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sapienza • università di roma
dipartimento di storia, disegno e restauro dell’architettura
materiali
e
strutture
problemi di conservazione
Il restauro nel mondo
nuova serie
iv
numero 7
2015
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materiali e strutture. problemi di conservazione
© Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura
Piazza Borghese, 9 – 00186 – Roma
Rivista semestrale, fondata nel 1990 da Giovanni Urbani
Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 265 del 25/09/2012
Nuova serie, anno IV (2015), 7
ISSN 1121-2373
Direttore editoriale: Donatella Fiorani
Consiglio Scientifico: Giovanni Carbonara, Paolo Fancelli, Antonino Gallo Curcio,
Augusto Roca De Amicis, Maria Piera Sette, Fernando Vegas, Dimitris Theodossopoulos
Comitato di Redazione: Maurizio Caperna, Adalgisa Donatelli, Maria Grazia Ercolino,
Rossana Mancini
La rivista è di proprietà dell’Università degli Studi di Roma «La Sapienza»
© Dipartimento di Storia, Disegno e Restauro dell’Architettura
Piazza Borghese, 9 – 00186 – Roma
Roma 2015 – Edizioni Quasar di Severino Tognon s.r.l.
via Ajaccio 41/43 - 00198 Roma
tel. 0685358444 - fax 0685833591
Per ordini e abbonamenti:
www.edizioniquasar.it
[email protected]
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Sommario
5 editoriale
-Donatella Fiorani
9 conservation: a perspective from ireland at the
beginning of the third millennium
-loughlin kealy
35 the conservation of the architectural heritage
in the east adriatic region today
-ilija laloŠević, marko Špikić, mirjana roter blagojević
53 la conservazione dei siti storici e archeologici
in israele
-yaacov schaffer, meir ronen
73 restauri
in tunisia.
dal protettorato alla ‘primavera araba’
-maria grazia turco, sonia gallico
95 conservazione, restauro e patrimonio mondiale
dell’umanità
-stefano francesco musso
111 abstract
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Restauri in Tunisia. Dal Protettorato alla ‘primavera araba’
SONIA GALLICO, MARIA GRAZIA TURCO
La Tunisia vanta un ingente patrimonio storico-architettonico e archeologico,
purtroppo ancora poco noto a livello internazionale, fatta eccezione per alcuni siti
unici quali Cartagine, Dougga, El Jem. Esso copre un arco temporale molto vasto, dalle
pitture rupestri, risalenti anche al 7.000 a. C., ai reperti della civiltà numidica e punica
(IX-II secolo a. C.), fino ai grandi siti romani (con i resti di ben 20 nuclei urbani e oltre
100 aree archeologiche minori); dalle vestigia paleocristiane, bizantine ed ebraiche
alle architetture arabe delle moschee, palazzi, tombe monumentali e fortificazioni;
dalle opere realizzate durante il Protettorato francese (1881-1956), non soltanto a
Tunisi ma anche in altre città come Biserta, Sousse e Sfax, agli interventi più recenti
successivi all’indipendenza. Sono da includere inoltre, in questo articolato complesso
di beni, i suggestivi paesaggi dell’architettura vernacolare, alcuni dei quali attualmente
minacciati da un crescente e disordinato sviluppo edilizio, altri degradati e/o abbandonati perché lontani dai centri più importanti.
1. Legislazione ed enti di tutela
Le vicende sociali e politiche tunisine, dall’Ottocento in poi, hanno sempre ampiamente condizionato la salvaguardia del patrimonio culturale. Occorre risalire all’inizio del Protettorato1 per trovare la prima legge, promulgata dalle autorità francesi (7
marzo 1886), che introduce criteri di classificazione per i reperti archeologici emersi
durante le campagne di scavo e norme per la protezione delle rovine e frammenti antichi: essa però, di fatto, pone attenzione soltanto al patrimonio romano e tardo-antico,
tralasciando quello arabo2. Viene in questa data anche istituito il primo Servizio per le
Antichità e le Arti con il compito di centralizzare i controlli sugli scavi e sui ritrovamenti, anche da parte dei privati. Cinque anni dopo sono emessi i decreti a protezione
del sito di Zaghouan (da cui trae origine l’acquedotto che rifornisce anche Tunisi),
delle ville romane di Béja e di parte della città di Dougga. Nel 1892 vengono emanati
1 Il Protettorato viene istituito con il trattato del Bar-
2 M.
Bascha, dell’Institut de Recherche du Magreb
Contemporain, ha pubblicato diversi testi sull’argomento.
do, che consegna nelle mani del Residente Generale
di Francia il potere fino allora detenuto dal Bey (12
maggio 1881 con ratifica dell’8 giugno 1883).
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decreti per la salvaguardia delle cave di marmi di Chemtou3, di alcuni villaggi berberi,
delle rovine di Utica e dell’Anfiteatro di El Jem (1893). Le vestigia di Cartagine, riportate alla luce in questo periodo, vengono tutelate soltanto nel 1895. Interessante è
l’attenzione posta dal legislatore al contesto ambientale degli antichi giacimenti, in un
momento in cui la normativa europea è rivolta ancora al ‘singolo monumento’ piuttosto che agli aspetti naturali-paesaggistici.
Il primo edificio arabo protetto è il padiglione della Manouba (1894); a seguire,
attraverso singoli decreti, vengono inclusi nella lista il forte di Hammamet (1905), le
moschee di Kairouan, Sfax, Tunisi e parte della Medina della stessa capitale (1912).
Nel 1915 la tutela è estesa al paese andaluso di Sîdî Bou-Saïd e più tardi, nel 1920,
all’area archeologica di Cartagine, cui seguono i souk (mercati) di Tunisi e la sinagoga
dell’isola di Djerba4.
All’indomani dell’indipendenza, il presidente Habib Bourghiba emette un decreto (dicembre 1956) per la salvaguardia di Monastir, sua città natale, dando avvio al
restauro del ribat (fortezza) a picco sul mare (Fig. 1) ma contestualmente autorizzando
la distruzione di parte della città storica per costruire il suo mausoleo.
Nel 1966 viene costituito l’Istituto Nazionale di Archeologia e di Arte (INAA)5
e l’anno dopo, per quietare le crescenti preoccupazioni sollevate dai progetti di demolizione nella zona araba della città, nasce l’Associazione di Salvaguardia della Medina
(ASM)6.
Nel 1972 la Tunisia aderisce alle convenzioni internazionali per la protezione del
patrimonio culturale e naturale mondiale, riuscendo a far includere nella Lista del patrimonio Unesco: l’Anfiteatro di El Djem (1979), la medina di Tunisi (1979), il Parco
Naturale Nazionale di Ichkeul (1980), la città punica di Kerkouane con la necropoli
(1985), la medina di Sousse e quella di Kairouan (1988), i siti di Cartagine e Dougga
(1997).
