l`altro - Cinema Teatro Astra
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Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 2 Marzo 2011 lun 28 ore 20.45 mar 29 ore 21.00 merc 30 ore 21.15 Regia Tom Hooper ~ Interpreti Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle, Derek Jacobi, Michael Gambon, Timothy Spall, Anthony Andrews, Filippo Delaunay, Dominic Applewhite, Jasmine Virtue, Max Callum, Tim Downie, James Currie, Harry Sims, Anna Reeve Cook, Mark Barrows. Anno Gran Bretagna, Australia 2010 ~ Genere Storico ~ Durata 111’ ~ Academy Award Oscar 2011 12 Nominations Golden Globes 2011 Vincitore miglior attore Colin Firth BAFTA Awards 2011 11 Nominations Il discorso del re C i sono stati tempi e luoghi in cui un primo ministro si dimetteva per non aver capito in tempo la gravità di una situazione politica, in cui il rispetto della carica era più importante della persona che la rappresentava, in cui rivolgendosi alla nazione il suo massimo rappresentante non si scagliava contro neppure il più pericoloso dei nemici ma invitava un intero popolo all’unità e al sacrificio per difendere i valori del proprio paese: responsabilità, coraggio, abnegazione, decoro, erano ancora virtù indispensabili per governare. È per questo che un film fatto benissimo come Il discorso del re oggi ci commuove (e non solo per la storia, che fa parte della Storia, comunque degna di lacrimoni) per come il duca di York, afflitto da una terribile balbuzie proprio negli anni in cui l’avvento della radio spinse anche i reali a sottomettersi alla comunicazione di massa, costretto contro la sua volontà a salire sul trono d’Inghilterra col nome di Giorgio VI, riuscì almeno in parte a vincere la sua minorazione e a diventare un monarca rispettato e amato. Siamo oggi tutti contenti del prossimo matrimonio del principe Willam con la sua bella ragazza Kate, dopo qualche decennio di scandalosi eventi nella famiglia Windsor, a cominciare dagli amori negli anni 50 della principessa Margaret. Allora era impossibile che un re sposasse una pluridivorziata, per di più di pessima fama. Ma per poterlo fare, a pochi mesi dall’incoronazione, Edoardo VIII (Guy Pearce) preferì al trono la sua amatissima e brutta Wally Simspon costringendo il fratello balbuziente a farsi re: di una nazione impoverita, con l’Europa in preda ai fascismi e alla vigilia della Seconda guerra mondiale. C’è una scena chiave nel film, quando Giorgio VI con la moglie Elizabeth e le due bambine, guardano il filmato della solenne incoronazione nel dicembre del 1936, cui segue uno spezzone dove Hitler sbraita uno dei suoi minacciosi discorsi: Margaret chiede al padre cosa dica quel forsennato e lui risponde, «Non lo so, ma lo dice bene». Un meraviglioso Colin Firth (ha già vinto il Golden Globe ed è superfavorito agli Oscar) è il re riluttante, malinconico, impaurito, eppure pieno di dignità se non di alterigia, e capace di scoppi d’ira impotente. La sua balbuzie è curata dai medici di corte con biglie in bocca e con le sigarette (morirà nel 1952, a 57 anni, di cancro ai polmoni). Dopo un disastroso e incompiuto discorso allo Stadio di Wembley nel 1926, l’intelligente, innamorata moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter, bella e brava), diventata poi la centenaria e molto influente Regina dai cappellini colorati, lo porta in una sordida strada di Londra nello studio di un attore fallito australiano inventatosi logopedista: è l’ultimo tentativo, come se andassero a Lourdes. Inizia 22 un formidabile duetto-duello tra il rigido membro della famiglia reale, che non ha mai parlato con un commoner e non ne sopporta la vicinanza, e il cordiale e irrispettoso ometto (il geniale Geoffrey Rush) che pretende di curarlo nel suo studio e non a palazzo, che lo chiama Bertie come un intimo di famiglia, che lo obbliga a dire parolacce, cantare, stendersi per terra e finalmente a raccontarsi, in un specie di precipizio psicanalitico, in cui il futuro re si libera di ciò che non ha mai detto a nessuno: un padre, re Giorgio V, distante, che lo costringe da mancino a diventare destrorso, le gelide visite quotidiane ai genitori, una nanny perversa, il fratellino preferito epilettico occultato per la vergogna e morto bambino. Si alternano intanto i primi ministri conservatori, da Baldwin a Chamberlain, intriga l’arcivescovo di Canterbury (il viscido Derek Jacobi) e pare dalla parte di Giorgio VI il futuro primo ministro di guerra Churchill (il che non è vero, a lui piaceva di più Edoardo VIII). Quando il 3 settembre del 1939, dopo che l’Inghilterra ha dichiarato guerra alla Germania, il re si rivolge ai sudditi inglesie dell’Impero per esaltarli al patriottismo, davanti a un minaccioso microfono ma anche a Logue che lo guida come fosse un direttore d’orchestra, finalmente ce la fa con immensa dignità e prestigio. Il regista inglese ma di madre australiana Tom Hooper, 38 anni, Il discorso del Re Giorgio VI, il volto umano del potere. ha fatto un film nobile, di quelli che raramente si girano più: visivamente magnifico, con l’aiuto di grandi attori, e con una splendida sceneggiatura, scritta da David Seidler, diventato balbuziente da bambino durante la guerra. Anni fa era riuscito a consultare i diari di Logue, e aveva chiesto alla Regina Madre il permesso di fare un film su quella storia straordinaria. «Per favore, non finché sono in vita, per me sarebbe troppo penoso». La Regina Madre si è spenta nel 2002. Natalia Aspesi - La Repubblica Produzione propria, Specialità dolci e salate, Torte nuziali e rinfreschi Viale Olimpia, 6 - tel. 045 545771 San Giovanni Lupatoto (VR) Stagione presenta 2010 201 1 Marzo 2011 lun 7 ore 20.45 mar 8 ore 