tesi dr.ssa Mirabellinovità!
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Dipartimento di Medicina Interna Sezione: Malattie dell’apparato respiratorio Dir. Prof. Lucio Casali Tesi di Laurea “Andamento e valore predittivo della Cistatina C in corso di riacutizzazione di BPCO.” Relatore Prof. Lucio Casali Laureanda Giulia Mirabelli ANNO ACCADEMICO 2008-2009 INDICE CAPITOLO 1 LA BRONCOPNEUMOPATIA CRONICO OSTRUTTIVA ............. 2 1.1 Definizione di BPCO ............................................................................ 2 1.2 Epidemiologia ....................................................................................... 5 1.2.1 Fattori di rischio ......................................................................... 5 1.2.2 Morbosità .................................................................................. 27 1.2.3 Mortalità ................................................................................... 39 1.3 Patogenesi ........................................................................................... 43 1.4 Anatomia patologica ........................................................................... 58 1.5 Fisiopatologia ..................................................................................... 66 1.6 La BPCO nel suo complesso: diagnosi e trattamento ........................ 77 1.7 Le riacutizzazioni di BPCO .............................................................. 104 CAPITOLO 2 LA CISTATINA C................................................................................ 118 2.1 Obiettivo ........................................................................................... 118 2.2 Materiali e metodi ............................................................................. 122 2.2.1 Casistica ................................................................................. 122 2.2.2 Interventi effettuati .................................................................. 124 2.2.3 Determinazione della Cistatina C ........................................... 125 2.2.4 Analisi statistica ...................................................................... 126 2.3 Risultati ............................................................................................. 127 2.4 Discussione e Conclusione ............................................................... 135 BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 139 1 CAPITOLO 1 LA BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA 1.1. Definizione di BPCO La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia cronica respiratoria prevenibile e trattabile associata a significativi effetti e comorbilità extrapolmonari che possono contribuire alla sua gravità; la componente bronco-polmonare è caratterizzata da ostruzione al flusso aereo parzialmente reversibile, persistente ed evolutiva legata a rimodellamento delle vie aeree periferiche ed enfisema; questi ultimi elementi sono dovuti ad una abnorme risposta infiammatoria delle vie aeree, del parenchima polmonare e sistemica , sostenuta in via primaria dal fumo di sigaretta e poi anche da altre particelle inalate o gas1 . Si tratta di una sindrome complessa, eterogenea, multifattoriale e per queste sue caratteristiche la definizione è stata per molti anni oggetto di dibattito; attualmente si predilige l’aspetto funzionale sottolineando l’importanza delle alterazioni broncopolmonari, cioè una ostruzione al flusso persistente ed evolutiva legata a rimodellamento. 2 Secondo un’ opinione diffusa (in anni passati), è importante sottolineare che all’ interno di questa entità nosografica si inscrivono due condizioni fondamentali, sicuramente ognuna con pesi specifici diversi, ma entrambe accomunate dalla ostruzione bronchiale: Bronchite Cronica ed Enfisema. La Bronchite cronica rappresenta una sindrome clinica caratterizzata dalla presenza di tosse quotidiana, produttiva, per almeno tre mesi all’anno, da almeno due anni consecutivi, quando non sia attribuibile ad altre cause polmonari, quali tubercolosi, carcinomi, bronchi ectasie, fibrosi cistica, o cardiache. La tosse e l’espettorazione possono presentarsi anche prima dell’evidente riduzione del flusso aereo espiratorio e può verificarsi anche l’esatto contrario. Questi sintomi possono anche persistere senza produrre un’evidente ostruzione documentata dai parametri usuali. L’enfisema polmonare, condizione spesso rilevata grazie alle indagini con Tomografia ad Elevata Risoluzione (Hight Resolution Tomography, HRT), è definito come una dilatazione permanente degli spazi aerei distali ai bronchioli terminali, con distruzione dei setti alveolari, in assenza di una chiara fibrosi. Ferma restando la correttezza della definizione delle due patologie, esse non sono incluse nella definizione contenuta nelle linee-guida GOLD 3 2008 (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Desease), poiché non danno una idea completa della limitazione al flusso delle vie aeree e del suo impatto sulle comorbilità e sulla mortalità; inoltre in alcuni pazienti la tosse produttiva può precedere lo sviluppo dell’ostruzione bronchiale e in altri invece può svilupparsi la limitazione funzionale senza tuttavia manifestarsi i segni di tosse accompagnata da espettorato. È facile dedurre quindi quanto sia riduttivo attenersi alle sole definizioni di enfisema e bronchite cronica e quanto invece sia più completa sotto il piano funzionale la definizione fornita dalle linee-guida GOLD. 4 1.2. Epidemiologia 1.2.1. Fattori di rischio Grazie alle evidenze della letteratura scientifica la BPCO è una malattia a eziologia multifattoriale2; è quindi opportuno fare una disamina di questi fattori prima di addentarsi nella discussione sulla patogenesi. Fattori esogeni Fattori endogeni Fumo di tabacco Razza Esposizione lavorativa Sesso Inquinamento indoor e outdoor Anamnesi familiare positiva per BPCO Esposizione a fumo di tabacco ambientale Pattern genico predisponente lo sviluppo di BPCO Abuso di alcool Deficit di α1-antitripsina Dieta povera di frutta Basso peso alla nascita Basso livello socio-economico Malattie respiratorie durante l’infanzia Atopia Iperattività bronchiale Suscettibilità individuale ai fattori di rischio esogeni Tab.1 Fattori di rischio per lo sviluppo di BPCO. Da voce bibliografica n. 2 MOD. 5 Fattori esogeni 1. Fumo di tabacco Rappresenta uno dei più grossi problemi di salute della nostra epoca: attualmente nel mondo i fumatori ammontano a più di un miliardo, secondo stime dell’OMS, con un aumento previsto nel 2025 a oltre 1,6 miliardi; negli Usa 47 milioni di persone fumano e in Italia i dati si aggirano intorno ai 12 milioni (28,6% maschi e 20,3% femmine) 1. Le conseguenze in termini di mortalità sono drammatiche: in Europa 1,2 milioni decessi/anno sono legati al fumo di sigaretta, tra tumori, malattie cardiovascolari e respiratorie; in Italia 80000 decessi/anno sono attribuibili al tale fattore1. La stretta correlazione dell’abitudine al fumo con gli eventi morte è dimostrata anche dall’effetto della legge Sirchia nel periodo 2000/2005: è stata infatti registrata una riduzione statisticamente significativa degli eventi coronarici acuti dopo l’entrata in vigore del divieto di fumare nei luoghi pubblici3. È importante soppesare ogni aspetto della valutazione tabagica: l’età d’inizio, il numero di sigarette fumate, gli anni di fumo trascorsi. Tuttavia non tutti i fumatori sono destinati a sviluppare la patologia ostruttiva bronchiale, ma solo una piccola percentuale di essi, quantificata tra il 10 e il 20%4; è vero comunque che da recenti stime 6 circa il 40 -50 % dei fumatori presenta i segni di BPCO, quindi tale discordanza si potrebbe attribuire a un certo grado di sottostima1. Bisogna poi sottolineare il ruolo importante svolto dal genere nel determinare una maggiore suscettibilità genetica allo sviluppo dei danni indotti dal fumo di sigaretta: uno studio condotto in Canada, paese caratterizzato da una antica e severa abitudine al fumo diffusa maggiormente tra le donne, ha provato che realmente esiste un rischio relativo aumentato tra le femmine fumatrici rispetto ai maschi fumatori 5. Anche altri studi riportati in letteratura confermano la maggiore suscettibilità tra le femmine. Altre ricerche svolte da Mannino e coll. su popolazione americana di razza caucasica confermano il legame tra i dati epidemiologici della BPCO e l’abitudine al fumo di tabacco; la prevalenza di malattia nei non fumatori è del 4,6%, del 7,9% negli ex-fumatori e infine dell’11,2% nei fumatori correnti; i dati riguardanti le femmine rispecchiano lo stesso andamento con valori pari al 6,8%, 12,1%, 14,7%, evidenziando ancora una maggior prevalenza nel sesso femminile6. Per quanto riguarda la situazione in Italia è pertinente riportare i risultati dello studio condotto da Viegi e coll. nelle aree rurali del Delta del Po e nell’area urbana di Pisa nel periodo tra il 1980 e il 1993 7: la prevalenza 7 di bronchite cronica ed enfisema era maggiore nei fumatori correnti rispetto ai non fumatori. Infine è interessante valutare l’importanza del numero di sigarette fumate o ancor meglio la quantità totale di fumo espressa come pacchetti/anni (pack/years): i ricercatori italiani Donato, Pasini e coll. hanno dimostrato che la prevalenza di BPCO nei maschi varia dal 10,7% (1-14 sigarette/die) al 36,5% (oltre 25 sigarette/die), e dal 7,5% (1-14 sigarette/anno) al 41,3% (oltre 25 sigarette /anno). Dal punto di vista funzionale i fumatori presentano un rischio annuale di diminuzione del FEV₁ maggiore rispetto alla norma e sembra esistere una relazione dosedipendente tra il declino del FEV₁ e la quantità di fumo8. Le considerazioni finora svolte sono sostenute dalle evidenti alterazioni patologiche riscontrate nelle vie aeree periferiche di pazienti fumatori affetti da BPCO; il fumo di sigaretta infatti ha un ruolo chiave nelle modificazioni del sistema immunitario sia a livello polmonare che a livello sistemico. In primo luogo nel fumo di sigaretta sono contenute numerose sostanze nocive; ad esempio tra quelle inalate direttamente vi sono la nicotina, gli idrocarburi aromatici, il fenolo, il cresolo, il tar, per le quali è stata dimostrata l’azione antigenica, mutagena, citotossica, carcinogenica. Esse hanno un diametro approssimativamente di 0,1-0,5 µm e sono 8 quindi in grado di raggiungere le piccole vie aeree (diametro dei bronchioli terminali < 2 mm) e di esplicare le loro azioni a questo livello: infatti dal 40 al 90% di queste particelle si depositano nelle aree deputate agli scambi gassosi, cioè nelle aree più profonde dell’apparato bronchiale. Dalla combustione ad alta temperatura che si sviluppa sulla parte superiore della sigaretta, si libera una grande quantità di radicali liberi dell’ossigeno (RORs), specie chimiche dotate di un singolo elettrone spaiato sull’orbitale esterno. L’energia derivante da questa configurazione instabile è liberata attraverso reazioni con sostanze inorganiche e organiche quali proteine, lipidi, carboidrati, acidi nucleici; inoltre i radicali liberi innescano reazioni auto catalitiche per mezzo di molecole con cui essi reagiscono, le quali vengono a loro volta trasformate in altri radicali liberi, che propagano la catena del danno. Durante un normale processo respiratorio mitocondriale l’ossigeno molecolare viene ridotto generando acqua grazie a enzimi ossidativi presenti nel reticolo endoplasmatico citosol, mitocondri. Nel corso di questo processo si generano piccole quantità di prodotti tossici intermedi cioè l’anione superossido, il perossido d’idrogeno e lo ione idrossile, noti come radicali liberi; tuttavia le cellule sono dotate di sistemi di difesa per prevenire il danno causato da questi prodotti. Uno squilibrio tra i sistemi di produzione ed eliminazione delle specie reattive dell’ossigeno 9 produce lo stress ossidativo, danneggiando l’epitelio respiratorio. Esiste comunque una certa quota di variabilità individuale nella risposta dell’organismo a queste molecole, dipendente dalla predisposizione genica, dall’omeostasi locale, dall’attività delle citochine e dalle malattie intercorrenti. Il fumo di sigaretta danneggia l’apparato respiratorio a vari livelli, colpendo l’integrità anatomica e funzionale dell’epitelio bronchiale e alterando il ruolo delle cellule immunitarie quali macrofagi, linfociti, neutrofili9. I macrofagi sono la prima linea di difesa cellulare contro particelle esterne grazie alla loro attività fagocitica e alla capacità di presentare l’antigene. Nei soggetti fumatori è stato dimostrato un incremento di macrofagi alveolari nel lume delle vie aeree e nel BAL; essi presentano una morfologia alterata con citoplasma condensato e iperdenso, basso livello di maturazione ed elevata espressione di CD14 (marker dei monociti); infine dal punto di vista funzionale diversi studi hanno riscontrato un indebolimento della capacità di presentare l’antigene e dell’attività fagocitica9. In particolare Hodge e coll., grazie al riscontro nel BAL di fumatori correnti con BPCO e fumatori sani, di basse concentrazioni di due recettori chiave dei macrofagi, CD91 e CD31, hanno ipotizzato che 10 livelli ridotti di questi recettori dovrebbero condurre a una diminuzione della capacità di riconoscere le cellule apoptotiche e determinare quindi un decremento della fagocitosi. Inoltre il danno indotto dal fumo di sigaretta sui macrofagi assume un ruolo chiave con riferimento alla patogenesi dell’enfisema: l’esposizione cronica al fumo induce un maggior rilascio di metalloproteinasi da parte dei macrofagi , enzimi dotati di attività proteolitica capaci di distruggere le vie aeree (sono stati riscontrati livelli aumentati dia MMP-2, MMP-9, MMP-12) e capaci anche di modificare anche la funzione di TGF-β e IL1β, citochine coinvolte in questo processo distruttivo. Nei fumatori inoltre l’aumentato rilascio di MMP non è controbilanciato dall’equivalente concentrazione di TIMP-1(inibitore tissutale delle metallo proteinasi tipo 1), necessaria per la difesa del parenchima polmonare9. Nei fumatori è comune ritrovare nell’espettorato, nel BAL e nelle biopsie bronchiali un incremento della conta dei leucociti con spiccata neutrofilia; dai granuli azzurrofili di queste cellule verrà poi liberata una gran quantità di elastasi neutrofila, catepsina G e proteasi, enzimi proteolitici il cui target è rappresentato dalle cellule ciliate dell’epitelio bronchiale e dalla matrice extracellulare9. 11 Infine la persistente risposta infiammatoria è suggellata dal riscontro d’infiltrazione di linfociti T e da un’alterazione del rapporto CD4+/CD8+ con un incremento della popolazione CD8+ , correlato con il valore del pack/years; è interessante sottolineare che queste cellule sono strettamente coinvolte nel processo apoptotico dell’epitelio bronchiale e della parete alveolare grazie all’espressione dei recettori Fas9. Dopo innumerevoli studi che hanno identificato il fumo di sigaretta come il più comune fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO, la lotta contro il tabagismo è divenuta oggi l’elemento chiave nella prevenzione della malattia e anche il primo intervento nel trattamento dei soggetti già malati. 2. Fumo passivo L’esposizione involontaria al fumo di sigaretta, nota con la sigla ETS (Environmental Tobacco Smoke), rappresenta ancora argomento di dibattito, poiché non ci sono evidenze scientifiche concordanti che lo identificano come fattore di rischio certo per BPCO. Esiste comunque una plausibilità dell’esistenza di tale relazione causale derivante dall’opinione che le particelle inalate, se pur involontariamente, vadano a sommarsi al carico di sostanze che aggrediscono l’albero bronchiale. La 12 correlazione certa tra ETS e sintomi respiratori cronici riguarda invece i bambini: i loro polmoni ancora in corso di maturazione sono molto suscettibili all’azione del tabacco e fanno registrare una riduzione del tasso fisiologico di incremento del FEV₁. Da qui è stato ipotizzato che il fumo, comportando un ridotto sviluppo massimo del polmone, predisporrebbe all’insorgenza di BPCO in età adulta1. 3. Esposizione lavorativa L’esposizione lavorativa a polveri organiche, inorganiche, fumi e gas è un fattore di rischio accertato per lo sviluppo di BPCO; i lavoratori interessati sono quelli del settore metallurgico,minerario (sono esposti a silice, carbone, berillio, cadmio), edile, agricolo (la polvere di grano e le polveri della lavorazione dello zucchero sono considerate nocive), tessile (sono esposti alla polvere derivante dalla lavorazione del cotone), chimico (le sostanze chiamate in causa sono solventi organici come la formaldeide e lo stirene)10. In particolare riportiamo uno studio epidemiologico condotto negli Stati Uniti tra il 1988 e il 1994 sull’associazione tra la BPCO e alcune categorie professionali considerate a rischio11. Le industrie per le quali veniva registrato un rischio maggiore erano le industrie della gomma, della plastica, dei manufatti in pelle, tessile, delle forze armate e altre 13 che verranno riportate in tabella 2. I lavoratori erano stati suddivisi in due grosse categorie: quelli considerati a maggior rischio di BPCO, cioè gli operai delle industrie, gli artigiani, gli addetti al trasporto, e coloro che lavoravano in ufficio, cioè gli impiegati, gli insegnanti, gli addetti alla comunicazione, ai servizi sociali, i manager, denominati “office workers”. I risultati ottenuti attestano che il 15-19% delle BPCO insorte tra i fumatori è imputabile a esposizioni professionali, e si registra un aumento fino al 30% nei non fumatori. Contaminante ambientale Settore lavorativo Cristalli di silice, carbone Vapori di cadmio Lavoratori del settore estrattivo Lavoratori dell’industria metallurgica (leghe in rame-cadmio) Lavoratori dell’industria estrattiva Lavoratori di industrie produttrici di sostanze isolanti, plastica, vernici Addetti ad escavazioni di tunnel Lavoratori delle cartiere Lavoratori del settore tessile Agricoltori, lavoratori del settore alimentare Lavoratori presso industrie produttrici di ammoniaca Lavoratori del settore chimico Berillio Isocianati Polveri Legno/Carta Polvere di cotone Polvere di grano, cereali Prodotti ammoniacali Solventi organici (formaldeide, stirene) Tab.2 Esposizione lavorativa correlata allo sviluppo di BPCO. Da voce bibliografica n. 11 MOD. 14 4. Inquinamento outdoor Il ruolo causale dell’inquinamento atmosferico nella patogenesi della BPCO è ancora oggetto di dibattito e non ci sono evidenze conclusive, anche in ragione della difficoltà a determinare gli effetti a lungo termine di ogni singolo agente inquinante sulla funzionalità respiratoria. Numerosi studi hanno messo in relazione la concentrazione atmosferica di sostanze quali l’ozono (si forma nell’atmosfera attraverso reazioni fotochimiche a partire da precursori come ossido di azoto e piccole molecole organiche), il biossido d’azoto (deriva da processi di combustione perché le elevate temperature favoriscono le reazioni tra l’azoto e l’ossigeno) e l’anidride solforosa (si forma nei processi di ossidazione che contengono lo zolfo come elemento di impurità , cioè processi metallurgici, industrie di carta, fonderie, incenerimento dei rifiuti ecc.) con lo sviluppo di eventi respiratori acuti, quali aumento delle visite in pronto soccorso,ospedalizzazione e morte in soggetti affetti da BPCO, evidenziando interessanti legami dose/risposta per le singole sostanze. Inoltre l’importanza dell’inquinamento atmosferico nella patogenesi delle alterazioni respiratorie è stata opportunamente affrontata in una relazione pubblicata sull’American Thoracic Society alcuni anni fa12. Erano prese in esame le cinque maggiori sostanze inquinanti presenti 15 nell’aria di alcune città americane: PM10, PM2.5, ozono (O3), diossido di zolfo (SO2), biossido d’azoto (NO2), monossido di carbonio (CO), e successivamente si tracciava una piramide di ordine decrescente degli effetti delle stesse sull’apparato respiratorio. In particolare negli ultimi anni è divenuto crescente l’attenzione rivolta alle particelle fini e al loro impatto sulla salute e in particolar modo sull’apparato respiratorio13. Le polveri atmosferiche vengono comunemente definite con la sigla P.T.S. (Particolato Totale Sospeso) che comprende un insieme eterogeneo di particelle solide volatili (organiche ed inorganiche) e di goccioline liquide sospese nell’aria con dimensioni comprese tra 0,µ005 e 100 µm che possono presentare caratteristiche e composizioni chimiche variabili e correlate alla fonte di provenienza. La loro presenza nell’ambiente è legata a fonti naturali (eruzioni vulcaniche, polverosità terrestre, pollini ecc.) o può derivare da diverse attività quali emissioni da centrali termiche, da inceneritori, da processi industriali in genere, da traffico e svariate altre. Il possibile danno per l’organismo umano si dispone su un ampio ventaglio, dagli effetti tossici derivanti dalla natura chimica della molecola stessa alle conseguenze derivanti dalla deposizione di altre sostanze sopra di esse; il particolato sospeso risulta, di fatto, il tramite che consente la penetrazione, nell’apparato respiratorio 16 dell’uomo, di sostanze potenzialmente nocive. L’effetto di queste molecole dipende in ultima analisi dal loro diametro che va a correlarsi con quello delle vie aeree. Infatti mentre le particelle con diametro maggiore di 10 µm vanno incontro a naturali fenomeni di sedimentazione nelle vie aeree superiori e sono intrappolate dai meccanismi di clearance muco-ciliare , quelle di diametro ≤ 10 µm (note come frazione PM10 frazione che comprende anche un sottogruppo, pari al 60%, di polveri più sottili denominate PM2.5 e PM1 aventi rispettivamente diametri uguali od inferiori a 2.5 ed 1 µm), rappresentano la frazione più pericolosa per la salute dell’uomo; esse possono arrivare agli spazi aerei distali con diametro più piccolo e determinare così l’immissione all’interno del nostro organismo, fino a livello degli alveoli polmonari, di tutte le sostanze da esse veicolate. In sintesi quanto minori sono le dimensioni delle particelle, tanto maggiore è la loro capacità di penetrare nei polmoni e di produrre effetti dannosi sulla salute umana. Le polveri PM10, una volta emesse, possono rimanere in sospensione nell’aria per circa 12 ore; di queste la frazione di diametro pari a 1 µm (PM1), può rimanere in circolazione per circa un mese; quindi sicuramente anche il tempo di permanenza è importante nel determinismo degli effetti negativi respiratori. Le fonti urbane di emissione di polveri PM10, sono principalmente i trasporti su gomma e gli impianti civili di riscaldamento. L’impatto sulla salute di queste 17 molecole è notevole e vari studi hanno riscontrato un aumento della mortalità per cause cardiorespiratorie; secondo i dati riportati dal GOLD 2008 ogni incremento di 10 µg /m3 di PM10 determina un aumento della mortalità del 4% per qualsiasi causa, del 6% per cause cardiopolmonari e dell’ 8% per cancro del polmone. 