Le applicazioni nel settore delle biomasse

Transcript

Le applicazioni nel settore delle biomasse
Seminario:
“Il mercato dei certificati verdi: come ottenerli, previsioni e
applicazioni nel settore delle biomasse”
Le applicazioni del settore delle biomasse: le filiere produttive e di approvvigionamento, le
opportunità disponibili, l’evoluzione delle tecnologie, la massima valorizzazione economica della
fonte
16 Marzo 2007
Giuseppe Tomassetti
Definizione
Con il termine biomasse si indicano tutte le materie di origine biologica, il termine è spesso corretto
in quello di materie di origine biogenica.
Considerando le numerose contaminazioni fra chimica organica e chimica inorganica (basti pensare
al guano del Cile o alle montagne di corallo, come le Dolomiti), una definizione meno ideologica e
meno simbolica è basata su una prova di attacco acido, in corso di definizione in ambito CEN.
Fig. 1
1
Quali biomasse sono potenzialmente disponibili come fonte energetica
Le biomasse disponibili possono essere di origine naturale o prodotte dalle attività umane; esse
possono essere sia di origine vegetale (di gran lunga prevalenti) o di origine animale.
Sono biomasse utilizzabili per uso energetico di origine vegetale:
-
le produzioni delle attività agricole dedicate;
-
le produzioni delle attività forestali;
-
i residui e gli scarti delle attività forestali, dell’industria del legno, delle attività agro
industriali, delle attività agricole;
-
alcuni prodotti della raccolta differenziata dei rifiuti;
-
i prodotti di legno a fine vita.
Sono biomasse di interesse energetico di origine animale:
-
le farine animali e i materiali di scarto della macellazione;
-
i reflui liquidi e solidi degli allevamenti;
-
i fanghi dei depuratori delle città e delle agro industrie.
Le biomasse disponibili per uso energetico possono essere utilizzate tal quali o essere il risultato di
attività di trasformazione in prodotti di uso più facile. Posiamo avere:
-
combustibili solidi (legno nelle varie pezzature, prodotti agricoli, farine animali);
-
combustibili liquidi (oli vegetali, alcool da fermentazione delle zucchiere, biodiesel);
-
combustibili gassosi (da fermentazioni anaerobiche e da gassificazione termica).
Queste suddivisioni si complicano ancora di più se si considera anche come i vari materiali arrivano
alla fase di uso energetico, di quali sono le applicazioni alternative ed in concorrenza con le
applicazioni energetiche; ne deriva quindi l’esistenza di varie filiere, tra loro a volte in concorrenza,
a volte indipendenti, caratterizzate o dal tipo di combustibile o dalle modalità d’impiego. Il settore è
attualmente in forte evoluzione e le diverse filiere sembrano essere scoperte una dopo l’altra, con
picchi di interesse che, sotto lo stimolo degli incentivi non sembrano tenere sempre conto dei vari
vincoli esistenti.
Combustibile o rifiuto
Vi è stata negli ultimi anni una forte contaminazione/confusione sul tema della appartenenza delle
biomasse al mondo dei rifiuti o a quello dei combustibili. La legislazione definisce il rifiuto come
una cosa di cui il proprietario si vuole o si deve disfare, quindi non si basa su specifiche costitutive,
ma su caratteristiche di responsabilità di chi lo produce.
2
Conseguentemente il letame delle mucche è prodotto intermedio molto importante per l’azienda
agricola con proprie superfici agricole da concimare, mentre è un rifiuto per l’azienda di
allevamento al chiuso, senza terreni che deve smaltirlo al di fuori del suo sito di attività.
È perciò fondamentale che la biomassa da utilizzare non si configuri mai nella categoria dei rifiuti.
Il decreto DPCM 8 marzo 2002 ha definito come combustibili vegetali non sottoposti al regime dei
rifiuti tutte le sostanze, provenienti dalle attività forestali, dall’agricoltura, dalle industrie
agroalimentari, dall’industria del legno che abbiano subito solo lavorazioni meccaniche. Nel decreto
sono stati poi fissati i limiti per la presenza di metalli pesanti (come controllo dei processi di origine
del materiale) e sono state specificate le emissioni di inquinanti ammesse dalla loro combustione
(specie per polveri).
