perché l’uomo viva della vita del Dio immortale nella partecipazione
alla comunione trinitaria, resa possibile grazie a quella morte, scelta e accettata per amore.
L’amore che lega l’Abbandonante all’Abbandonato è più forte della morte, sebbene inizialmente
questa sembri trionfare. La sorprendente identità del Crocifisso e del Risorto mostra come il calice
della passione del Figlio di Dio sia stato colmato dall’acqua, che zampilla per la vita eterna (cf.
Giovanni 7,37-39). Il frutto dell’albero della Croce è la gioiosa notizia di Pasqua: il Consolatore del
Crocifisso viene effuso su ogni carne per essere il Consolatore di tutti i crocefissi della storia e per
rivelare nell’umiltà e nell’ignominia della Croce, di tutte le croci della storia, la presenza
corroborante e trasformante del Dio cristiano. La Croce rinvia alla Pasqua: l’ora della lacerazione
rimanda a quella della riconciliazione, l’impero della morte al trionfo della vita, l’apparente vittoria
del male alla potenza redentiva dell’amore! “In Cristo Gesù voi che un tempo eravate i lontani
siete diventati i vicini grazie al suo sangue. Egli è la nostra pace... Per mezzo di lui possiamo
presentarci al Padre in un solo Spirito” (Efesini 2,13s.18). All’abbandono della Croce segue la
comunione della resurrezione: la morte in Dio per il mondo del Venerdì Santo si trasforma a
Pasqua nella vita nuova del mondo in Dio. La Croce è illuminata dalla risurrezione come la morte
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della morte, l’offerta che riconcilia, non negando l’unità divina, affermandola anzi nel modo più
intenso come comunione fra il Padre e il Figlio e quanti si uniranno a Lui, quali figli nel Figlio.
5. La Sua Croce e la nostra: il sacramento dell’unzione e la prossimità divina. La Croce è dunque il
luogo in cui Dio parla nel silenzio della finitudine umana, che è diventata per amore la sua
finitudine! Il mistero che in essa è rivelato è la buona novella del dolore di Dio e del suo amore per
gli uomini. Il Dio cristiano soffre perché ama ed ama in quanto soffre: è il Dio “compassionato”,
come si diceva nell’italiano del Trecento, perché è il Dio che patisce con noi e per noi, donandosi
fino al punto di entrare negli abissi della morte, per vincerla e accoglierci in sé nella pienezza della
vita. In questo senso, la sofferenza divina rivelata sulla Croce è veramente la buona novella: “Se gli
uomini sapessero... - scriveva Jacques Maritain - che Dio ‘soffre’ con noi e molto più di noi di tutto
il male che devasta la terra, molte cose cambierebbero senza dubbio, e molte anime sarebbero
liberate”. Il Dio vivente si è fatto vicino alla debolezza e alla fragilità della creatura, specialmente
quando essa è provata dall’infermità, per renderla partecipe del Suo amore e della Sua vittoria:
Egli non ci lascia soli nella prova, fa compagnia al nostro dolore e dà ad esso infinita dignità e
valore, se l’offriremo a Lui e con Lui per amore. Questa prossimità divina alla sofferenza ci viene
partecipata in modo particolare mediante il sacramento dell’unzione degli infermi, dono da
proporre con gioia e sollecitudine a chi è debilitato dalla malattia, e non - come a volte si pensa rimedio estremo da rimandare il più possibile! L’unzione sacramentale rende partecipi della
vittoria che Cristo è venuto a portare sul peccato e le sue conseguenze: “Gesù andava attorno per
tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il vangelo del regno e
curando ogni malattia e infermità” (Matteo 9,35). Questo potere di annunciare e realizzare
l’avvento vittorioso della grazia anche in rapporto alle infermità è stato trasmesso dal Signore agli
apostoli: “Chiamati a sé i dodici discepoli, diede loro il potere di scacciare gli spiriti immondi e di
guarire ogni sorta di malattie e d’infermità... Questi dodici Gesù li inviò dopo averli così istruiti:
‘..Strada facendo, predicate che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti,
sanate i lebbrosi, cacciate i demoni’ ” (Matteo 10,1. 5. 7s). Così, attraverso il ministero della Chiesa
la forza vittoriosa del Risorto è estesa ad ogni cuore che la invochi.