Sotto la presidenza di Zine El-Abidine Ben Ali (1987-2011) è creata l’Agenzia
per la valorizzazione del Patrimonio e della Promozione Culturale7, emanazione del
Ministero della Cultura e della Salvaguardia del Patrimonio. L’INAA è poi trasformato
(1993) in INP (Istituto Nazionale del Patrimonio)8 con l’incarico d’inventariare i beni
storico-artistici: dai siti archeologici alle ceramiche, fino ai libri arabi rari.
Nel 1994, infine, viene emanata una completa normativa di protezione con una
legge di ampio respiro che definisce, all’articolo 1, “patrimonio archeologico, storico
o tradizionale ogni reperto legato alle civiltà o alle generazioni passate, scoperto o da
ricercare, in terra o in mare, che sia mobile, immobile, documento o manoscritto in
3 Queste cave, dall’epoca romana e per tutto l’Alto Medioevo, hanno esportato il prezioso marmo
‘giallo antico’ (marmo numidico).
4 La presenza ebraica in Tunisia data almeno dall’epoca romana. Si è ampliata con l’espulsione dalla
Spagna (1492) e dal Portogallo (1497) e nel corso del
XIX secolo con la migrazione dalla Toscana.
5 Institut
National d’Archéologie et d’Art.
de Sauvegarde de la Médina.
7 Agence de Mise en Valeur du Patrimoine et de Promotion Culturelle.
8 Institut National du Patrimoine.
6 Association
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Fig. 1. Il ribat di Monastir (da https://fr.wikipedia.org).
rapporto con le arti, le scienze, le credenze, le tradizioni, la vita quotidiana, gli avvenimenti pubblici o altro che appartenga alle epoche preistoriche o storiche e di cui sia
provato il valore nazionale o universale”. È inoltre costituita, presso il Ministero incaricato del patrimonio, una Commissione nazionale il cui compito è quello di esprimere
pareri sulla catalogazione e la protezione dei monumenti, nonché sull’individuazione
di siti culturali (articolo 4).
Dopo la rivoluzione dell’11 gennaio 2011, la nuova Costituzione9, riconoscendo
l’importanza del patrimonio culturale e ambientale, introduce due importanti disposizioni: l’articolo 42, con il quale si afferma che “Lo Stato protegge il patrimonio culturale e ne
garantisce il diritto alle generazioni future” e l’articolo 45 che affida allo Stato il compito
di garantire “un ambiente sano ed equilibrato e la partecipazione alla sicurezza del clima”,
dotandosi dei mezzi necessari per l’eliminazione “dell’inquinamento ambientale”.
2. Tunisi
La Medina di Tunisi presenta un tessuto edilizio fitto con una rete di strade
brevi e dall’andamento tortuoso; struttura conservata fino a metà dell’Ottocento,
compresa la cinta del XIV secolo che ha inglobato un precedente nucleo dell’IX se9 Promulgata
il 27 gennaio 2014.
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Fig. 2. Pianta della città di Tunisi, 1893 (da http://commons.wikimedia.org).
colo (Fig. 2). All’interno è concentrata l’attività economica dei souk (mercati coperti)
con alcuni poli religiosi e civili che ne interrompono la continuità. Tra questi: le moschee di Jâma al-Zaytûna del VII secolo e di Sidi Mahrez, costruita alla fine del 1600
in forme ‘turche’; i marabout, tipiche sepolture di santi; le médersa, scuole religiose
con alloggi per gli studenti, le più antiche delle quali risalgono al XIII e XV secolo;
e gli hammam, bagni pubblici. Dal fitto tessuto urbano emergono anche i foundouk,
edifici a corte quadrata con botteghe specializzate, oltre ad alcuni nobili palazzi quale la preziosa residenza di Dar Lasram, risalente alla fine del XVIII secolo (Fig. 3).
Nella parte più elevata della Medina è, infine, la Casbah, antica cittadella fortificata
di origine medievale, ampiamente ricostruita nel Settecento. In questa città ‘araba’,
fin da tempi remoti, si insediano alcune comunità di origine diversa, come gruppi
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Fig. 3. Il cortile interno della residenza di Dar Lasram nella Medina di Tunisi (fotografia S. Gallico).
di ebrei o ‘nazioni’ europee10. Fuori le mura si trova il palazzo del Bardo, residenza
del bey realizzata dagli Husseniti nel 1705 e trasformata, dal 1882, in museo per
l’esposizione dei reperti e mosaici provenienti dagli scavi di Cartagine e di alcuni siti
archeologici punici e romani.
Nei primi anni del Novecento Tunisi conosce un grande sviluppo demografico e
urbano, dovuto soprattutto all’arrivo costante di migranti francesi e italiani11. La città si
estende verso il mare, su terreni un tempo paludosi: qui si forma lentamente, lungo un
asse viario, che riprende il modello dei boulevard parigini, la ‘città europea’. Perni del
nuovo quartiere sono la ‘residenza francese’, la cattedrale di Saint-Antoine e il teatro
municipale (Fig. 4). Quest’ultimo fa parte di un più ampio complesso comprendente
un caffè, un atrio coperto destinato a giardino d’inverno e un albergo. La struttura te-
10 Sulla
11 Tunisi passa dai 70.000 abitanti di metà XIX
secolo ai quasi 170.000 del 1911 e ai 220.000 alla
vigilia della Seconda Guerra Mondiale. Attualmente la popolazione del cosiddetto Grand Tunis,
comprendente gli insediamenti sulla costa a nord,
è di circa 2 milioni di persone.
storia generale della città di Tunisi: Lar2005-2006. Per un approfondimento di
queste fasi: Saadaoui 2001; Mahfoudh 2003, pp.
173-209.
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Fig. 4. Il teatro municipale di Tunisi, J.-É. Resplandy, 1899 (fotografia S. Gallico).
atrale, la cui realizzazione si deve a maestranze italiane (iniziata nel 1899 e inaugurata
nel novembre 1902), è riferibile all’architetto francese Jean-Emile Resplandy12 che
introduce in Tunisia l’Art Nouveau. A partire dal 1909, a seguito di polemiche legate
alla limitata capienza del teatro (850 posti), viene dato incarico del rifacimento al
belga Lucien Woog che interviene attraverso la riconfigurazione degli interni con la
creazione di tre livelli di gallerie per un totale di 1350 posti e la costruzione di una
seconda cupola in cemento armato a protezione della precedente13. Il teatro viene,
quindi, nuovamente inaugurato nel gennaio del 1911 ma è poi pesantemente bombardato nel marzo del 1943. Il complesso architettonico, dopo l’indipendenza della
Tunisia, diventato il simbolo del colonialismo, conosce diversi periodi d’inattività fino
a correre il pericolo di essere raso al suolo. Grazie a un attivo comitato, l’edificio viene
recuperato seppur attraverso parziali interventi. Gli ultimi restauri all’‘idéntique’ sono
stati realizzati tra il 2010 e il 2011, in occasione del centenario del progetto di Woog.
Ancora sull’asse principale, andando verso il lago dopo il Café de Paris, spicca per
la sua architettura un altro teatro, il Rossini, inaugurato nel 1903 quale risposta italiana
alla struttura francese: esso è affiancato da una serie di eleganti palazzi in stile Decò.