5. Inquinamento indoor Lo sviluppo della BPCO sembra correlarsi in modo significativo all’utilizzo di alcune sostanze usate come combustibili biologici in Asia in Africa1. Infatti, nei paesi meno industrializzati le popolazioni, non avendo a disposizione altra forma energetica per cucinare e riscaldarsi, fanno largamente uso di legno, residui dei raccolti, letame, carbone, in fuochi a cielo aperto o rudimentali stufe14. Numerosi studi disponibili in letteratura hanno dimostrato che l’esposizione a questi fumi di combustione espone i soggetti a un rischio aumentato di sviluppare la patologia ostruttiva bronchiale al pari dell’azione delle sostanze fonte di inquinamento outdoor diffuse nei paesi industrializzati. Secondo gli ultimi dati riportati dal GOLD attualmente circa 2 milioni di donne e bambini ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento indoor e verosimilmente per cause respiratorie. Dennis e coll. studiando un gruppo di donne di basso livello socio-economico residente a Bogotà 18 (Colombia), hanno riscontrato che l’esposizione ai fumi del legno era responsabile di circa il 50% dei casi di BPCO15; numerosi altri ricercatori hanno indagato la relazione tra il fumo del legno e del carbone e i sintomi ostruttivi respiratori giungendo sempre alla conclusione che effettivamente queste sostanze sono un fattore di rischio importante quanto il fumo di sigaretta nella patogenesi della BPCO. E’ interessante citare la ricerca svolta da Montano in cui analizza gli effetti dell’esposizione al fumo del legno sull’espressione e sull’ attività delle metalloproteinasi, concludendo ancora una volta che il danno al polmone riscontrato è del tutto simile a quello che caratterizza pazienti affetti da BPCO in cui la causa primaria è il fumo di sigaretta16. In seguito Orozco-Levi, Garcia-Aymerich e coll, hanno ipotizzato il danno sul parenchima polmonare indotto dal fumo del legno e del carbone usati per cucinare in alcune aree rurali spagnole; infatti tra queste popolazioni dopo la guerra civile era diffusa l’abitudine di usare tali forme di combustibile risultando difficile reperire altro14. Fanno parte dello studio soggetti che sono stati esposti a tali fumi in gioventù, ma anche soggetti che attualmente sono esposti a tali fumi perché sta tornando in voga l’uso domestico di stufe a legna, come avveniva in passato. In entrambi i gruppi viene riscontrato lo stesso rischio di sviluppare i sintomi di BPCO; ne scaturisce quindi una importante implicazione di salute 19 pubblica , con un impegno volto a migliorare i dispositivi di ventilazione negli ambienti chiusi. 6. Stato socio-economico Con questo termine si intende l’appartenenza a categorie sociali definite da livello di istruzione, reddito, attività lavorativa, condizioni abitative. Per varie patologie, tra cui la BPCO, si annovera il ruolo negativo svolto dal basso livello socio-economico, tanto da essere considerato come fattore di rischio sia per lo sviluppo della malattia, sia per l’aumento della mortalità e questo rapporto inversamente proporzionale sembra essere in continua ascesa. Tuttavia ancora non è molto chiaro se questo fattore abbia un ruolo indipendente o agisca piuttosto come concausa insieme al fumo di sigaretta e all’inalazione di sostanze ambientali. Uno studio danese condotto da Prescott e Lange ha fatto notare la relazione esistente tra il basso stato socio-economico e la diminuzione della funzionalità polmonare, indagata con i parametri FEV₁ e FVC, e l’aumento dei ricoveri in ospedale per BPCO indipendentemente dall’abitudine al fumo17. 7. Dieta L’importanza dei fattori dietetici nella eziopatogenesi e nella prevenzione di numerose malattie è divenuta negli ultimi anni oggetto di 20 crescente attenzione; si sta affermando sempre maggiormente la tesi che una dieta povera di importanti principi nutritivi quali vitamine, proteine, sali minerali può essere implicata nell’aumentata suscettibilità individuale allo sviluppo di reazioni anomale a allergeni ambientali,fumo di tabacco, agenti infettivi, inquinamento indoor e outdoor. Per quanto concerne le patologie ostruttive bronchiali, il deficit di alcuni fattori dietetici si ripercuote negativamente sulle reazioni infiammatorie, sulla contrattilità della muscolatura bronchiale e infine sulle reazioni enzimatiche alla base della trasmissione neuromuscolare18. Viene posta l’attenzione sul deficit di vitamine antiossidanti, di acidi grassi omega 3 e sull’aumento degli omega 6. È nota da molti anni l’azione antiossidante della vitamina C, E, del βcarotene, dell’ubiquinone, dei flavonoidi e del selenio; la nostra attenzione si rivolge specialmente al loro ruolo nella difesa dagli insulti ossidanti causati dal fumo di sigaretta e da altri inquinanti presenti nell’aria respirata. Infatti, il controllo del bilancio ossido-riduttivo è un punto critico per il mantenimento dell’integrità delle cellule polmonari. È logico perciò dedurre l’importanza di una dieta ricca di frutta e verdura, contenente vitamina C (broccoli, spinaci, pomodori, arance, limoni), carotenoidi, vitamina E (vegetali, oli di semi, burro , uova), 21 flavonoidi (mele, limoni, arance, patate, thè), selenio (grano, carne, molluschi). Anche il sodio è implicato nello sviluppo della patologia ostruttiva bronchiale, nell’ambito della regolazione del tono della muscolatura bronchiale; è stato riscontrato che una dieta a elevato contenuto di sodio potrebbe predisporre allo sviluppo di iper-reattività bronchiale per una stimolazione della pompa Na/K ATP asi. Numerose evidenze scientifiche attestano inoltre che la malnutrizione, definita come BMI < 18.4 kg/m2, è un fattore prognostico negativo per i pazienti affetti da BPCO e si correla soprattutto con le classi di maggiore gravità. Le cause sono legate al diminuito introito orale di cibo, all’aumento del lavoro dei muscoli respiratori derivante dall’alterazione della meccanica respiratoria propria della malattia e infine, secondo ultimi studi, a uno stato infiammatorio sistemico con secrezione di varie citochine. La carenza dei suddetti principi nutritivi, resa evidente inizialmente dalla perdita di peso poi in stadi finali dalla anoressia e dalla cachessia, ha ripercussioni anche sulla forza e sulla resistenza dei muscoli respiratori tramite una riduzione della loro massa e della funzionalità delle restanti fibre muscolari. Inoltre per enfatizzare questo concetto si riporta l’evidenza clinica che la maggior parte degli enfisematosi gravi si 22 trovano in uno stato catabolico/cachettico; questo dato emerge, oltre che dalla pratica clinica, anche da studi condotti su animali e da evidenze scaturite da scansioni TC effettuate su donne anoressiche con caratteristiche radiologiche simili all’enfisema. Tuttavia emergono delle difficoltà nella valutazione precisa del ruolo di questi elementi poiché sarebbe necessario indagare le precise abitudini dietetiche di ogni soggetto in esame. Bisogna comunque ricordare che negli USA le linee guida emesse dal National Cancer Institute (NCI) raccomandano il consumo di cinque porzioni giornaliere di frutta e verdura per un apporto di vitamina C superiore a 200 mg e una quantità anche superiore per i fumatori. Infine rientra nei fattori dietetici considerati come fattori di rischio l’abuso di alcol, in quanto è associato da sempre a prevalenze più elevate di BPCO e a un più rapido declino della funzionalità polmonare; è comunque giusto ricordare gli effetti antiossidanti produttivi dell’assunzione di una modica quantità di alcol al giorno19. Fattori endogeni 1. Genere La maggiore prevalenza della BPCO nel sesso maschile riscontrata fino a circa cinquanta anni fa era sicuramente riconducibile alle maggiori 23 percentuali di fumatori maschi, considerando il fumo di sigaretta il principale fattore predittivo della riduzione del FEV₁. Negli ultimi anni tuttavia la differenza tra maschi e femmine è andata sempre di più decrescendo e la più plausibile spiegazione di questo fenomeno si ritrova proprio nella maggior diffusione del tabagismo tra le donne20. Inoltre per le donne non bisogna dimenticare l’importanza dell’esposizione professionale discussa in precedenza. 2. Anamnesi familiare positiva Non ci sono riscontri genetici che possano attestare una chiara correlazione tra lo sviluppo di BPCO e precisi geni, anche se alcuni in casi è possibile ritrovare aggregazione familiare. Alcuni ricercatori cinesi hanno esaminato le PFR (Prove di Funzionalità Respiratoria) di bambini figli di genitori con BPCO, confrontandole con quelle di bambini che avevano genitori sani; da tale ricerca è emerso che effettivamente c’era una riduzione del FEV₁ nei bambini con una storia familiare di BPCO ed era correlata alla severità della malattia dei genitori21. 3. Malattie infettive durante l’infanzia La rilevanza delle infezioni dell’albero bronchiale rispetto alla storia naturale della BPCO è accertata sia per quanto riguarda la patogenesi e la progressione della malattia, sia negli eventi di riacutizzazione. Le 24 malattie virali, ad esempio da adenovirus, contratte durante l’infanzia, potrebbero causare uno stato di infezione latente nelle vie respiratorie che in età adulta, dopo l’esposizione al fumo di tabacco, si amplificherebbe contribuendo così alla reazione locale tipica dell'epitelio bronchiale dei pazienti con BPCO22. Analoga azione è esercitata dall’insulto batterico che, innescando una risposta infiammatoria locale con richiamo di macrofagi e leucociti, altera l’integrità dell’epitelio ciliato e predispone così allo sviluppo della patologia ostruttiva in età adulta23. 4. Deficit di α-1 antitripsina La BPCO è una malattia complessa caratterizzata da una forte interazione tra influenze provenienti dall’ambiente e predisposizione genetica; tutti i fattori fin qui discussi hanno un peso diverso in ogni individuo a seconda del pattern genetico con cui si confrontano. Diverse alterazioni genetiche sono implicate nelle principali espressioni fenotipiche della malattia, ma l’unico fattore di rischio scientificamente provato è il deficit di α-1 antitripsina24. E’ uno dei principali inibitori delle proteasi secrete dai neutrofili durante il processo infiammatorio, è prodotto dal fegato ed è presente nel siero, nei liquidi tissutali e nei macrofagi. Riveste quindi un ruolo cruciale nella protezione del tessuto 25 polmonare dalla distruzione operata dall’elastasi neutrofila e dagli altri enzimi litici. Sono state descritte diverse varianti del locus genico PI (PI: inibitore delle proteasi) che codifica per l’ α-1 antitripsina: l’allele M si associa a livelli normali della molecola, l’allele S a livelli lievemente ridotti e l’allele Z a livelli fortemente ridotti. La forma più comune di deficit grave di α-1 antitripsina è il fenotipo PIZ con due alleli Z o con un allele Z e uno NULL (si associa a una diminuzione di circa il 15% dei livelli plasmatici normali di α-1 antitripsina). L’aumentato rischio di sviluppare BPCO è correlato a un pattern genetico recessivo che è tipicamente diagnosticato con la focalizzazione isoelettrica del siero. Studi condotti su pazienti fumatori con fenotipo PIZ hanno evidenziato una tendenza a sviluppare forme precoci di BPCO rispetto a casi controllo non fumatori, seppur con lo stesso pattern genico. La stessa conclusione è stata tratta da una ricerca svolta in Svezia che evidenzia una maggiore riduzione del FEV₁ nei fumatori affetti da tale deficit genetico2. Opinioni discordanti invece riguardano il rischio di malattia negli individui PIZ eterozigoti con livelli di α-1 antitripsina intermedi (circa il 60% del normale). Come detto in precedenza esistono altre alterazioni genetiche potenzialmente rilevanti, quali il deficit di α-1 antichimotripsina e di altre antiproteasi. E’ opportuno ricordare anche il ruolo della idrolasi microsomiale e della Glutatione S-Trasferasi; 26 quest’ultimo è un enzima implicato nella detossificazione dei metaboliti del fumo di sigaretta. Anche una ridotta quantità della eme-ossigenasi costituisce un fattore di rischio non proteggendo la cellula dallo stress ossidativo; altri fattori infine come i gruppi sanguigni A, B, 0, l’antigene HLA, la proteina di legame con la vitamina D e l’alterazione dei geni che codificano per il TNF-α sembrerebbero predisporre al danno polmonare. 5. Basso peso alla nascita Secondo alcuni ricercatori la diminuzione della funzionalità polmonare in età adulta riflette precoci alterazioni incorse durante la maturazione del polmone dalla vita fetale fino all’infanzia1. Infatti, un ridotto apporto di nutrienti e di ossigeno impone al feto un necessario adattamento che può tradursi in basso peso alla nascita e secondariamente in alterazioni specifiche di cuore, polmoni, fegato, pancreas. Qualora si instauri quindi una alterazione anatomica e funzionale dell’apparato bronchiale, nella vita adulta il paziente sarà più suscettibile all’azione dannosa dei vari fattori finora trattati. 1.2.2. Morbosità L’impatto della BPCO sul piano socio-sanitario nazionale e internazionale è meritevole di attenzione, ma non è semplice fare una 27 corretta stima della morbosità per vari motivi. Per quanto riguarda le popolazioni dei paesi in via di sviluppo i dati forniti non sono molto precisi anche per la enorme variabilità dei sintomi e anche nei paesi industrializzati la situazione non migliora, forse a causa della mancanza di diagnosi precoci e della inadeguatezza dei mezzi con cui si compiono tali ricerche. Ad esempio in Italia un database di riferimento è costituito dalle Schede di dimissione ospedaliera del 1996. Sicuramente la mortalità e la morbosità della BPCO variano da nazione a nazione ma in generale questi dati possono essere correlati alla prevalenza del fumo di tabacco e anche dell’inquinamento atmosferico e all’esposizione a sostanze tossiche in ambito domestico e lavorativo. Purtroppo, dato ormai certo e preoccupante, è la crescita esponenziale dei soggetti malati di BPCO che si verificherà nelle prossime decadi1; questo andamento rientra in un dall’invecchiamento nuovo della trend epidemiologico popolazione. Infatti, caratterizzato a causa dell’allungamento della vita media e della diminuzione della natalità si sta generando una nuova classe di pazienti caratterizzata dall’aumento della disabilità e delle patologie croniche tra le quali un posto di rilievo è occupato proprio dalla BPCO. Non ci sono dati univoci sulla prevalenza della BPCO a causa dell’uso di svariati termini diagnostici e criteri funzionali, nonostante siano 28 disponibili fonti di informazione autorevoli quali lo European Lung White Book, Who Global Burden of Desease Study e altri siti web specifici per ogni nazione. Se si fa riferimento ai criteri clinici quali ad esempio questionari sottoposti al paziente volti a indagare la presenza e il tipo di sintomi o le relazioni mediche, emerge che solo il 4-6% della popolazione adulta soffre di BPCO10; questo perché i pazienti che si trovano nello stadio 1 GOLD possono presentare pochi sintomi rilevanti o addirittura non avvertire nessun problema di salute. Al contrario invece se si fa diagnosi con i parametri spirometrici (FEV₁ < 80% del predetto e FEV1/FVC < 70% del predetto) circa un quarto degli adulti di età maggiore di quaranta anni possono essere inseriti nello stadio 1 della BPCO. Al di là delle evidenti complessità, la relazione 2008 del GOLD riporta i dati di prevalenza emergenti da tre autorevoli studi epidemiologici: in primo luogo una metanalisi degli articoli scientifici pubblicati su pubmed tra il 1990 e il 2004 e uno studio giapponese stimano la prevalenza della BPCO negli adulti di età maggiore di quaranta anni (in questo caso la diagnosi si basa sui parametri spirometrici sopra citati) intorno al 9-10%. In secondo luogo riportiamo lo studio multicentrico denominato PLATINO (Proyecto LatinoAmericano de Investigacion en Obstruccion Pulmonar), condotto nelle cinque maggiori città di cinque Paesi sudamericani: San Paolo (Brasile), 29 Santiago (Cile), Città del Messico (Messico), Montevideo (Uruguay) e Caracas (Venezuela)25. Fig. 1 Prevalenza della BPCO in cinque città latino-americane (Studio PLATINO). Da voce bibliografica n. 25 MOD. I ricercatori grazie ai dati del FEV₁ e dell’indice di Tiffenau (FEV₁/FVC) dopo broncodilatazione ottenuta con la somministrazione di 400 µg di salbutamolo, hanno dimostrato la prevalenza dello stadio 1 della broncopneumopatia cronica ostruttiva oscilla da un minimo di 18,4% a Città del Messico fino al 32,1% a Montevideo. L’importanza di questi dati si correla ancora una volta al fumo di tabacco, considerato il maggior fattore di rischio: il tabagismo è un’abitudine molto diffusa in Sudamerica e, riferendosi alla classificazione data da Lopez e coll. sull’epidemia del tabacco, 30 l’America Latina è considerata al secondo posto nel mondo. Nonostante gli evidenti limiti dello studio PLATINO a causa della scelta delle città più popolose e nell’ambito di queste solo delle aree urbane, esso viene ritenuto importante poiché rientra nei progetti di salute pubblica finalizzati alla lotta contro il tabagismo e alla prevenzione della BPCO in America Latina. Ulteriori dati emergono dalla valutazione effettuata nelle regioni asiatiche che si affacciano sul Pacifico26. Tra queste popolazioni si registra una prevalenza di BPCO severa o moderata del 6,3% tra soggetti di età maggiore di trenta