6. Il ministero della Chiesa e la sofferenza umana. Gli apostoli hanno assolto il mandato ricevuto
da Gesù con le parole della fede, i gesti della carità e il segno efficace dell’unzione: “Partiti,
predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi
e li guarivano” (Marco 6,12s). Nel mondo antico l’olio era considerato medicamento e prodotto di
bellezza, adatto perciò ad essere percepito come segno tanto della guarigione, quanto della
bellezza divina, partecipate agli infermi dagli inviati del Signore. La lettera di Giacomo attesta
questa prassi nella Chiesa delle origini: “Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e
preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede
salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati” (Giacomo
5,14s). La Chiesa ha perciò riconosciuto nell’unzione, conferita dal sacerdote e accompagnata
dall’imposizione delle sue mani e dalla preghiera, il segno sacramentale del dono divino che viene
in soccorso all’infermo e sostiene lui e chi gli è vicino, perché la prova della malattia sia vissuta con
fede e con amore e si manifesti l’opera salvifica di Dio. Si tratta di un dono di grazia che arricchisce
l’intera comunità, e che perciò va sempre conferito con una celebrazione liturgica e comunitaria,
sia che abbia luogo in famiglia, all’ospedale o in chiesa, per un solo malato o per un gruppo di
infermi. È un evento di grazia, che coinvolge tutta la Trinità divina: in rapporto al Padre l’unzione è
il sacramento dell’offerta della sofferenza dell’infermo al Padre e della grazia con cui il Padre
l’accoglie, valorizzando il dolore e l’infermità come via di redenzione e di salvezza. In rapporto al
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Figlio il sacramento dell’unzione unisce la passione dell’uomo alla passione di Cristo ed applica ad
essa i meriti del Salvatore, raggiungendola con la Sua potenza salvifica. In rapporto allo Spirito
Santo l’unzione comunica la forza che viene dall’alto e stabilisce la comunione degli infermi con
tutta la Chiesa nel vincolo operato dal Consolatore, grazie al quale la comunità e il singolo
reciprocamente si aiutano nell’ora della sofferenza e della prova. Perciò il sacerdote, ungendo con
l’olio l’infermo sulla fronte e sulle mani, gli dice: “Per questa santa unzione e la sua piissima
misericordia ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo, e liberandoti dai peccati ti salvi e
nella sua bontà ti sollevi”.
7. Un dolore che salva. L’unzione sacramentale - incontro della Trinità Santa con la malattia ed il
patire umano - manifesta allora la possibilità di un dolore salvifico, in cui il cristiano, nascosto con
Cristo in Dio, viva l’esperienza dell’infermità come offerta di amore al Padre e comunione solidale
con gli uomini, trasformando il dolore in amore ed accogliendo i frutti di guarigione e di vita, che il
Dio vivente opera nell’interiorità del cuore e nella sua irradiazione fisica. La celebrazione del
sacramento degli infermi richiede e stimola una fede così profonda, da riconoscere la bontà divina
anche nel tempo della malattia, ed una fiducia così grande, da aprirsi nell’offerta e nel dono di sé a
tutte le possibili sorprese dell’Eterno: “Io ho fiducia nel Signore, che ha nascosto il volto alla casa
di Giacobbe, e spero in lui” (Isaia 8,17). Per chi crede in Dio e a Lui si affida, nulla mai è perduto: il
Medico celeste, Gesù, lo accompagna e solleva sulla via dolorosa dell’infermità. Perciò, è
importante far conoscere a tutti la grazia del sacramento dell’unzione: si tratta di un dono grande
del Signore, che ci soccorre nella nostra debolezza quando più ne abbiamo bisogno. A tal fine, è
bene accogliere l’invito della Chiesa a chiedere questo sacramento - che può essere ricevuto anche
più volte, qualora ce ne fosse la necessità - quando le condizioni di età o di infermità rendano il
fedele particolarmente bisognoso dell’aiuto della grazia divina, precisamente perché esso “ha lo
scopo di conferire una grazia speciale al cristiano che sperimenta le difficoltà inerenti allo stato di
malattia grave o alla vecchiaia” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1527). Specialmente nell’azione
pastorale ospedaliera si faccia catechesi ripetuta e frequente circa il valore del sacramento
dell’unzione: gli operatori sanitari credenti non trascurino mai di proporlo a chi ne avesse bisogno,
con la serena convinzione della fede che deve caratterizzare il discepolo di Gesù.
