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ottobre 2012
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Antonino Cannavacciuolo
Giancarlo Perbellini
Andrea Berton
Supplemento al n. 37 de “La Rassegna” del 18 ottobre 2012 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l.
via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
«Così si guida
una brigata di cucina»
Tre grandi chef
si raccontano
e svelano i segreti
per costruire
una squadra vincente
TENDENZE
L’ITINERARIO
IL RISTORANTE
IL CONCORSO
Il cappuccino?
Può diventare
un’opera d’arte
In Val Seriana
si riscoprono
i sapori dimenticati
A Songavazzo
la sorpresa
è “Donnarumma”
La Val Serina
premia i migliori
formaggi
OTTOBRE 2012
6
SOMMARIO
www.affaridigola.it
4
PENNA ALL’ARRABBIATA
Nella “guerra” tra sagre e ristoranti,
facciamo vincere fantasia, qualità e prezzi
14
6
DIETRO LE QUINTE
Leadership in cucina,
i segreti dei grandi chef
14 TENDENZE
Quando il cappuccino diventa
un’opera d’arte
16 IL PRODOTTO
Tutto il gusto del miele bergamasco
20 IL RISTORANTE
24
“Donnarumma”,
il cuore campano nel piatto
22 L’OSSERVATORIO
Comolli (Ovse): “I ricarichi eccessivi
frenano i consumi di spumante”
24 L’ITINERARIO
Val Seriana, alla riscoperta
dei sapori dimenticati
30 IL CONCORSO
La Val Serina premia i migliori formaggi
34 IL PREZZO FISSO
L’Alpino fa centro
con panorama e tradizione
Direzione e Redazione: La Rassegna S.r.l. via Giorgio Paglia, 26 - 24121 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Direttore responsabile:
Giuseppe Ruggieri - In redazione: Anna Facci - Opinionista: Pier Carlo Capozzi - Editrice: La Rassegna S.r.l., via Borgo Palazzo, 137 24125 Bergamo - Presidente: Ivan
Rodeschini - Pubblicità: La Rassegna srl - via Paglia, 26 - 24122 Bergamo - tel. 035 213030 - fax 035 224572 - [email protected] - Abbonamenti: www.larassegna.it - tel. 035
4120304 Registrazione Tribunale di Bergamo - N° 48 del 22 novembre 2001 - Collaboratori: Lara Abrati, Leo Bartoli, Marco Bergamaschi, Laura Bernardi Locatelli,
Michela Brivio, Fulvio Facci, Riccardo Lagorio, Roberta Martinelli, Lelia Parisi, Rossana Pecchi, Fabrizio Pirola, Pierluigi Saurgnani, Giordana Talamona,
Donatella Tiraboschi - Impaginazione: Videocomp, Bg - Stampa: Litostampa Istituto Grafico, Bg
PENNA ALL’ARRABBIATA
ALLARRABBIATA
Nella “guerra” tra sagre
e ristoranti, facciamo vincere
fantasia, qualità e prezzi
di Pier Carlo Capozzi
L’
estate che ha chiuso i battenti, insieme ai ricordi delle vacanze, delle cene senza pudore,
di paesaggi da portare negli occhi, di qualche
storia conclusa e di qualche amore nato di fresco, ci
lascia anche spunti di riflessione nel fantasmagorico mondo dell’enogastronomia che, se non ci fosse,
converrete con me, sarebbe davvero un problema di
quelli grossi.
Coldiretti, e siamo al primo punto, stima che un italiano su tre abbia partecipato con frequenza alle sagre
alimentari con migliaia di appuntamenti estivi distribuiti su e giù per lo Stivale, in una marea di diversità
regionali: dalla nostra polenta taragna alla bortellina
bettolese, dalla triglia al cinghiale, dallo spiedino allo
squacquerone, dagli arrosticini alle puntarelle, dal torrone al Moscato di Scanzo, dalle patate alle mele, dalle pettole al baccalà fritto.
Sempre secondo Coldiretti, il fenomeno si è ulteriormente accentuato in questo periodo di crisi perché la
gente è in bolletta e portare la famiglia alla Sagra del
Pursèl risulta decisamente più abbordabile che trascinarla in una media trattoria. Inoltre questo fenomeno,
sempre più di massa, favorirebbe il contatto con le tradizioni territoriali e con il cibo agreste e si potrebbe così facilitare una maggiore qualificazione nella vendita
diretta dei prodotti agricoli.
Sulla faccenda della crisi sentiamo un disco già trasmesso da anni. Se non c’era ancora questa situazione preoccupante, c’era comunque il capofamiglia
che voleva risparmiare. Scriviamo per esperienza diretta e possiamo testimoniare di aver diviso tavolate a
qualche sagra paesana (ma di quelle serie, però) con
gente che ci siamo poi ritrovati al ristorante un po’ su
di tono.
L’INTERVENTO
di Everisto*
M
E vai con gli aforismi!
a bravo il nostro Pier Carlo! Stavolta con la sua pagina “Penna
all’arrabbiata” (di solito sarcasticamente pungente) viene in pace, con
un godibilissimo articolo tra riferimenti
e citazioni riguardanti il mondo del cibo
e risparmiando le consuete caustiche
stoccate.
Con il rimando all’aforisma di George
Bernard Shaw e il ricordo della cuoca di
Karen Blixen, fa venire l’animo buono anche a me. Ecco che allora ricostruisco idealmente una di quelle situazioni in cui ci si
rimbalzano, tra risate, pacche sulle spalle e sguardi sorpresi, citazioni in risposta
a citazioni, quasi come in una sana com-
4
petizione da bar.
Da dove partire, o meglio, da dove proseguire, visto che ha iniziato lei, signor Pier?
Attacchiamo con argomenti impegnati
senza rispettare la cronologia dei riferimenti.
Un grazie va a coloro che ancor prima di
insegnare a cucinare hanno insegnato a
mangiare, su tutti credo che ci sia Jean
Anthelme Brillat Savarain (no, non è l’inventore dello stampino a ciambella, questo porta il suo nome in omaggio), politico e scrittore francese di un paio di secoli
fa, che diede vita con le sue opere alla figura del gastronomo consapevole. Se c’è
qualche solone della penna gastrodidat-
tica che la mette giù dura credendo di diffondere il verbo in esclusiva, sappia che
è arrivato in ritardo.
Un grande riconoscimento va di certo
al nostro Pellegrino Artusi, scrittore pure lui, che creò la più importante opera
sull’approccio al cibo come fonte di piacere che un italiano abbia mai realizzato:
“La scienza in cucina e l’arte di mangiar
bene”. Tradotta in diverse lingue, rimane
tuttora un riferimento.
Molto bella è la frase che stralciai tempo fa da un libro di cucina antica mantovana, incorniciandola come una piccola
opera d’arte. La presi da un testo di Bartolomeo Scappi, maestro cuoco dei Gon-
Se ne facciamo una questione esclusivamente economica, non c’è partita. Se discutiamo su quello che ci ritroviamo
nel piatto (poco importa se di
porcellana o di plastica), il ragionamento va approfondito. A
maggior ragione se si vuole avvicinare il produttore al consumatore, saltando magari un paio
di fermate alla filiera. È capitato
a tutti, credo, di trovare una porchetta o un salame strepitosi ad
una festa di paese su in cima al
mondo e poi, magari, di mangiare
malissimo sotto un tendone che ti avevano raccomandato tutti
i vicini di casa. La conclusione è semplice: difficile etichettare
il fenomeno solo come una scorciatoia per risparmiare. È giusto riconoscere il valore aggiunto di un buon rapporto qualità/
prezzo che, ovviamente, è la formula azzeccata anche per la
paninoteca, per la trattoria, per il ristorante stellato.
E restando in tema di crisi e di prezzi, segnaliamo una splendida quanto coraggiosa iniziativa di Pino Faggiano, ristoratore
brindisino che, sotto la sua insegna “A pranzo da Pino”, propone piatti cucinati “in famiglia” da comprare e portarsi a casa.
L’asporto ai tempi della crisi. Pino, che viene da una precedente esperienza milanese con un laboratorio di pasta fresca portato avanti con mamma e zia, apre questa attività nel profondo
Sud, dove cucinare è una religione, roba da rifletterci. Eppure
fa la felicità di single e donne che non hanno più tempo (o voglia) di mettersi ai fornelli. Certo, la sua carta vincente è preparare ricette buonissime (pare che la sua Parmigiana di melan-
zane sia da urlo) a costi contenuti, operazione che alle nostre latitudini risulta complicata, forse
non più di tanto. Se varchiamo
l’uscio di una qualsiasi gastronomia nostrana, ne usciamo
soddisfatti, ma terribilmente alleggeriti: è mai possibile
che, per la soddisfazione di
entrambi, non ci possa essere una percorribile via di
mezzo?
E chiudiamo con note liete:
quest’estate, ben 6 italiani su 10 hanno scelto, come
souvenir del posto visitato, un prodotto agroalimentare tipico
del territorio. Vino, formaggi, salumi, conserve e olio d’oliva sono i più gettonati, e anche per queste scelte c’è un tentativo di
ricondurre tutto al momentaccio attuale. Invece della gondola
con le luci multicolori, si portano a casa il Prosecco e quattro
vasetti di “Sarde in saor”, che si possono poi consumare rinverdendo il ricordo del Canal Grande. Al pensiero di questa crescita qualitativa dei prodotti locali, non finiremo mai di ringraziare
la nostra Camera di Commercio quando decise di valorizzare
le tipicità alimentari bergamasche: la scelta si è via via allargata e, almeno in questo settore, siamo molto più avanti dell’anno zero.
Ricordiamocene, perché la materia prima non ci manca e l’imprenditorialità nemmeno: e questo è un lato del nostro turismo
che dobbiamo, in buona parte, ancora scoprire.
Un’occasione imperdibile per una spallata alla crisi.
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N
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obesi vivono di meno, però mangiano di
zaga, che parlava di …vivande non meno
più! Se questo qui fosse ancora vivo, lo
saporose e grate al gusto, che piacevoli
spedirei in pacco regalo alla signora Obaall’occhio, con lor bel colore e vaga proma, che sta mettendo a dieta (o meglio,
spettiva…. Tutto questo veniva detto cinsta tentando
di farlo)
quecento anni fa! Ovvero, cinque secolini
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trecento
milioni
di inprima di Ferran, Heston
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l scrittore mitteleuropeo ritorna
cuoco, amo particocol’inesauribile
larmente. La spara
ara
George
nientemeno che JaGeorg Bernard (sempre quello dell’amore sincero per il cimes Joyce… Dio fece
ece il
bo…)
Le cose più
cibo, ma certo il diavodiavo
bo ) che ne spara un’altra:
un’a
belle della vita o sono immorali, o sono illo fece i cuochi. Mi viene da pensare che
legali o fanno ingrassare. Non se ne esce
al vecchio James, qualche cuoco la comproprio più!
binò grossa, mah…
E allora sotto a chi tocca, un certo Andros
Che dire poi dell’intellettuale polacco
esclamava: Siamo alla frutta, per fortuna
Stanislaw Jerzy Lec che sentenziava: Gli
mpire
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Capozz
Carlo
[email protected]
arriva il dolce! A questo tizio non mancava di certo l’ottimismo, aggiungo io.
Ma siamo a Bergamo vero? E allora infiliamoci anche un detto orobico, che se
non spicca per finezza, di sicuro denota
una certa sottile ed efficace proprietà d’illusione, una sorta di trompe l’oil della deglutizione: pasat ol canèl, a l’è töta carne
de edèl! (tradotto: oltrepassato l’esofago,
è tutta carne di vitello!). E qui concedo, a
chi vuole, la facoltà di dissociarsi.
Ora però, per concludere con classe ed
eleganza, tiriamo in ballo un certo Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Commeno
di Bisanzio De Curtis Gagliardi (giuro che
si chiamava proprio così!), detto Totò, il
quale un giorno candidamente se ne uscì
con una frase che ancora oggi, forse più
di ieri, sarebbe centrata e pertinente: A
proposito di politica, ci sarebbe qualcosa
da mangiare?
*Dietro questo pseudonimo si cela
un noto ristoratore bergamasco
5
DIETRO LE QUINTE
Leadership
in cucina,
i segreti
dei grandi chef
Organizzazione, gestione del gruppo di lavoro,
disciplina, precisione: la sfida di chi guida
una brigata non è cosa da poco.
In gioco ci sono il valore e l’efficacia
di una di una squadra e quindi la fortuna
di un ristorante. Per capire gli ingredienti
fondamentali per una gestione ottimale,
abbiamo raccolto il parere
di tre cuochi stellati e di un formatore
di Laura Bernardi Locatelli
C
6
hef e chief: la differenza è tutta in
quella vocale, con tanto di puntino
sulla “i”. Per diventare chef executive,
o ancora meglio chief executive - visto
che i ristoranti di successo sono sempre più brand costruiti con i dettami
marketing delle multinazionali, con
presenze sempre più ingombranti nei
media, canali tv dedicati e merchandising al seguito, dai coltelli griffati
alla scatoletta d’autore - bisogna rimboccarsi le maniche ed aver sudato
almeno sette divise davanti ai fornelli.
L’esercizio, la volontà e l’applicazione non bastano. E senza una guida,
un’organizzazione certosina ed una
chiara e possibilmente equa divisione
dei compiti la cucina, complice anche
la temperatura, si trasforma in un vero e proprio inferno.
ottobre 2012
A volte basta l’occhio esperto di un grande chef per riorganizzare, motivare il
gruppo e salvare dal fallimento cucine infernali come mostra Gordon Ramsay nel
reality “Cucine da incubo”, in cui lo chefstar britannico arriva a resettare una linea di cucina e a farla ripartire da zero,
anche a suon di “padellate” all’ego del
patron di turno e di chi lo affianca. Dietro
al successo di cucine pluristellate e alle
spalle del talento di ogni grande chef c’è
sempre una brigata eccellente. Per svelare i segreti dei templi italiani della cucina e, più in generale, mostrare gli ingredienti fondamentali per una gestione ottimale di ogni gruppo di lavoro, l‘Accademia del Gusto organizza dei seminari che
consentono ai ristoratori di far parte per
un giorno della brigata di Andrea Berton,
Antonino Cannavacciuolo e Giancarlo
Perbellini, per mettersi in discussione e
scoprire come fare grande la propria cu-
“I RAGAZZI MIGLIORI
DIVENTANO MIEI SOCI.I.
E COSÌ LA BRIGATA È
UNA FAMIGLIA ALLARGATA”
RGATA”
Coach nazionale del Bocuse d’Or, Giancarlo
o Perbellini,
due stelle Michelin conquistate nell’omonimo
mo locale di
Isola Rizza, con la moglie Paola a fianco in sala,
ala, è fermo
e deciso e motiva la brigata chiamandola ad accettare
di continuo nuove sfide. Nella sua cucina non
on manca
mai la filosofia, “amore per la conoscenza conseguita
onseguita
attraverso un’esplorazione a tutto campo e al tempo
stesso con la consapevolezza che solo chi non osa
non sbaglia mai”.
Come si costruisce una brigata eccellente?
“Non esiste una ricetta per creare una brigata
ata di
cucina. Come in ogni cosa si parte dal basso,
o, dal
condividere il proprio know how con persone in
n cui riponi la massima fiducia. È un lavoro lungo che
dura anni e su cui personalmente investo molto.
olto.
Cerco sempre di seguire da vicino i ragazzi e di
far loro vivere la cucina in ogni aspetto: tutti, ad
esempio, fanno un’esperienza in pasticceria.
a.
La mia brigata di oggi è frutto di un lavoro di
quindici anni”.
Su cosa non transige?
“In cucina non si fischia, non si canta e non
c’è la radio perché dissolvono la concentrazione che deve essere sempre massima.
Fosse per me si parlerebbe davvero poco, ma
il mio braccio destro chiacchiera per sei”.
Cosa apprezza di più in chi lavora con lei?
“Apprezzo l’ambizione, chi ha stimoli, chi si mette in gioco
e propone idee. Non potrei vedere lavorare qualcuno che
lo fa senza passione ed ambizione, solo per abitudine o
per portare a casa uno stipendio”.
In cucina si sente più numero 10 o allenatore?
“Mi sento più regista, sempre presente in campo: quando
ci sono in cucina mi piace orchestrare tutto nei minimi det-
cina e rendere ancora più affiatata la propria brigata. Non mancano le indicazioni trasversali ad ogni “chief” fornite dal
formatore ed esperto di programmazione neurolinguistica Andrea Di Gregorio,
pronto a dare preziosi consigli su come
avere quella marcia in più per mantenere saldi il timone e la rotta anche in situazioni turbolente e superare le crisi di ogni
giorno attraverso una gestione ottimale
della leadership.
Giancar
lo Perbe
llini
tagli. Mi sento allenatore quando sono lontano dal ristorante e mi trovo a gestirlo lontano dal campo”.
Come si tiene alta la motivazione?
“Mettendosi sempre in discussione e cercando nuovi stimoli. Cambiamo carta spessissimo e cerchiamo nuove
7
DIETRO LE QUINTE
strade, con la consapevolezza che questo inevitabilmente ci espone maggiormente agli errori. A volte
sbagliamo, ma sappiamo osare e siamo sempre impegnati in nuove sfide”.
Quindi è indulgente verso l’errore?
