tesi dr.ssa Mirabellinovità!

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tesi dr.ssa Mirabellinovità!
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PERUGIA
FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Dipartimento di Medicina Interna
Sezione: Malattie dell’apparato respiratorio
Dir. Prof. Lucio Casali
Tesi di Laurea
“Andamento e valore predittivo
della Cistatina C
in corso di riacutizzazione di BPCO.”
Relatore
Prof. Lucio Casali
Laureanda
Giulia Mirabelli
ANNO ACCADEMICO 2008-2009
INDICE
CAPITOLO 1
LA BRONCOPNEUMOPATIA CRONICO OSTRUTTIVA ............. 2
1.1 Definizione di BPCO ............................................................................ 2
1.2 Epidemiologia ....................................................................................... 5
1.2.1 Fattori di rischio ......................................................................... 5
1.2.2 Morbosità .................................................................................. 27
1.2.3 Mortalità ................................................................................... 39
1.3 Patogenesi ........................................................................................... 43
1.4 Anatomia patologica ........................................................................... 58
1.5 Fisiopatologia ..................................................................................... 66
1.6 La BPCO nel suo complesso: diagnosi e trattamento ........................ 77
1.7 Le riacutizzazioni di BPCO .............................................................. 104
CAPITOLO 2
LA CISTATINA C................................................................................ 118
2.1 Obiettivo ........................................................................................... 118
2.2 Materiali e metodi ............................................................................. 122
2.2.1 Casistica ................................................................................. 122
2.2.2 Interventi effettuati .................................................................. 124
2.2.3 Determinazione della Cistatina C ........................................... 125
2.2.4 Analisi statistica ...................................................................... 126
2.3 Risultati ............................................................................................. 127
2.4 Discussione e Conclusione ............................................................... 135
BIBLIOGRAFIA ................................................................................... 139
1
CAPITOLO 1
LA BRONCOPNEUMOPATIA CRONICA OSTRUTTIVA
1.1. Definizione di BPCO
La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è una malattia
cronica respiratoria prevenibile e trattabile associata a significativi effetti
e comorbilità extrapolmonari che possono contribuire alla sua gravità; la
componente bronco-polmonare è caratterizzata da ostruzione al flusso
aereo parzialmente reversibile, persistente ed evolutiva legata a
rimodellamento delle vie aeree periferiche ed enfisema; questi ultimi
elementi sono dovuti ad una abnorme risposta infiammatoria delle vie
aeree, del parenchima polmonare e sistemica , sostenuta in via primaria
dal fumo di sigaretta e poi anche da altre particelle inalate o gas1 .
Si tratta di una sindrome complessa, eterogenea, multifattoriale e per
queste sue caratteristiche la definizione è stata per molti anni oggetto di
dibattito; attualmente si predilige l’aspetto funzionale sottolineando
l’importanza delle alterazioni broncopolmonari, cioè una ostruzione al
flusso persistente ed evolutiva legata a rimodellamento.
2
Secondo un’ opinione diffusa (in anni passati), è importante sottolineare
che all’ interno di questa entità nosografica si inscrivono due condizioni
fondamentali, sicuramente ognuna con pesi specifici diversi, ma
entrambe accomunate dalla ostruzione bronchiale: Bronchite Cronica ed
Enfisema.
La Bronchite cronica rappresenta una sindrome clinica caratterizzata
dalla presenza di tosse quotidiana, produttiva, per almeno tre mesi
all’anno, da almeno due anni consecutivi, quando non sia attribuibile ad
altre cause polmonari, quali tubercolosi, carcinomi, bronchi ectasie,
fibrosi cistica, o cardiache. La tosse e l’espettorazione possono
presentarsi anche prima dell’evidente riduzione del flusso aereo
espiratorio e può verificarsi anche l’esatto contrario. Questi sintomi
possono anche persistere senza produrre un’evidente ostruzione
documentata dai parametri usuali.
L’enfisema polmonare, condizione spesso rilevata grazie alle indagini
con Tomografia ad Elevata Risoluzione (Hight Resolution Tomography,
HRT), è definito come una dilatazione permanente degli spazi aerei
distali ai bronchioli terminali, con distruzione dei setti alveolari, in
assenza di una chiara fibrosi.
Ferma restando la correttezza della definizione delle due patologie, esse
non sono incluse nella definizione contenuta nelle linee-guida GOLD
3
2008 (Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Desease), poiché
non danno una idea completa della limitazione al flusso delle vie aeree e
del suo impatto sulle comorbilità e sulla mortalità; inoltre in alcuni
pazienti la tosse produttiva può precedere lo sviluppo dell’ostruzione
bronchiale e in altri invece può svilupparsi la limitazione funzionale
senza tuttavia manifestarsi i segni di tosse accompagnata da espettorato.
È facile dedurre quindi quanto sia riduttivo attenersi alle sole definizioni
di enfisema e bronchite cronica e quanto invece sia più completa sotto il
piano funzionale la definizione fornita dalle linee-guida GOLD.
4
1.2. Epidemiologia
1.2.1. Fattori di rischio
Grazie alle evidenze della letteratura scientifica la BPCO è una malattia
a eziologia multifattoriale2; è quindi opportuno fare una disamina di
questi fattori prima di addentarsi nella discussione sulla patogenesi.
Fattori esogeni
Fattori endogeni
Fumo di tabacco
Razza
Esposizione lavorativa
Sesso
Inquinamento indoor e outdoor
Anamnesi familiare positiva per BPCO
Esposizione a fumo di tabacco ambientale
Pattern genico predisponente lo sviluppo di
BPCO
Abuso di alcool
Deficit di α1-antitripsina
Dieta povera di frutta
Basso peso alla nascita
Basso livello socio-economico
Malattie respiratorie durante l’infanzia
Atopia
Iperattività bronchiale
Suscettibilità individuale ai fattori di rischio
esogeni
Tab.1 Fattori di rischio per lo sviluppo di BPCO. Da voce bibliografica n. 2 MOD.
5
 Fattori esogeni
1. Fumo di tabacco
Rappresenta uno dei più grossi problemi di salute della nostra epoca:
attualmente nel mondo i fumatori ammontano a più di un miliardo,
secondo stime dell’OMS, con un aumento previsto nel 2025 a oltre 1,6
miliardi; negli Usa 47 milioni di persone fumano e in Italia i dati si
aggirano intorno ai 12 milioni (28,6% maschi e 20,3% femmine) 1. Le
conseguenze in termini di mortalità sono drammatiche: in Europa 1,2
milioni decessi/anno sono legati al fumo di sigaretta, tra tumori, malattie
cardiovascolari e respiratorie; in Italia 80000 decessi/anno sono
attribuibili al tale fattore1. La stretta correlazione dell’abitudine al fumo
con gli eventi morte è dimostrata anche dall’effetto della legge Sirchia
nel periodo 2000/2005: è stata infatti registrata una riduzione
statisticamente significativa degli eventi coronarici acuti dopo l’entrata
in vigore del divieto di fumare nei luoghi pubblici3.
È importante soppesare ogni aspetto della valutazione tabagica: l’età
d’inizio, il numero di sigarette fumate, gli anni di fumo trascorsi.
Tuttavia non tutti i fumatori sono destinati a sviluppare la patologia
ostruttiva bronchiale, ma solo una piccola percentuale di essi,
quantificata tra il 10 e il 20%4; è vero comunque che da recenti stime
6
circa il 40 -50 % dei fumatori presenta i segni di BPCO, quindi tale
discordanza si potrebbe attribuire a un certo grado di sottostima1.
Bisogna poi sottolineare il ruolo importante svolto dal genere nel
determinare una maggiore suscettibilità genetica allo sviluppo dei danni
indotti dal fumo di sigaretta: uno studio condotto in Canada, paese
caratterizzato da una antica e severa abitudine al fumo diffusa
maggiormente tra le donne, ha provato che realmente esiste un rischio
relativo aumentato tra le femmine fumatrici rispetto ai maschi fumatori 5.
Anche altri studi riportati in letteratura confermano la maggiore
suscettibilità tra le femmine.
Altre ricerche svolte da Mannino e coll. su popolazione americana di
razza caucasica confermano il legame tra i dati epidemiologici della
BPCO e l’abitudine al fumo di tabacco; la prevalenza di malattia nei non
fumatori è del 4,6%, del 7,9% negli ex-fumatori e infine dell’11,2% nei
fumatori correnti; i dati riguardanti le femmine rispecchiano lo stesso
andamento con valori pari al 6,8%, 12,1%, 14,7%, evidenziando ancora
una maggior prevalenza nel sesso femminile6.
Per quanto riguarda la situazione in Italia è pertinente riportare i risultati
dello studio condotto da Viegi e coll. nelle aree rurali del Delta del Po e
nell’area urbana di Pisa nel periodo tra il 1980 e il 1993 7: la prevalenza
7
di bronchite cronica ed enfisema era maggiore nei fumatori correnti
rispetto ai non fumatori.
Infine è interessante valutare l’importanza del numero di sigarette fumate
o ancor meglio la quantità totale di fumo espressa come pacchetti/anni
(pack/years): i ricercatori italiani Donato, Pasini e coll. hanno dimostrato
che la prevalenza di BPCO nei maschi varia dal 10,7% (1-14
sigarette/die) al 36,5% (oltre 25 sigarette/die), e dal 7,5% (1-14
sigarette/anno) al 41,3% (oltre 25 sigarette /anno). Dal punto di vista
funzionale i fumatori presentano un rischio annuale di diminuzione del
FEV₁ maggiore rispetto alla norma e sembra esistere una relazione dosedipendente tra il declino del FEV₁ e la quantità di fumo8.
Le considerazioni finora svolte sono sostenute dalle evidenti alterazioni
patologiche riscontrate nelle vie aeree periferiche di pazienti fumatori
affetti da BPCO; il fumo di sigaretta infatti ha un ruolo chiave nelle
modificazioni del sistema immunitario sia a livello polmonare che a
livello sistemico.
In primo luogo nel fumo di sigaretta sono contenute numerose sostanze
nocive; ad esempio tra quelle inalate direttamente vi sono la nicotina, gli
idrocarburi aromatici, il fenolo, il cresolo, il tar, per le quali è stata
dimostrata l’azione antigenica, mutagena, citotossica, carcinogenica.
Esse hanno un diametro approssimativamente di 0,1-0,5 µm e sono
8
quindi in grado di raggiungere le piccole vie aeree (diametro dei
bronchioli terminali < 2 mm) e di esplicare le loro azioni a questo
livello: infatti dal 40 al 90% di queste particelle si depositano nelle aree
deputate agli scambi gassosi, cioè nelle aree più profonde dell’apparato
bronchiale. Dalla combustione ad alta temperatura che si sviluppa sulla
parte superiore della sigaretta, si libera una grande quantità di radicali
liberi dell’ossigeno (RORs), specie chimiche dotate di un singolo
elettrone spaiato sull’orbitale esterno. L’energia derivante da questa
configurazione instabile è liberata attraverso reazioni con sostanze
inorganiche e organiche quali proteine, lipidi, carboidrati, acidi nucleici;
inoltre i radicali liberi innescano reazioni auto catalitiche per mezzo di
molecole con cui essi reagiscono, le quali vengono a loro volta
trasformate in altri radicali liberi, che propagano la catena del danno.
Durante un normale processo respiratorio mitocondriale l’ossigeno
molecolare viene ridotto generando acqua grazie a enzimi ossidativi
presenti nel reticolo endoplasmatico citosol, mitocondri. Nel corso di
questo processo si generano piccole quantità di prodotti tossici intermedi
cioè l’anione superossido, il perossido d’idrogeno e lo ione idrossile, noti
come radicali liberi; tuttavia le cellule sono dotate di sistemi di difesa per
prevenire il danno causato da questi prodotti. Uno squilibrio tra i sistemi
di produzione ed eliminazione delle specie reattive dell’ossigeno
9
produce lo stress ossidativo, danneggiando l’epitelio respiratorio. Esiste
comunque una certa quota di variabilità individuale nella risposta
dell’organismo a queste molecole, dipendente dalla predisposizione
genica, dall’omeostasi locale, dall’attività delle citochine e dalle malattie
intercorrenti.
Il fumo di sigaretta danneggia l’apparato respiratorio a vari livelli,
colpendo l’integrità anatomica e funzionale dell’epitelio bronchiale e
alterando il ruolo delle cellule immunitarie quali macrofagi, linfociti,
neutrofili9.
I macrofagi sono la prima linea di difesa cellulare contro particelle
esterne grazie alla loro attività fagocitica e alla capacità di presentare
l’antigene. Nei soggetti fumatori è stato dimostrato un incremento di
macrofagi alveolari nel lume delle vie aeree e nel BAL; essi presentano
una morfologia alterata con citoplasma condensato e iperdenso, basso
livello di maturazione ed elevata espressione di CD14 (marker dei
monociti); infine dal punto di vista funzionale diversi studi hanno
riscontrato un indebolimento della capacità di presentare l’antigene e
dell’attività fagocitica9.
In particolare Hodge e coll., grazie al riscontro nel BAL di fumatori
correnti con BPCO e fumatori sani, di basse concentrazioni di due
recettori chiave dei macrofagi, CD91 e CD31, hanno ipotizzato che
10
livelli ridotti di questi recettori dovrebbero condurre a una diminuzione
della capacità di riconoscere le cellule apoptotiche e determinare quindi
un decremento della fagocitosi.
Inoltre il danno indotto dal fumo di sigaretta sui macrofagi assume un
ruolo chiave con riferimento alla patogenesi dell’enfisema: l’esposizione
cronica al fumo induce un maggior rilascio di metalloproteinasi da parte
dei macrofagi , enzimi dotati di attività proteolitica capaci di distruggere
le vie aeree (sono stati riscontrati livelli aumentati dia MMP-2, MMP-9,
MMP-12) e capaci anche di modificare anche la funzione di TGF-β e IL1β, citochine coinvolte in questo processo distruttivo. Nei fumatori
inoltre
l’aumentato
rilascio
di
MMP
non
è
controbilanciato
dall’equivalente concentrazione di TIMP-1(inibitore tissutale delle
metallo proteinasi tipo 1), necessaria per la difesa del parenchima
polmonare9.
Nei fumatori è comune ritrovare nell’espettorato, nel BAL e nelle
biopsie bronchiali un incremento della conta dei leucociti con spiccata
neutrofilia; dai granuli azzurrofili di queste cellule verrà poi liberata una
gran quantità di elastasi neutrofila, catepsina G e proteasi,
enzimi
proteolitici il cui target è rappresentato dalle cellule ciliate dell’epitelio
bronchiale e dalla matrice extracellulare9.
11
Infine la persistente risposta infiammatoria è suggellata dal riscontro
d’infiltrazione di linfociti T e da un’alterazione del rapporto
CD4+/CD8+ con un incremento della popolazione CD8+ , correlato con
il valore del pack/years; è interessante sottolineare che queste cellule
sono strettamente coinvolte nel processo apoptotico dell’epitelio
bronchiale e della parete alveolare grazie all’espressione dei recettori
Fas9.
Dopo innumerevoli studi che hanno identificato il fumo di sigaretta
come il più comune fattore di rischio per lo sviluppo della BPCO, la
lotta contro il tabagismo è divenuta oggi l’elemento chiave nella
prevenzione della malattia e anche il primo intervento nel trattamento dei
soggetti già malati.
2. Fumo passivo
L’esposizione involontaria al fumo di sigaretta, nota con la sigla ETS
(Environmental Tobacco Smoke), rappresenta ancora argomento di
dibattito, poiché non ci sono evidenze scientifiche concordanti che lo
identificano come fattore di rischio certo per BPCO. Esiste comunque
una plausibilità dell’esistenza di tale relazione causale derivante
dall’opinione che le particelle inalate, se pur involontariamente, vadano a
sommarsi al carico di sostanze che aggrediscono l’albero bronchiale. La
12
correlazione certa tra ETS e sintomi respiratori cronici riguarda invece i
bambini: i loro polmoni ancora in corso di maturazione sono molto
suscettibili all’azione del tabacco e fanno registrare una riduzione del
tasso fisiologico di incremento del FEV₁. Da qui è stato ipotizzato che il
fumo, comportando un ridotto sviluppo massimo del polmone,
predisporrebbe all’insorgenza di BPCO in età adulta1.
3. Esposizione lavorativa
L’esposizione lavorativa a polveri organiche, inorganiche, fumi e gas è
un fattore di rischio accertato per lo sviluppo di BPCO; i lavoratori
interessati sono quelli del settore metallurgico,minerario (sono esposti a
silice, carbone, berillio, cadmio), edile, agricolo (la polvere di grano e le
polveri della lavorazione dello zucchero sono considerate nocive), tessile
(sono esposti alla
polvere derivante dalla lavorazione del cotone),
chimico (le sostanze chiamate in causa sono solventi organici come la
formaldeide e lo stirene)10.
In particolare riportiamo uno studio epidemiologico condotto negli Stati
Uniti tra il 1988 e il 1994 sull’associazione tra la BPCO e alcune
categorie professionali considerate a rischio11. Le industrie per le quali
veniva registrato un rischio maggiore erano le industrie della gomma,
della plastica, dei manufatti in pelle, tessile, delle forze armate e altre
13
che verranno riportate in tabella 2. I lavoratori erano stati suddivisi in
due grosse categorie: quelli considerati a maggior rischio di BPCO, cioè
gli operai delle industrie, gli artigiani, gli addetti al trasporto, e coloro
che lavoravano in ufficio, cioè gli impiegati, gli insegnanti, gli addetti
alla comunicazione, ai servizi sociali, i manager, denominati “office
workers”. I risultati ottenuti attestano che il 15-19% delle BPCO insorte
tra i fumatori è imputabile a esposizioni professionali, e si registra un
aumento fino al 30% nei non fumatori.
Contaminante ambientale
Settore lavorativo
Cristalli di silice, carbone
Vapori di cadmio
Lavoratori del settore estrattivo
Lavoratori dell’industria metallurgica (leghe in
rame-cadmio)
Lavoratori dell’industria estrattiva
Lavoratori di industrie produttrici di sostanze
isolanti, plastica, vernici
Addetti ad escavazioni di tunnel
Lavoratori delle cartiere
Lavoratori del settore tessile
Agricoltori, lavoratori del settore alimentare
Lavoratori presso industrie produttrici di
ammoniaca
Lavoratori del settore chimico
Berillio
Isocianati
Polveri
Legno/Carta
Polvere di cotone
Polvere di grano, cereali
Prodotti ammoniacali
Solventi organici (formaldeide, stirene)
Tab.2 Esposizione lavorativa correlata allo sviluppo di BPCO. Da voce bibliografica n. 11
MOD.
14
4. Inquinamento outdoor
Il ruolo causale dell’inquinamento atmosferico nella patogenesi della
BPCO è ancora oggetto di dibattito e non ci sono evidenze conclusive,
anche in ragione della difficoltà a determinare gli effetti a lungo termine
di ogni singolo agente inquinante sulla funzionalità respiratoria.
Numerosi studi hanno messo in relazione la concentrazione atmosferica
di sostanze quali l’ozono (si forma nell’atmosfera attraverso reazioni
fotochimiche a partire da precursori come ossido di azoto e piccole
molecole organiche), il biossido d’azoto (deriva da processi di
combustione perché le elevate temperature favoriscono le reazioni tra
l’azoto e l’ossigeno) e l’anidride solforosa (si forma nei processi di
ossidazione che contengono lo zolfo come elemento di impurità , cioè
processi
metallurgici, industrie di carta, fonderie, incenerimento dei
rifiuti ecc.) con lo sviluppo di eventi respiratori acuti, quali aumento
delle visite in pronto soccorso,ospedalizzazione e morte in soggetti
affetti da BPCO, evidenziando interessanti legami dose/risposta per le
singole sostanze.
Inoltre l’importanza dell’inquinamento atmosferico nella patogenesi
delle alterazioni respiratorie è stata opportunamente affrontata in una
relazione pubblicata sull’American Thoracic Society alcuni anni fa12.
Erano prese in esame le cinque maggiori sostanze inquinanti presenti
15
nell’aria di alcune città americane: PM10, PM2.5, ozono (O3), diossido
di zolfo (SO2), biossido d’azoto (NO2), monossido di carbonio (CO), e
successivamente si tracciava una piramide di ordine decrescente degli
effetti delle stesse sull’apparato respiratorio.
In particolare negli ultimi anni è divenuto crescente l’attenzione rivolta
alle particelle fini e al loro impatto sulla salute e in particolar modo
sull’apparato
respiratorio13.
Le
polveri
atmosferiche
vengono
comunemente definite con la sigla P.T.S. (Particolato Totale Sospeso)
che comprende un insieme eterogeneo di particelle solide volatili
(organiche ed inorganiche) e di goccioline liquide sospese nell’aria con
dimensioni comprese tra 0,µ005 e 100 µm che possono presentare
caratteristiche e composizioni chimiche variabili e correlate alla fonte di
provenienza. La loro presenza nell’ambiente è legata a fonti naturali
(eruzioni vulcaniche, polverosità terrestre, pollini ecc.) o può derivare da
diverse attività quali emissioni da centrali termiche, da inceneritori, da
processi industriali in genere, da traffico e svariate altre. Il possibile
danno per l’organismo umano si dispone su un ampio ventaglio, dagli
effetti tossici derivanti dalla natura chimica della molecola stessa alle
conseguenze derivanti dalla deposizione di altre sostanze sopra di esse;
il particolato sospeso risulta, di fatto, il tramite che consente la
penetrazione,
nell’apparato
respiratorio
16
dell’uomo,
di
sostanze
potenzialmente nocive. L’effetto di queste molecole dipende in ultima
analisi dal loro diametro che va a correlarsi con quello delle vie aeree.
