segni di resurrezione dal kenya
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segni di resurrezione dal kenya
CHIESA CHIESAMONDO P A G I N A 13 IL SETTIMANALE DELLA DIOCESI DI COMO - 17 APRILE 2010 LA RILFESSIONE DI PADRE STEFANO GIUDICI DA KOROGOCHO (SLUM DI NAIROBI) SEGNI DI RESURREZIONE DAL KENYA Da Nairobi - Kenya D avvero qui i giorni scorrono velocissimi, ognuno con il suo carico di umanità a volte ferita, altre volte esultante. Un po’ come la quaresima che ci ricorda la nostra fragilità ma ci invita ad alzare gli occhi, a vedere oltre, a rivalutare la nostra dignità di persone perdonate. Ho trovato nei giorni scorsi una frase molto bella di una poetessa inglese, Elizabeth Barrett Browning, che riassume splendidamente quello che vorrei dirvi: “la terra stipata di cielo, e ogni comune roveto che brucia di Dio. Ma solo chi sa vedere si toglie i calzari. Gli altri siedono attorno e colgono more”. Ecco, riesco a vedere il bello, lo straordinario che Dio sta facendo sotto i miei occhi? È una sfida enorme, perché quando mi guardo attorno e vedo dolore, sconforto, spazzatura, fogne a cielo aperto, stracci, volti disfatti dall’alcool, occhi persi per il continuo sniffare la colla... Eppure la resurrezione è proprio la sfida a vedere le cose in modo totalmente diverso, in una prospettiva che sulla terra nessun uomo, nessuna donna, nessuna ricerca avrebbe mai saputo proporre. È la Vita di Dio che sfonda nella nostra vita e ci costringe a prendere posizione, non per lottare ma per contemplare in modo nuovo quello che c’è attorno a me. Questa è la Pasqua! E allora cerco di raccontarvi qualcuno di questi piccoli segni di Resurrezione che vediamo qui a Korogocho; da questa prospettiva che è la vita quotidiana dei poveri fatta di lotte, pianti, ma anche di gioia grande e grande condivisione. A CASA DI TERESIA Qualche tempo fa sono entrato in casa di Teresia. Quasi non ci stavamo, tanto la baracca era piccola e gli occhi ci hanno messo un po’ ad abituarsi all’oscurità, anche se fuori era pieno giorno. Teresia, un’anziana donna, era a letto, molto debole per l’età e con un dito gonfio per un’infezione ormai di qualche giorno. Attorno il niente, o quasi. Parliamo con lei e cerchiamo di convincerla a trasferirsi nella casa per anziani che c’è a Kariobangi, non lontano dalla parrocchia; rifiuta perché, dice, chi si prenderà cura dei miei due nipoti? E chi pagherà per la casa? I suoi due nipoti, lasciati dalla figlia defunta, sono due ragazzi di strada che è difficilissimo incontrare perché tornano sempre a sera tarda, quasi sempre ubriachi o “fatti” di colla; ovviamente non sarebbero in grado di prendersi cura della nonna, né hanno intenzione di farlo... Eppure Teresia si preoccupa per loro. Continuiamo a parlare con lei, e tra noi per vedere cosa si può fare, quando sulla porta appare una giovane donna, una delle vicine di casa e scopriamo improvvisamente la rete di solidarietà e di cure quotidiane che va avanti ormai da tempo: le vicine la vengono a trovare, le preparano da mangiare, addirittura si prenderanno l’onere di pagare l’affitto per il tempo che la nonna sarà ospitata nella casa per anziani. Così, senza clamori, senza annunci sui giornali, senza libri, come se davvero fosse la cosa più normale da farsi, come se fosse strano il contrario, cioè il non fare tutto questo per una vicina nel bisogno. Ecco il cambio di prospettiva: posso vedere il roveto ardente di Dio o continuare a cogliere more. LA VIA CRUCIS Ieri pomeriggio sono tornato al centro Ushirikiano (“Condivisione”), non lontano dalla nostra casa, per l’incontro con ragazzi di strada. Sono arrivato un po’ in ritardo e li ho trovati già fuori, sulla strada, felici dell’incontro appena concluso, ognuno con la sua bottiglietta di colla sotto il naso. Vestiti stracciati, sporchi, occhi persi, il sacco