“Siamo artigiani, non siamo scienziati. Ma bisogna
avere la responsabilità e il coraggio a volte di non fare
uscire dalla cucina piatti e di rifarli di nuovo”.
L’imprevisto che ha messo sotto stress la cucina?
“Non ne ricordo di eclatanti. Ricordo l’ultimo, non di
certo grave: quattro mesi fa uno stageur ha gettato
una zuppa di cipolle che avremmo dovuto servire l’indomani, così ci è toccato rifare tutto da capo”.
Il servizio peggio riuscito?
“Non posso dimenticare un San Valentino di 19 anni
fa. All’una e mezza di notte dovevamo ancora servire i
secondi. Siamo andati in crisi. Avevamo 70 persone in
sala ad aspettare. In quattro in cucina non siamo riusciti a gestire i coperti: eravamo in overbooking e non
eravamo attrezzati per farlo. Una bella lezione che mi
è servita una volta per tutte”.
Il servizio gestito al meglio?
“Si ricorda sempre l’ultimo. Settimana scorsa a Bangkok siamo riusciti ad organizzare in tre ore con l’adrenalina a mille per le materie prime arrivate all’ultimo momento un servizio perfetto”.
La brigata in cui si è trovato meglio?
“La prima brigata non si scorda mai. Al San Domenico
di Imola, nel 1984, quando ho mosso i primi passi in
cucina. Ad Imola sono legatissimo: ho stretto amicizie
importanti con cui non ho mai smesso di rimanere in
contatto, mi è rimasta senza dubbio nel cuore”.
In Italia abbiamo da imparare qualcosa nell’organizzazione del gruppo?
“Per uno chef è imprescindibile, dopo un’esperienza
in Italia, andare in Francia, perché dai francesi abbiamo molto da imparare sul fronte dell’organizzazione
e della disciplina. Per potersi misurare con la cucina
stressante dei grandi numeri è altrettanto importante
un’esperienza negli Stati Uniti. Ma quanto al gusto, in
Italia abbiamo davvero poco da imparare”.
Quali qualità deve avere uno chef per far parte della
sua brigata?
“La mia filosofia è basata sull’intuizione del momento, sul prodotto e sulla stagione. È fondamentale trasmettere questo a chi collabora con me”.
I talenti che ha visto crescere?
“I migliori diventano miei soci, da Al Capitan della Cittadella alla Locanda 4 Cuochi, dal Du de Cope a Zero
7. Francesco Baldissarutti, Moreno Pellegrini, Dario
Fracasso e Andrea Manzoli sono ormai, oltre che miei
soci, parte della mia famiglia allargata”.
8
“LA MIA CUCINA È UN INFERNO A
Per amore ha portato la sua cucina mediterranea sul Lago d’Orta dove, affiancato dalla moglie-manager Cinzia, ha
conquistato due stelle Michelin. Eppure Antonino Cannavacciuolo non è lo chef serafico e pacioso che ci si aspetta,
visto che non esita a definire se stesso “terribile” e pronto
a mettere a dura prova chiunque varchi la soglia della sua cucina. Ma solo a fin di bene e per far crescere dei veri
e propri talenti.
Si sente più allenatore o numero 10?
“Allenatore prima di tutto. Una brigata vera ha motivazione, carattere ed è una vera squadra. Poi c’è chi è più portato a stare in retroguardia e chi in attacco. Per questo
quando qualcuno entra per la prima volta nella mia cucina
gira ogni settore. Sta a me osservare e portare ognuno ad
esprimersi al meglio”.
Che tipo di allenatore è?
“Sono molto pignolo. Ma è grazie anche a questo che
la mia squadra è importante. E la squadra conta e parecchio: basti pensare a quello che sta succedendo a
Gilardino che, dato per bollito, a Bologna continua a fare gol”.
Come si trovano nuovi stimoli?
“Senza
Senza motivazione e tanta passione non si va avanti. Il
nostro è un lavoro di sacrificio che avvolge la
vita, perché anche quando non si lavora si lavora
ottobre 2012
O ADORABILE. MA SOLO COSÌ LA SQUADRA CRESCE”
Antoni
no Can
navacci
uolo
lo stesso. Se sei in vacanza ed
esci a cena hai già analizzato
nalizzato e
ri-analizzato quel piatto
to almeno
tre volte. La nostra è una vita
allucinante e più cresci
esci professionalmente e più è dura.
Dopo ore di lavoro arrivi
rrivi ad
odiare la cucina, poii vai a
casa e dopo cinque minuti
ti manca terribilmente.
te. È
quell’amore-odio che ti fa
sempre andare avanti
nti e
anche oltre”.
Quali qualità sono immprescindibili per uno
no
chef?
“Bisogna essere tosti,,
avere passione e mettersi continuamente
alla prova, perché
niente viene per
caso. E senza carisma ed ambizione
non si va da nessuna parte”.
Cosa non sopporta in cucina?
“Non sopporto chi non
n mette passione ed amore
in ciò che fa ed il menefreghismo
nefreghismo in generale. Ma nella mia
cucina non c’è spazio per il malumore, né tanto meno per chi
ha un carattere oscuro
o e cupo. Si viene a lavorare con il sorriso sulle labbra. La cucina risente dell’assenza di un clima sereno: è come quando si litiga a casa e due semplici spaghetti
al pomodoro vengono una schifezza”.
Il suo divieto?
“Lamentarsi non è contemplato. Se c’è un problema lo si risolve assieme sul nascere ancor prima che lo diventi davvero”.
Come si tiene salda la leadership in cucina?
“All’inizio devi essere terribile. Quando faccio i colloqui sono
negativissimo e dipingo tutto nero. Della serie: “Sicuro di voler lavorare qui? Qui è l’inferno, qui non vediamo la luce del
sole e lavoriamo 15 ore al giorno ed anche di più. La nostra è
una vita impossibile”. Mio padre mi ha cresciuto così, mi ha
insegnato che questo mestiere non è per tutti: “Tonino non lo
fare - mi ripeteva -. Se lo fai, fallo bene”.
È davvero così spietato?
“Non esageriamo. Diciamo che la cattiveria, quella agonistica s’intende, non mi manca”.
Come si allenano talenti?
“Le soddisfazioni non mancano. Ad esempio, ho seguito go-
mito a gomito per
un mese il mio chef di partita, Vincenzo Manicone, ed oggi fa dei primi
davvero eccezionali e per me la partita dei primi piatti è quella più difficile e dura”.
Il servizio perfetto?
“È senza dubbio quello che verrà… Non mi sento mai arrivato, anche per questo ogni singola ricetta viene cambiata e
rivista almeno quattro volte in un anno, tecniche di cottura
in primis”.
Quello più difficile e stressante?
“Forse quello in occasione della Triennale a Milano: 650
persone e tensione e adrenalina da vendere. È andato tutto
meravigliosamente e vedere tutti seduti ai tavoli è stata una
grande soddisfazione”.
Quale brigata le è rimasta nel cuore?
“Quella del Quisisana a Capri, sotto la direzione dello chef
Nazzareno Menghini. Sono ancora in contatto con il resto
della brigata. È stato un periodo di lavoro e ancora lavoro.
Ricordo notti insonni, ma è stata un’esperienza indimenticabile”.
9
DIETRO LE QUINTE
Andrea Ber
ton
“IN CUCINA MI SENTO UN A L
IL TALENTO LO RICONOSCO D
È ancora a caccia del suo ristorante Andrea Berton, due
sstelle conquistate al Trussardi Alla Scala, quando sale
iin cattedra all’Accademia del Gusto per svelare i segreti
di
d una brigata di successo, con l’aplomb francese che lo
ccontraddistingue, senza dimenticare il carattere tosto tutto friulano. Lo stesso che riconosce al coach dei coach, Fabio Capello, suo compatriota, che gli somiglia molto quando scende in campo nella sua cucina.
Quanto
conta la brigata per un grande chef?
Qua
“La brigata è fondamentale perché il risultato finale si crea
grazie
graz al contributo di tutti. È importante scegliere le persone ggiuste e responsabilizzarle, perché la fiducia mette nelle
condizioni
di dare sempre e comunque il meglio di sé”.
cond
Come si costruisce e mantiene la leadership in cucina?
“Bisogna
“Bisog avere innanzitutto la conoscenza di ciò che si fa. Chi
è alla guida deve motivare le persone, deve essere il primo a
conoscere
ogni aspetto della cucina e dimostrarlo con i fatti e
conosc
deve essere
in grado di risolvere ogni difficoltà in ogni momenes
to”.
Quale im
imprevisto ha messo a dura prova la sua cucina?
Trussardi alla Scala un problema elettrico fece saltare com“Al Truss
pletamente i fornelli ad induzione. Ci trovammo con la cucina
pletame
fuori uso e 50 coperti da gestire. Con il massimo self control tro-
IL FORMATORE
DI GREGORIO: “IL VERO LEADER È UN VISIONARIO
CHE LOTTA PER UN IDEALE. IL NEMICO? LA VANITÀ”
Formatore per passione, Andrea Di Gregorio da oltre 15 anni svolge l’attività
di Coach, Counselor e Master Trainer di
PNL, su cui ha fondato la scuola italiana
Lexis. Il suo approccio alla disciplina si
basa sulla ricerca dei valori fondamentali dell’esistenza e sullo sviluppo della
qualità delle relazioni umane. Docente
Ascom ha tenuto diversi corsi per creare
gruppi di lavoro efficaci, tra cui “Cooking
team building” per rafforzare tra i fornelli
lo spirito aziendale.
Chi è il vero leader?
“Il leader non è colui a cui viene data
autorità, ma è colui che viene ascoltato
e seguito. Leader deriva da “lead” che
significa guidare; è colui che ha una visione sul lavoro da svolgere ed anticipa i tempi. È diverso dal manager che
si limita ad eseguire materialmente un
compito”.
10
Leader si nasce o si diventa?
“Si può diventare leader nel momento in
cui si capisce in che ambito si ha la capacità di anticipare i tempi. Su un talento innato, dallo sport alla cucina ad esempio,
si può costruire una leadership”.
Come si gestisce e tiene salda la leadership?
“Il leader non dice come farà qualcosa
né cosa farà, ma spiega i criteri che servono per raggiungere un risultato. Si sofferma sui perché e non sui come e trasmette ciò in cui crede. Martin Luther
King disse “I have a dream”, ho un sogno, non “I have a plan” ed in quel sogno
si sono ritrovate 250mila persone”.
Esiste una ricetta perfetta per un leader?
“Sono tre le fasi per affermare la leadership: anticipare, allineare e agire. Il leader ha una visione, allinea la visione ai
comportamenti e passa all’azione”.
Quali errori vanno evitati?
“Un grave e comune errore è quello di
sostituire il proprio collaboratore con se
stessi, della serie : “Fatti da parte che ci
penso io”. Questo comportamento non
solo svaluta chi collabora ad un progetto
che è nato per essere comune, ma non
fa altro che creare delle “prime donne” e
non certo dei leader”.
La differenza tra leader e “prima donna”?
“Gli chef di un certo calibro fanno crescere la loro brigata, individuando in ognuno
di loro una qualità particolare nello svolgere un determinato compito. Il talento di
altri chef si esaurisce con la loro stessa
figura, visto che non l’hanno trasmesso
a nessuno”.
Uno sbaglio comune?
“Credere che il proprio collaboratore non
sia in grado di portare avanti un compito
per il solo fatto di aver deluso in un’occa-
ottobre 2012
A LLENATORE ALLA CAPELLO.
O DA UN TOCCO DI COLTELLO”
vammo una soluzione di fortuna recuperando dal magazzino
i fornelli da catering e riuscimmo a gestire ogni ordinazione.
Chiaramente poi feci installare immediatamente un gruppo
generatore”.
Quale è stato il servizio più riuscito?
“Credo sia stato quello per festeggiare la presentazione della
guida Michelin che ci assegnò la seconda stella. Tra l’entusiasmo per la nuova stella conquistata ad un anno di distanza dalla prima, come era riuscito solo a Gualtiero Marchesi, e la tensione, siamo riusciti a creare un servizio perfetto”.
Cosa non sopporta?
“Detesto il fumo ed invito sempre ad abbandonare le sigarette
perché rischiano di rovinare il palato, anche se ovviamente non
è un diktat e nella mia brigata non sono mai mancati i fumatori.
Ma a farmi davvero rabbia è vedere al lavoro chi è svogliato”.
Cosa apprezza di più?
“La volontà di mettersi in discussione, la capacità di saper
ascoltare, l’impegno nel dare il proprio contributo a ciò che
ogni giorno si fa. E poi mi piace vedere ambizione e passione,
la volontà di non limitarsi ad eseguire ma di andare oltre”.
In cucina si sente più il numero 10 o l’allenatore?
“Mi sento un allenatore alla Fabio Capello, che tra l’altro è friulano come me. Tosto e concreto”.
Come scova un talento?
“Il talento si vede sul campo. Appena uno prende in mano un
coltello si capisce per cosa è portato”.
Quale è stata la sua esperienza di brigata migliore?
“Da Alain Ducasse, a Montecarlo, ho imparato cosa significhi
l’organizzazione, la gestione di un gruppo di lavoro, la precisione in ogni singolo gesto e la disciplina in ogni singola mansione ed in cucina. Una brigata difficile ma in cui mi sono sentito
a mio agio”.
Come si gestisce lo stress?
“Lo stress si gestisce individualmente e questo è molto importante per ottenere il massimo dal proprio lavoro”.
Ha mai perso le staffe?
“Qualche volta sì, ma ho sempre cercato di gestire la situazione senza mettere a repentaglio il clima di gruppo. È importante
cercare di recuperare subito e mettere da parte sia l’orgoglio
che la rabbia del momento”.
Quali talenti ha allenato?
“Ho visto crescere tanti ragazzi: il mio braccio destro, Alfio
Ghezzi, oggi alla Locanda Margon, ha conquistato la sua prima stella. Claudio Catino, mio sous chef e Remo Capitanio, oggi sous chef di Enrico Bartolini, sono ragazzi che sicuramente
porteranno in alto la cucina italiana”.
Andrea
Di Greg
orio
sione le aspettative. Non concedere altre possibilità porta spesso - come saggezza popolare ricorda - a buttare
l’acqua sporca col bambino dentro”.
Due galli nello stesso pollaio possono convivere?
“No. A meno che detengano una leadership in due campi diversi
e si completino a vicenda”.
v
Le
L grandi cucine italiane sono in larga misura gestite da famiglie.
È questo il segreto della loro leadership?
m
“La famiglia vincente è coesa e condivide i valori della cucina,
tra tradizione e innovazione. Una persona cresciuta in un ambiente
bien sereno ed aperto ha più chance di diventare un leader. Il
leader
lead è modello per gli altri e per natura il padre è modello per
il proprio
figlio. È importante purché non nasconda i propri difetpro
ti al figlio”.
g
Nel no
nostro Paese ci sono più raccomandati che veri leader. È la
nostra rovina?
“La corruzione
non attacca laddove la leadership è davvero forte,
cor
laddove un leader manca diventa sistemica perché il vero leader
non mira mai al potere per il potere, né tanto meno al denaro. Steve Jobs, ad
a esempio, ha percepito per anni come stipendio 1 dollaro simbolico”.
simboli
La vanità rischia
di trasformare un leader in prima donna? Gli chef
r
sono sempre
sempr più corteggiati dai media...
“È un rischio
rischio. La vanità fine a se stessa non migliora certo la leadership.
Anzi, la rovina
rovina”.
11
EVENTI
“Emozioni dal Mondo”,
20 nazioni si sfidano
a colpi di taglio bordolese
I
nternazionalità è la parola chiave dell’ottava edizione del
concorso enologico internazionale “Emozioni dal MondoMerlot e Cabernet Insieme” che si svolge dal 18 al 20 ottobre al Museo di Arte Contemporanea ALT di Alzano Lombardo e a Bergamo. Internazionalità dei campioni in concorso,
prima di tutto. Sono infatti oltre 20 le nazioni che hanno
inviato Merlot, Cabernet e i loro tagli alla kermesse bergamasca. Tra gli altri saranno presenti vini francesi, croati, bosniaci, serbi, sloveni, slovacchi, ungheresi, turchi, maltesi,
israeliani, cileni, peruviani, sud africani, azerbaijani e tedeschi. Non mancheranno poi i campioni italiani, provenienti
dalle maggiori regioni a produzione vitivinicola e, naturalmente, una buona rappresentanza dei padroni di casa: i
Valcalepio Doc (tagli di Merlot e Cabernet). Internazionalità
dei giudici che degusteranno e valuteranno i vini in concorso. Sono infatti 48 i giornalisti e tecnici stranieri che presenzieranno ad “Emozioni dal Mondo” quest’anno. Anche su
questo versante la rappresentatività è decisamente vasta:
cechi, lituani, australiani, peruviani, neozelandesi, francesi, tedeschi, austriaci, statunitensi, maltesi e georgiani so-
no alcuni dei rappresentanti del mondo enologico chiamati
ad assegnare le medaglie del concorso. “Un’internazionalità molto marcata - spiega Sergio Cantoni, direttore del Consorzio Tutela Valcalepio, partner di Vignaioli Bergamaschi
nell’organizzazione della manifestazione - che ci permette
di ottenere, elaborando le schede di degustazione che compileranno, un vero e proprio specchio della realtà dei consumi a livello globale”.
