Verità come relazione, processo conoscitivo umano

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Verità come relazione, processo conoscitivo umano
Dialogo tra fede e cultura nell’insegnamento
Arte e letteratura
I limiti della conoscenza umana lasciano lo spazio a forme di conoscenza che non trovano l’origine
nella ragione umana e neppure nella persona umana o in qualsiasi creatura. Se la conoscenza umana
è limitata, fallibile e sempre perfettibile, è aperto lo spazio a qualunque forma di conoscenza sia in
grado di offrire alla persona umana degli apporti nuovi e controllabili non in se medesimi, ma circa
l’origine di essi. Analogamente a quanto avviene nella conoscenza storica, la quale non può essere
controllata nel contenuto di essa, ma solamente in coloro che la testimoniano e che devono offrire la
possibilità di documentare la loro effettiva capacità di conoscere ciò che testimoniano e la loro
apertura alla verità.
Pertanto emergono varie forme di conoscenza che una persona umana può raggiungere; non
solamente conoscenze controllabili sperimentalmente, ma, pure, non controllabili sperimentalmente,
come lo è qualsiasi conoscenza su ciò che non è sperimentale. E pure a questo livello è importante
stabilire l’origine di ogni conoscenza non sperimentale o non sperimentabile. Il discorso della
distinzione di varie forme di conoscenza e del valore di esse (demarcazione) è decisivo sia per
un’impostazione epistemologica dell’insegnamento delle varie discipline in continua evoluzione, sia
per il dialogo tra fede e cultura.
Quali premesse ricordo anzitutto, in forma sintetica, i limiti della conoscenza umana e
successivamente entro nel problema della demarcazione per giungere al dialogo tra fede e cultura
nell’insegnamento quando si tratta di discipline costruite su conoscenze ottenute con mezzi non
scientifici.
I limiti della conoscenza umana
Il processo conoscitivo competente parte dai limiti della conoscenza umana. Dal pensiero del
Novecento, soprattutto con Karl Popper, abbiamo appreso che la comprensione intellettuale
razionale è un costrutto limitato, fallibile e sempre perfettibile, che va soggetto a falsificazione da
un punto di vista negativo, mentre da un punto di vista positivo si apre ad infinite prospettive e
tentativi di spiegazione, mai definitivi. Il raggiungimento di una falsificazione e una nuova
interpretazione rappresentano un progresso nella conoscenza della realtà.
Quando siamo radicati e centrati sull’esistente, siamo in grado di vedere la strumentalità della
conoscenza umana intellettuale e la sua limitatezza, fallibilità nella perfettibilità.
Questa è la condizione di ogni persona umana. «Io accetto questi limiti perché è impossibile che mi
si faccia responsabile al di là di essi»1.
Dobbiamo operare un rovesciamento nella nostra impostazione della conoscenza: non dall’idea
(esemplare) alla realtà; ma dalla realtà all’idea, mai perfetta, mai pienamente in grado di descrivere
la realtà; mai fondamento, ma derivazione dal fondamento che è l’esistente. Nessuna idea è perfetta
e definitiva; nessuna mente umana può descrivere la realtà in forma definitiva, poiché non esiste un
linguaggio universale; e il mondo logico non ha fondamenti, ma postulati con possibilità di infinite
deduzioni, non necessariamente coerenti (Kurt Gödel).
Il possibile è prolungamento della realtà, non viceversa (Sören Kierkegard); tanto meno ne è il
fondamento. Non è la nostra ragione che fonda la realtà, ma è la realtà che fonda la nostra ragione,
pure per l’immediata constatazione che una ragione non esistente semplicemente non c’è.
Dio non ha bisogno né di una mente e neppure di idee per conoscere: siamo di fronte ad una
proiezione antropomorfica del nostro modo di conoscere Dio; l’enfatizzazione e l’assolutizzazione
della dimensione teorica della conoscenza umana e delle idee ha portato a vederle in Dio stesso.
1
Michael Polanyi, La conoscenza personale, Verso una filosofia post-critica, a cura di Emanuele Riverso, Milano,
Rusconi, 1990, p. 505.
1
Ciò che esiste è il punto di partenza: la relazione della persona umana con la realtà la conduce ad
una apertura intelligente ad essa, appunto perché umana, e ad una comprensione sempre più
profonda, benché limitata e fallibile.
Michael Polanyi spiega: «È autocontraddittorio uscire dalla situazione d’impegno relativa alle fedi
mantenute all’interno di essa, ma pure restare impegnato nelle stesse fedi nel riconoscere come
vero il loro contenuto fattuale. È un nonsenso implicare che noi simultaneamente manteniamo e
non manteniamo la stessa fede e definire la verità come la coincidenza tra la nostra fede effettiva (in
quanto implicata nel nostro fiducioso riferimento ai fatti) e la nostra negazione della stessa fede (in
quanto implicata nel nostro riferimento ad essa quale mero stato della nostra mente riguardante
questi fatti)». 2
Siamo di fronte all’impossibilità di conoscere ciò che ci è esterno, compresa un’altra persona,
astraendo dalla nostra situazione di impegno, dalle nostre convinzioni o credenze.
E nel caso della nostra persona stessa? Friedrich von Hayek scrive nel penultimo paragrafo
dell’Ordine sensoriale: «La possibilità di completare il compito della scienza così da poter spiegare
dettagliatamente il modo in cui il nostro quadro sensoriale del mondo esterno rappresenta le
relazioni esistenti fra le parti di quel mondo, implicherebbe che questa riproduzione del mondo
includesse una riproduzione di quella riproduzione (o un modello del rapporto modello-oggetto), la
quale, a sua volta, dovrebbe includere una riproduzione di quella riproduzione di quella
riproduzione, e così via ad infinitum. Pertanto, l’impossibilità di spiegare interamente qualunque
rappresentazione del mondo esterno elaborata dalla mente comporta anche l’impossibilità di
spiegare interamente il mondo “fenomenico” esterno. La concezione di un simile completamento
del compito della scienza è una vera e propria contraddizione in termini. La ricerca che la scienza si
propone rappresenta, per la sua stessa natura, un compito che non ha mai fine, in cui ogni passo
avanti apre necessariamente nuovi problemi». 3
Il problema della demarcazione
Presentando il controllo di una teoria, ho fatto riferimento soprattutto alle conoscenze umane
ottenute con mezzi scientifici; ho sottolineato entro quali limiti ci è possibile controllare se le
conoscenze umane sono valide; ed ho accolto la falsificabilità come criterio di controllo delle
conoscenze umane sperimentali: possiamo falsificare le nostre conoscenze, ma non verificarle;
l’asimmetria logica tra argomentazione falsificante e argomentazione confermante ci ha portato a
comprendere che non è possibile una conferma definitiva da parte nostra e che la ricerca è sempre
aperta ed i risultati perfettibili.