Poco prima del porto è situato, infine, il quartiere della ‘Piccola Sicilia’, così denomina12 Jean-Émile
Resplandy (1866-1928), nato a
Perpignan, dopo gli studi di Belle Arti a Parigi,
a fine secolo arriva a Tunisi, dove diviene architetto principale dei Lavori Pubblici, incarico che
lo porta a progettare il municipio di Tunisi ora
distrutto, il palazzo di Giustizia e il casino del
Belvedere.
13 L’inizio della demolizione è del 21 dicembre
1909. I lavori durarono due mesi (Archivio di Stato di Tunisi).
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to perché in origine abitato da lavoratori portuali, operai e artigiani provenienti dalla
vicina isola italiana oltre che dalla più lontana Sardegna14.
L’espansione di Tunisi dagli anni Trenta alla fine del Protettorato prosegue con
l’affermazione di edifici Liberty e Déco15, alcuni distrutti durante gli interventi urbanistici degli anni Ottanta del Novecento, altri oggi in grave stato di abbandono e
degrado.
All’indomani dell’indipendenza, il presidente Bourghiba, tra 1960 e 1970, tenta un
totale ‘rinnovamento’ della città, invitando alcuni architetti europei a concorsi di idee.
Tra questi Ludovico Quaroni e Giancarlo De Carlo che propongono la riorganizzazione
urbanistica della zona a ovest di Tunisi con l’inserimento di un quartiere direzionale: il
progetto, caratterizzato da un’enorme struttura, viene ritenuto non adatto per le sue
dimensioni al tradizionale e minuto tessuto urbano e ben presto accantonato. La città è
comunque oggetto di una generale operazione di rinnovamento: sull’arteria principale
vengono costruiti l’albergo ‘Africa’, opera dell’architetto Olivier Clément Cacoub, e i
complessi ministeriali dell’Informazione e della Cultura.
Negli ultimi decenni del Novecento l’espansione della città continua in diverse
direzioni con la realizzazione delle sedi di banche, edifici per attività direzionali e
l’aeroporto internazionale. Lo sviluppo urbanistico continua verso le colline, con la
realizzazione di interi quartieri caratterizzati sia da modelli europei sia dai caratteri
della tradizione, ma soprattutto da un’edilizia spontanea, di bassa qualità, difficilmente
controllabile.
Tra i principali interventi di restauro si vogliono ricordare le operazioni condotte nella Medina, a partire dal 1967, quando prende avvio l’attività dell’Associazione
di Salvaguardia che, oltre a impostare studi e approfondimenti sulla città vecchia,
gradualmente intraprende diversi progetti sia di conservazione di edifici storici sia di
risanamento d’interi isolati, anche in coincidenza con l’inserimento della struttura urbana nella Lista del patrimonio Unesco16. Uno dei principali è la già citata Dar Lasram,
adattata a sede dell’ASM: nel 1993 viene realizzata la copertura del cortile con una
leggera struttura in policarbonato, apribile durante le ore più calde, per proteggere le
pregiate opere di stucco e di ceramica e adattare lo spazio a luogo d’incontri e conferenze (Fig. 3). Da ricordare ancora il palais Kheireddine17, con lavori iniziati nel 1994
ma più volte interrotti a causa della mancanza di risorse; completato il restauro, dal
1999 è divenuto luogo di esposizione. Altri edifici sono stati oggetto di attenzione conservativa come la moschea Zitouna, la zaouïa (tomba) di Sidi Brahim Riahi, mausolei
e bagni pubblici.
14 Su
17 Costruito
questo quartiere: Passalacqua 2000; Sal2002; Ammar 2015.
15 Bilas 2010.
16 Si tratta di oltre 60 interventi. Per l’elenco completo si veda il sito http://www.asmtunis.com/
monuments-restaures2.php.
tra 1860 e 1870 da Kheireddine Pacha, uomo politico prima del Protettorato e fondatore della moderna scuola coranica del Collège
Sadiki, viene abbandonato nel 1870 in seguito alla
sua partenza per Istambul. Trasformato in tribunale
e poi in scuola ebraica, è stato acquisito dallo Stato
per trasformarlo in museo della città di Tunisi.
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Poco fuori la Medina, nei pressi del museo del Bardo, il palazzo dei ‘beys’ di Tunisi
è stato di recente oggetto di un intervento di destinazione (2005-2006) alla nuova
funzione di museo nazionale di Storia moderna.
Grandi progetti di ristrutturazione urbana sono attualmente proposti dagli Emirati Arabi per il centro della città e per il nuovo quartiere sul lago, chiamato ‘Tunis
Sport City’. Ma le problematiche che si pongono oggi in maniera impellente sono
legate al recupero di aree urbane abbandonate al degrado. Si tratta di estendere su
larga scala il restauro finora sperimentato su singoli edifici o interi isolati, mantenendo
la popolazione locale e migliorandone le condizioni di vita. Anche la cosiddetta ‘città
europea’ ha oggi urgenti necessità di ampli interventi per riqualificare edifici liberty e
decò o la più modesta edilizia del secolo scorso.
3. I beni culturali della Tunisia tra passato e attualità
Il periodo che segue le vicende della Seconda Guerra Mondiale18, rappresenta
per la Tunisia una tappa importante nella storia della conservazione del patrimonio
culturale del Paese. Una situazione che porta, nel 1951, all’istituzione, nell’ambito
della Régence tunisina, di una figura specialistica, quella dell’architetto per i monumenti storici: ruolo attribuito, per la prima volta, ad Alexandre Lézine (1906-1972),
architetto e archeologo francese che lavora da diversi anni in Tunisia, soprattutto in
ambito archeologico19. Si prospetta, quindi, una situazione piuttosto articolata in cui,
per favorire interventi immediati e solleciti, si cerca, oltre che di tutelare direttamente
il patrimonio, di contribuire, al tempo stesso, con la semplificazione delle procedure amministrative, all’avvio di numerosi cantieri20. Lézine si mette subito all’opera e,
come testimoniano i suoi scritti, riesce a impostarne con rapidità sei, tre dei quali rivolti al restauro e alla ‘ricomposizione’ delle rovine antiche mentre gli altri al recupero
di alcuni edifici successivi alla conquista araba21.
Il suo è un contributo importante; egli, infatti, definisce con chiarezza alcuni criteri
essenziali per operare sui manufatti storici, recuperando anche l’uso di tecniche costruttive e tradizioni popolari, ormai ‘dimenticate’ per seguire metodi e criteri occidentali.
Le sue azioni ben rientrano in quella “missione educatrice della Francia nell’Africa del
Nord” che caratterizza il periodo del Protettorato22; in effetti si tratta di “semplici suggerimenti insieme a schizzi e precisazioni” che si basano su conoscenze e modalità operative legate alla sua formazione e alla sua esperienza in Francia23. Analizzando alcuni
18 L’evento
20 Matri
coinvolge la Tunisia da giugno 1940 a
maggio 1943.