Internazionali anche i relatori della tavola rotonda conclusiva, in programma sabato 20 ottobre, alle 9, alla Sala Mosaico della Camera di Commercio di Bergamo. Il titolo dell’incontro sarà “La Comunicazione: strumento indispensabile
per vendere”. “Ci sembrava doveroso, in un momento come
quello che il mercato globale sta attraversando - commenta
Enrico Rota, presidente del Consorzio Tutela Valcalepio - dedicarci ad un tema di grande interesse: la vendita. In particolare abbiamo deciso di concentrarci su un aspetto molto
importante della vendita, spesso sottovalutato dalla realtà
italiana ma che all’estero ricopre già da anni un’importanza fondamentale: la comunicazione”. “Ecco il motivo che
“4R” festeggia i 30 anni e incassa l
con la rassegna “Birroga s
Anche la sesta edizione della Rassegna Birrogastronomica, firmata dalla 4R di Torre de’ Roveri, ha riscontrato il forte interesse da parte degli operatori lombardi. Cuochi, ristoratori e baristi
hanno partecipato numerosi alla recente kermesse dedicata al
grande e versatile mondo della birra sia come bevanda a sé sia
come abbinamento alla grande cucina. Il tutto lasciando spazio
anche a prodotti più originali come il miele (non a caso all’evento hanno preso parte anche gli apicoltori dell’Associazione Produttori Apistici di Bergamo, rappresentati, durante i vari incontri, dal presidente Marco Mazzuconi). Diversi gli appuntamenti
messi in calendario per approfondire il tema, con la possibilità
anche di seguire percorsi personalizzati. Le birre alla spina e in
bottiglia sono state, ovviamente, il punto fermo di tutta la kermesse, con anteprime assolute come la birra artigianale italiana “Cuvèe Riserva 2012” del Birrificio Nazionale. La cucina
ha offerto il suo importante contributo, grazie agli chef dell’As-
12
ottobre 2012
ha portato a chiedere ad alcuni degli
ospiti internazionali di intervenire portando le proprie esperienze nei diversi
ambiti della comunicazione enologica:
ci è sembrato logico, vista la loro esperienza e competenza nei diversi campi, sfruttare al meglio la loro presenza
sul nostro territorio - aggiunge Giovanni
De Ferrari, vicepresidente di Vignaioli
Bergamaschi -. Ci sembrava assurdo
non beneficiare dell’esperienza di chi
nel campo della comunicazione vive e
lavora da moltissimi anni con ottimi risultati”.
E IN PIAZZA VECCHIA VA IN SCENA
“BERE BERGAMO VALCALEPIO TOP”
In concomitanza con “Emozioni dal Mondo” va in scena anche la kermesse, tutta
orobica, “Bere Bergamo Valcalepio Top”.
In Città Alta, sotto la Loggia del Palazzo della Ragione, grazie alla collaborazione
con il Comune, sabato 20 ottobre, dalle 14.30 alle 18.30 e domenica 21, dalle 10
alle 18, sarà aperto al pubblico uno spazio dove degustare il meglio della produzione dei soci del Consorzio Tutela Valcalepio. In contemporanea, e negli stessi
spazi, sarà anche possibile degustare i vini che si saranno aggiudicati una medaglia al concorso enologico internazionale. “Bere Bergamo Valcalepio Top rappresenta da molti anni un appuntamento importante per i produttori del Consorzio e
per il pubblico di appassionati - annota Emanuele Medolago Albani, membro del
Cda Consortile e storico produttore -. Quest’anno però Bere Bergamo si rinnova e
sperimenta una data, una collocazione e una formula tutta nuova”. Infatti ad acpubblico nel cuore pulsante di Bergamo, Piazza Vecchia, saranno i procogliere il pubbli
duttori iin persona che serviranno i loro vini, ne racconteranno la storia e
ne spiegheranno
le caratteristiche.
sp
“Da
“ sempre noi del Consorzio puntiamo ad un contatto vero e diretto con il consumatore - aggiunge Enrico Rota -. Il Valcalepio
è prima di tutto il vino di Bergamo e dei bergamaschi. Quale
posto migliore per incontrarli se non Piazza Vecchia, cuore e
fulcro della vita cittadina durante il weekend?”
Ogni produttore avrà a disposizione uno spazio presso il quale
esporre materiale promozionale e mescere il meglio della propria produzione. Ogni azienda potrà mettere in degustazione
solo tre vini, selezionati all’interno della propria gamma, che
rappresentino il top.
a l’ennesimo successo
a stronomica”
sociazione Cuochi Bergamaschi che hanno sapientemente impostato la proposta
mettendola in linea con l’ offerta “spumeggiante”. Un’interessante alternativa
sono stati quest’anno i beer cocktail, che
permettono alla birra di presentarsi in una
veste insolita e diversa.
L’obbiettivo, pienamente raggiunto dalla
rassegna, era di evidenziare la birra quale
promotrice di nuovi stili di consumo. Come
sappiamo, i tempi attuali hanno modificato il modo di vivere il tempo libero e hanno
creato nuove opportunità di business da
cogliere e concretizzare. Conoscere quindi in modo approfondito non solo i sistemi di mescita delle birre, ma anche le lo-
ro identità e caratteristiche, permette agli
operatori di valutare a fondo i possibili criteri di scelta e, soprattutto, definire i criteri
d’inserimento nell’offerta per valorizzare
al massimo il servizio. Giampietro Rota,
presidente della 4R, ha voluto sottolineare come l’evento “si sia sovrapposto ai festeggiamenti dei trent’anni di fondazione
dell’azienda: “La nostra filosofia - ha commentato - mira a valorizzare la qualità dei
prodotti e vuole contribuire ad accrescere
le competenze degli operatori del nostro
settore. Da trent’anni, attraverso i nostri
uomini e le nostre strutture, ci adoperiamo per favorire e diffondere la cultura del
prodotto birra”.
13
TENDENZE
Quando
il cappuccino
diventa
un’opera d’arte
Gianni Cocco (foto Luca Cossu)
di Giordana Talamona
T
14
utto avviene in pochi secondi. La mano
del barista dosa sapientemente ritmo,
inclinazione e cremosità del latte che
scende a filo, bucando il caffè dall’alto.
La tazza si riempie a metà livello e solo
a quel punto si cominciano a intravvedere i primi contorni, finché pochi, semplici gesti perfezionano un’immagine
che ha preso vita sotto i nostri occhi. Il
tocco finale arriva, a mano libera, con
un pennino d’acciaio e voilà, il gioco è
fatto. Una foglia, un indiano, un coniglio, un tramonto colorato, sono infinite
le possibilità della Latte Art, la tecnica
nata negli Stati Uniti, che da qualche
anno è approdata anche nei bar italiani. Per la verità non in tutti, anzi i baristi
che utilizzano quotidianamente questa
tecnica sono ancora pochi, artisti pionieri che hanno capito come l’occhio
voglia la sua parte per colpire e affascinare la propria clientela. È il caso di
Gianni Cocco, del Cin Cin bar di corso
Buenos Aires, dove persino nella frenetica Milano si trova il tempo per un
cappuccino perfetto, decorato a regola d’arte. Maestro del caffè, diplomato
all’Aicaf (Accademia italiana maestri
del caffè di Brescia), Cocco è una vera
autorità della Latte Art e delle sue variopinte declinazioni, dalla Ciocco Art sino
ai cappuccini colorati. I volti noti che gli
hanno chiesto un cappuccino personalizzato sono innumerevoli: Massimiliano Allegri, Belen Rodriguez, Lina Sotis,
solo per citarne alcuni. “Ad Allegri ho
creato un cappuccino col logo del Milan
e il risultato di una partita di Champions
League - ricorda divertito Cocco -. A Lina
Sotis ho fatto un cappuccino col suo nome dipinto nel cioccolato, mentre a Belen Rodriguez ho disegnato un romantico tramonto”. Esperienza, studio e conoscenza sono i requisiti fondamentali
per questa tecnica che, bisogna dirlo,
non è per tutti. “Occorre essere molto
creativi e avere buona predisposizione
per il disegno a mano libera”, spiega
Cocco, che con l’amico Danilo Torres è
entrato, un anno fa, nel Guinnes World
Record con 623 espressi in un’ora.
Ma andiamo per gradi, perché se un
animo creativo è fondamentale, a nulla
serve senza conoscere le regole del gioco. Si parte dalla base: per un espresso
certificato italiano occorre avere 2,5 cl
di caffè. Le caratteristiche della miscela incideranno sul gusto, ma non sul
risultato finale, quindi a ogni zona la
propria scelta. “Le miscele di caffè nel
mondo sono varie, ma in termini generali nel nord del nostro Paese - spiega
Cocco - si predilige l’Arabica, che dà un
espresso con meno crema, dal gusto
più dolce e aromatico, mentre dal centro al sud Italia prevalgono le miscele
con la Robusta, una qualità che dà un
espresso molto amaro e cremoso”. La
macchina del caffè, manco a dirlo, è la
fedele compagna di ogni barista che si
rispetti, ma anche quella di casa, per
chi ce l’ha, deve rispettare certi crismi,
per riuscire a fare un cappuccino che si
avvicini a quello del bar. In commercio,
sia professionali che non, ce ne sono
di tutti i tipi e per tutte le tasche, alcune belle e costose, altre più abbordabili. Scegliere il modello che piace è un
ovvietà, ma per andare a colpo sicuro
occorre prestate attenzione a due requisiti fondamentali, la lancia vapore,
che deve avere 9 atmosfere, e la pressione della caldaia, che dev’essere di
1,5 bar. Questo come base, senza contare l’annesso macinacaffè o lo scalda tazza, che arricchiscono le caratteristiche di una buona macchina. Per
ottobre 2012
Si chiama “Latte Art”, è nata negli Usa ed è da poco
approdata in Italia. Gianni Cocco, un’autorità in materia,
spiega regole e trucchi per arrivare a decorazioni
eccellenti. “Servono creatività, tecnica
e ottima materia prima, a partire dal caffè”
fare u
un espresso a regola d’arte, i grammi
di caff
caffè macinato fresco devono essere 7,
mentre
mentr i secondi di percolazione 25, né più
né me
meno. Se si anticipa, il caffè verrà ultra
ristretto,
ristret se si attende troppo, sarà lungo,
fermo restando la preferenza del cliente
che, come
si sa, ha sempre ragione. Ma qui
c
siamo nell’ambito della perfezione, quindi
è quanto
mai necessario qualche rigido riqua
ferimento.
Anche la montatura del latte ha
ferime
bisogno
di
un preciso protocollo per creabisogn
re que
quella deliziosa cremina che fa leccare i
baffi. Per una tazza da 15-20 cl di cappuccino, occorre
utilizzare 10 cl di latte fresco
o
intero, conservato a 3-4°C, e montato a
grana fine, incorporando 2,5 cl di aria. La
finezza della montatura è una questione di
forma imprescindibile a cui prestare attenzione, tanto più se si desidera diventare dei
virtuosi della Latte Art. La grana e la densità della crema, infatti, costituiscono la tela bianca del barista su cui disegnare col
caffè, col cioccolato o a colori. La quantità
adatta si impara con la pratica, ma in termini generali basti l’indicazione che “troppa crema è nemica della Latte Art”, perché
va a coprire irrimediabilmente le sfumature
del caffè necessarie per la creazione della figura. La temperatura, anche in questo
caso, fa la differenza: 55-60°C, non oltre,
perché si rischia di scottare il palato del
cliente, anestetizzandogli il gusto. Giunti a
questo punto, la tecnica lascia il posto alla
manualità e alla creatività del barista, con
qualche piccolo trucchetto. La madre di tutte le figure, con cui potersi esercitare, è la
felce. “Si tiene la tazza leggermente inclinata, per avvicinare meglio il bricco - spie-
ga Cocco -. Prima si fa scendere il latte, bucando il caffè dall’alto, da circa una decina
di centimetri. Arrivati a metà livello, cominciamo a far scendere la crema, muovendo
il bricco lateralmente, con movimenti sempre più estesi, operazione che permette di
disegnare i contorni della felce, finché, con
l’ultimo goccio di latte, tagliamo la foglia a
metà, disegnando lo stelo”. Oplà il gioco è
fatto, senza neppure l’utilizzo del pennino
in acciaio, se il barista è abile. Da qui si
aprono innumerevoli strade creative che
portano sino alla Ciocco Art, ulteriore declinazione della tecnica. In questo caso si utilizzano abilità e strumenti diversi. Per prima cosa occorre preparare della cioccolata fresca, che va inserita in una siringa alimentare che assurge allo status di pennello. Dapprima si compongono i disegni col
cioccolato a mano libera, come su un foglio
bianco, poi si definiscono le linee che compongono il disegno col pennino in acciaio.
Da qui il passo ai cappuccini colorati, che
sembrano pregiate ceramiche, è breve.
Unici in Italia a utilizzare questa tecnica,
Cocco e Torres, collega del Bar Duomo di
Milano, stanno affinando l’abilità sui colori
per la prossima Fiera internazionale della
torrefazione, che si terrà a Barcellona, il 20
ottobre. “La tecnica che usiamo è differente da quella statunitense - prosegue Cocco - dove si utilizzano degli sciroppi colorati
che, chiaramente, alterano il gusto del cappuccino”. Solo coloranti alimentari inodori e insapori, questa è la regola aurea che
non deroga l’immagine al gusto. In questo
caso la tecnica prevede il discioglimento
del colorante in una soluzione che ne permette l’utilizzo come fosse un acquerello.
Una volta depositato il colore sulla crema
bianca e lucente del cappuccino, viene circoscritta l’area col cioccolato e rifinito col
pennino in acciaio. La definizione dei tratti
da un lato e le ricche sfumature dei colori dall’altra, rendono questa tecnica tra le
più interessanti e complesse attualmente
esistenti.
SI PUÒ FARE FREDDO SENZA L’ESPRESSO
È possibile gustare un cappuccino alternativo, senza la macchina del caffè espresso?
Sì, secondo Gianni Cocco, maestro del caffè, diplomato all’Aicaf. Si tratta di un cappuccino freddo, realizzabile con 3-4 cubetti di ghiaccio, caffè macinato e 10-15 cl di
latte a lunga conservazione, parzialmente scremato. Dopo aver preparato il caffè, in
un mixer aggiungete il ghiaccio, il latte e montate incorporando aria, finché si sarà ottenuta una crema molto consistente, con una densità simile a quella dello yogurt. Miscelate al caffè e bevete fresco. Non pensiate, però, di utilizzare questa ricetta per decorare il cappuccino con la Latte Art. Ricordate: troppa crema è nemica di questa tecnica.
15
IL PRODOTTO
Tutto il gusto
del miele
bergamasco
La produzione nostrana varia sensibilmente di anno in anno,
ma i prezzi reggono ed assicurano al comparto una buona salute.
Mazzucconi (Produttori Apistici): «Ecco cosa differenzia
i nostri vasetti da quelli d’importazione»
di Giordana Talamona
I
l miele lombardo sembra godere di buona salute. Nonostante le annate produttive siano molto variabili, in base alle stagioni, e ci siano ancora dei problemi di moria delle api, la vendita del miele rimane molto buona. 140mila alveari
in tutta la Lombardia con una produzione media di circa ventimila quintali
all’anno e una quotazione economica,
decisa dai mercati esteri per le grandi
partite, che tiene nonostante la crisi.
Nella provincia di Bergamo i produttori di miele sono circa 750, due terzi
dei quali raggruppati nell’Associazione
Produttori Apistici, un gruppo che conta
circa 500 iscritti, nato dall’esigenza di
tutelare i consumatori e di dare agli apicoltori un’assistenza a tutto campo in
una professione sottoposta a innumerevoli variabili ambientali. «Sono numerose quelle che influenzano la produzione di miele – spiega il presidente Marco
Mazzucconi, dell’omonima apicoltura
biologica –. Siamo legati all’andamento stagionale e ad alcune malattie che,
fino a un paio d’anni fa, condizionavasituano molto il nostro lavoro. Oggi la situa
anche
zione sembra essere migliorata, anch
se persistono alcuni insetticidi utilizzati
sui vigneti che ci danno ancora qualche
problema, oltre alla recrudescenza di
un parassita, la varroa, legata al ciclo
delle api che, periodicamente, torna a
mietere vittime».
La produzione bergamasca varia sensibilmente di anno in anno, dai 2.500 ai
3.800 quintali, ma il prezzo del miele,
sui mercati internazionali, rimane piuttosto alto perché l’offerta non riesce a
far fronte alla domanda. Sul territorio
italiano circa il 50% del miele consumato è d’importazione, proveniente da Pa-
PER OGNI TIPO, L’UTILIZZO PIÙ ADATTO
Miele di melata - rraccolto sulle colline bergamasche
“melata” prodotta da alcune piante in partiÈ ricavato dalla “m
condizioni climatiche. Il miele di melata ha un colore
colari condizion
molto scuro, consistenza particolarmente densa e gusto
caramello e frutta cotta. È il miele più ricco di
tipico di car
minerali e particolarmente indicato per la preparasali mineral
dolci.
zione di dolc
Miele millefiori - raccolto dai fiori più svariati della piae della montagna
nura, della collina
c
possono produrre di più qualità. Tra le altre esiSe ne pos
ste un millefiori primaverile, dal colore giallo chiaricco di nettare di robinia, tarassaco e ciliegio
ro, ri
con un gusto particolarmente delicato e uno
16
esi già messi sotto accusa da un pronunciamento della Corte di Giustizia dell’Ue
che mette in guardia dalla contaminazione del polline da Ogm. Guarda caso sono
proprio Cina e Argentina, dove è più facile
una contaminazione del genere, quelli da
cui importiamo la più alta percentuale di
partite che spesso finiscono nella grande industria dolciaria. «Il miele cinese, in
particolar modo – precisa Mazzucconi –
è tra quelli più a rischio anche per l’utilizzo di antibiotici, oltre ad avere una qualità
media piuttosto bassa».
