l`altro - Cinema Teatro Astra

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l`altro - Cinema Teatro Astra
Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 2
Marzo 2011
lun 28 ore 20.45
mar 29 ore 21.00
merc 30 ore 21.15
Regia
Tom Hooper
~
Interpreti
Colin Firth, Geoffrey Rush,
Helena Bonham Carter,
Guy Pearce, Jennifer Ehle,
Derek Jacobi, Michael
Gambon, Timothy Spall,
Anthony Andrews, Filippo
Delaunay, Dominic
Applewhite, Jasmine Virtue,
Max Callum, Tim Downie,
James Currie, Harry Sims,
Anna Reeve Cook, Mark
Barrows.
Anno
Gran Bretagna,
Australia 2010
~
Genere
Storico
~
Durata
111’
~
Academy Award
Oscar 2011
12 Nominations
Golden Globes 2011
Vincitore miglior attore
Colin Firth
BAFTA Awards 2011
11 Nominations
Il discorso del re
C
i sono stati tempi e luoghi in cui un primo ministro
si dimetteva per non aver capito in tempo la gravità di una situazione politica, in cui il rispetto della carica era più importante della persona che la rappresentava, in cui rivolgendosi alla nazione il suo massimo rappresentante non si scagliava contro neppure il più pericoloso dei nemici ma invitava un intero popolo all’unità e al sacrificio per difendere i valori del proprio paese:
responsabilità, coraggio, abnegazione, decoro, erano
ancora virtù indispensabili per governare. È per questo
che un film fatto benissimo come Il discorso del re oggi
ci commuove (e non solo per la storia, che fa parte della
Storia, comunque degna di lacrimoni) per come il duca
di York, afflitto da una terribile balbuzie proprio negli
anni in cui l’avvento della radio spinse anche i reali a
sottomettersi alla comunicazione di massa, costretto
contro la sua volontà a salire sul trono d’Inghilterra col
nome di Giorgio VI, riuscì almeno in parte a vincere la
sua minorazione e a diventare un monarca rispettato e
amato.
Siamo oggi tutti contenti del prossimo matrimonio del
principe Willam con la
sua bella ragazza Kate,
dopo qualche decennio
di scandalosi eventi nella
famiglia Windsor, a cominciare dagli amori negli anni 50 della principessa Margaret. Allora
era impossibile che un re
sposasse una pluridivorziata, per di più di pessima fama. Ma per poterlo
fare, a pochi mesi dall’incoronazione, Edoardo
VIII (Guy Pearce) preferì
al trono la sua amatissima
e brutta Wally Simspon costringendo il fratello balbuziente a farsi re: di una nazione impoverita, con l’Europa
in preda ai fascismi e alla vigilia della Seconda guerra
mondiale.
C’è una scena chiave nel film, quando Giorgio VI con la
moglie Elizabeth e le due bambine, guardano il filmato
della solenne incoronazione nel dicembre del 1936, cui
segue uno spezzone dove Hitler sbraita uno dei suoi minacciosi discorsi: Margaret chiede al padre cosa dica
quel forsennato e lui risponde, «Non lo so, ma lo dice
bene». Un meraviglioso Colin Firth (ha già vinto il
Golden Globe ed è superfavorito agli Oscar) è il re riluttante, malinconico, impaurito, eppure pieno di dignità se non di alterigia, e capace di scoppi d’ira impotente. La sua balbuzie è curata dai medici di corte con
biglie in bocca e con le sigarette (morirà nel 1952, a 57
anni, di cancro ai polmoni). Dopo un disastroso e incompiuto discorso allo Stadio di Wembley nel 1926,
l’intelligente, innamorata moglie Elizabeth (Helena
Bonham Carter, bella e brava), diventata poi la centenaria e molto influente Regina dai cappellini colorati,
lo porta in una sordida strada di Londra nello studio di
un attore fallito australiano inventatosi logopedista: è
l’ultimo tentativo, come se andassero a Lourdes. Inizia
22
un formidabile duetto-duello tra il rigido membro della
famiglia reale, che non ha mai parlato con un commoner e non ne sopporta la vicinanza, e il cordiale e irrispettoso ometto (il geniale Geoffrey Rush) che pretende di curarlo nel suo studio e non a palazzo, che lo chiama Bertie come un intimo di famiglia, che lo obbliga a
dire parolacce, cantare, stendersi per terra e finalmente
a raccontarsi, in un specie di precipizio psicanalitico, in
cui il futuro re si libera di ciò che non ha mai detto a nessuno: un padre, re Giorgio V, distante, che lo costringe
da mancino a diventare destrorso, le gelide visite quotidiane ai genitori, una nanny perversa, il fratellino preferito epilettico occultato per la vergogna e morto bambino. Si alternano intanto i primi ministri conservatori,
da Baldwin a Chamberlain, intriga l’arcivescovo di
Canterbury (il viscido Derek Jacobi) e pare dalla parte
di Giorgio VI il futuro primo ministro di guerra
Churchill (il che non è vero, a lui piaceva di più
Edoardo VIII).
Quando il 3 settembre del 1939, dopo che l’Inghilterra
ha dichiarato guerra alla Germania, il re si rivolge ai
sudditi inglesie dell’Impero per esaltarli al patriottismo,
davanti a un minaccioso microfono ma anche a Logue
che lo guida come fosse un direttore d’orchestra, finalmente ce la fa con immensa dignità e prestigio. Il regista
inglese ma di madre australiana Tom Hooper, 38 anni,
Il discorso del Re Giorgio VI,
il volto umano del potere.
ha fatto un film nobile, di quelli che raramente si girano
più: visivamente magnifico, con l’aiuto di grandi attori,
e con una splendida sceneggiatura, scritta da David
Seidler, diventato balbuziente da bambino durante la
guerra.
Anni fa era riuscito a consultare i diari di Logue, e aveva chiesto alla Regina Madre il permesso di fare un film
su quella storia straordinaria. «Per favore, non finché
sono in vita, per me sarebbe troppo penoso». La Regina
Madre si è spenta nel 2002.