Invito pertanto tutti a invocare con me la luce per comprendere, vivere e annunciare in parole e
opere il dono corroborante dell’amore di Dio, specialmente nell’ora del dolore e della malattia,
quale si manifesta in tutta la sua bellezza attraverso il sacramento dell’unzione:
Dio della vita,
Tu che hai consegnato alla morte il Tuo unico Figlio per amore nostro,
donaci di sperimentare la forza consolante e sanante del Tuo amore misericordioso
e di offrire a Te il nostro dolore per la salvezza del mondo.
Signore Gesù Cristo,
che Ti sei consegnato per noi al supremo abbandono della Croce,
fa’ che avvertiamo la Tua vicinanza nell’ora della nostra Croce
e condividiamo con Te l’offerta, che cambia il cuore e la vita.
Spirito Santo Consolatore,
che unisci l’Abbandonato della Croce a Colui che l’abbandona,
fa’ che riconosciamo nel sacramento dell’unzione la potenza di vita effusa dal Risorto,
e crediamo nella forza dell’amore, che viene dall’alto,
capace di trasformare il dolore e di vincere l’apparente vittoria della morte. Amen
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I Santi Segni – Percorso di approfondimento per catechisti
2011-2012
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI PER LA XX GIORNATA MONDIALE DEL
MALATO (11 FEBBRAIO 2012)
«Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (Lc 17,19)
Cari fratelli e sorelle!
In occasione della Giornata Mondiale del Malato, che celebreremo il prossimo 11 febbraio 2012, memoria
della Beata Vergine di Lourdes, desidero rinnovare la mia spirituale vicinanza a tutti i malati che si trovano
nei luoghi di cura o sono accuditi nelle famiglie, esprimendo a ciascuno la sollecitudine e l'affetto di tutta la
Chiesa. Nell'accoglienza generosa e amorevole di ogni vita umana, soprattutto di quella debole e malata, il
cristiano esprime un aspetto importante della propria testimonianza evangelica, sull'esempio di Cristo, che
si è chinato sulle sofferenze materiali e spirituali dell'uomo per guarirle.
1. In quest'anno, che costituisce la preparazione più prossima alla Solenne Giornata Mondiale del Malato
che si celebrerà in Germania l'11 febbraio 2013 e che si soffermerà sull'emblematica figura evangelica del
samaritano (cfr Lc 10,29-37), vorrei porre l'accento sui «Sacramenti di guarigione», cioè sul Sacramento
della Penitenza e della Riconciliazione, e su quello dell'Unzione degli Infermi, che hanno il loro naturale
compimento nella Comunione Eucaristica.
L'incontro di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di san Luca (cfr Lc 17,11-19), in particolare le
parole che il Signore rivolge ad uno di questi: «Àlzati e va'; la tua fede ti ha salvato!» (v. 19), aiutano a
prendere coscienza dell'importanza della fede per coloro che, gravati dalla sofferenza e dalla malattia, si
avvicinano al Signore. Nell'incontro con Lui possono sperimentare realmente che chi crede non è mai solo!