Per conservare al meglio il miele occorre
tenerlo a una temperatura di 15°C, possibilmente al riparo dalla luce e dall’aria.
«Mentre per godere al massimo delle proprietà nutritive – spiega l’apicoltore – è
bene consumarlo nei primi anni dal suo
invasettamento, così come per apprezzarne la freschezza e gli aromi». La cristallizzazione del miele non è sinonimo
di deperimento del prodotto, ma si tratta di un fenomeno del tutto naturale di
trasformazione della massa, da liquida
a compatta. Per riottenerne la consistenza viscosa, basta scaldarlo a bagnomaria
ad una temperatura massima di 40°C,
per non modificarne le proprietà. La temperatura a cui viene sottoposto il miele,
proprio come nel caso del latte, ne condiziona i nutrienti: la pastorizzazione del
prodotto a 60°C, utilizzata per evitare rifermentazioni, ne riduce di molto gli elementi vivi. «La maggior parte dei nostri
soci – prosegue – non ha di questi problemi, vendendo a piccoli dettaglianti o
al consumatore ultimo. In questo modo i
principi nutritivi del miele, gli enzimi e le
vitamine rimangono pressoché intatti».
Le tipologie del miele lombardo corrispondono generalmente a quelle di tutte le regioni italiane dell’arco alpino, con
un’alta produzione di robinia (acacia),
una più misurata di millefiori e castagno,
sino a raggiungere le basse rese di tiglio,
rododendro, melata e tarassaco. «Portiamo gli alveari nei posti in cui sappiamo esserci la fioritura di una particolare
specie botanica. A maggio, ad esempio,
inizia la robinia - prosegue Mazzucconi –, poi quando finisce il periodo della
fioritura, togliamo tutta la produzione e
verifichiamo che il miele abbia le caratteristiche organolettiche corrispondenti
a quella determinata specie botanica».
La maggior parte degli alveari bergamaschi è stanziale, mentre solo il 10% degli
apicoltori segue la fioritura spostando di
volta in volta l’allevamento. Dopo la robinia, nel mese di maggio, è la volta del
castagno, nel mese di giugno in zona di
media collina, per giungere nel mese di
luglio sulle montagne dove la transumanza delle api, e dell’apicoltore, finisce. Per
estivo dal colore bruno scuro, ricco di nettare di rovo e di castagno, con un gusto deciso e marcato.
Miele di robinia - raccolto sulle colline bergamasche
Ricavato dalla fioritura primaverile dell’albero robinia pseudoacacia, grazie al sapore delicato, al colore chiaro e alla sua fluidità, è molto ricercato e usato come dolcificante, poiché non
altera il sapore delle bevande in cui viene sciolto. Particolarmente ricco di fruttosio, può essere moderatamente usato dai
diabetici non gravi.
Miele di castagno - raccolto sulle colline bergamasche
Ricavato dalla fioritura estiva dell’albero di castagno (Castanea
sativa), il miele di castagno, dal colore bruno scuro con tonalità rossastra, contiene moltissimo polline che gli conferisce un
gusto molto forte, leggermente amarognolo, e ne aumenta il
valore nutritivo. Tra i mieli più ricchi di sali minerali, può esse-
i produttori biologici la questione si complica. «Gli apicoltori bio devono dichiarare all’ente certificatore – spiega il presidente – le zone in cui portano gli alveari,
che devono avere determinate caratteristiche, come una distanza minima dalle
grosse fonti inquinanti, come le discariche e le grandi industrie. Inoltre non possono utilizzare antibiotici, anche se, per
la verità, nessun apicoltore potrebbe farlo». Inoltre, per la cura della varroa si possono usare solo degli acidi organici e non
altri prodotti di sintesi. «Per noi significa il
doppio del lavoro - precisa –, ma abbiamo la certezza di produrre un miele nel
pieno rispetto della natura e totalmente
salubre».
La pappa reale, dal lucido colore biancastro, è un alimento ricco di energia che,
non a caso, costituisce l’alimento di tutte
le larve fino al terzo giorno dalla schiusa
delle uova e, bontà sua, dell’ape regina
per tutta la sua vita. In Italia pur essendo
aumentata la produzione negli ultimi anni, anche grazie a una campagna pubblicitaria e informativa, rimane un alimen-
re particolarmente gustato abbinato a formaggi sia freschi sia
stagionati.
Miele di rododendro - raccolto sulle alte montagne bergamasche
Particolarmente ricercato per la sua rarità dovuta alle condizioni atmosferiche dell’alta montagna che ne rendono difficile la
produzione.
Miele di tiglio - raccolto nelle valli delle montagne bergamasche
Ricavato dalla fioritura estiva della pianta di tiglio (tilia), questo miele dal colore chiaro a verdastro è apprezzato per il profumo aromatico che ricorda quello dei fiori da cui proviene ed
è particolarmente indicato come emolliente nei casi di tosse e
raffreddore. Con le basse temperature e dopo alcuni mesi dal
raccolto, cristallizza velocemente per raggiungere una consistenza cremosa.
17
IL PRODOTTO
IL PERSONAGGIO
to di nicchia, per la difficoltà di conservazione e la rapida scadenza. «È molto
delicata perché deve stare in frigo, tanto
che non possiamo permettere degli accumuli nell’alveare, come avviene per il
miele – rivela Mazzucconi -. Circa il 95%
di quella presente sul territorio è di origine cinese, perché costa molto meno anche se la qualità può essere dubbia. In
passato c’erano stati grossi problemi di
stoccaggio, mentre adesso sembra che
le cose siano migliorate. Il prezzo al chilo, tuttavia, fa la differenza: la pappa reale italiana va sui 6-700 euro al chilo,
mentre quella estera sui 50-100 euro».
In provincia di Bergamo non sono molti
gli apicoltori che decidono di produrla,
ma se si ha la fortuna di acquistarla la
si può trovare nella forma naturale, pura
e fresca, perché p
prodotta in
loco. Il propoli e il polline,
infine, completano
gli
comp
alimenti
prodotti
alimen
dall’alveare.
dall’a
«Quante emozioni
regalano le api»
La cura delle arnie è più di un semplice hobby
per Chiara Busi. «Occuparsene fa capire
che non si può avere fretta,
servono pazienza e tranquillità»
di Anna Facci
D
ietro al miele c’è il magico mondo delle api. Ed è
ciò che affascina ogni giorno di più Chiara Busi,
37 anni, una vita piena di passioni – dal calcio
alla musica, alla fotografia - nella quale i piccoli
insetti si sono intrufolati con discrezione fino a
salire in cima alla classifica. «Sono nata e cresciuta in montagna, a Brembilla, e mi piace la
natura in tutti i suoi aspetti – spiega -. Mio padre ha sempre tenuto le api per produrre il miele per la famiglia e quattro anni fa ho cominciato a seguirlo. Mi sono presto appassionata ed
UN TOCCO DIVERSO IN CUCINA
Cipolline in agrodolce
Pulire bene 900 g di cipolline fresche. Scaldare in tegame 80 g di
burro, unire le cipolline e farle rosolare un poco, bagnare con un
miscuglio composto da 1 cucchiaio di miele e del brodo, scaldati
a bagnomaria. Portare a cottura, aggiungendo un pizzico di sale.
Se durante la cottura il fondo tendesse ad asciugarsi troppo, aggiungere man mano altro brodo.
Pan di polenta al miele
Fare un impasto con 500 g di farina di mais e mezzo litro di latte,
unendo anche 20 g di lievito e un pizzico di sale. Quando è ben
amalgamato e liscio, incorporare i rossi di 5 uova, uno ad uno, poi
aggiungere 3 cucchiai di olio di oliva e 120 g di miele scaldato a
parte. Quando anche questo composto risulta ben amalgamato
e morbido, unire le chiare delle uova montate a neve, lavorando
delicatamente il tutto. Ungere di burro uno stampo rettangolare,
con i bordi alti; versare il composto, che non superi l’altezza di due
terzi del recipiente, e mandare in forno caldo per un’ora circa. Si
può arricchire questo pane aggiungendo all’impasto, dopo l’olio e
il miele, una buona manciata di noci o nocciole spezzettate.
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Chiara Busi
Le ricette di www.apibergamo.it
Biscotti al miele
Scaldare e lavorare 200 g di burro finché diventa cremoso; unire
200 g di miele, scaldato a parte; continuando a lavorare questi
ingredienti, unire delle uova, uno alla volta, fino ad ottenere un
impasto ancor più cremoso e spumoso. A questo punto, unire a
poco a poco 200 g di farina, già mescolata a 15 g di lievito, e lasciare riposare l’impasto. Ricavare dall’impasto una sfoglia spessa circa 1 cm (non di più) e ritagliarne biscotti di forma rotonda.
Disporre su una teglia imburrata e cuocere in forno, a calore medio, per 20 minuti circa.
Mousse di miele
Scaldare 500 g di miele, unire i tuorli di sei uova, sbattere tutto con
un frullino, passare il composto in un tegame dai bordi alti, su un
fuoco medio, e continuare a sbattere. Portare a ebollizione, abbassate la fiamma e dare ancora qualche minuto di cottura fino a che
il composto raddoppi di volume. Togliere dal fuoco il composto, lasciarlo intiepidire ed incorporare delicatamente le chiare delle uova montate a neve. Versare questa mousse in una grande zuppiera,
anche di vetro, o in sei coppette e porre in frigorifero a rassodare.
ottobre 2012
ho voluto approfondire le mie conoscenze iscrivendomi all’Associazione Produttori Apistici di Bergamo». Tre anni fa papà Bertino viene a mancare e la cura delle arnie assume per Chiara
un nuovo significato. «Occuparmene mi fa sentire mio padre ancora vicino – racconta -, ma sono anche momenti tutti per me,
perché sono io la sola a seguirle. Ho capito che per trattare con
le api non si può avere fretta, servono pazienza, tranquillità e
pace. Sembrerà strano, ma avvertono lo stato d’animo di chi si
avvicina e per me è bellissimo essere riuscita a trovare la giusta sintonia».
Chiara lavora alla Brembo di Curno e abita a Palazzago, «in un
appartamento che sembra un alveare – scherza – perché è
piccolo e pieno di oggetti e gadget in tema di api, che gli amici
sanno essere un regalo sempre gradito», dove non manca nemmeno l’intera collezione dei cartoni animati dell’Ape Maia, un
“mito” che si è anche tatuato. Le arnie invece sono a Brembilla.
«Lavorando su turni riesco a seguirle bene – evidenza –, in pratica salgo un giorno sì e uno no. Rispetto al passato sono necessarie attenzioni maggiori, in primo luogo per via della varroa, un
parassita che può causare gravi danni, ma confesso che talvolta l’impegno si riduce a una decina di minuti e passo il resto del
tempo ad osservarle, a cercare di capirle: trasmettono un’emozione indescrivibile».
Partita con la sola arnia del padre, è arrivata a sette, perdendone poi quattro a causa della varroa. Ora è ripresa la crescita con
due nuovi sciami formatisi quest’anno. «La raccolta è andata
bene – dice -, circa 90 chili di miele che utilizziamo in famiglia
(è l’ultima di sei fratelli ndr.) e che regalo a parenti e amici. È
un hobby, ma mi piacerebbe ampliarlo fino a dove riesco. Mi dà
soddisfazione anche perché continuo ad imparare. Ci sono infatti corsi e manuali, si possono chiedere consigli e confrontarsi, anche in rete si incontrano appassionati, ma le nozioni vanno
sempre sperimentate e messe a punto provando e riprovando».
Nella vicenda, il miele ha probabilmente il ruolo meno importante. «Non mi interessano le quantità – precisa -, ciò a cui tengo
di più è che le api stiano bene e per questo cerco di sottoporle
a meno stress possibili. Per me conta soprattutto il valore che
le api hanno nel ciclo della natura, l’essere protagoniste e sentinelle delle condizioni ambientali, sono insetti che danno amore e vita».
Se all’avvicinarsi di un’ape i più si scansano e qualcuno addirittura si fa prendere dal panico, per Chiara vedere un’ape è invece sempre una gioia, un piccolo messaggio d’amore. «Mi sono
accorta che in tante occasioni importanti c’era anche un’ape vicino a me», rivela confermando una sensibilità speciale per ciò
che la circonda, un fatto ancor più raro in un mondo sempre più
tecnologico e virtuale. «In realtà credo che basti osservare la natura per rimanerne affascinati – dice -, ne ho la conferma quando passeggio nel bosco con i miei nipotini, che si incantano vedendo scorrere un ruscello e scorgendo qualche gambero». «Sono contenta per i giovani che da quest’anno in Val Brembana ci
sia una scuola di agricoltura – commenta infine -. Ci fosse stata
ai miei tempi, sarebbe stata sicuramente la mia scelta».
Torta di limone al miele
Scaldare un litro di latte, unire 150 g di burro e, dopo che si è
sciolto, aggiungere mescolando bene 300 g di farina e mezzo
cucchiaio di bicarbonato. A questo composto, ben amalgamato,
unire 240 g di miele, scaldato a parte a bagnomaria per renderlo più fluido; poi tre uova, uno alla volta, incorporandole delicatamente. Se, a questo punto, il miscuglio risultasse troppo consistente, si può aggiungere altro latte secondo necessità. Unire
poi mezzo cucchiaio di buccia di limone grattugiata e il succo di
due limoni, sempre mescolando con cura. Lasciare riposare per
un’ora, poi versare il composto in una teglia unta di burro e foderata con carta di alluminio, mandare in forno per 40 minuti circa,
a temperatura moderata. A seconda dei gusti, è possibile unire
all’impasto uvetta (60-80 g), pinoli, noci o nocciole spezzettati
nella stessa quantità.
Curaçao
Mettere in bottiglia un litro di acquavite di ottima qualità con 50
g di scorze secche d’arancio in pezzi, turare bene e lasciare macerare per 15 giorni, esponendo al sole la bottiglia e agitandola
spesso. Ciò fatto, filtrare il liquido ed aggiungere 600 g di ottimo
miele, sciolto prima a piccolo fuoco in altrettanta acqua.
19
IL RISTORANTE
di Lelia Parisi
“Donnarumma”,
il cuore campano
nel piatto
Il locale di Songavazzo, gestito da Libera
col marito, è un tripudio di sapori e abbondanza.
Protagonista assoluto il pesce.
Corretto il rapporto qualità/prezzo
Libera Donnarumma, chef e titolare
del locale insieme al marito Alessio Savoldelli
D
20
ifficile arrivarci per caso. A Songavazzo, paese periferico
della Val Seriana, ci vai solo se hai un buon motivo. Il ristorante di pesce Donnarumma è un locale che non immagini
e che perciò ti sorprende. Non tanto per il pesce, ristoranti
di mare in valle e montagna ormai non fanno più notizia. Né
per gli interni di taglio nettamente moderno, quasi un corpo
estraneo nel contesto rustico della valle.
La cucina, e il teorema del piatto perfetto di Donnarumma,
sono i 50 cm di lunghezza dei suoi piatti. Trafficati come un
fondale marino protetto. Pesci, molluschi e crostacei sguazzanti tra spaghetti o mezze maniche di Gragnano o tra semplici verdure, con il loro fitto seguito di bivalvi di ogni genere
e specie (vongole, tartufi di mare, cozze, ostriche). Catalane
trionfanti di crostacei (in estate declinate in versione dolcesalata, con contorno di frutti esotici e sottobosco), pesci al
forno o a vapore oversize capaci di “stendere” il più motivato degli avventori. Insomma, una vera mitologia dell’abbondanza con piatti smisurati da Grande Abbuffata ferreriana
e indiscussi precursori in Teofilo Folengo e Rabelais, per citare i più noti.
È un percorso, per molti aspetti, circolare quello di Libera
Donnarumma, chef e titolare del locale insieme al marito
Alessio Savoldelli, nata a Gragnano, in Campania, e ormai
da 25 anni al Nord. Il ritorno alle origini, come avviene per
molti chef, per Libera è un richiamo irresistibile, se non addirittura il vessillo della sua cucina. Delle origini c’è la pasta della Gragnano natia, ma soprattutto l’intensità del mare campano resa attraverso l’artificio (se così si può dire
di una cucina “istintiva”) dell’iperbole. E dunque, lavorare
per addizione, anzi moltiplicare pasta e pesci e quant’altro.
Ordini due capesante gratinate (6 euro l’una), pensando
che la matematica non sia un’opinione, e ti arrivano sì due
valve, ma moltiplicate per cinque (dieci noci, o forse più, di
capasanta). Stessa storia per l’antipasto
di calamari e calamaretti
aretti grigliati, teneri, succosi e succulenti
enti (si mangiano
tranquillamente in quattro).
uattro). Se in altri
locali la tecnica è dii caricare il contorno per supportare
e un protagonista di scarsa stazza
a e dare consistenza a un piatto dove inesorabilmente è il bianco
o della porcellana a primeggiare,, qui invece è
il pesce-protagonista
ta a prendersi
tutta la scena, con
n gli elementi
di contorno a fare da comparsa.