19 Suoi i lavori di scavo e restauro dei ruderi di
Cartagine, di El Jem. L’attività nel sito di Cartagine comprende principalmente la partecipazione ai
restauri delle Terme di Antonino insieme a Noël
Duval e Gilbert Charles-Picard, durante gli anni
Cinquanta del Novecento.
2008.
21 Lézine, Verrier
1953.
le cadre de la mission éducatrice de la
France en Afrique du Nord”; Lézine, Verrier 1953,
p. 4.
23 “conseils simples accompagnés de croquis et
précis, suivant les méthodes qui lui ont été enseignées par ses «anciens» du Service des mo22 “dans
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interventi in contesti archeologici emerge con chiarezza un’impostazione metodologica
rivolta al mimetismo delle reintegrazioni e delle aggiunte per non alterare l’aspetto del
manufatto; obiettivo attuato attraverso il recupero di “tecniche e … strumenti del passato”, tramite la riscoperta delle cave antiche, la riproposizione dei materiali tradizionali e
la formazione di apposite maestranze24. I manufatti archeologici, infatti, costruiti per lo
più in pietra da taglio, possono essere rimontati attraverso operazioni di anastilosi, ‘reintegrati’ utilizzando lo stesso materiale e recuperando le medesime modalità costruttive.
Diverso è l’atteggiamento dell’architetto nei confronti delle strutture posteriori
alla conquista araba; ambito in cui, accanto a problematiche conservative, prende in
considerazione anche aspetti più tecnici, dovendo intervenire su edifici caratterizzati
da materiali e procedure costruttive scadenti, oltre che dall’insufficiente conoscenza
della manodopera verso l’uso e la tecnica del taglio dei materiali lapidei. In questo
modo, infatti, egli si esprime: i “produttori musulmani non hanno beneficiato qui della
stessa architettura come negli esempi dell’Egitto faraonico, delle influenze ellenistiche
dirette né dell’aiuto dei buoni maestri cristiani, come quelli che hanno eretto le mura
del Cairo, per non parlare delle risorse dovute all’ottimo calcare di Mokkatam”25.
Lézine mostra, per questa categoria di edifici, un atteggiamento meno attento
e più disinvolto; nonostante ciò i suoi restauri sono ancora rivolti al mantenimento
del “vecchio aspetto”, seppure utilizzando elementi e mezzi del progresso tecnologico, purché ‘dissimulati’, all’interno di una pelle ‘superficiale’ realizzata con materiali
tradizionali. Per esemplificare, si ricorda che spesso gli interventi su strutture voltate
e soffittature vengono attuati inserendo putrelle metalliche o ricorrendo all’uso del
cemento armato, ‘nascosti’ da rivestimenti lignei: “ensuite d’un habillage de bois”26;
operazioni spesso richieste da ragioni di economia, in questo caso si consiglia di “consolidare i monumenti meno importanti attraverso processi che non sempre possono
ritenersi ortodossi”27.
È lo stesso architetto a ricordare, nei suoi scritti, le teorie francesi sul restauro e,
nello specifico, l’influenza di Viollet-le-Duc nelle sue scelte progettuali; egli, infatti,
precisa che “al giorno d’oggi le riparazioni dei monumenti … [devono essere] assoluta26 “exécutés avec les moyens mis à notre disposition
numents historiques de France”; Lézine, Verrier
1953, p. 3.
24 “retrouver les techniques et l’outillage du passé, rechercher et remettre en exploitation d’ancinennes carrières, analyser er reconstituer la composition des mortiers, former des cadres er des
ouvriers”; Lézine, Verrier 1953, p. 5.
25 “Les constructeurs musulmans n’ont pas
bénéficié ici comme en Egypte des exemples
de l’architecture pharaonique, des influences
hellénistiques directes, ni de concours de bon
maîtres d’œuvre chrétiens, tels ceux qui élevèrent
les remparts du Caire, sans parler des ressources
dues à l’excellent calcaire du Mokkatam”; Lézine,
Verrier 1953, p. 4.
par les progrès de la technique, l’apparence ancienne
étant obtenue par l’emploi des matériaux de l’époque employés superficiellement”; Lézine, Verrier
1953, p. 4. Tra i suoi numerosi interventi si ricorda
il restauro e il consolidamento (1951) di uno dei palazzi della Medina di Tunisi, il Dâr Ben Abdallah, in
cui le tecniche moderne utilizzate vanno a rinforzare
gli elementi strutturali; le pratiche tradizionali sono,
invece, riservate a finiture, rivestimenti e decori.
27 “Dans ces conditions, nous sommes souvent
amenés, pour des raisons d’économie, à consolider les monuments les moins importans par des
procédés qui ne sont pas toujours très orthodoxes”; Lézine, Verrier 1953, p. 8.
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mente invisibili e non alterare il loro aspetto … Tutto questo è stato fatto in Francia”28.
Appare con evidenza l’appartenenza culturale alla propria nazione; in queste sue parole tornano alla mente visioni ottocentesche, mentre nel resto dell’Europa le vicende
post-belliche rimettono in discussione criteri e concetti precedenti in nome di un
approccio ‘critico’ in grado di soddisfare tutte le diverse sfaccettature che qualificano
le difficoltà della ricostruzione.
Ma il restauro archeologico trova la sua specializzazione solo a partire dal 1955,
quando viene istituito l’Istituto Archeologico Nazionale29.
Anche con l’indipendenza (1956), la conservazione del patrimonio architettonico e urbano, al contrario di quanto accade in archeologia, stenta a decollare non
trovando grande attenzione da parte delle autorità; l’impostazione culturale del Paese continua a essere influenzata dal sapere occidentale e dalle idee ‘progressiste’ che
inevitabilmente portano a un certo disinteresse nei confronti della conservazione del
patrimonio. L’ideale nazionale è, infatti, impostato su principi e schemi ‘modernisti’,
come documentano le seguenti parole di André Demeerseman: “L’aspirazione nazionale è sinonimo di aspirazione moderna”30.
Solo dopo questa prima fase le autorità del nuovo Stato iniziano a porre i beni
storici sotto una duplice tutela amministrativa: quella del Servizio per il Culto, presso il Segretariato di Stato, e quella dell’Istituto Nazionale di Archeologia e di Arte31,
quali strumenti del Servizio delle Antichità e delle Arti, anche se quest’ultimo accorda ancora priorità alla conservazione del patrimonio antico.
Bisogna attendere gli anni Settanta per osservare una certa presa di coscienza
del ‘valore’ di tutto il patrimonio tunisino e la consapevolezza che la conservazione
dei monumenti, in una fase di regressione economica come quella che sta vivendo la
Tunisia, può attivare una politica nazionale aperta al settore turistico.
Nel 1964 la Tunisia firma la Carta di Venezia32, e l’adesione porta a una nuova
concezione del patrimonio architettonico e urbano visto non più come bene esclusivo
della nazione ma quale retaggio dell’umanità.
28 “Nous souhaitons aujourd’hui que des réparations
faites à monument restent absolument invisibles et
ne modifient en rien son aspect … Tout cela a été
réalisé en France”; Lézine, Verrier 1953, p. 5.