Infatti mentre le particelle con diametro maggiore di 10 µm vanno
incontro a naturali fenomeni di sedimentazione nelle vie aeree superiori
e sono intrappolate dai meccanismi di clearance muco-ciliare , quelle di
diametro ≤ 10 µm (note come frazione PM10 frazione che comprende
anche un sottogruppo, pari al 60%, di polveri più sottili denominate
PM2.5 e PM1 aventi rispettivamente diametri uguali od inferiori a 2.5 ed
1 µm), rappresentano la frazione più pericolosa per la salute dell’uomo;
esse possono arrivare agli spazi aerei distali con diametro più piccolo e
determinare così l’immissione all’interno del nostro organismo, fino a
livello degli alveoli polmonari, di tutte le sostanze da esse veicolate. In
sintesi quanto minori sono le dimensioni delle particelle, tanto maggiore
è la loro capacità di penetrare nei polmoni e di produrre effetti dannosi
sulla salute umana. Le polveri PM10, una volta emesse, possono rimanere
in sospensione nell’aria per circa 12 ore; di queste la frazione di
diametro pari a 1 µm (PM1), può rimanere in circolazione per circa un
mese; quindi sicuramente anche il tempo di permanenza è importante nel
determinismo degli effetti negativi respiratori. Le fonti urbane di
emissione di polveri PM10, sono principalmente i trasporti su gomma e
gli impianti civili di riscaldamento. L’impatto sulla salute di queste
17
molecole è notevole e vari studi hanno riscontrato un aumento della
mortalità per cause cardiorespiratorie; secondo i dati riportati dal GOLD
2008 ogni incremento di 10 µg /m3 di PM10 determina un aumento della
mortalità del 4% per qualsiasi causa, del 6% per cause cardiopolmonari e
dell’ 8% per cancro del polmone.
5. Inquinamento indoor
Lo sviluppo della BPCO sembra correlarsi in modo significativo
all’utilizzo di alcune sostanze usate come combustibili biologici in Asia
in Africa1. Infatti, nei paesi meno industrializzati le popolazioni, non
avendo a disposizione altra forma energetica per cucinare e riscaldarsi,
fanno largamente uso di legno, residui dei raccolti, letame, carbone, in
fuochi a cielo aperto o rudimentali stufe14. Numerosi studi disponibili in
letteratura hanno dimostrato che l’esposizione a questi
fumi di
combustione espone i soggetti a un rischio aumentato di sviluppare la
patologia ostruttiva bronchiale al pari dell’azione delle sostanze fonte di
inquinamento outdoor diffuse nei paesi industrializzati. Secondo gli
ultimi dati riportati dal GOLD attualmente circa 2 milioni di donne e
bambini ogni anno muoiono a causa dell’inquinamento indoor e
verosimilmente per cause respiratorie. Dennis e coll.
studiando un
gruppo di donne di basso livello socio-economico residente a Bogotà
18
(Colombia), hanno riscontrato che l’esposizione ai fumi del legno era
responsabile di circa il 50% dei casi di BPCO15; numerosi altri
ricercatori hanno indagato la relazione tra il fumo del legno e del
carbone e i sintomi ostruttivi respiratori giungendo sempre alla
conclusione che effettivamente queste sostanze sono un fattore di rischio
importante quanto il fumo di sigaretta nella patogenesi della BPCO. E’
interessante citare la ricerca svolta da Montano in cui analizza gli effetti
dell’esposizione al fumo del legno sull’espressione e sull’ attività delle
metalloproteinasi, concludendo ancora una volta che il danno al polmone
riscontrato è del tutto simile a quello che caratterizza pazienti affetti da
BPCO in cui la causa primaria è il fumo di sigaretta16. In seguito
Orozco-Levi, Garcia-Aymerich e coll, hanno ipotizzato il danno sul
parenchima polmonare indotto dal fumo del legno e del carbone usati per
cucinare in alcune aree rurali spagnole; infatti tra queste popolazioni
dopo la guerra civile era diffusa l’abitudine di usare tali forme di
combustibile risultando difficile reperire altro14. Fanno parte dello studio
soggetti che sono stati esposti a tali fumi in gioventù, ma anche soggetti
che attualmente sono esposti a tali fumi perché sta tornando in voga
l’uso domestico di stufe a legna, come avveniva in passato. In entrambi i
gruppi viene riscontrato lo stesso rischio di sviluppare i sintomi di
BPCO; ne scaturisce quindi una importante implicazione di salute
19
pubblica , con un impegno volto a migliorare i dispositivi di ventilazione
negli ambienti chiusi.
6. Stato socio-economico
Con questo termine si intende l’appartenenza a categorie sociali definite
da livello di istruzione, reddito, attività lavorativa, condizioni abitative.
Per varie patologie, tra cui la BPCO, si annovera il ruolo negativo svolto
dal basso livello socio-economico, tanto da essere considerato come
fattore di rischio sia per lo sviluppo della malattia, sia per l’aumento
della mortalità e questo rapporto inversamente proporzionale sembra
essere in continua ascesa. Tuttavia ancora non è molto chiaro se questo
fattore abbia un ruolo indipendente o agisca piuttosto come concausa
insieme al fumo di sigaretta e all’inalazione di sostanze ambientali. Uno
studio danese condotto da Prescott e Lange ha fatto notare la relazione
esistente tra il basso stato socio-economico e la diminuzione
della
funzionalità polmonare, indagata con i parametri FEV₁ e FVC, e
l’aumento dei ricoveri in ospedale per BPCO indipendentemente
dall’abitudine al fumo17.
7. Dieta
L’importanza dei fattori dietetici nella eziopatogenesi e nella
prevenzione di numerose malattie è divenuta negli ultimi anni oggetto di
20
crescente attenzione; si sta affermando sempre maggiormente la tesi che
una dieta povera di importanti principi nutritivi quali vitamine, proteine,
sali minerali può essere implicata nell’aumentata suscettibilità
individuale allo sviluppo di reazioni anomale a allergeni ambientali,fumo
di tabacco, agenti infettivi, inquinamento indoor e outdoor. Per quanto
concerne le patologie ostruttive bronchiali, il deficit di alcuni fattori
dietetici si ripercuote negativamente sulle reazioni infiammatorie, sulla
contrattilità della muscolatura bronchiale e infine sulle reazioni
enzimatiche alla base della trasmissione neuromuscolare18. Viene posta
l’attenzione sul deficit di vitamine antiossidanti, di acidi grassi omega 3
e sull’aumento degli omega 6.
È nota da molti anni l’azione antiossidante della vitamina C, E, del βcarotene,
dell’ubiquinone, dei flavonoidi e del
selenio; la nostra
attenzione si rivolge specialmente al loro ruolo nella difesa dagli insulti
ossidanti causati dal fumo di sigaretta e da altri inquinanti presenti
nell’aria respirata. Infatti, il controllo del bilancio ossido-riduttivo è un
punto critico per il mantenimento dell’integrità delle cellule polmonari.
È logico perciò dedurre l’importanza di una dieta ricca di frutta e
verdura, contenente vitamina C (broccoli, spinaci, pomodori, arance,
limoni), carotenoidi, vitamina E (vegetali, oli di semi, burro , uova),
21
flavonoidi (mele, limoni, arance, patate, thè), selenio (grano, carne,
molluschi).
Anche il sodio è implicato nello sviluppo della patologia ostruttiva
bronchiale, nell’ambito della regolazione del tono della muscolatura
bronchiale; è stato riscontrato che una dieta a elevato contenuto di sodio
potrebbe predisporre allo sviluppo di iper-reattività bronchiale per una
stimolazione della pompa Na/K ATP asi.
Numerose evidenze scientifiche attestano inoltre che la malnutrizione,
definita come BMI < 18.4 kg/m2, è un fattore prognostico negativo per i
pazienti affetti da BPCO e si correla soprattutto con le classi di maggiore
gravità. Le cause sono legate al diminuito introito orale di cibo,
all’aumento del lavoro dei muscoli respiratori derivante dall’alterazione
della meccanica respiratoria propria della malattia e infine, secondo
ultimi studi, a uno stato infiammatorio sistemico con secrezione di varie
citochine.
La carenza dei suddetti principi nutritivi, resa evidente inizialmente dalla
perdita di peso poi in stadi finali dalla anoressia e dalla cachessia, ha
ripercussioni anche sulla forza e sulla resistenza dei muscoli respiratori
tramite una riduzione della loro massa e della funzionalità delle restanti
fibre muscolari. Inoltre per enfatizzare questo concetto si riporta
l’evidenza clinica che la maggior parte degli enfisematosi gravi si
22
trovano in uno stato catabolico/cachettico; questo dato emerge, oltre che
dalla pratica clinica, anche da studi condotti su animali e da evidenze
scaturite da scansioni TC effettuate su donne anoressiche con
caratteristiche radiologiche simili all’enfisema.
Tuttavia emergono delle difficoltà nella valutazione precisa del ruolo di
questi elementi poiché sarebbe necessario indagare le precise abitudini
dietetiche di ogni soggetto in esame. Bisogna comunque ricordare che
negli USA le linee guida emesse dal National Cancer Institute (NCI)
raccomandano il consumo di cinque porzioni giornaliere di frutta e
verdura per un apporto di vitamina C superiore a 200 mg e una quantità
anche superiore per i fumatori.
Infine rientra nei fattori dietetici considerati come fattori di rischio
l’abuso di alcol, in quanto è associato da sempre a prevalenze più elevate
di BPCO e a un più rapido declino della funzionalità polmonare; è
comunque
giusto
ricordare
gli
effetti
antiossidanti
produttivi
dell’assunzione di una modica quantità di alcol al giorno19.
 Fattori endogeni
1. Genere
La maggiore prevalenza della BPCO nel sesso maschile riscontrata fino
a circa cinquanta anni fa era sicuramente riconducibile alle maggiori
23
percentuali di fumatori maschi, considerando il fumo di sigaretta il
principale fattore predittivo della riduzione del FEV₁. Negli ultimi anni
tuttavia la differenza tra maschi e femmine è andata sempre di più
decrescendo e la più plausibile spiegazione di questo fenomeno si ritrova
proprio nella maggior diffusione del tabagismo tra le donne20. Inoltre per
le donne non bisogna dimenticare l’importanza dell’esposizione
professionale discussa in precedenza.
2. Anamnesi familiare positiva
Non ci sono riscontri genetici che possano attestare una chiara
correlazione tra lo sviluppo di BPCO e precisi geni, anche se alcuni in
casi è possibile ritrovare aggregazione familiare. Alcuni ricercatori cinesi
hanno esaminato le PFR (Prove di Funzionalità Respiratoria) di bambini
figli di genitori con BPCO, confrontandole con quelle di bambini che
avevano genitori sani; da tale ricerca è emerso che effettivamente c’era
una riduzione del FEV₁ nei bambini con una storia familiare di BPCO ed
era correlata alla severità della malattia dei genitori21.
3. Malattie infettive durante l’infanzia
La rilevanza delle infezioni dell’albero bronchiale rispetto alla storia
naturale della BPCO è accertata sia per quanto riguarda la patogenesi e
la progressione della malattia, sia negli eventi di riacutizzazione. Le
24
malattie virali, ad esempio da adenovirus, contratte durante l’infanzia,
potrebbero causare uno stato di infezione latente nelle vie respiratorie
che
in età adulta, dopo l’esposizione al fumo di tabacco, si
amplificherebbe contribuendo così alla reazione locale tipica dell'epitelio
bronchiale dei pazienti con BPCO22. Analoga azione è esercitata
dall’insulto batterico che, innescando una risposta infiammatoria locale
con richiamo di macrofagi e leucociti, altera l’integrità dell’epitelio
ciliato e predispone così allo sviluppo della patologia ostruttiva in età
adulta23.
4. Deficit di α-1 antitripsina
La BPCO è una malattia complessa caratterizzata da una forte
interazione tra influenze provenienti dall’ambiente e predisposizione
genetica; tutti i fattori fin qui discussi hanno un peso diverso in ogni
individuo a seconda del pattern genetico con cui si confrontano. Diverse
alterazioni genetiche sono implicate nelle principali espressioni
fenotipiche della malattia, ma l’unico fattore di rischio scientificamente
provato è il deficit di α-1 antitripsina24. E’ uno dei principali inibitori
delle proteasi secrete dai neutrofili durante il processo infiammatorio, è
prodotto dal fegato ed è presente nel siero, nei liquidi tissutali e nei
macrofagi. Riveste quindi un ruolo cruciale nella protezione del tessuto
25
polmonare dalla distruzione operata dall’elastasi neutrofila e dagli altri
enzimi litici. Sono state descritte diverse varianti del locus genico PI
(PI: inibitore delle proteasi) che codifica per l’ α-1 antitripsina: l’allele
M si associa a livelli normali della molecola, l’allele S a livelli
lievemente ridotti e l’allele Z a livelli fortemente ridotti. La forma più
comune di deficit grave di α-1 antitripsina è il fenotipo PIZ con due alleli
Z o con un allele Z e uno NULL (si associa a una diminuzione di circa il
15% dei livelli plasmatici normali di α-1 antitripsina). L’aumentato
rischio di sviluppare BPCO è correlato a un pattern genetico recessivo
che è tipicamente diagnosticato con la focalizzazione isoelettrica del
siero. Studi condotti su pazienti fumatori con fenotipo PIZ hanno
evidenziato una tendenza a sviluppare forme precoci di BPCO rispetto a
casi controllo non fumatori, seppur con lo stesso pattern genico. La
stessa conclusione è stata tratta da una ricerca svolta in Svezia che
evidenzia una maggiore riduzione del FEV₁ nei fumatori affetti da tale
deficit genetico2. Opinioni discordanti invece riguardano il rischio di
malattia negli individui PIZ eterozigoti con livelli di α-1 antitripsina
intermedi (circa il 60% del normale). Come detto in precedenza esistono
altre alterazioni genetiche potenzialmente rilevanti, quali il deficit di α-1
antichimotripsina e di altre antiproteasi. E’ opportuno ricordare anche il
ruolo della idrolasi microsomiale e della Glutatione S-Trasferasi;
26
quest’ultimo è un enzima implicato nella detossificazione dei metaboliti
del fumo di sigaretta. Anche una ridotta quantità della eme-ossigenasi
costituisce un fattore di rischio non proteggendo la cellula dallo stress
ossidativo; altri fattori infine come i gruppi sanguigni A, B, 0, l’antigene
HLA, la proteina di legame con la vitamina D e l’alterazione dei geni
che codificano per il TNF-α sembrerebbero predisporre al danno
polmonare.
5. Basso peso alla nascita
Secondo alcuni ricercatori la diminuzione della funzionalità polmonare
in età adulta riflette precoci alterazioni incorse durante la maturazione
del polmone dalla vita fetale fino all’infanzia1. Infatti, un ridotto apporto
di nutrienti e di ossigeno impone al feto un necessario adattamento che
può tradursi in basso peso alla nascita e secondariamente in alterazioni
specifiche di cuore, polmoni, fegato, pancreas. Qualora si instauri quindi
una alterazione anatomica e funzionale dell’apparato bronchiale, nella
vita adulta il paziente sarà più suscettibile all’azione dannosa dei vari
fattori finora trattati.
1.2.2. Morbosità
L’impatto
della
BPCO
sul
piano
socio-sanitario
nazionale
e
internazionale è meritevole di attenzione, ma non è semplice fare una
27
corretta stima della morbosità per vari motivi. Per quanto riguarda le
popolazioni dei paesi in via di sviluppo i dati forniti non sono molto
precisi anche per la enorme variabilità dei sintomi e anche nei paesi
industrializzati la situazione non migliora, forse a causa della mancanza
di diagnosi precoci e della inadeguatezza dei mezzi con cui si compiono
tali ricerche. Ad esempio in Italia un database di riferimento è costituito
dalle Schede di dimissione ospedaliera del 1996. Sicuramente la
mortalità e la morbosità della BPCO variano da nazione a nazione ma in
generale questi dati possono essere correlati alla prevalenza del fumo di
tabacco e anche dell’inquinamento atmosferico e all’esposizione a
sostanze tossiche in ambito domestico e lavorativo. Purtroppo, dato
ormai certo e preoccupante, è la crescita esponenziale dei soggetti malati
di BPCO che si verificherà nelle prossime decadi1; questo andamento
rientra
in
un
dall’invecchiamento
nuovo
della
trend
epidemiologico
popolazione.
Infatti,
caratterizzato
a
causa
dell’allungamento della vita media e della diminuzione della natalità si
sta generando una nuova classe di pazienti caratterizzata dall’aumento
della disabilità e delle patologie croniche tra le quali un posto di rilievo è
occupato proprio dalla BPCO.
Non ci sono dati univoci sulla prevalenza della BPCO a causa dell’uso di
svariati termini diagnostici e criteri funzionali, nonostante siano
28
disponibili fonti di informazione autorevoli quali lo European Lung
White Book, Who Global Burden of Desease Study e altri siti web
specifici per ogni nazione. Se si fa riferimento ai criteri clinici quali ad
esempio questionari sottoposti al paziente volti a indagare la presenza e
il tipo di sintomi o le relazioni mediche, emerge che solo il 4-6% della
popolazione adulta soffre di BPCO10; questo perché i pazienti che si
trovano nello stadio 1 GOLD possono presentare pochi sintomi rilevanti
o addirittura non avvertire nessun problema di salute. Al contrario invece
se si fa diagnosi con i parametri spirometrici (FEV₁ < 80% del predetto e
FEV1/FVC < 70% del predetto) circa un quarto degli adulti di età
maggiore di quaranta anni possono essere inseriti nello stadio 1 della
BPCO. Al di là delle evidenti complessità, la relazione 2008 del GOLD
riporta i dati di prevalenza emergenti da tre autorevoli studi
epidemiologici: in primo luogo una metanalisi degli articoli scientifici
pubblicati su pubmed tra il 1990 e il 2004 e uno studio giapponese
stimano la prevalenza della BPCO negli adulti di età maggiore di
quaranta anni (in questo caso la diagnosi si basa sui parametri
spirometrici sopra citati) intorno al 9-10%. In secondo luogo riportiamo
lo studio multicentrico denominato PLATINO (Proyecto LatinoAmericano de Investigacion en Obstruccion Pulmonar), condotto nelle
cinque maggiori città di cinque Paesi sudamericani: San Paolo (Brasile),
29
Santiago (Cile), Città del Messico (Messico), Montevideo (Uruguay) e
Caracas (Venezuela)25.
Fig. 1 Prevalenza della BPCO in cinque città latino-americane (Studio PLATINO). Da voce
bibliografica n. 25 MOD.
I ricercatori grazie ai dati del FEV₁ e dell’indice di Tiffenau (FEV₁/FVC)
dopo broncodilatazione ottenuta con la somministrazione di 400 µg di
salbutamolo, hanno dimostrato la prevalenza dello stadio 1 della
broncopneumopatia cronica ostruttiva oscilla da un minimo di 18,4% a
Città del Messico fino al 32,1% a Montevideo.
L’importanza di questi dati si correla ancora una volta al fumo di
tabacco, considerato il maggior fattore di rischio: il tabagismo è
un’abitudine
molto
diffusa
in
Sudamerica
e,
riferendosi
alla
classificazione data da Lopez e coll. sull’epidemia del tabacco,
30
l’America Latina è considerata al secondo posto nel mondo. Nonostante
gli evidenti limiti dello studio PLATINO a causa della scelta delle città
più popolose e nell’ambito di queste solo delle aree urbane, esso viene
ritenuto importante poiché rientra nei progetti di salute pubblica
finalizzati alla lotta contro il tabagismo e alla prevenzione della BPCO in
America Latina. Ulteriori dati emergono dalla valutazione effettuata
nelle regioni asiatiche che si affacciano sul Pacifico26. Tra queste
popolazioni si registra una prevalenza di BPCO severa o moderata del
6,3% tra soggetti di età maggiore di trenta anni e ciò sembra correlarsi
strettamente all’esposizione a PM10 e PM 2.5, SO2, NO2, O3.