Basta l’arrivo del primo
rimo piatto per
mettere in subbuglio
lio la tavolata,
richiamare l’oste e il più gentilmente possibile chiedere
hiedere di rivedere l’ordinazione, dimezzando le
portate successive.
e.
Punto di forza del locale, la scelta in favore dell’abbondanza
bbondanza non
è certo dettata da
a calcoli utilitaristici, rispondendo
o probabilmente
a dinamiche ataviche,
iche, scritte nella storia quasi deamicisiana
eamicisiana della
protagonista. Origini
gini modeste, adolescenza in collegio,
gio, allontanamento precoce dalla famiglia per motivi
economici e lavorativi.
ativi. Scarsità di cibo
e di affetti e, dunque,
nque, perché no, cibo
come surrogato. «Non ne ho visto molto
nella mia giovinezza
ezza - si sfoga Libera-, ora
mi piace vederlo e prepararlo in abbondanza e
ottobre 2012
IL GIUDIZIO
AMBIENTE
A
Da un anno nella nuova location nel centro di Songavazzo, Donnarumma è il genere di locale che non ti aspetti in un paese non
certo tra i più mondani della valle. Esotico sin dal nome che campeggia all’ingresso, Donnarumma conferma le sue intenzioni catapultando l’ospite in un ambiente luminoso e solare, di impostazione moderna, con cucina a vista e citazioni sparse del mare e
del Sud campano. Due le sale, per un totale di 40 coperti.
che gli ospiti possano goderne fino
alla sazietà. Abbiamo provato a ridurre le porzioni, ma le abbiamo
ripristinate subito per l’insistenza dei nostri clienti».
La consuetudine sin da giovanissima
con il lavoro ai fornelli consente a Libera
di gestire la cucina senza alcun aiuto, riuscendo a preparare anche 30 e più coperti, e addirittura a far testare, molto democraticamente, la cottura della pasta
al cliente. «Ogni cliente ha il suo punto di
cottura, giusto che sia lui a decidere. Certo, qui pratichiamo una cucina espressa
con piatti preparati al momento che richiedono fino a 20 minuti di preparazione. Una piccola attesa è inevitabile, ma è
il prezzo della qualità».
Qualità che si riconferma nei dolci, alcuni
dei quali home made, come la pastiera
napoletana e il tortino caldo di cioccolato, altri in arrivo direttamente da Campania e Sicilia. Il prezzo per un pasto medio
(praticamente una portata e mezzo) si
aggira sui 30 euro, vini esclusi. Almeno
quello, piccolo.
CUCINA
C
Votata
Vota a una linea esclusivamente di mare (unico richiamo alla terra, il
filetto d
di Angus irlandese sembra un po’ un naufrago sperduto in alto mare), Donnarumma
è un’isola di cucina mediterranea del Sud conficcata nel bel
Donna
mezzo di una valle dove domina la parlata stretta del bergamasco più ostico. Il
linguaggio di Donnarumma è invece immediato, diretto e comprensibile, semplicissimo come i suoi ingredienti: pesce, crostacei, molluschi, pasta di grano duro, verdure e poco altro. «In aggiunta solo olio, aglio, prezzemolo, basilico, aceto
e vino - chiosa Libera -. Nessuna spezia». Pesce da Orobica Pesca e La Ge’Ge’
di Lallio.
Qualche lontana eco arriva dalla cucina di Gennaro Esposito, bistellato di Vico
Equense, vero e proprio mito di Libera.
CANTINA
Con una quarantina di etichette, focalizzate in particolare sui produttori campani (Marisa Cuomo in primis), la carta dei vini è ancora “in progress” ma orientata
comunque a una scelta di qualità. Buona presenza delle bollicine franciacortine, rossi in sordina vista la vocazione marinara del locale. Ricarichi medio-alti.
ESPERIENZA
Autodidatta, con una passione per il cibo che viene da lontano (nella sua giovinezza, ci fa capire, il cibo in abbondanza è stato un ospite raro), Libera si è fatta le ossa sul campo: servizio ai tavoli a 15 anni fino alla faticosa conquista della cucina e l’esperienza chiave al Grand Hotel des Bains di Riccione nel ruolo
di aiuto cuoco. Nel 2009, la scelta di un percorso in autonomia e l’apertura di
un ristorante di pesce a Songavazzo, nel paese del marito Alessio. Un locale dai
connotati forti, dove la scelta di una cucina semplice non ha nulla di programmatico, ma è espressione della personalità lineare, priva di chiaroscuri, di Libera.
«Lavoro d’istinto, non seguo particolari filosofie, mi piace fare bene quello che
so fare, non ho il desiderio di uscire dal mio tracciato». Insomma, in Libera libertà e necessità felicemente coincidono. Senza trascurare le capacità tecniche,
evidenziate da cotture ben calibrate, lavorazioni accurate, sapori netti e distinti.
SERVIZIO
Il servizio ai tavoli è svolto, con discrezione e attenzione, dal marito di Libera,
Alessio Savoldelli, che si premura, con estrema correttezza, di preavvisare i
clienti ancora ignari delle porzioni extralarge circa l’opportunità di dosi intere
per le portate successive. Apprezzabile la scelta delle portate per due persone
a costi ribassati.
RISTORANTE DONNARUMMA
via Vittorio Veneto, 23
Songavazzo
tel. 0346 71466
Chiusura: lunedì e martedì;
il mercoledì, giovedì
e venerdì a pranzo
RAPPORTO QUALITÀ/PREZZO
Ottimo rapporto qualità/prezzo, in considerazione delle porzioni pantagrueliche
che fanno il paio con la buona qualità delle materie prime e delle lavorazioni. Difficilmente ipotizzabile un menù degustazione con queste dosi, a meno di voler
replicare le imprese da Grande Abbuffata… con annesso finale.
p.s.
21
OSSERVATORI
Comolli (Ovse): “I ricarichi
eccessivi frenano
i consumi di spumante”
N
el primo semestre dell’anno è stato
ancora positivo il consumo all’estero dei vini spumanti italiani, secondo quanto emerge dalle periodiche
consultazioni di Ovse (Osservatorio
Economico Vini), grazie ai referenti in
48 paesi. L’Europa, che rappresenta
ancora il 57% dei volumi e il 51% del
valore globale di mercato, fa segnare
un +7% in valore e un -2% nei volumi, con Francia, Spagna, Portogallo
e Germania in calo e Svizzera, Norvegia, Svezia, Austria e Regno Unito
in crescita.
Germania e Regno Unito restano i
principali mercati. Nei Paesi terzi
l’export degli spumanti (per il 96%
appannaggio del metodo italiano di
Prosecco, Asti e Valdobbiadene) segna +14% in volumi e +17% in valore assoluto, con punte rappresentate da Giappone e Estremo Oriente
attestati su +20% in valore e +11%
in volumi. Numeri ancora piccoli in
assoluto, ma interessanti: circa 2
milioni di bottiglie in più rispetto al
2011. In Russia crescono il Prosecco e altri spumanti generici di origine piemontese e lombarda, a scapito dell’Asti Docg che segna un calo
in volumi del 50% (3,5 milioni di bottiglie consumate, contro i 7 milioni
nei primi 6 mesi del 2011). In totale
l’area dell’ ex Urss registra un incremento di consumi dell’ 8% con un incremento dei valori del 2%. Un mercato difficile e altalenante, dovuto a
imposte aggiuntive. Oltreoceano, i
diversi mercati segnano numeri differenti: se Canada e Usa mantengono un trend crescente, il Brasile e il
sud America, dopo la scorpacciata di
fine anno 2011, segnano per la prima volta un dato stabile. Nel 2012
ci sono i presupposti per superare
R
RATATOUILLE
d
di Laura Ceresoli
F
FRIZZANTE
SÌ, MA SE È ROSSO
NON SERVITELO A UN FRANCESE
N
Se volete fare uno sgarbo a un francese, offritegli del vino
rosso frizzante. Già, perché sembra proprio che i nostri
cugini d’Oltralpe - eccezion fatta per lo spumante - abbiano
una vera e propria fobia delle bollicine. In Provenza, per
esempio, dove la tradizione del rosé è assai consolidata,
offrire un mosso dell’Oltrepò pavese potrebbe rivelarsi
una scelta poco azzeccata. La responsabile dell’enoteca
italiana che rifornisce il nostro ristorante ci aveva messo
in guardia ma pensavo si trattasse solo di una sua operazione di marketing per orientare i nostri acquisti verso
altre etichette. Invece, ho dovuto ricredermi. Ero convinta
che i gusti dei francesi fossero più malleabili e mi illudevo
di navigarli verso sapori enogastronomici alternativi senza
eccessivi traumi. Ma non è stato così. In fatto di vini, Italia
e Francia vivono da sempre una rivalità unica al mondo. I
22
francesi covano un atavico senso di superiorità nei nostri
confronti che deriva dalla radicata convinzione che i loro
preziosi nettari d’uva siano migliori dei nostri. In questi
mesi di lavoro al ristorante “La Milanesina” ho capito che
quando un cliente nizzardo non trova nel menù quello a
cui è abituato, diventa capriccioso, supponente, quasi
scortese. A volte qualcuno scorre la carta dei vini con fare
da esperto sommelier e ordina una bottiglia di Lambrusco.
Poi quando scopre che è frizzante comincia a scuotere la
testa in modo nervoso e agitando l’indice dice: “Non, non,
non, non, pas pétillant!” (No, frizzante no!, ndr). Così ripiega su un Chianti, giusto perché il nome gli è vagamente
familiare.
Un’altra mania dei francesi è quella legata alle bevande
fredde. O meglio, ghiacciate. Se non sono appena uscite
ottobre 2012
Cresce, nel primo
semestre, il valore
dell’export di bollicine
italiane (+9,2%). Il calo
della domanda interna
si attesta al 7% mentre
il prezzo medio
della bottiglia all’origine
sale del 3,1%
e allo scaffale del 2,2%
il fatturato record di 4,2 miliardi di euro
per tutto il vino italiano. In Italia crescono produzione, volumi spediti e valore
all’origine, ma le spedizioni sul mercato
interno sono calate del 10,1%, i consumi del 6,9%, a fronte di un prezzo medio/
bottiglia all’origine aumentate del 3,1%
e un prezzo sullo scaffale a +2,2% rispetto al primo semestre 2011. Vanno meglio i Docg (Franciacorta e Valdobbiadene) che i Doc (Prosecco e marchi leader
del metodo classico). Il calo dei consumi
nazionali si registra in tutti i canali, meno nelle aree tradizionali di produzione.
Giampietro Comolli, fondatore di Ovse,
commenta:“Per il semestre vuol dire un
calo di consumi interni di 4,5 milioni di
bottiglie, pari a -36 milioni di euro di giro
d’affari. Senza Export, il mercato dei vini
italiani e vini spumanti segnerebbe una
decrescita. All’estero le Dop Asti e Prosecco sono simbolo del nostro Paese, riconoscimento e consolidamento del rapporto identità/valore, su cui puntare. Il
Governo italiano deve rivolgere maggiore
attenzione agli asset economici del Paese: vino, alimentari, turismo, moda”.
“L’Export - aggiunge Comolli - sta diventando l’unico canale di sbocco per Italia,
ma anche Francia e Spagna sono sulla
stessa linea. In Francia il calo dei consumi interni è attestato nel primo semestre
sul 14,7% fra Champagne e altre bollicine; in Spagna è del 22% il calo del Cava;
in discussione la leadership dello Champagne nel Regno Unito, con cali vertiginosi. Gli Champagne poco conosciuti e
quelli delle Coop registrano un calo all’estero del 12%, solo del 4,4% per le Grandi Maison, causa il prezzo al consumo. Il
Cava va bene nel Regno Unito e in Germania, con un prezzo all’origine ridotto
del 3% medio”.
“Il mercato italiano ha bisogno di più attenzione, più personalizzazione dei rapporti commerciali, filiera corta, meno ricarichi e grande differenziazione fra Dop
e spumanti - annota Comolli -. All’estero
cresce la consapevolezza del binomio
qualità/origine del vino italiano e grandi
case distributrici mondiali siglano contratti per milioni di bottiglie, chiedendo
esclusive. Nel 2012 l’Italia potrebbe superare i 450 milioni di bottiglie vendute.
Ragionando sul mercato interno invece
occorre rilevare in Italia il consumatore
e i luoghi di consumo sono diversi rispetto ad altri Paesi: continua il trend per vini
freschi, moderni, meno alcolici, abbinabili con ogni cucina, ideali per ogni momento e occasione”.
dal frigo, proprio non le vogliono. Un giorno, per accontentare un cliente un
po’ pretenzioso, abbiamo persino esaurito le scorte di ghiaccio per tenere al
fresco un bianco già a temperatura da congestione. Ho visto francesi scialacquare un vino rosso con del ghiaccio, un gesto che non fa certo onore a
una nazione che vanta una lunga tradizione in ambito vinicolo.
Tuttavia, anche con delle banali bevande analcoliche i provenzali riescono a
darci del filo da torcere. Quando ordinano un té freddo danno per scontato
che sia aromatizzato alla pesca, al lime o al mango. Con mia grande sorpresa, il classico té al limone, tanto diffuso tra gli italiani, rappresenta per
i francesi una soda quasi imbevibile a tavola: il 99% di coloro che si sono
visti servire un infuso con questo agrume hanno subito chiesto di sostituirlo con una Coca. E se è vero che l’acqua San Pellegrino è conosciuta in
tutto il mondo, sono ancora parecchi i francesi che, presi da uno sprazzo
di orgoglio nazionalista, pretendono una Badoit, una Vittel o una Evian. Un
giorno, a una cliente incontentabile che desiderava una Perrier ho proposto
in alternativa la classica Sanpé (per dirla alla francese) ma lei ha seccamente rifiutato:“Mais non! C’est pas la même chose!” (Non è la stessa cosa,
ndr). E alla fine ha optato per l’acqua del rubinetto. Insomma, quando un
francese si mette in testa una cosa, è difficile fargli cambiare idea. Ma non
impossibile...
23
L’ITINERARIO
Val Seriana,
alla riscoperta
dei sapori
dimenticati
di Lara Abrati
Da Alzano a Colzate, passando perr Cene, le realtà impegnate nel recupero
di varietà autoctone di mela. Nella Valle del Lujo si promuove il castagno,
mentre Gandino sforna specialità realizzate con il suo mais De.Co.
C’
24
era una volta un luogo in cui i boschi
hi ed il cemento non
invadevano ancora tutti gli spazi verdi
di llasciati
i ti iincolti.
lti Si
potevano ammirare, oltre ai pascoli necessari per l’allevamento, filari di frutteti, vigneti e castagneti. Chi si occupava della coltivazione delle piante e della cura degli
animali viveva secondo i lunghi e ripetitivi tempi della natura. Un ambiente in cui vigeva una socialità e uno spirito
di accoglienza ormai andati distrutti dai veloci ritmi della
città, quindi dall’indotta individualità.
È questa l’esatta sensazione che si prova visitando l’azienda agricola “Cascina Sole” di Giacomo e Marco Rossi, ad Alzano Lombardo, prima tappa di un percorso alla
Giancarlo Moioli, tecnico della Comunità Montana della Valle Seriana
ci guida tra i progetti che recuperano le colture tradizionali
riscoperta della biodiversità nel quale ci guida Giancarlo
Moioli,
della
Comunità
Montana
M i li perito
it agrario
i e ttecnico
i d
ll C
ità M
t
della Valle Seriana, impegnato in una serie di progetti
per il recupero di alcune colture passate.
«A Giacomo e Marco - spiega Moioli - ho chiesto di utilizzare una riva di un appezzamento per impiantare alcuni meli recuperati dalla vicina Valle del Lujo. Molte delle piante da cui ho recuperato la marza per effettuare
l’innesto sono ormai morte di vecchiaia, avremmo così
perso un’altra parte della nostra eredità botanica, all’insegna della standardizzazione imposta dalle culture industriali odierne». Questa attività si lega a quella del frutteto didattico di Colzate, dove in un terreno dalla dimensione inferiore ad un ettaro, di cui è proprietaria la Comunità Montana della Valle Seriana, sono state impiantate
diverse varietà di mele. Nato da un progetto di Giancarlo Moioli del 2006, ospita circa 80 piante differenti, con
un nome che spesso viene attribuito in base alla zona in
cui sono state trovate o alle caratteristiche visive o aromatiche del frutto. Si spazia dalla mela ruggine alla mela limoncella (che lascia un gradevole odore di limone
nell’ambiente in cui viene conservata), al pom diaòl e a
molte altre varietà. Il frutteto per ora ha esclusivamente
un’impostazione didattica, anche per la scarsità di fondi
economici. Nonostante l’attenzione e la richiesta da parte del consumatore più attento sia in costante crescita,
non ci sono ancora impianti già produttivi che riescano
ottobre 2012
a soddisfarne la domanda. Esiste solo l’autoproduzione, anche
se alcuni frutteti caratterizzati dalla presenza di varietà autoctone o “antiche” nella provincia di Bergamo sono già stati impiantati. Gianluigi Occioni, ad esempio, si è impegnato nel recupero
varietale nella sua azienda di Cene, che si occupa dell’innesto
di piante di varietà ormai “quasi scomparse” e della loro vendita in azienda o nel mercati a cui partecipa in tutta la provincia.