Natalia Aspesi - La Repubblica
Produzione propria,
Specialità dolci e salate,
Torte nuziali e rinfreschi
Viale Olimpia, 6 - tel. 045 545771
San Giovanni Lupatoto (VR)
Stagione
presenta
2010
201 1
Marzo 2011
lun 7 ore 20.45
mar 8 ore 21.00
merc 9 ore 21.15
Regia
Nigel Cole
Interpreti
Sally Hawkins, Bob Hoskins,
Miranda Richardson,
Geraldine James, Rosamund
Pike,Andrea Riseborough,
Daniel Mays, Jaime Winstone,
Kenneth Cranham, Rupert
Graves.
~
Anno
Gran Bretagna 2010
~
Genere
Drammatico
~
Durata
113’
~
British Academy of Film and
Television Arts Awards 2011
Nomination Miglior
film britannico
Nomination Migliore attrice
non protagonista
Nomination Migliori costumi
Nomination Miglior make-up
e acconciature
British Independent Film
Awards 2010
Nomination Migliore
Sceneggiatura
Nomination Miglior Attrice
Protagonista
Nomination Miglior Attrice
non Protagonista
Nomination Miglior Attore
Non Protagonista
l’altro
inema
C
via Roma 3/B
S. Giov. Lupatoto (VR)
tel/fax 045 925 08 25
www.cinemateatroastra.it
cineforum Anno XIX
I FILM VISTI: 1 Mine Vaganti • 2 L’uomo nell’ombra • 3 È complicato • 4 La nostra vita • 5 The last station
• 6 Miral • 7 La passione • 8 Una sconfinata giovinezza • 9 Ragazzi miei • 10 Benvenuti al sud • 11 Stanno tutti
bene • 12 Fair Game - Caccia alla Spia • 13 La donna della mia vita • 14 Una vita tranquilla • 15 Uomini di Dio
• 16 Potiche - La bella statuina • 17 Wall Street - Il Denaro non dorme mai • 18 In un mondo migliore
We want sex 19
E
ccolo il miglior film della stagione. Una sciccheria,
una delizia. Questo sì da non perdere. Una commedia di purissima stoffa inglese in zona Full Monty o
Grazie, signora Thatcher. Per carità, non fatevi fuorviare dallo spiritoso titolo, volutamente malizioso. We
Want Sex è soltanto una parte dello striscione inalberato dalle tenaci protagoniste: gli manca la quarta parola,
Equality, piegata dal vento. Quindi non Vogliamo sesso,
come potrebbe sperare un frettoloso fan di Tinto Brass,
ma Vogliamo la parità dei sessi. Soprattutto in senso salariale. Il regista Nigel Cole è uno che maneggia bene l’umorismo e usa con estrema cura i guanti bianchi, come
dimostrano almeno due dei suoi film precedenti,
Calendar Girl e L’erba di Grace. La storia (vera) si svolge
a Dagenham, nell’Essex, contea orientale
dell’Inghilterra, nel maggio del 1968. Nella fabbrica della Ford, accanto ai 55 mila operai uomini, sgobbano 187
donne, addette alla cucitura dei sedili. È un’ala fatiscente, dove fa un caldo infernale, tanto che spesso volano via
le camicette e restano i reggiseni. Un lavoro faticoso, ma
considerato non qualificato, per antica consuetudine pagato la metà di quello dei maschi. Finché un bel giorno la
giovane e battagliera madre di famiglia Rita O’Grady
(Sally Hawkins, che attrice!) è la prima a tuonare il suo
basta, subito spalleggiata dalle più ardite tra le colleghe,
come Connie, Brenda e Sandra. L’ambiguo capo della
commissione interna Mont Taylor le ostacola, fingendo
di appoggiarle, al contrario del compiaciuto, anche se
non proprio cuordileone, sindacalista Albert (Bob
Hoskins). Pretendiamo la parità e la chiederemo al ministro del Lavoro Barbara Castle (Miranda Richardson). O
sarà sciopero a oltranza. Si ride spesso, anche se in un paio
di scene le lacrime sono in agguato, ma la regia, secca e
senza fronzoli, è pronta a mutare rotta appena si sfiora la
commozione. Se non è un capolavoro, poco ci manca,
grazie anche a un cast straordinario, per talento e simpatia. P.S. Finalmente quando si parla di Escort s’intendono
le auto e basta.
Massimo Bertarelli - Il Giornale
S
embrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi.
Proprio così, solo che quella volta non si combatteva
in casa ma in fabbrica (...). E a battersi per ottenere pari
diritti e compenso era un pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto abba-
In collaborazione con
Comune di
San Giovanni Lupatoto
Assessorato alla Cultura
Film inserito nel programma
stanza inesperte da infischiarsene della politica e di stratege sindacali. Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Applaudito poche settimane fa al festival
La rivoluzione?
Una cosa da donne.
di Roma (...), il nuovo film diretto dal regista di Calendar
Girls e L’erba di Grace, Nigel Cole, è un perfetto esempio
di quelle commedie sociali nei quai gli inglesi sono maestri (...). La formula è collaudata. Prendi un gruppo colorito e decisamente, orgogliosamente minoritario (disoccupati, pensionati, emigranti). Cucigli adosso una vicenda di lotta e riscatto, meglio se vera. Scegli attori (qui attrici) irresistibili, che nel Regno Unito non sono certo
una rarità, e il gioco è fatto. Le operaie toste e simpatiche
di We Want Sex hanno il merito supplementare di essere
guidate dalla carismatica Sally Hawkins, un metro e mezzo di grinta e dolcezza che riesce a fare la guerra in fabbrica senza neanche mandare a rotoli la famiglia.
Conquistandosi per giunta le simpatie di una ministra,
l’unica che capisce cosa passa per la testa di quelle operaie
confinate nell’ala più fatiscente della fabbrica e decise a
ottenere parità salariale, cosa assolutamente inaudita all’epoca (...). Per poi conquistare alla causa, potenza della
solidarietà femminile, perfino la moglie del grande capo,
che da brillante laureata, ingioiellata e frustrata (serve gli
aperitivi al maritino) scavalca d’un balzo le rigide differenze di classe britanniche per portare conforto alle operaie in sciopero. Tanto da andare a trovare la leader nella
sua casa di ringhiera, prestandole perfino un tailleurino
rosa di Biba, nome mitico di quegli anni, per non sfigurare con la ministra. Naturalmente ogni licenza è permessa:
We Want Sex (il titolo nasce da uno striscione srotolato
a metà) non è un documentario, anche se sui titoli di coda sfilano le vere operaie, ieri e oggi (ed erano molto meno allegre delle loro interpreti). L’essenziale è non dimenticare mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul mondo che svela. E un film
che affida il lato migliore di quello sguardo a Bob
Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e
dalla faccia tosta delle sue colleghe, è un film che si fa
amare da tutti. Senza distinzioni di sesso e di età.