Studi epidemiologici condotti in Europa hanno dimostrato che la
prevalenza della malattia cresce con l’età, interessando soprattutto la
fascia di persone con età > 65 anni e in totale il 4-6% della popolazione
adulta soffre di BPCO in modo rilevante27. Lo studio multicentrico
ECRHS (European Comunity Respiratory Health Survey) condotto in 16
nazioni su una popolazione di quasi 18.000 soggetti di età compresa tra
20 e 44 anni ha dimostrato che la prevalenza media di bronchite cronica
in questa fascia d’età era circa del 2,6% con una varietà tra nazioni che
oscillava dallo 0,7% al 9,7%
28
. Questo studio ha anche dimostrato che
solo il 30% delle variazioni geografiche di prevalenza può essere
spiegato dalle differenze delle abitudini al fumo, suggerendo che altri
31
fattori quali quelli ambientali o genetici possano svolgere un ruolo
importante nello sviluppo della BPCO. Uno studio condotto dall’ISTAT
tra il 1999 e il 2000 su un campione di famiglie italiane ha riferito che la
percentuale di popolazione affetta da bronchite cronica, enfisema
polmonare o insufficienza respiratoria è stata pari al 4,4% (4,8% negli
uomini e 3,9% nelle donne) e i tassi di prevalenza più elevati compaiono
a un’età superiore a sessantaquattro anni (totale 14,1%, maschi 18,3%,
femmine 11,2%); nella regione Umbria la prevalenza è del 6,8%29.
Fig. 2 Prevalenza della BPCO in Italia (Dati Istat 1999-2000). Da voce bibliografica n. 29
MOD.
32
Fig. 3 Prevalenza della BPCO tra gli anziani in Umbria (Dati Istat 1999-2000). Da voce
bibliografica n29 . MOD.
Un importante contributo alla conoscenza della prevalenza effettiva della
bronchite cronica, della asma e della rinite allergica in Italia proviene
dall’Italian Study on Asthma in Young Adults (ISAYA, Studio Italiano
sull’asma nei giovani adulti) il quale prende origine dallo studio europeo
ECHRS che affronta temi analoghi , a sua volta voluto e sostenuto dalla
Comunità Europea e sviluppatosi tra il 1991 e il 2000. ISAYA è
un’indagine multicentrica cross-sectional sulla popolazione generale
adulta di età compresa tra 20 e 44 anni, che ha mostrato quanto elevata
sia la prevalenza di tosse e catarro cronici nei giovani adulti in Italia e ha
permesso di valutare la diffusione dell’abitudine al fumo in questa fascia
33
di età30. Con il secondo ciclo di ISAYA vi è stata l’estensione a nove
nuove Unità di ricerca localizzate nell’Italia centro-meridionale, tra cui
anche Terni. Alla luce dei risultati dello studio emerge che nel campione
della provincia umbra la prevalenza di bronchite cronica, riferita alla sola
presenza di tosse e catarro, è quasi del 6%, ma da tutto ciò manca la
valutazione dell’enfisema. Inoltre l’età media era di 35 anni circa e ciò
fa pensare che, con l’aumento di questa forma morbosa con l’età, si deve
temere una proiezione marcata negli anni futuri soprattutto tenendo
conto del ruolo del fumo30.
L’European Lung White Book fornisce una stima della morbosità, grazie
ai dati ricavati dalle visite ambulatoriali, dai ricoveri nei dipartimenti di
emergenza e dalle
richieste di ospedalizzazione: il numero delle
ospedalizzazioni nel 1994 erano di 125.508 in Germania, 73.342 in
Gran Bretagna, 45.624 in Spagna e 40.190 in Italia27.
Un’immagine della prevalenza della BPCO in Italia può essere desunta
dalle schede di dimissione ospedaliera, dalle quali emerge che nel 2000
il 20,6% dei pazienti dimessi per cause respiratorie era affetto da BPCO
(codificato come DGR - Diagnosis Related Group - 88): ciò significa
che 126.927 pazienti hanno comportato un totale di 1.159.995 giornate di
degenza con una media di 9,4 giorni31; in realtà anche questo dato può
34
essere soggetto a sottostima, poiché alcune riacutizzazioni sono state
codificate come insufficienza respiratoria.
Uno studio condotto in Olanda evidenzia che il problema della BPCO
andrà incontro a un notevole aumento nei prossimi decenni e
specialmente l’attenzione dovrà essere rivolta al numero sempre
crescente di donne affette da questa malattia; infatti l’abitudine al fumo
sempre più diffusa nel sesso femminile e l’invecchiamento della
popolazione giustificano questi dati32. Il totale degli anni di vita perduti a
causa della BPCO aumenterà del 60% e il totale di quelli aggiustati per
invalidità (Disability Adjusted Life Years DALYs) del 70%; secondo le
stime del Global Burden of Desease Study il totale degli anni vissuti con
disabilità (YLD- Years of Living with Disability) è pari a 1,68% su 1000
abitanti e corrisponde all’1,8% tra il totale degli YLD. Nel 1990 questa
patologia era al 12° posto tra le cause più comuni di disabilità nel mondo
e le previsioni del Global Burden of Disease Study la collocano al 5°
posto nel 2020 dopo cardiopatia ischemica, depressione grave, incidenti
stradali e vasculopatie cerebrali27.
Lo scenario italiano della BPCO e le sue connessioni con il genere e
l’abitudine al fumo è stato studiato da Viegi e coll. grazie a due studi
longitudinali condotti in un’area rurale sul Delta del Po e nell’area
urbana Pisa - Cascina in due momenti diversi tra il 1980 e il 198333.
35
Fig. 4 Tassi di prevalenza (%) di bronchite ed espettorato cronici, stratificati per abitudine
al fumo, nei maschi partecipanti agli studi del Delta del Po e di Pisa-Cascina. Da voce
bibliografica n. 33 MOD.
Fig. 5 Tassi di prevalenza (%) di bronchite ed espettorato cronici, stratificati per abitudine
al fumo, nelle femmine partecipanti agli studi del Delta del Po e di Pisa-Cascina. Da voce
bibliografica n.33 MOD.
36
L’esame dei risultati consente di notare come la prevalenza di bronchite
cronica sia nettamente inferiore a quella di espettorato cronico, sintomo
importante su cui viene fatta la diagnosi di bronchite cronica. Questo
lavoro dimostra il problema della sottostima della malattia qualora si
valuti la sola diagnosi di bronchite cronica definita dal sintomo
espettorato cronico. L’entità della sottodiagnosi è riportata in letteratura
tra il 25 e il 50%.
Anche i parametri spirometrici non risolvono totalmente il problema
della variabilità della stima, a causa dei diversi criteri adottati dalle
principali società scientifiche internazionali per definire il grado di
ostruzione bronchiale: ancora Viegi e coll. hanno dimostrato che il tasso
di prevalenza dell’ostruzione delle vie aeree è pari all’11% secondo
ERS, al 18% secondo GOLD, fino al 40% secondo ATS34.
L’impatto di quanto discusso finora a livello economico è notevole ed è
perciò meritevole di attenzione. Tipicamente l’onere è diviso in costi
diretti e costi indiretti.
I primi includono le spese per i ricoveri
ospedalieri, per le visite mediche, per l’assistenza domiciliare e per la
terapia farmacologica; i secondi invece comprendono gli effetti
disabilitanti della malattia che si traducono in perdita di giornate
lavorative, morti premature, limitazioni delle attività quotidiane, sportive
e ricreative. Nell’Unione Europea circa 41.300 giorni di lavoro per
37
100.000 cittadini vengono perse a causa della BPCO. Confrontando i
dati provenienti dai vari stati europei, quali l’Italia,la Francia, la Spagna,
l’Olanda, la Gran Bretagna, i costi totali sono piuttosto elevati. Le
differenze con gli altri paesi dipendono certamente dalle abitudini di vita
proprie di ogni popolazione e anche dai differenti piani assistenziali
nazionali che possono coprire o meno i presidi di ossigenoterapia e di
ventilazione meccanica a casa, l’assistenza domiciliare, i programmi di
riabilitazione1 .
Negli Usa nel 2004, 11,4 milioni di persone erano malate di BPCO e
circa 638.000 pazienti di età maggiore di 65 anni sono stati ricoverati nei
reparti ospedalieri. Questo ha comportato una spesa totale di 37,2
miliardi di dollari, divisi tra spese mediche e costi indiretti35.
Fig. 6 Costi totali per BPCO negli USA nel 2004. Da voce bibliografica n. 35 MOD.
38
Secondo previsioni statistiche nei prossimi decenni si registrerà un
aumento imponente di malati di BPCO che si ripercuoterà sulla spesa
sanitaria nazionale con dei costi previsti fino a 832,9 miliardi di dollari
negli USA35.
1.2.3. Mortalità
Anche nella valutazione della mortalità si assiste a una sottostima fino al
50%, dovuta alla possibile interferenza di vari fattori36,37. Ad esempio
negli anziani la morte può scaturire da un’alterazione dell’omeostasi
dell’organismo in cui le numerose complicanze pur avendo un ruolo
importante , si configurano in realtà solo come attori dell’evento finale
ma a questi è affidata la causa di morte e non alla BPCO come ci si
aspetterebbe, determinandone
così una apparente riduzione della
mortalità. Inoltre solo nella nona e decima revisione dell’ICD
(International Classification of Desease) la BPCO rientra nella categoria
“BPCO e condizioni collegate”, altrimenti in precedenza i dati venivano
registrati separatamente sotto il nome di bronchite cronica e di enfisema,
producendo così un ulteriore motivo di sottostima della mortalità della
malattia.
39
Lo scenario attuale delle cause di morte riserva un posto importante alla
BPCO: si stima che negli Stati uniti sia responsabile del 50% degli
eventi morte38.
Fig. 7 Mortalità per malattie polmonari negli USA nel 2001. Da voce bibliografica n.38
MOD.
Secondo le previsioni statistiche fornite dal Global Burden of Desease
Study nel 2020 salirà al terzo posto, a causa dell’epidemia del tabagismo
e del sovvertimento della piramide delle età.
Negli USA dal 1965 al 1998 è stata registrata un’interessante riduzione
dei tassi di mortalità per cause cardiovascolari, ma un forte aumento
delle morti per BPCO, pari al 163%1 ; questi numeri impongono la
40
necessità di una politica di lotta contro il fumo di sigaretta ancora più
aggressiva, altrimenti continuerà la drammatica epidemia di morte.
A livello mondiale e europeo sono presenti notevoli differenze tra i tassi
di mortalità per BPCO dei vari paesi, a causa della diversa distribuzione
del tabagismo e degli altri fattori di rischio e poi anche in relazione
all’uso di diverse popolazioni di riferimento e altri fattori “tecnici”; non
c’è dubbio che i tassi più alti vengano riscontrati nei paesi dove è più
diffusa l’abitudine al fumo. Ad esempio in Europa le nazioni con la più
alta mortalità per BPCO tra i maschi sono l’Ucraina, l’Irlanda, la
Romania, il Kazakistan; tra le donne invece si riporta la Romania,
l’Irlanda, il Kazakistan, la Danimarca27.
Fig. 8 Tassi di mortalità (/100.000) attribuibili a BPCO in Europa. Da voce bibliografica
n. 27 MOD.
41
Interessante è il caso della Gran Bretagna, dove negli ultimi trenta anni si
sta registrando una diminuzione della mortalità maschile perché il picco
massimo del tabagismo si è verificato molto tempo fa e al contrario un
incremento nelle femmine sempre dovuto alla crescente abitudine al
fumo di sigaretta39. Analizzando il tasso standardizzato di mortalità per
BPCO in Italia dal 1980 al 1998 si può osservare una discesa del 45%
rispetto all’inizio40; tuttavia questo dato non deve essere visto con
ingenuo ottimismo e non si deve incorrere nell’errore di sottostimare il
problema, pensando che l’Italia sia in controtendenza rispetto agli altri
paesi industrializzati. Infatti, il tasso di prevalenza dei fumatori correnti
molto alto e in aumento soprattutto nelle donne riflette il trend di
mortalità che si sta registrando in tutto il mondo. Attualmente In Italia le
malattie dell’apparato respiratorio rappresentano la terza causa di morte,
dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Il 50% di queste morti è
causato dalla BPCO; interessa le fasce di età più avanzate ed è 2-3 volte
maggiore nei maschi rispetto alle femmine1 .
42
1.3. Patogenesi
Il fumo di sigaretta, l’esposizione alle sostanze professionali,
l’inquinamento
indoor
e
outdoor,
causano
precise
alterazioni
anatomo-patologiche delle vie aeree periferiche e del parenchima
polmonare. L’infiltrato infiammatorio cellulare sia nelle fasi precoci che
tardive e il rimodellamento delle vie aeree periferiche sono alla base
dell’espressione clinica e funzionale della malattia.
I due principali
meccanismi che sottendono questi fenomeni sono lo squilibrio elastasi antielastasi e la teoria dello stress ossidativo1 .
Fig. 9 Patogenesi della BPCO. Da voce bibliografica n 1 . MOD.
43
La prima linea di difesa dell’organismo è rappresentata dall’immunità
innata, una risposta rapida e non specifica a microbi e particelle estranee
che in un secondo momento verrà sostituita dalla risposta immunitaria
specifica. Ad ogni aspirazione di sigaretta più di duemila composti e
circa 1014 radicali liberi aggrediscono l’epitelio ciliato. I prodotti
derivanti dallo stress cellulare si legano a recettori tipo Toll (TLR4 e
TRL2) posti proprio sull’epitelio; tramite l’attivazione a livello nucleare
della cascata di trascrizione del segnale mediata dal fattore NF-kB le
cellule
epiteliali
sono
stimolate
a
produrre
i
mediatori
dell’infiammazione. Questi a loro volta attiveranno i macrofagi alveolari
e i neutrofili41,42.
44
Fig. 10 Attivazione dei macrofagi alveolari e dei neutrofili. Da voce bibliogr. n 41 . MOD.
Il punto cruciale dello sviluppo della reazione infiammatoria risiede
nello squilibrio tra sostanze ossidanti e antiossidanti e tra proteasi e
antiproteasi. Il deficit dei meccanismi che contrastano l’azione
enzimatica distruttiva o un eccessivo insulto sull’epitelio ciliato
promuovono l’amplificazione del
processo infiammatorio che
normalmente si sviluppa a seguito del contatto con sostanze ritenute
estranee all’organismo.
Il motivo per cui tale reazione nei pazienti
fumatori affetti da BPCO ha proporzioni maggiori del previsto non è
45
attualmente
conosciuto,
si
presume
solo
l’esistenza
di
una
predisposizione genetica.
La seconda fase della catena di eventi prevede l’attivazione e la
proliferazione delle cellule T. Le sostanze ritenute dannose per
l’organismo, quali i prodotti del fumo di sigaretta, le cellule necrotiche e
le cellule in apoptosi sono catturate dalle cellule dendritiche42 . Queste,
grazie all’espressione di alti livelli delle proteine del complesso
maggiore di istocompatibilità di classe II (MHC II) e delle molecole
costimolatorie CD80 e CD86, veicolano le molecole dotate di proprietà
antigeniche ai linfonodi e le presentano ai linfociti T CD8+. A questo
punto tramite l’espressione di alcuni recettori per citochine, ad esempio
CXCR3, i linfociti T entrano in contatto con le vie respiratorie43.
46
Fig. 11 Espressione del recettore per citochina CXCR3. Da voce bibliografica n. 43 MOD.
Alcuni ricercatori hanno ipotizzato che dalle interazioni citochinerecettori, scaturirebbe una up-regulation della metallo proteinasi-12
(MMP-12) implicata nella distruzione delle strutture bronchiali. I
linfociti TCD8+ dopo aver riconosciuto l’antigene si differenziano in
cellule mature CTL (citotossiche) innescando il processo di lisi cellulare.
L’attività citotossica dei linfociti T CD8+ si esplica con il rilascio di
perforina, granzima A e B, granulosina, cioè enzimi proteolitici che
innescano il processo di necrosi e di apoptosi cellulare. Man mano che la
malattia progredisce attraverso gli stadi più avanzati è possibile
riscontrare nei polmoni dei fumatori con BPCO una quota sempre
maggiore di linfociti T CD8+ e di cellule apoptotiche.
47
Inoltre la caratterizzazione linfocitaria dimostra la presenza della
sottopopolazione T CD4+; le cellule dendritiche secernono IL-12 che
permette la differenziazione dei linfociti T in cellule TH1 che producono
IFN-γ, particolarmente importante nel reclutamento di altre cellule
infiammatorie42 .
La principale funzione delle cellule TH1 è l’attivazione dei macrofagi, la
secrezione di IFN-γ, che favorisce l’ulteriore differenziazione in senso
TH1 inibendo la proliferazione delle cellule TH2 e il potenziamento
dell’azione microbicida dei macrofagi stessi. I macrofagi attivati
inducono un processo infiammatorio acuto mediante la secrezione di
TNF-α, IL-1, IL-6 e la produzione di mediatori lipidici, quali il PAF
(fattore attivante le piastrine), le prostaglandine (PG) e i leucotrieni44.
Fig. 12 Attivazione dei macrofagi alveolari. Da voce bibliografica n. 44 MOD.
48
L’effetto complessivo è l’eliminazione dei microbi e delle sostanze
estranee all’organismo. I macrofagi inglobano le molecole dotate di
proprietà antigeniche in vescicole chiamate fagosomi, che fondendosi
con i lisosomi formeranno i fagolisosomi. I meccanismi microbicidi dei
neutrofili includono l’attività degli enzimi lisosomiali come l’elastasi e
l’azione dell’ossido nitrico e degli intermedi reattivi dell’ossigeno. I
fagociti contengono il sistema enzimatico dell’ossidasi fagocitica, capace
di convertire l’ossigeno molecolare nei radicali liberi utilizzando come
fattore la forma ridotta del NADP ( Nicotinnamide Adenina Dinucleotide
Fosfato ), in un processo noto come “Burst Ossidativo”; i particolari in
merito all’azione dei ROI (Reacting Oxygen Intermediate – Intermedi
Reattivi dell’Ossigeno)
sono stati già affrontati precedentemente. I
macrofagi possono generare radicali liberi anche tramite la “sintetasi
inducibile dell’ossido nitrico” (iNOS), un enzima contenuto nel citosol
dei macrofagi quiescenti, la cui sintesi può essere rapidamente indotta
grazie all’ IFN-γ. L’enzima catalizza la conversione dell’arginina in
citrullina, con conseguente liberazione di ossido nitrico diffusibile; nei
fagosomi, a pH acido, l’ossido nitrico combinandosi con i radicali liberi
generati dall’ossidasi fagocitica conduce alla formazione dei radicali
perossinitrito, altamente microbicidi. I macrofagi e i neutrofili non sono
tuttavia capaci di discriminare il tessuto sano dalle sostanze dannose;
49
quindi un’attivazione incontrollata di questi meccanismi può condurre
alla distruzione del parenchima sano. Inoltre se lo stimolo antigenico
perdura nel tempo e i sistemi microbicidi non sono efficaci si verifica la
cronicizzazione del processo. I macrofagi continuano a produrre
citochine e fattori di crescita che lentamente e inesorabilmente
modificano l’architettura tissutale. Pian piano il tessuto danneggiato è
sostituito da materiale connettivale facendosi strada il processo fibrotico.
La BPCO è una malattia infiammatoria complessa che prevede
l’attivazione di molte cellule infiammatorie e il rilascio di numerosi
fattori, includendo mediatori lipidici (prostanoidi, leocotrieni, PAF),
specie reattive dell’ossigeno, ossido nitrico, mediatori peptidici,
chemochine , citochine, fattori di crescita, proteasi 45. La combinazione e
l’interazione di queste molecole sono alla base delle alterazioni
fisiopatologiche della BPCO.
In merito ai mediatori lipidici bisogna analizzare il ruolo di prostanoidi,
leucotrieni e PAF. Tra i prostanoidi, il ruolo della PGE-2 è controverso:
è presente in concentrazioni elevate nei pazienti con BPCO,
presumibilmente a causa dell’induzione mediata da TNF-α e IL-1β; la
sua azione broncodilatatrice antinfiammatoria e anticolinergica è
controbilanciata dagli effetti negativi dell’ipersecrezione mucosa e
dell’espressione dei geni della mucina. La PGF-2α ad attività
50
broncocostrittrice, si presenta ugualmente a concentrazioni maggiori
nei pazienti con BPCO. Infine analizzando la concentrazione urinaria del
maggiore metabolita del trombossano, alcuni ricercatori hanno ipotizzato
una correlazione tra il grado dell’ipossia e la sua reversibilità grazie
all’ossigeno terapia. Anche i leucotrieni sembrano implicati nel processo
infiammatorio;
specificatamente
LTB-4
è
un
potente
fattore
chemiotattico per i neutrofili ed è espresso a livelli aumentati
nell’espettorato dei pazienti soprattutto in fase di riacutizzazione.
I mediatori peptidici importanti ai fini di una futura terapia antiinfiammatoria sono l’endotelina, la bradichinina, le tachichinine, i
Frammenti del Complemento. L’endotelina (ET1) agisce causando la
costrizione e l’iperplasia della muscolatura liscia vasale; il suo
incremento, particolarmente durante le fasi di acuzie di malattia, può
essere implicato nell’ipertensione polmonare secondaria in pazienti
malati di BPCO. Sebbene il ruolo maggiore della bradichinina sia stato
studiato riguardo all’asma, secondo alcuni ricercatori costituisce un
potente stimolo alla broncocostrizione e alla ipersecrezione mucosa
anche nell’ambito della BPCO. Le già note funzioni chemiotattiche della
frazione C5a del Complemento sono state correlate anche al processo
infiammatorio oggetto della nostra discussione.