per raccogliere le immondizie in spalla, eppure già proiettati a martedì, quando ci sarà il prossimo incontro con loro. Li ho ritrovati poi alla sera, all’ultima stazione della via Crucis, vicino ad una delle loro “basi” di ritrovo: un po’ stu- piti per quello che stava accadendo, qualcuno si accosta, qualcuno addirittura appoggia il sacco e si toglie il berretto in segno di rispetto. Cosa vedo qui: roveto ardente o more? Là dove io vedo stracci sporchi e puzzolenti Dio vede un uomo con tutta la sua dignità, mai diminuita, men che meno persa. Non è questa la Buona Notizia? La Via Crucis di ieri sera, per i vicoletti di Grogon, la parte più “malfamata” di Korogocho, è stata un’esperienza davvero stupenda. Già l’inizio è stato straordinario. Ci siamo ritrovati davanti al luogo dove si ritrova, tutti i lunedì, la piccola comunità cristiana dei lebbrosi, l’Ujamaa (“Comunità”); stavamo per iniziare, sotto un sole abbastanza forte, e improvvisamente si mette a piovere. C’era sole, pioggia e arcobaleno, chiaro segno della benedizione e benevolenza di Dio. Poi ci siamo incamminati, passando per i vicoletti di questo quartiere. A volte in fila indiana perché non c’era spazio abbastanza, cercando di evitare una fogna, un rivoletto d’acqua. La gente ci guardava, a volte incuriosita, ma sempre con profondo rispetto (in Africa si rispetta la religione, si rispetta Dio, anche se non è il tuo). La Croce che passava dove la croce la si vive ogni giorno. Roveto ardente o more? Martedì sera, mentre noi eravamo a Kariobangi dalle suore comboniane, è successo un fatto di cui la gente ha parlato per due giorni interi. La famiglia di un ragazzo di strada, Kirio, che conoscevamo bene, morto poco più di un mese fa, ha portato la bara (vuota) davanti alla nostra porta, chiedendo a noi di pagare il conto dell’obitorio. Un segno fortissimo per la gente di qui (non si scherza con i morti, né con quello che ha che fare con il mondo dei morti). Un gesto scandaloso per i cristiani che vi hanno letto una sfida ingiusta ai padri comboniani. Sarà quel che sarà, la nostra casa è sempre punto di riferimento per tantissimi, per ri- chieste che a volte sono pretese che sfiorano la violenza. Eppure ognuna di queste persone che bussa alla porta ha una richiesta, un’aspettativa che non sempre potremo soddisfare, ma che sempre cerchiamo di ascoltare. Ascoltare è già dare dignità, è elevare l’altro a interlocutore, è fargli capire che quello che ha da dire è importante. Cosa colgo qui, la presenza di Dio o fastidi quotidiani? E potrei continuare a lungo a raccontarvi questi piccoli germi di resurrezione. Due bambini che sfrecciano sulla nuova strada asfaltata, ognuno di loro con un pattino solo al piede; hanno trovato i due pattini nella discarica (si vede chiaramente che provengono da lì) e invece di far felice uno solo di loro, li hanno condivisi: due pattini, due piedi, due bambini felici. Oppure due squadre, una di ragazzi, l’altra di ragazze, un solo campo da calcio, quello di S. John: che si fa? Si litiga? Nemmeno a parlarne! Una squadra gioca e l’altra guarda? Ma va’! E allora? E allora si gioca tutti insieme, due palloni, due partite in contemporanea sullo stesso campo da calcio, tutti si divertono, nessuno è infastidito. Ancora: un handicappato spinge con le mani i pedali che muovono la sua carrozzella, trasformata in...taxi; dietro siede una donna che si fa trasportare alla fermata dei matatu: lei felice, lui felice, e nessuno recrimina contro un destino ingiusto. Piccole situazioni che aprono uno squarcio di Cielo sulla Terra e che mi fanno gioire di essere qui e poter esser testimone di tutto questo. Imparo, continuo a imparare, ogni giorno, e non è retorica. Questa gente è straordinaria, a volte capocciona, a volte che non si riesce proprio a capire (ma riuscirà mai un muzungu, un bianco, a