Fabio Ferzetti - Il Messaggero
Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 4
Marzo 2011
lun 14 ore 20.45
mar 15 ore 21.00
merc 16 ore 21.15
Regia
Clint Eastwood
~
Interpreti
Matt Damon, Cécile De
France, Joy Mohr, Bryce
Dallas Howard, George
McLaren, Frankie McLaren,
Thierry Neuvic, Marthe
Keller, Jay Mohr, Richard
Kind, Charlie Creed-Miles,
Lyndsey Marshal, Rebekah
Staton, Declan Conlon,
Marcus Boyea, Franz
Drameh, Tex Jacks, Taylor
Doherty, Mylène Jampanoï,
Stéphane Freiss, Laurent
Bateau, Steve Schirripa, Joe
Bellan.
Anno
USA 2010
~
Genere
Drammatico
~
Durata
129’
~
Academy Award Oscar
2011
Nomination
Migliori effetti speciali
National Board of Review
of Motion Pictures Awards
2010
Vincitore
Gli undici migliori film
20
Hereafter
M
arie Lelay è una giornalista francese sopravvissuta
alla morte e allo tsunami. Rientrata a Parigi si interroga sulla sua esperienza sospesa tra luccicanza e oscurità.
Marcus è un fanciullo inglese sopravvissuto alla madre
tossicodipendente e al fratello gemello, investito da un
auto e da un tragico destino. Smarrito e ‘spaiato’ cerca
ostinatamente ma invano di entrare in contatto con
Jason, di cui indossa il cappellino e conserva gli amabili resti. George Lonegan è un operaio americano in grado di
vedere al di là della vita. Deciso a ripudiare quel dono e a
conquistarsi un’esistenza finalmente normale, George
‘ascolta’ i romanzi di Dickens e frequenta un corso di cucina italiana. Sarà proprio la “piccola Dorrit” dello scrittore
britannico a condurlo fino a Londra, dove vive Marcus e
presenta il suo nuovo libro Marie. L’incontro sarà inevitabile. George, Marcus e Marie troveranno soccorso e risposte al di qua della vita. Non si può vedere “al di là” delle cose senza finire prigionieri del dolore. Lo sanno bene
George e Marie, protagonisti adulti di Hereafter, che hanno oscillato sulla soglia, sperimentando la morte e scampandola per vivere al meglio quel che resta da vivere nel
mondo. Un mondo reso meno imperfetto da un ragazzino
che ha negli occhi e nei gesti qualcosa di gentile. Qualcosa
che piacerà al George di Matt Damon e troverà un argine
alla sua solitudine. Nella compostezza di una straordinaria
classicità, (...) l’ultimo film di Clint Eastwood insegna
qualcosa sulla vita confrontandosi con la morte, quella verificata, quella subita, quella condivisa. Hereafter
prende atto che la vita è un esperimento con un termine e si articola per questo attraverso prospettive
frontali: al di qua e al di là del confine che separa la
presenza dall’assenza. È questa linea di demarcazione a fare da perno al montaggio alternato delle vite
di una donna, di un uomo e di un bambino dentro
una geometria di abbagliante chiarezza e spazi urbani pensati per gravare sui loro destini come in un romanzo sociale di Dickens. Destini colpiti duramente e deragliati ineluttabilmente dalla natura, dalle tensioni sociali (...), dalla fatalità, destini che si incontrano per
un attimo in un mutuo scambio di salvezza. Perché da
tempo i personaggi di Eastwood hanno abbandonato l’isolazionismo tipico dell’eroe americano a favore di una dialettica che mette in campo più interlocutori e pretende il
contrasto. (...) Facendosi in tre l’autore mette lo spettatore al centro di qualcosa di indefinibile eppure familiare come il dolore dell’essere, produce punti di vista potentemente fuori binario sul tema della morte e offre a Damon
l’occasione di comporre la migliore interpretazione della
sua carriera. Disfandosi della cifra della neutralità, il divo
biondo conquista l’emozione e la cognizione del dolore
(...). Clint Eastwood con Hereafter conferma la vocazione
alle sfumature, azzarda l’esplorazione della morte con la
grazia del poeta, interroga e si interroga su questioni filosofiche e spirituali e contrappone alla debolezza del presente e dentro un epilogo struggente l’energia di un sentimento raccolto nel futuro. Raccolto inevitabile, come un
trapasso e ogni altra dinamica di natura.
Marzia Gandolfi - Mymovies
I
l critico Roger Ebert riferisce che Peter Morgan sceneggiatore di Hereafter non crede nell’aldilà, parola di
Eastwood che il film lo ha diretto. Quanto a lui, il grande
Clint, senza pretendere di dare risposte, prende atto di un
fatto: se il credente possiede la certezza della fede, e l’ateo
si barrica dietro lo scetticismo della razionalità, c’è pure
qualcuno, forse più sensibile, forse più vulnerato, che con
una dimensione altra si trova a dover convivere nella quotidianità. L’americano Matt Damon è un sensitivo: gli basta un breve contatto di mano ed entra nel dolore del suo
interlocutore, incontra i suoi fantasmi, sa qual è il fardello
che si trascina. Invece la giornalista francese Cecile de
France, ferita gravemente durante uno tsunami, mentre
era in coma è entrata in una luce popolata di ombre, un
racconto fatto da molti sopravvissuti. E poi c’è il piccolo
londinese Frankie McLaren, legatissimo al gemello morto
travolto da un’auto, che non sa come andare avanti senza
quel suo alter ego, finché non gli pare che questi si manifesti salvandogli vita. Consapevoli per diversi motivi che
non tutto quel che è in terra si può spiegare e che il mistero fa parte dell’esistenza, queste tre persone non hanno
vocazioni mistiche, esoteriche o religiose: aspirano semmai a sentirsi normali, comprese, a ricevere amore, a non
essere condannate alla solitudine. Piccolo miracolo che si
verifica (...). Per entrare nello spirito dell’ottimo copione
di Morgan, già autore di impeccabili lavori di tutt’altro genere come Frost/Nixon e The Queen, la chiave di volta è
Charles Dickens, che Damon si diletta ad ascoltare letto
da Derek Jacobi. Per quella sua capacità di coniugare con
naturalezza e impegno sociale, realismo e fantasmagoria, il
romanziere vittoriano, che a un certo punto come si sa si
C’è anche Dickens
nell’aldilà di Clint.