29 Matri 2008.
30 “Aspiration nationale est synonyme d’aspiration
moderne”; Demeerseman 1962, p. 225.
31 Il Decreto del 30 marzo 1957 ha portato alla
creazione dell’Istituto Nazionale di Archeologia e
Arte; il Decreto del 2 aprile 1966 ha predisposto
la sua organizzazione.
32 Il documento viene firmato, per la Tunisia, da
Mustafa Slimane Zbiss (1913-2003), responsabile, dal 1942, della conservazione dell’area arabo-
islamica della biblioteca di El-Attarine, futura Biblioteca Nazionale della Tunisia. Quest’esperienza
gli permette di stringere forti legami con studiosi
dell’arte islamica quali Evariste Lévi-Provençal e
Louis Poinssot, predecessore di Gilbert Charles Picard presso il Dipartimento delle Antichità. Zbiss
si specializza, quindi, nell’ambito dell’archeologia
islamica tunisina. Diventa così il primo tunisino a
integrare la gestione delle antichità come ispettore del Dipartimento di Archeologia musulmana
(1948). Sotto la sua direzione vengono studiati e
restaurati alcuni importanti monumenti riferibili
al patrimonio arabo-musulmano, quali la moschea
di Zitouna, i ribat di Mahdia e di Sousse.
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Fig. 5. Il villaggio di Sîdî Bou-Saïd visto dalla residenza del barone Rodolphe d’Erlanger (fotografia M. G. Turco).
Nel 1970, con il sostegno dell’Unesco, viene impostato il progetto Tunisi-Cartagine, iniziativa che ha come priorità la salvaguardia e la valorizzazione dei beni architettonici e urbani per fini turistici.
A partire dagli anni Novanta del Novecento, oltre alla Medina, vengono tutelati
anche alcuni edifici del XIX-XX secolo e della tradizione vernacolare pre-industriale;
a questa Lista si sono aggiunti, nel 2001: il palazzo di Giustizia (1920), l’ex Banca di
Algeria, in Rue de Rome, e la Tesoreria Generale.
Nello stesso periodo l’Istituto Nazionale di Archeologia e di Arte elabora misure di salvaguardia per il sito di Cartagine e per il nucleo urbano di Sîdî Bou-Saïd,
compreso lo storico palazzo del barone Rodolphe d’Erlanger. Un ulteriore passo verso
la protezione interessa anche la tutela delle facciate messa in atto da un Decreto del
settembre 2000, che ha inserito nell’elenco anche alcuni edifici di Art Nouveau, in stile
veneziano ed eclettico.
4. Esperienze ed esempi
Uno dei centri urbani più interessanti della Tunisia, per storia, architettura e tradizioni culturali, è Sîdî Bou-Saïd (Fig. 5), villaggio posto su un’altura prospettante la
baia di Tunisi33, che, all’inizio del Protettorato francese, appare caratterizzato dai molteplici colori dei suoi edifici e della piccola medina di Djebel Manar.
Tra il 1911 e il 1921 il barone di origini anglo-francesi Rodolphe d’Erlanger (18721932), cultore della pittura e della musica araba, acquisisce il palazzo di Ennejma Ezzahra,
edificio improntato sugli stilemi della tradizione architettonica arabo-andalusa e identificato cromaticamente dall’alternanza del bianco dei paramenti murari e del blu oltremare dei
33 Il primo insediamento, del XIII secolo, riguarda
il santuario di Abou Said el Beji; ma il villaggio
prende forma nel XVIII quando i governatori tur-
chi di Tunisi e gli aristocratici vi costruiscono numerose abitazioni.
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serramenti e delle componenti accessorie. Il palazzo, che oggi ospita il Center of Arab and
Mediterranean Music, diventa, intorno agli anni Venti, il simbolo dell’intero borgo sul mare.
Affascinato dal carattere pittorico del villaggio, d’Erlanger, ormai punto di riferimento della comunità locale e internazionale34, allerta le autorità francesi e il bey
sulla necessità di preservare questo patrimonio storico, anche per scopi turistici. Il
barone guida, quindi, l’impostazione del decreto del 28 agosto 1915, che ha lo scopo
di tutelare e preservare l’autenticità dell’architettura del villaggio, imponendo i tipici
colori mediterranei, il blu e il bianco, oltre che impedire un’incontrollata espansione
edilizia sul promontorio a picco sul mare. Pertanto, a partire dal 6 agosto 1915, il
bey Mohamed Ben Naceur Pasha e il Residente Generale di Francia a Tunisi, impongono misure restrittive per la conservazione dell’esistente e prescrivono precise
indicazioni per le nuove edificazioni. Il decreto indica, all’articolo 1, la protezione
“dell’aspetto esterno delle facciate degli edifici, delle coperture a volta e dei tetti”;
contestualmente, proibisce la ridipintura dei prospetti con cromie diverse dai colori
stabiliti, il bianco e il blu35.
Tale esperienza produrrà il decreto del 17 settembre 1953 relativo alla tutela
e alla conservazione di numerosi altri centri storici tunisini; inoltre, la vicinanza con
l’area di Cartagine comporta l’elaborazione, nel 1973, di uno specifico programma di
valorizzazione, il “Progetto del parco nazionale di Cartagine-Sîdî Bou-Saïd”, che interessa un’estensione di circa 163 ettari. Il piano prende in considerazione non soltanto
l’architettura dei luoghi, dei villaggi ma anche le aree verdi di uso pubblico, lo sviluppo
turistico dell’area e del porto, oltre che l’area archeologica di Cartagine individuata
quale Parco Nazionale36.
Il progetto Cartagine-Sîdî Bou-Saïd, in linea con le indicazioni della Convenzione di Parigi del 1972, sulla protezione dei beni culturali e naturali mondiali, realizza
un sistema di difesa e salvaguardia non solo di quel patrimonio espressione culturale
di una comunità caratterizzato da “eccezionale valore universale”, ma anche delle ricchezze naturali.
Insieme a Sîdî Bou-Saïd anche il sito di Cartagine37 ha suscitato sempre grande
interesse sin dall’istituzione del Protettorato quando, a partire dal 1881, vengono sistematicamente impostate le prime indagini archeologiche, soggette all’autorizzazione
del bey. In realtà, già alcuni decenni prima, dal 1868, la Società dei Missionari d’Africa
del cardinale Charles Lavigerie (1825-1892), presente da tempo nell’area di Cartagine
per la sua opera di evangelizzazione, esprime un autentico interesse nei confronti delle
testimonianze archeologiche che iniziano a emergere dai primi sondaggi; frammenti che
34 Dopo
36 Il piano viene sviluppato e approvato solo nel
1978.
37 Nel presente articolo non sono stati analizzati
altri siti, tranne alcuni accenni a quello di Cartagine, perché è in pubblicazione, da parte degli
autori, una ricerca sul restauro archeologico in
Tunisia.
d’Erlanger, numerosi artisti vivono e visitano Sîdî Bou-Saïd, tra questi i pittori: Paul Klee,
l’orientalista francese Gustave-Henri Jossot, il tedesco August Macke e lo svizzero Louis Moillet.