Dio, infatti, nel suo Figlio, non ci abbandona alle nostre angosce e sofferenze, ma ci è vicino, ci aiuta a
portarle e desidera guarire nel profondo il nostro cuore (cfr Mc 2 ,1-12).
La fede di quell'unico lebbroso che, vedendosi sanato, pieno di stupore e di gioia, a differenza degli altri,
ritorna subito da Gesù per manifestare la propria riconoscenza, lascia intravedere che la salute riacquistata
è segno di qualcosa di più prezioso della semplice guarigione fisica, è segno della salvezza che Dio ci dona
attraverso Cristo; essa trova espressione nelle parole di Gesù: la tua fede ti ha salvato. Chi, nella propria
sofferenza e malattia, invoca il Signore è certo che il Suo amore non lo abbandona mai, e che anche l'amore
della Chiesa, prolungamento nel tempo della sua opera salvifica, non viene mai meno. La guarigione fisica,
espressione della salvezza più profonda, rivela così l'importanza che l'uomo, nella sua interezza di anima e
di corpo, riveste per il Signore. Ogni Sacramento, del resto, esprime e attua la prossimità di Dio stesso, il
Quale, in modo assolutamente gratuito, «ci tocca per mezzo di realtà materiali …, che Egli assume al suo
servizio, facendone strumenti dell'incontro tra noi e Lui stesso» (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile
2010). «L'unità tra creazione e redenzione si rende visibile. I Sacramenti sono espressione della corporeità
della nostra fede che abbraccia corpo e anima, l'uomo intero» (Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile
2011).
Il compito principale della Chiesa è certamente l'annuncio del Regno di Dio, «ma proprio questo stesso
annuncio deve essere un processo di guarigione: "... fasciare le piaghe dei cuori spezzati" (Is 61,1)» (ibid.),
secondo l'incarico affidato da Gesù ai suoi discepoli (cfr Lc 9,1-2; Mt 10,1.5-14; Mc 6,7-13). Il binomio tra
salute fisica e rinnovamento dalle lacerazioni dell'anima ci aiuta quindi a comprendere meglio i
«Sacramenti di guarigione».
2. Il Sacramento della Penitenza è stato spesso al centro della riflessione dei Pastori della Chiesa, proprio a
motivo della grande importanza nel cammino della vita cristiana, dal momento che «tutto il valore della
Penitenza consiste nel restituirci alla grazia di Dio stringendoci a lui in intima e grande amicizia»
(Catechismo della Chiesa Cattolica, 1468). La Chiesa, continuando l'annuncio di perdono e di riconciliazione
fatto risuonare da Gesù, non cessa di invitare l'umanità intera a convertirsi e a credere al Vangelo. Essa fa
proprio l'appello dell'apostolo Paolo: «In nome di Cristo ... siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio
stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20). Gesù, nella
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sua vita, annuncia e rende presente la misericordia del Padre. Egli è venuto non per condannare, ma per
perdonare e salvare, per dare speranza anche nel buio più profondo della sofferenza e del peccato, per
donare la vita eterna; così nel Sacramento della Penitenza, nella «medicina della confessione», l'esperienza
del peccato non degenera in disperazione, ma incontra l'Amore che perdona e trasforma (cfr Giovanni
Paolo II, Esort. ap. postsin. Reconciliatio et Paenitentia, 31).
Dio, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), come il padre della parabola evangelica (cfr Lc 15,11-32), non chiude il
cuore a nessuno dei suoi figli, ma li attende, li cerca, li raggiunge là dove il rifiuto della comunione
imprigiona nell'isolamento e nella divisione, li chiama a raccogliersi intorno alla sua mensa, nella gioia della
festa del perdono e della riconciliazione. Il momento della sofferenza, nel quale potrebbe sorgere la
tentazione di abbandonarsi allo scoraggiamento e alla disperazione, può trasformarsi così in tempo di
grazia per rientrare in se stessi e, come il figliol prodigo della parabola, ripensare alla propria vita,
riconoscendone errori e fallimenti, sentire la nostalgia dell'abbraccio del Padre e ripercorrere il cammino
verso la sua Casa. Egli, nel suo grande amore, sempre e comunque veglia sulla nostra esistenza e ci attende
per offrire ad ogni figlio che torna da Lui, il dono della piena riconciliazione e della gioia.