avvicinò al paranormale, è in qualche modo l’ispiratore
segreto del film. Il viatico che muove la storia al suo epilogo; e attraverso il quale allo scoccare dei fatidici ottanta,
Eastwood ha scelto di affacciarsi alla soglia dell’inconoscibile, imbastendo con estrema finezza di regia e uno sguardo stoico che non indulge mai al patetico un altro suo bellissimo capitolo di cinema.
Alessandra Levantesi - La Stampa
Presentando
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S. Giovanni Lupatoto - Verona
Telefono 045 545724
Marzo 2011
lun 21 ore 20.45
mar 22 ore 21.00
merc 23 ore 21.15
Regia
Raymond De Felitta
~
Interpreti
Andy Garcia, Julianna
Margulies, Steven Strait,
Emily Mortimer, Ezra
Miller, Dominik GarcíaLorido, Alan Arkin, Vernon
Campbell, Lora Chio,
Joseph Cintron, Curtiss
Cook, Yevgeniy Dekhtyar,
Hope Glendon-Ross, Kelvin
Hale, Steven J. Klaszky,
Jennifer Larkin, Adam
Larrabee, Chris Miskiewicz.
~
Anno
USA 2009
~
Genere
Commedia
~
Durata
100’
~
Satellite Awards 2010
Nomination
Migliore attore protagonista
Andy Garcia
City island
S
egreti e bugie. A mezzo fra il dramma e la commedia. L’uno e l’altro con modi tranquilli, senza mai
forzare la mano. Sempre però con gli effetti giusti, per
approdare a risultati di efficacia sicura. Si comincia con Vince Rizzo, di
ascendenze italiane, agente di custodia in un carcere di New York. Un
giorno, verificando la lista dei detenuti appena arrivati, realizza che uno
di loro è un suo figlio nato da una sua
relazione di molti anni prima interrotta subito dopo la sua nascita.
Poiché potrebbe godere del trattamento di libertà vigilata non esita a
prenderlo lui in custodia, portandoselo a casa naturalmente nascondendo
ai suoi quel segreto. Ne nasconde però
anche un altro: aspira a diventare attore e, inventando
varie scuse per certe sue assenze, frequenta una scuola
di recitazione. Non è il solo comunque in quella famiglia a dire bugie (...).
Non basta, c’è la moglie, vistosamente dotata di un
brutto carattere che però si addolcisce quando si vede
arrivare in casa quel giovane sconosciuto (...). Quando
tutti quei nodi verranno al pettine, come, appunto in
certe commedie nel momento in cui ogni intrigo si
svela, non esploderà nessun dramma (anche se sembrava sempre pronto a farsi avanti), tutti invece impareranno a tirare le somme dei risultati cui li avevano
condotti le loro bugie e opteranno per la verità.
Raccogliendone i frutti. Il merito di questo congegno
piacevole che ora mette in ansia, ora, soprattutto, diverte, è di un regista indipendente americano,
Raymond De Felitta, con film alle spalle a suo tempo
apprezzati in vari festival, da quello di Cannes al
Sundance. Personaggi disegnati con cura, ritmi veloci,
climi freschi e vitali, con interpreti al centro tutti ben
guidati. Il protagonista è Andy Garcia, in uno dei suoi
momenti migliori. La pagina in cui si presenta per un
provino merita applausi.
Gian Luigi Rondi - Il Tempo
C
ity Island, scritto e diretto dal regista (e apprezzato pianista jazz) Raymond De Felitta, è uno dei
film presentati al Tribeca Film Festival nella sezione
Encounters, una raccolta di opere di artisti già conosciuti dal pubblico che si mettono alla prova in nuovi
generi o in pellicole indipendenti.
Di fronte alla costa del Bronx esiste una piccola isola
chiamata City Island che rassomiglia a tutte le altre
cittadine marittime del New England. A City Island
abitano i Rizzo e, pur apparendo ad un occhio non attento la tipica famiglia medio borghese, ciascuno di loro nasconde un segreto che non vuole assolutamente
rivelare.
Il padre Vincent, un esilarante Andy Garcia, è una
guardia carceraria, ma desidera cambiare completamente mestiere e diventare un attore (e fuma nel bagno di nascosto...), la madre Gloria, Julianna
Margulies, si prende una cotta per Tony, il galeotto che
il marito ha portato a casa per sistemare il giardino
21
(...), la figlia Vivien è stata cacciata dal college e si
mantiene (...), mentre il figlio minore Vinnie Jr. ha
una passione un tantino feticista (...). Nel momento in
cui Vincent rivela alla famiglia il suo segreto più segreto, con il quale ha potuto fare i conti solo dopo aver accolto a casa il giovane Tony, tutti hanno la possibilità
di confessarsi e di ricominciare da capo.
Il secondino dai mille segreti
che sogna di fare l’attore.
Il film è spassosissimo anche perché le interpretazioni
sono allo stesso tempo leggere e incalzanti come lo sono i dialoghi delle infinite discussioni famigliari. Da
notare nel cast i ruoli cameo di due bravi attori caratteristi, Emily Mortimer (Match Point) e Alan Arkin
(Little Miss Sunshine). Divertentissime sono anche le
situazioni comiche che il regista/sceneggiatore ha
creato per mettere alla prova i suoi personaggi. Alla fine, sarà perché è una commedia, sarà perché i cognomi italiani sottintendono buoni sentimenti e attaccamento alla famiglia, il prevedibile "happy ending" ci
da’ una grande soddisfazione e ci lascia un bel ricordo
del film.