capire la testa e il cuore di un africano?), ma incredibilmente simpatica e coraggiosa. Yesu amefufuka, hoye! (“Gesù è risorto, hoye!”, è il grido della comunità di S. John durante la celebrazione della veglia pasquale). miglie arabe, sono trattate molto male. Anche noi suore siamo rimaste in poche e non più giovani, ma teniamo duro perché la nostra presenza qui fatta di carità e preghiera è molto importante per le comunità cristiane. In settembre ci sarà il Sinodo per le Chiese del Medio Oriente. C’è un grande bisogno di unità tra le varie confessioni cristiane, unitevi a noi nella preghiera perché possa portare frutti copiosi di unità e rinnovato fervore. In questo momento dalle torri dei minareti il Meuscem sta lanciando il grido di invito alla preghie- ra e si può vedere anche qui in ospedale che i più musulmani stendono il loro tappeto e rivolti alla Mecca pregano. Ad ogni occasione invocano il nome di Dio, Allah misericordioso, Allah pietoso. Qui le donne sono tenute ancora sotto la potestà del marito o del padre. La maggior parte porta il velo integrale. Anche le nostre infermiere hanno maniche lunghe e velo parziale anche in servizio. Per quanto ci è possibile cerchiamo di far loro capire l’importanza di una graduale emancipazione e istruzione che gradualmente possano essere liberate, nel modo giusto, dal dominio maschile. La Regina Rania sta facendo moltissimo per l’educazione. La Giordania è un paese generoso, accoglie tutti ed è l’unico paese del Medio Oriente in pace, nonostante sia circondato da Paesi quasi sempre in guerra. La Caritas internazionale con la quale noi collaboriamo aiuta moltissimo i profughi irakeni. A nostra volta cerchiamo per quanto ci è possibile di aiutare i poveri che bussano alla nostra porta. PICCOLI SEGNI GIORDANIA Una presenza preziosa Testimoniare la fede cristiana in un Paese mussulmano. L’esperienza di Suor Clara Roncoroni missionaria comboniana a Kerak. Kerak è il secondo paese più importante della Giordania, dopo la capitala Amman, adagiata sui monti che circondano la famosa valle di Moab, di qui passò Mosè che dall’Egitto con tutto il popolo israelita, arrivò al Monte Nebo dove morì. Da Moab venne Ruth la moabita delle cui discendenze venne il Re Davide. In fondo alla valle a nord si adagia il Mar Morto che va a finire in Israele. Nelle notti serene riusciamo a vedere le luci di Gerusalemme. La storia di questi posti è molto ricca e antica, poco lontano da noi, ci sono i resti di Sodoma e Gomorra ed altre città antiche. Esiste pure una formazione di terre e Sali che dicono sia la moglie di Lot salificata. Poi ci sono le rovine dei castelli dei crociati costruiti sui monti attorno alle città per difesa e anche altre cose interessanti come Le noadi del deserto, Petra e Jeresa. Ma cosa facciamo noi qui? È molto importante la nostra presenza in questi paesi musulmani: lavoriamo in ospedale che appartiene a una società caritativa italiana C.N.S.M.I, comprende il nostro ospedale qui al Kerak, l’ospedale italiano di Amman (da dove siamo venute via per mancanza di suore dopo averlo passato alle suore irakene, Domenicane dell’Apparizione). C’è anche un ospedale ad Haifa (Israele) a Damasco (Siria) e in Turchia. Il nostro qui a Kerak non è tanto grande ma comprende tutti i ser- vizi essenziali: medicine, chirurgia, maternità, dialisi, raggi X, laboratorio. I nostri pazienti sono per la maggior parte musulmani, i cristiani di ogni confessione sono la minoranza però vivono bene insieme senza rivalità. Il nostro lavoro oltre alla parte sanitaria consiste nel donare accoglienza serena e professionale senza distinzione né di razza né di religione. Ci sono tanti stranieri dall’Egitto, dalle Filippine, dallo Sri-Lanka, ai quali sono riservati i lavori manuali e pesanti, molte volte specialmente le ragazze, che sono a servizio di fa-