Dal criterio di falsificabilità perveniamo ora al criterio di demarcazione. Infatti, come spiega Dario
Antiseri, «il criterio di falsificabilità, proposto da Popper, è un criterio di demarcazione tra scienza
empirica e asserti non empirici (matematici, metafisici, religiosi ecc.)» 4.
1. Dal criterio di falsificabilità al criterio di demarcazione
«Il criterio di falsificabilità trova la sua genesi in un confronto – o, se vogliamo, nello scontro – tra
la teoria della relatività da una parte e la teoria marxista della storia, la psicanalisi di Freud e la
psicologia individuale di Alfred Adler dall’altra. E fu proprio il "flusso di conferme che
'verificavano' queste tre ultime teorie", a far sì che Popper arrivasse alla conclusione che "questa
loro apparente forza era in realtà il loro elemento di debolezza" 5. Queste teorie risultavano sempre
verificate. Ma per la teoria della relatività, invece, le cose non stavano così. Se infatti Eddington
non avesse confermato, nel 1919, la previsione einsteiniana della curvatura della luce in presenza di
2
La conoscenza personale. Verso una filosofica post-critica, a cura di Emanuele Riverso, Milano, Rusconi, 1990, p.
479.
3
I fondamenti della psicologia teorica, Introduzione di Heinrich Klüver, Edizione italiana a cura di Francesco Marucci
e Angelo M. Petroni, Milano, Rusconi, 1990, n. 8.97, pp. 275-276 .
4
Dario Antiseri, Trattato di Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, p. 63.
5
Karl R. Popper, La scienza: congetture e confutazioni, in Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 65.
2
corpi pesanti come il Sole, allora le cose si sarebbero messe male per la teoria della relatività.
Esattamente, la riflessione sul confronto tra la teoria della relatività da un lato, e la teoria della
storia di Marx, la psicanalisi di Freud e la psicologia individuale di Adler dall’altro, portò Popper
alla convinzione per cui "una teoria, che non può essere confutata da alcun evento concepibile, non
è scientifica. L’inconfutabilità di una teoria non è (come spesso si crede) un pregio, bensì un
difetto" 6. In sostanza, "il criterio dello stato scientifico di una teoria è la sua falsificabilità,
confutabilità, o controllabilità". E’ in questo modo che Popper ha risolto il problema che lo
interessava, vale a dire il problema "di stabilire una distinzione tra scienza e pseudoscienza pur
sapendo bene che la scienza spesso sbaglia, e che la pseudoscienza può talora, per caso, trovare la
verità" 7. La formulazione del criterio di falsificabilità fu la risposta al problema "dell’opportunità di
distinguere tra un metodo genuinamente empirico e un metodo non empirico o addirittura
pseudoempirico, tale, cioè, che pur facendo appello all’osservazione e all’esperimento, non si
adegui in ogni caso a criteri scientifici: quest’ultimo metodo può esemplificarsi con l’astrologia,
dotata di una straordinaria quantità di testimonianze empiriche, fondate sull’osservazione, gli
oroscopi e le biografie" 8.
Diversamente dai neopositivisti che pretesero non tanto un’efficace demarcazione tra scienza e
metafisica, quanto piuttosto lo scalzamento e l’annichilimento della metafisica 9, Popper non ha,
dunque, proposto un criterio di significanza, bensì un criterio di demarcazione. I neopositivisti
tentarono di eliminare la metafisica lanciandole improperi 10, Popper, invece, ha voluto distinguere
la scienza empirica dalla non-scienza. E’ ben vero che Popper, almeno agli inizi, non ha posto molta
attenzione nel distinguere all’interno della non-scienza tra la metafisica, per esempio, e la
pseudoscienza e tra metafisica e metafisica 11. Ma fin dagli inizi egli fu chiaro sulla sensatezza delle
teorie metafisiche. Nel 1933 (prima della pubblicazione della Logik) in una lettera a Erkenntnis – la
rivista del Wiener Kreis – Popper scrisse: "Appena sentii parlare del nuovo criterio di verificabilità
del significato elaborato dal Circolo gli contrapposi il mio criterio di falsificabilità: un criterio di
demarcazione destinato a demarcare sistemi di asserzioni scientifiche da sistemi perfettamente
significanti di asserzioni metafisiche" 12. E che le teorie metafisiche siano significanti (e non cumuli
di rumori o semplici gridi dell’anima) si può vedere – aggiungeva Popper - "considerando la
questione dal punto di vista storico, giacché la metafisica è la fonte da cui rampollano le teorie delle
scienza empiriche"» 13.
Popper ha posto il problema del controllo delle teorie scientifiche su una asimmetria tra
verificabilità e falsificabilità, asimmetria che risulta dalla forma logica delle asserzioni universali:
“Infinite conferme di una teoria non rendono questa teoria certa; mentre una sola smentita (se non
abbiamo motivi per dubitare dei protocolli e delle ipotesi ausiliarie) rende la teoria logicamente
falsa”» 14. Infatti «la verità può sempre sfuggirci, per quanti siano gli sforzi che facciamo al fine di
afferrarla. E non abbiamo nessun criterio assoluto di verità. Non possediamo nessuno strumento,
nessuna procedura che ci permetta infallibilmente di riconoscere la verità (delle teorie), anche se ci
fosse capitato per caso di aver colto asserti veri, corrispondenti a qualche pezzo o aspetto della
realtà» 15.
6
Karl R. Popper, La scienza: congetture e confutazioni, in Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 65.
Karl R. Popper, La scienza: congetture e confutazioni, in Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, p. 61.
8
Karl R. Popper, La scienza: congetture e confutazioni, in Congetture e confutazioni, Bologna, Il Mulino, 1972, pp. 6162.
9
Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, p. 16.
10
Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, p. 19.