Elena Maria Manzini - FilmUp
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Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 4
Marzo 2011
lun 14 ore 20.45
mar 15 ore 21.00
merc 16 ore 21.15
Regia
Clint Eastwood
~
Interpreti
Matt Damon, Cécile De
France, Joy Mohr, Bryce
Dallas Howard, George
McLaren, Frankie McLaren,
Thierry Neuvic, Marthe
Keller, Jay Mohr, Richard
Kind, Charlie Creed-Miles,
Lyndsey Marshal, Rebekah
Staton, Declan Conlon,
Marcus Boyea, Franz
Drameh, Tex Jacks, Taylor
Doherty, Mylène Jampanoï,
Stéphane Freiss, Laurent
Bateau, Steve Schirripa, Joe
Bellan.
Anno
USA 2010
~
Genere
Drammatico
~
Durata
129’
~
Academy Award Oscar
2011
Nomination
Migliori effetti speciali
National Board of Review
of Motion Pictures Awards
2010
Vincitore
Gli undici migliori film
20
Hereafter
M
arie Lelay è una giornalista francese sopravvissuta
alla morte e allo tsunami. Rientrata a Parigi si interroga sulla sua esperienza sospesa tra luccicanza e oscurità.
Marcus è un fanciullo inglese sopravvissuto alla madre
tossicodipendente e al fratello gemello, investito da un
auto e da un tragico destino. Smarrito e ‘spaiato’ cerca
ostinatamente ma invano di entrare in contatto con
Jason, di cui indossa il cappellino e conserva gli amabili resti. George Lonegan è un operaio americano in grado di
vedere al di là della vita. Deciso a ripudiare quel dono e a
conquistarsi un’esistenza finalmente normale, George
‘ascolta’ i romanzi di Dickens e frequenta un corso di cucina italiana. Sarà proprio la “piccola Dorrit” dello scrittore
britannico a condurlo fino a Londra, dove vive Marcus e
presenta il suo nuovo libro Marie. L’incontro sarà inevitabile. George, Marcus e Marie troveranno soccorso e risposte al di qua della vita. Non si può vedere “al di là” delle cose senza finire prigionieri del dolore. Lo sanno bene
George e Marie, protagonisti adulti di Hereafter, che hanno oscillato sulla soglia, sperimentando la morte e scampandola per vivere al meglio quel che resta da vivere nel
mondo. Un mondo reso meno imperfetto da un ragazzino
che ha negli occhi e nei gesti qualcosa di gentile. Qualcosa
che piacerà al George di Matt Damon e troverà un argine
alla sua solitudine. Nella compostezza di una straordinaria
classicità, (...) l’ultimo film di Clint Eastwood insegna
qualcosa sulla vita confrontandosi con la morte, quella verificata, quella subita, quella condivisa. Hereafter
prende atto che la vita è un esperimento con un termine e si articola per questo attraverso prospettive
frontali: al di qua e al di là del confine che separa la
presenza dall’assenza. È questa linea di demarcazione a fare da perno al montaggio alternato delle vite
di una donna, di un uomo e di un bambino dentro
una geometria di abbagliante chiarezza e spazi urbani pensati per gravare sui loro destini come in un romanzo sociale di Dickens. Destini colpiti duramente e deragliati ineluttabilmente dalla natura, dalle tensioni sociali (...), dalla fatalità, destini che si incontrano per
un attimo in un mutuo scambio di salvezza. Perché da
tempo i personaggi di Eastwood hanno abbandonato l’isolazionismo tipico dell’eroe americano a favore di una dialettica che mette in campo più interlocutori e pretende il
contrasto. (...) Facendosi in tre l’autore mette lo spettatore al centro di qualcosa di indefinibile eppure familiare come il dolore dell’essere, produce punti di vista potentemente fuori binario sul tema della morte e offre a Damon
l’occasione di comporre la migliore interpretazione della
sua carriera. Disfandosi della cifra della neutralità, il divo
biondo conquista l’emozione e la cognizione del dolore
(...). Clint Eastwood con Hereafter conferma la vocazione
alle sfumature, azzarda l’esplorazione della morte con la
grazia del poeta, interroga e si interroga su questioni filosofiche e spirituali e contrappone alla debolezza del presente e dentro un epilogo struggente l’energia di un sentimento raccolto nel futuro. Raccolto inevitabile, come un
trapasso e ogni altra dinamica di natura.
Marzia Gandolfi - Mymovies
I
l critico Roger Ebert riferisce che Peter Morgan sceneggiatore di Hereafter non crede nell’aldilà, parola di
Eastwood che il film lo ha diretto. Quanto a lui, il grande
Clint, senza pretendere di dare risposte, prende atto di un
fatto: se il credente possiede la certezza della fede, e l’ateo
si barrica dietro lo scetticismo della razionalità, c’è pure
qualcuno, forse più sensibile, forse più vulnerato, che con
una dimensione altra si trova a dover convivere nella quotidianità. L’americano Matt Damon è un sensitivo: gli basta un breve contatto di mano ed entra nel dolore del suo
interlocutore, incontra i suoi fantasmi, sa qual è il fardello
che si trascina. Invece la giornalista francese Cecile de
France, ferita gravemente durante uno tsunami, mentre
era in coma è entrata in una luce popolata di ombre, un
racconto fatto da molti sopravvissuti. E poi c’è il piccolo
londinese Frankie McLaren, legatissimo al gemello morto
travolto da un’auto, che non sa come andare avanti senza
quel suo alter ego, finché non gli pare che questi si manifesti salvandogli vita. Consapevoli per diversi motivi che
non tutto quel che è in terra si può spiegare e che il mistero fa parte dell’esistenza, queste tre persone non hanno
vocazioni mistiche, esoteriche o religiose: aspirano semmai a sentirsi normali, comprese, a ricevere amore, a non
essere condannate alla solitudine. Piccolo miracolo che si
verifica (...). Per entrare nello spirito dell’ottimo copione
di Morgan, già autore di impeccabili lavori di tutt’altro genere come Frost/Nixon e The Queen, la chiave di volta è
Charles Dickens, che Damon si diletta ad ascoltare letto
da Derek Jacobi. Per quella sua capacità di coniugare con
naturalezza e impegno sociale, realismo e fantasmagoria, il
romanziere vittoriano, che a un certo punto come si sa si
C’è anche Dickens
nell’aldilà di Clint.
avvicinò al paranormale, è in qualche modo l’ispiratore
segreto del film. Il viatico che muove la storia al suo epilogo; e attraverso il quale allo scoccare dei fatidici ottanta,
Eastwood ha scelto di affacciarsi alla soglia dell’inconoscibile, imbastendo con estrema finezza di regia e uno sguardo stoico che non indulge mai al patetico un altro suo bellissimo capitolo di cinema.
