a cura di ANTONIA MACHEDA - Il Diritto Amministrativo

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L’autotutela della PA in tema di contratti pubblici
A cura di ANTONIA MACHEDA
La pubblica amministrazione, nonostante sia titolare di poteri autoritativi, può decidere di stipulare
contratti avvalendosi del potere privatistico: in tal caso, abbandonerà la supremazia speciale che la
contraddistingue, ponendosi in un rapporto paritario nel sinallagma contrattuale. Tale capacità di
diritto privato, originariamente negata in giurisprudenza, è stata codificata dal legislatore con l’ art
1, c. 1 bis l. 1990 n. 241; inoltre, dietro la spinta delle direttive comunitarie, si è giunti alla
codificazione di un vero e proprio Codice dei Contratti Pubblici (D. Lgs. 2006 n. 163), oggi
sostituito dal D.Lgs. 2016 n.50 che ha dato attuazione alle direttive comunitarie nr. 23-24-25 del
2014. La presente trattazione, partendo dalla particolare struttura degli appalti e delle concessioni, si
soffermerà sulla diversa configurazione del potere di autotutela della PA, anche alla luce del recente
intervento legislativo.
Gli appalti e le concessioni sono i contratti pubblici per eccellenza, la cui disciplina la si rinviene
nel codice dei 2006, oggi sostituito dal recente D.lgs 2016 n. 50. Entrambe le normative recano una
definizione degli appalti e delle concessioni, che sostanzialmente è rimasta invariata; a ben
guardare, però, è mutato il campo di applicazione del codice, alla luce delle direttive comunitarie n.
23-24-25 del 2014. Infatti, mentre nulla è cambiato in materia di appalti, con la nuova normativa la
disciplina comunitaria è stata estesa anche alle concessioni di servizi e di forniture; il previgente
codice, invece, oltre a non prevedere la concessione di forniture, trovava applicazione solo con
riferimento alla concessione di lavori. Inoltre, la concessione di servizi era esclusa ai sensi dell’art.
30 del citato D lgs 2006; a tal proposito, in caso di affidamento, si dovevano rispettare i principi
generali di cui all’art 27 del previgente codice.
Proprio dall’analisi di tali definizioni, è possibile cogliere gli elementi caratterizzanti gli appalti e le
concessioni.
Sotto il profilo formalistico, sono entrambi contratti pubblici che vengono stipulati a seguito
dell’espletamento delle varie fasi della procedura ad evidenza pubblica (latu sensu intesa). Tale
particolare tipologia contrattuale ha, infatti, una struttura bifasica: per un verso, c’e’ la fase
pubblicistica volta ad individuare il migliore offerente (procedura ad evidenza pubblica, latu sensu
intesa) e, per altro verso c’e’ la fase privatistica nella quale l’aggiudicatario stipula il contratto con
la PA. Per pervenire alla scelta del miglior contraente, quindi, l’Amministrazione dovrà seguire un
vero e proprio iter che inizia con l’atto di programmazione e che si conclude con l’aggiudicazione
definitiva. La stipula del contratto, che può avvenire solo decorso il termine di stand still, apre,
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quindi, la distinta fase privatistica. A tal proposito, la giurisprudenza ha precisato che
l’aggiudicazione definitiva non e’ ancora contratto, come sostenuto invece dal rd. 1923 n. 2440;
l’aggiudicazione definitiva ha solo lo scopo di tenere ferma l’offerta dell’aggiudicatario, ai sensi
dell’art. 11, c. 7 d lgs. 2006 n. 164 (oggi art. 32, c. 6 d lgs 2016 n. 50). Tale doppia natura dei
contratti pubblici determina delle rilevanti conseguenze anche in tema di giurisdizione: la
giurisprudenza civile, amministrativa e finanche costituzionale e’ ormai concorde nel ritenere che
sussiste la giurisdizione del G.A, ove la controversia sorga nella fase pubblicistica, mentre sussiste
quella del G.O. nella fase privatistica.