21.00 merc 9 ore 21.15 Regia Nigel Cole Interpreti Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Richardson, Geraldine James, Rosamund Pike,Andrea Riseborough, Daniel Mays, Jaime Winstone, Kenneth Cranham, Rupert Graves. ~ Anno Gran Bretagna 2010 ~ Genere Drammatico ~ Durata 113’ ~ British Academy of Film and Television Arts Awards 2011 Nomination Miglior film britannico Nomination Migliore attrice non protagonista Nomination Migliori costumi Nomination Miglior make-up e acconciature British Independent Film Awards 2010 Nomination Migliore Sceneggiatura Nomination Miglior Attrice Protagonista Nomination Miglior Attrice non Protagonista Nomination Miglior Attore Non Protagonista l’altro inema C via Roma 3/B S. Giov. Lupatoto (VR) tel/fax 045 925 08 25 www.cinemateatroastra.it cineforum Anno XIX I FILM VISTI: 1 Mine Vaganti • 2 L’uomo nell’ombra • 3 È complicato • 4 La nostra vita • 5 The last station • 6 Miral • 7 La passione • 8 Una sconfinata giovinezza • 9 Ragazzi miei • 10 Benvenuti al sud • 11 Stanno tutti bene • 12 Fair Game - Caccia alla Spia • 13 La donna della mia vita • 14 Una vita tranquilla • 15 Uomini di Dio • 16 Potiche - La bella statuina • 17 Wall Street - Il Denaro non dorme mai • 18 In un mondo migliore We want sex 19 E ccolo il miglior film della stagione. Una sciccheria, una delizia. Questo sì da non perdere. Una commedia di purissima stoffa inglese in zona Full Monty o Grazie, signora Thatcher. Per carità, non fatevi fuorviare dallo spiritoso titolo, volutamente malizioso. We Want Sex è soltanto una parte dello striscione inalberato dalle tenaci protagoniste: gli manca la quarta parola, Equality, piegata dal vento. Quindi non Vogliamo sesso, come potrebbe sperare un frettoloso fan di Tinto Brass, ma Vogliamo la parità dei sessi. Soprattutto in senso salariale. Il regista Nigel Cole è uno che maneggia bene l’umorismo e usa con estrema cura i guanti bianchi, come dimostrano almeno due dei suoi film precedenti, Calendar Girl e L’erba di Grace. La storia (vera) si svolge a Dagenham, nell’Essex, contea orientale dell’Inghilterra, nel maggio del 1968. Nella fabbrica della Ford, accanto ai 55 mila operai uomini, sgobbano 187 donne, addette alla cucitura dei sedili. È un’ala fatiscente, dove fa un caldo infernale, tanto che spesso volano via le camicette e restano i reggiseni. Un lavoro faticoso, ma considerato non qualificato, per antica consuetudine pagato la metà di quello dei maschi. Finché un bel giorno la giovane e battagliera madre di famiglia Rita O’Grady (Sally Hawkins, che attrice!) è la prima a tuonare il suo basta, subito spalleggiata dalle più ardite tra le colleghe, come Connie, Brenda e Sandra. L’ambiguo capo della commissione interna Mont Taylor le ostacola, fingendo di appoggiarle, al contrario del compiaciuto, anche se non proprio cuordileone, sindacalista Albert (Bob Hoskins). Pretendiamo la parità e la chiederemo al ministro del Lavoro Barbara Castle (Miranda Richardson). O sarà sciopero a oltranza. Si ride spesso, anche se in un paio di scene le lacrime sono in agguato, ma la regia, secca e senza fronzoli, è pronta a mutare rotta appena si sfiora la commozione. Se non è un capolavoro, poco ci manca, grazie anche a un cast straordinario, per talento e simpatia. P.S. Finalmente quando si parla di Escort s’intendono le auto e basta. Massimo Bertarelli - Il Giornale S embrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi. Proprio così, solo che quella volta non si combatteva in casa ma in fabbrica (...). E a battersi per ottenere pari diritti e compenso era un pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto abba- In collaborazione con Comune di San Giovanni Lupatoto Assessorato alla Cultura Film inserito nel programma stanza inesperte da infischiarsene della politica e di stratege sindacali. Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Applaudito poche settimane fa al festival La rivoluzione? Una cosa da donne. di Roma (...), il nuovo film diretto dal regista di Calendar Girls e L’erba di Grace, Nigel Cole, è un perfetto esempio di quelle commedie sociali nei quai gli inglesi sono maestri (...). La formula è collaudata. Prendi un gruppo colorito e decisamente, orgogliosamente minoritario (disoccupati, pensionati, emigranti). Cucigli adosso una vicenda di lotta e riscatto, meglio se vera. Scegli attori (qui attrici) irresistibili, che nel Regno Unito non sono certo una rarità, e il gioco è fatto. Le operaie toste e simpatiche di We Want Sex hanno il merito supplementare di essere guidate dalla carismatica Sally Hawkins, un metro e mezzo di grinta e dolcezza che riesce a fare la guerra in fabbrica senza neanche mandare a rotoli la famiglia. Conquistandosi per giunta le simpatie di una ministra, l’unica che capisce cosa passa per la testa di quelle operaie confinate nell’ala più fatiscente della fabbrica e decise a ottenere parità salariale, cosa assolutamente inaudita all’epoca (...). Per poi conquistare alla causa, potenza della solidarietà femminile, perfino la moglie del grande capo, che da brillante laureata, ingioiellata e frustrata (serve gli aperitivi al maritino) scavalca d’un balzo le rigide differenze di classe britanniche per portare conforto alle operaie in sciopero. Tanto da andare a trovare la leader nella sua casa di ringhiera, prestandole perfino un tailleurino rosa di Biba, nome mitico di quegli anni, per non sfigurare con la ministra. Naturalmente ogni licenza è permessa: We Want Sex (il titolo nasce da uno striscione srotolato a metà) non è un documentario, anche se sui titoli di coda sfilano le vere operaie, ieri e oggi (ed erano molto meno allegre delle loro interpreti). L’essenziale è non