51
Sono stati condotti numerosi studi sul ruolo delle citochine nelle diverse
fasi del processo infiammatorio; in particolare l’attenzione è stata rivolta
al TNF-α, all’IL-6, all’IFN-γ.
Il Tumor Necrosis Factor α è il principale mediatore della risposta
infiammatoria acuta ai batteri Gram– e ad altri agenti infettivi; secreto
dai macrofagi e dai linfociti T attivati, favorisce il reclutamento dei
neutrofili e dei monociti nei focolai di infezione attivandone le funzioni
microbicide46. Media questi effetti inducendo nelle cellule endoteliali
l’espressione di molecole di adesione, come i ligandi per le integrine
leucocitarie e quelli per le selectine endoteliali, e stimolando la
secrezione
di
citochine
come
IL-1
e
chemochine.
L’azione
pro- infiammatoria del TNF-α non si limita al compartimento polmonare
ma ha importanti ripercussioni a livello sistemico. E’ normalmente
sintetizzato come precursore a 26 KDa e solo dopo stimolo adeguato è
convertito nella forma biologicamente attiva a 17 KDa pronta per il
rilascio. L’elevata concentrazione di questa citochina è stata riscontrata
nell’espettorato dei soggetti affetti da BPCO sia in fase di stabilità sia in
fase di riacutizzazione. Alcuni ricercatori studiando dei topi knock-out
per il recettore del TNF-α suggeriscono che il 70 % dell’enfisema
indotto dal fumo di sigaretta sia legato proprio a questa citochina45. E’
molto importante perciò riconoscere lo spettro di effetti infiammatori
52
promossi dal TNF-α: induce l’attivazione dei neutrofili, dei monociti, dei
macrofagi, dell’epitelio, provoca ipersecrezione mucosa e induce la
distruzione del parenchima polmonare tramite l’azione delle proteinasi.
Merita la nostra attenzione anche l’IL-6, prodotta dai macrofagi, dai
linfociti T e dalle cellule endoteliali in risposta allo stimolo
infiammatorio. Anche in questo caso il riscontro di alti livelli della
molecola nel plasma e nell’espettorato correla con la patogenesi
infiammatoria oggetto di questa trattazione45. La scena è governata da
numerose altre citochine che interagiscono l’un l’altra e perpetuano il
processo infiammatorio: IL-9, IL-12, IFN-γ.
Le alterazioni strutturali delle vie aeree periferiche e centrali, del tessuto
polmonare e dei vasi polmonari scaturiscono dall’azione di alcuni fattori
di crescita45. Il TGF-β (fattore di crescita trasformante), attivato dalla
metalloproteinasi 9, indurrebbe la distruzione alveolare e l’inattivazione
della α-1antitripsina, potenziando così l’azione proteolitica dell’elastasi
neutrofila47.
53
Fig. 13 Espressione del TGF-β a livello alveolare. Da voce bibliografica n. 47 MOD.
L’EGFR (fattore di crescita epidermico) ha un ruolo chiave nella
regolazione dell’ipersecrezione mucosa tramite la stimolazione dei geni
per la mucina (MUC5AC e MUCB), la differenziazione delle “Goblet
Cells” e l’iperplasia delle cellule mucosecernenti. Il VEGF (fattore di
crescita dell’endotelio vascolare) è coinvolto nel rimodellamento dei vasi
polmonari e condiziona lo sviluppo dell’ipertensione polmonare negli
stadi finali della BPCO48.
54
Fig. 14 Espressione del VEGF. Da voce bibliografica n. 48 MOD.
Infine l’FGF (fattore di crescita dei fibroblasti) e i suoi recettori sono
espressi in modo anomalo e eccessivo nella muscolatura liscia vasale e
polmonare e nelle cellule epiteliali delle vie aeree dei pazienti con
BPCO45.
Vari studi dimostrano che oltre cinquanta chemochine, legandosi a più di
venti tipi diversi di recettori di superficie, sono implicate nel processo
infiammatorio della BPCO49. I loro recettori appartengono alla
superfamiglia dei recettori a sette domini α-elica trans-membrana,
accoppiati a proteine G, e sono espressi sulle cellule infiammatorie;
alcune di queste molecole sembrano selettive per singoli recettori mentre
altre si legano a più tipi di essi. Sono conosciute quattro differenti
famiglie di chemochine divise in base alla posizione del residuo critico
della cisteina. Dall’interazione chemochina-recettore deriva l’attivazione
della via di trasduzione del segnale, che conduce a chemiotassi,
55
proliferazione,
differenziazione
e
sopravvivenza
delle
cellule
infiammatorie.
Ai fini della nostra discussione è utile dividere le chemochine in tre
gruppi a seconda dei recettori a cui si legano. CXCL-1, CXCL-5, CXCL8 interagiscono con il recettore CXCR-2 posto sui neutrofili.
L’espressione di CXCL-8 è notevolmente aumentata nell’espettorato e
nel BAL dei pazienti malati di BPCO e si correla con l’accumulo di
neutrofili nelle vie bronchiali, specificatamente durante gli eventi acuti
della malattia. CXCL-1, secreta dai macrofagi alveolari e dalle cellule
epiteliali delle vie aeree in risposta al TNF-α e al IL-17, si trova a
concentrazioni molto elevate nel BAL dei pazienti fumatori con BPCO;
è stato ipotizzato che questa molecola, incrementando il numero di
macrofagi alveolari nei polmoni dei pazienti affetti da tale patologia,
potrebbe essere alla base dei meccanismi molecolari di suscettibilità al
fumo di sigaretta. Anche i livelli di CXCL-5 correlano positivamente con
la riacutizzazione del processo infiammatorio della BPCO. Il legame
delle tre chemochine esaminate con il recettore provoca la chemiotassi e
l’attivazione dei neutrofili nel sito di azione. La seconda famiglia di
chemochine include CXCL-9, CXCL-10 e CXCL-11 che attivano il
recettore CXCR-3, posto sui linfociti TCD8+. Le vie periferiche dei
soggetti in esame esprimono concentrazioni elevate di questo recettore e
56
delle relative chemochine. Ne deriva un potente segnale di attivazione
per i linfociti TCD8+. Infine le chemochine CXCL-1 e CCL-2, secrete
dai macrofagi alveolari, legandosi ai recettori CXCR-2 e CCR-2, posti
sui monociti, potenziano la cascata infiammatoria.
Queste molecole hanno un ruolo chiave nella regolazione e nella
veicolazione
delle
cellule
infiammatorie
agli
organi
target;
l’identificazione delle diverse molecole e degli inibitori dei loro recettori
è oggetto delle più autorevoli ricerche scientifiche.
Infine i linfociti B sono importanti nel perpetuare la risposta
immunitaria. La loro proliferazione avviene in risposta a antigeni virali e
batterici che caratterizzano le riacutizzazioni della malattia42 . Gli eventi
infettivi acuti fanno parte del resto della storia naturale della BPCO e
non sorprende che intensifichino la risposta infiammatoria cellulare
agendo anche sui linfociti B.
La scoperta dei fattori infiammatori, sia cellulari sia umorali, specifici di
queste reazioni potrebbe offrire la possibilità di una inibizione selettiva
di questi meccanismi e quindi, potenzialmente, migliorare la prognosi
della malattia stessa anche nelle forme più gravi.
57
1.4. Anatomia patologica
Secondo la definizione fornita dalle più recenti linee guida GOLD la
BPCO è una malattia caratterizzata da riduzione di flusso aereo non
completamente reversibile, progressiva, associata alla presenza di
alterazioni infiammatorie. La broncostruzione non completamente
reversibile rappresenta l’impatto sulla funzionalità respiratoria delle
alterazioni molecolari e anatomopatologiche presenti nel polmone dei
soggetti con BPCO. Come è noto il flusso aereo è influenzato dalla
pressione di spinta che lo genera, dovuta alla forza di retrazione elastica
del polmone e dalle resistenze che vi si oppongono (F = ΔP/R). La
riduzione del flusso aereo in primo luogo può scaturire da una
diminuzione della forza di retrazione elastica del polmone, causata
principalmente dalla distruzione parenchimale tipica dell’enfisema; il
secondo fattore causale può essere l’aumento delle resistenze, derivante
dal processo infiammatorio delle vie aeree periferiche che tramite
l’incremento dello spessore della parete bronchiale genera un
restringimento del lume bronchiale. Quindi le modificazioni funzionali
dei soggetti con BPCO sono imputabili principalmente ad alterazioni che
coinvolgono il parenchima polmonare e le vie aeree periferiche; tuttavia
anche le vie aeree centrali sono responsabili dei sintomi della malattia in
58
quanto in questi siti avviene l’iperproduzione di muco che caratterizza la
bronchite cronica.
La caratterizzazione del processo infiammatorio presente nelle vie aeree
centrali di soggetti con bronchite cronica è stata oggetto di numerosi
studi. Macroscopicamente si possono osservare iperemia, tumefazione ed
edema della mucosa, spesso accompagnati da eccessiva secrezione
mucosa tanto che a volte i bronchi e i bronchioli sono zaffati da densi
cilindri di secrezioni50. L’aspetto istologico è dominato dal processo
infiammatorio cronico: le cellule predominanti nella parete delle vie
aeree centrali sono i macrofagi e i linfociti TCD8+, che correlano con il
grado di broncostruzione, avvalorando l’ipotesi che queste cellule
possano avere un ruolo nella progressione della malattia51. Nel lume
bronchiale prevalgono invece i neutrofili, facendo supporre che queste
cellule, dopo essere state reclutate dai vasi del circolo bronchiale,
migrino verso il lume attraversando la zona sottoepiteliale ed epiteliale.
Questo processo sarebbe favorito da una riduzione dell’azione
antinfiammatoria dell’IL-10 e da un aumento dell’IL-8 e del TNF-α, cui
seguirebbe l’aumentata espressione delle molecole di adesione (ESelectina e ICAM-1). E’ stata inoltre riscontrata una spiccata neutrofilia
anche nelle ghiandole bronchiali di questi soggetti; tale dato potrebbe
giustificare l’ipersecrezione di muco tipico della bronchite cronica 51. Il
59
numero delle cellule caliciformi aumenta solo lievemente, ma è
significativo l’incremento delle dimensioni ghiandolari, valutato tramite
l’Indice di Reid. Esprime il rapporto tra lo spessore dello strato
ghiandolare e lo spessore della parete tra l’epitelio e la cartilagine e ha
un valore normale di 0,4. Nella Bronchite cronica è solitamente
aumentato e correla con la gravità e la durata della malattia.
Le vie aeree periferiche sono la sede di importanti alterazioni
anatomopatologiche alla base dell’aumento delle resistenze e quindi
della riduzione di flusso dei pazienti con BPCO . Le analisi istologiche
hanno dimostrato la presenza di uno stato infiammatorio, di ipertrofia
del muscolo liscio, di fibrosi, la distruzione degli attacchi alveolari e
l’iperplasia delle cellule caliciformi mucipare52.
Fig. 15 Alterazioni anatomopatologiche delle vie aeree periferiche. Da voce bibliografica n.
52 MOD.
60
I processi infiammatori nel loro insieme inducono il “rimodellamento
strutturale” delle vie aeree attraverso l’aumento dello spessore della
parete e anche tramite la distruzione degli attacchi alveolari, cioè di
quelle pareti alveolari che ancorandosi alle vie aeree contribuiscono a
mantenerle aperte. L’importanza di questo processo nei fumatori è tale
che giustifica la perdita della retrazione elastica del polmone e quindi il
grado di broncostruzione. Un'altra evidenza istologica è la sostituzione
delle cellule di Clara con cellule caliciformi mucipare metaplastiche da
cui deriverebbe l’iperproduzione di muco da un lato e dall’altro la
diminuzione di surfactante bronchiolare. La diretta conseguenza sarebbe
l’aumento della tensione superficiale e l’occlusione del lume e la
chiusura finale delle vie aeree. La broncostruzione potrebbe essere
spiegata anche con l’azione dei neutrofili sulla muscolatura liscia delle
vie aeree periferiche. Queste cellule, normalmente assenti in questa sede,
secernendo IL-8 potrebbero stimolare la proliferazione delle cellule
muscolari aumentando così lo spessore della parete bronchiale e
favorendo la riduzione del flusso aereo. Grazie alle ricerche svolte dal
gruppo di Hogg è stata esaminata l’evoluzione delle lesioni
anatomopatologiche attraverso i quattro stadi della malattia. E’ stato
dimostrato un aumento crescente della gravità delle lesioni man mano
che si passa dallo stadio 0 allo stadio 453.
61
Fig. 16 Il riquadro A dimostra la presenza di un follicolo linfoide con un centro germinativo
nel tessuto linfoide bronchiale;il riquadro B mostra un altro follicolo in cui il centro
germinativo contiene le cellule B; il riquadro C mostra che l’area intorno al follicolo
contiene cellule CD4+; il riquadro D mostra il rimodellamento bronchiale. Da voce
bibliografica n. 53 MOD.
Le caratteristiche più importanti osservate sono l’aumento dell’essudato
infiammatorio del lume, in particolare linfociti T e B, fino a giungere
all’organizzazione in veri e propri follicoli con un centro germinale ricco
di linfociti B, circondato da una regione periferica ricca di linfociti T,
unitamente a un inspessimento di tutte le componenti della parete delle
vie aeree periferiche (epitelio, sottomucosa, muscolo liscio e avventizia).
Gli autori hanno così ipotizzato un viraggio dalla risposta dell’immunità
innata nelle fasi iniziali fino allo sviluppo della risposta acquisita.
62
Fig. 17 I riquadri A e B mostrano la risposta infiammatoria acuta misurata come
percentuale delle cellule misurate nelle vie aeree; Il riquadro C mostra l’associazione tra la
densità cellulare e il FEV1; il riquadro D correla la percentuale delle vie aeree che
contengono follicoli linfoidi con la parete delle vie aeree. Da voce bibliografica n. 53 MOD.
L’ultima sede che deve essere analizzata è il parenchima polmonare,
principalmente caratterizzato dalla distruzione dei setti alveolari, tipica
dell’enfisema. È definito come distruzione e allargamento degli spazi
aerei distali al bronchiolo terminale in assenza di evidenti segni di
fibrosi54. Nei fumatori sono descritti due tipi di enfisema: enfisema
centroacinare (o centrolobulare), caratterizzato da aree di distruzione
intorno ai bronchioli terminali nella zona centrale dell’acino e circondate
63
da aree di parenchima normale e enfisema paracinare (o panlobulare),
caratterizzato dalla distruzione omogenea di tutto l’acino55. Quest’ultima
forma si ritrova solitamente nei soggetti giovani affetti da deficit
genetico di α-1 antitripsina ed è aggravato dal fumo di sigaretta, mentre
l’altra forma tipicamente caratterizza i fumatori.
Fig. 18 Immagini al microscopio ottico: A) polmone normale; B) polmone di un soggetto
con enfisema centroacinare; C) polmone di un soggetto con enfisema panacinare. Da voce
bibliografica n. 55 MOD.
Le alterazioni funzionali tipiche dell’enfisema possono però avere basi
fisiopatologiche diverse; nei fumatori con enfisema centroacinare forse
prevale l’infiammazione delle vie aeree periferiche che causa l’aumento
delle resistenze, mentre nell’altra categoria di soggetti l’alterazione
predominante è la perdita di forza di retrazione elastica causata dalla
64
distruzione parenchimale. Ancora una volta gli attori della distruzione
dei setti alveolari sono prevalentemente i linfociti TCD8+ e le cellule
infiammatorie riscontrate nei setti alveolari. Da un punto di vista
strettamente microscopico nei polmoni enfisematosi è comune il
riscontro di alveoli esageratamente ampi e separati da sottili setti, i pori
di Khon sono notevolmente dilatati; si può osservare riduzione anche
una riduzione degli alveoli addossati alle pareti esterne delle vie aeree di
calibro minore. Con la progressione della malattia ci sono spazi aerei
abnormemente allargati e anche vescicole o bolle; la distruzione
enfisematosa può divenire talmente importante da comprimere e
deformare i bronchioli respiratori e i vasi polmonari50 .
65
1.5. Fisiopatologia
E’ ragionevole pensare che le modificazioni sopra ricordate portando a
precoci alterazioni della morfologia delle vie aeree, determinino
importanti conseguenze funzionali, quali l’ostruzione al flusso aereo non
completamente reversibile, l’iperinflazione polmonare, le anomalie degli
scambi gassosi ed eventualmente l’ipertensione polmonare e il cuore
polmonare56. Questi fenomeni sono citati in ordine crescente di gravità
poiché si sviluppano progressivamente nel tempo, man mano che il
paziente attraversa i vari stadi di malattia. Il fattore strutturale più
evidente che determina l’ostruzione al flusso aereo è la diminuzione
della forza di retrazione elastica che deriva dalla riduzione del numero di
attacchi alveolari alla parete esterna delle vie aeree periferiche. Esiste,
infatti, una stretta continuità anatomica tra la parete bronchiolare, le fibre
dei setti alveolari e il connettivo della pleura viscerale, che permette la
trasmissione delle variazioni di pressione pleurica a tutte le strutture
adiacenti e la loro espansione consensuale. Inoltre la riduzione della
trazione elastica facilita il fenomeno della “compressione dinamica”
delle piccole vie aeree, cioè di quelle con diametro < 2mm e prive di
sostegno cartilagineo. In condizioni di espirazione normale la pressione
alveolare (Pa) che determina il flusso di aria in uscita dall’alveolo è data
dalla somma della retrazione elastica e della pressione endopleurica (Pe).
66
A causa della resistenza al flusso d’aria si osserverà una caduta di
pressione lungo le vie aeree. Nell’espirazione forzata la Pe diventa
positiva, con conseguente aumento della Pa e quindi del flusso
espiratorio. C’è un punto tra gli alveoli e la bocca, in cui la pressione
delle vie aeree è uguale alla Pe, cioè il punto di ugual pressione, oltre il
quale la Pe è maggiore della pressione delle vie aeree, che sono quindi
compresse dinamicamente57.
Fig. 19 Modello monalveolare di polmone in fase espiratoria forzata. Plp=Pressione
pleurica (cm H2O); EPP=Punto di ugual pressione. Da voce bibliografica n.57
MOD.
Se il soggetto compie sforzi espiratori molto grandi, la Pe cresce molto
durante l’espirazione, facendo così spostare il punto di ugual pressione
verso le zone più profonde del polmone, perchè la resistenza delle vie
aeree aumenta con il diminuire del volume del polmone e dunque la
pressione all’interno delle vie aeree stesse cade più rapidamente in
67
rapporto alla distanza dagli alveoli. Si verifica così la chiusura precoce di
alcuni bronchioli in fase espiratoria e l’intrappolamento dell’aria espirata
a valle di queste vie aeree chiuse, contribuendo all’aumento del volume
residuo. L’ostruzione al flusso fa si che i flussi espiratori in condizioni di
riposo siano già massimali e non siano modificabili dall’attività dei
muscoli espiratori, determinando la condizione funzionale della
limitazione del flusso espiratorio (EFL). Questo tipo di limitazione di
flusso, nei soggetti normali, si osserva solo durante l’espirazione forzata,
mentre in corso di enfisema grave si presenterà già durante la normale
espirazione. In questa fase il solo modo per incrementare i flussi
espiratori è cercare di aumentare la pressione di retrazione elastica del
polmone, respirando a volumi più elevati. I pazienti che hanno
ostruzione e limitazione al flusso, respirando già a livelli massimali, non
possono aumentare i flussi inspiratori e espiratori poiché c’è un
incremento della capacità funzionale residua (CFR) con riduzione della
capacità inspiratoria (CI). (CI = CPT – CFR)
68
Fig. 20
L’aumento stabile della CFR al di sopra della norma viene definito
“iperinflazione polmonare” e si verifica ogni volta che la durata
dell’espirazione sia insufficiente a consentire l’efficace svuotamento dei
polmoni, prima della successiva inspirazione. La perdita della forza di
retrazione elastica sposta il punto di equilibrio elastico del polmone (cioè
il punto dove la forza di retrazione elastica del polmone è
controbilanciata esattamente dalla forza di espansione della parete
toracica) dal normale 35% della capacità vitale verso il punto di
equilibrio elastico della parete toracica (55% della capacità vitale)56. A
69
causa dell’eccessiva riduzione del flusso espiratorio, questo nuovo punto
di equilibrio non viene raggiunto nel tempo disponibile per
un’espirazione corrente e così un nuovo sforzo inspiratorio sopraggiunge
prima che l’espirazione sia completata. Il volume che rimane nei
polmoni per questo meccanismo varia in maniera dinamica e
proporzionale all’entità dell’ostruzione, alla compliance del polmone,
alla frequenza respiratoria e alla quantità di volume inspirato. Si genera
in tal modo una pressione alveolare positiva alla fine dell’espirazione,
nota come PEEPi ( intrinsic Positive end-expiratory Pressure), che può
essere assunta come “soglia inspiratoria”: il flusso inspiratorio può
iniziare solo quando la pressione sviluppata dai muscoli inspiratori
controbilancia e supera la PEEPi
58
. L’iperinflazione, in fase iniziale,
contribuisce a compensare l’ostruzione bronchiale: mantiene il flusso
espiratorio massimale durante il respiro tranquillo, perché con l’aumento
del volume polmonare c’è un lieve incremento della pressione di ritorno
elastico, le vie aeree si distendono e le resistenze si riducono. Tuttavia la
cupola diaframmatica subisce un appiattimento con conseguenze
negative. Diminuendo la zona di apposizione tra diaframma e parete
addominale, la pressione positiva addominale inspiratoria non può essere
applicata
efficacemente
alla
parete
toracica,
ostacolando
così
l’inspirazione. Inoltre secondo la legge di Laplace (P = 2T/r con
70
P=pressione, T=tensione, r=raggio) le fibre appiattite del diaframma
dovranno generare una tensione maggiore necessaria per sviluppare la
pressione trans-polmonare richiesta per mantenere il respiro corrente; tali
fibre muscolari sono quindi meno efficienti. Tutto ciò contribuisce a un
aumento del lavoro respiratorio totale.