La distinzione tra appalti e concessioni, dunque, non la si rinviene sul piano formale bensì sul
quello economico: mentre nell’appalto il corrispettivo e’ monetario e viene erogato direttamente
dalla p.a, nelle concessioni la PA riconosce solo il diritto di gestire l’opera e/o il servizio ed il
corrispettivo della gestione viene erogato dall’utenza. Inoltre, sotto il profilo del rischio, mentre
nell’appalto tale elemento è del tutto assente poiché l’appaltatore è pagato dalla PA in virtù della
mera esecuzione del contratto, nella concessione il concessionario si assume rischio della perdita
dei capitali investiti, atteso che la gestione viene remunerata dall’utenza. Sul piano strutturale, poi,
l’appalto presuppone una relazione bilaterale tra la pa e l’appaltatore. Viceversa, nella concessione,
il rapporto e’ trilaterale: accanto alla PA concedente e al privato concessionario, vi sono gli utenti
che usufruiscono del servizio e/o dell’opera dietro pagamento del prezzo al concessionario. Come
vedremo meglio più avanti, la concessione, a differenza dell’appalto, è un contratto accessivo al
provvedimento amministrativo di concessione (in tal senso, Ad. Plen. Cons.. Stato 2014 n. 14): da
tale caratteristica ne deriverà, quindi, il peculiare atteggiarsi dell’autotutela della PA anche dopo il
contratto. L’appalto pubblico si distingue, poi, dall’appalto privatistico: mentre l’art. 1655 c.c.
presuppone il requisito dell’organizzazione dei mezzi e della gestione a proprio rischio, nell’appalto
pubblico tali elementi non sono richiesti. Inoltre, mentre nel recesso ex art. 1671 cc, all’appaltatore
deve essere risarcito solo il mancato guadagno, nel caso di recesso da un appalto pubblico il
risarcimento è esteso al 10% del valore dell’appalto non eseguito.
Alla luce delle evidenziate peculiarita’, la struttura bifasica delle concessioni e degli appalti
comporta una diversa configurazione del potere spettante alla PA. A tal proposito, l’Adunanza
Plenaria del Consiglio di Stato, con la citata sentenza 2014 n. 14, ha parlato di autotutela
pubblicistica nella fase precedente il contratto: l’Amministrazione potrà, quindi, esercitare i poteri
previsti dalla l 1990 n. 241. Viceversa, nella fase successiva alla stipula, l’autotutela sarà
privatistica: la PA non potrà, quindi, revocare l’appalto ma dovrà solo recedere dal contratto, ai
sensi del d. lgs. 2016 n. 150. Tuttavia, l’Amministrazione conserva il potere di revoca solo per le
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concessioni: in quanto contratti accessivi del provvedimento amministrativo a monte, le concessioni
potranno, infatti, essere revocate anche dopo la stipula del contratto. Tanto nel caso degli appalti
quanto nel caso delle concessioni, resta comunque fermo il potere della PA di procedere
all’annullamento d’ufficio anche dopo il contratto: si tratta, infatti, di far valere l’illegittimità di un
atto della fase pubblicistica. In tale ipotesi, il contratto verrà caducato automaticamente, a differenza
di quanto accade con l’annullamento giurisdizionale; in quest’ultimo caso, infatti, il giudice, ai sensi
dell’art. 123 cpa, potrà valutare se dichiarare o meno inefficace il contratto.
Passando ora all’analisi dell’autotutela privatistica configurabile dopo il contratto, il codice del
2006 configurava in capo alla PA un potere di recesso e di risoluzione in materia di appalti pubblici.