11
Si veda, per esempio, Karl R. Popper, La scienza: congetture e confutazioni, in Congetture e Confutazioni, Bologna,
Il Mulino, !972, pp. 62.68-69. E si consulti anche Karl R. Popper, Replies to My Critics (The Problem of Demarcation),
in P.A. Schilpp (a cura di), The Philosophy of Karl Popper, La Salle (Ill.), Open Court, 1974, vol. 2, pp. 976.978.
12
Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, p. 345 (corsivo di Dario Antiseri).
13
Karl R. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, Einaudi, 1970, p. 349. Vedi Dario Antiseri, Trattato di
Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, pp. 222-223.
14
Dario Antiseri, Trattato di Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, pp. 63-64.
15
Dario Antiseri, Trattato di Metodologia delle Scienze Sociali, Torino, UTET Libreria, 1996, p. 66.
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3
Sulla base di quanto abbiamo finora presentato a riguardo di una teoria generale della conoscenza
umana possiamo distinguere:
 tra conoscenze controllabili e falsificabili sperimentalmente
 e conoscenze non controllabili né falsificabili sperimentalmente.
Questo secondo ordine di conoscenze non controllabili né falsificabili sperimentalmente sono le
conoscenze non sperimentali, le quali, appunto perché non sperimentali, non potranno cadere sotto
il controllo delle scienze sperimentali. Pertanto dobbiamo ammettere conoscenze non controllabili
sperimentalmente, quali possono essere le conoscenze matematiche, metafisiche, religiose, ecc.
Queste ultime conoscenze sono generalmente argomentabili razionalmente e, pertanto, possono
essere falsificabili razionalmente o, di fatto, resistere alle falsificazioni finora proposte.
Tuttavia esistono conoscenze non falsificabili sperimentalmente, le quali, a loro volta, non sono
neppure argomentabili razionalmente, perché risultano superiori alle capacità di qualsiasi ragione
finita.
Di queste conoscenze siamo in grado di controllare, falsificare, unicamente l’origine, non la verità:
sono, per esempio, le conoscenze rivelate che riguardano le Persone divine.
Infine, non possiamo tralasciare un dato elementare: la stragrande maggioranza delle nostre
conoscenze e, spesso, quelle che contano effettivamente di più per la nostra vita, non sono state
ottenute in forma scientifica, né sperimentale, né per argomentazioni razionali e neppure attraverso
un controllo dell’origine di esse. Inoltre, generalmente lepersone umane forse hanno agito – e
continuano ad agire - in base a conoscenze non ottenute o apprese o trasmesse scientificamente,
nelle forme indicate sopra. Basta pensare alla quantità di informazioni che vengono riversate su di
noi ogni giorno in tutte le forme.
Tra le conoscenze non apprese scientificamente sono da distinguere, per esempio, le conoscenze
non controllate in alcuna forma scientifica e le conoscenze per fede, accolte sulla fiducia delle
persone. Di queste ultime posso controllare in modo scientifico l’origine, ma non il contenuto, fino
a che rimarranno di fede.
2. Una demarcazione in base al criterio di controllo delle conoscenze
In sintesi, possiamo pervenire logicamente a distinguere le forme seguenti di conoscenza in base al
criterio di demarcazione:
 conoscenze ottenute con mezzi non scientifici e conoscenze ottenute con mezzi scientifici;
 conoscenze controllabili e falsificabili sperimentalmente e conoscenze non controllabili né
falsificabili sperimentalmente;
 conoscenze criticabili con la ragione umana e conoscenze indecidibili da parte della ragione
umana;
 conoscenze di fede.
Questo tentativo di distinzione, che trae la sua origine dalle ipotesi falsificazioniste di Popper ed ha
trovato sviluppi nell'epistemologia post-popperiana fino all'elaborazione organica in una teoria
unificata del metodo (1984) da parte di Dario Antiseri, è basato sui criteri di controllo delle
conoscenze, non sul contenuto oppure sulla significanza della conoscenza 16.
La teoria della conoscenza, che proponiamo, ha soppiantato la teoria fondazionista del pensiero
moderno. Infatti, una teoria generale della conoscenza, quale risulta dal pensiero del secolo ormai
terminato, vede la ragione umana limitata, fallibile, incapace di fondare e di raggiungere certezze
definitive, sempre perfettibile, in continua ricerca della verità.
La storia documenta pure come le varie epoche abbiano enfatizzato l'una o l'altra forma di
conoscenza umana: la conoscenza attraverso i sensi, il sentimento, il giudizio, l'intuizione,
l'esperienza mistica, la ragione nelle sue molteplici forme, la facoltà del giudizio, la conoscenza per
16
Tale criterio ci permette di qualificare di oscurantismo chi rifiutasse un contenuto di conoscenza unicamente perché
non se ne riconosce - o non se ne vuole riconoscere - la fonte. Il problema della fonte riguarderà, come vedremo,
l’origine di una Rivelazione, che dovrà essere sottoposta a vaglio critico.
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connaturalità, l'esperienza di lavoro o di produzione di un servizio, forme di conoscenza per
principio quantitativamente infinite.
Conoscenze ottenute con mezzi non scientifici
Dopo aver sviluppata la dimensione teorica del problema della demarcazione, avanzando una
proposta in sintonia con Karl Popper e Dario Antiseri, proseguirò nel modo seguente: delineerò
alcune suggestioni per l’insegnamento, con riferimento a singole discipline di studio, iniziando da
discipline che possiedono conoscenze non ottenute con mezzi scientifici.
Poiché, come si è già compreso e verrà immediatamente documentato, si tratta della forma di
conoscenza che coinvolge e rappresenta la tradizione e la cultura di un popolo, mi soffermerò
sull’arte e la letteratura come forme di conoscenza.
Ascoltiamo Dario Antiseri: «Un fatto è certo: noi siamo la nostra tradizione. Conoscere la nostra
tradizione significa in definitiva obbedire all'imperativo socratico “conosci te stesso”, nella
consapevolezza anche della verità profonda per cui solo chi ha una “memoria” può progettare il
proprio futuro. La nostra tradizione è certamente intessuta di fedi religiose e di ideali morali, di
teorie scientifiche e ritrovati tecnologici, di modi di vestire e di tipi di cucina, di stili di
comportamento, di sistemi giuridici e di attività economiche».