anni e ciò sembra correlarsi strettamente all’esposizione a PM10 e PM 2.5, SO2, NO2, O3. Studi epidemiologici condotti in Europa hanno dimostrato che la prevalenza della malattia cresce con l’età, interessando soprattutto la fascia di persone con età > 65 anni e in totale il 4-6% della popolazione adulta soffre di BPCO in modo rilevante27. Lo studio multicentrico ECRHS (European Comunity Respiratory Health Survey) condotto in 16 nazioni su una popolazione di quasi 18.000 soggetti di età compresa tra 20 e 44 anni ha dimostrato che la prevalenza media di bronchite cronica in questa fascia d’età era circa del 2,6% con una varietà tra nazioni che oscillava dallo 0,7% al 9,7% 28 . Questo studio ha anche dimostrato che solo il 30% delle variazioni geografiche di prevalenza può essere spiegato dalle differenze delle abitudini al fumo, suggerendo che altri 31 fattori quali quelli ambientali o genetici possano svolgere un ruolo importante nello sviluppo della BPCO. Uno studio condotto dall’ISTAT tra il 1999 e il 2000 su un campione di famiglie italiane ha riferito che la percentuale di popolazione affetta da bronchite cronica, enfisema polmonare o insufficienza respiratoria è stata pari al 4,4% (4,8% negli uomini e 3,9% nelle donne) e i tassi di prevalenza più elevati compaiono a un’età superiore a sessantaquattro anni (totale 14,1%, maschi 18,3%, femmine 11,2%); nella regione Umbria la prevalenza è del 6,8%29. Fig. 2 Prevalenza della BPCO in Italia (Dati Istat 1999-2000). Da voce bibliografica n. 29 MOD. 32 Fig. 3 Prevalenza della BPCO tra gli anziani in Umbria (Dati Istat 1999-2000). Da voce bibliografica n29 . MOD. Un importante contributo alla conoscenza della prevalenza effettiva della bronchite cronica, della asma e della rinite allergica in Italia proviene dall’Italian Study on Asthma in Young Adults (ISAYA, Studio Italiano sull’asma nei giovani adulti) il quale prende origine dallo studio europeo ECHRS che affronta temi analoghi , a sua volta voluto e sostenuto dalla Comunità Europea e sviluppatosi tra il 1991 e il 2000. ISAYA è un’indagine multicentrica cross-sectional sulla popolazione generale adulta di età compresa tra 20 e 44 anni, che ha mostrato quanto elevata sia la prevalenza di tosse e catarro cronici nei giovani adulti in Italia e ha permesso di valutare la diffusione dell’abitudine al fumo in questa fascia 33 di età30. Con il secondo ciclo di ISAYA vi è stata l’estensione a nove nuove Unità di ricerca localizzate nell’Italia centro-meridionale, tra cui anche Terni. Alla luce dei risultati dello studio emerge che nel campione della provincia umbra la prevalenza di bronchite cronica, riferita alla sola presenza di tosse e catarro, è quasi del 6%, ma da tutto ciò manca la valutazione dell’enfisema. Inoltre l’età media era di 35 anni circa e ciò fa pensare che, con l’aumento di questa forma morbosa con l’età, si deve temere una proiezione marcata negli anni futuri soprattutto tenendo conto del ruolo del fumo30. L’European Lung White Book fornisce una stima della morbosità, grazie ai dati ricavati dalle visite ambulatoriali, dai ricoveri nei dipartimenti di emergenza e dalle richieste di ospedalizzazione: il numero delle ospedalizzazioni nel 1994 erano di 125.508 in Germania, 73.342 in Gran Bretagna, 45.624 in Spagna e 40.190 in Italia27. Un’immagine della prevalenza della BPCO in Italia può essere desunta dalle schede di dimissione ospedaliera, dalle quali emerge che nel 2000 il 20,6% dei pazienti dimessi per cause respiratorie era affetto da BPCO (codificato come DGR - Diagnosis Related Group - 88): ciò significa che 126.927 pazienti hanno comportato un totale di 1.159.995 giornate di degenza con una media di 9,4 giorni31; in realtà anche questo dato può 34 essere soggetto a sottostima, poiché alcune riacutizzazioni sono state codificate come insufficienza respiratoria. Uno studio condotto in Olanda evidenzia che il problema della BPCO andrà incontro a un notevole aumento nei prossimi decenni e specialmente l’attenzione dovrà essere rivolta al numero sempre crescente di donne affette da questa malattia; infatti l’abitudine al fumo sempre più diffusa nel sesso femminile e l’invecchiamento della popolazione giustificano questi dati32. Il totale degli anni di vita perduti a causa della BPCO aumenterà del 60% e il totale di quelli aggiustati per invalidità (Disability Adjusted Life Years DALYs) del 70%; secondo le stime del Global Burden of Desease Study il totale degli anni vissuti con disabilità (YLD- Years of Living with Disability) è pari a 1,68% su 1000 abitanti e corrisponde all’1,8% tra il totale degli YLD. Nel 1990 questa patologia era al 12° posto tra le cause più comuni di disabilità nel mondo e le previsioni del Global Burden of Disease Study la collocano al 5° posto nel 2020 dopo cardiopatia ischemica, depressione grave, incidenti stradali e vasculopatie cerebrali27. Lo scenario italiano della BPCO e le sue connessioni con il genere e l’abitudine al fumo è stato studiato da Viegi e coll. grazie a due studi longitudinali condotti in un’area rurale sul Delta del Po e nell’area urbana Pisa - Cascina in due momenti diversi tra il 1980 e il 198333. 35 Fig. 4 Tassi di prevalenza (%) di bronchite ed espettorato cronici, stratificati per abitudine al fumo, nei maschi partecipanti agli studi del Delta del Po e di Pisa-Cascina. Da voce bibliografica n. 33 MOD. Fig. 5 Tassi di prevalenza (%) di bronchite ed espettorato cronici, stratificati per abitudine al fumo, nelle femmine partecipanti agli studi del Delta del Po e di Pisa-Cascina. Da voce bibliografica n.33 MOD. 36 L’esame dei risultati consente di notare come la prevalenza di bronchite cronica sia nettamente inferiore a quella di espettorato cronico, sintomo importante su cui viene fatta la diagnosi di bronchite cronica. Questo lavoro dimostra il problema della sottostima della malattia qualora si valuti la sola diagnosi di bronchite cronica definita dal sintomo espettorato cronico. L’entità della sottodiagnosi è riportata in letteratura tra il 25 e il 50%. Anche i parametri spirometrici non risolvono totalmente il problema della variabilità della stima, a causa dei diversi criteri adottati dalle principali società scientifiche internazionali per definire il grado di ostruzione bronchiale: ancora Viegi e coll. hanno dimostrato che il tasso di prevalenza dell’ostruzione delle vie aeree è pari all’11% secondo ERS, al 18% secondo GOLD, fino al 40% secondo ATS34. L’impatto di quanto discusso finora a livello economico è notevole ed è perciò meritevole di attenzione. Tipicamente l’onere è diviso in costi diretti e costi indiretti. I primi includono le spese per i ricoveri ospedalieri, per le visite mediche, per l’assistenza domiciliare e per la terapia farmacologica; i secondi invece comprendono gli effetti disabilitanti della malattia che si traducono in perdita di giornate lavorative, morti premature, limitazioni delle attività quotidiane, sportive e ricreative. Nell’Unione Europea circa 41.300 giorni di lavoro per 37 100.000 cittadini vengono perse a causa della BPCO. Confrontando i dati provenienti dai vari stati europei, quali l’Italia,la Francia, la Spagna, l’Olanda, la Gran Bretagna, i costi totali sono piuttosto elevati. Le differenze con gli altri paesi dipendono certamente dalle abitudini di vita proprie di ogni popolazione e anche dai differenti piani assistenziali nazionali che possono coprire o meno i presidi di ossigenoterapia e di ventilazione meccanica a casa, l’assistenza domiciliare, i programmi di riabilitazione1 . Negli Usa nel 2004, 11,4 milioni di persone erano malate di BPCO e circa 638.000 pazienti di età maggiore di 65 anni sono stati ricoverati nei reparti ospedalieri. Questo ha comportato una spesa totale di 37,2 miliardi di dollari, divisi tra spese mediche e costi indiretti35. Fig. 6 Costi totali per BPCO negli USA nel 2004. Da voce bibliografica n. 35 MOD. 38 Secondo previsioni statistiche nei prossimi decenni si registrerà un aumento imponente di malati di BPCO che si ripercuoterà sulla spesa sanitaria nazionale con dei costi previsti fino a 832,9 miliardi di dollari negli USA35. 1.2.3. Mortalità Anche nella valutazione della mortalità si assiste a una sottostima fino al 50%, dovuta alla possibile interferenza di vari fattori36,37. Ad esempio negli anziani la morte può scaturire da un’alterazione dell’omeostasi dell’organismo in cui le numerose complicanze pur avendo un ruolo importante , si configurano in realtà solo come attori dell’evento finale ma a questi è affidata la causa di morte e non alla BPCO come ci si aspetterebbe, determinandone così una apparente riduzione della mortalità. Inoltre solo nella nona e decima revisione dell’ICD (International Classification of Desease) la BPCO rientra nella categoria “BPCO e condizioni collegate”, altrimenti in precedenza i dati venivano registrati separatamente sotto il nome di bronchite cronica e di enfisema, producendo così un ulteriore motivo di sottostima della mortalità della malattia. 39 Lo scenario attuale delle cause di morte riserva un posto importante alla BPCO: si stima che negli Stati uniti sia responsabile del 50% degli eventi morte38. Fig. 7 Mortalità per malattie polmonari negli USA nel 2001. Da voce bibliografica n.38 MOD. Secondo le previsioni statistiche fornite dal Global Burden of Desease Study nel 2020 salirà al terzo posto, a causa dell’epidemia del tabagismo e del sovvertimento della piramide delle età. Negli USA dal 1965 al 1998 è stata registrata un’interessante riduzione dei tassi di mortalità per cause cardiovascolari, ma un forte aumento delle morti per BPCO, pari al 163%1 ; questi numeri impongono la 40 necessità di una politica di lotta contro il fumo di sigaretta ancora più aggressiva, altrimenti continuerà la drammatica epidemia di morte. A livello mondiale e europeo sono presenti notevoli differenze tra i tassi di mortalità per BPCO dei vari paesi, a causa della diversa distribuzione del tabagismo e degli altri fattori di rischio e poi anche in relazione all’uso di diverse popolazioni di riferimento e altri fattori “tecnici”; non c’è dubbio che i tassi più alti vengano riscontrati nei paesi dove è più diffusa l’abitudine al fumo. Ad esempio in Europa le nazioni con la più alta mortalità per BPCO tra i maschi sono l’Ucraina, l’Irlanda, la Romania, il Kazakistan; tra le donne invece si riporta la Romania, l’Irlanda, il Kazakistan, la Danimarca27. Fig. 8 Tassi di mortalità (/100.000) attribuibili a BPCO in Europa. Da voce bibliografica n. 27 MOD. 41 Interessante è il caso della Gran Bretagna, dove negli ultimi trenta anni si sta registrando una diminuzione della mortalità maschile perché il picco massimo del tabagismo si è verificato molto tempo fa e al contrario un incremento nelle femmine sempre dovuto alla crescente abitudine al fumo di sigaretta39. Analizzando il tasso standardizzato di mortalità per BPCO in Italia dal 1980 al 1998 si può osservare una discesa del 45% rispetto all’inizio40; tuttavia questo dato non deve essere visto con ingenuo ottimismo e non si deve incorrere nell’errore di sottostimare il problema, pensando che l’Italia sia in controtendenza rispetto agli altri paesi industrializzati. Infatti, il tasso di prevalenza dei fumatori correnti molto alto e in aumento soprattutto nelle donne riflette il trend di mortalità che si sta registrando in tutto il mondo. Attualmente In Italia le malattie dell’apparato respiratorio rappresentano la terza causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Il 50% di queste morti è causato dalla BPCO; interessa le fasce di età più avanzate ed è 2-3 volte maggiore nei maschi rispetto alle femmine1 . 42 1.3. Patogenesi Il fumo di sigaretta, l’esposizione alle sostanze professionali, l’inquinamento indoor e outdoor, causano precise alterazioni anatomo-patologiche delle vie aeree periferiche e del parenchima polmonare. L’infiltrato infiammatorio cellulare sia nelle fasi precoci che tardive e il rimodellamento delle vie aeree periferiche sono alla base dell’espressione clinica e funzionale della malattia. I due principali meccanismi che sottendono questi fenomeni sono lo squilibrio elastasi antielastasi e la teoria dello stress ossidativo1 . Fig. 9 Patogenesi della BPCO. Da voce bibliografica n 1 . MOD. 43 La prima linea di difesa dell’organismo è rappresentata dall’immunità innata, una risposta rapida e non specifica a microbi e particelle estranee che in un secondo momento verrà sostituita dalla risposta immunitaria specifica. Ad ogni aspirazione di sigaretta più di duemila composti e circa 1014 radicali liberi aggrediscono l’epitelio ciliato. I prodotti derivanti dallo stress cellulare si legano a recettori tipo Toll (TLR4 e TRL2) posti proprio sull’epitelio; tramite l’attivazione a livello nucleare della cascata di trascrizione del segnale mediata dal fattore NF-kB le cellule epiteliali sono stimolate a produrre i mediatori dell’infiammazione. Questi a loro volta attiveranno i macrofagi alveolari e i neutrofili41,42. 44 Fig. 10 Attivazione dei macrofagi alveolari e dei neutrofili. Da voce bibliogr. n 41 . MOD. Il punto cruciale dello sviluppo della reazione infiammatoria risiede nello squilibrio tra sostanze ossidanti e antiossidanti e tra proteasi e antiproteasi. Il deficit dei meccanismi che contrastano l’azione enzimatica distruttiva o un eccessivo insulto sull’epitelio ciliato promuovono l’amplificazione del processo infiammatorio che normalmente si sviluppa a seguito del contatto con sostanze ritenute estranee all’organismo. Il motivo per cui tale reazione nei pazienti fumatori affetti da BPCO ha proporzioni maggiori del previsto non è 45 attualmente conosciuto, si presume solo l’esistenza di una predisposizione genetica. La seconda fase della catena di eventi prevede l’attivazione e la proliferazione delle cellule T. Le sostanze ritenute dannose per l’organismo, quali i prodotti del fumo di sigaretta, le cellule necrotiche e le cellule in apoptosi sono catturate dalle cellule dendritiche42 . Queste, grazie all’espressione di alti livelli delle proteine del complesso maggiore di istocompatibilità di classe II (MHC II) e delle molecole costimolatorie CD80 e CD86, veicolano le molecole dotate di proprietà antigeniche ai linfonodi e le presentano ai linfociti T CD8+. A questo punto tramite l’espressione di alcuni recettori per citochine, ad esempio CXCR3, i linfociti T entrano in contatto con le vie respiratorie43. 46 Fig. 11 Espressione del recettore per citochina CXCR3. Da voce bibliografica n. 43 MOD. Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che dalle interazioni citochinerecettori, scaturirebbe una up-regulation della metallo proteinasi-12 (MMP-12) implicata nella distruzione delle strutture bronchiali. I linfociti TCD8+ dopo aver riconosciuto l’antigene si differenziano in cellule mature CTL (citotossiche) innescando il processo di lisi cellulare. L’attività citotossica dei linfociti T CD8+ si esplica con il rilascio di perforina, granzima A e B, granulosina, cioè enzimi proteolitici che innescano il processo di necrosi e di apoptosi cellulare. Man mano che la malattia progredisce attraverso gli stadi più avanzati è possibile riscontrare nei polmoni dei fumatori con BPCO una quota sempre maggiore di linfociti T CD8+ e di cellule apoptotiche. 47 Inoltre la caratterizzazione linfocitaria dimostra la presenza della sottopopolazione T CD4+; le cellule dendritiche secernono IL-12 che permette la differenziazione dei linfociti T in cellule TH1 che producono IFN-γ, particolarmente importante nel reclutamento di altre cellule infiammatorie42 . La principale funzione delle cellule TH1 è l’attivazione dei macrofagi, la secrezione di IFN-γ, che favorisce l’ulteriore differenziazione in senso TH1 inibendo la proliferazione delle cellule TH2 e il potenziamento dell’azione microbicida dei macrofagi stessi. I macrofagi attivati inducono un processo infiammatorio acuto mediante la secrezione di TNF-α, IL-1, IL-6 e la produzione di mediatori lipidici, quali il PAF (fattore attivante le piastrine), le prostaglandine (PG) e i leucotrieni44. Fig. 12 Attivazione dei macrofagi alveolari. Da voce bibliografica n. 44 MOD. 48 L’effetto complessivo è l’eliminazione dei microbi e delle sostanze estranee all’organismo. I macrofagi inglobano le molecole dotate di proprietà antigeniche in vescicole chiamate fagosomi, che fondendosi con i lisosomi formeranno i fagolisosomi. I meccanismi microbicidi dei neutrofili includono l’attività degli enzimi lisosomiali come l’elastasi e l’azione dell’ossido nitrico e degli intermedi reattivi dell’ossigeno. I fagociti contengono il sistema enzimatico dell’ossidasi fagocitica, capace di convertire l’ossigeno molecolare nei radicali liberi utilizzando come fattore la forma ridotta del NADP ( Nicotinnamide Adenina Dinucleotide Fosfato ), in un processo noto come “Burst Ossidativo”; i particolari in merito all’azione dei ROI (Reacting Oxygen Intermediate – Intermedi Reattivi dell’Ossigeno) sono stati già affrontati precedentemente. I macrofagi possono generare radicali liberi anche tramite la “sintetasi inducibile dell’ossido nitrico” (iNOS), un enzima contenuto nel citosol dei macrofagi quiescenti, la cui sintesi può essere rapidamente indotta grazie all’ IFN-γ. L’enzima catalizza la conversione dell’arginina in citrullina, con conseguente liberazione di ossido nitrico diffusibile; nei fagosomi, a pH acido, l’ossido nitrico combinandosi con i radicali liberi generati dall’ossidasi fagocitica conduce alla formazione dei radicali perossinitrito, altamente microbicidi. I macrofagi e i neutrofili non sono tuttavia capaci di discriminare il tessuto sano dalle sostanze dannose; 49 quindi un’attivazione incontrollata di questi meccanismi può condurre alla distruzione del parenchima sano. Inoltre se lo stimolo antigenico perdura nel tempo e i sistemi microbicidi non sono efficaci si verifica la cronicizzazione del processo. I macrofagi continuano a produrre citochine e fattori di crescita che lentamente e inesorabilmente modificano l’architettura tissutale. Pian piano il tessuto danneggiato è sostituito da materiale connettivale facendosi strada il processo fibrotico. La BPCO è una malattia infiammatoria complessa che prevede l’attivazione di molte cellule infiammatorie e il rilascio di numerosi fattori, includendo mediatori lipidici (prostanoidi, leocotrieni, PAF), specie reattive dell’ossigeno, ossido nitrico, mediatori peptidici, chemochine , citochine, fattori di crescita, proteasi 45. La combinazione e l’interazione di queste molecole sono alla base delle alterazioni fisiopatologiche della BPCO. In merito ai mediatori lipidici bisogna analizzare il ruolo di prostanoidi, leucotrieni e PAF. Tra i prostanoidi, il ruolo della PGE-2 è controverso: è presente in concentrazioni elevate nei pazienti con BPCO, presumibilmente a causa dell’induzione mediata da TNF-α e IL-1β; la sua azione broncodilatatrice antinfiammatoria e anticolinergica è controbilanciata dagli effetti negativi dell’ipersecrezione mucosa e dell’espressione dei geni della mucina. La PGF-2α ad attività 50 broncocostrittrice, si presenta ugualmente a concentrazioni maggiori nei pazienti con BPCO. Infine analizzando la concentrazione urinaria del maggiore metabolita del trombossano, alcuni ricercatori hanno ipotizzato una correlazione tra il grado dell’ipossia e la sua reversibilità grazie all’ossigeno terapia. Anche i leucotrieni sembrano implicati nel processo infiammatorio; specificatamente LTB-4 è un potente fattore chemiotattico per i neutrofili ed è espresso a livelli aumentati nell’espettorato dei pazienti soprattutto in fase di riacutizzazione. I mediatori peptidici importanti ai fini di una futura terapia antiinfiammatoria sono l’endotelina, la bradichinina, le tachichinine, i Frammenti del Complemento. L’endotelina (ET1) agisce causando la costrizione e l’iperplasia della muscolatura liscia vasale; il suo incremento, particolarmente durante le fasi di acuzie di malattia, può essere implicato nell’ipertensione polmonare secondaria in pazienti malati di BPCO. Sebbene il ruolo maggiore della bradichinina sia stato studiato riguardo all’asma, secondo alcuni ricercatori costituisce un potente stimolo alla broncocostrizione e alla ipersecrezione mucosa anche nell’ambito della BPCO. Le già note funzioni chemiotattiche della frazione C5a del Complemento sono state correlate anche al processo infiammatorio oggetto della nostra discussione. 