La definizione aveva ancora carattere ideologico, per cui escludeva la sansa esausta che ha subito
un processo di essiccazione e di estrazione dell’olio, mentre includeva la sansa vergine, peraltro
difficilmente gestibile a causa dell’umidità e degli odori, questa discrepanza è stata sanata da un
DPCM dell’8 ottobre 2004 che ha modificato il DPCM dell’8 marzo 2002 ed ha ammesso la sansa
disoleata fra i combustibili vegetali. La legislazione europea, in avvio, definisce invece i
combustibili vegetali come materiali non contaminati da metalli pesanti e prodotti alogenati,
rinviando alle norme tecniche per le modalità di verifica e per le soglie.
Rimane, in ogni caso, l’importanza che i combustibili vegetali, prodotti a valle di altre attività, non
entrino nel ciclo dei rifiuti. La dichiarazione di non volersi disfare di tale materiale deve,
presumibilmente, entrare nella descrizione dell’attività produttiva dell’impresa, quindi, ad esempio,
una segheria può essere ufficialmente produttrice di tavolame e di pellet di segatura, per
combustione in caldaie domestiche.
Rimane invece l’interesse alla realizzazione di impianti dedicati alla valorizzazione energetica di
materiali definiti come rifiuti, tenendo conto degli specifici problemi sia di trasporto, di
combustione, di corrosione, che di trattamento degli effluenti, interesse legato al fatto che questi
combustibili non hanno un costo ma c’è invece un prezzo per il loro smaltimento.
Disponibilità potenziale di biomasse
La disponibilità potenziale di biomasse in Italia è un tema complesso sia per la molteplicità delle
fonti di materiali, sia per la potenzialità di produzione dipende fortemente dallo sviluppo degli
infrastrutture e di tecnologie destinate a rendere accessibile un certo prodotto sia infine perché
questa potenzialità va condivisa con altre applicazioni; infatti le biomasse vegetali per uso
energetico sono ottenibili sia dall’attività del settore cartario, che dal settore del legno, per
costruzione ed arredo ed infine anche dal settore agricolo. In questo mercato operano dal lato
3
dell’offerta sia operatori delle aree tropicali che partono dal taglio di foreste naturali, sia di paesi
industrializzati che gestiscono una forestazione da coltura, totalmente rinnovabile ed
ambientalmente del tutto sostenibile.
Fig. 2
Trattandosi spesso di tecnologie non sviluppate in Italia, è quasi indispensabile che le prime
utilizzazioni si basino su materiale biomasse importato; se però non si avvia anche una filiera
produttiva nazionale non è pensabile mantenere incentivi su attività del tutto dipendenti dalle
importazioni, così come avviene per gli idrocarburi.
Le disponibilità di sottoprodotti dalle attività agricole italiane sono abbastanza definite; vi è però
ampia incertezza su quanta parte sia poi commerciabile a costi convenienti e sull’effetto di
sottrazione ai terreni di sostanze vegetali, incertezza legata alla mancanza di tecnologie di raccolta
adatte alle nostre condizioni ed alla mancanza di una logistica dedicata, temi sui quali ci sono
esperienze in corso che hanno bisogno di tempo per dare risultati estrapolabili al territorio
nazionale.
I boschi italiani sono in crescita da anni per superficie ed inventario di quantità ed avrebbero
bisogno di cure culturali, compreso il taglio periodico. Purtroppo la disposizione pedologica è
prevalentemente difficile. Le tradizionali attività delle montagne sono scomparse e non vi è stato
sviluppo tecnologico ne imprenditoriale, come in altri paesi ove la manutenzione dei boschi è
4
sempre stata garantita da leggi specifiche. Attualmente molti schemi di incentivazione delle
biomasse, specie a livello regionale, sono finalizzati a rilanciare le attività di gestione delle foreste,
nella speranza che possa riformarsi una rete di imprenditori nel settore. Per ora sono proponibili
economicamente gli interventi che hanno più obiettivi e che perciò hanno due fonti di
finanziamento, ad es. recupero da incendi, da attacchi di parassiti e sistemazione di aree golenali.
La disponibilità dei prodotti di scarto è un tema costituito da singole nicchie di mercato, collegate
con la normativa di gestione dei rifiuti e con la logistica di ogni specifico prodotto. Finché un certo
prodotto non è commercializzato regolarmente non è possibile avere dati certi sulle potenzialità e
sui costi. Basti considerare la concorrenza degli impieghi delle attività di pioppicoltura per carta, o
pannelli per mobili o per combustione, legata ad andamenti dei mercati mondiali ed anche alla
cogenza di norme ambientali. D’altro canto l’industria dei pannelli per mobili da anni ricicla, a costi
bassi, grandi quantità di legno dalle demolizioni di abitazioni di provenienza tedesca, materiale che
essendo contaminato da vernici ed impregnanti, sarebbe bruciabile solo in impianti qualificati per
rifiuti pericolosi; tale disponibilità potrebbe sparire se venissero realizzati questi impianti.