La constatazione iniziale ci permette di entrare nel contesto dell’approfondimento che ho proposto:
«Non è però solo questo. E anche, e in modo rilevante, arte e letteratura. Di conseguenza, se ci sta a
cuore sapere chi siamo, questo scopo non è raggiungibile senza un'adeguata conoscenza della storia
dell'arte e della nostra letteratura. "L'arte e la storia" ha scritto Cassirer "sono gli strumenti più
validi per un'indagine sulla natura umana. Senza queste due fonti di informazione, che cosa si
potrebbe conoscere dell'uomo? Si sarebbe rimasti ai dati desumibili dalla nostra vita personale, che
possono fornirci soltanto una visione soggettiva e che nel miglior caso altro non sono se non sparsi
frammenti dello specchio spezzato dell'umanità. Non v'è dubbio che per completare il quadro
suggeritoci da questi dati introspettivi si può anche ricorrere a metodi più oggettivi. Possiamo fare
esperimenti psicologici o raccogliere dati statistici. Ma anche con questo il nostro ritratto dell'uomo
resterebbe sempre non animato, scolorito; il risultato sarebbe soltanto l’'uomo medio', quello delle
nostre relazioni pratiche e sociali. Invece nelle grandi opere d'arte e della storia si comincia a
vedere, dietro queste maschere dell'uomo convenzionale, l'uomo reale, la persona. Per scoprirla
bisogna rifarci dunque ai grandi storici e ai grandi poeti, a drammaturghi come Euripide e
Shakespeare; a scrittori umanistici come Cervantes, Molière e Laurence Stern; a romanzieri come
Dickens, Thackeray, Balzac, Flaubert, Gogol e Dostoevskij (...). Sia la storia che la poesia sono
organi per la conoscenza di sé, strumenti indispensabili per la costituzione del nostro universo
umano"».
Ci sono confermate l’arte e la letteratura non solamente come forme di conoscenza ma quali
«strumenti universali del nostro universo umano». Pertanto, «Senza lo studio della letteratura e
senza lo studio delle opere d'arte sapremmo ben poco dell'uomo e del suo sviluppo. Ecco, dunque,
una prima funzione della storia dell'arte e, più specificamente, della letteratura: la letteratura è uno
strumento di conoscenza. Chi può negare che il Giorno del Parini ci faccia conoscere aspetti reali
della società di quel tempo? L'Elogio della Tolleranza di Voltaire ci fa toccare con mano la crudele
chiusura mentale di certi gruppi religiosi dogmatici e intolleranti. E non è forse vero che gli italiani
sono venuti a conoscenza della mentalità e delle condizioni di vita del Sud molto di più per mezzo
dei romanzi del Verga, piuttosto che tramite le inchieste governative? A questo punto diventa chiaro
che, se la letteratura è strumento di conoscenza e conoscenza essa stessa, allora noi dovremmo
avvicinarci a un testo letterario poetico o narrativo attrezzati, in primo luogo anche se non
esclusivamente, con domande come queste: che cosa mi fa conoscere questo testo? qual è il
messaggio che l'autore ha inteso comunicare? che cosa di nuovo ho appreso leggendo questa poesia
o quel capitolo di romanzo? questo autore mi libera con le sue proposte da vecchie idee e pregiudizi
oppure mi conferma in alcune mie opinioni? So ora qualcosa di più e di meglio su di me, sugli altri,
sui rapporti tra gli uomini, sulla loro storia, sui loro atteggiamenti nei confronti della natura?».
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E procediamo dall’arte e letteratura come strumenti della conoscenza all’arte e letteratura come
forma di conoscenza: «La letteratura è dunque strumento di conoscenza. Ma qui vogliamo anche
aggiungere, senza minimamente presumere di avere in mano una teoria essenzialista e
onnicomprensiva dell'arte e della letteratura, che la grande arte, nel nostro caso la grande letteratura,
è essa stessa conoscenza, rappresentazione della realtà perseguita non attraverso strumenti sintetici.
L'arte e la letteratura ci fanno conoscere il mondo reale (tipi di uomini, rapporti tra uomini, idee e
ideali meschini o grandiosi, crudeli o buoni, situazioni sociali; ed anche realtà fisiche - pensare ai
paesaggi) costruendo mondi possibili che convincono per il loro realismo o che ci fanno vedere la
realtà esistente mettendola in contrasto con mondi di fantasia: Eine Phantasie für die Warhrheit des
Realen, una fantasia per la verità del reale, cioè l'immaginazione produttiva, ecco quanto occorre
all'artista (sebbene non solo a lui, ma anche allo scienziato e allo storico) ha detto Goethe. Sono
questi “mondi inventati” che permettono quel “saper vedere” che per Leonardo era la dote più alta
dell'artista. Ed ecco Novalis: “Tanto più vi è di poesia in una creazione, tanto più vi è di verità”. In
realtà “come conosceremmo tante sfumature delle cose se non fosse per le opere dei grandi pittori e
dei grandi scultori? Del pari, la poesia è la rivelazione della nostra vita personale. Infinite possibilità
vitali da noi di solito vagamente e oscuramente adombrate vengono portate alla luce dal poeta lirico,
dal romanziere e dal drammaturgo. Una tale arte non è affatto una contrapposizione o un semplice
facsimile della vita interiore, bensì una sua manifestazione autentica”. Anche l'arte può venir
definita come un conoscere, solo che si tratta di un conoscere di un genere del tutto particolare. Si
può sottoscrivere il detto di Shaftesbury, che “ogni bellezza è verità”, ma la verità della bellezza
non consiste in una descrizione o in una spiegazione teorica delle cose, consiste piuttosto nella
“visione simpatica di esse” (E. Cassirer)».
Ne consegue che arte e letteratura sono forme di conoscenza. Tuttavia non sono formalmente
spiegazioni scientifiche, anche se, a volte, ne possono contenere.