Alessandra Levantesi - La Stampa
Presentando
la tessera del Cineforum
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S. Giovanni Lupatoto - Verona
Telefono 045 545724
Marzo 2011
lun 21 ore 20.45
mar 22 ore 21.00
merc 23 ore 21.15
Regia
Raymond De Felitta
~
Interpreti
Andy Garcia, Julianna
Margulies, Steven Strait,
Emily Mortimer, Ezra
Miller, Dominik GarcíaLorido, Alan Arkin, Vernon
Campbell, Lora Chio,
Joseph Cintron, Curtiss
Cook, Yevgeniy Dekhtyar,
Hope Glendon-Ross, Kelvin
Hale, Steven J. Klaszky,
Jennifer Larkin, Adam
Larrabee, Chris Miskiewicz.
~
Anno
USA 2009
~
Genere
Commedia
~
Durata
100’
~
Satellite Awards 2010
Nomination
Migliore attore protagonista
Andy Garcia
City island
S
egreti e bugie. A mezzo fra il dramma e la commedia. L’uno e l’altro con modi tranquilli, senza mai
forzare la mano. Sempre però con gli effetti giusti, per
approdare a risultati di efficacia sicura. Si comincia con Vince Rizzo, di
ascendenze italiane, agente di custodia in un carcere di New York. Un
giorno, verificando la lista dei detenuti appena arrivati, realizza che uno
di loro è un suo figlio nato da una sua
relazione di molti anni prima interrotta subito dopo la sua nascita.
Poiché potrebbe godere del trattamento di libertà vigilata non esita a
prenderlo lui in custodia, portandoselo a casa naturalmente nascondendo
ai suoi quel segreto. Ne nasconde però
anche un altro: aspira a diventare attore e, inventando
varie scuse per certe sue assenze, frequenta una scuola
di recitazione. Non è il solo comunque in quella famiglia a dire bugie (...).
Non basta, c’è la moglie, vistosamente dotata di un
brutto carattere che però si addolcisce quando si vede
arrivare in casa quel giovane sconosciuto (...). Quando
tutti quei nodi verranno al pettine, come, appunto in
certe commedie nel momento in cui ogni intrigo si
svela, non esploderà nessun dramma (anche se sembrava sempre pronto a farsi avanti), tutti invece impareranno a tirare le somme dei risultati cui li avevano
condotti le loro bugie e opteranno per la verità.
Raccogliendone i frutti. Il merito di questo congegno
piacevole che ora mette in ansia, ora, soprattutto, diverte, è di un regista indipendente americano,
Raymond De Felitta, con film alle spalle a suo tempo
apprezzati in vari festival, da quello di Cannes al
Sundance. Personaggi disegnati con cura, ritmi veloci,
climi freschi e vitali, con interpreti al centro tutti ben
guidati. Il protagonista è Andy Garcia, in uno dei suoi
momenti migliori. La pagina in cui si presenta per un
provino merita applausi.
Gian Luigi Rondi - Il Tempo
C
ity Island, scritto e diretto dal regista (e apprezzato pianista jazz) Raymond De Felitta, è uno dei
film presentati al Tribeca Film Festival nella sezione
Encounters, una raccolta di opere di artisti già conosciuti dal pubblico che si mettono alla prova in nuovi
generi o in pellicole indipendenti.
Di fronte alla costa del Bronx esiste una piccola isola
chiamata City Island che rassomiglia a tutte le altre
cittadine marittime del New England. A City Island
abitano i Rizzo e, pur apparendo ad un occhio non attento la tipica famiglia medio borghese, ciascuno di loro nasconde un segreto che non vuole assolutamente
rivelare.
Il padre Vincent, un esilarante Andy Garcia, è una
guardia carceraria, ma desidera cambiare completamente mestiere e diventare un attore (e fuma nel bagno di nascosto...), la madre Gloria, Julianna
Margulies, si prende una cotta per Tony, il galeotto che
il marito ha portato a casa per sistemare il giardino
21
(...), la figlia Vivien è stata cacciata dal college e si
mantiene (...), mentre il figlio minore Vinnie Jr. ha
una passione un tantino feticista (...). Nel momento in
cui Vincent rivela alla famiglia il suo segreto più segreto, con il quale ha potuto fare i conti solo dopo aver accolto a casa il giovane Tony, tutti hanno la possibilità
di confessarsi e di ricominciare da capo.
Il secondino dai mille segreti
che sogna di fare l’attore.
Il film è spassosissimo anche perché le interpretazioni
sono allo stesso tempo leggere e incalzanti come lo sono i dialoghi delle infinite discussioni famigliari. Da
notare nel cast i ruoli cameo di due bravi attori caratteristi, Emily Mortimer (Match Point) e Alan Arkin
(Little Miss Sunshine). Divertentissime sono anche le
situazioni comiche che il regista/sceneggiatore ha
creato per mettere alla prova i suoi personaggi. Alla fine, sarà perché è una commedia, sarà perché i cognomi italiani sottintendono buoni sentimenti e attaccamento alla famiglia, il prevedibile "happy ending" ci
da’ una grande soddisfazione e ci lascia un bel ricordo
del film.
Elena Maria Manzini - FilmUp
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Pieg Cine Marzo_2011:Layout 11/02/11 14.53 Pagina 2
Marzo 2011
lun 28 ore 20.45
mar 29 ore 21.00
merc 30 ore 21.15
Regia
Tom Hooper
~
Interpreti
Colin Firth, Geoffrey Rush,
Helena Bonham Carter,
Guy Pearce, Jennifer Ehle,
Derek Jacobi, Michael
Gambon, Timothy Spall,
Anthony Andrews, Filippo
Delaunay, Dominic
Applewhite, Jasmine Virtue,
Max Callum, Tim Downie,
James Currie, Harry Sims,
Anna Reeve Cook, Mark
Barrows.