È da ricordare che la normativa ambientale dell’Unione Europea privilegia il riuso dei prodotti ed il
riciclaggio della materia prima, rispetto al recupero di energia, quindi vi è concorrenza con il
Consorzio Rilegno che si occupa di recupero del legno da imballaggi,
In conseguenza di questa situazione mentre nei paesi del nord Europa le biomasse arrivano
strutturalmente dalla coltivazione delle foreste e dalle segherie, in Italia c’è un ruolo molto forte
degli scarti dell’industria dei mobili, delle industrie agro-alimentari, delle attività agricole e da
attività boschive poco strutturate, con una molteplicità di nicchie non comunicanti, spesso con
commercializzazione non ufficiale, con limitate garanzie di continuità delle forniture.
Le colture dedicate alle applicazioni energetiche sono un’attività che ha un suo sviluppo autonomo
da pochi anni, dopo i tentativi falliti di importare soluzione dal Nord Europa e non adattabili alle
nostre condizioni (d’inverno i nostri campi sono fangosi e non permettono l’accesso alle pesanti
macchine usate in Scandinavia su terreni gelati).
È stato necessario scegliere specie di cloni più produttivi, diversi da quelli per l’industria della carta
ed adattare le macchine esistenti; si è partiti dal pioppo perché è la specie più conosciuta della quale
si sa quasi tutto, con tagli biennali per rimanere nelle tecniche colturali agricole e non passare a
quelle forestali.
Vari cantieri in attività danno confidenza a produzioni di cippato da pioppo comprese fra 10-15
tonnellate/anno di sostanza secca. Altre produzioni permettono produzioni maggiori (ad es.
miscanthus) ma sono meno conosciute e sperimentate. Purtroppo si sono persi molti anni nel
disinteresse ed oggi non c’è più tempo per esplorare le potenzialità delle varie specie.
5
Forte interesse c’è anche per le produzioni di cereali, il cui prezzo sul mercato dell’energia, a posto
delle pellet, è circa il doppio di quello spuntato sui mercati alimentari. In questo settore però occorre
da una parte sviluppare tecniche colturali e relativi cloni delle varie specie più energeticamente ed
ambientalmente più sostenibili (meno acqua e meno lavorazioni), dall’altra occorre tener conto che i
cereali con i loro contenuti di zolfo e cloro pongono problemi di corrosione e con le loro ceneri a
bassa temperatura di fusione (specie il mais) richiedono particolari accorgimenti nelle caldaie. Uno
dei principali motivi di interesse è nel fatto che gli agricoltori accettano più facilmente colture
annuali, mentre si sentono espropriati del loro ruolo rispetto a proposte di bloccare il terreno per 20
anni per un’attività per loro del tutto nuova.
La superficie agraria italiana è di circa 15 milioni di ettari, volendo produrre biodiesel per 2 Mtep
come indicato dalla U.E. ne occuperebbe ben 2 milioni! Ci sono quindi limiti evidenti dalla
disponibilità di territorio. Già oggi l’Italia importa olii e produce biodiesel all’80% da materiale
importato. Uno studio IEA per l’Unione Europea indica che in tempi brevi la maggior disponibilità
sarà fornita dai residui di vario tipo, perché già raccolti e quindi meno costosi, in tempi medi
quantità maggiori saranno fornite dalle colture energetiche dedicate, mentre solo in tempi più lunghi
sarà disponibile un rilevante contenuto dei boschi tradizionali che si spera possano rappresentare un
tetto ai prezzi delle biomasse se saranno più costose di un certo valore allora si potrà attivare anche
la filiera forestale).
La Fig. 3 presenta una stima delle biomasse consumate a scopo energetico nel 2006.
Fig. 3
Consumo di combustibili legnosi nei diversi settori energetici
(2006) valore totale 25,7
4,95%
1,71%
5,17%
13,99%
2,85%
71,35%
Legna da ardere uso domestico;
Cippato (Ind. Legno)
Cippato (teleriscaldamento)
Pellet uso domestico;
Cippato (cogenerazione)
Cippato (EE)
6
Prezzi delle biomasse in Italia e loro potere calorifero
I prezzi delle biomasse combustibili (ben distinte dai rifiuti da smaltire) sono correlati oltre ai cosi
della produzione, anche al valore del combustibile sostituito.