«L'arte è scoperta, interpretazione della realtà non mediante teorie e spiegazioni scientifiche, bensì
attraverso colori, forme, suoni, drammi, commedie, poesie, favole e così via. Restando al Parini, è
certo che il Giovin Signore è lo scavo, tramite l'ironia, in un tipo di uomo, ed è disprezzo per
determinate scelte morali. E d'altra parte non si può sicuramente negare che il don Abbondio di
Manzoni sia una persuasiva costruzione ideale del vigliacco, un tipo di personalità che la psicologia
descrive in termini analitici. E proprio qui, nello scavo dell'animo umano, nella proposta di idee e di
ideali e nella presentazione (e magari nella critica) di situazioni sociali tramite “linguaggi” nonscientifici, che è forse da trovare la ragione principale che fa grandi i tragici greci, o Dante,
Shakespeare, Dostoevskij o Pirandello. E chi può mettere in dubbio che nei Promessi Sposi si
“argomenta” per un'idea di Provvidenza che è cosa ben diversa da altre grandi idee che, per
esempio, dominano i romanzi di Verga o la poesia di Leopardi?
Senza presumere troppo e senza pensare di avere in mano l'“essenza” dell'arte, possiamo
tranquillamente dire che anch'essa è conoscenza perseguita con mezzi differenti da quelli della
scienza. Talché si impone, a sua volta, la conoscenza di questi strumenti tramite i quali la letteratura
raggiunge i suoi scopi. Si tratta insomma di prendere conoscenza, per esempio, di quelli che sono i
generi letterari. A tal punto, pur non esistendo un genere letterario fisso né potendosi stabilire un
elenco chiuso e completo dei generi letterari, possiamo però ricordare, tra quelli che in prosa sono i
più diffusi e meglio distinguibili: il romanzo, il dramma, la commedia, la novella, la favola, il
pamphlet, l'articolo di giornale; e, in poesia: il poema epico, la lirica, il poema cavalleresco, la
satira, il dramma e la commedia in versi. Un genere letterario può poi ancora meglio specificarsi,
come nel caso del romanzo, che può essere romanzo storico, d'avventura, di fantascienza, d'amore,
autobiografico, poliziesco, e così via. Ovviamente, la prima distinzione da farsi è quella tra poesia e
prosa, dove la poesia si caratterizza, almeno formalmente, per la presenza dei versi, delle rime, delle
strofe.
La scienza è monoglotta; la letteratura - più in genere l'arte - è invece poliglotta. La letteratura si
produce in risultati differenti; per rappresentare e farci conoscere realtà e situazioni disparate
utilizza strumenti e registri linguistici diversi: informa facendoci ridere o commuovere; provoca
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indignazione o disprezzo descrivendo, fa riflettere sulla bontà e la cattiveria umana, sul senso o non
senso della vita, sull'amore e sull'odio, sulla speranza o la disperazione coinvolgendoci con la
commedia; propone morali nella favola; critica costumi e scelte morali inventando un colloquio nel
regno dei morti; irride il potere esistente creando con la fantasia società inesistenti; incarna i
contrasti di idee in lotte tra uomini.
E qui ancora una considerazione. Nei prodotti letterari, come per esempio nei drammi di
Shakespeare, nei personaggi dei Promessi Sposi o nella poesia di Leopardi, il contenuto non è
indifferente al mezzo linguistico. Anzi, si potrebbe dire che il contenuto è quel mezzo linguistico.
Senza la potenza delle parole di Shakespeare, la trama delle vicende nell'Otello, nel Re Lear o nel
Macbeth non farebbero più impressione delle vicende di una cronaca di un giornale. “Il contenuto di
un poema non può venire separato dalla sua forma, dal verso, dalla melodia, dal ritmo. Questi
elementi formali non sono semplici mezzi esteriori e tecnici usati per esprimere una data intuizione,
sono parti della stessa intuizione artistica” (E. Cassirer). In breve: l'interpretazione di qualche
frammento o aspetto della realtà che un artista offre è l'interpretazione che vive e respira solo in
quei colori, in quelle forme, in quelle frasi, in quel dialogo drammatico. Certo, ci possono essere più
“crocifissi”, ma quello di Cimabue è unico; ci possono essere più “assunzioni”, ma unica è quella
del Tiziano; molteplici sono le figure del vigliacco nei drammi e nelle commedie (e anche nei libri
di psicologia), ma don Abbondio è unico, ed è unico perché la sua figura è data e vive nelle parole
del Manzoni. Ben pochi poeti hanno trascurato di parlare degli occhi di una donna, ma con
l'espressione “gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi” riferita a Silvia, Leopardi scopre, rivela,
un'esperienza da molti avvertita e oscuramente adombrata, che forse è impossibile portare alla luce
con altri mezzi.
Tutto questo fa capire perché si può parlare di progresso nella scienza, nel senso del conseguimento
di teorie sempre più potenti dal punto di vista esplicativo e previsivo; mentre non è possibile parlare
nel medesimo senso di progresso nell'arte: l'opera d'arte è un unicum. Qui sta la ragione per cui “a
differenza della grande opera d'arte, la grande teoria (scientifica) resta sempre suscettibile di
miglioramenti” (K. R. Popper). Al pari dello scienziato, anche l'artista usa la fantasia per risolvere i
suoi problemi. E se l'artista nell'esecuzione del suo compito può via via correggere e mutare magari
progetto tramite un processo di autocritica nell'interazione tra piano iniziale, risultati parziali e
strumentazione usata, nella scienza si va avanti soprattutto tramite la critica intersoggettiva. Se
nell'arte si può parlare di progresso all'interno di specifiche concezioni, come per esempio quella
che vede l'arte come imitazione della natura; o si può anche parlare di progresso dei mezzi utilizzati
(pensiamo alla scoperta del contrappunto, della prospettiva o alla strumentazione messa a
disposizione dei pittori dalla chimica dei colori), è certo che nell'arte non c'è un progresso analogo a
quello della scienza. Ogni opera d'arte è un'interpretazione della realtà che vive e viene fruita come
un unicum, ogni teoria scientifica viene al mondo invece al solo scopo di essere superata» 17.
In conclusione, arriviamo a mettere in luce la complessità del processo conoscitivo umano, proprio
documentando che non è riducibile alla ricerca scientifica.
Come suggestione per l’insegnamento della Letteratura italiana propongo Leopardi lettore di
Manzoni 18.
Le tappe del percorso previsto sono le seguenti:
1) Una lettura testuale e contestuale porta a rilevare i contenuti di conoscenza che in forma non
scientifica - cioè non falsificabile sperimentalmente - i due autori propongono nei loro testi letterari.