dimenticare mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul mondo che svela. E un film che affida il lato migliore di quello sguardo a Bob Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e dalla faccia tosta delle sue colleghe, è un film che si fa amare da tutti. Senza distinzioni di sesso e di età. Fabio Ferzetti - Il Messaggero Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 4 Marzo 2011 lun 14 ore 20.45 mar 15 ore 21.00 merc 16 ore 21.15 Regia Clint Eastwood ~ Interpreti Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren, Thierry Neuvic, Marthe Keller, Jay Mohr, Richard Kind, Charlie Creed-Miles, Lyndsey Marshal, Rebekah Staton, Declan Conlon, Marcus Boyea, Franz Drameh, Tex Jacks, Taylor Doherty, Mylène Jampanoï, Stéphane Freiss, Laurent Bateau, Steve Schirripa, Joe Bellan. Anno USA 2010 ~ Genere Drammatico ~ Durata 129’ ~ Academy Award Oscar 2011 Nomination Migliori effetti speciali National Board of Review of Motion Pictures Awards 2010 Vincitore Gli undici migliori film 20 Hereafter M arie Lelay è una giornalista francese sopravvissuta alla morte e allo tsunami. Rientrata a Parigi si interroga sulla sua esperienza sospesa tra luccicanza e oscurità. Marcus è un fanciullo inglese sopravvissuto alla madre tossicodipendente e al fratello gemello, investito da un auto e da un tragico destino. Smarrito e ‘spaiato’ cerca ostinatamente ma invano di entrare in contatto con Jason, di cui indossa il cappellino e conserva gli amabili resti. George Lonegan è un operaio americano in grado di vedere al di là della vita. Deciso a ripudiare quel dono e a conquistarsi un’esistenza finalmente normale, George ‘ascolta’ i romanzi di Dickens e frequenta un corso di cucina italiana. Sarà proprio la “piccola Dorrit” dello scrittore britannico a condurlo fino a Londra, dove vive Marcus e presenta il suo nuovo libro Marie. L’incontro sarà inevitabile. George, Marcus e Marie troveranno soccorso e risposte al di qua della vita. Non si può vedere “al di là” delle cose senza finire prigionieri del dolore. Lo sanno bene George e Marie, protagonisti adulti di Hereafter, che hanno oscillato sulla soglia, sperimentando la morte e scampandola per vivere al meglio quel che resta da vivere nel mondo. Un mondo reso meno imperfetto da un ragazzino che ha negli occhi e nei gesti qualcosa di gentile. Qualcosa che piacerà al George di Matt Damon e troverà un argine alla sua solitudine. Nella compostezza di una straordinaria classicità, (...) l’ultimo film di Clint Eastwood insegna qualcosa sulla vita confrontandosi con la morte, quella verificata, quella subita, quella condivisa. Hereafter prende atto che la vita è un esperimento con un termine e si articola per questo attraverso prospettive frontali: al di qua e al di là del confine che separa la presenza dall’assenza. È questa linea di demarcazione a fare da perno al montaggio alternato delle vite di una donna, di un uomo e di un bambino dentro una geometria di abbagliante chiarezza e spazi urbani pensati per gravare sui loro destini come in un romanzo sociale di Dickens. Destini colpiti duramente e deragliati ineluttabilmente dalla natura, dalle tensioni sociali (...), dalla fatalità, destini che si incontrano per un attimo in un mutuo scambio di salvezza. Perché da tempo i personaggi di Eastwood hanno abbandonato l’isolazionismo tipico dell’eroe americano a favore di una dialettica che mette in campo più interlocutori e pretende il contrasto. (...) Facendosi in tre l’autore mette lo spettatore al centro di qualcosa di indefinibile eppure familiare come il dolore dell’essere, produce punti di vista potentemente fuori binario sul tema della morte e offre a Damon l’occasione di comporre la migliore interpretazione della sua carriera. Disfandosi della cifra della neutralità, il divo biondo conquista l’emozione e la cognizione del dolore (...). Clint Eastwood con Hereafter conferma la vocazione alle sfumature, azzarda l’esplorazione della morte con la grazia del poeta, interroga e si interroga su questioni filosofiche e spirituali e contrappone alla debolezza del presente e dentro un epilogo struggente l’energia di un sentimento raccolto nel futuro. Raccolto inevitabile, come un trapasso e ogni altra dinamica di natura. Marzia Gandolfi - Mymovies I l critico Roger Ebert riferisce che Peter Morgan sceneggiatore di Hereafter non crede nell’aldilà, parola di Eastwood che il film lo ha diretto. Quanto a lui, il grande Clint, senza pretendere di dare risposte, prende atto di un fatto: se il credente possiede la certezza della fede, e l’ateo si barrica dietro lo scetticismo della razionalità, c’è pure qualcuno, forse più sensibile, forse più vulnerato, che con una dimensione altra si trova a dover convivere nella quotidianità. L’americano Matt Damon è un sensitivo: gli basta un breve contatto di mano ed entra nel dolore del suo interlocutore, incontra i suoi fantasmi, sa qual è il fardello che si trascina. Invece la giornalista francese Cecile de France, ferita gravemente durante uno tsunami, mentre era in coma è entrata in una luce popolata di ombre, un racconto fatto da molti sopravvissuti. E poi c’è il piccolo londinese Frankie McLaren, legatissimo al gemello morto travolto da un’auto, che non sa come andare avanti senza quel suo alter ego, finché non gli pare che questi si manifesti salvandogli vita. Consapevoli per diversi motivi che non tutto quel che è in terra si può spiegare e che il mistero fa parte dell’esistenza, queste tre persone non hanno vocazioni mistiche, esoteriche o religiose: aspirano semmai a sentirsi normali, comprese, a ricevere amore, a non essere condannate alla solitudine. Piccolo miracolo che si verifica (...). Per entrare nello spirito dell’ottimo copione di Morgan, già autore di impeccabili lavori di tutt’altro genere come Frost/Nixon e The Queen, la chiave di volta è Charles Dickens, che Damon si diletta ad ascoltare letto da Derek Jacobi. Per quella sua capacità di coniugare con naturalezza e impegno sociale, realismo e fantasmagoria, il romanziere vittoriano, che a un certo punto come si sa si C’è anche Dickens nell’aldilà di Clint. avvicinò al paranormale, è in qualche modo l’ispiratore segreto del film. Il viatico che muove la storia al suo epilogo; e attraverso il quale allo scoccare dei fatidici ottanta, Eastwood ha scelto di affacciarsi alla soglia dell’inconoscibile, imbastendo con estrema finezza di regia e uno sguardo stoico che non indulge mai al patetico un altro suo bellissimo capitolo di cinema. Alessandra Levantesi - La Stampa Presentando la tessera del Cineforum sconto del 10% Piazza Umberto I, 27 S. Giovanni Lupatoto - Verona Telefono 045 545724 Marzo 2011 lun 21 ore 20.45 mar 22 ore 21.00 merc 23 ore 21.15 Regia Raymond De Felitta ~ Interpreti Andy Garcia, Julianna Margulies, Steven Strait, Emily Mortimer, Ezra Miller, Dominik GarcíaLorido, Alan Arkin, Vernon Campbell, Lora Chio, Joseph Cintron, Curtiss Cook, Yevgeniy Dekhtyar, Hope Glendon-Ross, Kelvin Hale, Steven J. Klaszky, Jennifer Larkin, Adam Larrabee, Chris Miskiewicz. ~ Anno USA 2009 ~ Genere Commedia ~ Durata 100’ ~ Satellite Awards 2010 Nomination Migliore attore protagonista Andy Garcia City island S egreti e bugie. A mezzo fra il dramma e la commedia. L’uno e l’altro con modi tranquilli, senza mai forzare la mano. Sempre però con gli effetti giusti, per approdare a risultati di efficacia sicura. Si comincia con Vince Rizzo, di ascendenze italiane, agente di custodia in un carcere di New York. Un giorno, verificando la lista dei detenuti appena arrivati, realizza che uno di loro è un suo figlio nato da una sua relazione di molti anni prima interrotta subito dopo la sua nascita. Poiché potrebbe godere del trattamento di libertà vigilata non esita a prenderlo lui in custodia, portandoselo a casa naturalmente nascondendo ai suoi quel segreto. Ne nasconde però anche un altro: aspira a diventare attore e, inventando varie scuse per certe sue assenze, frequenta una scuola di recitazione. Non è il solo comunque in quella famiglia a dire bugie (...). Non basta, c’è la moglie, vistosamente dotata di un brutto carattere che però si addolcisce quando si vede arrivare in casa quel giovane sconosciuto (...). Quando tutti quei nodi verranno al pettine, come, appunto in certe commedie nel momento in cui ogni intrigo si svela, non esploderà nessun dramma (anche se sembrava sempre pronto a farsi avanti), tutti invece impareranno a tirare le somme dei risultati cui li avevano condotti le loro bugie e opteranno per la verità. Raccogliendone i frutti. Il merito di questo congegno piacevole che ora mette in ansia, ora, soprattutto, diverte, è di un regista indipendente americano, Raymond De Felitta, con film alle spalle a suo tempo apprezzati in vari festival, da quello di Cannes al Sundance. Personaggi disegnati con cura, ritmi veloci, climi freschi e vitali, con interpreti al centro tutti ben guidati. Il protagonista è Andy Garcia, in uno dei suoi momenti migliori. La pagina in cui si presenta per un provino merita applausi. Gian Luigi Rondi - Il Tempo C ity Island, scritto e diretto dal regista (e apprezzato pianista jazz) Raymond De Felitta, è uno dei film presentati al Tribeca Film Festival nella sezione Encounters, una raccolta di opere di artisti già conosciuti dal pubblico che si mettono alla prova in nuovi generi o in pellicole indipendenti. Di fronte alla costa del Bronx esiste una piccola isola chiamata City Island che rassomiglia a tutte le altre cittadine marittime del New England. A City Island abitano i Rizzo e, pur apparendo ad un occhio non attento la tipica famiglia medio borghese, ciascuno di loro nasconde un segreto che non vuole assolutamente rivelare. Il padre Vincent, un esilarante Andy Garcia, è una guardia carceraria, ma desidera cambiare completamente mestiere e diventare un attore (e fuma nel bagno di nascosto...), la madre Gloria, Julianna Margulies, si prende una cotta per Tony, il galeotto che il marito ha portato a casa per sistemare il giardino 21 (...), la figlia Vivien è stata cacciata dal college e si mantiene (...), mentre il figlio minore Vinnie Jr. ha una passione un tantino feticista (...). Nel momento in cui Vincent rivela alla famiglia il suo segreto più segreto, con il quale ha potuto fare i conti solo dopo aver accolto a casa il giovane Tony, tutti hanno la possibilità di confessarsi e di ricominciare da capo. Il secondino dai mille segreti che sogna di fare l’attore. Il film è spassosissimo anche perché le interpretazioni sono allo stesso tempo leggere e incalzanti come lo sono i dialoghi delle infinite discussioni famigliari. Da notare nel cast i ruoli cameo di due bravi attori caratteristi, Emily Mortimer (Match Point) e Alan Arkin (Little Miss Sunshine). Divertentissime sono anche le situazioni comiche che il regista/sceneggiatore ha creato per mettere alla prova i suoi personaggi. Alla fine, sarà perché è una commedia, sarà perché i cognomi italiani sottintendono buoni sentimenti e attaccamento alla famiglia, il prevedibile "happy ending" ci da’ una grande soddisfazione e ci lascia un bel ricordo del film. Elena Maria Manzini - FilmUp Argenti Oggettistica Complementi d’arredo Confetteria Confezioni personalizzate MATRIMONIO BATTESIMO COMUNIONE CRESIMA LAUREA ANNIVERSARIO Piazza Umberto I, 127 San Giovanni Lupatoto (VR) tel. 0458753610 - fax 0458775142 