Anno
Gran Bretagna,
Australia 2010
~
Genere
Storico
~
Durata
111’
~
Academy Award
Oscar 2011
12 Nominations
Golden Globes 2011
Vincitore miglior attore
Colin Firth
BAFTA Awards 2011
11 Nominations
Il discorso del re
C
i sono stati tempi e luoghi in cui un primo ministro
si dimetteva per non aver capito in tempo la gravità di una situazione politica, in cui il rispetto della carica era più importante della persona che la rappresentava, in cui rivolgendosi alla nazione il suo massimo rappresentante non si scagliava contro neppure il più pericoloso dei nemici ma invitava un intero popolo all’unità e al sacrificio per difendere i valori del proprio paese:
responsabilità, coraggio, abnegazione, decoro, erano
ancora virtù indispensabili per governare. È per questo
che un film fatto benissimo come Il discorso del re oggi
ci commuove (e non solo per la storia, che fa parte della
Storia, comunque degna di lacrimoni) per come il duca
di York, afflitto da una terribile balbuzie proprio negli
anni in cui l’avvento della radio spinse anche i reali a
sottomettersi alla comunicazione di massa, costretto
contro la sua volontà a salire sul trono d’Inghilterra col
nome di Giorgio VI, riuscì almeno in parte a vincere la
sua minorazione e a diventare un monarca rispettato e
amato.
Siamo oggi tutti contenti del prossimo matrimonio del
principe Willam con la
sua bella ragazza Kate,
dopo qualche decennio
di scandalosi eventi nella
famiglia Windsor, a cominciare dagli amori negli anni 50 della principessa Margaret. Allora
era impossibile che un re
sposasse una pluridivorziata, per di più di pessima fama. Ma per poterlo
fare, a pochi mesi dall’incoronazione, Edoardo
VIII (Guy Pearce) preferì
al trono la sua amatissima
e brutta Wally Simspon costringendo il fratello balbuziente a farsi re: di una nazione impoverita, con l’Europa
in preda ai fascismi e alla vigilia della Seconda guerra
mondiale.
C’è una scena chiave nel film, quando Giorgio VI con la
moglie Elizabeth e le due bambine, guardano il filmato
della solenne incoronazione nel dicembre del 1936, cui
segue uno spezzone dove Hitler sbraita uno dei suoi minacciosi discorsi: Margaret chiede al padre cosa dica
quel forsennato e lui risponde, «Non lo so, ma lo dice
bene». Un meraviglioso Colin Firth (ha già vinto il
Golden Globe ed è superfavorito agli Oscar) è il re riluttante, malinconico, impaurito, eppure pieno di dignità se non di alterigia, e capace di scoppi d’ira impotente. La sua balbuzie è curata dai medici di corte con
biglie in bocca e con le sigarette (morirà nel 1952, a 57
anni, di cancro ai polmoni). Dopo un disastroso e incompiuto discorso allo Stadio di Wembley nel 1926,
l’intelligente, innamorata moglie Elizabeth (Helena
Bonham Carter, bella e brava), diventata poi la centenaria e molto influente Regina dai cappellini colorati,
lo porta in una sordida strada di Londra nello studio di
un attore fallito australiano inventatosi logopedista: è
l’ultimo tentativo, come se andassero a Lourdes. Inizia
22
un formidabile duetto-duello tra il rigido membro della
famiglia reale, che non ha mai parlato con un commoner e non ne sopporta la vicinanza, e il cordiale e irrispettoso ometto (il geniale Geoffrey Rush) che pretende di curarlo nel suo studio e non a palazzo, che lo chiama Bertie come un intimo di famiglia, che lo obbliga a
dire parolacce, cantare, stendersi per terra e finalmente
a raccontarsi, in un specie di precipizio psicanalitico, in
cui il futuro re si libera di ciò che non ha mai detto a nessuno: un padre, re Giorgio V, distante, che lo costringe
da mancino a diventare destrorso, le gelide visite quotidiane ai genitori, una nanny perversa, il fratellino preferito epilettico occultato per la vergogna e morto bambino. Si alternano intanto i primi ministri conservatori,
da Baldwin a Chamberlain, intriga l’arcivescovo di
Canterbury (il viscido Derek Jacobi) e pare dalla parte
di Giorgio VI il futuro primo ministro di guerra
Churchill (il che non è vero, a lui piaceva di più
Edoardo VIII).
Quando il 3 settembre del 1939, dopo che l’Inghilterra
ha dichiarato guerra alla Germania, il re si rivolge ai
sudditi inglesie dell’Impero per esaltarli al patriottismo,
davanti a un minaccioso microfono ma anche a Logue
che lo guida come fosse un direttore d’orchestra, finalmente ce la fa con immensa dignità e prestigio. Il regista
inglese ma di madre australiana Tom Hooper, 38 anni,
Il discorso del Re Giorgio VI,
il volto umano del potere.
ha fatto un film nobile, di quelli che raramente si girano
più: visivamente magnifico, con l’aiuto di grandi attori,
e con una splendida sceneggiatura, scritta da David
Seidler, diventato balbuziente da bambino durante la
guerra.
Anni fa era riuscito a consultare i diari di Logue, e aveva chiesto alla Regina Madre il permesso di fare un film
su quella storia straordinaria. «Per favore, non finché
sono in vita, per me sarebbe troppo penoso». La Regina
Madre si è spenta nel 2002.
Natalia Aspesi - La Repubblica
Produzione propria,
Specialità dolci e salate,
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San Giovanni Lupatoto (VR)
Stagione
presenta
2010
201 1
Marzo 2011
lun 7 ore 20.45
mar 8 ore 21.00
merc 9 ore 21.15
Regia
Nigel Cole
Interpreti
Sally Hawkins, Bob Hoskins,
Miranda Richardson,
Geraldine James, Rosamund
Pike,Andrea Riseborough,
Daniel Mays, Jaime Winstone,
Kenneth Cranham, Rupert
Graves.