35 Indicazioni riprese nel decreto del 7 ottobre
1985, che tutela anche il sito di Cartagine, e il decreto comunale del 9 marzo 2005.
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Fig. 6. La colonna nel recinto delle Terme d’Antonino (fotografia S. Gallico).
vengono raccolti presso il museo Lavigerie di Saint Louis a Cartagine fondato, nel 1875,
dal presbitero francese Alfred Louis Delattre (1850-1932), archeologo e corrispondente
dell’Istituto38; figura di riferimento, in qualità di studioso delle rovine cartaginesi, per
tutte le successive missioni archeologiche che si succedono, in quegli anni, in Tunisia39.
Tra gli interventi più recenti sul sito di Cartagine, si vogliono ricordare alcune operazioni di restauro e anastilosi; in particolare si tratta della ricomposizione di due colonne nel recinto delle Terme d’Antonino (Fig. 6), operazione finanziata dal Programma
delle Nazioni Unite per lo Sviluppo e dall’Unesco40. La Missione si è svolta durante il
mese di luglio del 1985, dopo approfonditi studi avviati fin dal 1972, e ripresi in occasione dell’inserimento del sito nella Lista del Patrimonio mondiale Unesco nel 1981.
Tenuto conto che i reperti concernevano soltanto gli ambienti sotterranei dove veniva
38 Molti dei reperti verranno, a partire dal 1882,
esposti nel museo Alaoui (in seguito del Bardo). La
struttura viene istituita con decreto del 25 marzo
1885: “[il complesso deve] ricevere e mantenere
opere artistiche e oggetti d’antiquariato e, in generale, tutte le collezioni relative allo studio delle arti
e delle scienze”.
39 Delattre
1890; Id. 1896; Id. 1906.
missione, svolta dall’architetto M. Jacques
Vérité, è finanziata dall’Unesco per gli anni 19841985.
40 La
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scaldata l’acqua marina e le stanze di servizio, il procedimento di anastilosi è stato giustificato, quale operazione culturale, per suggerire al fruitore, attraverso una vera e propria
ricomposizione ideale, l’immagine e l’imponenza delle Terme prospettanti il mare. Il
rimontaggio delle parti scomposte rientra, infatti, in quelle iniziative volte a facilitare la
comprensione senza “snaturare i significati”, che escludono ricostruzioni e ripristini, un
intervento, quindi, volto esclusivamente a “ristabilire la continuità delle forme”41.
In base alle indicazioni della Carta di Venezia, secondo la quale “il restauro deve
fermarsi dove ha inizio l’ipotesi”, il lavoro di reintegrazione delle lacune del fusto delle
colonne, riconosciuto indispensabile “per ragioni estetiche e tecniche”, viene realizzato in cemento, materiale diverso che permette la ‘distinzione’ e porta “il segno della
nostra epoca”42.
I criteri che hanno portato all’inserimento nella Lista mondiale l’area archeologica di Cartagine si basano essenzialmente sul fatto che la città, punico-fenicia e romana,
ha esercitato grande influenza nello sviluppo delle arti, dell’architettura e del sistema
urbano nel Mediterraneo; ma è soprattutto l’“integrità e autenticità” del sito che hanno
ottenuto il riconoscimento Unesco perché il “restauro e la manutenzione svolti nel
corso degli anni sono conformi con gli standard delle carte internazionali e non hanno
danneggiato l’autenticità dei monumenti e dei resti del sito di Cartagine. L’ambito
beneficia di un protocollo di manutenzione”43.
La zona archeologica, oggetto di conservazione quale monumento storico dal
1885, ha la sua protezione garantita dal decreto 1246 del 7 ottobre 1985, relativo alla
tutela di Cartagine-Sîdî Bou-Saïd; altresì, dalla Legge 35 del 1994, per la protezione
del patrimonio archeologico e storico e di arti tradizionali, e dal decreto del 16 settembre 1996 per la creazione del sito culturale di Cartagine.
Per quanto riguarda poi la conservazione dei mosaici cartaginesi, alcuni dei quali
esposti al museo del Bardo, la Tunisia ha aderito alla Carta di Modica “Per la valorizzazione e la gestione integrata del patrimonio tangibile ed intangibile dei siti archeologici con mosaico nel Mediterraneo” (Modica, 23 febbraio 2006); questo documento
si pone quale obiettivo fondante quello di “utilizzare ogni occasione di scambio e
comunicazione fra i popoli e i Paesi dell’area” mediterranea, vista la situazione in continuo fermento sociale, politico e religioso, e l’instaurarsi di “dinamiche … suscettibili
di propiziare fecondi rapporti ma anche di creare barriere alla comprensione reciproca”. Questa condizione vale soprattutto per quei Paesi le cui aree archeologiche sono
caratterizzate da un’espressione “artistica peculiare e prezioso veicolo di conoscenze”,
vale a dire il mosaico, “elemento rappresentativo di una storia comune e di una iden-
41 Carta
43 “Restoration and maintenance work carried out
over the years is in accordance with the standards
of international charters and has not damaged the
authenticity of the monuments and remains of the
site of Carthage. The site benefits from a maintenance protocol”.
di Venezia, Scavi, art. 15. La prima colonna rimontata è quella del Frigidarium, a seguire una
nel portico est, una nell’angolo sud della palestra
nord e una nell’angolo nord della palestra nord.
42 Carta di Venezia, Scavi, art. 9. Il secondo elemento rimontato è stato quello della palestra a nord.
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tità”44. L’accordo consente di valorizzare e gestire con più efficacia il patrimonio musivo mediterraneo oltre che di utilizzare al meglio i flussi turistici, creando percorsi
tematici (Sicilia, Tunisia, Algeria).
Anche la città di Kairouan è stata oggetto d’interesse attraverso l’istituzione, nel 1977,
dell’Associazione di Salvaguardia della Medina (Association de Sauvegarde de la Médina de
Kairouan) insieme con l’Istituto Nazionale di Archeologia (Institute National d’Archéologie) con lo scopo di proteggere e restaurare la città. Nella prima fase si è provveduto
alla conservazione degli edifici significativi (moschee, mausolei e le mura), in un secondo
momento alla valorizzazione di piazze, strade, facciate ed edifici privati, nonché alla tutela
del tessuto urbano della città storica, minacciato da un’indiscriminata modernizzazione.
Similmente la città-oasi di Nefta45, è stata interessata di recente (2005), da un
programma di recupero avviato dalla Cooperazione Italiana allo Sviluppo tra l’Europa
e i Paesi del bacino del Mediterraneo, soprattutto attraverso la valorizzazione delle
risorse umane locali e la conservazione del patrimonio ambientale; analogo il progetto
di restauro degli edifici di valore storico e archeologico della Medina di Le Kef (2011),
finanziato dal Ministero della Cultura tunisino con l’obiettivo di dare slancio al turismo culturale della regione.