Nel polmone normale il lavoro espiratorio richiesto per superare la
resistenza offerta dalle vie aeree viene compiuto sfruttando l’energia
immagazzinata nelle strutture elastiche che si sono espanse durante
l’inspirazione.
Fig. 21 Diagramma Volume-Pressione del sistema respiratorio che mostra l’aumento del
lavoro elastico provocato dall’iperinsufflazione dinamica. A: lavoro elastico normale; B:
lavoro elastico che inizia a volume maggiore di Vr ; CV: capacità vitale. Da voce
bibliografica n. 58 MOD.
71
La curva pressione-volume del polmone affetto da BPCO mostra che il
lavoro totale è aumentato in virtù della diminuzione della forza di
retrazione elastica e dell’aumento delle resistenze delle vie aeree.
I fenomeni finora trattati si valutano tramite l’analisi della curva flussovolume e dell’intero esame spirometrico in condizioni di respiro corrente
e durante la respirazione massimale. I classici parametri oggetto di
valutazione sono il flusso espiratorio massimo al primo secondo (FEV₁),
la capacità vitale forzata (FVC) e il rapporto tra FEV1 e FVC, cioè
l’Indice di Tiffenau.
72
Fig. 22 Esame spirometrico di un soggetto con deficit disventilatorio di natura ostruttiva di
grave entità. ( Mod da Azienda Ospedaliera “S.Maria”Terni; S.C. Mal App Resp. )
Il processo infiammatorio, l’essudato bronchiale e il rimodellamento
delle vie aeree correlano con la riduzione del FEV1 e dell’indice di
Tiffenau. Proprio su questa base le linee guida GOLD propongono una
suddivisione della malattia in quattro stadi crescenti di gravità, definiti
dall’indice di Tiffenau < 70% e da un progressivo decremento dei valori
del FEV11 .
73
Fig. 23 Classificazione di gravità della BPCO secondo le linee guida GOLD 2008. Da voce
bibliografica n 1. MOD.
Nella BPCO grave l’ostruzione delle vie aeree periferiche, la distruzione
del parenchima e le alterazioni strutturali dei vasi polmonari causano
anomalie degli scambi gassosi: inizialmente si manifesta ipossiemia e
solo nelle fasi finali si potrà avere ipercapnia. Queste condizioni possono
essere valutate con l’emogasanalisi del sangue arterioso o in alternativa,
ma solo per quanto riguarda l’ossigenazione, tramite la misura non
invasiva della saturazione dell’emoglobina per l’ossigeno (SatHbO2%)
poiché la riduzione della pressione parziale dell’ossigeno nel plasma
(PaO2) comporta una riduzione della SatHbO2%. Generalmente
l’ipossiemia si manifesta prima solo durante lo sforzo fisico poi compare
74
anche a riposo. Il principale meccanismo che sta alla base
dell’ipossiemia è l’alterazione del rapporto ventilazione/perfusione
(V/Q), dovuto a:
a) Ridotta ventilazione a causa dell’infiammazione delle vie aeree e
della distruzione delle pareti alveolari
b) Ridotta perfusione per la distruzione del letto vascolare distribuito
nei setti alveolari
c) Disomogeneità di queste anomalie
In queste regioni anatomicamente alterate si verifica una riduzione della
superficie disponibile per la diffusione dei gas, dimostrata dalla
riduzione della capacità di diffusione del monossido di carbonio per litro
di volume alveolare (DLCO/VA). Una bassa DLCO ben correla con la
gravità dell’enfisema, valutata con la tomografia computerizzata ad alta
risoluzione (HRCT) e, insieme al FEV1 ridotto, costituisce un fattore
predittivo di cattive condizioni respiratorie. Infine la ritenzione alveolare
di anidride carbonica e la conseguente ipercapnia in fase cronica riflette
la disfunzione della muscolatura respiratoria unitamente a un grado
severo di ipoventilazione alveolare.
Nelle fasi più avanzate della BPCO l’ipertensione polmonare, quando
presente, è la più importante alterazione fisiopatologica ed è un fattore
prognostico negativo predisponendo allo sviluppo di insufficienza
75
cardiaca destra. In condizioni fisiologiche la pressione media nell’arteria
polmonare (PAP) è pari a 14±3mmHg; l’ipertensione polmonare è
definita da una PAP media superiore a 20mmHg a riposo
(PAP sistolica > 25mmHg, PAP diastolica > 15mmHg)56. I fattori causali
sono riconducibili alla vasocostrizione ipossica, meccanismo per cui il
flusso sanguigno viene dirottato preferenzialmente verso le aree meglio
ventilate, al rimodellamento delle arterie polmonari che coinvolge
l’iperplasia dell’intima e l’ipertrofia della muscolatura liscia dei vasi, che
contribuiscono al restringimento del lume vasale, alla distruzione del
letto capillare polmonare. Dopo anni di malattia il paziente può andare
incontro allo sviluppo di cuore polmonare cronico che viene definito
come ipertrofia del ventricolo destro, dovuta a malattie che colpiscono la
struttura o la funzionalità polmonare, escludendo le alterazioni
polmonari secondarie a malattie che colpiscono invece il cuore sinistro.
76
1.6. La BPCO nel suo complesso: diagnosi e trattamento
L’approccio più efficace e completo alla broncopneumopatia cronica
ostruttiva include quattro parti, come dettato dalle linee guida GOLD:
Diagnosi e monitoraggio della malattia
Riduzione dei fattori di rischio
Trattamento della BPCO in fase stabile
Trattamento delle riacutizzazioni
DIAGNOSI E QUADRO CLINICO
La presenza di BPCO deve essere sospettata in ogni soggetto che
presenti tosse, espettorato o dispnea, soprattutto in presenza di anamnesi
positiva per tabagismo o esposizione lavorativa a polveri e gas nocivi .
La diagnosi è confermata dalle evidenze spirometriche: presenza di
FEV1<80% del teorico e FEV1/FVC<70% dopo bronco-dilatazione
effettuata con somministrazione di 400 µgr di salbutamolo1.
Il colloquio con il paziente deve indagare la possibile esposizione al
fumo di sigaretta, alle sostanze professionali, alle polveri e
all’inquinamento indoor e outdoor; deve inoltre indagare la storia medica
del paziente evidenziando l’eventuale presenza di asma, allergie,
sinusite, polipi nasali, infezioni respiratorie sviluppatesi durante
l’infanzia o in età adulta, altre malattie dell’apparato respiratorio, una
77
storia familiare positiva per BPCO. E’necessario anche interrogare il
paziente sui sintomi di presentazione della malattia, cioè tosse,
espettorato e dispnea, chiedendo da quanto tempo essi siano presenti e
con quale frequenza si ripetano, è importante quindi cercare di
identificare il numero di riacutizzazioni di malattia negli ultimi anni e
nell’anno corrente o quali e quanti siano stati i precedenti ricoveri in
ospedale per disturbi respiratori. Ricordando il coinvolgimento sistemico
della malattia è opportuno valutare la presenza di altre comorbidità,
come lo scompenso cardiaco, l’osteoporosi, i disordini muscoloscheletrici, le patologie gastrointestinali, le neoplasie. L’ultima fase
prevede la valutazione del trattamento farmacologico in atto sia per i
sintomi respiratori sia per altre patologie concomitanti e l’esame
dell’impatto della malattia sulla qualità della vita del paziente. E’
fondamentale infatti conoscere se e in che modo le attività quotidiane
siano state limitate, includendo l’attività lavorativa fino alla capacità di
vita autonoma e quindi sapere se il paziente ha bisogno di assistenza
familiare e sociale.
E’ stato già detto che i sintomi principali sono la dispnea, l’espettorato e
la tosse. In stadio 1 GOLD la tosse e l’espettorato cronico possono
essere presenti da molti anni senza aver determinato la limitazione al
flusso aereo e per questo motivo sono spesso ignorati e sottostimati o
78
considerati una necessaria conseguenza del fumo di sigaretta, dell’età o
delle scadenti condizioni di salute. Con il progredire della malattia in
stadio 2 GOLD i pazienti spesso ricorrono al medico perché iniziano ad
avvertire la sensazione spiacevole di dispnea che può interferire con le
loro attività giornaliere. Quando questi sintomi diventano persistenti e si
aggiunge la perdita di peso, l’ipossiemia arteriosa e i sintomi di cuore
polmonare, l’ostruzione al flusso aereo si è aggravata e il paziente entra
nello stadio 3 GOLD. Infine lo stadio 4 GOLD è caratterizzato da tosse,
espettorato, dispnea e limitazione al flusso aereo molto grave.
La tosse cronica è spesso il primo sintomo che riferiscono i pazienti,
inizialmente intermittente poi quotidiana; è accompagnata da espettorato,
la cui qualità e quantità può variare da soggetto a soggetto. La
produzione regolare di espettorato per tre o più mesi, per due anni
consecutivi, in assenza di ogni altra condizione che la possa spiegare,
integra la definizione epidemiologica di bronchite cronica, ma poco si
adatta alle caratteristiche della BPCO poiché è difficile dare una
valutazione in questi termini. Il carattere purulento può indicare un
aumentato rilascio di mediatori infiammatori e deve essere valutato con
attenzione nel sospetto di una riacutizzazione di malattia. E’ tuttavia
importante sottolineare che anche in assenza di tosse e espettorato il
79
paziente può presentare una limitazione al flusso aereo; questo fatto
enfatizza l’importanza della spirometria ai fini diagnostici.
La dispnea, riferita come senso di difficoltà a respirare, fame d’aria,
soffocamento, è uno dei sintomi caratteristici della BPCO. Essa
costituisce spesso motivo di agitazione e quindi di richiesta di visite
mediche perché determina intolleranza allo sforzo fisico fino alla
disabilità e alla mancanza di autosufficienza. Essa si instaura lentamente
nel corso del tempo, ma è inesorabilmente progressiva; in fase iniziale è
avvertita solo sotto sforzo, ad esempio camminando velocemente,
salendo le scale o correndo e quindi il paziente facilmente riesce
controllarla aggiustando il proprio comportamento. I pazienti riferiscono
ad esempio che non riescono a camminare alla stessa velocità di altre
persone della stessa età, non per problemi muscolari o articolari, ma per
difficoltà respiratorie. Tuttavia man mano che la funzionalità polmonare
si deteriora e l’ostruzione al flusso aereo si aggrava, la dispnea diventa
costante ed interferisce con le normali attività quotidiane, come vestirsi,
lavarsi. Alla fine la dispnea insorge anche a riposo e costringe il paziente
a casa. Un semplice modo per quantificare l’impatto della dispnea sullo
stato di salute del paziente è il questionario redatto dal British Medical
Research Council (MRC)1.
80
Oltre alla citata
triade sintomatologica, i pazienti affetti da BPCO
possono presentare respiro sibilante e senso di costrizione toracica, tipici
degli stadi 3 e 4 GOLD; la loro assenza comunque non esclude la
malattia. Il coinvolgimento sistemico giustifica la possibilità della
perdita di peso, dell’anoressia, dei disordini muscolo-scheletrici che
insorgono tipicamente nelle fasi avanzate e sono dei fattori prognostici
negativi. Non raro è un interessamento psichiatrico che comporta i
sintomi della depressione e dell’ansietà, i quali aggravano ulteriormente
lo scenario clinico.
La fase successiva della diagnosi prevede l’esame obiettivo, con i quattro
classici momenti semeiologici. I segni più comuni riscontrabili
all’ispezione sono:
Alterazioni della cassa toracica, quali l’andamento orizzontale
delle coste, la protrusione dell’addome e il cosiddetto “torace a
botte”, che riflettono l’iperinflazione polmonare;
Reclutamento dei muscoli respiratori accessori, quali gli scaleni e
gli sternocleidomastoidei che si mostrano ipertrofizzati;
Aumento della frequenza respiratoria, spesso maggiore di 20
atti/minuto, respiro superficiale e frequentemente
a labbra
socchiuse, tipico dei pazienti enfisematosi. Ciò serve a rallentare il
81
flusso espiratorio e a contrastare il fenomeno della compressione
dinamica delle vie aeree;
Edemi declivi, indici di scompenso cardiaco destro;
Cianosi.
Il fenomeno dell’iperinflazione polmonare può determinare difficoltà
alla palpazione dell’itto della punta a livello cardiaco e una dislocazione
del fegato verso il basso che, sebbene non sia ingrandito, può essere
palpabile. Infine l’auscultazione del torace dei pazienti con BPCO rivela
usualmente una riduzione del murmure vescicolare, anche se non è
sufficiente per porre diagnosi. Si può apprezzare la presenza del respiro
sibilante durante la respirazione tranquilla che può essere indicativo di
limitazione al flusso aereo e crepitii inspiratori. A livello cardiaco i toni
sono meglio udibili sull’area xifoidea.
La diagnosi di BPCO si basa, oltre che sull’accuratezza dell’anamnesi e
dell’esame clinico, sulla spirometria:
si tratta dell’esame più
standardizzato e riproducibile che sia disponibile per la misurazione
della limitazione al flusso aereo. L’Indice di Tiffenau da solo è la misura
più sensibile della limitazione funzionale e il suo valore inferiore al 70%,
dopo bronco-dilatazione effettuata con 400µg di salbutamolo per via
inalatoria, è considerato diagnostico anche in presenza di FEV1 normale,
cioè maggiore all’ 80% del predetto1.
82
Poiché i pazienti affetti da BPCO non presentano solo alterazioni
respiratorie, anche un indice noto con l’acronimo BODE rientra nella
valutazione clinica (B: Body-Mass-Index; O: Obstruction; D: Dyspnea;
E: Exercise Capacity); esso tiene conto del peso corporeo, della
broncostruzione, della dispnea e della limitazione dell’attività fisica1.
L’iter diagnostico include inoltre le prove di reversibilità con farmaci
broncodilatatori, finalizzate ad escludere la diagnosi di asma bronchiale,
stimare la prognosi del paziente e valutare la potenziale risposta al
trattamento. Le tecniche di imaging rivestono un ruolo fondamentale
nella diagnosi differenziale con altre malattie respiratorie quali la
tubercolosi, la bronchiolite obliterante, la panbronchiolite diffusa;
ognuna di queste patologie ha un pattern radiologico specifico. La
radiografia del torace nella duplice proiezione postero-anteriore (PA) e
latero-laterale (LL) risulta di scarso ausilio nella bronchite cronica; essa
consente in alcuni casi di apprezzare unicamente strutture radiopache a
binario, ad anello, che riflettono l’ispessimento delle pareti bronchiali, il
“peribronchial cuffing”: si tratta di
variabilità interosservatore51.
83
reperti aspecifici con ampia
Fig. 24 A: Radiografia del torace in proiezione P-A, accentuazione della trama vascolobronchiale con peribronchial cuffing; B-C: Fenomeno confermato alla HRTC. Da nota
bibliografica n. 51 MOD.
Fig. 25 HRCT del torace, piano assiale. Presenza di areole ipodense a disposizione
centrolobulare nei lobi superiori, ispessimento della parete bronchiale: segni concordanti
con diagnosi di enfisema centrolobulare. Da nota bibliografica n. 51 MOD .
Le immagini ottenute con la tomografia computerizzata ad alta
risoluzione (HRCT) possono mostrare ispessimento delle pareti
bronchiali e segni di “air trapping”.
84
Queste evidenze radiologiche comunque devono essere supportate da un
adeguato esame clinico e spirometrico per fornire la diagnosi. La
radiografia del torace può tuttavia essere orientativa verso la diagnosi di
BPCO fornendo segni indiretti di enfisema polmonare. La semeiotica
radiografica si basa sul riscontro di quattro punti fondamentali51:
1) L’iperinflazione, testimoniata dal diaframma abbassato e piatto,
dall’ipertrasparenza retro-sternale e dall’orizzontalizzazione delle
coste;
2) L’alterata vascolarizzazione dei campi polmonari:
nell’enfisema panlobulare il reperto tipico è la riduzione della
perfusione polmonare di grado più o meno severo, maggiormente
nei lobi inferiori “Arterial Deficiency” e il suo incremento nei
vasi dei lobi superiori “Marker Vessels”.
Nell’enfisema centrolobulare si riscontra l’accentuazione della
trama vascolare, secondaria a processi infiammatori ricorrenti
“Increased Markings” prevalentemente nei lobi inferiori e nel
medio torace, dove predominano i processi infiammatori infettivi;
3) L’alterata immagine cardiaca:
nell’enfisema panlobulare si evidenzia l’immagine cardiaca
allungata e ristretta per l’abbassamento degli emidiaframmi che
rendono il cuore come appeso al peduncolo vascolare, per la
85
persistente ipossiemia che limita l’ipertrofia cardiaca e infine per
la presenza di parenchima enfisematoso che si sovrappone
anteriormente alla “silhouette” cardiaca, il tipico “cuore a goccia”;
nell’enfisema
centrolobulare,invece,
il
reperto
tipico
è
l’ingrandimento cardiaco di tipo destro, caratterizzato dall’
accentuazione del secondo arco di destra, dallo spostamento della
punta verso l’alto e lateralmente,dalla rettilineizzazione del
secondo arco di sinistra. Infine si può notare la sporgenza del
tronco polmonare.
4) La presenza di “bolle”, cioè aree avascolari di intrappolamento
aereo con attenuazione fino all’assenza del disegno polmonare per
distruzione tissutale.
La HRCT consente di superare i limiti della radiologia tradizionale,
fornendo una valutazione ampia di sede ed estensione delle anomalie
associate all’ostruzione cronica del flusso aereo. Mostra aree di
intrappolamento aereo, aree di flogosi bronchiale, aree di attenuazione
fino all’assenza del disegno polmonare visibili come regioni ipodense;
possono riscontrarsi anche sottili setti limitanti corrispondenti a processi
fibrotici secondari alla flogosi bronchiale. E’ possibile distinguere le
forme di BPCO in cui predomina l’enfisema con progressiva e rapida
attenuazione della trama polmonare in direzione periferica, non
86
suscettibili di significativi miglioramenti con la terapia farmacologica,
dalle forme in cui prevale l’infiammazione e l’ostruzione bronchiale
reversibile che, anche se associati a fenomeni di rimodellamento, si
giovano dei presidi terapeutici usuali.
Nei pazienti con BPCO gravi in stadio avanzato la misurazione dei gas
nel sangue arterioso è di fondamentale importanza tanto che dovrebbe
essere eseguita in tutti i pazienti con FEV1<50% o con segni clinici
suggestivi di insufficienza respiratoria o scompenso cardiaco destro1 .
Solo in pazienti selezionati, cioè nei soggetti che hanno sviluppato la
BPCO in età giovanile (età < 45 anni), soprattutto se non fumatori o con
anamnesi familiare positiva per questa malattia, è razionale il dosaggio
della concentrazione ematica dell’ α-1 AT e l’eventuale analisi genetica1.
Nel corso di questa trattazione è stato più volte ribadito il carattere
evolutivo e progressivo della BPCO e la possibilità, in alcuni pazienti, di
sviluppare insufficienza respiratoria e cuore polmonare cronico. Un
efficace follow-up della malattia può essere effettuato tramite le prove di
funzionalità respiratoria, la misurazione dei gas ematici, la valutazione
dell’emodinamica polmonare. E’ utile inoltre il monitoraggio dello
scompenso cardiaco destro e del cuore polmonare (sono d’ausilio la
radiografia del torace, l’elettrocardiogramma, l’ecocardiogramma). La
HRTC del torace e la valutazione dei muscoli respiratori (viene eseguita
87
attraverso
la misura della pressione massima di inspirazione e la
pressione massima di espirazione alla bocca) costituiscono elementi utili
alla migliore definizione della malattia. La polisonnografia notturna è
indicata quando si sospetta la sindrome delle apnee ostruttive del sonno o
quando l’ipossiemia o lo scompenso cardiaco destro si sviluppano in
presenza di una lieve limitazione al flusso aereo. Infine dovrebbero
essere eseguite le prove da sforzo per ottenere una stima della tolleranza
all’esercizio fisico.
Il monitoraggio della salute di ogni individuo deve comprendere
l’identificazione, la riduzione e il controllo dei fattori di rischio,
altrimenti nessun trattamento farmacologico può risultare vantaggioso.
Per i malati di BPCO, come è stato già affrontato in questa trattazione, i
maggiori fattori di rischio che devono essere valutati sono il fumo di
tabacco, le esposizioni professionali e l’inquinamento indoor e outdoor.