Nel cuore vero e proprio della Valle del Lujo (sulla sponda sinistra del Serio, nel comune di Albino), l’attenzione si sposta sul
“pane dei poveri che cresce sugli alberi”, come viene descritta
la castagna grazie alla presenza decisiva nel frutto di carboidrati. A differenza di quanto avvenuto nella maggior parte dei boschi, dove i castagni sono inselvatichiti (lo si nota anche dalle
piccole dimensioni delle castagne), in questa valle secondaria
la coltivazione di castagni innestati è stata di vitale importanza
soprattutto per i mesi autunnali e invernali. Per sottolineare la
cosa e divulgare al meglio, in particolare alle scolaresche, le nozioni relative alla storia di questo luogo e alla sua coltivazione
principale, l’Associazione Culturale “Amici di Casale” ha realizzato il “Sentiero del Castagno”, che parte dalla frazione Casale
di Albino e arriva al “Parco del Castagno”, con area pic nic. Un
tempo la zona in cui sorge il parco era un bosco “di comunità”
dove la gente poteva raccogliere legna, erbe, foglie e castagne.
Insieme alla Comunità Montana vengono organizzate visite guidate per le scuole. Il prodotto principe è quindi la castagna che
può essere consumata in svariati modi, dalla produzione di farine alle caldarroste, alla bollitura. Può essere inoltre lavorata per
produrre i famosi Biligocc (castagne essiccate e affumicate allo scopo di conservarle, consumate previa bollitura), che hanno
come patria natale, secondo molti storici, la frazione di Poscante nel comune di Zogno in Valle Brembana.
Un terzo prodotto in fase di riscoperta è la materia prima per la
preparazione del piatto bergamasco (e non!) per eccellenza: la
polenta. Dal 2011 il Mais Spinato di Gandino gode della De.Co
(denominazione comunale), un marchio di qualità che certifica
la provenienza di un prodotto da un preciso territorio comunale. Anche in questo caso è stata avviata un’attività di recupero
che ha coinvolto, oltre alla commissione della De.Co., diverse
realtà. Innanzitutto la Civitas di Gandino, un gruppo di agricoltori appassionati, ha curato la ridiffusione del seme. La Comunità
Montana della Valle Seriana poi ha dedicato un appezzamento
presso il frutteto didattico di Colzate.
PIPI, SELVATICO E FERA,
ECCO ALCUNE DELLE MELE “SALVATE”
In natura esistono, per ogni specie
vegetale, molteplici tipologie varietali. Queste vanno a costituire la biodiversità che, nell’ultimo secolo, si è
però scontrata con l’industrializzazione spinta e la standardizzazione
dei consumi. È così che buona parte del patrimonio varietale è andata perduta a vantaggio dell’utilizzo
di poche varietà, molto produttive e
adatte alle richieste del mercato. Come spiega Giancarlo Moioli, «in natura esistono circa 7.000 specie di
melo, noi ne coltiviamo circa 5 specie». Chiaramente le varietà autoctone hanno la caratteristica di essere
rustiche e ben adattate al luogo in
cui negli anni sono state coltivate.
Per garantire i risultati commerciali
di varietà molto produttive e talvolta
delicate si necessita spesso anche
di un maggiore uso di fitofarmaci,
con un impatto negativo per l’ambiente e per l’alimento che verrà portato in tavola.
Le varietà di mele riscoperte e riprodotte da esemplari ormai inselvatichiti hanno spesso nomi di fantasia.
Nella catalogazione che è stata realizzata si trova, ad esempio, il Pom
Pipi, reperita in Valle del Lujo, dal
sapore interessante anche se mediamente asciutta. Si raccoglie in
autunno e ne è stato rilevato un solo
esemplare. Anche del Pom Selvatico
ne è stato ritrovato un solo esemplare in Valle del Lujo: la raccolta avviene in autunno e il frutto è caratterizzato da un sentore di ciclamino. Del
Pom Fera invece ne sono stati rilevati due esemplari in Valle del Lujo e
viene raccolta a inizio della stagione
autunnale. Si può citare anche la Pomela Autunnale, reperita in via Plazza in Valle del Lujo, molto interessante la sua pezzatura commerciale. Si raccoglie tra la fine dell’estate
e l’inizio dell’autunno. Questi sono
solo degli esempi della tante varietà riscoperte e quasi tutte riprodotte.
A CENE L’AZIENDA
AGRICOLA
CHE RIPRODUCE
LE ANTICHE PIANTE
È importante che la riscoperta non sia
un’azione fine a se stessa, ma un punto di
partenza per ridare senso e dignità all’agricoltura. Lo ha capito e messo in pratica Gianluigi Occioni che nella sua azienda
“Antiche delizie” si preoccupa di riprodurre
le varietà autoctone procedendo all’innesto di queste e permettendo così di ri–coltivare le piante sia per l’autoproduzione
(anche nel giardino di casa) che per scopi
commerciali. Una cosa è certa: così facendo si evita la completa sparizione di questi sapori.
Nell’azienda, oltre alle diverse varietà di
melo, è possibile trovare anche varietà di
pero, albicocco e susino. Ovviamente le
specie coltivate sono autoctone, ma non
esclusivamente del territorio bergamasco.
Le piante si possono acquistare direttamente in azienda oppure ai diversi mercati
a cui l’azienda partecipa.
AZIENDA AGRICOLA ANTICHE DELIZIE
via Vallerossa, 21 - Cene
tel. 349 5750402
[email protected]
www.antichedelizie.eu
25
L’ITINERARIO
GANDINO, L’INTERO
PAESE COINVOLTO
NEL RECUPERO
DEL MAIS SPINATO
È una varietà di mais ad impollinazione libera, non adatta quindi a garantire grandi produzioni. Con la diffusione
dei mais ibridi, a partire dal primo dopoguerra, la coltivazione dello Spinato è andata riducendosi fino a sfiorare la sparizione. In un documento del
1632 si parla già della coltivazione
del mais. Fa parte della valorizzazione
di questo mais anche l’accordo con il
Cra – Mac unità di ricerca per la maiscoltura di Stezzano, attraverso una
ricerca di selezione conservativa si arriverà a produrre il seme di fondazione della varietà autoctona chiamata
“Spinato di Gandino”.
Nel mese di ottobre è irrinunciabile
l’appuntamento con l’evento “I Giorni
del Melgotto”, caratterizzato da convegni, mostre e degustazioni con l’obiettivo di valorizzare e mantenere vive le tradizioni legate alla cultura popolare e contadina, come ad esempio
la scartocciatura delle pannocchie in
piazza abbinata ai canti e ai racconti
della tradizione popolare.
CASALE DI ALBINO,
LA CASTAGNA PROTAGONISTA
TUTTO L’ANNO
26
Due i prodotti golosi da segnalare: il
biscotto Melgotto di Gandino, commissionato ai quattro fornai del paese, e la Spinata, una sorta di piadina
prodotta a partire da una miscela di
farine, fra le quali anche quella di Spinato. Entrambi i prodotti si possono
assaggiare durante la festa “I giorni
del Melgotto” oppure dai fornai del
paese.
La sagra dei biligocc, classificata come “sagra autentica”
in base ad un manifesto ben preciso e lontana dalle manifestazioni in cui si vende di tutto, si caratterizza come
un’occasione di aggregazione e un momento culturale dedicato a uno dei prodotti agroalimentari di eccellenza della
zona: la castagna.
I biligocc sono castagne secche, affumicate, essiccate e
bollite prima di essere consumate. L’affumicatura e l’essiccazione avvengono nell’essiccatoio storico. Si fanno
ideatori e promotori dell’evento i soci dell’Associazione
culturale Amici di Casale che, oltre alla sagra, si occupano anche della gestione del Museo Etnografico di Casale
di Albino.
Tempo permettendo, la data della sagra è a cavallo tra la
fine di gennaio e l’inizio di febbraio, la prossima è prevista
per domenica 3 febbraio 2013, sarà la 24esima edizione.
Nel frattempo, sempre in tema di castagne, domenica 7
ottobre 2012 si è svolta la 24esima edizione della sagra
delle borole, la classica castagnata, sempre a Casale di Albino. Sono state fatte cuocere le castagne sul fuoco in due
grandi padelle bucherellate della capienza di circa 15 kg
di castagne l’una. Anche questo è un appuntamento ormai
fisso in Valle del Lujo.
Hotel Ristorante La Conchiglia - Romano di Lombardia (BG)
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APPUNTAMENTI
DAL 25 AL 29 OTTOBRE
“Cibi che cambiano il mondo”
al Salone del Gusto di Torino
Q
uest’anno, per la prima volta, il Salone del Gusto e Terra
Madre sono una cosa sola: un unico grande evento che si
svolge dal 25 al 29 ottobre a Torino (Lingotto Fiere e Oval),
organizzato da Slow Food, Regione Piemonte e Città di Torino, in collaborazione con il Ministero delle politiche agricole
alimentari e forestali. La grande novità è, quindi, che la rete
delle comunità del cibo di Terra Madre si apre al pubblico,
facendo dell’appuntamento un’occasione per incontrare
la straordinaria diversità agroalimentare di ogni continen-
te attraverso la voce di chi coltiva, alleva e trasforma i suoi
prodotti.
“Cibi che cambiano il mondo” è lo slogan dell’edizione, che
attraverso le storie di chef, artigiani e comunità del cibo di
150 Paesi testimonierà come si possa rivoluzionare il paradigma che regola questo mondo in crisi a partire dal cibo. Per orientarsi nel ricco programma, oltre a consultare
il sito www.salondelgusto.it, si possono ricordare le aree
principali: il grande Mercato che si snoda tra Lingotto Fiere
e l’adiacente Oval, con mille espositori da cento Paesi, tra
cui 200 Presìdi Slow Food italiani, 400 comunità del cibo e
di queste 120 Presìdi Slow Food internazionali; i Laboratori
del Gusto e gli Incontri con l’Autore per approfondire e assaggiare in compagnia di produttori, chef, vigneron, birrai
ed esperti; i Teatri del Gusto per osservare da vicino i cuochi
all’opera; i percorsi educativi per bambini e adulti; le Conferenze, i corsi Master of Food e gli appuntamenti con il Personal Shopper; un’Enoteca che valorizza territori di confine,
aree montane e terroir estremi con 1.200 etichette delle
migliori cantine italiane; gli Appuntamenti a Tavola, per fare
il giro del mondo restando in Piemonte. Tra i nuovi Presìdi
da segnalare il debutto della Sardina essiccata tradizionale
del lago d’Iseo.
10 E 11 NOVEMBRE
VOLTA MANTOVANA, PRODOTTI TIPICI IN MOSTRA
E MINI CORSO DI “CAPUNSEI”
Tuffarsi nella tipicità significa anche
ritagliarsi autentici momenti di benessere. È quanto sottolinea “A Volta per
star bene”, mostra mercato di prodotti mantovani in programma il 10 e 11
novembre nelle Scuderie di palazzo
Gonzaga a Volta Mantovana. L’esposizione offre la possibilità di assaggiare
e acquistare, in particolare, i prodotti provenienti dalle colline moreniche
del Garda: gli immancabili spumanti,
oli e tartufi, ma anche dolci, pane, conserve, mostarde, marmellate, aceti,
frutta e verdura di stagione. È affiancata da una serie di eventi come gli
aperitivi guidati, i tour all’interno del
palazzo, sulle torri e al mastio, i segreti
dell’antica arte del tè e per i più piccoli
28
storie della tradizione antica, leggende e fiabe con merenda. Originale è il
mini corso che permette di imparare
a realizzare i Capunsei, il prodotto tipico voltese a denominazione De.Co..
Nella casa del giardiniere, adiacente
al palazzo, le “siure” di Volta mostreranno ai partecipanti come si preparano gli gnocchetti di pane e al termine
ognuno potrà portarsi a casa e gustare con soddisfazione
azione i frutti
del proprio lavoro
oro (costo 7 euro, la prenotazione è consinsigliata).
La manifestazione
one
è a ingresso libero.
bero.
C’è la possibilità
ilità di
acquistare il bicchiere per le degustazioni di spumanti e vini al costo di 3
euro. Durante la due giorni è possibile
assaggiare i prodotti tipici anche nei
ristoranti del paese convenzionati che
propongono un menù tutto compreso
a 25 euro.
www.avoltaperstarbene.it
ottobre 2012
DAL 17 AL 19 NOVEMBRE
GOLOSARIA A MILANO,
DUE SEDI E PIÙ SPAZIO AI VINI
Golosaria è una rassegna di cultura e
gusto promossa dal Club di Papillon
in diverse città, nella quale si accendono i riflettori sui migliori produttori
artigianali d’Italia, selezionati dal libro
Il Golosario di Paolo Massobrio. Gli appuntamenti di Milano e del Piemonte,
in particolare, salutano ogni anno la
nuova GuidaCriticaGolosa dedicata a
Lombardia, Piemonte, Liguria e Valle
d’Aosta con le indicazioni su dove vale la pena fare una sosta per mangiare e per acquistare prodotti enogastronomici.
“L’irrinunciabile qualità” è il tema della
kermesse milanese, in programma dal
17 al 19 novembre in una nuova e doppia la sede: il Palazzo del Ghiaccio e i
Frigoriferi Milanesi, in via Piranesi. Al
Palazzo del Ghiaccio saranno presenti
le aree: Agorà (il palco principale, dove
si svolgono talk, premiazioni ed eventi
corali), Food (il cuore di Golosaria, con
i 100 Artigiani del Gusto selezionati dal
Golosario 2013), Lounge Lombardia
(area ristorazione, sempre attiva, con
i piatti della nuova tradizione lombarda), Show Cooking (dedicata a labora-
NOVEMBER PORC
tori di cucina e workshop), Sense
Experience (percorsi sensoriali con
Brachetto d’Acqui Docg e le fragranze
golose di Aquolina), Terrazza (con lezioni di barbecue e fumoir). I Frigoriferi
Milanesi ospiteranno invece la novità
delle 100 cantine Top Hundred presenti con i propri vini e l’Enoteca di Papillon, dove assaggiare i 100 vini Top
Hundred delle cantine presenti.
L’ingresso è su invito, che può essere
scaricato gratuitamente dal sito www.
golosaria.it. Alcuni eventi hanno posti
limitati, con prenotazione online.
FINO AL 2 DICEMBRE
NEL PARMENSE, QUATTRO
FINE SETTIMANA
CON SALUMI DA RECORD
LODI, LA RASSEGNA GASTRONOMICA
PREMIA LE DONNE
E CHI VIAGGIA IN TRENO
In ogni fine settimana di novembre nel parmense
si svolge una tappa di quella che è stata anche
definita “la staffetta più golosa d’Italia”, ovvero
la manifestazione November Porc, che in quattro
località celebra di volta in volta una specialità tipica a base di carne di maiale. E non lo fa con le
classiche porzioni, ma con formati da record che
aumentano il gusto della festa e il sapore goliardico delle iniziative. Si comincia il 3 e 4 a Sissa dove l’evento clou sarà la lenta e prolungata cottura del “Mariolone più grosso”, un cotechino della
bassa parmense. A Polesine Parmense il 10 e 11
sarà la volta del “Prete più pesante”, un salume
cotto che sarà tolto dalla pentola dai corpulenti
uomini del Po eredi dei vecchi Barbùter (barcaioli) seguendo un preciso rituale. Mentre a Zibello,
il 17 e 18, norcini anziani e giovani si impegneranno per insaccare il Salame Strolghino più lungo
del mondo, dopo essere già entrati nel Guinness
dei Primati nel 2003. Per chiudere in “leggerezza” non poteva mancare la Cicciolata più grande,
il 24 e 25 a Roccabianca, accompagnata da una
fetta di polenta calda. Tutti i prodotti protagonisti
delle imprese saranno distribuiti al pubblico. La
manifestazione entra anche nei ristoranti con “A
tavola con November Porc”, mentre le serate del
sabato sono dedicate ai giovani.
www.novemberporc.it
Fino al 2 dicembre la Rassegna Gastronomica del Lodigiano offre l’occasione di conoscere le specialità del territorio interpretate dai ristoratori. Alla 24esima edizione partecipano 25 ristoranti di tutte le categorie, dalla
trattoria al locale “stellato” con la possibilità, quindi, di spaziare dai piatti genuini e rustici alla cucina di ricerca e innovazione. I prezzi vanno dai
20 ai 40 euro, esclusi i vini. Si può optare per il menù completo, con tutte
le portate dall’antipasto al dolce, oppure per i menù tematici, meno impegnativi nel numero di piatti ed a prezzi ancor più
contenuti. Il “Menù zucca e castagne” si può trovare fino al 2 novembre; la trippa, i lessi e i bolliti del
“Menù della tradizione” dal 2 al 16 novembre ed infine “I Colori ed i Sapori del Riso”, dal 17 novembre
al 2 dicembre, che ricorda come anche il Lodigiano,
seppur con numeri inferiori rispetto alle aree più conosciute, abbia una secolare tradizione nella produzione risicola.
Tra le novità la “Serata Amica”, quattro serate infrasettimanali (10 e 24 ottobre, 7 e 21 novembre), nelle quali i ristoranti aderenti applicheranno uno sconto del 20% ai tavoli di sole donne (“Da due a cento…”, recita lo slogan, purché al tavolo siedano effettivamente solo clienti in gonnella) e consegneranno
un cofanetto con due prodotti di profumeria e personal care della più nota azienda lodigiana del settore.