Fig. 4
MWh
Prezzo €
Prezzo €/MWh
Rapporto
t cippato (30%)
3,4
72,6
21,35
1,00
t cippato (40%)
2,81
60
21,35
1,00
t legna (25%)
3,69
130
35,23
1,65
t pellet (8%) sfuso
4,7
200
42,55
1,99
t Pellet (8%) sacchi 15 Kg
4,7
300
63,83
2,99
1
62
62
2,90
1 t gasolio agricolo
10,7
644
60,14
2,82
1 t gasolio da riscaldamento
10,7
1350
125
5,85
1000 l GPL (bombola proprietà)
6,39
896
140,24
6,57
1000 l GPL (bombola comodato)
6,39
834
130,42
6,11
100 mc metano servito
Gli impianti di teleriscaldamento acquistano cippato (legno in scaglie) e segatura dalle segherie a
prezzi attorno ai 60÷80ton/sostanza secca.
I grandi impianti di generazione elettrica per la rete, si approvvigionano sul mercato mondiale con
costi che dipendono dalla logistica del sito. Nel mercato internazionale, su grandi navi (20.000 ton),
il materiale ha costi marcatamente più bassi che il prodotto italiano.
Le pellet nel mercato austriaco, tedesco costavano all’ingrosso attorno ai 150 €/ton, mentre al
minuto sono arrivate nel 2006 fino a 270÷330 €/ton. La legna da ardere, quercia in tronchetti,
portata in casa ha prezzi intorno ai 130 €/ton.
I prodotti agro-industriali quali gusci e sansa variano a seconda delle quantità disponibili in ogni
stagione, ad esempio nel viterbese i gusci di nocciola passano da 120 a 60 €/ton da una anno
all’altro; peraltro gusci di importazione costano attorno ai 100 €/ton.
Le pellet e i gusci, ben secchi, hanno potere calorifero attorno ai 4.500 kcal/Kg. Per il cippato e la
segatura di legno fresca, in funzione della quantità di acqua il valore scende anche a meno della
metà. Per il materiale fresco è preferibile l’acquisto a volume e non a peso.
7
Modalità di recupero energetico
Il recupero energetico delle biomasse può avvenir in quattro diversi modi, funzione non solo del
tipo di materiale, ma anche del tipo di utilizzo previsto:
1)
combustione diretta di combustibili solidi in caldaie o, per oli, in motori per produzione di
calore o elettricità o entrambi, o infine di biodiesel e bioalcool nel trasporto stradale;
2)
gassificazione per via biologica delle sostanze, con fermentazione, anaerobica e produzione di
biogas (CH4 e CO2);
3)
gassificazione termica o pirolisi delle sostanze secche solide, producendo gas costituito
principalmente da CO e H2, da impiegare per alimentare motori a ciclo Otto;
4)
gassificazione termica delle sostanze solide e successiva sintesi di benzine o gasolio.
La gassificazione per via termica è di prevalente interesse per le località isolate e, a meno di
sviluppi tecnologici della pirolisi rapida, non è d’interesse commerciale oggi in Italia, mentre per la
tecnologia della sintesi, di grandissimo interesse perché valorizza tutta la pianta e non solo la
piccola frazione estratta come olio dai soli semi, è ora in costruzione il primo impianto, in
Germania, a scala significativa (2 t/ora di biodiesel). Il bioalcool è attualmente prodotto dalla
fermentazione degli zuccheri, in Italia come sottoprodotto delle attività enologiche e per usi
alimentari, negli USA da mais, in Brasile da canna, ed è impiegato in miscela per la trazione
stradale. Nelle condizioni attuali non esistono spazi economici per la produzione in Italia. Sono in
corso attività di ricerca, tramite esplosione a vapore ed idrolisi per poter far fermentare tutta la
cellulosa aumentando di molto la resa delle colture.
I sistemi di incentivazione per l’uso energetico delle biomasse
I meccanismi di incentivazione delle biomasse sono numerosi, se si produce l’elettricità si accede ai
certificati verdi,se si produce calore si accede ai certificati bianchi o titoli di efficienza energetica,
se si produce un combustibile per il trasporto si può accedere ad una defiscalizzazione parziale delle
accise, se si effettua un servizio energia si può applicare un’aliquota IVA del 10%, gli investimenti
sugli impianti danno diritto ad un credito di imposta del 36%, infine la produzione di energia
all’interno di aziende agricole, con materiale di propria produzione è considerata come attività
agricola e quindi non costituisce reddito ai fini fiscali.