In particolare, l’art. 134 prevedeva per gli appalti di lavori pubblici un recesso ad nutum della PA;
in tal caso, l’appaltatore aveva diritto al rimborso dei lavori eseguiti, dei materiali utili esistenti e
del decimo dell’importo dei lavori non eseguiti. Secondo alcuni autori, il recesso doveva comunque
applicarsi in via analogica anche per gli appalti di servizi e forniture, malgrado l’omesso rinvio dell’
art. 297 dpr 2010 n. 207; quest’ultima norma, infatti, richiamava solo l’applicazione degli artt. 135 a
140 e non anche l’art 134 in tema di recesso. L’art. 135 prevedeva, poi, il potere privatistico della
PA di risolvere il contratto nel caso di reati accertati e di decadenza dall’attestazione di
qualificazione. Tuttavia, mentre la risoluzione si configurava quale mera proposta a fronte delle
sentenze di condanna, nel caso di decadenza dall’attestazione vi era un obbligo di risoluzione. In
entrambi i casi, l’esercizio di tale potere da parte della PA comportava il diritto dell’appaltatore al
pagamento dei lavori eseguiti, con decurtazione degli oneri aggiuntivi derivanti dallo scioglimento
del contratto. A fronte del grave inadempimento dell’appaltatore, l’art 136 riconosceva, poi, alla PA
il potere di risolvere il contratto: in tal caso, però, era prevista la garanzia del contraddittorio oltre
che il pagamento dei lavori eseguiti. Il codice del 2006 configurava tale autotutela privatistica della
PA anche con riferimento alle concessioni di lavori. L’ art 158 attribuiva alla PA il potere di
risoluzione per inadempimento del concedente e di revoca per motivi di pubblico interesse; in tali
casi, rimaneva fermo il diritto al rimborso del concessionario.
Il codice del 2016, in ossequio ai principi di semplificazione e di soft law, ha snellito la previgente
disciplina.
In tema di appalti, all’art. 108 ha previsto la risoluzione, articolandola in facoltativa, nelle ipotesi di
cui al primo comma, ed obbligatoria, ai sensi del secondo comma; tale norma, che ricalca il
previgente art 135, ha riassorbito anche l’ulteriore previsione del vecchio art. 136 per il caso di
grave inadempimento dell’appaltatore. Il successivo art 109 ha confermato la previsione del recesso
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ad nutum, fermo restando, in ogni caso, il recesso per violazione della disciplina antimafia;
analogamente alla precedente formulazione, in caso di recesso, l’appaltatore avrà diritto al rimborso
dei lavori eseguiti, dei materiali utili esistenti e del decimo dell’importo dei lavori non eseguiti. Con
riferimento alla concessioni, la nuova autotutela si applica anche alle concessioni di servizi e di
forniture e non solo a quella di lavori. Inoltre, il nuovo art. 176 modifica integralmente la previgente
disciplina, distinguendo, tra l’altro, le ipotesi in cui il vizio provenga dal concessionario o
dall’amministrazione. Si avrà, pertanto, cessazione, nel caso in cui l’annullamento sia imputabile al
concessionario; nelle ipotesi di cui al primo comma, tale cessazione si atteggia come un
annullamento d’ufficio. A conferma di ciò, si fa riferimento nel secondo comma all’esclusione
dell’operatività del termine di diciotto mesi per l’esercizio di tale autotutela. Si avrà, poi, la revoca
d’ufficio qualora il vizio non sia imputabile al concessionario e sussistano motivi di interesse
pubblico; in tal caso, al concessionario spetterà il rimborso di cui al comma quarto. Tale indennizzo
spetterà al concessionario anche nel caso di risoluzione per inadempimento dell’amministrazione;
viceversa, se ad essere inadempiente sarà il concessionario, troverà applicazione la disciplina
codicistica di cui all’art 1453 cc.
Passando, ora, alla fase pubblicistica antecedente il contratto, la recente disciplina nulla ha innovato
in merito all’autotutela configurabile in capo alla PA. L’amministrazione, nel corso dell’intera
procedura ad evidenza pubblica latu sensu intesa, potrà esercitare l’autotutela prevista ex l. 1990 n.
291: a fronte di un atto legittimo, potrà revocare il provvedimento ex art. 21 quinquies mentre potrà
procedere all’annullamento d’ufficio ex art 21 nonies a fronte di un atto illegittimo.