La seconda iniziativa è stata sviluppata con Trenord,
per una mobilità efficace, economica ed ecofriendly. Prevede un biglietto a
prezzo unico da tutta la Lombardia per chi si recherà alla Rassegna, un taxi per l’andata e il ritorno al ristorante a prezzi calmierati e il 10% di sconto
sul Menù. www.rassegnagastronomica.it
29
NEWS
di Donatella Tiraboschi
La Val Serina
e i formaggi,
cronache
da un concorso
Q
uesto formaggio ha un retrogusto, come dire, floreale. Metti un pomeriggio
di metà settembre (di quelli dolci ed
assolati che solo la fine dell’estate sa
offrire) a Serina. Il paese è in fermento,
tra tre giorni, toccherà alla mostra zootecnica, un appuntamento tradizionale capace di catalizzare un pubblico di
migliaia di persone. Se il tempo è bello
anche una decina di migliaia (sfortunatamente però il giorno fatidico è piovuto
portando inevitabilmente qualche de-
fezione), tanto da essere diventato un
evento di “marketing promozionale inconsapevole”, dal momento che anche
i villeggianti riaprono le case per l’occasione. Una giornata, insomma, che
rappresenta la coda lunga dell’estate.
Al palazzetto dello Sport, il “gran cerimoniere” del “1° concorso per il miglior
formaggio della Valserina” è Costantino
Bonaldi, un uomo di altri tempi e consigliere di una banca di altri tempi (il Credito Cooperativo di Sorisole e Lepreno),
lontana anni luce dal “bank system” e
ancora saldamente ancorata alle tradizioni e produzioni territoriali. A questo
istituto di credito (quanti bergamaschi
sanno dove si trova Lepreno?) si deve la
realizzazione di questa iniziativa che alle quattro del pomeriggio vede “attovagliato” un nutrito numero di giurati (26!)
tra cui l’assessore regionale De Capitani, reduce da un tour de force “agrozootecnico” che, nel periodo, lo ha portato (ad onor del vero senza autista né
Lo strudel al taleggio
che incanta anche gli americani
di Leo Bartoli
È uno dei fenomeni enogastronomici degli ultimi anni nel mare magno della ristorazione
milanese: qualche mese fa è riuscito a strappare una lusinghiera recensione persino al
New York Times. La creatività è la specialità
della casa allo Zucca e Melone, i cui interpreti, dal patron Fabio Franceschelli allo chef
Mario Montemurro, hanno saputo valorizzare
al meglio, rivisitandole le materie prime d’eccellenza della cucina lombarda (con incursioni azzeccate sul fronte emiliano, fino a ingredienti che arrivano dal sud dello Stivale) a
cominciare proprio dal re dei formaggi bergamaschi: se infatti i columnist americani (dopo quelli italiani, s’intende) hanno posato gli
occhi su questo localino accogliente in zona
Porta Ticinese lo si deve proprio alla portentosa ricetta dello strudel salato alle cipolle ca-
30
Allo “Zucca e Melone” di Milano
una ricetta davvero innovativa,
che a novembre verrà riproposta
nella sede di “Alti Formaggi” a Treviglio
ramellate di Tropea e crema di Taleggio, gettonatissimo soprattutto
dai clienti stranieri. Un “must” che, nonostante il ristorante cambi
quasi totalmente menù almeno quattro volte l’anno a seconda delle stagioni, è stato imposto come inamovibile dai suoi “fans”: lo troverete sia sotto Natale che a Ferragosto.
“La ricetta nasce poco dopo l’apertura del locale, tre anni fa – spiega lo chef Montemurro – ed è stata un’intuizione mia e del mio collega Eugenio, allievo di Sadler, che ora ha scelto altre strade. Ci
sembrava bello coniugare le potenzialità di due prodotti fantastici
ottobre 2012
auto blu) tra le mostre di fine stagione su e
giù per le valli. La faccenda si prospetta impegnativa, non foss’altro per il numero delle aziende in lizza (una decina) e le tre categorie della casearia tenzone: “Fresco” fino
a 60 giorni, “Semistagionato” fino a 180 e
infine “Stagionato”, oltre i 180.
Ovvio che, carta d’identità alla mano, la nostra predilezione vada a quest’ultima categoria nella quale siamo ascritte ormai da
tempo. Giudicare un formaggio è quanto
di più soggettivo e singolare ci sia, perché
al di là di criteri oggettivi, come l’aspetto, il profumo e il gusto appartengono alla
Le classifiche
Categoria / Freschi
1°
Az. Agr. BERTOLAZZI GIUSEPPE di Zambla Alta
2°
Az. Agr. TIRABOSCHI ANGELO di Zorzone
3°
Az. Agr. QUISTINI LUIGI di Zambla Alta
(944) punti
(915) punti
(858) punti
Categoria / Semistagionati
1°
Az. Agr. CARRARA IGNAZIO di Valpiana
2°
Az. Agr. TIRABOSCHI ANGELO di Zorzone
3°
Az. Agr. COLOMBO GIACOMO di Zambla Bassa
(1000) punti
(884) punti
(871) punti
Categoria / Stagionati
1°
Az. Agr. CARRARA IGNAZIO di Valpiana
2°
Az. Agr. TIRABOSCHI TOBIA di Zambla Alta
3°
Az. Agr. QUISTINI MICHEL di Zambla Alta
(930) punti
(912) punti
(907) punti
come il Taleggio e la cipolla rossa di Tropea: dopo alcuni tentativi
siamo arrivati a proporre questa sorta di strudel salato, che già incuriosisce di per sé, perché tutti si aspettano qualcosa che
richiami il grande dolce tirolese”. “In effetti la sfoglia
è simile a quella proposta per lo strudel di mele spiega il patron di Zucca e Melone Fabio Franceschelli - ma il contenuto è naturalmente ben altro ed evoca un’esperienza sensoriale difficile da
descrivere, ma abbastanza unica”. Così almeno
la pensa la rubrica “Traveller on line” del New York
Times e molto più modestamente anche noi confermiamo che trattasi, per quanto riguarda l’utilizzo di un
formaggio bergamasco, di una delle ricette più originali e riuscite
degli ultimi anni.
Un formaggio non sempre facile il Taleggio Dop, da utilizzare come ingrediente principe: chi ci ha provato in passato o si è rifugiato
in classici magari rivisitati un po’ banalmente, oppure il rischio di
esporsi a brutte figure con nuove creazioni rimane sempre alto. Invece dal cilindro del locale di via Mora (sembra una casa di campagna: soffitti a volta e mattoni a vista) è uscita l’intuizione che non ti
aspetti: l’effetto al palato dato dalla sfoglia a contatto con le cipolle
rosse di Tropea regalano al fortunato degustatore un senso di ebbrezza zuccherina, che si trasforma in godimento vellutato in presenza del taleggio fuso, vera quadratura del cerchio.
E proprio grazie alla notorietà dovuta a questa ricetta, lo staff di
Zucca e Melone è stato invitato alla Casa degli Alti Formaggi a Treviglio, patria anche del Consorzio di tutela del Taleggio Dop, dove il
12 novembre alle 18 sarà chiamato a cucinare lo strudel davanti
a un pubblico di appassionati e buongustai. “Per noi è un onore -
sfera personale. Il rischio è poi che, dopo
una serie di primi assaggi, tutto si confonda e la “palatabilità” del prodotto rimanga
per finire indistinta. Tolto, ovviamente, per
quei formaggi che sanno distinguersi o perché hanno un retrogusto acidulo (come le
ciambelle anche le formaggelle non sempre riescono con il buco) o perché, come
già anticipato, sanno di fiori. “Questione di
alpeggio” spiegano dall’Associazione Manifestazione Agricole della Val Serina. Fiori
e fieno finiscono direttamente nel latte che
finisce direttamente nel formaggio. L’equazione è elementare (a scuola, le maestre
devono spiegarla proprio così), ma a pensarci non è poi così scontata. Alcuni solerti
produttori mettono il dato temporale nella
schedatura del prodotto finale (realizzato
con la mungitura del 18 luglio), un dato che
ha un sapore evocativo: che cosa stavano
facendo quel giorno d’estate? Eravamo in
ufficio, al nostro lavoro mentre le mucche al
pascolo estivo, facevano il loro, ruminando
quell’essenza di mille fiori finita in quel pezzetto bianco. La madeleinette di proustiana
memoria che riporta alle mente cose e persone buone.
spiega Franceschelli -: una serata che dovrà essere preludio a un
rapporto sempre più stretto tra la nostra cucina e i formaggi del
territorio, straordinario bacino di bontà. Per questo intendiamo dialogare a tutto campo con i Consorzi di tutela che ne garantiscono
la qualità assoluta: sicuramente nei prossimi mesi ci inventeremo
qualcosa di nuovo, ma già oggi sul fronte caseario, oltre allo strudel, nel nostro menù proponiamo il gnocco fritto emiliano con gli
stracchini e il gorgonzola Dop lombardi; la crema di zucca con porro
croccante e ricotta, la burratina con pomodoro cuore di bue e pesto
e i fiori di zucca ripieni di ricotta e menta”.
E tanto per complicarsi la vita, allo Zucca e Melone consigliano per
ogni piatto un abbinamento con un vino diverso,
ma di grande resa: “Vogliamo rilanciare il gusto personale - spiega Fabio -: se in una tavolata ognuno ordina un piatto differente, perché
bere qualcosa che si accompagna bene solo a
uno dei piatti richiesti? Ecco allora il consiglio
che può andare indifferentemente dai rossi ai
bianchi, fino ai rosé: per lo strudel salato,
dopo molti esperimenti, la nostra scelta
è caduta sul Lagrein-Merlot della altoatesina Alois Legeder, le cui uve, raccolte
sui rapidi pendii sopra il lago di Caldaro
provengono da agricoltura biodinamica controllata e offrono una grande
resa, sposandosi alla perfezione
con il piatto”.
Fabio Franceschelli
31
Fiera Campionaria,
spazio anche al gusto
G
li spazi dedicati al gusto non mancano
mai alla Fiera Campionaria di Bergamo, l’appuntamento tradizionale con
le novità e le occasioni del mercato,
in programma da sabato 27 ottobre a
domenica 4 novembre (sarà la 34esima edizione) al polo espositivo di via
Lunga con l’organizzazione della Promoberg. Uno dei punti di riferimento
per le iniziative golose sarà lo stand
della Camera di Commercio, dedicato alla promozione dell’agroalimentare e della ristorazione attraverso il
marchio “Città dei Mille... Sapori”. Nel
primo fine settimana, sabato 27 e domenica 28, saranno di scena i gastronomi e salumieri dell’Ascom con un
programma di degustazioni di salumi
e formaggi. Il carattere degli incontri
sarà volutamente semplice e familiare. Tralasciando tecnicismi e sottigliezze, i relatori punteranno infatti a
far capire ai partecipanti cosa si sta
mangiando e come viene preparato,
privilegiando la consapevolezza e l’emergere del gusto personale del consumatore piuttosto che il giudizio fine
a se stesso. Il lunedì 29 lo stand ospiterà invece i Ristoranti dei Mille... Sapori, mentre sabato 3 novembre e domenica 4 sarà teatro dei concorsi gastronomici dell’Associazione Cuochi
Bergamo. Il primo, alla memoria di Alfredo Sonzogni, è riservato alle scuo-
le alberghiere, il secondo, dedicato a
Fiorenzo Baroni, ai cuochi professionisti, chiamati a sfidarsi in diretta sul
tema “La pasta ripiena: tradizione, innovazione e scienza” creando il proprio piatto a partire dagli ingredienti
di un “paniere misterioso” sorteggiato
al momento.
A stuzzicare l’appetito dei visitatori ci
sarà anche il profumo del pane fresco
appena sfornato. Lo stand dell’Aspan,
l’associazione provinciale dei panificatori, è infatti un vero e proprio laboratorio che permette di seguire i gesti che quotidianamente danno vita a
panini, pagnotte, snack dolci e salati.
Quest’anno l’obiettivo è puntato sul
FUORI PORTA di Michela Brivio
Negozio e trattoria, la formula
vincente della “Bottega del fresco”
Il locale di B
Bosisio Parini è una tappa obbligata per chi ama le carni.
Corti puntano sui piatti della tradizione e su cotture ad arte
I fratelli Cort
Era il 1939 quand
quando tutto ebbe inizio grazie alla famiglia
e Arnaldo portano avanti l’attività
Corti. Oggi Alessandra
Alessan
del papà Ignazio e l’hanno arricchita e completata con
2006, del nuovo negozio con annessa
l’apertura, nel 20
trattoria nel centro storico di Bosisio Parini. Entrare nella
fresco” - salumeria, gastronomia e macelle“Bottega del fresco
ria - e alla trattoria “Quinto Quarto” è come sfogliare un
album di ricordi e sscoprire un territorio, il Piemonte, scelgemellaggio.
to come meta di ge
e i contatti del padre, ArnalRiprendendo le conoscenze
co
do quattro anni fa parte una domenica per il mercato del
bestiame di Cuneo
Cune dove acquista i suoi primi capi, una
toro, macellati in loco, consegnati il merfemmina e un toro
laboratorio per la lavorazione, per poi arrivare in
coledì in laborator
trattoria per la degustazione. Da quel giorno
negozio e in tratto
ripete lo stesso viaggio che diventa, con il
ogni settimana rip
32
bagaglio di insegnamenti e valori ricevuti dalla famiglia,
una vera e propria scuola di formazione, sia dal punto di
vista lavorativo che di relazioni personali.
L’oggi è una stalla e un macellatore in Brianza, che risponde ai migliori standard qualitativi, e mediatori nella
Provincia Granda che annullano le distanze, così da avere costantemente tutto sotto controllo, a partire dai “fenomeni” piemontesi, appellativo non casuale visti i numerosi premi e riconoscimenti ottenuti ogni volta alle più
importanti manifestazioni e fiere.
Ma qual è il segreto per gestire al meglio un lavoro così
impegnativo per mandare avanti le due insegne? «Siamo
semplici - spiega Arnaldo -, lavoriamo pulito e basta, con
tanta passione, ognuno con il suo ruolo, fortemente motivati. Il giorno che tutto ciò diventerà un peso e non proveremo più piacere chiuderemo».
ottobre 2012
La 34esima edizione
della rassegna
è in programma dal 27
ottobre al 4 novembre.
Ecco alcuni appuntamenti
dedicati ai prodotti
e alla cucina
progetto “Bergamo, la mia terra, il suo
pane”, che da poco più di un mese ha
messo a disposizione dei panifici farina
di grano tenero coltivato sul nostro territorio. Nella galleria centrale sarà invece allestita “Expopan”, l’esposizione dei
lavori realizzati nelle scuole nell’ambito
del progetto didattico 2011 – 2012 realizzato dall’Aspan in collaborazione con
il Centro studi Lorenzi.
E così Alessandra accende i fornelli della cucina alle 7 di mattina per la gastronomia del negozio, per i diversi servizi esterni e
soprattutto per i piatti del menù del giorno, con un occhio sempre al negozio
dove al bisogno
p
g
g affianca Arnaldo. A mezzogiorno si chiude bottega per aprire il porton
portone del cortile annesso
godersi la pausa pranper chi vuole go
zo, dal lunedì al venerdì, a soli 10 euproposta di quattro scelte
ro, con una prop
per portata che vvalorizza al meglio la
Ad accogliere i clienti
materia prima. A
accomodare nel
è Arnaldo, che farà
f
cortile esterno n
nella bella stagione o
all’interno, in un contesto semplice e
informale ma comunque
accogliente.
co
Poi alle 16 si riaccendono
le luci del
ria
negozio. Nel fra
frattempo, aumentano
le richieste
richies di apertura serale
per poter
pote gustare i tagli più
pregiati alla griglia, proposta
che a m
mezzogiorno è difficile
soddisfare.
soddisfa E quindi si accontentano i clienti ma solo per
un giorno alla settimana, il sabato
o il venerdì in estate, ed è ogni volta
il tutto esaurito.
Quindi, alle 20, si riapre l’ingresso del Quinto Quarto con una proposta gastronomica più ampia e completa.
L’oro rosso di famiglia è valorizzato al meglio in cucina con piatti
semplici e di tradizione, preparati con cura e passione. Dopo l’antipasto, con una selezione di salumi prodotti e stagionati personalmente da Arnaldo, ci si può lasciar trascinare in un salto nel
tempo ritrovando ricette e sapori ormai dimenticati. Giusto per
fare qualche esempio, e a seconda del periodo dell’anno, tra i
piatti “poveri” troverete cervella panata, fegato alla veneta, riccia
di vitello, rognoncini trifolati e tra le ricette lombarde trippa, cotoletta e ossobuco. La lunga cottura si esprimerà in bolliti, brasati e
stracotti, mentre sulla griglia si adageranno in purezza i tagli più
pregiati, fiorentine e filetti, presentati al tavolo prima della cottura. Per gli amanti del crudo, non mancheranno tartare e carpacci.
Completano la proposta i primi piatti; pasta fresca, risotti e zuppe
con ingredienti di stagione, i contorni più adatti alle diverse proposte e i dolci, tutti fatti in casa.
Il conto, sui 40 euro, è all’altezza della qualità proposta e del bellissimo viaggio di piacere che Alessandra e Arnaldo vi faranno fare in loro compagnia, coinvolgendovi nel loro album di famiglia.