E’ ormai accertato da anni che nelle società industrializzate il fumo di
sigaretta è il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di BPCO e
la cessazione di questa abitudine è l’unico intervento efficace per
rallentare il declino della funzionalità respiratoria. Già trent’anni fa
Fletchter e coll. dimostrarono che il declino annuo del FEV₁ è maggiore
nei fumatori rispetto ai non fumatori, smettendo si riacquista un
88
rallentamento fino a raggiungere un comportamento simile a quello dei
non fumatori59.
Fig. 26 Declino della funzionalità respiratoria nei soggetti fumatori e non fumatori. Da
voce bibliografica n. 58 MOD.
Uno studio chiamato Lung Health Study (LHS), condotto per undici anni
su una popolazione composta di soggetti fumatori regolari, soggetti che
avevano smesso di fumare da molto tempo e soggetti che avevano
smesso solo per un breve periodo di tempo, ha dimostrato un declino del
FEV1 pari al 66,1 ml/anno negli uomini che continuavano a fumare,
rispetto ad un declino di 30,2 ml/anno nei soggetti che avevano smesso
di fumare all’inizio dello studio. Inoltre i pazienti che hanno preso parte
al LHS sono sottoposti a follow-up regolare e i benefici della cessazione
dell’abitudine al fumo di sigaretta sono notevoli. Dopo 14,5 anni di
89
monitoraggio la mortalità per cause cardiovascolari, cancro, malattie
respiratorie nei soggetti che hanno smesso di fumare era del 6,04/1000
pazienti all’anno rispetto all’ 11,09/1000 pazienti all’anno che si
registrava nei fumatori60. La certezza del ruolo nocivo del fumo di
tabacco incentiva continuamente la realizzazione e la diffusione di
programmi per la dissuasione dal tabagismo. Nel 1996 L’Organizzazione
Mondiale della Sanità (OMS) ha promosso una convenzione
internazionale per combattere il fumo di sigaretta e prevenire le malattie
e le morti da esso causate. In questi ultimi anni i governi nazionali sono
stati artefici di importanti azioni legislative contro il tabagismo:
ricordiamo il divieto di fumare nelle scuole, nei luoghi di lavoro e nei
locali pubblici. I programmi di prevenzione dovrebbero essere rivolti a
tutte le età includendo adolescenti, giovani, adulti, donne in gravidanza.
Infatti, la prima esposizione al fumo di sigaretta inizia proprio in utero
quando il feto è esposto ai metaboliti provenienti dal sangue materno.
Gli effetti sono assai dannosi per la salute del nascituro: c’è il rischio del
basso peso alla nascita e di malattie respiratorie già in tenera età. Inoltre i
bambini al di sotto dei due anni che sono esposti al fumo passivo hanno
un rischio aumentato di contrarre infezioni respiratorie e sviluppare
patologie ostruttive.
90
Insieme alle politiche di prevenzione sono altrettanto importanti i
programmi educazionali e i trattamenti farmacologici per la cessazione
dell’abitudine al fumo di sigaretta. Essi sono utili in entrambi i generi, in
tutti i gruppi etnici e anche nelle donne in gravidanza; tuttavia i giovani
sono meno disposti a smettere di fumare, forse perché la maggior parte
di essi ignora l’importanza degli anni in cui si è esposti al fumo di
tabacco. Le linee guide promosse dal GOLD 2008 raccomandano la
strategia delle 5A per aiutare il paziente di smettere di fumare.
Oltre al fumo di sigaretta le esposizioni professionali a particelle, fumi e
gas sono al centro della politica di prevenzione della BPCO. E’ stato
stimato che negli USA più del 19% di fumatori malati di BPCO e più del
30% dei non fumatori affetti da BPCO sono stati esposti a questi fattori
di rischio1 . E’ fondamentale quindi sia la prevenzione primaria, basata
sulla riduzione del carico degli agenti nocivi presenti nell’ambiente di
lavoro, sia la prevenzione secondaria svolta tramite la sorveglianza
epidemiologica e l’identificazione precoce dei casi di malattia.
Infine le campagne di prevenzione devono prevedere la riduzione
dell’inquinamento indoor e outdoor attraverso programmi pubblici e
dispositivi di protezione individuale. Gli enti nazionali e sovranazionali
dovrebbero impegnarsi nel mantenimento del livello di qualità dell’aria,
riducendo le emissioni nocive delle industrie e dei veicoli.
91
La gestione della BPCO in fase stabile avviene per gradi e implica che
l’intensità del trattamento sia proporzionale alla gravità della malattia.
Gli obiettivi che dovrebbero essere raggiunti sono 1:
 Prevenire la progressione dei sintomi
 Controllare i sintomi
 Migliorare la tolleranza allo sforzo
 Prevenire e trattare le complicanze
 Prevenire e trattare le riacutizzazioni
 Ridurre la mortalità
Inoltre qualsiasi intervento deve essere adattato al livello culturale del
paziente ed alla sua compliance.
Il programma terapeutico prevede un approccio su tre fronti:
educazionale, farmacologico, non farmacologico.
L’educazione sanitaria del paziente affetto da BPCO, basata sulla
comprensione della natura della malattia, dei fattori di rischio, del
proprio ruolo e di quello degli operatori sanitari, può migliorare la
gestione della malattia. Sembra infatti aumentare la compliance del
paziente, intesa come adesione al trattamento farmacologico, ai
programmi di cessazione del fumo di sigaretta, di riabilitazione
respiratoria, all’uso dei nebulizzatori e degli erogatori di ossigeno.
92
Il trattamento farmacologico ha lo scopo di migliorare i sintomi,
prevenire le riacutizzazioni e migliorare la qualità di vita, ma non è in
grado di modificare la progressione della malattia. L’unico presidio che
può rallentare il progressivo declino della funzionalità respiratoria è la
lotta la tabagismo.
Il principio basilare del trattamento farmacologico è incluso nella
definizione fornita dalle linee guida GOLD 2008, secondo cui la BPCO è
una malattia cronica e progressiva. In base a ciò il trattamento dovrebbe
aumentare in base alla gravità della malattia; deve essere regolare e
mantenuto per lungo periodo; deve essere monitorato ed adattato ad ogni
individuo. Sinteticamente si riportano le classi farmacologiche usate nei
diversi stadi di malattia1:
 Broncodilatatori (β₂ agonisti, anticolinergici, metilxantine)
I farmaci broncodilatatori sono i farmaci principali nel trattamento
della BPCO; sebbene essi non siano capaci di modificare il
declino della funzionalità respiratoria, essi sono i più utilizzati sia
al bisogno sia in modo più regolare per prevenire i sintomi. Sono
inoltre in grado di migliorare la tolleranza allo sforzo senza variare
sostanzialmente
il
FEV1.
Vengono
somministrati
preferenzialmente per via inalatoria, così da ridurre gli effetti
collaterali; è tuttavia necessario insegnare al paziente ad usare
93
correttamente l’inalatore , mantenendo la giusta distanza dalla
bocca e coordinando i movimenti. La scelta tra le diverse
categorie farmacologiche è dettata sia dalla disponibilità del
farmaco sia dalla risposta del paziente al trattamento; comunque i
β₂ agonisti a lunga durata d’azione sono considerati molto efficaci
nel miglioramento dello stato generale di salute. In alcuni casi può
risultare utile associare farmaci broncodilatatori appartenenti a
diverse categorie piuttosto che aumentare la dose di un singolo
farmaco.
I β₂ agonisti agiscono stimolando i recettori β₂adrenergici con
aumento dell’AMPciclico e in tal modo determinano il
rilasciamento della muscolatura liscia bronchiale. Viene preferita
la somministrazione per via inalatoria per evitare gli effetti
collaterali e per avere una azione più veloce. La broncodilatazione
che si raggiunge con i farmaci a breve durata d’azione dura 4-6
ore, mentre con quelli a lunga durata d’azione l’effetto persiste per
almeno 12 ore. Sono riportati alcuni effetti collaterali che ne
limitano la prescrizione soprattutto nei pazienti più anziani:
tachicardia, tremori, ipokaliemia se viene associato anche il
trattamento con i diuretici tiazidici.
94
Gli anticolinergici efficaci nella BPCO agiscono bloccando gli
effetti del legame dell’acetilcolina sui recettori muscarinici M2;
solo il tiotropio, un anticolinergico a lunga durata d’azione, ha
una selettività per i recettori M1 e M3. Sono somministrati per via
inalatoria e l’effetto dura più di 8 ore, il tiotropio dura 24 ore.
L’assorbimento di questi farmaci è basso e ciò influenza anche la
buona tollerabilità da parte dei pazienti: non sono riportati in
letteratura effetti avversi degni di nota e supportati da evidenze
scientifiche. Soltanto l’assunzione del farmaco tramite
la
maschera facciale può aggravare i casi di glaucoma , forse per
l’effetto diretto del medicinale sull’occhio.
Il meccanismo d’azione delle metilxantine non è molto chiaro:
potrebbero agire come inibitori selettivi delle fosfodiesterasi, ma è
stato studiato anche il loro ruolo come broncodilatatori.
L’efficacia della teofillina nel trattamento della BPCO è limitato
alle preparazioni a lento rilascio e un basso dosaggio può ridurre
le riacutizzazioni. Tuttavia rimane un farmaco di seconda scelta
rispetto ai broncodilatatori per via inalatoria, a causa della spiccata
tossicità; può infatti indurre aritmie atriali e ventricolari anche
fatali, attacchi epilettici tipo “grande male”, cefalea, insonnia,
nausea e epigastralgia. Inoltre bisogna ricordare che il
95
metabolismo della teofillina, la metilxantina più usata, è
influenzato da diverse variabili che ne aumentano o ne
diminuiscono la clearance e quindi la possibilità di effetti tossici.
 Glucocorticoidi per via inalatoria e per via orale
Nei pazienti con BPCO i glucocorticoidi inalatori dovrebbero
essere utilizzati solo nei pazienti in stadio 3 GOLD e con ripetute
riacutizzazioni; alcuni studi dimostrano che l’associazione in un
unico inalatore tra questi farmaci e i β₂ agonisti a lunga durata
d’azione è più efficace rispetto alle singole somministrazioni. Gli
effetti collaterali a lungo termine di questi farmaci sono tuttora
oggetto di studio; è stata riportata un’aumentata incidenza di
manifestazioni cutanee in una piccola popolazione di pazienti.
Uno studio a lungo termine ha dimostrato l’effetto dannoso del
Triamcinolone acetonide sulla densità ossea, mentre la stessa
relazione non è stata associata alla Budesonide. Esistono quindi
poche evidenze scientifiche sugli effetti collaterali in questi
pazienti.
Il trattamento con steroidi orali va limitato alle riacutizzazioni
gravi di BPCO poiché studi recenti dimostrano che un breve ciclo
con glucocorticoidi orali sia scarsamente predittivo della risposta a
lungo termine ai glococorticoidi per via inalatoria, nonostante
96
alcune linee giuda lo raccomandino. Per quanto riguarda l’uso dei
glucocorticoidi a lungo termine non ci sono dati relativi
all’efficacia di questo trattamento; al contrario un importante
effetto collaterale è la miopatia da steroidi, che contribuisce alla
comparsa di debolezza muscolare, alterazioni funzionali e
insufficienza respiratoria nei pazienti con BPCO in fase avanzata.
Quindi il trattamento a lungo termine con glucocorticoidi non è
consigliato.
 Vaccini
I vaccini antinfluenzali costituiscono un presidio importante nei
pazienti con BPCO poiché possono ridurre l’incidenza di malattie
gravi e la mortalità del 50% circa. Specialmente il vaccino contro
lo pneumococco dovrebbe essere somministrato in tutti i pazienti
affetti da BPCO di età maggiore a 65 anni, in quanto diminuisce
l’incidenza delle polmoniti acquisite in comunità in questi
pazienti. L’importanza delle politiche di vaccinazione si evince
dal dato certo che la storia naturale della BPCO è caratterizzata da
frequenti riacutizzazioni proprio di origine pneumococcica.
97
 Terapia sostitutiva con α1-antitripsina
Tali farmaci dovrebbero essere riservati ai giovani pazienti con
deficit dimostrato dell’enzima, visti i costi elevati e la scarsa
disponibilità del medicinale.
 Antibiotici
La terapia antibiotica è limitata al trattamento delle riacutizzazioni
batteriche e va evitata invece a scopo profilattico poiché studi
hanno dimostrato che l’uso continuo di antibiotici non è efficace
nel ridurre la frequenza delle riacutizzazioni.
 Mucolitici
Alcuni pazienti con espettorato viscoso potrebbero beneficiare di
questi farmaci soprattutto se non fanno uso di glucocorticoidi
inalatori. Tuttavia i benefici sembrano essere irrilevanti tantochè
non rientrano nei farmaci consigliati.
 Antiossidanti
I numerosi studi sulla patogenesi di questa malattia hanno dato
importanza allo squilibrio tra le sostanze ossidanti e antiossidanti;
potrebbe essere perciò giustificata la somministrazione della NAcetilcisteina, quale molecola antiossidante capace di ridurre il
numero di riacutizzazioni. Non esistono dati importanti che
consolidano questa ipotesi e che ne giustificano un uso routinario.
98
 Immunoregolatori
Alcuni ricercatori hanno studiato l’effetto di questi farmaci sulla
diminuzione delle riacutizzazioni, ma queste ricerche devono
essere ancora approfondite.
 Antitussivi
La tosse è sicuramente uno dei sintomi cardine di questa malattia e
bisogna ricordare che ha anche un ruolo protettivo, favorendo
l’eliminazione dei germi e delle secrezioni; quindi l’uso
continuato di farmaci che ne riducono lo stimolo è sconsigliato.
 Vasodilatatori
Numerose
evidenze
scientifiche
considerano
l’ipertensione
polmonare quale un importante fattore prognostico negativo;
perciò tutti quei farmaci che sono in grado di ridurre il post carico
del ventricolo destro, di aumentare la gittata cardiaca e di
migliorare l’ossigenazione dei tessuti, potrebbero essere inclusi
nel trattamento della BPCO, tuttavia i dati disponibili al momento
sono deludenti.
 Stimolanti respiratori
Non c’è indicazione al momento.
99
 Narcotici
Gli oppioidi per via parenterale e per via orale hanno severi effetti
avversi sulla respirazione e sono in grado di aggravare
l’ipercapnia, quindi dovrebbero essere evitati.
Fig. 27 Da voce bibliografica n. 1 MOD. VEMS=FEV1; CVF=FVC
Il trattamento non farmacologico è ugualmente importante nella gestione
a lungo termine dei malati di BPCO. Comprende la riabilitazione,
l’ossigeno terapia, la ventilazione e il trattamento chirurgico.
La riabilitazione respiratoria è rivolta soprattutto ai pazienti in stadio
2,3,4 GOLD, aiutandoli a una vita indipendente, produttiva e
100
soddisfacente, evitando l’ulteriore deterioramento clinico. Va quindi al
di là dei target del trattamento farmacologico e serve a interrompere quel
circolo vizioso che inesorabilmente porta alla morte. Infatti la dispnea,
tipica di questi malati, causa immobilità che a sua volta preclude una vita
sociale e conduce questi pazienti ad uno stato di depressione, relegandoli
chiusi in casa. La riabilitazione respiratoria comprende diversi
programmi che vanno adattati ad ogni paziente; in genere devono
condurre al miglioramento della tolleranza allo sforzo e della dispnea.
Gli elementi chiave di questi programmi sono in primo luogo il training
fisico, che viene praticato a livello degli arti inferiori, superiori e dei
muscoli
respiratori.
La
fisioterapia
respiratoria
deve
facilitare
l’eliminazione delle secrezioni mediante la tecnica dell’espirazione
forzata o del drenaggio posturale. Inoltre gli operatori sanitari, ai pazienti
con limitazione funzionale lieve, possono insegnare degli esercizi di
coordinazione respiratoria, come la respirazione a labbra socchiuse e la
respirazione diaframmatica. Il secondo punto riguarda il supporto
nutrizionale, poiché sia l’eccessiva magrezza che l’obesità influenzano
negativamente la salute del paziente. Circa il 25% dei pazienti con
BPCO in stadio 2 GOLD ha una riduzione del BMI ed è soggetta a
rischio elevato di morte1.
101
L’ossigeno terapia a lungo termine (> 15 ore/die) è uno dei principali
trattamenti non farmacologici nei pazienti che si trovano in stadio 4 ed è
considerato l’unico trattamento capace di prolungare la sopravvivenza.
Le indicazioni a questo trattamento nei pazienti in stadio 4 sono1:
 PaO2 ≤ 55 mmHg o SaO2 ≤ 88%
con o senza ipercapnia
 55mmHg ≤ PaO2 ≤ 60 mmHg o SaO2 ≤ 89%
in presenza di ipertensione polmonare o di edemi periferici (segni
di scompenso cardiaco destro) o ematocrito > 55% (policitemia)
I valori di PaO2 su cui basarsi devono essere considerati quando il
paziente è sveglio.
Il principale obiettivo è di riportare la PaO2 ad almeno 60 mmHg con
una SaO2 almeno del 90%, che dovrebbe preservare la funzionalità degli
organi vitali.
Alcuni pazienti con insufficienza respiratoria secondaria a BPCO che
presentino ipercapnia cronica possono trarre beneficio dall’associazione
di ossigeno terapia a lungo termine e ventilazione meccanica non
invasiva a pressione positiva (NIPPV). Comunque non ci sono ancora
dati convincenti riguardo all’uso di questi presidi.
Il trattamento chirurgico può avvalersi della bullectomia, della riduzione
dei volumi polmonari o del trapianto polmonare. La bullectomia è il più
102
vecchio trattamento chirurgico riservato ai pazienti con enfisema bolloso
che consiste nella rimozione di una grande bolla di tessuto che non
contribuisce agli scambi gassosi e nella successiva decompressione del
parenchima polmonare circostante. Può essere effettuata però solo dopo
attento esame TC del torace, emogasanalisi arteriosa e prove di
funzionalità respiratoria. I pazienti che si sottopongono a questo
intervento chirurgico non devono presentare una significativa ipossemia
e la perfusione deve essere alterata solo nel distretto specifico. La
chirurgia di riduzione dei volumi polmonari è una procedura palliativa
sperimentale e non può essere raccomandata come trattamento routinario
nei pazienti con BPCO. Il razionale comunque è rappresentato dalla
riduzione dei volumi polmonari e conseguentemente dall’aumento del
ritorno elastico e infine dal miglioramento del flusso espiratorio. Infine
in alcuni pazienti selezionati il trapianto del polmone può essere una
soluzione per migliorare la qualità di vita e la funzionalità respiratoria.
Vanno considerate comunque le complicanze quali il rigetto, la
bronchiolite obliterante, l’infezione da citomegalovirus o da altri
organismi opportunisti o da batteri.
103
1.7. Le riacutizzazioni di BPCO
La storia naturale dei pazienti affetti da BPCO è caratterizzata dalle
riacutizzazioni, cioè episodi transitori di peggioramento dei sintomi quali
dispnea, e tosse e variazione qualitativa e quantitativa dell’espettorato,
tali da richiedere una variazione del trattamento medico1,61. Criteri
aggiuntivi sono le modifiche dell’esame obiettivo, la febbre e gli edemi
declivi. Le riacutizzazioni sono eventi clinici di notevole importanza
poiché determinano un peggioramento dello stato di salute e un aumento
della mortalità, a causa del declino rapido della funzionalità respiratoria.
Secondo Donaldson e coll. si assiste ad un declino di 40,1 ml/anno del
FEV₁ in coloro che hanno frequenti riacutizzazioni rispetto al 32,1
ml/anno in quelli che non ne hanno; allo stesso modo anche i valori del
Picco di Flusso Espiratorio (PEF) subiscono un decremento maggiore
della categoria in esame62. Sicuramente l’età avanzata è un fattore di
rischio importante perché diminuisce le capacità immuno-difensive
dell’organismo. La gravità di compromissione dell’apparato respiratorio
misurata con il grado di riduzione del FEV₁, l’ipersecrezione mucosa,
l’ipercapnia e l’ipossia mettono il paziente a grave rischio di eventi acuti.