I vari incentivi sono stati decisi in epoche diverse, hanno una diversa influenza sulle scelte, non
sempre sono fra di loro coerenti per entità e regole; nella fase attuale esse hanno l’obiettivo
prevalente di far decollare le tecnologie; una volta superata questa fase essi dovranno essere rivisti
per controllare le distorsioni create quali quelle relative all’incentivazione degli incendi delle foreste
8
naturali all’equatore per piantare palme per produrre olio da trasportare e portare in Europa
(l’Olanda ne importa già 2÷3 Mton) grazie agli incentivi per la protezione dell’ambiente.
Nelle analisi delle potenzialità delle varie filiere occorre tener conto, in parallelo, degli incentivi
dell’UE nelle attività agricole. La P.A.C., politica agricola comunitaria è evoluta recentemente
passando da un premio proporzionale alla produzione (schema che aveva provocato enormi
eccedenze e proteste dei paesi in via di sviluppo) ad un premio fisso di 420 €/ha/anno, indipendente
dalle attività svolte; è previsto un ulteriore premio di 45 €/ha/anno per la destinazione a produzioni
energetiche.
La modifica del meccanismo è molto recente per cui non ha ancora prodotto effetti evidenti sui
comportamenti degli imprenditori agricoli.
Le tecnologie per la produzione di elettricità
A. Combustione in caldaie
Le biomasse possono essere bruciate in caldaie, per la produzione di vapore, che alimenterà
direttamente un ciclo Rankine a vapore o per il riscaldamento di olio diatermico per alimentare un
ciclo Rankine a fluido organico (ORC).
A seconda del tipo del materiale bruciato, dell’umidità e della dimensione le caldaie possono essere
del tipo a griglia fissa, a griglia mobile, a letto fluido bollente o riciclante.
La complessità del ciclo termico è fondamente legato alla taglia, al crescere della stessa è possibile
aumentare sia la pressione che la complessità e quindi il rendimento ottenibile nelle trasformazioni
in elettricità, passando da valori del 15% per pochi MW fino a circa il 30% per taglie da 50-60 MW.
Per taglie molto piccole l’uso del vapor è svantaggiato sia dalla necessità di avere personale in turno
(obbligo italiano ma superabile in altri paesi europei) sia per i bassi rendimenti; per taglie da 0,5-1,5
MW si stanno imponendo in Europa le caldaie ad olio diatermico accoppiato a cicli a fluido
organico con rendimenti netti attorno al 16-18%; sono però usati in impianti con produzione molto
variabile, anche motori a vapore d’acqua di moto alternativo con numero di pistoni attivi variabile
col carico.
Una soluzione per ottener rendimenti elevati è quella della cocombustione, nella stessa caldaia a
carbone o in una linea a parte, in grandi impianti di almeno un centinaio di MW, dotati di cicli
termici di adeguata complessità ad es. inceneritore di Brescia.
Il progetto delle caldaie a biomasse tiene conto del modo complesso della combustione, con tre fasi
che si susseguono nel tempo e nello spazio in funzione della pezzatura del materiale.
9
Dapprima si ha l’essiccazione del materiale, assorbendo calore dalle fiamme o dall’aria
preriscaldata, segue poi la fase di gassificazione con combustione parziale e decomposizione delle
grandi molecole del legno, segue poi la terza fase di combustione completa.
Fig. 5
Il processo di combustione delle
biomasse solide su griglia
Legno
CHmOnNo, ceneri (K,P)
Paglia o erba
CHmOnNo, CI, S, ceneri
Calore
Aria primaria (O2+N2)
Aria primaria
(1°stadio) essiccazione
20 ÷ 150 °C
(2°stadio) gassificazione pirolisi
<600 °C; Λ < 1
H2O + polveri + gas combustibili
HC, CO, CH2, CH3OH, NH3, HCN
Aria secondaria
Fumi di combustione
Prodotti voluti: CO2, H2O, N2, O2
Carbone di
legna
(3°stadio) ossidazione
λ > 1; >800 °C
Cenere sotto
griglia
Prodotti non desiderati: NO, CO, HCI, SO2, polveri
Tempi di residenza > 1 – 1.5 secondi
Calore
9
Questo processo richiede perciò sia un meccanismo per smuovere il materiale caricato, sia il
controllo a zone dell’aria sotto griglia, con riciclo parziale dei fumi, un ingresso d’aria secondaria
comandato dal sensore dei fumi, un’ampia zona di solo refrattario per completare la combustione
prima di scambiare calore con il fluido da scaldare. Il settore della caldaie a biomassa ha avuto un
fortissimo sviluppo negli ultimi due decenni, mutando tecnologie da quelle sviluppate per la
combustione dei rifiuti e dallo sviluppo della sensoristica della combustione. (Fig. 6, 7, 8, 9, 10).