3. Dalla lettura dei Vangeli, emerge chiaramente come Gesù abbia sempre mostrato una particolare
attenzione verso gli infermi. Egli non solo ha inviato i suoi discepoli a curarne le ferite (cfr Mt 10,8; Lc 9,2;
10,9), ma ha anche istituito per loro un Sacramento specifico: l'Unzione degli Infermi. La Lettera di Giacomo
attesta la presenza di questo gesto sacramentale già nella prima comunità cristiana (cfr 5,14-16): con
l'Unzione degli Infermi, accompagnata dalla preghiera dei presbiteri, tutta la Chiesa raccomanda gli
ammalati al Signore sofferente e glorificato, perché allevi le loro pene e li salvi, anzi li esorta a unirsi
spiritualmente alla passione e alla morte di Cristo, per contribuire così al bene del Popolo di Dio.
Tale Sacramento ci porta a contemplare il duplice mistero del Monte degli Ulivi, dove Gesù si è trovato
drammaticamente davanti alla via indicatagli dal Padre, quella della Passione, del supremo atto di amore, e
l'ha accolta. In quell'ora di prova, Egli è il mediatore, «trasportando in sé, assumendo in sé la sofferenza e la
passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e
così portandola realmente al momento della Redenzione» (Lectio divina, Incontro con il Clero di Roma, 18
febbraio 2010). Ma «l'Orto degli Ulivi è ... anche il luogo dal quale Egli è asceso al Padre, è quindi il luogo
della Redenzione ... Questo duplice mistero del Monte degli Ulivi è anche sempre "attivo" nell'olio
sacramentale della Chiesa ... segno della bontà di Dio che ci tocca» (Omelia, S. Messa del Crisma, 1 aprile
2010). Nell'Unzione degli Infermi, la materia sacramentale dell'olio ci viene offerta, per così dire, «quale
medicina di Dio ... che ora ci rende certi della sua bontà, ci deve rafforzare e consolare, ma che, allo stesso
tempo, al di là del momento della malattia, rimanda alla guarigione definitiva, alla risurrezione (cfr Gc
5,14)» (ibid.).
Questo Sacramento merita oggi una maggiore considerazione, sia nella riflessione teologica, sia nell'azione
pastorale presso i malati. Valorizzando i contenuti della preghiera liturgica che si adattano alle diverse
situazioni umane legate alla malattia e non solo quando si è alla fine della vita (cfr. Catechismo della Chiesa
Cattolica, 1514), l'Unzione degli Infermi non deve essere ritenuta quasi «un sacramento minore» rispetto
agli altri. L'attenzione e la cura pastorale verso gli infermi, se da un lato è segno della tenerezza di Dio per
chi è nella sofferenza, dall'altro arreca vantaggio spirituale anche ai sacerdoti e a tutta la comunità
cristiana, nella consapevolezza che quanto è fatto al più piccolo, è fatto a Gesù stesso (cfr Mt 25,40).