In particolar modo secondo alcuni studi condotti in Europa, quali
ISOLDE (Inalhed Steroids in Obstructive Lung Disease), Copenaghen
City Lung Study, European Society Study, il declino del FEV₁,
104
indicativo del livello di broncostruzione correla efficacemente con la
frequenza di riacutizzazioni 61. Inoltre nella valutazione di questi pazienti
è opportuno ricordare il numero di riacutizzazioni, intese come fattori
peggiorativi, avvenute nell’ultimo anno, la presenza giornaliera di tosse
ed espettorato, i segni di insufficienza cardiaca destra, la malattia
ischemica del cuore e l’ insufficienza renale. La gravità e la frequenza
delle
riacutizzazioni
influenzano
la
funzionalità
respiratoria
determinando un aumento della mortalità, come dimostrato da una
ricerca condotta da Soler-Cataluna in Spagna, in cui i pazienti più a
rischio sono quelli che subiscono tre o più riacutizzazioni nel corso di
cinque anni. Essi hanno un tasso di sopravvivenza del 30% a cinque anni
rispetto ai pazienti con anamnesi negativa per eventi acuti in cui il tasso
di sopravvivenza è pari all’80% in cinque anni. Inoltre coloro che sono
stati ricoverati più volte hanno una sopravvivenza a cinque anni pari al
20%63. Secondo l’ARIC study (Aterosclerosis Risk in Communities) i
dati variano dal 5,4/1000 persone normali al 42,9 registrato tra i soggetti
in stadio GOLD 3 e 4. La più importante causa di morte (più del 35%
delle morti) nei pazienti con BPCO riacutizzata è l’insufficienza
respiratoria comportando il 47% della mortalità ad un anno e il 49% a
due anni. L’impatto socio-economico degli eventi acuti è notevole, basti
pensare che il 50% dei costi diretti della BPCO è riferibile alle
105
riacutizzazioni poiché causano l’aumento dell’ospedalizzazione e dei
servizi di assistenza1. Parte di questi episodi acuti ha origine ignota.
Secondo alcuni potrebbero intervenire dei fattori ambientali quali il
fumo, l’interruzione della terapia farmacologica, l’inquinamento
atmosferico, le modificazioni termiche, l’embolia polmonare. Sebbene
alcuni ricercatori nutrano dei dubbi a riguardo, le infezioni virali e
batteriche rivestono un ruolo chiave nella eziopatogenesi delle
riacutizzazioni. I principali virus isolati nelle vie aeree durante questi
periodi sono: il virus influenzale e parainfluenzale, il virus respiratorio
sinciziale (RSV), i picorna- virus e rinovirus64. Recentemente grazie alla
tecnica PCR (reazione polimerasica a catena) alcuni studiosi hanno
riscontrato che in fase acuta il rinovirus è maggiormente presente
nell’espettorato piuttosto che nelle secrezioni nasali, dimostrando che
questo microrganismo può colonizzare le vie aeree inferiori ed avere un
ruolo attivo nell’evento acuto61. E’ stata dimostrata l’aumentata
espressione della molecola di adesione ICAM-1 , il maggiore recettore
del rinovirus, proprio durante questi periodi.
Il riscontro di
concentrazioni aumentate di questa molecola nella BPCO in fase stabile
può essere il presupposto per considerare tali soggetti a rischio di
sviluppare le infezioni virali. Dai dati presenti in letteratura emerge un
ruolo controverso dei batteri nella eziologia delle riacutizzazioni.
106
Attualmente grazie a moderni metodi microbiologici si stima che in circa
il 50% degli eventi acuti sono chiamati in causa le infezioni batteriche65.
I principali batteri che sono stati isolati dall’espettorato sono
Haemophilus
Influenzae, Moraxella Catarrhalis e Streptococcus
Pneumoniae; nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica assistita si
ritrova lo Pseudomonas Aeruginosa ed altri bacilli Gram-. Il meccanismo
tramite cui i batteri determinano le riacutizzazioni è stato ben analizzato
da Sethi e coll. che propongono un modello patogenetico in cui i fattori
chiave
sono
dell’organismo
le
caratteristiche
ospite.
dell’agente
Suggeriscono
che
patogeno
nuovi
ceppi
e
quello
batterici
interagiscono con l’albero tracheo-bronchiale, colonizzando l’epitelio
ciliato ed innescando la risposta infiammatoria acuta. Se l’organismo
ospite non riesce a mettere in atto una adeguata difesa ci sarà un
peggioramento dei sintomi e della funzionalità respiratoria. Le
caratteristiche e la gravità degli eventi acuti saranno tanto più gravi
quanto maggiore è la compromissione del sistema immunitario. Dalle
analisi sull’espettorato hanno poi ipotizzato la possibilità della
confezione batteri-virus, un’evenienza molto grave che determinerebbe
ospedalizzazioni più lunghe e il declino maggiore del FEV₁.
Nel corso di questa trattazione è stato più volte ribadito il concetto
secondo cui nelle vie aeree centrali e periferiche e nel parenchima dei
107
pazienti con BPCO in fase stabile si riscontra uno stato infiammatorio
cronico, dimostrato dalle analisi istologiche e dalle concentrazioni dei
mediatori esaminati. E’ noto che anche le riacutizzazioni sono eventi
infiammatori che si sovrappongono al complesso stato infiammatorio
interagendovi ed incrementandolo. Numerosi ricercatori hanno studiato
le modificazioni delle concentrazioni dei mediatori solubili e delle
cellule infiammatorie in fase di riacutizzazione. Saetta e coll.
analizzando le biopsie bronchiali e l’espettorato di soggetti in fase acuta
confrontati con quelli in fase stabile, ha dimostrato che nei primi c’è una
notevole neutrofilia. L’importanza di tale dato si desume dalla
correlazione tra la percentuale di neutrofili e la severità della
broncostruzione proprio in fase acuta. L’enorme reclutamento dei
neutrofili è dimostrato dall’up-regulation di due importanti molecole
chemoattrattive: CXCL-5 e CXCL-8 e dei loro recettori52. Inoltre dagli
studi di Saetta emerge anche un incremento della popolazione degli
eosinofili nella mucosa bronchiale associata all’ attivazione della
chemochina RANTES che, secreta ed espressa dalle cellule T, induce il
reclutamento degli eosinofili52. Il ruolo di tali cellule in merito alla
BPCO deve essere ancora approfondito ma è chiaro che essi siano
coinvolti negli effetti dannosi sulla mucosa bronchiale. Il processo
infiammatorio acuto è dimostrato dal riscontro di livelli aumentati di
108
TNF-α e IL-8, come emerge dallo studio di Aaron e coll.66 Dalla
letteratura scientifica si evince chiaramente il ruolo del TNF-α in fase
acuta: ha parte attiva nel reclutamento dei neutrofili ed è implicato nel
processo complesso infiammatorio. Perera e Hurst hanno evidenziato
l’aumento di IL-6 e IL-8 sull’espettorato di pazienti riacutizzati67. Altre
ricerche condotte sull’espettorato hanno riscontrato livelli crescenti di
MMP-9 che correla con la neutrofilia tipica della fase acuta.
E’ ormai provato che durante le riacutizzazioni di BPCO tutti gli indici
di flogosi e anche la maggior parte delle citochine circolanti subiscono
un aumento, suggerendo che lo stato infiammatorio non sia confinato
solo a livello polmonare ma che ci sia una risposta infiammatoria
sistemica. Questa relazione è stata argomento di un importante studio
condotta da Perera e Hurst in cui sono approfondite le modificazioni
infiammatorie delle vie aeree e del compartimento sistemico in fase
acuta 67. Tramite il dosaggio della proteina C Reattiva nel siero (PCR),
un classico marker di flogosi, la cui concentrazione rimane
costantemente alta nei giorni di ricovero, i ricercatori hanno oltrepassato
il concetto dell’infiammazione confinata a livello locale. Il riscontro di
elevate concentrazioni di IL-6 e di TNF-α e del suo ricettore solubile
(TNF-R75) nel plasma di fumatori affetti da BPCO dimostra proprio il
coinvolgimento sistemico 68. In quest’ottica si fa strada l’ipotesi secondo
109
cui la presenza e l’entità della risposta infiammatoria sistemica possa
essere un marker del decorso della malattia ed un indicatore della
morbilità
e
della
mortalità.
Infatti
i
valori
del
FEV₁
sono
progressivamente diminuiti nei pazienti osservati e ciò potrebbe derivare
da una ridotta risposta alla terapia, giustificata proprio dal persistente ed
elevato quadro infiammatorio sistemico. Inoltre l’aumento di IL-8 in fase
di ospedalizzazione e la sua persistenza anche dopo la terapia riflette la
mancata risoluzione dell’infiammazione acuta e potrebbe spiegare la
cronicizzazione del processo. Grazie a tutte queste considerazioni
emerge che la persistenza dello stato infiammatorio locale e sistemico
durante le riacutizzazioni è un fattore prognostico negativo poiché si
associa al declino della funzionalità respiratoria e alla mancata risposta
alla terapia. Tale fenomeno potrebbe giustificare la presenza delle
importanti comorbilità che aggravano lo stato di salute nei malati di
BPCO. Si ritiene che gli effetti nocivi del fumo di sigaretta e di altre
particelle dannose inalate non si ripercuotano solo sul polmone, ma
abbiano anche notevoli effetti sistemici. Tra questi includiamo la
cachessia, le anomalie del muscolo scheletrico, l’ipertensione arteriosa, il
diabete, la malattia coronarica, l’insufficienza cardiaca e l’ipertensione
polmonare69.
110
Fig. 28 L’infiammazione locale e sistemica sembra avere un ruolo centrale nella patogenesi
della BPCO e delle comorbidità associate. Da voce bibliografica n. 69 MOD
Per comprendere l’origine dell’ infiammazione sistemica sono stati
proposti due meccanismi69. Secondo la prima ipotesi il processo
inizierebbe a livello polmonare cioè il sito colpito primariamente
dall’inalazione del fumo; in seguito i mediatori infiammatori attivati si
riverserebbero nella circolazione sistemica coinvolgendo così i vari
organi.
Recentemente
invece
Fabbri
e
Rabe
ipotizzano
che
l’infiammazione sistemica possa essere il presupposto per lo sviluppo di
tutte le patologie citate e non la conseguenza69. La presenza di tali
malattie fa pensare che un danno microvascolare cronico possa essere
111
alla base di quella che oggi è definita “sindrome infiammatoria cronica
sistemica” come proposto da Fabbri e Rabe70. Il termine “sindrome”
definisce l’associazione di caratteristiche cliniche, segni e sintomi che
generalmente si presentano insieme e la presenza di uno deve sollecitare
il medico alla ricerca degli altri; la parola “infiammatoria” si riferisce al
meccanismo patogenetico oggetto di tale trattazione; il termine “cronica”
al lento e progressivo sviluppo delle malattie; è definita infine
“sistemica” poiché i fattori di rischio agiscono direttamente o
indirettamente sugli organi target in modo simultaneo. Le altre malattie
incluse tra le comorbilità vengono considerate complicanze o fattori
indipendenti che modificano la gravità della malattia. Secondo alcune
recenti opinioni, l’alta incidenza di copatologie può essere spiegata
almeno in parte dalla persistente ipossia riscontrabile negli organi
periferici che caratterizza la BPCO fin dai primi stadi
71
. Nella ricerca
condotta da Wouters e coll. si enfatizza il concetto secondo cui l’ipossia
porti all’attivazione del sistema infiammatorio: promuove l’attivazione
dei linfociti e dei monociti con la liberazione di citochine, chemochine e
molecole d’ adesione
68
. Essa contribuisce all’attivazione del TNF-α,
tanto è vero che alcuni studiosi hanno dimostrato la correlazione inversa
tra i livelli di TNF-α e del suo recettore e la PaO₂72. E’ interessante poi
notare che l’organismo fisiologicamente risponde all’ipossia tissutale
112
tramite l’ attivazione di HIF-1 (Hypoxia Inducible Factor 1)71. Ne deriva
l’espressione di un gran numero di geni che codificano per proteine
coinvolte nell’angiogenesi, nel metabolismo energetico, nell’eritropoiesi,
nella proliferazione cellulare infiammatoria. A livello polmonare HIF-1 è
coinvolto nel rimodellamento vascolare e nell’accumulo di macrofagi,
neutrofili e albumina extravasale. Questa molecola rientra anche nella
patogenesi del diabete mellito tipo 2, una patologia inclusa proprio nella
sindrome infiammatoria sistemica cronica. HIF-1 riduce i livelli di
adiponectina nel tessuto adiposo,una molecola coinvolta nell’insulinoresistenza che è alla base della patologia diabetica. Infatti nei pazienti
obesi si registra una locale ipossia cronica secondaria all’alterata
vascolarizzazione del tessuto ipertrofico e questa induce l’incremento
della concentrazione di HIF-1. L’insulino-resistenza e/o i livelli alti di
glicemia, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, l’ipertrigliceridemia, e
l’obesità addominale, parametri su cui si basa la diagnosi di sindrome
metabolica, spesso caratterizzano i pazienti affetti da BPCO69. Il
processo infiammatorio sistemico che spiega la sindrome metabolica
coinvolge non solo la già citata HIF-1 ma anche TNF-α, IL-6 e PCR che
si presentano in concentrazioni maggiori nei pazienti obesi 69. E’ lecito
perciò considerare queste molecole infiammatorie dei fattori di rischio
per gli eventi cardiovascolari.
113
Fig. 29 Rappresentazione schematica di come gli effetti dannosi del fumo di sigaretta siano
collegati all’obesità e agli eventi cardiovascolari. Da voce bibliografica n.69 MOD
Un'altra importante manifestazione sistemica della BPCO è la
disfunzione dei muscoli scheletrici e
la perdita di peso fino la
cachessia69. Uno dei potenziali meccanismi alla base di queste alterazioni
è lo stress ossidativo indotto dall’esercizio fisico. Numerosi studi,
confrontando pazienti sani con pazienti affetti da BPCO, hanno concluso
che l’ipossia tipica dei soggetti malati può indurre lo stress ossidativo nei
muscoli scheletrici. Martinelli e coll. hanno documentato un marcato
incremento dei livelli di lipofuscina, marker dello stress ossidativo, nel
vasto laterale di un gruppo di scalatori da una spedizione a 5000 metri di
altitudine per otto settimane 71. Lo stress ossidativo muscolare può essere
114
coinvolto
anche
nelle
modificazioni
immunologiche
derivanti
dall’esercizio fisico documentate nei pazienti con BPCO: si osserva
infatti un livello aumentato di TNF-α plasmatico che tra i numerosi
effetti porta anche al deperimento muscolare71. Infine le manifestazioni
sistemiche della BPCO includono anche l’osteoporosi, essendo il
midollo osseo un sito importante di produzione delle cellule
infiammatorie69. Tuttavia attualmente ancora non sono disponibili dati
certi al riguardo.
Nonostante la fisiopatologia delle riacutizzazioni non sia completamante
nota, il processo infiammatorio acuto causa il peggioramento del
rapporto ventilazione–perfusione e una vasocostrizione ipossica delle
arteriole polmonari, con conseguente alterazione della perfusione
polmonare. Inoltre, l’esaurimento dei muscoli respiratori e la
conseguente ipoventilazione alveolare oltre a contribuire all’ipossiemia,
conducono
all’ipercapnia e all’acidosi
respiratoria con pesanti
ripercussioni sul piano clinico fino all’ exitus. Infatti, l’ipossia e l’acidosi
respiratoria, causando una vasocostrizione polmonare, determinano un
aumentato carico per il ventricolo destro. Questa alterazione, insieme a
modificazioni della funzione renale e a fattori ormonali, contribuisce alla
formazione di edema periferico. Nei pazienti con BPCO in stadio 1 e 2
GOLD le riacutizzazioni possono richiedere l’intervento medico, senza
115
tuttavia il ricorso all’ospedalizzazione; invece i pazienti in stadio 3 e 4
GOLD spesso entrano in una fase di grave insufficienza respiratoria
acuta che necessita il ricovero in ospedale1. Il peggioramento della
dispnea è il sintomo principale, spesso associato al respiro sibilante, al
senso di costrizione toracica, all’aumento della tosse e dell’espettorato
che cambia di colore e di viscosità e alla comparsa di febbre. Possono
essere presenti altri disturbi aspecifici quale malessere generale,
sonnolenza e confusione mentale spesso diretta conseguenza dell’acidosi
respiratoria. E’ importante conoscere le condizioni cliniche del paziente
prima dell’evento acuto e successivamente esaminare
funzionali ed
i parametri
emogasanalitici, gli aspetti radiologici del torace ed
elettrocardiografici al fine di stabilire il trattamento più idoneo. I valori
della PaO₂ < 60mmHg e/o la SaO₂ < 90% sono indicativi di insufficienza
respiratoria; inoltre il pH < 7,3 e la PaCO₂ > 70 mmHg rappresentano
una fase di notevole gravità dell’equilibrio acido – base del paziente,
ponendolo a rischio di vita. Eventualmente l’iter diagnostico si avvarrà
della TC spirale, dell’angiografia e del dosaggio del D-dimero. Infine la
scelta del tipo di antibiotico deve fondarsi sulla consapevolezza che i
germi di più comune riscontro in corso di riacutizzazione sono
l’Haemophilus Influenzae, lo Streptococcus Pneumoniae e la Moraxella
Catharralis; se tuttavia il paziente non presenta un miglioramento delle
116
condizioni cliniche dopo il trattamento farmacologico sarà necessario
ricorrere all’esame colturale e poi all’antibiogramma per instaurare una
terapia antibiotica mirata.
117
CAPITOLO 2
LA CISTATINA C
2.1. Obiettivo
Lo scopo del nostro studio riguarda la documentazione della relazione
tra l’infiammazione locale e sistemica in corso di riacutizzazione di
BPCO, la dimostrazione di un danno microvascolare, soprattutto
a
livello renale e, su queste basi, cercare di ottenere una possibile
indicazione prognostica. Seguendo queste ipotesi sono stati determinati
due biomarkers infiammatori, la PCR e la VES e un marker di filtrazione
glomerulare, la Cistatina C. La Cistatina C, un inibitore delle proteinasi
della Cisteina, appartenente alla superfamiglia delle Cistatine, è prodotta
dalle cellule nucleate del corpo ed è abbondantemente rappresentata in
tutti i fluidi. Essa è codificata dal gene CS73 localizzato sul cromosoma
20. Le funzioni biologiche della cistatina C umana ed il suo ruolo in
numerosi stati patologici è stato oggetto di alcuni studi73.
Il riscontro di una significativa associazione lineare tra i livelli aumentati
della Cistatina C e di alcuni markers infiammatori quali la PCR e il
fibrinogeno, e i valori di creatinina e di eGFR, che riflettono una piccola
118
riduzione della funzionalità renale, è indicativo di conseguenze
fisiopatologiche
avverse74.
Madero
e
Sarnak
hanno
rilevato
l’associazione lineare tra l’insufficienza renale di media gravità e la
mortalità per cause cardiovascolari e non, proprio tramite il dosaggio
della Cistatina C; invece l’alterazione della creatinina è associata con il
rischio di morte per le stesse cause ma solo in individui con malattia
renale in fase avanzata75. Lo studio prospettico AtheroGene Study
mostra che la Cistatina C, con i valori aumentati, può essere assunta
come un potente predittore di mortalità per eventi cardiovascolari in
pazienti con malattia coronarica e funzionalità renale normale o
mediamente alterata e supera i classici fattori di rischio76. Inoltre
l’innalzamento della concentrazione di tale molecola, secondo alcuni
studiosi, può associarsi al cosiddetto “unsuccessful aging”, cioè
all’invecchiamento caratterizzato da eventi cardiovascolari, cancro,
BPCO, deterioramento delle funzioni cognitive e fisiche 77. Infine in uno
studio pubblicato sullo European Respiratory Journal nel 1998, si rende
noto il riscontro di livelli elevati di Catepsina L e di Cistatina C nel
liquido di lavaggio bronco alveolare (BAL) di soggetti con enfisema
sub-clinico78.
Lo squilibrio tra la Cistatina C e le proteinasi della Cisteina è associato
con varie malattie infiammatorie, oltre che con insufficienza renale,
119
cancro, malattie di Alzheimer, sclerosi multipla. Livelli aumentati di
questa molecola sono stati trovati in pazienti con malattie autoimmuni e
pazienti in dialisi. La misurazione della cistatinemia è un indice sensibile
della funzionalità renale in alternativa alla creatinina la quale è soggetta
a variazioni legate al genere, età , fattori individuali79,80 .
Alla luce di queste considerazioni e sulla base dei riflessi sistemici della
malattia e della possibile evoluzione verso l’insufficienza respiratoria, ci
si è chiesti se questa proteina potesse presentare delle modificazioni
significative nei soggetti affetti da BPCO in fase di riacutizzazione.
La Proteina C Reattiva (PCR) è una sostanza prodotta dal fegato e poi
rilasciata nel circolo sanguigno. In condizioni normali i suoi livelli nel
sangue sono bassi, ma in presenza di un’infezione o di uno stato
infiammatorio possono aumentare anche di migliaia di volte nel giro di
poche ore. In questi casi, la crescita della PCR è molto rapida e precede
il manifestarsi dei sintomi classici dell’infiammazione, come la febbre o
il dolore. Il ritorno di PCR a valori normali è altrettanto rapido: non
appena l’infiammazione scompare anche la proteina diminuisce.
Il test della PCR viene utilizzato per accertare la presenza di uno stato
infiammatorio, ad esempio se si sospettano alcuni tipi di artrite (artrite
reumatoide), malattie autoimmunitarie (Lupus eritematoso), disturbi
infiammatori dell’intestino (morbo di Chron) o nelle riacutizzazioni di
120
BPCO. Essendo la PCR un marker generale di infiammazione, un
eventuale aumento della sua concentrazione può rappresentare un indice
di sospetto. La VES valuta la velocità di sedimentazione dei componenti
corpuscolari del sangue (globuli rossi, globuli bianchi, piastrine), ossia il
tempo che impiegano per separarsi dal plasma (la parte liquida del
sangue). Un aumento di valori si riscontra in numerose patologie
infiammatorie, oltre che degenerative e neoplastiche.