Per quanto riguarda, invece, i profili processuali, a fronte di un atto illegittimo e della mancata
autotutela da parte dell’Amministrazione, il privato potrà impugnare l’atto innanzi al G.A o
avvalersi delle procedure alternative alla tutela giurisdizionale di cui agli artt. 205 e segg D lgs 2016
n. 50.
Nel caso di tutela giurisdizionale, viene innanzitutto in rilievo l’art. 120 cpa, per come novellato dal
citato D.lgs. n. 50. La nuova normativa, infatti, ha introdotto un rito “super abbreviato” con
previsione dell’obbligo di impugnare il provvedimento di ammissione e di esclusione; in mancanza
di impugnazione scatterà l’effetto preclusivo e l’offerente non potrà più far valere l’illegittimità
derivata degli atti successivi. Ma in tal modo, l’interesse ad agire in giudizio viene considerato
sussistente ex lege; a causa della futura preclusione, quindi, anche l’offerente ammesso alla gara
sarà onerato ad impugnare l’ammissione degli altri, in netto contrasto con il divieto di gold plating
imposto dalle direttive comunitarie. La norma, quindi, anziché ridurre il contenzioso finisce per
aumentarlo; inoltre, alla luce della recente sentenza della Corte di Giustizia del 2016, il giudice,
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dovrà analizzare tutti i ricorsi, sia principale che incidentale, ancorchè tra loro reciprocamente
escludenti. Sempre con riferimento alla tutela giurisdizionale, è rimasta invariata la tutela cautelare,
ammissibile con gli opportuni adattamenti, anche nel nuovo rito “super abbreviato”. Inoltre, nel
caso di annullamento giurisdizionale dopo la stipula, il giudice potrà discrezionalmente decidere se
dichiarare l’inefficacia del contratto ai sensi dell’art 123 cpa; tuttavia, qualora decida di non
dichiararla, il privato leso dall’atto illegittimo avrà diritto ad un risarcimento per equivalente ex art
124 cpa.
Nel caso di tutela stragiudiziale, permangono gli strumenti alternativi al contenzioso previsti dalla
previgente disciplina; inoltre, l’art 211 del D.lgs 2016 n. 50, introduce il nuovo istituto del parere
precontenzioso Anac . Il primo comma della citata norma prevede la vincolatività del parere
medesimo solo ove le parti abbiano previamente acconsentito a rivolgersi all’ANAC; resta ferma, in
ogni caso, l’impugnabilità di siffatto parere innanzi al G.A. Il secondo comma, invece, prevede che
l’Anac, d’ufficio, possa adottare nei confronti dell’amministrazione un parere-sanzione; in caso di
mancato adeguamento, però, non è prevista alcuna legittimazione dell’Autorità ad agire in giudizio,
sebbene auspicato dal Consiglio di Stato in modo analogo a quanto previsto per l’AGCM dall’art.
21 bis l 1990 n. 287.
Ci si chiede, da ultimo, quale sia la tutela del privato allorquando la PA eserciti i poteri di autotutela
pubblicistici nella fase antecedente la stipula del contratto.
Come innanzi ricordato, nella fase precontrattuale la PA potrà revocare il provvedimento legittimo
ex art. 21 quinquies L. 1990 n. 241 adducendo, però, specifiche sopravvenienze: in tal caso, il
privato avrà diritto ad un indennizzo parametrato al solo danno emergente, tenendo conto delle
specifiche circostanze di cui al c. 1 bis della citata norma. Tuttavia, si potrà anche configurare una
responsabilità precontrattuale dell’amministrazione qualora la revoca sia intervenuta per motivi già
esistenti al momento dell’emanazione del bando: in tal caso, l’aggiudicatario definitivo, titolare non
già di una mera aspettativa ma di un interesse legittimo, potrà far valere il comportamento scorretto
della PA. Viceversa, qualora, invece, l’atto illegittimo consista proprio nello scorretto esercizio
dell’autotutela da parte della PA, il privato potrà impugnare l’atto e far valere la responsabilità
precontrattuale cd. spuria dell’Amministrazione.
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