51 Sono stati condotti numerosi studi sul ruolo delle citochine nelle diverse fasi del processo infiammatorio; in particolare l’attenzione è stata rivolta al TNF-α, all’IL-6, all’IFN-γ. Il Tumor Necrosis Factor α è il principale mediatore della risposta infiammatoria acuta ai batteri Gram– e ad altri agenti infettivi; secreto dai macrofagi e dai linfociti T attivati, favorisce il reclutamento dei neutrofili e dei monociti nei focolai di infezione attivandone le funzioni microbicide46. Media questi effetti inducendo nelle cellule endoteliali l’espressione di molecole di adesione, come i ligandi per le integrine leucocitarie e quelli per le selectine endoteliali, e stimolando la secrezione di citochine come IL-1 e chemochine. L’azione pro- infiammatoria del TNF-α non si limita al compartimento polmonare ma ha importanti ripercussioni a livello sistemico. E’ normalmente sintetizzato come precursore a 26 KDa e solo dopo stimolo adeguato è convertito nella forma biologicamente attiva a 17 KDa pronta per il rilascio. L’elevata concentrazione di questa citochina è stata riscontrata nell’espettorato dei soggetti affetti da BPCO sia in fase di stabilità sia in fase di riacutizzazione. Alcuni ricercatori studiando dei topi knock-out per il recettore del TNF-α suggeriscono che il 70 % dell’enfisema indotto dal fumo di sigaretta sia legato proprio a questa citochina45. E’ molto importante perciò riconoscere lo spettro di effetti infiammatori 52 promossi dal TNF-α: induce l’attivazione dei neutrofili, dei monociti, dei macrofagi, dell’epitelio, provoca ipersecrezione mucosa e induce la distruzione del parenchima polmonare tramite l’azione delle proteinasi. Merita la nostra attenzione anche l’IL-6, prodotta dai macrofagi, dai linfociti T e dalle cellule endoteliali in risposta allo stimolo infiammatorio. Anche in questo caso il riscontro di alti livelli della molecola nel plasma e nell’espettorato correla con la patogenesi infiammatoria oggetto di questa trattazione45. La scena è governata da numerose altre citochine che interagiscono l’un l’altra e perpetuano il processo infiammatorio: IL-9, IL-12, IFN-γ. Le alterazioni strutturali delle vie aeree periferiche e centrali, del tessuto polmonare e dei vasi polmonari scaturiscono dall’azione di alcuni fattori di crescita45. Il TGF-β (fattore di crescita trasformante), attivato dalla metalloproteinasi 9, indurrebbe la distruzione alveolare e l’inattivazione della α-1antitripsina, potenziando così l’azione proteolitica dell’elastasi neutrofila47. 53 Fig. 13 Espressione del TGF-β a livello alveolare. Da voce bibliografica n. 47 MOD. L’EGFR (fattore di crescita epidermico) ha un ruolo chiave nella regolazione dell’ipersecrezione mucosa tramite la stimolazione dei geni per la mucina (MUC5AC e MUCB), la differenziazione delle “Goblet Cells” e l’iperplasia delle cellule mucosecernenti. Il VEGF (fattore di crescita dell’endotelio vascolare) è coinvolto nel rimodellamento dei vasi polmonari e condiziona lo sviluppo dell’ipertensione polmonare negli stadi finali della BPCO48. 54 Fig. 14 Espressione del VEGF. Da voce bibliografica n. 48 MOD. Infine l’FGF (fattore di crescita dei fibroblasti) e i suoi recettori sono espressi in modo anomalo e eccessivo nella muscolatura liscia vasale e polmonare e nelle cellule epiteliali delle vie aeree dei pazienti con BPCO45. Vari studi dimostrano che oltre cinquanta chemochine, legandosi a più di venti tipi diversi di recettori di superficie, sono implicate nel processo infiammatorio della BPCO49. I loro recettori appartengono alla superfamiglia dei recettori a sette domini α-elica trans-membrana, accoppiati a proteine G, e sono espressi sulle cellule infiammatorie; alcune di queste molecole sembrano selettive per singoli recettori mentre altre si legano a più tipi di essi. Sono conosciute quattro differenti famiglie di chemochine divise in base alla posizione del residuo critico della cisteina. Dall’interazione chemochina-recettore deriva l’attivazione della via di trasduzione del segnale, che conduce a chemiotassi, 55 proliferazione, differenziazione e sopravvivenza delle cellule infiammatorie. Ai fini della nostra discussione è utile dividere le chemochine in tre gruppi a seconda dei recettori a cui si legano. CXCL-1, CXCL-5, CXCL8 interagiscono con il recettore CXCR-2 posto sui neutrofili. L’espressione di CXCL-8 è notevolmente aumentata nell’espettorato e nel BAL dei pazienti malati di BPCO e si correla con l’accumulo di neutrofili nelle vie bronchiali, specificatamente durante gli eventi acuti della malattia. CXCL-1, secreta dai macrofagi alveolari e dalle cellule epiteliali delle vie aeree in risposta al TNF-α e al IL-17, si trova a concentrazioni molto elevate nel BAL dei pazienti fumatori con BPCO; è stato ipotizzato che questa molecola, incrementando il numero di macrofagi alveolari nei polmoni dei pazienti affetti da tale patologia, potrebbe essere alla base dei meccanismi molecolari di suscettibilità al fumo di sigaretta. Anche i livelli di CXCL-5 correlano positivamente con la riacutizzazione del processo infiammatorio della BPCO. Il legame delle tre chemochine esaminate con il recettore provoca la chemiotassi e l’attivazione dei neutrofili nel sito di azione. La seconda famiglia di chemochine include CXCL-9, CXCL-10 e CXCL-11 che attivano il recettore CXCR-3, posto sui linfociti TCD8+. Le vie periferiche dei soggetti in esame esprimono concentrazioni elevate di questo recettore e 56 delle relative chemochine. Ne deriva un potente segnale di attivazione per i linfociti TCD8+. Infine le chemochine CXCL-1 e CCL-2, secrete dai macrofagi alveolari, legandosi ai recettori CXCR-2 e CCR-2, posti sui monociti, potenziano la cascata infiammatoria. Queste molecole hanno un ruolo chiave nella regolazione e nella veicolazione delle cellule infiammatorie agli organi target; l’identificazione delle diverse molecole e degli inibitori dei loro recettori è oggetto delle più autorevoli ricerche scientifiche. Infine i linfociti B sono importanti nel perpetuare la risposta immunitaria. La loro proliferazione avviene in risposta a antigeni virali e batterici che caratterizzano le riacutizzazioni della malattia42 . Gli eventi infettivi acuti fanno parte del resto della storia naturale della BPCO e non sorprende che intensifichino la risposta infiammatoria cellulare agendo anche sui linfociti B. La scoperta dei fattori infiammatori, sia cellulari sia umorali, specifici di queste reazioni potrebbe offrire la possibilità di una inibizione selettiva di questi meccanismi e quindi, potenzialmente, migliorare la prognosi della malattia stessa anche nelle forme più gravi. 57 1.4. Anatomia patologica Secondo la definizione fornita dalle più recenti linee guida GOLD la BPCO è una malattia caratterizzata da riduzione di flusso aereo non completamente reversibile, progressiva, associata alla presenza di alterazioni infiammatorie. La broncostruzione non completamente reversibile rappresenta l’impatto sulla funzionalità respiratoria delle alterazioni molecolari e anatomopatologiche presenti nel polmone dei soggetti con BPCO. Come è noto il flusso aereo è influenzato dalla pressione di spinta che lo genera, dovuta alla forza di retrazione elastica del polmone e dalle resistenze che vi si oppongono (F = ΔP/R). La riduzione del flusso aereo in primo luogo può scaturire da una diminuzione della forza di retrazione elastica del polmone, causata principalmente dalla distruzione parenchimale tipica dell’enfisema; il secondo fattore causale può essere l’aumento delle resistenze, derivante dal processo infiammatorio delle vie aeree periferiche che tramite l’incremento dello spessore della parete bronchiale genera un restringimento del lume bronchiale. Quindi le modificazioni funzionali dei soggetti con BPCO sono imputabili principalmente ad alterazioni che coinvolgono il parenchima polmonare e le vie aeree periferiche; tuttavia anche le vie aeree centrali sono responsabili dei sintomi della malattia in 58 quanto in questi siti avviene l’iperproduzione di muco che caratterizza la bronchite cronica. La caratterizzazione del processo infiammatorio presente nelle vie aeree centrali di soggetti con bronchite cronica è stata oggetto di numerosi studi. Macroscopicamente si possono osservare iperemia, tumefazione ed edema della mucosa, spesso accompagnati da eccessiva secrezione mucosa tanto che a volte i bronchi e i bronchioli sono zaffati da densi cilindri di secrezioni50. L’aspetto istologico è dominato dal processo infiammatorio cronico: le cellule predominanti nella parete delle vie aeree centrali sono i macrofagi e i linfociti TCD8+, che correlano con il grado di broncostruzione, avvalorando l’ipotesi che queste cellule possano avere un ruolo nella progressione della malattia51. Nel lume bronchiale prevalgono invece i neutrofili, facendo supporre che queste cellule, dopo essere state reclutate dai vasi del circolo bronchiale, migrino verso il lume attraversando la zona sottoepiteliale ed epiteliale. Questo processo sarebbe favorito da una riduzione dell’azione antinfiammatoria dell’IL-10 e da un aumento dell’IL-8 e del TNF-α, cui seguirebbe l’aumentata espressione delle molecole di adesione (ESelectina e ICAM-1). E’ stata inoltre riscontrata una spiccata neutrofilia anche nelle ghiandole bronchiali di questi soggetti; tale dato potrebbe giustificare l’ipersecrezione di muco tipico della bronchite cronica 51. Il 59 numero delle cellule caliciformi aumenta solo lievemente, ma è significativo l’incremento delle dimensioni ghiandolari, valutato tramite l’Indice di Reid. Esprime il rapporto tra lo spessore dello strato ghiandolare e lo spessore della parete tra l’epitelio e la cartilagine e ha un valore normale di 0,4. Nella Bronchite cronica è solitamente aumentato e correla con la gravità e la durata della malattia. Le vie aeree periferiche sono la sede di importanti alterazioni anatomopatologiche alla base dell’aumento delle resistenze e quindi della riduzione di flusso dei pazienti con BPCO . Le analisi istologiche hanno dimostrato la presenza di uno stato infiammatorio, di ipertrofia del muscolo liscio, di fibrosi, la distruzione degli attacchi alveolari e l’iperplasia delle cellule caliciformi mucipare52. Fig. 15 Alterazioni anatomopatologiche delle vie aeree periferiche. Da voce bibliografica n. 52 MOD. 60 I processi infiammatori nel loro insieme inducono il “rimodellamento strutturale” delle vie aeree attraverso l’aumento dello spessore della parete e anche tramite la distruzione degli attacchi alveolari, cioè di quelle pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a mantenerle aperte. L’importanza di questo processo nei fumatori è tale che giustifica la perdita della retrazione elastica del polmone e quindi il grado di broncostruzione. Un'altra evidenza istologica è la sostituzione delle cellule di Clara con cellule caliciformi mucipare metaplastiche da cui deriverebbe l’iperproduzione di muco da un lato e dall’altro la diminuzione di surfactante bronchiolare. La diretta conseguenza sarebbe l’aumento della tensione superficiale e l’occlusione del lume e la chiusura finale delle vie aeree. La broncostruzione potrebbe essere spiegata anche con l’azione dei neutrofili sulla muscolatura liscia delle vie aeree periferiche. Queste cellule, normalmente assenti in questa sede, secernendo IL-8 potrebbero stimolare la proliferazione delle cellule muscolari aumentando così lo spessore della parete bronchiale e favorendo la riduzione del flusso aereo. Grazie alle ricerche svolte dal gruppo di Hogg è stata esaminata l’evoluzione delle lesioni anatomopatologiche attraverso i quattro stadi della malattia. E’ stato dimostrato un aumento crescente della gravità delle lesioni man mano che si passa dallo stadio 0 allo stadio 453. 61 Fig. 16 Il riquadro A dimostra la presenza di un follicolo linfoide con un centro germinativo nel tessuto linfoide bronchiale;il riquadro B mostra un altro follicolo in cui il centro germinativo contiene le cellule B; il riquadro C mostra che l’area intorno al follicolo contiene cellule CD4+; il riquadro D mostra il rimodellamento bronchiale. Da voce bibliografica n. 53 MOD. Le caratteristiche più importanti osservate sono l’aumento dell’essudato infiammatorio del lume, in particolare linfociti T e B, fino a giungere all’organizzazione in veri e propri follicoli con un centro germinale ricco di linfociti B, circondato da una regione periferica ricca di linfociti T, unitamente a un inspessimento di tutte le componenti della parete delle vie aeree periferiche (epitelio, sottomucosa, muscolo liscio e avventizia). Gli autori hanno così ipotizzato un viraggio dalla risposta dell’immunità innata nelle fasi iniziali fino allo sviluppo della risposta acquisita. 62 Fig. 17 I riquadri A e B mostrano la risposta infiammatoria acuta misurata come percentuale delle cellule misurate nelle vie aeree; Il riquadro C mostra l’associazione tra la densità cellulare e il FEV1; il riquadro D correla la percentuale delle vie aeree che contengono follicoli linfoidi con la parete delle vie aeree. Da voce bibliografica n. 53 MOD. L’ultima sede che deve essere analizzata è il parenchima polmonare, principalmente caratterizzato dalla distruzione dei setti alveolari, tipica dell’enfisema. È definito come distruzione e allargamento degli spazi aerei distali al bronchiolo terminale in assenza di evidenti segni di fibrosi54. Nei fumatori sono descritti due tipi di enfisema: enfisema centroacinare (o centrolobulare), caratterizzato da aree di distruzione intorno ai bronchioli terminali nella zona centrale dell’acino e circondate 63 da aree di parenchima normale e enfisema paracinare (o panlobulare), caratterizzato dalla distruzione omogenea di tutto l’acino55. Quest’ultima forma si ritrova solitamente nei soggetti giovani affetti da deficit genetico di α-1 antitripsina ed è aggravato dal fumo di sigaretta, mentre l’altra forma tipicamente caratterizza i fumatori. Fig. 18 Immagini al microscopio ottico: A) polmone normale; B) polmone di un soggetto con enfisema centroacinare; C) polmone di un soggetto con enfisema panacinare. Da voce bibliografica n. 55 MOD. Le alterazioni funzionali tipiche dell’enfisema possono però avere basi fisiopatologiche diverse; nei fumatori con enfisema centroacinare forse prevale l’infiammazione delle vie aeree periferiche che causa l’aumento delle resistenze, mentre nell’altra categoria di soggetti l’alterazione predominante è la perdita di forza di retrazione elastica causata dalla 64 distruzione parenchimale. Ancora una volta gli attori della distruzione dei setti alveolari sono prevalentemente i linfociti TCD8+ e le cellule infiammatorie riscontrate nei setti alveolari. Da un punto di vista strettamente microscopico nei polmoni enfisematosi è comune il riscontro di alveoli esageratamente ampi e separati da sottili setti, i pori di Khon sono notevolmente dilatati; si può osservare riduzione anche una riduzione degli alveoli addossati alle pareti esterne delle vie aeree di calibro minore. Con la progressione della malattia ci sono spazi aerei abnormemente allargati e anche vescicole o bolle; la distruzione enfisematosa può divenire talmente importante da comprimere e deformare i bronchioli respiratori e i vasi polmonari50 . 65 1.5. Fisiopatologia E’ ragionevole pensare che le modificazioni sopra ricordate portando a precoci alterazioni della morfologia delle vie aeree, determinino importanti conseguenze funzionali, quali l’ostruzione al flusso aereo non completamente reversibile, l’iperinflazione polmonare, le anomalie degli scambi gassosi ed eventualmente l’ipertensione polmonare e il cuore polmonare56. Questi fenomeni sono citati in ordine crescente di gravità poiché si sviluppano progressivamente nel tempo, man mano che il paziente attraversa i vari stadi di malattia. Il fattore strutturale più evidente che determina l’ostruzione al flusso aereo è la diminuzione della forza di retrazione elastica che deriva dalla riduzione del numero di attacchi alveolari alla parete esterna delle vie aeree periferiche. Esiste, infatti, una stretta continuità anatomica tra la parete bronchiolare, le fibre dei setti alveolari e il connettivo della pleura viscerale, che permette la trasmissione delle variazioni di pressione pleurica a tutte le strutture adiacenti e la loro espansione consensuale. Inoltre la riduzione della trazione elastica facilita il fenomeno della “compressione dinamica” delle piccole vie aeree, cioè di quelle con diametro < 2mm e prive di sostegno cartilagineo. In condizioni di espirazione normale la pressione alveolare (Pa) che determina il flusso di aria in uscita dall’alveolo è data dalla somma della retrazione elastica e della pressione endopleurica (Pe). 66 A causa della resistenza al flusso d’aria si osserverà una caduta di pressione lungo le vie aeree. Nell’espirazione forzata la Pe diventa positiva, con conseguente aumento della Pa e quindi del flusso espiratorio. C’è un punto tra gli alveoli e la bocca, in cui la pressione delle vie aeree è uguale alla Pe, cioè il punto di ugual pressione, oltre il quale la Pe è maggiore della pressione delle vie aeree, che sono quindi compresse dinamicamente57. Fig. 19 Modello monalveolare di polmone in fase espiratoria forzata. Plp=Pressione pleurica (cm H2O); EPP=Punto di ugual pressione. Da voce bibliografica n.57 MOD. Se il soggetto compie sforzi espiratori molto grandi, la Pe cresce molto durante l’espirazione, facendo così spostare il punto di ugual pressione verso le zone più profonde del polmone, perchè la resistenza delle vie aeree aumenta con il diminuire del volume del polmone e dunque la pressione all’interno delle vie aeree stesse cade più rapidamente in 67 rapporto alla distanza dagli alveoli. Si verifica così la chiusura precoce di alcuni bronchioli in fase espiratoria e l’intrappolamento dell’aria espirata a valle di queste vie aeree chiuse, contribuendo all’aumento del volume residuo. L’ostruzione al flusso fa si che i flussi espiratori in condizioni di riposo siano già massimali e non siano modificabili dall’attività dei muscoli espiratori, determinando la condizione funzionale della limitazione del flusso espiratorio (EFL). Questo tipo di limitazione di flusso, nei soggetti normali, si osserva solo durante l’espirazione forzata, mentre in corso di enfisema grave si presenterà già durante la normale espirazione. In questa fase il solo modo per incrementare i flussi espiratori è cercare di aumentare la pressione di retrazione elastica del polmone, respirando a volumi più elevati. I pazienti che hanno ostruzione e limitazione al flusso, respirando già a livelli massimali, non possono aumentare i flussi inspiratori e espiratori poiché c’è un incremento della capacità funzionale residua (CFR) con riduzione della capacità inspiratoria (CI). (CI = CPT – CFR) 68 Fig. 20 L’aumento stabile della CFR al di sopra della norma viene definito “iperinflazione polmonare” e si verifica ogni volta che la durata dell’espirazione sia insufficiente a consentire l’efficace svuotamento dei polmoni, prima della successiva inspirazione. La perdita della forza di retrazione elastica sposta il punto di equilibrio elastico del polmone (cioè il punto dove la forza di retrazione elastica del polmone è controbilanciata esattamente dalla forza di espansione della parete toracica) dal normale 35% della capacità vitale verso il punto di equilibrio elastico della parete toracica (55% della capacità vitale)56. A 69 causa dell’eccessiva riduzione del flusso espiratorio, questo nuovo punto di equilibrio non viene raggiunto nel tempo disponibile per un’espirazione corrente e così un nuovo sforzo inspiratorio sopraggiunge prima che l’espirazione sia completata. Il volume che rimane nei polmoni per questo meccanismo varia in maniera dinamica e proporzionale all’entità dell’ostruzione, alla compliance del polmone, alla frequenza respiratoria e alla quantità di volume inspirato. Si genera in tal modo una pressione alveolare positiva alla fine dell’espirazione, nota come PEEPi ( intrinsic Positive end-expiratory Pressure), che può essere assunta come “soglia inspiratoria”: il flusso inspiratorio può iniziare solo quando la pressione sviluppata dai muscoli inspiratori controbilancia e supera la PEEPi 58 . L’iperinflazione, in fase iniziale, contribuisce a compensare l’ostruzione bronchiale: mantiene il flusso espiratorio massimale durante il respiro tranquillo, perché con l’aumento del volume polmonare c’è un lieve incremento della pressione di ritorno elastico, le vie aeree si distendono e le resistenze si riducono. Tuttavia la cupola diaframmatica subisce un appiattimento con conseguenze negative. Diminuendo la zona di apposizione tra diaframma e parete addominale, la pressione positiva addominale inspiratoria non può essere applicata efficacemente alla parete toracica, ostacolando così l’inspirazione. Inoltre secondo la legge di Laplace (P = 2T/r con 70 P=pressione, T=tensione, r=raggio) le fibre appiattite del diaframma dovranno generare una tensione maggiore necessaria per sviluppare la pressione trans-polmonare richiesta per mantenere il respiro corrente; tali fibre muscolari sono quindi meno efficienti. Tutto ciò contribuisce a un aumento del lavoro respiratorio totale. Nel polmone normale il lavoro espiratorio richiesto per superare la resistenza offerta dalle vie aeree viene compiuto sfruttando l’energia immagazzinata nelle strutture elastiche che si sono espanse durante l’inspirazione. Fig. 21 Diagramma Volume-Pressione del sistema respiratorio che mostra l’aumento del lavoro elastico provocato dall’iperinsufflazione dinamica. A: lavoro elastico normale; B: lavoro elastico che inizia a volume maggiore di Vr ; CV: capacità vitale. Da voce bibliografica n. 58 MOD. 71 La curva pressione-volume del polmone affetto da BPCO mostra che il lavoro totale è aumentato in virtù della diminuzione della forza di retrazione elastica e dell’aumento delle resistenze delle vie aeree. I fenomeni finora trattati si valutano tramite l’analisi della curva flussovolume e dell’intero esame spirometrico in condizioni di respiro corrente e durante la respirazione massimale. I classici parametri oggetto di valutazione sono il flusso espiratorio massimo al primo secondo (FEV₁), la capacità vitale forzata (FVC) e il rapporto tra FEV1 e FVC, cioè l’Indice di Tiffenau. 