17
I testi riportati di Dario Antiseri sono tratti da Conosciamo solo tramite la scienza? A che servono l’arte e la
letteratura, in Dario Antiseri, Ragioni della razionalità, vol. I Proposte teoretiche, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2004,
pp. 217-223. L’articolo era uscito precedentemente, in "Medic", 1996, 4, pp. 109-114
18
La proposta di lettura intertestuale de Il risorgimento di Giacomo Leopardi, lettore di Manzoni (da un testo di
Alberico Mattiacci) mette in evidenza le precomprensioni dei due autori: di fede, quella di Manzoni; nei limiti di
un'immanenza, ma che non esclude la fede, quella di Leopardi.
E' nostro compito tracciare un percorso di lettura, nel quale sia attivo il dialogo tra fede e cultura.
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La lettura testuale e contestuale, attivata per mezzo di un metodo ermeneutico - scientifico - porta
non a controllare la verità o la falsità dei contenuti di conoscenza proposti dai due autori, ma se i
contenuti medesimi sono intesi dai due autori nei testi in questione, senza riferimento ai criteri di
controllo nel merito (verità o falsità), che potranno venire attivati successivamente secondo
specifiche strumentazioni, nel rispetto delle demarcazioni da noi individuate.
2) Dalla lettura testuale e contestuale, che abbiamo presupposto, siamo passati alla lettura
intertestuale, che arriva a mettere a confronto i testi dei due Autori: il risultato sarà sempre
un'ulteriore determinazione del contenuto di conoscenza trasmesso dai due autori, non un giudizio
sulla sua validità (verità o falsità).
3) Al termine di una lettura intertestuale siamo in grado di applicare con scientificità i criteri di
controllo della varie forme di conoscenza, demarcando il terreno dell'una da quello dell'altra forma
attraverso due processi:
a) il primo consiste nel confronto tra le due forme di conoscenza attivate dai due autori per
pervenire alla proposta di specifici contenuti o tesi o teorie esplicative;
b) il secondo sottopone al controllo dei criteri delle forme di conoscenza da noi delineate gli
specifici contenuti o tesi o teorie esplicative avanzate dai due autori.
Dopo queste affermazioni metodologiche di indirizzo proviamo a riprendere alcuni punti della
lettura intertestuale, rivedendone al rallentatore i passaggi.
1) La lettura testuale e contestuale - indipendente - ci ha fatto ricostruire, in base ad una
documentazione storica, l'ambiente culturale e religioso, nel quale Giacomo Leopardi ha vissuto
l'infanzia e la giovinezza, decisiva soprattutto per la conoscenza del nostro Poeta. Facciamo
riferimento a:
- L'immagine di Giacomo Leopardi nella scuola, di Bruno Bordignon;
- Letteratura e amore di Alberico Mattiacci;
- Il primo amore di Alberico Mattiacci.
Abbiamo concluso che per Giacomo Leopardi «amore» è il sentimento che lega l'uomo e la donna,
contenuto all'interno di una visione immanente non necessariamente chiusa nella dimensione
meramente terrena.
Di Alessandro Manzoni abbiamo presupposto la sua storia personale e abbiamo colto che Il cinque
maggio è sorretto da una visione di storia della salvezza.
2) Dopo brevi cenni di lettura testuale e contestuale siamo passati alla lettura intertestuale. Ne
riportiamo una parte.
Affermavamo che «le suggestioni» offerte da Il Cinque Maggio trovano un'ulteriore rispondenza
anche nelle ultime ottave del canto V dei Paralipomeni (V, 47):
Bella virtù, qualor di te s'avvede
Come per lieto avvenimento esulta
Lo spirto mio....
(vv. 13)
con l'iterata insistenza sulla bellezza della virtù:
Alla bellezza tua ch'ogni altra eccede
(V, 47, 5)
Né più fra noi la tua beltà sorride?
(V, 48, 4)
Il comportamento magnanimo del prode guerriero Rubatocchi è privo di qualsiasi ombra ed è visto
addirittura in una luce di gloria. Egli, da vero «eroe» nell'episodio epicamente più alto del poemetto,
affronta con coraggio esemplare il nemico e la morte sul campo. Con il suo sacrificio disinteressato
ed eroico il piccolo topo umanizzato, mentre realizza il titanismo agonistico vagheggiato dal
Leopardi nelle canzoni giovanili, sembra quasi preannunciare, sia pure in un contesto poetico molto
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diverso, l'atteggiamento fermo e dignitoso, il pessimismo eroico e consapevole, che sarà espresso
nella Ginestra.
Sembra che Leopardi abbia ricordato in questo epico elogio della virtù, l'attacco manzoniano
dell'inno alla fede vittoriosa de Il Cinque Maggio:
Bella Immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
(vv. 97-98)
In questa occasione l'intertesto non va oltre. C'è una comune situazione elogiativa di partenza che
avrà sviluppi diversi. La virtù leopardiana è qualità dell'uomo, antica; la fede cristiana del Manzoni
implica una dimensione trascendente, dovuta alla Grazia Divina.
La comparazione intertestuale ci porta a rilevare la dimensione semantica di beltà, bella, virtù.
Per il Leopardi virtù è il valore guerresco che porta a donare la vita per un ideale; per Manzoni si
tratta della virtù teologale della Fede.
Beltà, bella vengono attratti nei rispettivi campi semantici di virtù: la luce di gloria della virtù del
guerriero oppure del credente.
L'accostamento della visione immanente leopardiana con la trascendente manzoniana riappare nella
ricerca di Leopardi di un aiuto, periodicamente rinnovata.
Ne Il risorgimento, verificata l'insensibilità della vista e dell'udito alle sollecitazioni provenienti
dalla natura, al poeta non resta che confidare, inutilmente però, nelle inesauribili risorse dell'amore:
E voi, pupille tenere,
Sguardi furtivi, erranti,
Voi de' gentili amanti
Primo, immortale amor,
Ed alla mano offertami
Candida ignuda mano,
Foste voi pure invano
Al duro mio sopor.
(vv. 57-64)
Ecco che nuovamente qualcuno tende la mano per soccorrerlo; a quella (simbolica) di Plotino, si
sostituisce ora una candida ignuda mano di donna. Ritroviamo la possibilità di un confronto con
l'Ode manzoniana
....
ma valida
Venne una man dal cielo
(vv. 87-88)
Il v. 87 ribadisce la dimensione trascendente nella poesia di Manzoni; il testo leopardiano si muove
entro parametri immanenti.