~
Anno
Gran Bretagna 2010
~
Genere
Drammatico
~
Durata
113’
~
British Academy of Film and
Television Arts Awards 2011
Nomination Miglior
film britannico
Nomination Migliore attrice
non protagonista
Nomination Migliori costumi
Nomination Miglior make-up
e acconciature
British Independent Film
Awards 2010
Nomination Migliore
Sceneggiatura
Nomination Miglior Attrice
Protagonista
Nomination Miglior Attrice
non Protagonista
Nomination Miglior Attore
Non Protagonista
l’altro
inema
C
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S. Giov. Lupatoto (VR)
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cineforum Anno XIX
I FILM VISTI: 1 Mine Vaganti • 2 L’uomo nell’ombra • 3 È complicato • 4 La nostra vita • 5 The last station
• 6 Miral • 7 La passione • 8 Una sconfinata giovinezza • 9 Ragazzi miei • 10 Benvenuti al sud • 11 Stanno tutti
bene • 12 Fair Game - Caccia alla Spia • 13 La donna della mia vita • 14 Una vita tranquilla • 15 Uomini di Dio
• 16 Potiche - La bella statuina • 17 Wall Street - Il Denaro non dorme mai • 18 In un mondo migliore
We want sex 19
E
ccolo il miglior film della stagione. Una sciccheria,
una delizia. Questo sì da non perdere. Una commedia di purissima stoffa inglese in zona Full Monty o
Grazie, signora Thatcher. Per carità, non fatevi fuorviare dallo spiritoso titolo, volutamente malizioso. We
Want Sex è soltanto una parte dello striscione inalberato dalle tenaci protagoniste: gli manca la quarta parola,
Equality, piegata dal vento. Quindi non Vogliamo sesso,
come potrebbe sperare un frettoloso fan di Tinto Brass,
ma Vogliamo la parità dei sessi. Soprattutto in senso salariale. Il regista Nigel Cole è uno che maneggia bene l’umorismo e usa con estrema cura i guanti bianchi, come
dimostrano almeno due dei suoi film precedenti,
Calendar Girl e L’erba di Grace. La storia (vera) si svolge
a Dagenham, nell’Essex, contea orientale
dell’Inghilterra, nel maggio del 1968. Nella fabbrica della Ford, accanto ai 55 mila operai uomini, sgobbano 187
donne, addette alla cucitura dei sedili. È un’ala fatiscente, dove fa un caldo infernale, tanto che spesso volano via
le camicette e restano i reggiseni. Un lavoro faticoso, ma
considerato non qualificato, per antica consuetudine pagato la metà di quello dei maschi. Finché un bel giorno la
giovane e battagliera madre di famiglia Rita O’Grady
(Sally Hawkins, che attrice!) è la prima a tuonare il suo
basta, subito spalleggiata dalle più ardite tra le colleghe,
come Connie, Brenda e Sandra. L’ambiguo capo della
commissione interna Mont Taylor le ostacola, fingendo
di appoggiarle, al contrario del compiaciuto, anche se
non proprio cuordileone, sindacalista Albert (Bob
Hoskins). Pretendiamo la parità e la chiederemo al ministro del Lavoro Barbara Castle (Miranda Richardson). O
sarà sciopero a oltranza. Si ride spesso, anche se in un paio
di scene le lacrime sono in agguato, ma la regia, secca e
senza fronzoli, è pronta a mutare rotta appena si sfiora la
commozione. Se non è un capolavoro, poco ci manca,
grazie anche a un cast straordinario, per talento e simpatia. P.S. Finalmente quando si parla di Escort s’intendono
le auto e basta.
Massimo Bertarelli - Il Giornale
S
embrava lotta di classe, invece era guerra dei sessi.
Proprio così, solo che quella volta non si combatteva
in casa ma in fabbrica (...). E a battersi per ottenere pari
diritti e compenso era un pugno di operaie giovani, agguerrite, incredibilmente unite. Ma soprattutto abba-
In collaborazione con
Comune di
San Giovanni Lupatoto
Assessorato alla Cultura
Film inserito nel programma
stanza inesperte da infischiarsene della politica e di stratege sindacali. Dunque destinate, oggi sembra incredibile, alla vittoria. Applaudito poche settimane fa al festival
La rivoluzione?
Una cosa da donne.
di Roma (...), il nuovo film diretto dal regista di Calendar
Girls e L’erba di Grace, Nigel Cole, è un perfetto esempio
di quelle commedie sociali nei quai gli inglesi sono maestri (...). La formula è collaudata. Prendi un gruppo colorito e decisamente, orgogliosamente minoritario (disoccupati, pensionati, emigranti). Cucigli adosso una vicenda di lotta e riscatto, meglio se vera. Scegli attori (qui attrici) irresistibili, che nel Regno Unito non sono certo
una rarità, e il gioco è fatto. Le operaie toste e simpatiche
di We Want Sex hanno il merito supplementare di essere
guidate dalla carismatica Sally Hawkins, un metro e mezzo di grinta e dolcezza che riesce a fare la guerra in fabbrica senza neanche mandare a rotoli la famiglia.
Conquistandosi per giunta le simpatie di una ministra,
l’unica che capisce cosa passa per la testa di quelle operaie
confinate nell’ala più fatiscente della fabbrica e decise a
ottenere parità salariale, cosa assolutamente inaudita all’epoca (...). Per poi conquistare alla causa, potenza della
solidarietà femminile, perfino la moglie del grande capo,
che da brillante laureata, ingioiellata e frustrata (serve gli
aperitivi al maritino) scavalca d’un balzo le rigide differenze di classe britanniche per portare conforto alle operaie in sciopero. Tanto da andare a trovare la leader nella
sua casa di ringhiera, prestandole perfino un tailleurino
rosa di Biba, nome mitico di quegli anni, per non sfigurare con la ministra. Naturalmente ogni licenza è permessa:
We Want Sex (il titolo nasce da uno striscione srotolato
a metà) non è un documentario, anche se sui titoli di coda sfilano le vere operaie, ieri e oggi (ed erano molto meno allegre delle loro interpreti). L’essenziale è non dimenticare mai lo sguardo maschile, nelle sue varie declinazioni, su quella lotta e sul mondo che svela. E un film
che affida il lato migliore di quello sguardo a Bob
Hoskins, il delegato sindacale incantato dal coraggio e
dalla faccia tosta delle sue colleghe, è un film che si fa
amare da tutti. Senza distinzioni di sesso e di età.
Fabio Ferzetti - Il Messaggero