72 Fig. 22 Esame spirometrico di un soggetto con deficit disventilatorio di natura ostruttiva di grave entità. ( Mod da Azienda Ospedaliera “S.Maria”Terni; S.C. Mal App Resp. ) Il processo infiammatorio, l’essudato bronchiale e il rimodellamento delle vie aeree correlano con la riduzione del FEV1 e dell’indice di Tiffenau. Proprio su questa base le linee guida GOLD propongono una suddivisione della malattia in quattro stadi crescenti di gravità, definiti dall’indice di Tiffenau < 70% e da un progressivo decremento dei valori del FEV11 . 73 Fig. 23 Classificazione di gravità della BPCO secondo le linee guida GOLD 2008. Da voce bibliografica n 1. MOD. Nella BPCO grave l’ostruzione delle vie aeree periferiche, la distruzione del parenchima e le alterazioni strutturali dei vasi polmonari causano anomalie degli scambi gassosi: inizialmente si manifesta ipossiemia e solo nelle fasi finali si potrà avere ipercapnia. Queste condizioni possono essere valutate con l’emogasanalisi del sangue arterioso o in alternativa, ma solo per quanto riguarda l’ossigenazione, tramite la misura non invasiva della saturazione dell’emoglobina per l’ossigeno (SatHbO2%) poiché la riduzione della pressione parziale dell’ossigeno nel plasma (PaO2) comporta una riduzione della SatHbO2%. Generalmente l’ipossiemia si manifesta prima solo durante lo sforzo fisico poi compare 74 anche a riposo. Il principale meccanismo che sta alla base dell’ipossiemia è l’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione (V/Q), dovuto a: a) Ridotta ventilazione a causa dell’infiammazione delle vie aeree e della distruzione delle pareti alveolari b) Ridotta perfusione per la distruzione del letto vascolare distribuito nei setti alveolari c) Disomogeneità di queste anomalie In queste regioni anatomicamente alterate si verifica una riduzione della superficie disponibile per la diffusione dei gas, dimostrata dalla riduzione della capacità di diffusione del monossido di carbonio per litro di volume alveolare (DLCO/VA). Una bassa DLCO ben correla con la gravità dell’enfisema, valutata con la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) e, insieme al FEV1 ridotto, costituisce un fattore predittivo di cattive condizioni respiratorie. Infine la ritenzione alveolare di anidride carbonica e la conseguente ipercapnia in fase cronica riflette la disfunzione della muscolatura respiratoria unitamente a un grado severo di ipoventilazione alveolare. Nelle fasi più avanzate della BPCO l’ipertensione polmonare, quando presente, è la più importante alterazione fisiopatologica ed è un fattore prognostico negativo predisponendo allo sviluppo di insufficienza 75 cardiaca destra. In condizioni fisiologiche la pressione media nell’arteria polmonare (PAP) è pari a 14±3mmHg; l’ipertensione polmonare è definita da una PAP media superiore a 20mmHg a riposo (PAP sistolica > 25mmHg, PAP diastolica > 15mmHg)56. I fattori causali sono riconducibili alla vasocostrizione ipossica, meccanismo per cui il flusso sanguigno viene dirottato preferenzialmente verso le aree meglio ventilate, al rimodellamento delle arterie polmonari che coinvolge l’iperplasia dell’intima e l’ipertrofia della muscolatura liscia dei vasi, che contribuiscono al restringimento del lume vasale, alla distruzione del letto capillare polmonare. Dopo anni di malattia il paziente può andare incontro allo sviluppo di cuore polmonare cronico che viene definito come ipertrofia del ventricolo destro, dovuta a malattie che colpiscono la struttura o la funzionalità polmonare, escludendo le alterazioni polmonari secondarie a malattie che colpiscono invece il cuore sinistro. 76 1.6. La BPCO nel suo complesso: diagnosi e trattamento L’approccio più efficace e completo alla broncopneumopatia cronica ostruttiva include quattro parti, come dettato dalle linee guida GOLD: Diagnosi e monitoraggio della malattia Riduzione dei fattori di rischio Trattamento della BPCO in fase stabile Trattamento delle riacutizzazioni DIAGNOSI E QUADRO CLINICO La presenza di BPCO deve essere sospettata in ogni soggetto che presenti tosse, espettorato o dispnea, soprattutto in presenza di anamnesi positiva per tabagismo o esposizione lavorativa a polveri e gas nocivi . La diagnosi è confermata dalle evidenze spirometriche: presenza di FEV1<80% del teorico e FEV1/FVC<70% dopo bronco-dilatazione effettuata con somministrazione di 400 µgr di salbutamolo1. Il colloquio con il paziente deve indagare la possibile esposizione al fumo di sigaretta, alle sostanze professionali, alle polveri e all’inquinamento indoor e outdoor; deve inoltre indagare la storia medica del paziente evidenziando l’eventuale presenza di asma, allergie, sinusite, polipi nasali, infezioni respiratorie sviluppatesi durante l’infanzia o in età adulta, altre malattie dell’apparato respiratorio, una 77 storia familiare positiva per BPCO. E’necessario anche interrogare il paziente sui sintomi di presentazione della malattia, cioè tosse, espettorato e dispnea, chiedendo da quanto tempo essi siano presenti e con quale frequenza si ripetano, è importante quindi cercare di identificare il numero di riacutizzazioni di malattia negli ultimi anni e nell’anno corrente o quali e quanti siano stati i precedenti ricoveri in ospedale per disturbi respiratori. Ricordando il coinvolgimento sistemico della malattia è opportuno valutare la presenza di altre comorbidità, come lo scompenso cardiaco, l’osteoporosi, i disordini muscoloscheletrici, le patologie gastrointestinali, le neoplasie. L’ultima fase prevede la valutazione del trattamento farmacologico in atto sia per i sintomi respiratori sia per altre patologie concomitanti e l’esame dell’impatto della malattia sulla qualità della vita del paziente. E’ fondamentale infatti conoscere se e in che modo le attività quotidiane siano state limitate, includendo l’attività lavorativa fino alla capacità di vita autonoma e quindi sapere se il paziente ha bisogno di assistenza familiare e sociale. E’ stato già detto che i sintomi principali sono la dispnea, l’espettorato e la tosse. In stadio 1 GOLD la tosse e l’espettorato cronico possono essere presenti da molti anni senza aver determinato la limitazione al flusso aereo e per questo motivo sono spesso ignorati e sottostimati o 78 considerati una necessaria conseguenza del fumo di sigaretta, dell’età o delle scadenti condizioni di salute. Con il progredire della malattia in stadio 2 GOLD i pazienti spesso ricorrono al medico perché iniziano ad avvertire la sensazione spiacevole di dispnea che può interferire con le loro attività giornaliere. Quando questi sintomi diventano persistenti e si aggiunge la perdita di peso, l’ipossiemia arteriosa e i sintomi di cuore polmonare, l’ostruzione al flusso aereo si è aggravata e il paziente entra nello stadio 3 GOLD. Infine lo stadio 4 GOLD è caratterizzato da tosse, espettorato, dispnea e limitazione al flusso aereo molto grave. La tosse cronica è spesso il primo sintomo che riferiscono i pazienti, inizialmente intermittente poi quotidiana; è accompagnata da espettorato, la cui qualità e quantità può variare da soggetto a soggetto. La produzione regolare di espettorato per tre o più mesi, per due anni consecutivi, in assenza di ogni altra condizione che la possa spiegare, integra la definizione epidemiologica di bronchite cronica, ma poco si adatta alle caratteristiche della BPCO poiché è difficile dare una valutazione in questi termini. Il carattere purulento può indicare un aumentato rilascio di mediatori infiammatori e deve essere valutato con attenzione nel sospetto di una riacutizzazione di malattia. E’ tuttavia importante sottolineare che anche in assenza di tosse e espettorato il 79 paziente può presentare una limitazione al flusso aereo; questo fatto enfatizza l’importanza della spirometria ai fini diagnostici. La dispnea, riferita come senso di difficoltà a respirare, fame d’aria, soffocamento, è uno dei sintomi caratteristici della BPCO. Essa costituisce spesso motivo di agitazione e quindi di richiesta di visite mediche perché determina intolleranza allo sforzo fisico fino alla disabilità e alla mancanza di autosufficienza. Essa si instaura lentamente nel corso del tempo, ma è inesorabilmente progressiva; in fase iniziale è avvertita solo sotto sforzo, ad esempio camminando velocemente, salendo le scale o correndo e quindi il paziente facilmente riesce controllarla aggiustando il proprio comportamento. I pazienti riferiscono ad esempio che non riescono a camminare alla stessa velocità di altre persone della stessa età, non per problemi muscolari o articolari, ma per difficoltà respiratorie. Tuttavia man mano che la funzionalità polmonare si deteriora e l’ostruzione al flusso aereo si aggrava, la dispnea diventa costante ed interferisce con le normali attività quotidiane, come vestirsi, lavarsi. Alla fine la dispnea insorge anche a riposo e costringe il paziente a casa. Un semplice modo per quantificare l’impatto della dispnea sullo stato di salute del paziente è il questionario redatto dal British Medical Research Council (MRC)1. 80 Oltre alla citata triade sintomatologica, i pazienti affetti da BPCO possono presentare respiro sibilante e senso di costrizione toracica, tipici degli stadi 3 e 4 GOLD; la loro assenza comunque non esclude la malattia. Il coinvolgimento sistemico giustifica la possibilità della perdita di peso, dell’anoressia, dei disordini muscolo-scheletrici che insorgono tipicamente nelle fasi avanzate e sono dei fattori prognostici negativi. Non raro è un interessamento psichiatrico che comporta i sintomi della depressione e dell’ansietà, i quali aggravano ulteriormente lo scenario clinico. La fase successiva della diagnosi prevede l’esame obiettivo, con i quattro classici momenti semeiologici. I segni più comuni riscontrabili all’ispezione sono: Alterazioni della cassa toracica, quali l’andamento orizzontale delle coste, la protrusione dell’addome e il cosiddetto “torace a botte”, che riflettono l’iperinflazione polmonare; Reclutamento dei muscoli respiratori accessori, quali gli scaleni e gli sternocleidomastoidei che si mostrano ipertrofizzati; Aumento della frequenza respiratoria, spesso maggiore di 20 atti/minuto, respiro superficiale e frequentemente a labbra socchiuse, tipico dei pazienti enfisematosi. Ciò serve a rallentare il 81 flusso espiratorio e a contrastare il fenomeno della compressione dinamica delle vie aeree; Edemi declivi, indici di scompenso cardiaco destro; Cianosi. Il fenomeno dell’iperinflazione polmonare può determinare difficoltà alla palpazione dell’itto della punta a livello cardiaco e una dislocazione del fegato verso il basso che, sebbene non sia ingrandito, può essere palpabile. Infine l’auscultazione del torace dei pazienti con BPCO rivela usualmente una riduzione del murmure vescicolare, anche se non è sufficiente per porre diagnosi. Si può apprezzare la presenza del respiro sibilante durante la respirazione tranquilla che può essere indicativo di limitazione al flusso aereo e crepitii inspiratori. A livello cardiaco i toni sono meglio udibili sull’area xifoidea. La diagnosi di BPCO si basa, oltre che sull’accuratezza dell’anamnesi e dell’esame clinico, sulla spirometria: si tratta dell’esame più standardizzato e riproducibile che sia disponibile per la misurazione della limitazione al flusso aereo. L’Indice di Tiffenau da solo è la misura più sensibile della limitazione funzionale e il suo valore inferiore al 70%, dopo bronco-dilatazione effettuata con 400µg di salbutamolo per via inalatoria, è considerato diagnostico anche in presenza di FEV1 normale, cioè maggiore all’ 80% del predetto1. 82 Poiché i pazienti affetti da BPCO non presentano solo alterazioni respiratorie, anche un indice noto con l’acronimo BODE rientra nella valutazione clinica (B: Body-Mass-Index; O: Obstruction; D: Dyspnea; E: Exercise Capacity); esso tiene conto del peso corporeo, della broncostruzione, della dispnea e della limitazione dell’attività fisica1. L’iter diagnostico include inoltre le prove di reversibilità con farmaci broncodilatatori, finalizzate ad escludere la diagnosi di asma bronchiale, stimare la prognosi del paziente e valutare la potenziale risposta al trattamento. Le tecniche di imaging rivestono un ruolo fondamentale nella diagnosi differenziale con altre malattie respiratorie quali la tubercolosi, la bronchiolite obliterante, la panbronchiolite diffusa; ognuna di queste patologie ha un pattern radiologico specifico. La radiografia del torace nella duplice proiezione postero-anteriore (PA) e latero-laterale (LL) risulta di scarso ausilio nella bronchite cronica; essa consente in alcuni casi di apprezzare unicamente strutture radiopache a binario, ad anello, che riflettono l’ispessimento delle pareti bronchiali, il “peribronchial cuffing”: si tratta di variabilità interosservatore51. 83 reperti aspecifici con ampia Fig. 24 A: Radiografia del torace in proiezione P-A, accentuazione della trama vascolobronchiale con peribronchial cuffing; B-C: Fenomeno confermato alla HRTC. Da nota bibliografica n. 51 MOD. Fig. 25 HRCT del torace, piano assiale. Presenza di areole ipodense a disposizione centrolobulare nei lobi superiori, ispessimento della parete bronchiale: segni concordanti con diagnosi di enfisema centrolobulare. Da nota bibliografica n. 51 MOD . Le immagini ottenute con la tomografia computerizzata ad alta risoluzione (HRCT) possono mostrare ispessimento delle pareti bronchiali e segni di “air trapping”. 84 Queste evidenze radiologiche comunque devono essere supportate da un adeguato esame clinico e spirometrico per fornire la diagnosi. La radiografia del torace può tuttavia essere orientativa verso la diagnosi di BPCO fornendo segni indiretti di enfisema polmonare. La semeiotica radiografica si basa sul riscontro di quattro punti fondamentali51: 1) L’iperinflazione, testimoniata dal diaframma abbassato e piatto, dall’ipertrasparenza retro-sternale e dall’orizzontalizzazione delle coste; 2) L’alterata vascolarizzazione dei campi polmonari: nell’enfisema panlobulare il reperto tipico è la riduzione della perfusione polmonare di grado più o meno severo, maggiormente nei lobi inferiori “Arterial Deficiency” e il suo incremento nei vasi dei lobi superiori “Marker Vessels”. Nell’enfisema centrolobulare si riscontra l’accentuazione della trama vascolare, secondaria a processi infiammatori ricorrenti “Increased Markings” prevalentemente nei lobi inferiori e nel medio torace, dove predominano i processi infiammatori infettivi; 3) L’alterata immagine cardiaca: nell’enfisema panlobulare si evidenzia l’immagine cardiaca allungata e ristretta per l’abbassamento degli emidiaframmi che rendono il cuore come appeso al peduncolo vascolare, per la 85 persistente ipossiemia che limita l’ipertrofia cardiaca e infine per la presenza di parenchima enfisematoso che si sovrappone anteriormente alla “silhouette” cardiaca, il tipico “cuore a goccia”; nell’enfisema centrolobulare,invece, il reperto tipico è l’ingrandimento cardiaco di tipo destro, caratterizzato dall’ accentuazione del secondo arco di destra, dallo spostamento della punta verso l’alto e lateralmente,dalla rettilineizzazione del secondo arco di sinistra. Infine si può notare la sporgenza del tronco polmonare. 