Fig. 6
Schema di caldaia a griglia
MAWERA
12
10
Fig. 7
11
Fig. 8
Fig. 9
12
Fig. 10
B. Combustione in motori
Gli oli vegetali possono essere usati per alimentare motori diesel. I motori dei trattori agricoli ed i
grandi motori di tipo marino possono usare gli oli talquali, purché di caratteristiche costanti, con
piccole modifiche del motore. Per potenze di qualche MW si hanno rendimenti elettrici superiori al
40÷42%. Gli oli sono spremibili a freddo dai semi quali quelli di colza o girasole e palma; in Italia
le tecniche di coltura assorbono circa il 15% dell’energia dell’olio; le rese sono attorno ad 1 tep
all’ettaro, 2 ton di pannello per zootecnica e 4 ton di paglie, le tecniche colturali assorbono circa il
15% dell’energia.
Ben superiori sono le produttività dalle palme da olio, coltivate nelle zone equatoriali umide.
Per poter usare gli oli vegetali nei motori degli automezzi è necessario un processo chimico che
elimini le acidità producendo un estere chiamato biodiesel e glicerina; globalmente il biodiesel
assorbe il 30% del suo potere energetico nelle attività di coltura e produzione.
C. Il biogas
Il biogas è il prodotto dell’attacco della biomassa animale e vegetale da parte di batteri che operano
in condizione di mancanza di ossigeno (anaerobiosi) ed è costituito per circa il 50% da metano. Al
contrario i batteri aerobici, come nella produzione di compost, producono solo anidride carbonica.
Perché i batteri anaerobici operino occorre che nella biomassa il rapporto fra carbonio e azoto sia
inferiore a 30, è quindi necessaria una certa quantità di reflui dagli allevamenti.
Oggi in Italia la sorgente più sfruttata di biogas è costituita dalle discariche di rifiuti, ove è
obbligatoria l’estrazione del gas e la sua combustione per il controllo degli odori e limitare la
13
dispersione nell’atmosfera di metano che ha un effetto serra 21 volte superiore all’anidride
carbonica.
Esistono ancora molte discariche, specie abusive, ove questo non avviene. L’uso ottimale del biogas
da discarica, tenendo conto delle distanze da punti di consumo termico, è nella produzione di
elettricità con motori a ciclo Otto per elettricità da immettere nella rete. Il biogas prima dell’utilizzo
deve essere depurato dall’umidità e composti organici di vario tipo, polveri; un processo tipico è
quello della condensazione delle sostanze estranee, tramite raffreddamento.
Il recupero del biogas dagli allevamenti ha avuto poco successo negli anni 80 salvo alcuni impianti
consortili, sia per le produzioni limitate sia per le difficoltà burocratiche e fiscali nell’uso del gas.
La digestione anaerobica semplifica la gestione dei liquami che diventano meglio pompabili, riduce
la carica patogena, ma da sola non è sufficiente per la corretta gestione degli scarichi. Infatti non
vengono eliminati nitrati per cui occorrono ampie zone per lo spargimento, in funzione delle
sensibilità dei terreni (disattiva nitrati), per tener conto della stagionalità può essere necessario un
bacino di accumulo.
Nel corso degli anni 90 è stata sviluppata nell’area germanica la tecnologia dai fermentatori a carica
mista, operanti a temperatura intorno ai 50°C. grazie all’aggiunta di altre biomasse la taglia degli
impianti della fattoria cresce di 10-20 volte, fino a 1-1,2 MW, taglie che con il contributo dei
certificati verdi diventano economicamente molto interessati.