Un capitolo particolarmente stimolante, riferibile soprattutto al periodo più recente, è quello dei musei tunisini oggetto d’interventi di rinnovamento e adeguamento alle mutate esigenze espositive, quali il Bardo a Tunisi e i musei archeologici di
Chemtou, Mahdia e Sousse (2012).
La struttura di Sousse, già attiva dal 1951, è stata riaperta a seguito di un progetto di restauro e gestione che rientra in un piano di promozione nazionale del turismo
culturale comprendente anche i musei di Karouane e di Dierba. La riorganizzazione
degli edifici museali contempla l’annessione al nucleo originario, parte integrale della
Kasbah, di altri spazi, quali una preesistente prigione e alcune abitazioni ottomane,
per una migliore utilizzazione delle sue potenzialità spaziali, architettoniche e culturali46.
A seguire il museo di Mahdia, piccola struttura espositiva con collezioni archeologiche e suppellettili relative alla tradizione popolare della regione. Lo spazio
a disposizione copre una superficie di circa 730 mq, all’interno di locali municipali
e di un vecchio cinema abbandonato, vicino alla porta di accesso alla cittadella Fatimide del X secolo. Sia la sede municipale, edificio coloniale neo-moresco edificato
nel 1900, sia il vicino cinema dovevano essere demoliti. L’intervento di recupero ha
invece contemplato il mantenimento delle due strutture con l’intento di conservare
44 I
45 Il sito si trova nella regione di Tozeur, a sudovest della Tunisia, ai margini del lago salato Chott
El Jerid.
46 Il museo, inaugurato nel 1951, espone la seconda più grande collezione di mosaici, dopo quelli
del Bardo, rinvenuti durante gli scavi, tra 1882 e
1883, nella città di Sousse e dintorni.
rappresentanti dell’Algeria, Egitto, Giordania,
Israele, Italia, Libano, Libia, Marocco, Siria, Tunisia
e Autorità Nazionale Palestinese si sono riuniti a
Modica, il 22 e 23 febbraio 2006, per la Conferenza “Mosaico Mediterraneo: valorizzazione dei siti
con mosaici”, organizzata dal Ministero degli Affari
Esteri italiano sotto gli auspici dell’Unesco.
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Fig. 7. La nuova ala del
museo del Bardo di
Tunisi (fotografia M.
G. Turco).
la traccia di tali memorie storiche. La porzione municipale è stata destinata all’accoglienza e all’amministrazione del museo mentre la sala cinematografica ha accolto
lo spazio museale. La nuova impostazione architettonica presenta un sistema a tre
campate, dal piano terra al piano superiore, con corsie separate in modo tale da poter beneficiare di una illuminazione naturale indiretta che filtra da lucernari posti
sulla terrazza. I vuoti che caratterizzano e segnano gli spazi finiscono per creare un
legame visivo tra i diversi piani espositivi.
Il rinnovamento del museo del Bardo è un progetto che invece rientra in un
piano di sviluppo culturale dell’area metropolitana di Tunisi e Cartagine. A seguito di
un prestito di 30 milioni di dinari dalla Banque Internationale pour la Reconstruction et
le Développement, la riqualificazione del museo del Bardo, iniziata nella primavera del
2009, si è conclusa nel 2012, nel contesto di una strategia nazionale per lo sviluppo
culturale e turistico.
Il museo di storia della Tunisia, che occupa l’ex palazzo del bey, al di fuori delle
mura della città, è caratterizzato da un complesso di edifici di varie dimensioni e stili,
costruiti da diversi bey Mouraditi e Husayniti. Fondato nel 1882, viene inaugurato nel
1888 con il nome di “Alaoui Museum”, solo nel 1956 prende il titolo di museo Nazionale del Bardo47. Le collezioni in esso contenute sono articolate in sei dipartimenti
corrispondenti alle principali fasi storiche della Tunisia.
La struttura originaria è stata rinnovata, contestualmente ai lavori d’ampliamento
consistenti nella realizzazione di una nuova ala edificata sul retro del museo storico
47 I
lavori di costruzione del Bardo, avviati da
Mohammed Bey (1855-1859), vengono comple-
tati dal successore Mohammed Es-Sadok (18591882).
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Fig. 8. Museo del Bardo, ingresso alla sala Punica (fotografia M. G. Turco).
esistente48. Questo nuovo edificio, con un’estensione di circa 9000 mq, ha raddoppiato
la superficie aggiungendo strutture e ampi spazi, quelli che mancavano per una completa e aggiornata musealizzazione dell’ingente patrimonio tunisino; altresì, il numero
dei ‘pezzi’ esposti sono duplicati, raggiungendo circa gli 8000 elementi.
La nuova ala è preceduta da un importante ingresso che conduce verso le diverse
sezioni, ampiamente illuminate grazie alla costante presenza di vetrate (Fig. 7). L’andito principale è caratterizzato da un portico e da una sala con pilastri (m 20×32), dove
il visitatore viene accolto con l’esposizione del grande mosaico delle Terme di Sousse
(m 13×10); anche la sala espositiva temporanea, riprende quest’idea di grandeur, con
imponenti dimensioni (m 40×20 e un’altezza di m 6).
I percorsi di visita obbediscono a criteri cronologici e tematici in cui si alternano
allestimenti museografici di grande interesse architettonico e comunicativo che riescono
a valorizzare, con sapienza progettuale, le diverse collezioni, di archeologia, storia, arte
decorativa ed etnografia. Le sezioni sono state tutte riorganizzate e riordinate in base
a nuovi sistemi museografici e segnaletici che soddisfano gli standard contemporanei.
Numerosi i servizi per i visitatori (negozi, caffetterie, ristoranti, auditorium, mediateca,
attrezzature per diversamente abili), oltre ad appositi laboratori per il restauro dei mosaici e per la manutenzione delle opere e dell’edificio49.
48 Il progetto della nuova ala del museo è degli
architetti SCPA Pierre-François Codou, Franck
Hindley e Amira Nouira (arch/an).
49 Il riassetto museale dovrebbe, infatti, aumentare la capacità di ammissione dai 600.000 visitatori
a un milione l’anno.
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L’impostazione progettuale, che ha
voluto rappresentare la ‘metafora’ della
Medina, con un ingresso monumentale,
passaggi, cortili e lucernari che illuminano gli spazi interni, è stata concepita
quale simbiosi tra architettura e museografia, con la luce quale elemento primario per le esposizioni. L’illuminazione
naturale arriva attraverso sapienti tagli
verticali e orizzontali. Negli ambienti
chiusi, invece, elaborati sistemi artificiali riescono a creare spazi suggestivi e di
grande fascino per il visitatore; tra questi, l’ambiente ellittico e buio della sala
Punica che, annunciata da un fascio di
luce azzurra, racchiude all’interno frammenti archeologici e sculture puntualmente illuminati (Fig. 8).