4) La presenza di “bolle”, cioè aree avascolari di intrappolamento aereo con attenuazione fino all’assenza del disegno polmonare per distruzione tissutale. La HRCT consente di superare i limiti della radiologia tradizionale, fornendo una valutazione ampia di sede ed estensione delle anomalie associate all’ostruzione cronica del flusso aereo. Mostra aree di intrappolamento aereo, aree di flogosi bronchiale, aree di attenuazione fino all’assenza del disegno polmonare visibili come regioni ipodense; possono riscontrarsi anche sottili setti limitanti corrispondenti a processi fibrotici secondari alla flogosi bronchiale. E’ possibile distinguere le forme di BPCO in cui predomina l’enfisema con progressiva e rapida attenuazione della trama polmonare in direzione periferica, non 86 suscettibili di significativi miglioramenti con la terapia farmacologica, dalle forme in cui prevale l’infiammazione e l’ostruzione bronchiale reversibile che, anche se associati a fenomeni di rimodellamento, si giovano dei presidi terapeutici usuali. Nei pazienti con BPCO gravi in stadio avanzato la misurazione dei gas nel sangue arterioso è di fondamentale importanza tanto che dovrebbe essere eseguita in tutti i pazienti con FEV1<50% o con segni clinici suggestivi di insufficienza respiratoria o scompenso cardiaco destro1 . Solo in pazienti selezionati, cioè nei soggetti che hanno sviluppato la BPCO in età giovanile (età < 45 anni), soprattutto se non fumatori o con anamnesi familiare positiva per questa malattia, è razionale il dosaggio della concentrazione ematica dell’ α-1 AT e l’eventuale analisi genetica1. Nel corso di questa trattazione è stato più volte ribadito il carattere evolutivo e progressivo della BPCO e la possibilità, in alcuni pazienti, di sviluppare insufficienza respiratoria e cuore polmonare cronico. Un efficace follow-up della malattia può essere effettuato tramite le prove di funzionalità respiratoria, la misurazione dei gas ematici, la valutazione dell’emodinamica polmonare. E’ utile inoltre il monitoraggio dello scompenso cardiaco destro e del cuore polmonare (sono d’ausilio la radiografia del torace, l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma). La HRTC del torace e la valutazione dei muscoli respiratori (viene eseguita 87 attraverso la misura della pressione massima di inspirazione e la pressione massima di espirazione alla bocca) costituiscono elementi utili alla migliore definizione della malattia. La polisonnografia notturna è indicata quando si sospetta la sindrome delle apnee ostruttive del sonno o quando l’ipossiemia o lo scompenso cardiaco destro si sviluppano in presenza di una lieve limitazione al flusso aereo. Infine dovrebbero essere eseguite le prove da sforzo per ottenere una stima della tolleranza all’esercizio fisico. Il monitoraggio della salute di ogni individuo deve comprendere l’identificazione, la riduzione e il controllo dei fattori di rischio, altrimenti nessun trattamento farmacologico può risultare vantaggioso. Per i malati di BPCO, come è stato già affrontato in questa trattazione, i maggiori fattori di rischio che devono essere valutati sono il fumo di tabacco, le esposizioni professionali e l’inquinamento indoor e outdoor. E’ ormai accertato da anni che nelle società industrializzate il fumo di sigaretta è il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di BPCO e la cessazione di questa abitudine è l’unico intervento efficace per rallentare il declino della funzionalità respiratoria. Già trent’anni fa Fletchter e coll. dimostrarono che il declino annuo del FEV₁ è maggiore nei fumatori rispetto ai non fumatori, smettendo si riacquista un 88 rallentamento fino a raggiungere un comportamento simile a quello dei non fumatori59. Fig. 26 Declino della funzionalità respiratoria nei soggetti fumatori e non fumatori. Da voce bibliografica n. 58 MOD. Uno studio chiamato Lung Health Study (LHS), condotto per undici anni su una popolazione composta di soggetti fumatori regolari, soggetti che avevano smesso di fumare da molto tempo e soggetti che avevano smesso solo per un breve periodo di tempo, ha dimostrato un declino del FEV1 pari al 66,1 ml/anno negli uomini che continuavano a fumare, rispetto ad un declino di 30,2 ml/anno nei soggetti che avevano smesso di fumare all’inizio dello studio. Inoltre i pazienti che hanno preso parte al LHS sono sottoposti a follow-up regolare e i benefici della cessazione dell’abitudine al fumo di sigaretta sono notevoli. Dopo 14,5 anni di 89 monitoraggio la mortalità per cause cardiovascolari, cancro, malattie respiratorie nei soggetti che hanno smesso di fumare era del 6,04/1000 pazienti all’anno rispetto all’ 11,09/1000 pazienti all’anno che si registrava nei fumatori60. La certezza del ruolo nocivo del fumo di tabacco incentiva continuamente la realizzazione e la diffusione di programmi per la dissuasione dal tabagismo. Nel 1996 L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha promosso una convenzione internazionale per combattere il fumo di sigaretta e prevenire le malattie e le morti da esso causate. In questi ultimi anni i governi nazionali sono stati artefici di importanti azioni legislative contro il tabagismo: ricordiamo il divieto di fumare nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nei locali pubblici. I programmi di prevenzione dovrebbero essere rivolti a tutte le età includendo adolescenti, giovani, adulti, donne in gravidanza. Infatti, la prima esposizione al fumo di sigaretta inizia proprio in utero quando il feto è esposto ai metaboliti provenienti dal sangue materno. Gli effetti sono assai dannosi per la salute del nascituro: c’è il rischio del basso peso alla nascita e di malattie respiratorie già in tenera età. Inoltre i bambini al di sotto dei due anni che sono esposti al fumo passivo hanno un rischio aumentato di contrarre infezioni respiratorie e sviluppare patologie ostruttive. 90 Insieme alle politiche di prevenzione sono altrettanto importanti i programmi educazionali e i trattamenti farmacologici per la cessazione dell’abitudine al fumo di sigaretta. Essi sono utili in entrambi i generi, in tutti i gruppi etnici e anche nelle donne in gravidanza; tuttavia i giovani sono meno disposti a smettere di fumare, forse perché la maggior parte di essi ignora l’importanza degli anni in cui si è esposti al fumo di tabacco. Le linee guide promosse dal GOLD 2008 raccomandano la strategia delle 5A per aiutare il paziente di smettere di fumare. Oltre al fumo di sigaretta le esposizioni professionali a particelle, fumi e gas sono al centro della politica di prevenzione della BPCO. E’ stato stimato che negli USA più del 19% di fumatori malati di BPCO e più del 30% dei non fumatori affetti da BPCO sono stati esposti a questi fattori di rischio1 . E’ fondamentale quindi sia la prevenzione primaria, basata sulla riduzione del carico degli agenti nocivi presenti nell’ambiente di lavoro, sia la prevenzione secondaria svolta tramite la sorveglianza epidemiologica e l’identificazione precoce dei casi di malattia. Infine le campagne di prevenzione devono prevedere la riduzione dell’inquinamento indoor e outdoor attraverso programmi pubblici e dispositivi di protezione individuale. Gli enti nazionali e sovranazionali dovrebbero impegnarsi nel mantenimento del livello di qualità dell’aria, riducendo le emissioni nocive delle industrie e dei veicoli. 91 La gestione della BPCO in fase stabile avviene per gradi e implica che l’intensità del trattamento sia proporzionale alla gravità della malattia. Gli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti sono 1: Prevenire la progressione dei sintomi Controllare i sintomi Migliorare la tolleranza allo sforzo Prevenire e trattare le complicanze Prevenire e trattare le riacutizzazioni Ridurre la mortalità Inoltre qualsiasi intervento deve essere adattato al livello culturale del paziente ed alla sua compliance. Il programma terapeutico prevede un approccio su tre fronti: educazionale, farmacologico, non farmacologico. L’educazione sanitaria del paziente affetto da BPCO, basata sulla comprensione della natura della malattia, dei fattori di rischio, del proprio ruolo e di quello degli operatori sanitari, può migliorare la gestione della malattia. Sembra infatti aumentare la compliance del paziente, intesa come adesione al trattamento farmacologico, ai programmi di cessazione del fumo di sigaretta, di riabilitazione respiratoria, all’uso dei nebulizzatori e degli erogatori di ossigeno. 92 Il trattamento farmacologico ha lo scopo di migliorare i sintomi, prevenire le riacutizzazioni e migliorare la qualità di vita, ma non è in grado di modificare la progressione della malattia. L’unico presidio che può rallentare il progressivo declino della funzionalità respiratoria è la lotta la tabagismo. Il principio basilare del trattamento farmacologico è incluso nella definizione fornita dalle linee guida GOLD 2008, secondo cui la BPCO è una malattia cronica e progressiva. In base a ciò il trattamento dovrebbe aumentare in base alla gravità della malattia; deve essere regolare e mantenuto per lungo periodo; deve essere monitorato ed adattato ad ogni individuo. Sinteticamente si riportano le classi farmacologiche usate nei diversi stadi di malattia1: Broncodilatatori (β₂ agonisti, anticolinergici, metilxantine) I farmaci broncodilatatori sono i farmaci principali nel trattamento della BPCO; sebbene essi non siano capaci di modificare il declino della funzionalità respiratoria, essi sono i più utilizzati sia al bisogno sia in modo più regolare per prevenire i sintomi. Sono inoltre in grado di migliorare la tolleranza allo sforzo senza variare sostanzialmente il FEV1. Vengono somministrati preferenzialmente per via inalatoria, così da ridurre gli effetti collaterali; è tuttavia necessario insegnare al paziente ad usare 93 correttamente l’inalatore , mantenendo la giusta distanza dalla bocca e coordinando i movimenti. La scelta tra le diverse categorie farmacologiche è dettata sia dalla disponibilità del farmaco sia dalla risposta del paziente al trattamento; comunque i β₂ agonisti a lunga durata d’azione sono considerati molto efficaci nel miglioramento dello stato generale di salute. In alcuni casi può risultare utile associare farmaci broncodilatatori appartenenti a diverse categorie piuttosto che aumentare la dose di un singolo farmaco. I β₂ agonisti agiscono stimolando i recettori β₂adrenergici con aumento dell’AMPciclico e in tal modo determinano il rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale. Viene preferita la somministrazione per via inalatoria per evitare gli effetti collaterali e per avere una azione più veloce. La broncodilatazione che si raggiunge con i farmaci a breve durata d’azione dura 4-6 ore, mentre con quelli a lunga durata d’azione l’effetto persiste per almeno 12 ore. Sono riportati alcuni effetti collaterali che ne limitano la prescrizione soprattutto nei pazienti più anziani: tachicardia, tremori, ipokaliemia se viene associato anche il trattamento con i diuretici tiazidici. 94 Gli anticolinergici efficaci nella BPCO agiscono bloccando gli effetti del legame dell’acetilcolina sui recettori muscarinici M2; solo il tiotropio, un anticolinergico a lunga durata d’azione, ha una selettività per i recettori M1 e M3. Sono somministrati per via inalatoria e l’effetto dura più di 8 ore, il tiotropio dura 24 ore. L’assorbimento di questi farmaci è basso e ciò influenza anche la buona tollerabilità da parte dei pazienti: non sono riportati in letteratura effetti avversi degni di nota e supportati da evidenze scientifiche. Soltanto l’assunzione del farmaco tramite la maschera facciale può aggravare i casi di glaucoma , forse per l’effetto diretto del medicinale sull’occhio. Il meccanismo d’azione delle metilxantine non è molto chiaro: potrebbero agire come inibitori selettivi delle fosfodiesterasi, ma è stato studiato anche il loro ruolo come broncodilatatori. L’efficacia della teofillina nel trattamento della BPCO è limitato alle preparazioni a lento rilascio e un basso dosaggio può ridurre le riacutizzazioni. Tuttavia rimane un farmaco di seconda scelta rispetto ai broncodilatatori per via inalatoria, a causa della spiccata tossicità; può infatti indurre aritmie atriali e ventricolari anche fatali, attacchi epilettici tipo “grande male”, cefalea, insonnia, nausea e epigastralgia. Inoltre bisogna ricordare che il 95 metabolismo della teofillina, la metilxantina più usata, è influenzato da diverse variabili che ne aumentano o ne diminuiscono la clearance e quindi la possibilità di effetti tossici. Glucocorticoidi per via inalatoria e per via orale Nei pazienti con BPCO i glucocorticoidi inalatori dovrebbero essere utilizzati solo nei pazienti in stadio 3 GOLD e con ripetute riacutizzazioni; alcuni studi dimostrano che l’associazione in un unico inalatore tra questi farmaci e i β₂ agonisti a lunga durata d’azione è più efficace rispetto alle singole somministrazioni. Gli effetti collaterali a lungo termine di questi farmaci sono tuttora oggetto di studio; è stata riportata un’aumentata incidenza di manifestazioni cutanee in una piccola popolazione di pazienti. Uno studio a lungo termine ha dimostrato l’effetto dannoso del Triamcinolone acetonide sulla densità ossea, mentre la stessa relazione non è stata associata alla Budesonide. Esistono quindi poche evidenze scientifiche sugli effetti collaterali in questi pazienti. Il trattamento con steroidi orali va limitato alle riacutizzazioni gravi di BPCO poiché studi recenti dimostrano che un breve ciclo con glucocorticoidi orali sia scarsamente predittivo della risposta a lungo termine ai glococorticoidi per via inalatoria, nonostante 96 alcune linee giuda lo raccomandino. Per quanto riguarda l’uso dei glucocorticoidi a lungo termine non ci sono dati relativi all’efficacia di questo trattamento; al contrario un importante effetto collaterale è la miopatia da steroidi, che contribuisce alla comparsa di debolezza muscolare, alterazioni funzionali e insufficienza respiratoria nei pazienti con BPCO in fase avanzata. Quindi il trattamento a lungo termine con glucocorticoidi non è consigliato. Vaccini I vaccini antinfluenzali costituiscono un presidio importante nei pazienti con BPCO poiché possono ridurre l’incidenza di malattie gravi e la mortalità del 50% circa. Specialmente il vaccino contro lo pneumococco dovrebbe essere somministrato in tutti i pazienti affetti da BPCO di età maggiore a 65 anni, in quanto diminuisce l’incidenza delle polmoniti acquisite in comunità in questi pazienti. L’importanza delle politiche di vaccinazione si evince dal dato certo che la storia naturale della BPCO è caratterizzata da frequenti riacutizzazioni proprio di origine pneumococcica. 97 Terapia sostitutiva con α1-antitripsina Tali farmaci dovrebbero essere riservati ai giovani pazienti con deficit dimostrato dell’enzima, visti i costi elevati e la scarsa disponibilità del medicinale. Antibiotici La terapia antibiotica è limitata al trattamento delle riacutizzazioni batteriche e va evitata invece a scopo profilattico poiché studi hanno dimostrato che l’uso continuo di antibiotici non è efficace nel ridurre la frequenza delle riacutizzazioni. Mucolitici Alcuni pazienti con espettorato viscoso potrebbero beneficiare di questi farmaci soprattutto se non fanno uso di glucocorticoidi inalatori. Tuttavia i benefici sembrano essere irrilevanti tantochè non rientrano nei farmaci consigliati. Antiossidanti I numerosi studi sulla patogenesi di questa malattia hanno dato importanza allo squilibrio tra le sostanze ossidanti e antiossidanti; potrebbe essere perciò giustificata la somministrazione della NAcetilcisteina, quale molecola antiossidante capace di ridurre il numero di riacutizzazioni. Non esistono dati importanti che consolidano questa ipotesi e che ne giustificano un uso routinario. 98 Immunoregolatori Alcuni ricercatori hanno studiato l’effetto di questi farmaci sulla diminuzione delle riacutizzazioni, ma queste ricerche devono essere ancora approfondite. Antitussivi La tosse è sicuramente uno dei sintomi cardine di questa malattia e bisogna ricordare che ha anche un ruolo protettivo, favorendo l’eliminazione dei germi e delle secrezioni; quindi l’uso continuato di farmaci che ne riducono lo stimolo è sconsigliato. Vasodilatatori Numerose evidenze scientifiche considerano l’ipertensione polmonare quale un importante fattore prognostico negativo; perciò tutti quei farmaci che sono in grado di ridurre il post carico del ventricolo destro, di aumentare la gittata cardiaca e di migliorare l’ossigenazione dei tessuti, potrebbero essere inclusi nel trattamento della BPCO, tuttavia i dati disponibili al momento sono deludenti. Stimolanti respiratori Non c’è indicazione al momento. 99 Narcotici Gli oppioidi per via parenterale e per via orale hanno severi effetti avversi sulla respirazione e sono in grado di aggravare l’ipercapnia, quindi dovrebbero essere evitati. Fig. 27 Da voce bibliografica n. 1 MOD. VEMS=FEV1; CVF=FVC Il trattamento non farmacologico è ugualmente importante nella gestione a lungo termine dei malati di BPCO. Comprende la riabilitazione, l’ossigeno terapia, la ventilazione e il trattamento chirurgico. La riabilitazione respiratoria è rivolta soprattutto ai pazienti in stadio 2,3,4 GOLD, aiutandoli a una vita indipendente, produttiva e 100 soddisfacente, evitando l’ulteriore deterioramento clinico. Va quindi al di là dei target del trattamento farmacologico e serve a interrompere quel circolo vizioso che inesorabilmente porta alla morte. Infatti la dispnea, tipica di questi malati, causa immobilità che a sua volta preclude una vita sociale e conduce questi pazienti ad uno stato di depressione, relegandoli chiusi in casa. La riabilitazione respiratoria comprende diversi programmi che vanno adattati ad ogni paziente; in genere devono condurre al miglioramento della tolleranza allo sforzo e della dispnea. Gli elementi chiave di questi programmi sono in primo luogo il training fisico, che viene praticato a livello degli arti inferiori, superiori e dei muscoli respiratori. La fisioterapia respiratoria deve facilitare l’eliminazione delle secrezioni mediante la tecnica dell’espirazione forzata o del drenaggio posturale. Inoltre gli operatori sanitari, ai pazienti con limitazione funzionale lieve, possono insegnare degli esercizi di coordinazione respiratoria, come la respirazione a labbra socchiuse e la respirazione diaframmatica. Il secondo punto riguarda il supporto nutrizionale, poiché sia l’eccessiva magrezza che l’obesità influenzano negativamente la salute del paziente. Circa il 25% dei pazienti con BPCO in stadio 2 GOLD ha una riduzione del BMI ed è soggetta a rischio elevato di morte1. 101 L’ossigeno terapia a lungo termine (> 15 ore/die) è uno dei principali trattamenti non farmacologici nei pazienti che si trovano in stadio 4 ed è considerato l’unico trattamento capace di prolungare la sopravvivenza. Le indicazioni a questo trattamento nei pazienti in stadio 4 sono1: PaO2 ≤ 55 mmHg o SaO2 ≤ 88% con o senza ipercapnia 55mmHg ≤ PaO2 ≤ 60 mmHg o SaO2 ≤ 89% in presenza di ipertensione polmonare o di edemi periferici (segni di scompenso cardiaco destro) o ematocrito > 55% (policitemia) I valori di PaO2 su cui basarsi devono essere considerati quando il paziente è sveglio. Il principale obiettivo è di riportare la PaO2 ad almeno 60 mmHg con una SaO2 almeno del 90%, che dovrebbe preservare la funzionalità degli organi vitali. Alcuni pazienti con insufficienza respiratoria secondaria a BPCO che presentino ipercapnia cronica possono trarre beneficio dall’associazione di ossigeno terapia a lungo termine e ventilazione meccanica non invasiva a pressione positiva (NIPPV). Comunque non ci sono ancora dati convincenti riguardo all’uso di questi presidi. Il trattamento chirurgico può avvalersi della bullectomia, della riduzione dei volumi polmonari o del trapianto polmonare. La bullectomia è il più 102 vecchio trattamento chirurgico riservato ai pazienti con enfisema bolloso che consiste nella rimozione di una grande bolla di tessuto che non contribuisce agli scambi gassosi e nella successiva decompressione del parenchima polmonare circostante. Può essere effettuata però solo dopo attento esame TC del torace, emogasanalisi arteriosa e prove di funzionalità respiratoria. I pazienti che si sottopongono a questo intervento chirurgico non devono presentare una significativa ipossemia e la perfusione deve essere alterata solo nel distretto specifico. La chirurgia di riduzione dei volumi polmonari è una procedura palliativa sperimentale e non può essere raccomandata come trattamento routinario nei pazienti con BPCO. Il razionale comunque è rappresentato dalla riduzione dei volumi polmonari e conseguentemente dall’aumento del ritorno elastico e infine dal miglioramento del flusso espiratorio. Infine in alcuni pazienti selezionati il trapianto del polmone può essere una soluzione per migliorare la qualità di vita e la funzionalità respiratoria. Vanno considerate comunque le complicanze quali il rigetto, la bronchiolite obliterante, l’infezione da citomegalovirus o da altri organismi opportunisti o da batteri. 