www.nelmiocielo.it - [email protected] Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 4 Marzo 2011 lun 14 ore 20.45 mar 15 ore 21.00 merc 16 ore 21.15 Regia Clint Eastwood ~ Interpreti Matt Damon, Cécile De France, Joy Mohr, Bryce Dallas Howard, George McLaren, Frankie McLaren, Thierry Neuvic, Marthe Keller, Jay Mohr, Richard Kind, Charlie Creed-Miles, Lyndsey Marshal, Rebekah Staton, Declan Conlon, Marcus Boyea, Franz Drameh, Tex Jacks, Taylor Doherty, Mylène Jampanoï, Stéphane Freiss, Laurent Bateau, Steve Schirripa, Joe Bellan. Anno USA 2010 ~ Genere Drammatico ~ Durata 129’ ~ Academy Award Oscar 2011 Nomination Migliori effetti speciali National Board of Review of Motion Pictures Awards 2010 Vincitore Gli undici migliori film 20 Hereafter M arie Lelay è una giornalista francese sopravvissuta alla morte e allo tsunami. Rientrata a Parigi si interroga sulla sua esperienza sospesa tra luccicanza e oscurità. Marcus è un fanciullo inglese sopravvissuto alla madre tossicodipendente e al fratello gemello, investito da un auto e da un tragico destino. Smarrito e ‘spaiato’ cerca ostinatamente ma invano di entrare in contatto con Jason, di cui indossa il cappellino e conserva gli amabili resti. George Lonegan è un operaio americano in grado di vedere al di là della vita. Deciso a ripudiare quel dono e a conquistarsi un’esistenza finalmente normale, George ‘ascolta’ i romanzi di Dickens e frequenta un corso di cucina italiana. Sarà proprio la “piccola Dorrit” dello scrittore britannico a condurlo fino a Londra, dove vive Marcus e presenta il suo nuovo libro Marie. L’incontro sarà inevitabile. George, Marcus e Marie troveranno soccorso e risposte al di qua della vita. Non si può vedere “al di là” delle cose senza finire prigionieri del dolore. Lo sanno bene George e Marie, protagonisti adulti di Hereafter, che hanno oscillato sulla soglia, sperimentando la morte e scampandola per vivere al meglio quel che resta da vivere nel mondo. Un mondo reso meno imperfetto da un ragazzino che ha negli occhi e nei gesti qualcosa di gentile. Qualcosa che piacerà al George di Matt Damon e troverà un argine alla sua solitudine. Nella compostezza di una straordinaria classicità, (...) l’ultimo film di Clint Eastwood insegna qualcosa sulla vita confrontandosi con la morte, quella verificata, quella subita, quella condivisa. Hereafter prende atto che la vita è un esperimento con un termine e si articola per questo attraverso prospettive frontali: al di qua e al di là del confine che separa la presenza dall’assenza. È questa linea di demarcazione a fare da perno al montaggio alternato delle vite di una donna, di un uomo e di un bambino dentro una geometria di abbagliante chiarezza e spazi urbani pensati per gravare sui loro destini come in un romanzo sociale di Dickens. Destini colpiti duramente e deragliati ineluttabilmente dalla natura, dalle tensioni sociali (...), dalla fatalità, destini che si incontrano per un attimo in un mutuo scambio di salvezza. Perché da tempo i personaggi di Eastwood hanno abbandonato l’isolazionismo tipico dell’eroe americano a favore di una dialettica che mette in campo più interlocutori e pretende il contrasto. (...) Facendosi in tre l’autore mette lo spettatore al centro di qualcosa di indefinibile eppure familiare come il dolore dell’essere, produce punti di vista potentemente fuori binario sul tema della morte e offre a Damon l’occasione di comporre la migliore interpretazione della sua carriera. Disfandosi della cifra della neutralità, il divo biondo conquista l’emozione e la cognizione del dolore (...). Clint Eastwood con Hereafter conferma la vocazione alle sfumature, azzarda l’esplorazione della morte con la grazia del poeta, interroga e si interroga su questioni filosofiche e spirituali e contrappone alla debolezza del presente e dentro un epilogo struggente l’energia di un sentimento raccolto nel futuro. Raccolto inevitabile, come un trapasso e ogni altra dinamica di natura. Marzia Gandolfi - Mymovies I l critico Roger Ebert riferisce che Peter Morgan sceneggiatore di Hereafter non crede nell’aldilà, parola di Eastwood che il film lo ha diretto. Quanto a lui, il grande Clint, senza pretendere di dare risposte, prende atto di un fatto: se il credente possiede la certezza della fede, e l’ateo si barrica dietro lo scetticismo della razionalità, c’è pure qualcuno, forse più sensibile, forse più vulnerato, che con una dimensione altra si trova a dover convivere nella quotidianità. L’americano Matt Damon è un sensitivo: gli basta un breve contatto di mano ed entra nel dolore del suo interlocutore, incontra i suoi fantasmi, sa qual è il fardello che si trascina. Invece la giornalista francese Cecile de France, ferita gravemente durante uno tsunami, mentre era in coma è entrata in una luce popolata di ombre, un racconto fatto da molti sopravvissuti. E poi c’è il piccolo londinese Frankie McLaren, legatissimo al gemello morto travolto da un’auto, che non sa come andare avanti senza quel suo alter ego, finché non gli pare che questi si manifesti salvandogli vita. Consapevoli per diversi motivi che non tutto quel che è in terra si può spiegare e che il mistero fa parte dell’esistenza, queste tre persone non hanno vocazioni mistiche, esoteriche o religiose: aspirano semmai a sentirsi normali, comprese, a ricevere amore, a non essere condannate alla solitudine. Piccolo miracolo che si verifica (...). Per entrare nello spirito dell’ottimo copione di Morgan, già autore di impeccabili lavori di tutt’altro genere come Frost/Nixon e The Queen, la chiave di volta è Charles Dickens, che Damon si diletta ad ascoltare letto da Derek Jacobi. Per quella sua capacità di coniugare