I percorsi di collegamento, le gallerie, le scale – come strade, orizzontali, verticali e diagonali – articolano e
distribuiscono i volumi del complesso
insinuandosi nel suo interno; altresì, una
scala elicoidale si sviluppa come un lunFig. 9. Museo del Bardo, la scala elicoidale
go nastro verticale per servire i diversi
che collega i diversi livelli delle sale esposilivelli del museo (Fig. 9), mettendo in
tive (fotografia M. G. Turco).
comunicazione vecchi e nuovi spazi
espositivi. La fluidità architettonica degli ambienti e dei percorsi di visita, la facile
compenetrazione delle diverse collezioni, costituiscono gli elementi caratterizzanti
della modernità di questo progetto per il Bardo. Contestualmente, nel preesistente
edificio storico sono state realizzate, nell’ambito della cooperazione tra Italia e Tunisia, opere di restauro e diagnostica, dirette da Giovanni Coppola50; nello specifico, gli
interventi hanno interessato il consolidamento dei soffitti lignei nella sala della Musica
oltre che la conservazione e la reintegrazione delle superfici pittoriche51.
Il Bardo oggi è, quindi, secondo le parole di Soumaya Gharshallag, ex direttrice
del museo, più che “un museo archeologico … un museo di civiltà. Racconta il passato
51 Il
50 Il progetto è stato promosso dal Centre Institutionnel Euroméditerranéen pour les Biens Culturels,
dall’Università degli studi Suor Orsola Benincasa
e dal Polo delle Scienze Umane e Sociali dell’Università degli studi di Napoli Federico II.
gruppo di lavoro è formato da M. Khanoussi,
Institut National du Patrimoine de Tunis, G. Coppola, Facoltà di Lettere Uni-SOB, e L. Hadda.
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della Tunisia, che è sempre stato un mélange di culture, da sempre abbiamo vissuto
insieme. L’importante è accettare le differenze. Questa è la democrazia e questo va
insegnato ai giovani”52.
5. Conclusioni
Le parole della ex responsabile del museo del Bardo ben inquadrano la situazione
politica e confessionale tunisina e di alcuni Paesi del Nord Africa caratterizzati dalla
mancanza di una coesione culturale che porta inevitabilmente verso profonde incomprensioni. Le “Primavere arabe” risultano attraversate da desideri di democrazia ma ostacolate da momenti e situazioni difficili, da un “percorso angusto di contraddizioni e [da]
un delicato quanto precario equilibrio tra islamismo e laicità”53. Tutto ciò non giova alla
cultura e rischia di alterare il patrimonio artistico di questi Paesi ricchi di testimonianze
di storia, arte e tradizioni. La Tunisia, nell’immediato dopo Ben-Ali, che ha chiuso il suo
mandato nel 2011 a seguito di una rivolta popolare, è stata oggetto di traffici e “mercificazioni” del proprio patrimonio, oltre che di un mancato controllo dello sviluppo urbanistico che minaccia alcuni dei siti archeologici più noti, tra i quali la stessa Cartagine54.
Situazione complessa che ora sembra essere in fase di miglioramento; i responsabili della cultura tunisina sono, infatti, illuminati da nuova energia che comporta
iniziative e progetti rivolti alla protezione di siti, musei e monumenti. Continuano,
del resto, i restauri della Medina, ma la situazione appare piuttosto compromessa per
altre aree della città; sicuramente il percorso è difficile e non pochi sono i problemi
che si pongono all’attuale governo. Tra questi: combattere il degrado delle città, dei
centri storici e delle periferie ma anche l’incuria paesaggistica soprattutto del litorale;
proteggere e valorizzare alcuni villaggi minori e abbandonati come Takrouna, nell’entroterra di Hammamet, ma anche gli Ksar del sud tunisino come Douiret, il complesso
di Ghomrassen, il suggestivo borgo di Chenini; controllare i beni di epoca romana,
tardo-antico come le basiliche paleocristiane, ma anche il patrimonio non islamico
come sinagoghe e chiese; evitare il degrado delle grandi strutture alberghiere, a volte
sottoutilizzato. A questi se ne aggiunge un altro non meno importante: la difesa dei
luoghi sacri islamici come moschee e marabut.
Dopo la rivoluzione, diversi scontri confessionali, hanno avuto luogo in aree sacre; tra questi l’incendio provocato, il 12 gennaio 2013, al mausoleo di Sîdî Bou-Saïd
che ha suscitato clamore e indignazione.
Un marcato e ancora inedito interesse viene ora rivolto, a livello locale e internazionale, anche verso contesti paesaggistici e naturali, quali le grotte di Ouesslat, nella
52 Intervista
a Soumaya Gharshallag; Di Lellis
2013.
53 Brusasco 2013, p. 117.
54 Si ipotizza che circa 87 elementi del museo del
Bardo siano stati trafugati. Attualmente l’Interpol,
con il governo tunisino, sta indagando su un traf-
fico internazionale di reperti venduti sul mercato
antiquario; Brusasco 2013.
55 École Nazionale d’Architecture et d’Urbanisme de Tunis.
56 Il convegno si è svolto dal 5 al 7 novembre
2014.
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Fig. 10. Museo del Bardo, veduta dell’ingresso dopo l’attentato del 18 marzo 2015 (fotografia
M. G. Turco).
regione di Kairouan, dove recentemente (2012) sono stati rinvenuti resti umani riferibili all’uomo di Neanderthal, vale a dire di 250.000 anni fa.
Sicuramente la situazione è contraddittoria e mutevole, ma la comunità scientifica
appare tutta impegnata in azioni comuni, indipendentemente dai credi religiosi. Durante un recente convegno internazionale, infatti, organizzato nel 2014, dalla facoltà di
Architettura e Urbanistica della Tunisia55, voluto dall’architetto Fakher Kharrat, ex preside della Facoltà di Architettura e diretto nella prima giornata da Mustapha Khanoussi,
direttore degli studi dell’Istituto del Patrimonio, sul tema Patrimonio e orizzonti. I nuovi
metodi di conoscenza, di comprensione e di conservazione del patrimonio56, è emerso chiaramente, e anche con grande vivacità, l’interesse verso tutti i temi della cultura tunisina,
dall’architettura coloniale a quella contemporanea, non tralasciando i grandi siti archeologici e le costruzioni rurali del nord-est della Tunisia, puntando l’attenzione soprattutto
sulla salvaguardia del patrimonio culturale tradizionale e sulla volontà d’impostare un’operativa collaborazione internazionale.
Intenzionalità e partecipazione che potrebbero essere in parte compromesse dal
recente atto terroristico del 18 marzo 2015 che ha colpito uno dei simboli della cultura mondiale: il museo del Bardo. L’attuale direttore, Ben Moussa Moncef, nell’immediatezza dell’evento ha dichiarato che la struttura espositiva, in quanto “luogo della
memoria”, manterrà tutti segni dell’attentato – nelle murature, negli intonaci, nelle
vetrine espositive e in alcuni preziosi reperti archeologici – intervenendo solo attraverso “restauri minimi” per mantenere il ricordo di un atto esecrabile indirizzato a tutta
la comunità (Fig. 10).
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