103 1.7. Le riacutizzazioni di BPCO La storia naturale dei pazienti affetti da BPCO è caratterizzata dalle riacutizzazioni, cioè episodi transitori di peggioramento dei sintomi quali dispnea, e tosse e variazione qualitativa e quantitativa dell’espettorato, tali da richiedere una variazione del trattamento medico1,61. Criteri aggiuntivi sono le modifiche dell’esame obiettivo, la febbre e gli edemi declivi. Le riacutizzazioni sono eventi clinici di notevole importanza poiché determinano un peggioramento dello stato di salute e un aumento della mortalità, a causa del declino rapido della funzionalità respiratoria. Secondo Donaldson e coll. si assiste ad un declino di 40,1 ml/anno del FEV₁ in coloro che hanno frequenti riacutizzazioni rispetto al 32,1 ml/anno in quelli che non ne hanno; allo stesso modo anche i valori del Picco di Flusso Espiratorio (PEF) subiscono un decremento maggiore della categoria in esame62. Sicuramente l’età avanzata è un fattore di rischio importante perché diminuisce le capacità immuno-difensive dell’organismo. La gravità di compromissione dell’apparato respiratorio misurata con il grado di riduzione del FEV₁, l’ipersecrezione mucosa, l’ipercapnia e l’ipossia mettono il paziente a grave rischio di eventi acuti. In particolar modo secondo alcuni studi condotti in Europa, quali ISOLDE (Inalhed Steroids in Obstructive Lung Disease), Copenaghen City Lung Study, European Society Study, il declino del FEV₁, 104 indicativo del livello di broncostruzione correla efficacemente con la frequenza di riacutizzazioni 61. Inoltre nella valutazione di questi pazienti è opportuno ricordare il numero di riacutizzazioni, intese come fattori peggiorativi, avvenute nell’ultimo anno, la presenza giornaliera di tosse ed espettorato, i segni di insufficienza cardiaca destra, la malattia ischemica del cuore e l’ insufficienza renale. La gravità e la frequenza delle riacutizzazioni influenzano la funzionalità respiratoria determinando un aumento della mortalità, come dimostrato da una ricerca condotta da Soler-Cataluna in Spagna, in cui i pazienti più a rischio sono quelli che subiscono tre o più riacutizzazioni nel corso di cinque anni. Essi hanno un tasso di sopravvivenza del 30% a cinque anni rispetto ai pazienti con anamnesi negativa per eventi acuti in cui il tasso di sopravvivenza è pari all’80% in cinque anni. Inoltre coloro che sono stati ricoverati più volte hanno una sopravvivenza a cinque anni pari al 20%63. Secondo l’ARIC study (Aterosclerosis Risk in Communities) i dati variano dal 5,4/1000 persone normali al 42,9 registrato tra i soggetti in stadio GOLD 3 e 4. La più importante causa di morte (più del 35% delle morti) nei pazienti con BPCO riacutizzata è l’insufficienza respiratoria comportando il 47% della mortalità ad un anno e il 49% a due anni. L’impatto socio-economico degli eventi acuti è notevole, basti pensare che il 50% dei costi diretti della BPCO è riferibile alle 105 riacutizzazioni poiché causano l’aumento dell’ospedalizzazione e dei servizi di assistenza1. Parte di questi episodi acuti ha origine ignota. Secondo alcuni potrebbero intervenire dei fattori ambientali quali il fumo, l’interruzione della terapia farmacologica, l’inquinamento atmosferico, le modificazioni termiche, l’embolia polmonare. Sebbene alcuni ricercatori nutrano dei dubbi a riguardo, le infezioni virali e batteriche rivestono un ruolo chiave nella eziopatogenesi delle riacutizzazioni. I principali virus isolati nelle vie aeree durante questi periodi sono: il virus influenzale e parainfluenzale, il virus respiratorio sinciziale (RSV), i picorna- virus e rinovirus64. Recentemente grazie alla tecnica PCR (reazione polimerasica a catena) alcuni studiosi hanno riscontrato che in fase acuta il rinovirus è maggiormente presente nell’espettorato piuttosto che nelle secrezioni nasali, dimostrando che questo microrganismo può colonizzare le vie aeree inferiori ed avere un ruolo attivo nell’evento acuto61. E’ stata dimostrata l’aumentata espressione della molecola di adesione ICAM-1 , il maggiore recettore del rinovirus, proprio durante questi periodi. Il riscontro di concentrazioni aumentate di questa molecola nella BPCO in fase stabile può essere il presupposto per considerare tali soggetti a rischio di sviluppare le infezioni virali. Dai dati presenti in letteratura emerge un ruolo controverso dei batteri nella eziologia delle riacutizzazioni. 106 Attualmente grazie a moderni metodi microbiologici si stima che in circa il 50% degli eventi acuti sono chiamati in causa le infezioni batteriche65. I principali batteri che sono stati isolati dall’espettorato sono Haemophilus Influenzae, Moraxella Catarrhalis e Streptococcus Pneumoniae; nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica assistita si ritrova lo Pseudomonas Aeruginosa ed altri bacilli Gram-. Il meccanismo tramite cui i batteri determinano le riacutizzazioni è stato ben analizzato da Sethi e coll. che propongono un modello patogenetico in cui i fattori chiave sono dell’organismo le caratteristiche ospite. dell’agente Suggeriscono che patogeno nuovi ceppi e quello batterici interagiscono con l’albero tracheo-bronchiale, colonizzando l’epitelio ciliato ed innescando la risposta infiammatoria acuta. Se l’organismo ospite non riesce a mettere in atto una adeguata difesa ci sarà un peggioramento dei sintomi e della funzionalità respiratoria. Le caratteristiche e la gravità degli eventi acuti saranno tanto più gravi quanto maggiore è la compromissione del sistema immunitario. Dalle analisi sull’espettorato hanno poi ipotizzato la possibilità della confezione batteri-virus, un’evenienza molto grave che determinerebbe ospedalizzazioni più lunghe e il declino maggiore del FEV₁. Nel corso di questa trattazione è stato più volte ribadito il concetto secondo cui nelle vie aeree centrali e periferiche e nel parenchima dei 107 pazienti con BPCO in fase stabile si riscontra uno stato infiammatorio cronico, dimostrato dalle analisi istologiche e dalle concentrazioni dei mediatori esaminati. E’ noto che anche le riacutizzazioni sono eventi infiammatori che si sovrappongono al complesso stato infiammatorio interagendovi ed incrementandolo. Numerosi ricercatori hanno studiato le modificazioni delle concentrazioni dei mediatori solubili e delle cellule infiammatorie in fase di riacutizzazione. Saetta e coll. analizzando le biopsie bronchiali e l’espettorato di soggetti in fase acuta confrontati con quelli in fase stabile, ha dimostrato che nei primi c’è una notevole neutrofilia. L’importanza di tale dato si desume dalla correlazione tra la percentuale di neutrofili e la severità della broncostruzione proprio in fase acuta. L’enorme reclutamento dei neutrofili è dimostrato dall’up-regulation di due importanti molecole chemoattrattive: CXCL-5 e CXCL-8 e dei loro recettori52. Inoltre dagli studi di Saetta emerge anche un incremento della popolazione degli eosinofili nella mucosa bronchiale associata all’ attivazione della chemochina RANTES che, secreta ed espressa dalle cellule T, induce il reclutamento degli eosinofili52. Il ruolo di tali cellule in merito alla BPCO deve essere ancora approfondito ma è chiaro che essi siano coinvolti negli effetti dannosi sulla mucosa bronchiale. Il processo infiammatorio acuto è dimostrato dal riscontro di livelli aumentati di 108 TNF-α e IL-8, come emerge dallo studio di Aaron e coll.66 Dalla letteratura scientifica si evince chiaramente il ruolo del TNF-α in fase acuta: ha parte attiva nel reclutamento dei neutrofili ed è implicato nel processo complesso infiammatorio. Perera e Hurst hanno evidenziato l’aumento di IL-6 e IL-8 sull’espettorato di pazienti riacutizzati67. Altre ricerche condotte sull’espettorato hanno riscontrato livelli crescenti di MMP-9 che correla con la neutrofilia tipica della fase acuta. E’ ormai provato che durante le riacutizzazioni di BPCO tutti gli indici di flogosi e anche la maggior parte delle citochine circolanti subiscono un aumento, suggerendo che lo stato infiammatorio non sia confinato solo a livello polmonare ma che ci sia una risposta infiammatoria sistemica. Questa relazione è stata argomento di un importante studio condotta da Perera e Hurst in cui sono approfondite le modificazioni infiammatorie delle vie aeree e del compartimento sistemico in fase acuta 67. Tramite il dosaggio della proteina C Reattiva nel siero (PCR), un classico marker di flogosi, la cui concentrazione rimane costantemente alta nei giorni di ricovero, i ricercatori hanno oltrepassato il concetto dell’infiammazione confinata a livello locale. Il riscontro di elevate concentrazioni di IL-6 e di TNF-α e del suo ricettore solubile (TNF-R75) nel plasma di fumatori affetti da BPCO dimostra proprio il coinvolgimento sistemico 68. In quest’ottica si fa strada l’ipotesi secondo 109 cui la presenza e l’entità della risposta infiammatoria sistemica possa essere un marker del decorso della malattia ed un indicatore della morbilità e della mortalità. Infatti i valori del FEV₁ sono progressivamente diminuiti nei pazienti osservati e ciò potrebbe derivare da una ridotta risposta alla terapia, giustificata proprio dal persistente ed elevato quadro infiammatorio sistemico. Inoltre l’aumento di IL-8 in fase di ospedalizzazione e la sua persistenza anche dopo la terapia riflette la mancata risoluzione dell’infiammazione acuta e potrebbe spiegare la cronicizzazione del processo. Grazie a tutte queste considerazioni emerge che la persistenza dello stato infiammatorio locale e sistemico durante le riacutizzazioni è un fattore prognostico negativo poiché si associa al declino della funzionalità respiratoria e alla mancata risposta alla terapia. Tale fenomeno potrebbe giustificare la presenza delle importanti comorbilità che aggravano lo stato di salute nei malati di BPCO. Si ritiene che gli effetti nocivi del fumo di sigaretta e di altre particelle dannose inalate non si ripercuotano solo sul polmone, ma abbiano anche notevoli effetti sistemici. Tra questi includiamo la cachessia, le anomalie del muscolo scheletrico, l’ipertensione arteriosa, il diabete, la malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca e l’ipertensione polmonare69. 110 Fig. 28 L’infiammazione locale e sistemica sembra avere un ruolo centrale nella patogenesi della BPCO e delle comorbidità associate. Da voce bibliografica n. 69 MOD Per comprendere l’origine dell’ infiammazione sistemica sono stati proposti due meccanismi69. Secondo la prima ipotesi il processo inizierebbe a livello polmonare cioè il sito colpito primariamente dall’inalazione del fumo; in seguito i mediatori infiammatori attivati si riverserebbero nella circolazione sistemica coinvolgendo così i vari organi. Recentemente invece Fabbri e Rabe ipotizzano che l’infiammazione sistemica possa essere il presupposto per lo sviluppo di tutte le patologie citate e non la conseguenza69. La presenza di tali malattie fa pensare che un danno microvascolare cronico possa essere 111 alla base di quella che oggi è definita “sindrome infiammatoria cronica sistemica” come proposto da Fabbri e Rabe70. Il termine “sindrome” definisce l’associazione di caratteristiche cliniche, segni e sintomi che generalmente si presentano insieme e la presenza di uno deve sollecitare il medico alla ricerca degli altri; la parola “infiammatoria” si riferisce al meccanismo patogenetico oggetto di tale trattazione; il termine “cronica” al lento e progressivo sviluppo delle malattie; è definita infine “sistemica” poiché i fattori di rischio agiscono direttamente o indirettamente sugli organi target in modo simultaneo. Le altre malattie incluse tra le comorbilità vengono considerate complicanze o fattori indipendenti che modificano la gravità della malattia. Secondo alcune recenti opinioni, l’alta incidenza di copatologie può essere spiegata almeno in parte dalla persistente ipossia riscontrabile negli organi periferici che caratterizza la BPCO fin dai primi stadi 71 . Nella ricerca condotta da Wouters e coll. si enfatizza il concetto secondo cui l’ipossia porti all’attivazione del sistema infiammatorio: promuove l’attivazione dei linfociti e dei monociti con la liberazione di citochine, chemochine e molecole d’ adesione 68 . Essa contribuisce all’attivazione del TNF-α, tanto è vero che alcuni studiosi hanno dimostrato la correlazione inversa tra i livelli di TNF-α e del suo recettore e la PaO₂72. E’ interessante poi notare che l’organismo fisiologicamente risponde all’ipossia tissutale 112 tramite l’ attivazione di HIF-1 (Hypoxia Inducible Factor 1)71. Ne deriva l’espressione di un gran numero di geni che codificano per proteine coinvolte nell’angiogenesi, nel metabolismo energetico, nell’eritropoiesi, nella proliferazione cellulare infiammatoria. A livello polmonare HIF-1 è coinvolto nel rimodellamento vascolare e nell’accumulo di macrofagi, neutrofili e albumina extravasale. Questa molecola rientra anche nella patogenesi del diabete mellito tipo 2, una patologia inclusa proprio nella sindrome infiammatoria sistemica cronica. HIF-1 riduce i livelli di adiponectina nel tessuto adiposo,una molecola coinvolta nell’insulinoresistenza che è alla base della patologia diabetica. Infatti nei pazienti obesi si registra una locale ipossia cronica secondaria all’alterata vascolarizzazione del tessuto ipertrofico e questa induce l’incremento della concentrazione di HIF-1. L’insulino-resistenza e/o i livelli alti di glicemia, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, l’ipertrigliceridemia, e l’obesità addominale, parametri su cui si basa la diagnosi di sindrome metabolica, spesso caratterizzano i pazienti affetti da BPCO69. Il processo infiammatorio sistemico che spiega la sindrome metabolica coinvolge non solo la già citata HIF-1 ma anche TNF-α, IL-6 e PCR che si presentano in concentrazioni maggiori nei pazienti obesi 69. E’ lecito perciò considerare queste molecole infiammatorie dei fattori di rischio per gli eventi cardiovascolari. 113 Fig. 29 Rappresentazione schematica di come gli effetti dannosi del fumo di sigaretta siano collegati all’obesità e agli eventi cardiovascolari. Da voce bibliografica n.69 MOD Un'altra importante manifestazione sistemica della BPCO è la disfunzione dei muscoli scheletrici e la perdita di peso fino la cachessia69. Uno dei potenziali meccanismi alla base di queste alterazioni è lo stress ossidativo indotto dall’esercizio fisico. Numerosi studi, confrontando pazienti sani con pazienti affetti da BPCO, hanno concluso che l’ipossia tipica dei soggetti malati può indurre lo stress ossidativo nei muscoli scheletrici. Martinelli e coll. hanno documentato un marcato incremento dei livelli di lipofuscina, marker dello stress ossidativo, nel vasto laterale di un gruppo di scalatori da una spedizione a 5000 metri di altitudine per otto settimane 71. Lo stress ossidativo muscolare può essere 114 coinvolto anche nelle modificazioni immunologiche derivanti dall’esercizio fisico documentate nei pazienti con BPCO: si osserva infatti un livello aumentato di TNF-α plasmatico che tra i numerosi effetti porta anche al deperimento muscolare71. Infine le manifestazioni sistemiche della BPCO includono anche l’osteoporosi, essendo il midollo osseo un sito importante di produzione delle cellule infiammatorie69. Tuttavia attualmente ancora non sono disponibili dati certi al riguardo. Nonostante la fisiopatologia delle riacutizzazioni non sia completamante nota, il processo infiammatorio acuto causa il peggioramento del rapporto ventilazione–perfusione e una vasocostrizione ipossica delle arteriole polmonari, con conseguente alterazione della perfusione polmonare. Inoltre, l’esaurimento dei muscoli respiratori e la conseguente ipoventilazione alveolare oltre a contribuire all’ipossiemia, conducono all’ipercapnia e all’acidosi respiratoria con pesanti ripercussioni sul piano clinico fino all’ exitus. Infatti, l’ipossia e l’acidosi respiratoria, causando una vasocostrizione polmonare, determinano un aumentato carico per il ventricolo destro. Questa alterazione, insieme a modificazioni della funzione renale e a fattori ormonali, contribuisce alla formazione di edema periferico. Nei pazienti con BPCO in stadio 1 e 2 GOLD le riacutizzazioni possono richiedere l’intervento medico, senza 115 tuttavia il ricorso all’ospedalizzazione; invece i pazienti in stadio 3 e 4 GOLD spesso entrano in una fase di grave insufficienza respiratoria acuta che necessita il ricovero in ospedale1. Il peggioramento della dispnea è il sintomo principale, spesso associato al respiro sibilante, al senso di costrizione toracica, all’aumento della tosse e dell’espettorato che cambia di colore e di viscosità e alla comparsa di febbre. Possono essere presenti altri disturbi aspecifici quale malessere generale, sonnolenza e confusione mentale spesso diretta conseguenza dell’acidosi respiratoria. E’ importante conoscere le condizioni cliniche del paziente prima dell’evento acuto e successivamente esaminare funzionali ed i parametri emogasanalitici, gli aspetti radiologici del torace ed elettrocardiografici al fine di stabilire il trattamento più idoneo. I valori della PaO₂ < 60mmHg e/o la SaO₂ < 90% sono indicativi di insufficienza respiratoria; inoltre il pH < 7,3 e la PaCO₂ > 70 mmHg rappresentano una fase di notevole gravità dell’equilibrio acido – base del paziente, ponendolo a rischio di vita. Eventualmente l’iter diagnostico si avvarrà della TC spirale, dell’angiografia e del dosaggio del D-dimero. Infine la scelta del tipo di antibiotico deve fondarsi sulla consapevolezza che i germi di più comune riscontro in corso di riacutizzazione sono l’Haemophilus Influenzae, lo Streptococcus Pneumoniae e la Moraxella Catharralis; se tuttavia il paziente non presenta un miglioramento delle 116 condizioni cliniche dopo il trattamento farmacologico sarà necessario ricorrere all’esame colturale e poi all’antibiogramma per instaurare una terapia antibiotica mirata. 117 CAPITOLO 2 LA CISTATINA C 2.1. Obiettivo Lo scopo del nostro studio riguarda la documentazione della relazione tra l’infiammazione locale e sistemica in corso di riacutizzazione di BPCO, la dimostrazione di un danno microvascolare, soprattutto a livello renale e, su queste basi, cercare di ottenere una possibile indicazione prognostica. Seguendo queste ipotesi sono stati determinati due biomarkers infiammatori, la PCR e la VES e un marker di filtrazione glomerulare, la Cistatina C. La Cistatina C, un inibitore delle proteinasi della Cisteina, appartenente alla superfamiglia delle Cistatine, è prodotta dalle cellule nucleate del corpo ed è abbondantemente rappresentata in tutti i fluidi. Essa è codificata dal gene CS73 localizzato sul cromosoma 20. Le funzioni biologiche della cistatina C umana ed il suo ruolo in numerosi stati patologici è stato oggetto di alcuni studi73. Il riscontro di una significativa associazione lineare tra i livelli aumentati della Cistatina C e di alcuni markers infiammatori quali la PCR e il fibrinogeno, e i valori di creatinina e di eGFR, che riflettono una piccola 118 riduzione della funzionalità renale, è indicativo di conseguenze fisiopatologiche avverse74. Madero e Sarnak hanno rilevato l’associazione lineare tra l’insufficienza renale di media gravità e la mortalità per cause cardiovascolari e non, proprio tramite il dosaggio della Cistatina C; invece l’alterazione della creatinina è associata con il rischio di morte per le stesse cause ma solo in individui con malattia renale in fase avanzata75. Lo studio prospettico AtheroGene Study mostra che la Cistatina C, con i valori aumentati, può essere assunta come un potente predittore di mortalità per eventi cardiovascolari in pazienti con malattia coronarica e funzionalità renale normale o mediamente alterata e supera i classici fattori di rischio76. Inoltre l’innalzamento della concentrazione di tale molecola, secondo alcuni studiosi, può associarsi al cosiddetto “unsuccessful aging”, cioè all’invecchiamento caratterizzato da eventi cardiovascolari, cancro, BPCO, deterioramento delle funzioni cognitive e fisiche 77. Infine in uno studio pubblicato sullo European Respiratory Journal nel 1998, si rende noto il riscontro di livelli elevati di Catepsina L e di Cistatina C nel liquido di lavaggio bronco alveolare (BAL) di soggetti con enfisema sub-clinico78. Lo squilibrio tra la Cistatina C e le proteinasi della Cisteina è associato con varie malattie infiammatorie, oltre che con insufficienza renale, 119 cancro, malattie di Alzheimer, sclerosi multipla. Livelli aumentati di questa molecola sono stati trovati in pazienti con malattie autoimmuni e pazienti in dialisi. La misurazione della cistatinemia è un indice sensibile della funzionalità renale in alternativa alla creatinina la quale è soggetta a variazioni legate al genere, età , fattori individuali79,80 . Alla luce di queste considerazioni e sulla base dei riflessi sistemici della malattia e della possibile evoluzione verso l’insufficienza respiratoria, ci si è chiesti se questa proteina potesse presentare delle modificazioni significative nei soggetti affetti da BPCO in fase di riacutizzazione. La Proteina C Reattiva (PCR) è una sostanza prodotta dal fegato e poi rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di poche ore. In questi casi, la crescita della PCR è molto rapida e precede il manifestarsi dei sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o il dolore. Il ritorno di PCR a valori normali è altrettanto rapido: non appena l’infiammazione scompare anche la proteina diminuisce. Il test della PCR viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato infiammatorio, ad esempio se si sospettano alcuni tipi di artrite (artrite reumatoide), malattie autoimmunitarie (Lupus eritematoso), disturbi infiammatori dell’intestino (morbo di Chron) o nelle riacutizzazioni di 120 BPCO. Essendo la PCR un marker generale di infiammazione, un eventuale aumento della sua concentrazione può rappresentare un indice di sospetto. La VES valuta la velocità di sedimentazione dei componenti corpuscolari del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine), ossia il tempo che impiegano per separarsi dal plasma (la parte liquida del sangue). Un aumento di valori si riscontra in numerose patologie infiammatorie, oltre che degenerative e neoplastiche. Le modificazioni di questi ultimi due parametri, proprio perché note e consolidate dall’uso, sono state prese a modello e per confronto con quanto è possibile registrare a carico di Cistatina C. Il comportamento di questa proteina infatti, ancorchè noto in numerosi campi, non sembra altrettanto esplorato in corso di BPCO riacutizzata e di insufficienza respiratoria. 