con naturalezza e impegno sociale, realismo e fantasmagoria, il romanziere vittoriano, che a un certo punto come si sa si C’è anche Dickens nell’aldilà di Clint. avvicinò al paranormale, è in qualche modo l’ispiratore segreto del film. Il viatico che muove la storia al suo epilogo; e attraverso il quale allo scoccare dei fatidici ottanta, Eastwood ha scelto di affacciarsi alla soglia dell’inconoscibile, imbastendo con estrema finezza di regia e uno sguardo stoico che non indulge mai al patetico un altro suo bellissimo capitolo di cinema. Alessandra Levantesi - La Stampa Presentando la tessera del Cineforum sconto del 10% Piazza Umberto I, 27 S. Giovanni Lupatoto - Verona Telefono 045 545724 Marzo 2011 lun 21 ore 20.45 mar 22 ore 21.00 merc 23 ore 21.15 Regia Raymond De Felitta ~ Interpreti Andy Garcia, Julianna Margulies, Steven Strait, Emily Mortimer, Ezra Miller, Dominik GarcíaLorido, Alan Arkin, Vernon Campbell, Lora Chio, Joseph Cintron, Curtiss Cook, Yevgeniy Dekhtyar, Hope Glendon-Ross, Kelvin Hale, Steven J. Klaszky, Jennifer Larkin, Adam Larrabee, Chris Miskiewicz. ~ Anno USA 2009 ~ Genere Commedia ~ Durata 100’ ~ Satellite Awards 2010 Nomination Migliore attore protagonista Andy Garcia City island S egreti e bugie. A mezzo fra il dramma e la commedia. L’uno e l’altro con modi tranquilli, senza mai forzare la mano. Sempre però con gli effetti giusti, per approdare a risultati di efficacia sicura. Si comincia con Vince Rizzo, di ascendenze italiane, agente di custodia in un carcere di New York. Un giorno, verificando la lista dei detenuti appena arrivati, realizza che uno di loro è un suo figlio nato da una sua relazione di molti anni prima interrotta subito dopo la sua nascita. Poiché potrebbe godere del trattamento di libertà vigilata non esita a prenderlo lui in custodia, portandoselo a casa naturalmente nascondendo ai suoi quel segreto. Ne nasconde però anche un altro: aspira a diventare attore e, inventando varie scuse per certe sue assenze, frequenta una scuola di recitazione. Non è il solo comunque in quella famiglia a dire bugie (...). Non basta, c’è la moglie, vistosamente dotata di un brutto carattere che però si addolcisce quando si vede arrivare in casa quel giovane sconosciuto (...). Quando tutti quei nodi verranno al pettine, come, appunto in certe commedie nel momento in cui ogni intrigo si svela, non esploderà nessun dramma (anche se sembrava sempre pronto a farsi avanti), tutti invece impareranno a tirare le somme dei risultati cui li avevano condotti le loro bugie e opteranno per la verità. Raccogliendone i frutti. Il merito di questo congegno piacevole che ora mette in ansia, ora, soprattutto, diverte, è di un regista indipendente americano, Raymond De Felitta, con film alle spalle a suo tempo apprezzati in vari festival, da quello di Cannes al Sundance. Personaggi disegnati con cura, ritmi veloci, climi freschi e vitali, con interpreti al centro tutti ben guidati. Il protagonista è Andy Garcia, in uno dei suoi momenti migliori. La pagina in cui si presenta per un provino merita applausi. Gian Luigi Rondi - Il Tempo C ity Island, scritto e diretto dal regista (e apprezzato pianista jazz) Raymond De Felitta, è uno dei film presentati al Tribeca Film Festival nella sezione Encounters, una raccolta di opere di artisti già conosciuti dal pubblico che si mettono alla prova in nuovi generi o in pellicole indipendenti. Di fronte alla costa del Bronx esiste una piccola isola chiamata City Island che rassomiglia a tutte le altre cittadine marittime del New England. A City Island abitano i Rizzo e, pur apparendo ad un occhio non attento la tipica famiglia medio borghese, ciascuno di loro nasconde un segreto che non vuole assolutamente rivelare. Il padre Vincent, un esilarante Andy Garcia, è una guardia carceraria, ma desidera cambiare completamente mestiere e diventare un attore (e fuma nel bagno di nascosto...), la madre Gloria, Julianna Margulies, si prende una cotta per Tony, il galeotto che il marito ha portato a casa per sistemare il giardino 21 (...), la figlia Vivien è stata cacciata dal college e si mantiene (...), mentre il figlio minore Vinnie Jr. ha una passione un tantino feticista (...). Nel momento in cui Vincent rivela alla famiglia il suo segreto più segreto, con il quale ha potuto fare i conti solo dopo aver accolto a casa il giovane Tony, tutti hanno la possibilità di confessarsi e di ricominciare da capo. Il secondino dai mille segreti che sogna di fare l’attore. Il film è spassosissimo anche perché le interpretazioni sono allo stesso tempo leggere e incalzanti come lo sono i dialoghi delle infinite discussioni famigliari. Da notare nel cast i ruoli cameo di due bravi attori caratteristi, Emily Mortimer (Match Point) e Alan Arkin (Little Miss Sunshine). Divertentissime sono anche le situazioni comiche che il regista/sceneggiatore ha creato per mettere alla prova i suoi personaggi. Alla fine, sarà perché è una commedia, sarà perché i cognomi italiani sottintendono buoni sentimenti e attaccamento alla famiglia, il prevedibile "happy ending" ci da’ una grande soddisfazione e ci lascia un bel ricordo del film. Elena Maria Manzini - FilmUp Argenti Oggettistica Complementi d’arredo Confetteria Confezioni personalizzate MATRIMONIO BATTESIMO COMUNIONE CRESIMA LAUREA ANNIVERSARIO Piazza Umberto I, 127 San Giovanni Lupatoto (VR) tel. 0458753610 - fax 0458775142 www.nelmiocielo.it - [email protected] Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 2 Marzo 2011 lun 28 ore 20.45 mar 29 ore 21.00 merc 30 ore 21.15 Regia Tom Hooper ~ Interpreti Colin Firth, Geoffrey Rush, Helena Bonham Carter, Guy Pearce, Jennifer Ehle, Derek Jacobi, Michael