Perché non formulare ora l'ipotesi che l'idea della canzonetta leopardiana abbia trovato la propria
realizzazione artistica perché stimolata dalla lettura dell'Ode e degli Inni manzoniani? In entrambi i
componimenti assistiamo alla delineazione di un percorso storico, simile, e al tempo stesso, diverso.
Simile in quanto definisce tappe, stagioni, periodi della vita umana; diverso poiché diverso è il
contesto di tali definizioni: la storia interiore di un'anima e quella militare-politica e interiore di un
uomo.
Numerosi e sofferti furono i tentativi del Leopardi, di trascrivere la propria esperienza
autobiografica (Diario del primo amore, scritto a Recanati dal 14 Dicembre al 2 gennaio 1818;
Ricordi d'infanzia e di adolescenza, marzo-maggio 1819, Alla vita abbozzata di Silvio Sarno e Alla
vita del Poggio, che risalgono al periodo dei Ricordi), l'ultimo dei quali La storia di un'anima fu
composto nel 1825.
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Leggiamo ora cosa scrive nel proemio di questa storia rimasta incompiuta: «Intitolo questo mio
scritto, istoria di un'anima, perché non intendo narrare se non i casi del mio spirito, e, anche, non ho
al mio racconto altra materia ...».
La storia raccontata da Alessandro Manzoni ne Il Cinque Maggio, apre una nuova prospettiva al
poeta recanatese: non più in prosa, bensì in versi, narrare «i casi dello spirito».
E' naturale che le implicazioni ideologiche, storiche e religiose del Manzoni non siano presenti nella
lirica leopardiana: ciò nonostante forse non è solo un caso che la struttura dei testi, così
compiutamente narrativa, sia loro comune.
Leopardi fu lettore attento dell'opera manzoniana, interessato, sensibile alle immagini, alle parole,
ai ritmi, alle soluzioni linguistiche in essa adottate. E' un importante capitolo della imitazione
leopardiana.
Per concludere, Giorgio Cavallini, ivi, al Canto V, 47, 1:
Non solo i nostri trentamila forti
che nel suo nome tengono il cartello
annota: «Per l'uso dell'epiteto sostantivato Forti, cfr. il primo coro, v. 31 (ed anche v. 61) della
tragedia manzoniana Adelchi:
Udite! Quei forti che tengono il campo...».
Noi aggiungiamo che l'epiteto ha probabilmente origine in Manzoni dalle sue letture bibliche.
Ed ancora, da non tralasciare, l'iterazione del ma anaforico in La Risurrezione di Alessandro
Manzoni:
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
(vv. 103-104)
della descrizione dell'allegrezza pasquale.
E ne Il risorgimento di Giacomo Leopardi:
D'ogni dolcezza vedovo,
Tristo; ma non turbato
Ma placido il mio stato
Il volto era seren.
(vv. 65-68)
del sopore leopardiano.
Finalmente, le rime monte-fonte de La Pentecoste:
Quando, segnal de' popoli,
Ti collocò sul monte,
e ne' tuoi labbri il fonte
Della parola aprì.
(vv. 37-40)
ritorna ne Il risorgimento leopardiano:
Meco ritorna a vivere
La pioggia, il bosco, il monte;
Parla al mio core il fonte,
Meco favella il mar. (vv. 103-104)» (pp. 4-6).
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La comparazione si svolge soprattutto tra mano: della donna amata in Leopardi, di Dio che viene in
soccorso all'uomo in Manzoni; e monte e fonte: in Leopardi denotanti una realtà fisico geografica;
in Manzoni con valore di metafora, il monte con relazione al «monte Sion»; il fonte con relazione
alla «Parola di Dio» mediata dalle acque battesimali.
Viene confermato il campo semantico soggettivo immanente del Leopardi e trascendente del
Manzoni. Ognuno di questi termini viene letto secondo il punti di vista dell'autore e tale punto di
vista costituisce un criterio di controllo. Ma dalla comparazione tra criteri di controllo ne viene il
dialogo tra fede e cultura e tra culture diverse.
Il risultato è un'ulteriore determinazione dei contenuti di conoscenza trasmesso dai due autori, non
un giudizio sulla loro validità (verità o falsità).
3) Ora, al termine di una lettura intertestuale, siamo in grado di applicare con scientificità i criteri di
controllo della varie forme di conoscenza, demarcando il terreno dell'una da quello dell'altra forma.
a) Abbiamo già attuato il confronto tra le due forme di conoscenza attivate dai due autori. Notiamo
che la virtù guerresca e la fede, da una parte; e dall'altra la forza dell'amore umano e dell'amore
divino permettono di dare significato all'esistenza e come tali vengono proposte - non contrapposte
- dai due autori.
Né il Leopardi, proponendo il valore salvifico terreno della virtù guerresca o di realizzazione della
persona dell'amore umano, intende escludere la fede o una salvezza trascendente; né, viceversa, il
Manzoni, muovendosi all'interno di una interpretazione basata sulla Rivelazione cristiana,
presuppone un rifiuto o una distruzione dei valori cantati da Giacomo Leopardi.
b) Il secondo processo esplicita la comparazione e si pone questi problemi asimmetrici:
- che valore hanno la virtù guerresca e l'amore umano dal punto di vista della Rivelazione cristiana?
- che valore hanno la fede e l'amore divino (o la virtù teologale della carità cristiana) dal punto di
vista della ragione umana?
Se la risposta o teoria esplicativa del primo problema è falsificabile solamente dal punto di vista
della fede, la risposta al secondo problema è criticabile dal punto di vista della ragione?
E' evidente che nessuna delle teorie esplicative è falsificabile sperimentalmente.
Ne scaturiscono spunti per i temi in classe, nei quali gli alunni sono chiamati a percorrere l'intero
cammino, compresa l'interpretazione ermeneutica (testuale, contestuale e intertestuale).
E' chiaro che la nostra interpretazione obbedisce a criteri di tipo interpretativo fondati su un
realismo critico e lontani dallo strutturalismo, dagli eccessi del «discorso secondario», dalla
chiacchiera infinita di post-strutturalisti, decostruzionisti e pseudo-psicoanalisti. Per questo motivo
riproponiamo una pagina di George Steiner, che sviluppa la tesi che in tutte le forme espressive
esiste un presupposto di presenza, che trascende il dato del testo.