121 2.2. Materiali e metodi 2.2.1. Casistica Trattandosi di un lavoro preliminare sono stati reclutati in tutto solo 6 malati: 5 affetti da BPCO di grado 2, 3 e 4 GOLD ricoverati presso l’Ospedale S. Maria (Terni) per riacutizzazione di malattia e insufficienza respiratoria globale con acidosi respiratoria scompensata e uno affetto da BPCO di grado 2 GOLD ricoverato presso l’Ospedale S. Maria (Terni) per riacutizzazione di malattia, senza insufficienza respiratoria, ma con sola ipossiemia. Tutti i malati si trovavano in Ossigeno-Terapia a lungo termine. Per ogni paziente è stato compilato un database elettronico con le seguenti informazioni: 1) dati anagrafici; 2) abitudine al fumo espressa in pack/years; è valutato secondo la formula: [(numero sigarette fumate al giorno)x(anni di tabagismo)/20]. Tale dato indica gli anni in cui il soggetto è stato esposto agli effetti dannosi del fumo di sigaretta e ad esempio un valore > 40 può essere assunto come fattore prognostico negativo per lo sviluppo di cancro del polmone. 3) diagnosi della malattia di base e stadio clinico GOLD; 4) eventuali co-morbilità: malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, malattie metaboliche, malattie neurodegenerative, malattie gastrointestinali; 5) Charlson index, un indice che tiene conto della presenza e delle severità delle 122 comorbidità, assegnando un “peso” di 1, 2, 3 o 6. 6) esame emocromocitometrico completo; 7) elettroliti; 8) funzionalità epatica e renale; 9) EGA; 10) PCR; 11) VES; 12) indici respiratori; 13) BODE(B: Body – Mass- Index; O: Obstruction; D: Dispnea; E: Exercise Capacity); 14) numero di riacutizzazioni prima del periodo dello studio e dopo; 15) Cistatina C. 16) terapie in atto: ossigeno, VMNI(Ventilazione Meccanica Non Invasiva), uso di aerosol, antibiotici, steroidi, diuretici, mucolitici, insulina in caso di diabete insulino - dipendente. Il genere, il grado di broncostruzione secondo le linee guida GOLD 2008, e le principali condizioni patologiche (malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, malattie metaboliche, malattie gastrointestinali, malattie neurodegenerative) sono espresse in percentuale e sono riportate in Tabella 3. La gravità della broncostruzione è stata valutata con i criteri GOLD. La tabella 4 riassume i farmaci somministrati ai sei pazienti dello studio durante la degenza in ospedale. Questi dati sono stati registrati come variabili continue o categoriche a seconda delle loro caratteristiche. 123 CATEGORIA Genere Maschile Genere Femminile Stadio 2 Stadio 3 Stadio 4 Presenti Assenti GOLD Malattie Cardiovascolari Malattie respiratorie Malattie metaboliche Presenti Assenti Malattie gastrointestinali Malattie neurodegenerative NUMERO (%) 5 (83,3) 1 (16,7) 3 (50) 1 (16,7) 2 (33,3) 5 (83,3) 1( 16,7) 6 (100) 3 (50) 3 (50) 0 (100) 0 (100) Tab. 3 Caratteristiche della popolazione in studio espresse come numero dei pazienti che presentavano le caratteristiche di riferimento e come %. CATEGORIA NUMERO (%) Ossigeno SI NO 6 (100) 0 (0) VMNI SI NO 4 (66,7) 2 (33,3) Aerosol SI NO 6 (100) 0 (0) Antibiotici SI NO 6 (100) 0 (0) Steroidi sistemici SI NO 5 (83,3) 1(16,7) Diuretici SI NO 3 (50) 3 (50) Mucolitici SI NO 2 (33,3) 4 (66,7) Insulina SI NO 2 (33,3) 4( 66,7) Tab. 4. Terapia durante la degenza ospedaliera espressa come numero dei pazienti trattati con il farmaco di riferimento e %. N=6. 124 2.2.2. Interventi effettuati I pazienti che rientravano nei criteri di inclusione dello studio venivano sottoposti a intervalli regolari di tre giorni, cioè al giorno 1 (al momento del ricovero), al giorno 4, al giorno 7 ed al giorno 10 ad una rivalutazione clinica e laboratoristica (esame emocromocitometrico completo, elettroliti, funzionalità epatica e renale, EGA, PCR, VES). Si eseguiva inoltre un prelievo venoso per il dosaggio immunoenzimatico della Cistatina C. 2.2.3. Determinazione della Cistatina C I campioni sono stati processati , centrifugati e conservati a -20°C fino al momento della determinazione immunoenzimatica. La Cistatina C è stata misurata sui campioni così conservati tramite metodica immunoenzimatica ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay) con un kit commerciale: CYSTATIN C (HUMAN) ELISA DRG products. Gli standards, i controlli di qualità ed i campioni sono stati incubati in piastre apposite pretrattate con anticorpo policlonale anti-cistatina C umana. Dopo trenta minuti di incubazione e dopo il lavaggio, l’anticorpo policlonale-anticistatina C umana coniugato con l’enzima HRP è stato aggiunto alle piastre ed incubato per trenta minuti con la Cistatina C. 125 Dopo un altro step di lavaggio il rimanente HRP coniugato è stato messo a reagire con la soluzione substrato (TMB). La reazione è stata fermata grazie all’aggiunta di soluzione acida e l’assorbanza del prodotto finale è stata misurata spettrofotometricamente a 450 nm. L’assorbanza, rilevata nella fattispecie, è proporzionale alla concentrazione della Cistatina C. La curva standard è stata costruita incrociando i valori dell’assorbanza con le concentrazioni degli standard della Cistatina C. La concentrazione dei campioni è stata infine determinata usando la curva standard. 2.2.4. Analisi statistica I risultati delle varie analisi eseguite sono stati registrati su un database elettronico appositamente preparato nel corso dell’osservazione. I dati relativi alla caratterizzazione clinica dei pazienti (in particolare presenza di acidosi respiratoria, stadio GOLD, BODE) sono stati trattati come variabili categoriche. Tutti i valori clinici e di laboratorio sono stati trattati come variabili continue laddove è sembrato appropriato. Le analisi statistiche sono state orientate allo studio delle differenze nelle varie fasi cliniche delle riacutizzazioni tra i diversi pazienti esaminati, al fine di rilevare differenze tra le varie fasi e tra le varie tipologie di soggetti. 126 2.3. Risultati La casistica dello studio ha compreso sei pazienti; i dati demografici della popolazione (età) , i valori del FEV1, il valore del pack/year, il valore dell’indice di Charlson, il numero dei precedenti ricoveri per riacutizzazione di BPCO, sono espressi in termini di media±DS, con il range di riferimento e sono riportati nella Tabella 5. CATEGORIA MEDIA ± DS RANGE Età 79,50 ± 8,87 68 - 89 59,50 ± 18,57 33 - 75 Pack/year ( x % rispetto alla norma) 61,67 ± 38,03 15 - 120 Indice di Charlson 2,50 ± 1,05 1-4 Precedenti ricoveri 1,5 ± 1,17 0-3 FEV ₁ % rispetto alla norma Tab. 5 Caratteristiche della popolazione in studio espresse come media±DS. FEV₁=forced expiratory volume in one second. 127 In Tabella 6 sono riportati i dati degli esami emogasanalitici ed ematochimici della popolazione in studio al momento del ricovero. CATEGORIA MEDIA ± DS RANGE pH giorno 1 7,34± 0,08 7,29-7,50 PaO₂ giorno 1 (mmHg) 64,67±12,06 46-79,30 PaCO₂ giorno 1(mmHg) 59,13±16,63 33,50-81,30 Leucociti giorno 1(mmc) 11,0 ± 3,84 4,9-15,0 Hb giorno 1(g/dl) 14,37 ± 1,77 13,0-17,7 Ht giorno 1(%) 45,05 ± 5,50 40,0-54,3 Piastrine giorno 1(mmc) 209,67 ± 112,57 93-417 VES giorno 1(mm/h) 38,80 ± 35,60 6-82 PCR giorno 1(mg/dl) 8,88 ± 10,44 2,06-20,90 Creatinina giorno 1(mg/dl) 2,23 ± 2,0 1-5,90 Tab. 6 Dati ematochimici e emogasanalitici della popolazione in studio al momento del ricovero espressi come media ± DS. N=6. Le figure 30, 31 e 32 rappresentano sinteticamente la variazione dei valori emogasanalitici del pH, PaO₂, PaCO₂ riferiti ai malati con Insufficienza respiratoria globale scompensata al tempo 0 e nel corso degli altri controlli. 128 Fig. 30 Andamento dei valori di pH registrati nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS. N=5. Fig. 31 Andamento dei valori di PaO₂ (mmHg) registrati nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS. N=5. 129 Fig. 32 Andamento dei valori di PaCO₂ registrati nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS .N=5. Le figure 33, 34 e 35 illustrano l’andamento temporale della VES, della PCR e della Creatinina rilevati nei malati con Insufficienza respiratoria globale scompensata durante l’osservazione. Fig. 33 Andamento dei valori della VES nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS. N=5. 130 Fig. 34 Andamento dei valori di PCR nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS. N=5. Fig. 35 Andamento dei valori di Creatinina nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati come media ± DS.N=5. 131 Le figure 36 e 37 illustrano l’andamento della Cistatina C dei pazienti con Insufficienza respiratoria globale scompensata nel corso dell’osservazione. Nella figura n. 37 è riportata la tendenza all’aumento della Cistatina C osservata in due pazienti sui cinque affetti da Insufficienza respiratoria globale scompensata; la figura n.38 invece dimostra la tendenza alla diminuzione della concentrazione marker osservata in tre pazienti sui cinque considerati. Fig. 36 Tendenza all’aumento della Cistatina C in due pazienti con Insufficienza respiratoria globale scompensata. 132 di tale Fig. 37 Tendenza alla diminuzione della Cistatina C in tre pazienti Insufficienza respiratoria globale scompensata. Il paziente che non presentava una Insufficienza respiratoria, con BPCO di grado 2 GOLD, affetto da riacutizzazione di malattia, durante il periodo di osservazione ha mostrato una riduzione della PCR, della creatinina e della Cistatina C, insieme ad una sostanziale stabilità dei parametri emogasanalitici. Parametri pH Giorno 1 7,50 Giorno 4 7,44 Giorno 7 7,47 Giorno 10 7,45 PaO₂ (mmHg) 74 70 68,2 71 PaCO₂(mmhg) 33,50 36,90 31,90 32 VES (mm/h) 82 90 26 94 PCR (mg/dl) 20,9 9,11 2,96 1,10 Creatinina (mg/dl) 5,90 3,10 2,80 1,10 Cistatina C (ng/ml) 7.884,66 4.753,77 133 4.105,90 3.203,04 Francamente poco spiegabile l’andamento della VES che peraltro appare sempre assai poco specifica. L’osservazione longitudinale dei soggetti in esame durante il periodo dello studio ha mostrato che i due pazienti nei quali è stata osservata la tendenza all’aumento della Cistatina C, unitamente a condizioni cliniche più gravi, hanno subito nuovi ricoveri per riacutizzazione di BPCO. Al contrario i tre pazienti, per i quali è stata osservata la tendenza alla diminuzione della Cistatina C, non hanno subito nuovi ricoveri. 134 2.4. Discussione e conclusione È noto che le riacutizzazioni determinano un peggioramento dello stato di salute e un aumento della mortalità, a causa del declino rapido della funzionalità respiratoria. Durante questi episodi tutti gli indici di flogosi e anche la maggior parte delle citochine circolanti subiscono un aumento, suggerendo che lo stato infiammatorio non sia confinato solo a livello polmonare ma che ci sia una risposta sistemica. Secondo le nuove proposte di Fabbri e Rabe l’infiammazione sistemica può essere il presupposto per lo sviluppo di varie comorbidità e non la semplice conseguenza. Il dato non appare comunque sufficientemente suffragato da controlli epidemiologici longitudinali. La presenza di tali malattie suggerisce la possibilità del danno microvascolare cronico che possa comunque essere alla base di quella che oggi è definita “sindrome infiammatoria cronica sistemica”. Il presente studio, per quanto preliminare e quantitativamente ridotto, ha documentato la relazione tra l’infiammazione locale e sistemica in corso di riacutizzazione di BPCO, l’esistenza del danno microvascolare, soprattutto a livello renale e, su queste basi, ha cercato di ottenere una possibile indicazione prognostica. Queste considerazioni sono state effettuate grazie alla determinazione di due biomarkers infiammatori noti quali la PCR e la VES e un marker di filtrazione glomerulare, la Cistatina C. La casistica 135 esaminata comprendeva in tutto 6 pazienti, 5 affetti da BPCO di grado 2, 3 e 4 GOLD con riacutizzazione di malattia e insufficienza respiratoria globale e acidosi respiratoria e uno affetto da BPCO di grado 2 GOLD che presentava una riacutizzazione di malattia, senza insufficienza respiratoria, ma con sola ipossiemia. Tutti i malati si trovavano in Ossigeno-Terapia a lungo termine. La casistica constava di cinque maschi e una femmina, l’età era compresa tra 68 e 89 anni, con una media di 79,50±8,87; il FEV₁ all’ingresso variava tra il 33-75 rispetto al valore di riferimento, con una media di 59,50±18,57. Ogni soggetto veniva sottoposto a una valutazione generale finalizzata alla documentazione di eventuali patologie respiratorie, cardiovascolari, metaboliche, gastrointestinali, neurodegenerative. Successivamente veniva calcolato l’indice di Charlson, un indice che tiene conto della presenza e della severità delle comorbilità assegnando un punteggio di 1, 2, 3 o 6. La casistica del nostro studio aveva un punteggio da 1 a 4, con una media di 2,50±1,05. Vista la natura infiammatoria della malattia e sulla base delle nuove considerazioni sulla BPCO che la definiscono “ Sindrome infiammatoria sistemica cronica”, è lecito supporre che i markers infiammatori classici, quali la VES e la PCR possano essere compromessi. Nonostante la casistica sia limitata i dati osservati mostrano che nessuno dei parametri 136 citati può essere sufficientemente sensibile e specifico oltre che idoneo per predire la possibilità di nuove riacutizzazioni. Infatti sia la VES sia la PCR hanno evidenziato una tendenza alla diminuzione anche e soprattutto in quei pazienti che sono stati nuovamente ricoverati. In questi due pazienti anche i valori emogasanalitici durante il periodo di osservazione hanno registrato una tendenza al miglioramento non essendo quindi correlati con la gravità della malattia e con le nuove riacutizzazioni. Al contrario le modificazioni della Cistatina C hanno evidenziato una possibile correlazione tra la concentrazione di questo marker e la prognosi dei pazienti. Infatti, al di là dei valori assoluti, è possibile che la tendenza all’aumento della Cistatina C nei due pazienti che sono stati riammessi in ospedale per riacutizzazione di BPCO,potesse aver svolto il ruolo di un indice prognostico. Invece negli altri tre pazienti che non hanno subito un aggravamento della malattia , la tendenza della Cistatina C non ha fatto registrare questo andamento; anche tale dato potrebbe costituire la controprova dell’ipotesi di lavoro iniziale, riflettendo le condizioni di stabilità dei malati. In conclusione la determinazione dell’infiammazione locale e sistemica e la documentazione del danno microvascolare renale, effettuato tramite la determinazione della Cistatina C, contribuisce a meglio interpretare la BPCO, scoprendo innovativi meccanismi molecolari . 137 Il rene infatti rappresenta un organo chiave nel mantenimento dell’equilibrio acido – base in corso di insufficienza respiratoria; l’ipercapnia e la conseguente diminuzione del pH plasmatico, unitamente all’ipossia provocano immediatamente il compenso di ordine metabolico effettuato dal rene. Innanzitutto la scarsa ossigenazione del sangue arterioso costituisce un potente stimolo alla produzione renale di Eritropoietina che, traducendosi in un aumento della massa eritrocitaria, è volta al ripristino della PaO₂ verso valori di normalità; l’azione del sistema renale si estrinseca inoltre cronicamente attraverso l’incremento dell’eliminazione tubulare delle valenze acide grazie al sistema tampone degli ioni HCO3 - , all’escrezione diretta degli idrogenioni, al sistema degli ioni ammonio e degli ioni fosfato. La Cistatina C , essendo espressione della funzionalità renale, potrebbe rispecchiare il grado di compromissione di questo organo soprattutto in corso di insufficienza respiratoria globale scompensata e tradurre quindi, in termini pratici, le possibilità di ripresa dell’organismo secondarie ad un nuovo compenso respiratorio. Si tenga anche conto che le modificazioni rilevate si sono espresse nell’arco di pochi giorni e quindi, anche ai fini prognostici, si possa immaginare di ricevere informazioni utili per impostare al meglio un comportamento clinico. 138 La determinazione di questa proteina è parsa molto interessante all’interno della patologia trattata, in quanto dalle segnalazioni rilevate in letteratura si evidenzia un suo aumento nei casi di insufficienza renale, ma anche quando si verifichino gravi alterazioni della funzione miocardica o di quella coronarica. Considerando il ruolo centrale che il polmone, non solo come organo di scambio, svolge in parallelo con il cuore e pensando anche alle ripercussioni indirette a livello renale, si poteva arguire che nella ricerca di nuovi markers atti ad esplorare l’insieme dei danni provocati dall’insufficienza respiratoria, la Cistatina C potesse essere di vero interesse. Si sa infatti che questa proteina è una spia molto sensibile di modificazioni anche modeste della funzionalità renale, oltre che naturalmente di alterazioni a livello cardiaco81,82,83. Un ulteriore elemento di interesse è rappresentato dalla correlazione positiva tra la Cistatina C ed una serie di markers infiammatori e di interleuchine coinvolte nel processo di flogosi generalizzato, come si è potuto vedere nel corso dello studio PRIME. Più in particolare questa proteina era correlata positivamente con BMI, colesterolo LDL, trigliceridi, oltre che fibrinogeno, Proteina C, IL-6 e TNF-α84 . 139 Come si può notare tutti questi parametri sono abitualmente alterati anche in corso di BPCO riacutizzata e ciò contribuisce a sostenere con particolare energia il concetto di interrelazione tra danno broncopolmonare e riflessi a livello generale. La Cistatina C può quindi essere vista come ulteriore elemento che contribuisce ad attrarre l’attenzione su problemi flogistici di varia natura. Un altro elemento che è sicuramente importante e presente anche nella nostra ricerca, ancorchè in stato iniziale, è rappresentato dalla utilità del dosaggio della Cistatina C come marker di significato prognostico nei confronti di danno d’organo e di possibili recidive collegate a ricoveri ripetuti. Tali caratteristiche sono state osservate soprattutto nella patologia cardiovascolare 85, 86,ma anche, considerando la nostra piccola casistica in ambito pneumologico. Ciò acquista particolare valore quando si consideri che la Cistatina C ha sviluppato un comportamento molto sensibile anche in presenza di un normale filtrato glomerulare87. Ciò è tanto più vero ove si consideri che il movimento di questa proteina può essere indicativo di un danno renale pre - glomerulare e pertanto espressione del riflesso di un coinvolgimento d’organo molto precoce, dovuto anche ad alterazioni topograficamente lontane, come quelle che riguardano il polmone e il cuore88. 140 Sulla base delle considerazioni finora svolte, si potrebbe quindi aprire la strada a nuove frontiere diagnostiche, prognostiche e terapeutiche con il fine ultimo di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da BPCO anche negli stadi più avanzati di malattia. 141 BIBLIOGRAFIA 1 Global Strategy for the diagnosis, management, and prevention of Chronic Obstructive Pulmonary Disease. (GOLD 2008) 2 Viegi G, Scognamiglio A, Baldacci S, e Al. Epidemiology of chronic obstructive pulmonary disease (COPD). Respiration 2001; 68:4-19. 3 Galeone et Al. Proc. of the ECTOH Congress 2007 4 Foos L, Parè PD, Sandford AF. Genetic risk factors for chronic obstructive pulmonary disease. 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