Fig. 11
Impianto di fermentazione
anaerobica a carica mista
8
14
Nel di gestore si possono aggiungere prodotti propri dell’azienda agricola quali silamais, triticale,
erba medica, rimanendo sempre nel regime delle attività agricole oppure si possono aggiungere
scarti e residui della macellazione e delle agroindustrie locali, o anche la frazione biogenica della
raccolta separata dei rifiuti urbani. In questo secondo caso però ci si avvicina molto alle attività di
smaltimento di rifiuti, sia pure non pericolosi, con problemi nelle fasi d’autorizzazione, del
trasporto e soprattutto della possibilità si spandere il digestato finale scaricato dall’impianto.
Le filiere produttive delle biomasse per la produzione elettrica
Il nome filiera indica l’insieme delle azioni che collega la fase di produzione di una biomasse, a
quelle di trasformazione, a quelle di trasporto a quella di utilizzo.
Abbiamo così esempi di filiere cortissime quale la captazione di biogas da una discarica, il
trattamento del gas stesso e la combustione in un motore con l’immissione dell’elettricità nella rete;
simile è il caso della produzione di biogas in un azienda zootecnica con immissione di elettricità
nella rete.
All’altro estremo abbiamo delle filiere lunghissime quali quelle di una centrale termoelettrica da 40
MWe di un’industria metallurgica che importa cippato dal Brasile o dal Canada o quelle di una
ESCO che installa un diesel in cogenerazione da 1.5 MW in un ospedale da far funzionare ad olio di
palma acquistato sul mercato indonesiano. Nel primo caso un unico imprenditore controlla tutte le
fasi del processo, ha la garanzia della disponibilità delle biomasse e può ottimizzare il valore
aggiunto, nel secondo caso produttore e consumatore non sono direttamente connessi, possono
avere logiche commerciali diverse, può esserci una limitata garanzia sia per il produttore agricolo
che per il consumatore italiano, infatti in un mercato molto poco trasparente può non essere facile
reperire un altro fornitore o un altro cliente.
Le Fig. 12 e 13 mostrano la potenza degli impianti per produzione di elettricità di fonti rinnovabili
in Italia. Il valore delle ore di funzionamento a pieno carico, da un’idea della disponibilità della
fonte e dell’affidabilità degli impianti, purtroppo il valore è sottostimato per la mancata
eliminazione dalla tabella della potenza degli impianti non più funzionati.
La potenza degli impianti alimentati da rifiuti urbani è aumentata nel periodo 2004-2005 per
formalizzazione della possibilità di cocombustione in impianti esistenti, non per nuove
realizzazioni, potenzialità che non si è però ancora attuata come si vede dalla Fig. 13 sulla
produzione d’elettricità.
15
Fig. 12
Potenza 2001
Potenza 2003
Potenza 2004
Potenza 2005
Ore di funzionamento
a pieno carico 2005
Idrica
16.726 MW
16.969 MW
17.050 MW
17.326 MW
2.080
Eolica
663 MW
873 MW
1.1131 MW
1.638 MW
1.690
Fotovoltaico
6,5 MW
7 MW
7 MW
7 MW
780
Geotermica
573 MW
707 MW
681MW
711 MW
7.600
Rifiuti urbani
319 MW
445 MW
510 MW
1.160* MW
222 MW
382 MW
836 MW
829 MW
197 MW
257,1 MW
267 MW
283 MW
Tipo di fonte
Colture
e
agroindustriali
Biogas
scarti
Fig. 13 – Produzione lorda degli impianti da fonti rinnovabili in Italia
Un confronto fra le potenzialità delle varie filiere
La Fig. 14 riporta un tentativo, derivato dalla rielaborazione di dati AIEL di confrontare fra loro
varie filiere nazionali, a parità di territorio occupato. Questi confronti si basano su forti
approssimazioni, non tutti i terreni accettano gli stessi prodotti, il valore economico delle energie
generate dipende dal tipo di utenza, ma in ogni caso sono necessari per schematizzare le situazioni,
la trasformazione da fonte ad energia; sono abbastanza lineari se si genera calore (i rendimenti delle
caldaie sono simili) mentre la trasformazione in energia elettrica dipende dalla quantità, per cui può
16
convenire passare per la gassificazione, con sue perdite, pur di avere un gas che può generare
elettricità a piccole taglie in modo più efficiente.
In un’ottica di analisi strategica, con i dati del momento si sono classificate le varie filiere sulla base
della quantità di petrolio sostituito. Diversa diventerebbe una classifica sulla base economica per la
quale occorrerebbe considerare sia il conto degli impianti che il diverso carico fiscale dei vettori
energetici generati, che gli incentivi.