Le modificazioni di questi ultimi due parametri, proprio perché note e
consolidate dall’uso, sono state prese a modello e per confronto con
quanto è possibile registrare a carico di Cistatina C.
Il comportamento di questa proteina infatti, ancorchè noto in numerosi
campi, non sembra altrettanto esplorato in corso di BPCO riacutizzata e
di insufficienza respiratoria.
121
2.2. Materiali e metodi
2.2.1. Casistica
Trattandosi di un lavoro preliminare sono stati reclutati in tutto solo 6
malati: 5 affetti da BPCO di grado 2, 3 e 4 GOLD ricoverati presso
l’Ospedale S. Maria (Terni) per riacutizzazione di malattia e
insufficienza respiratoria globale con acidosi respiratoria scompensata e
uno affetto da BPCO di grado 2 GOLD ricoverato presso l’Ospedale S.
Maria (Terni) per riacutizzazione di malattia, senza insufficienza
respiratoria, ma con sola ipossiemia. Tutti i malati si trovavano in
Ossigeno-Terapia a lungo termine.
Per ogni paziente è stato compilato un database elettronico con le
seguenti informazioni: 1) dati anagrafici; 2) abitudine al fumo espressa
in pack/years; è valutato secondo la formula: [(numero sigarette fumate
al giorno)x(anni di tabagismo)/20]. Tale dato indica gli anni in cui il
soggetto è stato esposto agli effetti dannosi del fumo di sigaretta e ad
esempio un valore > 40 può essere assunto come fattore prognostico
negativo per lo sviluppo di cancro del polmone.
3) diagnosi della
malattia di base e stadio clinico GOLD; 4) eventuali co-morbilità:
malattie cardiovascolari, malattie respiratorie, malattie metaboliche,
malattie neurodegenerative, malattie gastrointestinali; 5) Charlson index,
un indice che tiene conto della presenza e delle severità delle
122
comorbidità, assegnando un “peso” di 1, 2, 3 o 6. 6) esame
emocromocitometrico completo; 7) elettroliti; 8) funzionalità epatica e
renale; 9) EGA; 10) PCR; 11) VES; 12) indici respiratori; 13) BODE(B:
Body – Mass- Index; O: Obstruction; D: Dispnea; E: Exercise Capacity);
14) numero di riacutizzazioni prima del periodo dello studio e dopo;
15) Cistatina C. 16) terapie in atto: ossigeno, VMNI(Ventilazione
Meccanica Non Invasiva), uso di aerosol, antibiotici, steroidi, diuretici,
mucolitici, insulina in caso di diabete insulino - dipendente.
Il genere, il grado di broncostruzione secondo le linee guida GOLD
2008, e le principali condizioni patologiche (malattie cardiovascolari,
malattie respiratorie, malattie metaboliche, malattie gastrointestinali,
malattie neurodegenerative) sono espresse in percentuale e sono riportate
in Tabella 3. La gravità della broncostruzione è stata valutata con i criteri
GOLD. La tabella 4 riassume i farmaci somministrati ai sei pazienti
dello studio durante la degenza in ospedale.
Questi dati sono stati
registrati come variabili continue o categoriche a seconda delle loro
caratteristiche.
123
CATEGORIA
Genere Maschile
Genere Femminile
Stadio 2
Stadio 3
Stadio 4
Presenti
Assenti
GOLD
Malattie Cardiovascolari
Malattie respiratorie
Malattie metaboliche
Presenti
Assenti
Malattie gastrointestinali
Malattie neurodegenerative
NUMERO (%)
5 (83,3)
1 (16,7)
3 (50)
1 (16,7)
2 (33,3)
5 (83,3)
1( 16,7)
6 (100)
3 (50)
3 (50)
0 (100)
0 (100)
Tab. 3 Caratteristiche della popolazione in studio espresse come numero dei pazienti che
presentavano le caratteristiche di riferimento e come %.
CATEGORIA
NUMERO (%)
Ossigeno
SI
NO
6 (100)
0 (0)
VMNI
SI
NO
4 (66,7)
2 (33,3)
Aerosol
SI
NO
6 (100)
0 (0)
Antibiotici
SI
NO
6 (100)
0 (0)
Steroidi
sistemici
SI
NO
5 (83,3)
1(16,7)
Diuretici
SI
NO
3 (50)
3 (50)
Mucolitici
SI
NO
2 (33,3)
4 (66,7)
Insulina
SI
NO
2 (33,3)
4( 66,7)
Tab. 4. Terapia durante la degenza ospedaliera espressa come numero dei pazienti trattati
con il farmaco di riferimento e %. N=6.
124
2.2.2. Interventi effettuati
I pazienti che rientravano nei criteri di inclusione dello studio venivano
sottoposti a intervalli regolari di tre giorni, cioè al giorno 1 (al momento
del ricovero), al giorno 4, al giorno 7 ed al giorno 10 ad una
rivalutazione clinica e laboratoristica (esame emocromocitometrico
completo, elettroliti, funzionalità epatica e renale, EGA, PCR, VES).
Si
eseguiva
inoltre
un
prelievo
venoso
per
il
dosaggio
immunoenzimatico della Cistatina C.
2.2.3. Determinazione della Cistatina C
I campioni sono stati processati , centrifugati e conservati a -20°C fino al
momento della determinazione immunoenzimatica. La Cistatina C è stata
misurata
sui
campioni
così
conservati
tramite
metodica
immunoenzimatica ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay) con
un kit commerciale: CYSTATIN C (HUMAN) ELISA DRG products. Gli
standards, i controlli di qualità ed i campioni sono stati incubati in piastre
apposite pretrattate con anticorpo policlonale anti-cistatina C umana.
Dopo trenta minuti di incubazione e dopo il lavaggio,
l’anticorpo
policlonale-anticistatina C umana coniugato con l’enzima HRP è stato
aggiunto alle piastre ed incubato per trenta minuti con la Cistatina C.
125
Dopo un altro step di lavaggio il rimanente HRP coniugato è stato
messo a reagire con la soluzione substrato (TMB). La reazione è stata
fermata grazie all’aggiunta di soluzione acida e l’assorbanza del prodotto
finale è stata misurata spettrofotometricamente a 450 nm.
L’assorbanza,
rilevata
nella
fattispecie,
è
proporzionale
alla
concentrazione della Cistatina C. La curva standard è stata costruita
incrociando i valori dell’assorbanza con le concentrazioni degli standard
della Cistatina C. La concentrazione dei campioni è stata infine
determinata usando la curva standard.
2.2.4. Analisi statistica
I risultati delle varie analisi eseguite sono stati registrati su un database
elettronico appositamente preparato nel corso dell’osservazione. I dati
relativi alla caratterizzazione clinica dei pazienti (in particolare presenza
di acidosi respiratoria, stadio GOLD, BODE) sono stati trattati come
variabili categoriche. Tutti i valori clinici e di laboratorio sono stati
trattati come variabili continue laddove è sembrato appropriato.
Le
analisi statistiche sono state orientate allo studio delle differenze nelle
varie fasi cliniche delle riacutizzazioni tra i diversi pazienti esaminati, al
fine di rilevare differenze tra le varie fasi e tra le varie tipologie di
soggetti.
126
2.3. Risultati
La casistica dello studio ha compreso sei pazienti; i dati demografici
della popolazione (età) , i valori del FEV1, il valore del pack/year, il
valore dell’indice di Charlson, il numero dei precedenti ricoveri per
riacutizzazione di BPCO, sono espressi in termini di media±DS, con il
range di riferimento e sono riportati nella Tabella 5.
CATEGORIA
MEDIA ± DS
RANGE
Età
79,50 ± 8,87
68 - 89
59,50 ± 18,57
33 - 75
Pack/year
( x % rispetto
alla norma)
61,67 ± 38,03
15 - 120
Indice di Charlson
2,50 ± 1,05
1-4
Precedenti ricoveri
1,5 ± 1,17
0-3
FEV ₁
% rispetto alla norma
Tab. 5 Caratteristiche della popolazione in studio espresse come media±DS. FEV₁=forced
expiratory volume in one second.
127
In Tabella 6 sono riportati i dati degli esami emogasanalitici ed
ematochimici della popolazione in studio al momento del ricovero.
CATEGORIA
MEDIA ± DS
RANGE
pH giorno 1
7,34± 0,08
7,29-7,50
PaO₂ giorno 1 (mmHg)
64,67±12,06
46-79,30
PaCO₂ giorno 1(mmHg)
59,13±16,63
33,50-81,30
Leucociti giorno 1(mmc)
11,0 ± 3,84
4,9-15,0
Hb giorno 1(g/dl)
14,37 ± 1,77
13,0-17,7
Ht giorno 1(%)
45,05 ± 5,50
40,0-54,3
Piastrine giorno 1(mmc)
209,67 ± 112,57
93-417
VES giorno 1(mm/h)
38,80 ± 35,60
6-82
PCR giorno 1(mg/dl)
8,88 ± 10,44
2,06-20,90
Creatinina giorno 1(mg/dl)
2,23 ± 2,0
1-5,90
Tab. 6 Dati ematochimici e emogasanalitici della popolazione in studio al momento del
ricovero espressi come media ± DS. N=6.
Le figure 30, 31 e 32 rappresentano sinteticamente la variazione dei
valori emogasanalitici del pH, PaO₂, PaCO₂ riferiti ai malati con
Insufficienza respiratoria globale scompensata al tempo 0 e nel corso
degli altri controlli.
128
Fig. 30 Andamento dei valori di pH registrati nel corso dell’osservazione. I dati sono
presentati come media ± DS. N=5.
Fig. 31 Andamento dei valori di PaO₂ (mmHg) registrati nel corso dell’osservazione. I dati
sono presentati come media ± DS. N=5.
129
Fig. 32 Andamento dei valori di PaCO₂ registrati nel corso dell’osservazione. I dati sono
presentati come media ± DS .N=5.
Le figure 33, 34 e 35 illustrano l’andamento temporale della VES, della
PCR e della Creatinina rilevati nei malati con Insufficienza respiratoria
globale scompensata durante l’osservazione.
Fig. 33 Andamento dei valori della VES nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati
come media ± DS. N=5.
130
Fig. 34 Andamento dei valori di PCR nel corso dell’osservazione. I dati sono presentati
come media ± DS. N=5.
Fig. 35 Andamento dei valori di Creatinina nel corso dell’osservazione. I dati sono
presentati come media ± DS.N=5.
131
Le figure 36 e 37 illustrano l’andamento della Cistatina C dei pazienti
con
Insufficienza
respiratoria
globale
scompensata
nel
corso
dell’osservazione. Nella figura n. 37 è riportata la tendenza all’aumento
della Cistatina C osservata in due pazienti sui cinque affetti da
Insufficienza respiratoria globale scompensata; la figura n.38 invece
dimostra la tendenza alla diminuzione della concentrazione
marker osservata in tre pazienti sui cinque considerati.
Fig. 36 Tendenza all’aumento della Cistatina C in due pazienti con Insufficienza
respiratoria globale scompensata.
132
di tale
Fig. 37 Tendenza alla diminuzione della Cistatina C in tre pazienti Insufficienza respiratoria
globale scompensata.
Il paziente che non presentava una Insufficienza respiratoria, con BPCO
di grado 2 GOLD, affetto da riacutizzazione di malattia, durante il
periodo di osservazione ha mostrato una riduzione della PCR, della
creatinina e della Cistatina C, insieme ad una sostanziale stabilità dei
parametri emogasanalitici.
Parametri
pH
Giorno 1
7,50
Giorno 4
7,44
Giorno 7
7,47
Giorno 10
7,45
PaO₂ (mmHg)
74
70
68,2
71
PaCO₂(mmhg)
33,50
36,90
31,90
32
VES (mm/h)
82
90
26
94
PCR (mg/dl)
20,9
9,11
2,96
1,10
Creatinina (mg/dl)
5,90
3,10
2,80
1,10
Cistatina C (ng/ml)
7.884,66
4.753,77
133
4.105,90
3.203,04
Francamente poco spiegabile l’andamento della VES che peraltro appare
sempre assai poco specifica.
L’osservazione longitudinale dei soggetti in esame durante il periodo
dello studio ha mostrato che i due pazienti nei quali è stata osservata la
tendenza all’aumento della Cistatina C, unitamente a condizioni cliniche
più gravi, hanno subito nuovi ricoveri per riacutizzazione di BPCO. Al
contrario i tre pazienti, per i quali è stata osservata la tendenza alla
diminuzione della Cistatina C, non hanno subito nuovi ricoveri.
134
2.4. Discussione e conclusione
È noto che le riacutizzazioni determinano un peggioramento dello stato
di salute e un aumento della mortalità, a causa del declino rapido della
funzionalità respiratoria. Durante questi episodi tutti gli indici di flogosi
e anche la maggior parte delle citochine circolanti subiscono un
aumento, suggerendo che lo stato infiammatorio non sia confinato solo a
livello polmonare ma che ci sia una risposta sistemica. Secondo le
nuove proposte di Fabbri e Rabe l’infiammazione sistemica può essere
il presupposto per lo sviluppo di varie comorbidità e non la semplice
conseguenza. Il dato non appare comunque sufficientemente suffragato
da controlli epidemiologici longitudinali. La presenza di tali malattie
suggerisce la possibilità del danno microvascolare cronico che possa
comunque essere alla base di quella che oggi è definita “sindrome
infiammatoria cronica sistemica”. Il presente studio, per quanto
preliminare e quantitativamente ridotto, ha documentato la relazione tra
l’infiammazione locale e sistemica in corso di riacutizzazione di BPCO,
l’esistenza del danno microvascolare, soprattutto a livello renale e, su
queste basi,
ha cercato di ottenere una possibile indicazione
prognostica. Queste considerazioni sono state effettuate grazie alla
determinazione di due biomarkers infiammatori noti quali la PCR e la
VES e un marker di filtrazione glomerulare, la Cistatina C. La casistica
135
esaminata comprendeva in tutto 6 pazienti, 5 affetti da BPCO di grado
2, 3 e 4 GOLD con riacutizzazione di malattia e insufficienza
respiratoria globale e acidosi respiratoria e uno affetto da BPCO di
grado 2 GOLD che presentava una riacutizzazione di malattia, senza
insufficienza respiratoria, ma con sola ipossiemia. Tutti i malati si
trovavano in Ossigeno-Terapia a lungo termine.
La casistica constava di cinque maschi e una femmina, l’età era
compresa tra 68 e 89 anni, con una media di 79,50±8,87; il FEV₁
all’ingresso variava tra il 33-75 rispetto al valore di riferimento, con una
media di 59,50±18,57. Ogni soggetto veniva sottoposto a una
valutazione generale finalizzata alla documentazione di eventuali
patologie respiratorie, cardiovascolari,
metaboliche, gastrointestinali,
neurodegenerative. Successivamente veniva calcolato l’indice di
Charlson, un indice che tiene conto della presenza e della severità delle
comorbilità assegnando un punteggio di 1, 2, 3 o 6. La casistica del
nostro studio aveva un punteggio da 1 a 4, con una media di 2,50±1,05.
Vista la natura infiammatoria della malattia e sulla base delle nuove
considerazioni sulla BPCO che la definiscono “ Sindrome infiammatoria
sistemica cronica”, è lecito supporre che i markers infiammatori classici,
quali la VES e la PCR possano essere compromessi. Nonostante la
casistica sia limitata i dati osservati mostrano che nessuno dei parametri
136
citati può essere sufficientemente sensibile e specifico oltre che idoneo
per predire la possibilità di nuove riacutizzazioni. Infatti sia la VES sia la
PCR hanno evidenziato una tendenza alla diminuzione anche e
soprattutto in quei pazienti che sono stati nuovamente ricoverati. In
questi due pazienti anche i valori emogasanalitici durante il periodo di
osservazione hanno registrato una tendenza al miglioramento non
essendo quindi correlati con la gravità della malattia e con le nuove
riacutizzazioni. Al contrario le modificazioni della Cistatina C hanno
evidenziato una possibile correlazione tra la concentrazione di questo
marker e la prognosi dei pazienti. Infatti, al di là dei valori assoluti, è
possibile che la tendenza all’aumento della Cistatina C nei due pazienti
che sono stati riammessi in ospedale per riacutizzazione di
BPCO,potesse aver svolto il ruolo di un indice prognostico. Invece negli
altri tre pazienti che non hanno subito un aggravamento della malattia ,
la tendenza della Cistatina C non ha fatto registrare questo andamento;
anche tale dato potrebbe costituire la controprova dell’ipotesi di lavoro
iniziale, riflettendo le condizioni di stabilità dei malati. In conclusione la
determinazione
dell’infiammazione
locale
e
sistemica
e
la
documentazione del danno microvascolare renale, effettuato tramite la
determinazione della Cistatina C, contribuisce a meglio interpretare la
BPCO, scoprendo innovativi meccanismi molecolari .
137
Il rene infatti rappresenta un organo chiave nel mantenimento
dell’equilibrio acido – base in corso di insufficienza respiratoria;
l’ipercapnia e la conseguente diminuzione del pH plasmatico,
unitamente all’ipossia provocano immediatamente il compenso di ordine
metabolico effettuato dal rene. Innanzitutto la scarsa ossigenazione del
sangue arterioso costituisce un potente stimolo alla produzione renale
di Eritropoietina che, traducendosi in un aumento della massa
eritrocitaria, è volta al ripristino della PaO₂ verso valori di normalità;
l’azione del sistema renale si estrinseca inoltre cronicamente attraverso
l’incremento dell’eliminazione tubulare delle valenze acide grazie al
sistema tampone degli ioni HCO3
-
, all’escrezione diretta degli
idrogenioni, al sistema degli ioni ammonio e degli ioni fosfato.
La Cistatina C , essendo espressione della funzionalità renale, potrebbe
rispecchiare il grado di compromissione di questo organo soprattutto in
corso di insufficienza respiratoria globale scompensata e tradurre quindi,
in termini pratici, le possibilità di ripresa dell’organismo secondarie ad
un nuovo compenso respiratorio.
Si tenga anche conto che le modificazioni rilevate si sono espresse
nell’arco di pochi giorni e quindi, anche ai fini prognostici, si possa
immaginare di ricevere informazioni utili per impostare al meglio un
comportamento clinico.
138
La determinazione di questa proteina è parsa molto interessante
all’interno della patologia trattata, in quanto dalle segnalazioni rilevate in
letteratura si evidenzia un suo aumento nei casi di insufficienza renale,
ma anche quando si verifichino gravi alterazioni della funzione
miocardica o di quella coronarica.
Considerando il ruolo centrale che il polmone, non solo come organo di
scambio, svolge in parallelo con il cuore e pensando anche alle
ripercussioni indirette a livello renale, si poteva arguire che nella ricerca
di nuovi markers atti ad esplorare l’insieme dei danni provocati
dall’insufficienza respiratoria, la Cistatina C potesse essere di vero
interesse.
Si sa infatti che questa proteina è una spia molto sensibile di
modificazioni anche modeste della funzionalità renale, oltre che
naturalmente di alterazioni a livello cardiaco81,82,83.
Un ulteriore elemento di interesse è rappresentato dalla correlazione
positiva tra la Cistatina C ed una serie di markers infiammatori e di
interleuchine coinvolte nel processo di flogosi generalizzato, come si è
potuto vedere nel corso dello studio PRIME. Più in particolare questa
proteina era correlata positivamente con BMI, colesterolo LDL,
trigliceridi, oltre che fibrinogeno, Proteina C, IL-6 e TNF-α84 .
139
Come si può notare tutti questi parametri sono abitualmente alterati
anche in corso di BPCO riacutizzata e ciò contribuisce a sostenere con
particolare
energia
il
concetto
di
interrelazione
tra
danno
broncopolmonare e riflessi a livello generale.
La Cistatina C può quindi essere vista come ulteriore elemento che
contribuisce ad attrarre l’attenzione su problemi flogistici di varia natura.
Un altro elemento che è sicuramente importante e presente anche nella
nostra ricerca, ancorchè in stato iniziale, è rappresentato dalla utilità del
dosaggio della Cistatina C come marker di significato prognostico nei
confronti di danno d’organo e di possibili recidive collegate a ricoveri
ripetuti. Tali caratteristiche sono state osservate soprattutto nella
patologia cardiovascolare 85, 86,ma anche, considerando la nostra piccola
casistica in ambito pneumologico.
Ciò acquista particolare valore quando si consideri che la Cistatina C ha
sviluppato un comportamento molto sensibile anche in presenza di un
normale filtrato glomerulare87.
Ciò è tanto più vero ove si consideri che il movimento di questa proteina
può essere indicativo di un danno renale pre - glomerulare e pertanto
espressione del riflesso di un coinvolgimento d’organo molto precoce,
dovuto anche ad alterazioni topograficamente lontane, come quelle che
riguardano il polmone e il cuore88.
140
Sulla base delle considerazioni finora svolte, si potrebbe quindi aprire
la strada a nuove frontiere diagnostiche, prognostiche e terapeutiche
con il fine ultimo di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da BPCO
anche negli stadi più avanzati di malattia.
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