LA BOTTEGA DEL FRESCO
via Appiani 8 - Bosisio Parini (Lc) - tel. 031 865502
apertura dal lunedì al venerdì a pranzo, il sabato sera a cena
33
IL PREZZO FISSO
L’Alpino
fa centro
con panorama
e tradizione
di Fulvio Facci
Sui colli di Bergamo la trattoria nata nel ’60 come frasca unisce
alla cucina più tipica una vista suggestiva. Una gestione
tutta al femminile prosegue l’attività del fondatore
U
n angolo suggestivo di Città alta? Forse il primo pensiero
va a piazza Vecchia o a San Vigilio, ma per una bella serata, soprattutto estiva, un punto di osservazione privilegiato è senz’altro il salone più ampio della trattoria all’Alpino
in via Colle dei Roccoli al numero 13, sui colli di Bergamo.
Il salone ha un’intera parete aperta d’estate e chiusa da
vetri d’inverno: il panorama è stupendo.
Ma all’Alpino ci si va da tempo sopratutto per la cucina.
L’alpino era lui, il cavalier Mario Alessandro Lazzaroni,
scomparso nel ’91. Il locale è nato come “frasca” nel
1960 ed ha rappresentato sin dall’inizio una delle mete classiche per le gite fuoriporta. Per alcune generazioni di giovani è stato un punto di riferimento per le serate
conviviali.
Tricolore gigantesco, siluri, cannoni all’esterno ed una sala interamente tappezzata di foto, cimeli e documenti storici hanno reso riconoscibile ed inconfondibile la trattoria.
Nel ’91, con la scomparsa del cavalier Lazzaroni, la svolta
di tipo “matriarcale”, sempre nella continuità della conduzione famigliare. Sono state, infatti, le nuore Mariangela
Begnigna in cucina e Claudia D’Alessandro in sala a portare avanti l’attività, con i mariti, rispettivamente Orlando
e Aroldo, che nei fine settimana danno una mano lavando
piatti e pentole. E poi c’è la figlia Adelia Lazzaroni che si
occupa soprattutto degli aspetti amministrativi: un trio di
signore che fa marciare bene il locale.
«Mio figlio sta frequentando la scuola per diventare pasticciere – racconta Mariangela Begnigna – e prepara
già qualche dolce anche per noi. La mia scuola di cucina è stata invece mia
suocera Rina Vallar che ogni tanto,
nonostante l’età,
TRATTORIA ALL’ALPINO
via Colle dei Roccoli, 13
Bergamo
chiuso domenica sera e lunedì
tel. 035 259425
www.trattoriaallalpino.it
Mariangela Begnigna e Claudia D’Alessandro
34
ottobre 2012
LA PROVA
Il pranzo di mezzogiorno durante la settimana non è il
punto centrale dell’attività della trattoria all’Alpino. Il locale è infatti fuori mano se lo si considera come riferimento per la pausa pranzo. Sui colli di Bergamo, è noto,
non ci sono né aziende né uffici, ma a volte ci sono dei
cantieri e poi qualcuno che se la prende comoda e sale
dalla città per una colazione di lavoro senza fretta arriva
sempre. Senza dimenticare i turisti ed i cicloturisti. Un po’
di movimento quindi c’è per questo il servizio, ben organizzato e con un menù che ruota e cambia spesso soprattutto in funzione della stagionalità.
Casoncelli alla bergamasca, immancabili, pasta al pesto
di Sicilia e pasta al pomodoro sono le proposte per i primi piatti trovate il giorno della nostra visita. Uova al burro, scaloppine di pollo e costine arrosto i secondi, mentre
insalata, pomodori, patate in umido e funghi misti sono i
contorni. Oltre a primo, secondo e contorno, per dieci euro il menù comprende un quarto di vino, l’acqua minerale
ed il caffè. Classica la nostra scelta: casoncelli e scaloppine di pollo con contorno di funghi. Un pranzo in piena
sintonia con le caratteristiche del locale. Eccellente il rapporto qualità prezzo.
viene ancora a dare un’occhiata. La nostra è una cucina semplice, tipica bergamasca, che più semplice non potrebbe essere. Casoncelli, coniglio, grigliate, brasato, casöla e funghi sono
le nostre specialità».
Mariangela la racconta con semplicità ma in effetti la carta
si presenta molto più ricca ed è redatta in modo dettagliato e
chiaro, così come la breve ma appropriata carta dei vini. Interessanti, ad esempio, sono anche gli antipasti - classici affettati, crostini, polentina con acciughe e sottoli e sottaceti - ed altri
primi come i ravioli di zucca.
Ci sono poi degli autentici cavalli di battaglia rappresentati dai
menù della casa. Si parte dal piatto unico composto da casoncelli e salsiccia con polenta proposto per 12 euro ed i menù
dell’Alpino che con venti euro offre un bis di primi (casoncelli
e pasta alla crema di noci), e un bis di secondi con coniglio e
salsiccia, dolci fatti in casa tra i quali molto gettonato è il gelato con i frutti di bosco caldi. Vino, acqua e caffè sono compresi
nel prezzo.
«Nella bella stagione – racconta invece Claudia D’Alessandro
che con molto garbo ed attenzione si muove tra i tavoli nel contesto di un arredamento da vera trattoria – abbiamo anche uno
spazio all’aperto e riusciamo ad ospitare sino a 140 clienti. È
un bel movimento anche perché dobbiamo muoverci su più livelli. Nel fine settimana è assolutamente consigliata la prenotazione perché abbiamo un’affluenza intensa. È una clientela
costituita soprattutto da famiglie e acquisita col passaparola:
abbiamo dei clienti che possiamo definire storici. Anche se si
sceglie il menù alla carta i prezzi sono sempre contenuti e questo, unito alla qualità frutto della tradizione, può essere il segreto del nostro successo».
In effetti abbiamo aperto sottolineando il fascino del posto ma
i più prosaici possono andarci tranquillamente anche solo per
la cucina.
A PIZZINO DI TALEGGIO
DOMENICA 28 OTTOBRE
ALLA SAGRA
DELLO STRACHITUNT
SI FESTEGGIA
ANCHE LA DOP
Avrà un sapore speciale, visto il recente ottenimento
ufficiale della Dop, l’ottava Sagra dello Strachitunt
Valtaleggio, in programma domenica 28 ottobre a
Pizzino di Taleggio con l’organizzazione della Pro loco e il Consorzio Strachitunt Valtaleggio. La giornata affianca momenti di carattere istituzionale, come
l’intervento che illustrerà le tappe che hanno portato alla Denominazione e la presentazione del progetto di promozione dei prodotti della Valtaleggio a
cura dell’Associazione Ecomuseo, alla buona tavola
e all’intrattenimento. Il programma prevede infatti
il pranzo con grigliata, polenta, formaggi e prodotti
tipici, la castagnata a partire dalle 16, un concerto
del “Coro Fior di Monte” e i giochi del clown per i più
piccoli. Lo Strachitunt è un formaggio erborinato a
latte crudo prodotto con l’antica tecnica delle due
paste, salvato dall’estinzione grazie ad alcuni addetti ai lavori che hanno dato il via al percorso per
certificarne la qualità e l’origine. La nuova Dop condivide con il Formai de Mut il fatto di essere appannaggio esclusivo della Bergamasca. In particolare, il
disciplinare prevede che sia prodotta nei soli comuni di Taleggio, Vedeseta, Blello e Gerosa. Ottenuto il
riconoscimento, si apre ora la fase che porterà ad
ottenere la protezione transitoria ed in un secondo
tempo quella definitiva con la ratifica in sede di Comunità europea.
35
PER IL
TUO
ABBONAMENTO
Affari di Gola
settembre 2012
luglio 2012
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
IN RASSEGNA SAPORI, GUSTI E PIACERI DEL TERRITORIO
Affari di Gola
Nella sua rivoluzionaria
“OfÀcina” di Brescia,
il bergamasco Andrea Mainardi
cucina ogni giorno solo
per una prenotazione.
Lista d’attesa di tre mesi
SUL SEBINO
IL GELATO
TENDENZE
LA STORIA
Sarda, la regina
del lago
conquista i palati
Tra polenta
e Moscato, la fantasia
finisce sul cono
Food blogger,
anche il web
ci prende gusto
L’ex muratore
diventa campione
di formaggelle
Preparare torte decorate
è un fenomeno in forte crescita,
quasi un’arte. Parlano i protagonisti
Tutti pazzi
per il Cake design
Supplemento al n. 33 de “La Rassegna” del 20 settembre 2012 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l.
via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
Supplemento al n. 28 de “La Rassegna” del 19 luglio 2012 - Giuseppe Ruggieri direttore responsabile Editrice: La Rassegna S.r.l.
via Borgo Palazzo 137, Bergamo Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Bergamo - € 2,60
Lo chef
estremo:
un ristorante,
un solo tavolo
TENDENZE
Vino, formaggi,
salumi: in campo
i giovani produttori
L’ESPERIMENTO
La Franciacorta
prova a migliorare
la qualità
FORMAZIONE
Più creativi
con l’Accademia
del Gusto
IL BLOG
In cucina c’è
spazio anche
per i “Disperati”
ABBONAMENTI
per informazioni tel. 035 4120304
Compilare e inviare il tagliando alla redazione, allegando l’assegno o copia del bonifico:
22,00 (10 numeri)
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Filiale di Bergamo Clementina IBAN:
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causale di versamento:
"Abbonamento ad Affari di Gola"
LE AZIENDE INFORMANO
L’AZIENDA DI ALMÈ HA VARATO UNA LINEA DI CINQUE PRODOTTI DAL COMPETITIVO
RAPPORTO TRA QUALITÀ E PREZZO, PER RISPONDERE ALLA CRESCENTE
ATTENZIONE DEI CONSUMATORI. «SEGUIRE DIRETTAMENTE OGNI FASE, DALLA PRODUZIONE
ALLA COMMERCIALIZZAZIONE, CI PERMETTE DI RIDURRE I PASSAGGI INTERMEDI»
La Casera di Martinelli,
il formaggio che sfida la crisi
S
e i tagli alla spesa sono arrivati anche in tavola,
come conferma il calo dei consumi alimentari,
la sfida del momento di chi produce e vende
non può che essere quella di riuscire a coniugare il gusto con l’attenzione al portafoglio. È quanto sta
facendo La Casera di Martinelli di Almé, che, forte di
un’esperienza di tre generazioni nella produzione,
stagionatura, confezione e commercializzazione
su tutto il territorio nazionale di formaggi, ha deciso
di investire su una linea di prodotti che qualcuno ha
già definito “cheap”, “low cost” o “anticrisi”, che vanno
ad affiancare l’offerta tradizionale con l’obiettivo di intercettare questa nuova sensibilità del mercato.
Nella propria sede, su una superficie di 3mila metri quadrati, l’azienda cura direttamente le fasi di stagionatura
e confezionamento, mentre la produzione è affidata ad
una rete di caseifici controllati dall’azienda. Personale
qualificato ed una rete vendita sono impegnati a realizzare un fatturato di 10 milioni di euro all’anno. Grande
distribuzione, negozi al dettaglio, pubblici esercizi e ristorazione collettiva la clientela di riferimento, che trova
a disposizione 60 tipologie di formaggi nazionali ed esteri, dall’eccellenza delle Dop come Taleggio, Quartirolo e
Gorgonzola ai prodotti tipici come il Branzi, dagli stagionati ai freschi senza dimenticare quelli a base di latte di
capra e pecora.
Le nuove proposte low cost sono cinque, tutte di latte
vaccino: due formaggelle, due latteria e un formaggio
fresco cremoso, tipo crescenza. «Proprio quest’ultimo spiega l’azienda - rappresenta uno dei prodotti più interessanti. Non solo è una tipologia molto utilizzata nella
ristorazione, nei pubblici esercizi per le farciture di piadine e panini, nei panifici e nelle focaccerie, ma pensiamo
possa guadagnare spazio anche nella vendita al dettaglio proprio grazie al prezzo estremamente competitivo,
dato in primo luogo dal fatto che si tratta di un prodotto
da tagliare al banco e non, come d’abitudine ormai, già
pronto in porzioni calibrate, con tutti i costi che ne conseguono. Il fatto è che, soprattutto nella grande distribuzione, cercando di velocizzare i tempi del servizio,
si è persa
la tradizione
del taglio. In realtà, trattandosi di un
formaggio comunque compatto, non ci sono problemi,
mentre sono evidenti i vantaggi in termini di prezzo».
La competitività, anche per gli altri prodotti, viene inoltre
dal fatto che l’azienda segue tutte le fasi dalla produzione alla fornitura, accorciando i passaggi. Ma come
si conciliano prezzo e qualità? «Naturalmente ci sono
piani differenti – si evidenzia -. Sappiamo bene che una
Dop incarna le caratteristiche particolari di una zona e di
una modalità produttiva, ed ha per questo costi diversi,
ma non dimentichiamo che esistono molti prodotti altrettanto qualificati e buoni, con prezzi altamente competitivi, realizzati mediante latte di qualità e ricercate ricette.
Per quanto ci riguarda, l’obiettivo è rafforzare i prodotti a
marchio “La Casera di Martinelli”, che racchiudono tutte
la nostra esperienza e identificano uno stile che in tanti
anni di attività ha già ottenuto ampi apprezzamenti».
LA CASERA DI MARTINELLI piazzale Don Seghezzi, 4 - Almè
tel. 035 541144 - www.lacaseradimartinelli.it
37
L’ANGOLO
DEL SINGLE di Marco Bergamaschi
Ricette facili
e veloci per chi
vive da solo,
ma non rinuncia
alla buona cucina
Capita a tutti di vivere per un certo periodo di tempo da
soli. E spesso ciò coincide con la rinuncia ai piaceri
della buona tavola ed è sinonimo di cibo congelato,
essiccato, imbustato. Ecco allora qualche idea per
preparare ricette “monodose” da mangiare seduti a
tavola o rilassati sul divano, a seconda dell’umore, per
non sentirsi mai più soli ai fornelli... perché anche manngiare da soli può essere piacevole.
La vellutata
di piselli
INGREDIENTI PER 1 PERSONA
150 g di piselli surgelati o freschi
1 cucchiaio di yogurt naturale
1 cucchiaino di senape
mezzo mazzetto di coriandolo
PREPARAZIONE
Fate cuocere i piselli in una pentola colma di acqua bollente e leggermente salata per 10 minuti circa. Scolateli e lasciateli raffreddare e nel frattempo lavate e tritate il coriandolo. Mettete i piselli e la senape in una terrina e mescolate, quindi aggiungete lo
yogurt ed il coriandolo. Frullate il tutto e consumate la vellutata accompagnata da qualche crostino.
CURIOSITÀ
Ecco un piatto che da anni considero un “passepartout” in cucina: buonissimo e veloce da realizzare, va bene per le serate in cui
non si ha appetito, per quei giorni in cui non ci sente troppo bene
e l’idea di mangiare proprio non ci sfiora lontanamente. E va bene
quando, all’ultimo momento, un amico decide di invitarsi a cena
e volete evitargli i soliti spaghetti con il solito sugo confezionato.
Gustosi, digeribili, perché ricchi di zuccheri semplici che facilitano la digestione e poco calorici (costituiti da circa il 79% di acqua), i piselli apportano buone fonti di vitamine (A, B1, C) e minerali (calcio e ferro), ma anche di fibre, utili sia per la regolarità
intestinale sia per la prevenzione delle malattie cardiovascolari.
Inoltre posseggono proprietà diuretiche, aiutano a rafforzare il sistema immunitario e costituiscono una buona fonte di ferro per
chi soffre di anemia. Certo è che se vogliamo godere di tutti questi benefici, dobbiamo scegliere di acquistare dei piselli freschi.
Oggi quelli che si trovano in commercio possono essere freschi,
cotti, surgelati o secchi. Per il nostro piatto abbiamo la possibilità
di acquistarli freschi o surgelati; inutile che vi dica che una vellutata di piselli freschi acquistati dal fruttivendolo è molto più gustosa di quella preparata con i piselli surgelati, ma se non avete
tempo di fare la spesa all’ultimo minuto andrà comunque bene.
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Se optate per il fruttivendolo, verificate sempre che i baccelli siano duri, integri, sodi e non troppo grandi e in questo modo eviterete che il frutto sia eccessivamente maturo, duro e meno dolce.
I piselli freschi possono essere conservati in frigorifero al massimo per tre-quattro giorni nello scomparto delle verdure, sgranandoli soltanto al momento dell’utilizzo. Per i piselli surgelati,
invece, richiudete bene la confezione nel caso in cui non la utilizziate tutta, riponetela sempre nel freezer e non dimenticatevi di
controllare la data di scadenza. Infine, cercate sempre di avere
il coriandolo per la preparazione di questa vellutata; conosciuto
anche come “prezzemolo cinese”, è in vendita nei supermercati
ben forniti, ma può anche essere facilmente coltivato in vaso. Se
volete esercitare il pollice verde e desiderate disporre di una pianta dall’aroma dolce, intenso e molto delicato, non dimenticatevi che
preferisce esposizioni soleggiate e terra non troppo umida. Non mi resta
che auguravi buon appetito.
Grandi servizi
per le piccole imprese
Bergamo – via Borgo Palazzo, 137
tel. 035 4120111 fax 035 231082 e-mail [email protected]