Ad un estremo si ha la filiera del riscaldamento residenziale della centrale a vapore che deve
assorbire biomasse da una larga area, quindi importandoli, con investimenti negli impianti elevati,
con basso valore del vettore prodotto (5-10 c€/kWe con tagli 11-13 c€/kWt) perché si sostituisce un
combustibile non tassato; però l’incentivo è il certificato verde, molto elevato (150-250 €/ton legna
o 650 €/ton di olio per 12 anni).
La prima filiera si è sviluppata autonomamente, con forti ricadute occupazionali, anche di piccole
imprese manifatturiere locali.
Il secondo tipo di filiera invece si è avviata solo a valle degli incentivi, massimizza l’utilizzo degli
stessi quando questi finiranno probabilmente chiuderanno, però il decreto “ambientale” li ha
premiati dandogli 4 anni di guadagno; questa situazione di privilegio e di grandi investimenti spiega
ampiamente la presenza di una lobby invece inesistente per la filiera corta.
La filiera della digestione aerobica è in una posizione per ora ottimale, è corta ma accede agli
incentivi, grazie alla cogenerazione ha anche risparmio elevato (ma il calore come è poi realmente
utilizzabile nelle fattorie oltre a scaldare il di gestore stesso?).
La soluzione tedesca è quindi particolarmente sostenibile sia dal punto di vista ambientale che da
quello economico. Naturalmente il limite alla potenzialità e replicabilità è dato dalla disponibilità di
una carica di nitrati di origine naturale.
Valutazioni finali
Le biomasse sono una fonte dispersa, che si valorizza al massimo con una filiera corta e che
valorizzi tutta la massa a disposizione. Con le tecnologie attuali questo è valido solo per il
riscaldamento residenziale, anche senza incentivi.
Il mondo politico nazionale e comunitario ha spinto sull’elettricità, con le tecnologie di oggi questo
chiede grandi impianti e forti incentivi ed il prodotto combustibile nazionale non è competitivo con
quello importato.
Questa situazione è forse necessaria per il decollo delle tecnologie, è tollerabile economicamente
solo finché riguarderà qualche Mtep.
17
Per quantitativi maggiori il costo elevato e le proteste del mondo agricolo faranno saltare il sistema
degli attuali incentivi che spingono ad importare. In ogni caso ci saranno tensioni sui prezzi delle
biomasse
Secondo la nostra tradizione chi avrà avuto si terrà il suo “diritto acquisito”, chi sarà colto a metà
del guado si bagnerà.
Tre sembrano i possibili suggerimenti:
1)
tenere la filiera più corta possibile;
2)
puntare sulla valorizzazione anche del calore, per molte ore all’anno;
3)
scegliere le soluzioni a più alta efficienza, meno sensibili al costo delle biomasse.
Infine, per le grandi (medio grandi?) imprese nazionali che hanno perso il treno delle tecnologie
attuali, sarebbe opportuno investire risorse nelle tecnologie future che valorizzando tutta la pianta
possano far uscir le biomasse nazionali da una dimensione interessante ma sempre di nicchia.
Fig. 14
Prodotto della
coltura
Silomais secco
Resa
agricola
per ettaro
19 ta
Silomais fresco
19 ta
Silomais fresco
19 ta
Salice da s.r.f.
Granella
di
mais
Granella
di
mais
Silomais fresco
Salice da s.r.f.
10 ta
11 tw15
Combustione
pianta intera
Produzione
biometano
Ferm. per produz.
calore ed en. el.
Combustione
Combustione
11 tw15
Prod. etanolo
54%
4.180 litri etanolo
2,5
19 ta
10 ta
Prod. biogas
Prod. energia
elettrica
Prod. in
cogenerazione
Esterificazione
28%
30%
26.660 kWh elettr.
15.000 kWh elettr..
6,2
3,6
75%
15.000 kWh elettr.
30.000 kWh calore
1.330 litri RME
6,9
Salice da s.r.f.
10 ta
Seme di colza
3,5 tw10
(fonte AIE rielaborazione FIRE)
Processo
R. di
conv.
Energia finale
75%
71.250 kWh calore
Tonnellate
di petrolio
sostituite
7,1
60%
5.700 m3 biometano
5,2
53%
8,8
85%
88%
50.350 kWh calore
ed energia elettr..
42.500 kWh calore
41.140 kWh calore
4,7
4,5
87%
1,2
18