4. A proposito dei «Sacramenti di guarigione» S. Agostino afferma: «Dio guarisce tutte le tue infermità. Non
temere dunque: tutte le tue infermità saranno guarite... Tu devi solo permettere che egli ti curi e non devi
respingere le sue mani» (Esposizione sul Salmo 102, 5: PL 36, 1319-1320). Si tratta di mezzi preziosi della
Grazia di Dio, che aiutano il malato a conformarsi sempre più pienamente al Mistero della Morte e
Risurrezione di Cristo. Assieme a questi due Sacramenti, vorrei sottolineare anche l'importanza
dell'Eucaristia. Ricevuta nel momento della malattia contribuisce, in maniera singolare, ad operare tale
trasformazione, associando colui che si nutre del Corpo e del Sangue di Gesù all'offerta che Egli ha fatto di
Se stesso al Padre per la salvezza di tutti. L'intera comunità ecclesiale, e le comunità parrocchiali in
particolare, prestino attenzione nell'assicurare la possibilità di accostarsi con frequenza alla Comunione
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sacramentale a coloro che, per motivi di salute o di età, non possono recarsi nei luoghi di culto. In tal modo,
a questi fratelli e sorelle viene offerta la possibilità di rafforzare il rapporto con Cristo crocifisso e risorto,
partecipando, con la loro vita offerta per amore di Cristo, alla missione stessa della Chiesa. In questa
prospettiva, è importante che i sacerdoti che prestano la loro delicata opera negli ospedali, nelle case di
cura e presso le abitazioni dei malati si sentano veri «"ministri degli infermi", segno e strumento della
compassione di Cristo, che deve giungere ad ogni uomo segnato dalla sofferenza» (Messaggio per la XVIII
Giornata Mondiale del Malato, 22 novembre 2009).
La conformazione al Mistero Pasquale di Cristo, realizzata anche mediante la pratica della Comunione
spirituale, assume un significato del tutto particolare quando l'Eucaristia è amministrata e accolta come
viatico. In quel momento dell'esistenza risuonano in modo ancora più incisivo le parole del Signore: «Chi
mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno» (Gv 6,54).
L'Eucaristia, infatti, soprattutto come viatico è - secondo la definizione di sant'Ignazio d'Antiochia «farmaco di immortalità, antidoto contro la morte» (Lettera agli Efesini, 20: PG 5, 661), sacramento del
passaggio dalla morte alla vita, da questo mondo al Padre, che tutti attende nella Gerusalemme celeste.
5. Il tema di questo Messaggio per la XX Giornata Mondiale del Malato, «Àlzati e va'; la tua fede ti ha
salvato!», guarda anche al prossimo «Anno della fede», che inizierà l'11 ottobre 2012, occasione propizia e
preziosa per riscoprire la forza e la bellezza della fede, per approfondirne i contenuti e per testimoniarla
nella vita di ogni giorno (cfr Lett. ap. Porta fidei, 11 ottobre 2011). Desidero incoraggiare i malati e i
sofferenti a trovare sempre un'ancora sicura nella fede, alimentata dall'ascolto della Parola di Dio, dalla
preghiera personale e dai Sacramenti, mentre invito i Pastori ad essere sempre più disponibili alla loro
celebrazione per gli infermi. Sull'esempio del Buon Pastore e come guide del gregge loro affidato, i
sacerdoti siano pieni di gioia, premurosi verso i più deboli, i semplici, i peccatori, manifestando l'infinita
misericordia di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr S. Agostino, Lettera 95, 1: PL 33, 351-352).
A quanti operano nel mondo della salute, come pure alle famiglie che nei propri congiunti vedono il Volto
sofferente del Signore Gesù, rinnovo il ringraziamento mio e della Chiesa, perché, nella competenza
professionale e nel silenzio, spesso anche senza nominare il nome di Cristo, Lo manifestano concretamente
(cfr Omelia, S. Messa del Crisma, 21 aprile 2011).
A Maria, Madre di Misericordia e Salute degli Infermi, eleviamo il nostro sguardo fiducioso e la nostra
orazione; la sua materna compassione, vissuta accanto al Figlio morente sulla Croce, accompagni e
sostenga la fede e la speranza di ogni persona ammalata e sofferente nel cammino di guarigione dalle ferite
del corpo e dello spirito. A tutti assicuro il mio ricordo nella preghiera, mentre imparto a ciascuno una
speciale Benedizione Apostolica.
Dal Vaticano, 20 novembre 2011, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell'Universo.
Benedictus PP XVI
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