Gambon, Timothy Spall, Anthony Andrews, Filippo Delaunay, Dominic Applewhite, Jasmine Virtue, Max Callum, Tim Downie, James Currie, Harry Sims, Anna Reeve Cook, Mark Barrows. Anno Gran Bretagna, Australia 2010 ~ Genere Storico ~ Durata 111’ ~ Academy Award Oscar 2011 12 Nominations Golden Globes 2011 Vincitore miglior attore Colin Firth BAFTA Awards 2011 11 Nominations Il discorso del re C i sono stati tempi e luoghi in cui un primo ministro si dimetteva per non aver capito in tempo la gravità di una situazione politica, in cui il rispetto della carica era più importante della persona che la rappresentava, in cui rivolgendosi alla nazione il suo massimo rappresentante non si scagliava contro neppure il più pericoloso dei nemici ma invitava un intero popolo all’unità e al sacrificio per difendere i valori del proprio paese: responsabilità, coraggio, abnegazione, decoro, erano ancora virtù indispensabili per governare. È per questo che un film fatto benissimo come Il discorso del re oggi ci commuove (e non solo per la storia, che fa parte della Storia, comunque degna di lacrimoni) per come il duca di York, afflitto da una terribile balbuzie proprio negli anni in cui l’avvento della radio spinse anche i reali a sottomettersi alla comunicazione di massa, costretto contro la sua volontà a salire sul trono d’Inghilterra col nome di Giorgio VI, riuscì almeno in parte a vincere la sua minorazione e a diventare un monarca rispettato e amato. Siamo oggi tutti contenti del prossimo matrimonio del principe Willam con la sua bella ragazza Kate, dopo qualche decennio di scandalosi eventi nella famiglia Windsor, a cominciare dagli amori negli anni 50 della principessa Margaret. Allora era impossibile che un re sposasse una pluridivorziata, per di più di pessima fama. Ma per poterlo fare, a pochi mesi dall’incoronazione, Edoardo VIII (Guy Pearce) preferì al trono la sua amatissima e brutta Wally Simspon costringendo il fratello balbuziente a farsi re: di una nazione impoverita, con l’Europa in preda ai fascismi e alla vigilia della Seconda guerra mondiale. C’è una scena chiave nel film, quando Giorgio VI con la moglie Elizabeth e le due bambine, guardano il filmato della solenne incoronazione nel dicembre del 1936, cui segue uno spezzone dove Hitler sbraita uno dei suoi minacciosi discorsi: Margaret chiede al padre cosa dica quel forsennato e lui risponde, «Non lo so, ma lo dice bene». Un meraviglioso Colin Firth (ha già vinto il Golden Globe ed è superfavorito agli Oscar) è il re riluttante, malinconico, impaurito, eppure pieno di dignità se non di alterigia, e capace di scoppi d’ira impotente. La sua balbuzie è curata dai medici di corte con biglie in bocca e con le sigarette (morirà nel 1952, a 57 anni, di cancro ai polmoni). Dopo un disastroso e incompiuto discorso allo Stadio di Wembley nel 1926, l’intelligente, innamorata moglie Elizabeth (Helena Bonham Carter, bella e brava), diventata poi la centenaria e molto influente Regina dai cappellini colorati, lo porta in una sordida strada di Londra nello studio di un attore fallito australiano inventatosi logopedista: è l’ultimo tentativo, come se andassero a Lourdes. Inizia 22 un formidabile duetto-duello tra il rigido membro della famiglia reale, che non ha mai parlato con un commoner e non ne sopporta la vicinanza, e il cordiale e irrispettoso ometto (il geniale Geoffrey Rush) che pretende di curarlo nel suo studio e non a palazzo, che lo chiama Bertie come un intimo di famiglia, che lo obbliga a dire parolacce, cantare, stendersi per terra e finalmente a raccontarsi, in un specie di precipizio psicanalitico, in cui il futuro re si libera di ciò che non ha mai detto a nessuno: un padre, re Giorgio V, distante, che lo costringe da mancino a diventare destrorso, le gelide visite quotidiane ai genitori, una nanny perversa, il fratellino preferito epilettico occultato per la vergogna e morto bambino. Si alternano intanto i primi ministri conservatori, da Baldwin a Chamberlain, intriga l’arcivescovo di Canterbury (il viscido Derek Jacobi) e pare dalla parte di Giorgio VI il futuro primo ministro di guerra Churchill (il che non è vero, a lui piaceva di più Edoardo VIII). Quando il 3 settembre del 1939, dopo che l’Inghilterra ha dichiarato guerra alla Germania, il re si rivolge ai sudditi inglesie dell’Impero per esaltarli al patriottismo, davanti a un minaccioso microfono ma anche a Logue che lo guida come fosse un direttore d’orchestra, finalmente ce la fa con immensa dignità e prestigio. Il regista inglese ma di madre australiana Tom Hooper, 38 anni, Il discorso del Re Giorgio VI, il volto umano del potere. ha fatto un film nobile, di quelli che raramente si girano più: visivamente magnifico, con l’aiuto di grandi attori, e con una splendida sceneggiatura, scritta da David Seidler, diventato balbuziente da bambino durante la guerra. Anni fa era riuscito a consultare i diari di Logue, e aveva chiesto alla Regina Madre il permesso di fare un film su quella storia straordinaria. «Per favore, non finché sono in vita, per me sarebbe troppo penoso». La Regina Madre si è spenta nel 2002. Natalia Aspesi - La Repubblica Produzione propria, Specialità dolci e salate, Torte nuziali e rinfreschi Viale Olimpia, 6 - tel. 045 545771 San Giovanni Lupatoto (VR) Stagione presenta 2010 201 1 Marzo 2011 lun 7 ore 20.45 mar 8 ore 21.00 merc 9 ore 21.15 Regia Nigel Cole Interpreti Sally Hawkins, Bob Hoskins, Miranda Richardson, Geraldine James, Rosamund Pike,Andrea Riseborough, Daniel Mays, Jaime Winstone, Kenneth Cranham, Rupert Graves. ~ Anno Gran Bretagna 2010 ~ Genere Drammatico ~ Durata 113’ ~ British Academy of Film and Television Arts Awards 2011 Nomination Miglior film britannico Nomination Migliore attrice non protagonista Nomination Migliori costumi Nomination Miglior make-up e acconciature British Independent Film Awards 2010 Nomination Migliore Sceneggiatura Nomination Miglior Attrice Protagonista Nomination Miglior Attrice non Protagonista Nomination Miglior Attore Non Protagonista l’altro inema C via Roma 3/B S. Giov. Lupatoto (VR) tel/fax 045 925 08 25 www.cinemateatroastra.it cineforum Anno XIX I FILM VISTI: 1 Mine Vaganti • 2 L’uomo nell’ombra • 3 È complicato • 4 La nostra vita • 5 The last station • 6 Miral • 7 La passione • 8 Una sconfinata giovinezza • 9 Ragazzi miei • 10 Benvenuti al sud • 11 Stanno tutti bene • 12 Fair Game - Caccia alla Spia • 13 La donna della mia vita • 14 Una vita tranquilla • 15 Uomini di Dio • 16 Potiche - La bella statuina • 17 Wall Street - Il Denaro non dorme mai • 18 In un mondo migliore We want sex 19 E ccolo il miglior film della stagione. Una sciccheria, una delizia. Questo sì da non perdere. Una commedia di purissima stoffa inglese in zona Full Monty o Grazie, signora Thatcher. Per carità, non fatevi fuorviare dallo spiritoso titolo, volutamente malizioso. We Want Sex è soltanto una parte dello striscione inalberato dalle tenaci protagoniste: gli manca la quarta parola, Equality, piegata dal vento. Quindi non Vogliamo sesso, come potrebbe sperare un frettoloso fan di Tinto Brass, ma Vogliamo la parità dei sessi. Soprattutto in senso salariale. Il regista Nigel Cole è uno che maneggia bene l’umorismo e usa con estrema cura i guanti bianchi, come dimostrano almeno due dei suoi film precedenti, Calendar Girl e L’erba di Grace. La storia (vera) si svolge a Dagenham, nell’Essex, contea orientale dell’Inghilterra, nel maggio del 1968. Nella fabbrica della Ford, accanto ai 55 mila operai uomini, sgobbano 187 donne, addette alla cucitura dei sedili. È un’ala fatiscente, dove fa un caldo infernale, tanto che spesso volano via le camicette e restano i reggiseni. Un lavoro faticoso, ma considerato non qualificato, per antica consuetudine pagato la metà di quello dei maschi. Finché un bel giorno la giovane e battagliera madre di famiglia Rita O’Grady (Sally Hawkins, che attrice!) è la prima a tuonare il suo basta, subito spalleggiata dalle più ardite tra le colleghe, come Connie, Brenda e Sandra. L’ambiguo capo della commissione interna Mont Taylor le ostacola, fingendo di appoggiarle, al contrario del compiaciuto, anche se non proprio cuordileone, sindacalista Albert (Bob Hoskins). Pretendiamo la parità e la chiederemo al ministro del Lavoro Barbara Castle (Miranda Richardson). O sarà sciopero a oltranza. Si ride spesso, anche se in un paio di scene le lacrime sono in agguato, ma la regia, secca e senza fronzoli, è pronta a mutare rotta appena si sfiora la commozione. Se non è un capolavoro, poco ci manca, grazie anche a un cast straordinario, per talento e simpatia. P.S. Finalmente quando si parla di Escort s’intendono le auto e basta. Massimo Bertarelli - Il Giornale S embrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi. Proprio così, solo che quella volta non si combatteva in casa ma in fabbrica (...). E a battersi per ottenere pari diritti e compenso era un pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto abba- In collaborazione con Comune di San Giovanni Lupatoto Assessorato alla Cultura Film inserito nel programma stanza inesperte da infischiarsene della politica e di stratege sindacali. Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Applaudito poche settimane fa al festival La rivoluzione? Una cosa da donne. di Roma (...), il nuovo film diretto dal regista di Calendar Girls e L’erba di Grace, Nigel Cole, è un perfetto esempio di quelle commedie sociali nei quai gli inglesi sono maestri (...). La formula è collaudata. Prendi un gruppo colorito e decisamente, orgogliosamente minoritario (disoccupati, pensionati, emigranti). Cucigli adosso una vicenda di lotta e riscatto, meglio se vera. Scegli attori (qui attrici) irresistibili, che nel Regno Unito non sono certo una rarità, e il gioco è fatto. Le operaie toste e simpatiche di We Want Sex hanno il merito supplementare di essere guidate dalla carismatica Sally Hawkins, un metro e mezzo di grinta e dolcezza che riesce a fare la guerra in fabbrica senza neanche mandare a rotoli la famiglia. Conquistandosi per giunta le simpatie di una ministra, l’unica che capisce cosa passa per la testa di quelle operaie confinate nell’ala più fatiscente della fabbrica e decise a ottenere parità salariale, cosa assolutamente inaudita all’epoca (...). Per poi conquistare alla causa, potenza della solidarietà femminile, perfino la moglie del grande capo, che da brillante laureata, ingioiellata e frustrata (serve gli aperitivi al maritino) scavalca d’un balzo le rigide differenze di classe britanniche per portare conforto alle operaie in sciopero. Tanto da andare a trovare la leader nella sua casa di ringhiera, prestandole perfino un tailleurino rosa di Biba, nome mitico di quegli anni, per non sfigurare con la ministra. Naturalmente ogni licenza è permessa: We Want Sex (il titolo nasce da uno striscione srotolato a metà) non è un documentario, anche se sui titoli di coda sfilano le vere operaie, ieri e oggi (ed erano molto meno allegre delle loro interpreti). L’essenziale è non dimenticare mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul mondo che svela. E un film che affida il lato migliore di quello sguardo a Bob Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e dalla faccia tosta delle sue colleghe, è un film che si fa amare da tutti. Senza distinzioni di sesso e di età. Fabio Ferzetti - Il Messaggero