«In matematica, un sistema assiomatico può provare la sua coerenza soltanto se include almeno un
postulato che non può essere dimostrato all'interno di quel sistema. Descartes scommette sul
presupposto indimostrabile che Dio non ha disegnato un universo fenomenico per ingannare la
ragione umana o per rendere impossibile l'applicazione delle leggi naturali (il disegno
decostruzionista di un cosmos del genere da parte di un "demone della falsità" è perfettamente
concepibile da un punto di vista logico; è l'intuizione anarchica per eccellenza). Kant postula una
disposizione fondamentale di armonia tra la struttura della comprensione umana e la nostra
percezione delle cose; ma non può provare questo postulato. Afferma anzi l'inaccessibilità delle
"cose in sé" e le limitazioni categoriche delle nostre cognizioni. Non esiste elaborazione, non esiste
raffigurazione intuitiva della nostra identità nell'essere, delle nostre relazioni con il mondo, che non
includano almeno un iato nella catena della definizione e della dimostrazione. Non esiste
disposizione mentale rispetto alla consapevolezza e alla "realtà" che non faccia almeno un salto nel
buio (nell'a priori) dell'indimostrabile.
Questo saggio propone una scommessa sulla trascendenza. Vuole mostrare che nell'atto artistico e
nella sua ricezione, nell'esperienza della forma significante, esiste un presupposto di presenza. La
significanza non è un dato invariabile. Ci sono anzi dei vuoti, ci sono "spaccature" ovvero spazi
deliberatamente o patologicamente aperti al "non-senso" in modi dell'enunciazione altrimenti
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intelligibili; ma questi non sono essenziali. Ci sono davvero delle indecifrabilità; ma anche questi
sono fenomeni marginali. Non c'è, non ci può essere limite ai disaccordi e alla revisioni
dell'interpretazione. Ma quando viene affrontato con serietà, il processo di divergenza circoscrive e
chiarifica il campo conteso. A negare sia una parafrasi adeguata sia l'unanimità di giudizio, come ho
già sostenuto, è invece l'irriducibile autonomia della presenza, dell'"alterità" nell'arte e nel testo.
Queste convinzioni, come afferma la filosofia linguistica attuale - quando fa uno sforzo per
mostrarsi educata - "trascendono la verifica". Non possono essere provate né logicamente, né
formalmente, né in base a riscontri oggettivi. La negazione ironica, assurdista o nichilista, è sempre
in agguato, come d'altronde la sospensione della convinzione che agisce nel rifiuto liberale di
esprimere un giudizio. Ma una cosa è chiara: questo "trascendere la verifica" contraddistingue ogni
aspetto essenziale dell'esistenza umana; influenza la concettualizzazione, la comprensione che
abbiamo del nostro avvento alla vita, degli elementi primari della nostra identità e dei nostri
strumenti psichici, della demonologia dell'Eros e della morte [...]. Il paradosso ultimo che definisce
la nostra umanità s'impone: c'è sempre stato e ci sarà sempre un senso in cui noi non sappiamo cosa
proviamo né di cosa parliamo quando proviamo ciò che è e che parliamo di ciò che è. C'è un senso
in cui nessuno discorso umano, per quanto sia analitico, può dare un senso definitivo al senso
stesso.
Ma la scommessa va precisata. Scommetto, nel modo sia cartesiano che pascaliano, sulla pressione
informante di una vera presenza nelle tracce semantiche che generano Edipo Re o Madame Bovary;
nei pigmenti o nei segni del bulino che danno la loro forma esteriore all'altare di Isenheim di
Grünwald o all'Uccello di Brancusi; nelle note, nelle suddivisioni ritmiche, nelle indicazioni di
tempo e di dinamica che materializzano il Quintetto postumo di Schubert. Generazione,
esteriorizzazione, materializzazione: queste sono verbalizzazioni astratte del primario avvento
dell'essere di forme cariche di energia e di significato che nascono interiormente. Sono ripetizioni in
atto, reincarnazioni per mezzi spirituali e tecnici, di ciò che l'uomo, attraverso l'interrogazione, la
solitudine, l'inventiva, la percezioni del tempo e della morte, può intuire del fiat della creazione, dal
quale sono emersi, inspiegabilmente, il sé e il mondo nel quale siamo proiettati.
Che lo vogliamo o no, questi inspiegabili fenomeni banali, travolgenti, e l'imperativo di
interrogazione che definisce l'uomo ci portano molto vicino al trascendente. La poesia, l'arte e la
musica sono i mezzi di questo avvicinamento.
In quanto scommessa sul significato, ogni descrizione dell'atto di lettura nel senso più pieno, come
atto di ricezione e di interiorizzazione di forme significanti, è di tipo metafisico e, in ultima analisi,
teologico. L'attribuzione della bellezza alla verità e al significato deve essere o un vezzo retorico, o
un'affermazione teologica. Si tratta di una teologia, esplicita o soppressa, mascherata o dichiarata,
sostanziale o metaforica, che conferma il presupposto della creatività e della significazione nei
nostri incontri con i testi, con la musica e con l'arte. Il significato del significato è un postulato
trascendente. Leggere il poema responsabilmente ("rispondendogli"), essere responsabili davanti
alla forma, significa scommettere sulla ri-assicurazione del senso. E' una scommessa su una
relazione - tragica, irrequieta, incommensurabile, persino sardonica - tra parola e mondo, ma su una
relazione che è precisamente delimitata da ciò che la ri-assicura. Per i poeti, queste sono cose
chiare. Un Dante, un Hölderlin, un Montale ci parlano senza tregua di quello che la poesia sta
dicendo nel momento esatto in cui le parole le fanno difetto. Così come la luce proiettata dalla
finestra in Vermeer. E tutta la grande musica»19.
19
George Steiner, Vere presenze, Milano, Garzanti, 1992, pp. 202-205 Per la Storia dell’Arte posso inviare, per
esempio, ai tre volumi di Giovanni Reale, Raffaello. La "Scuola di Atene". Una nuova interpretazione dell’affresco, con
il cartone a fronte, Milano, Rusconi, 1997; Raffaello. La "disputa". Una interpretazione filosofica e teologica
dell’affresco con la prima prsentazione analitica dei singoli personaggi e dei particolari simbolici e allegorici
emblematici, Milano, Rusconi, 1998; Raffaello. Il "Parnaso". Una lettura ermeneutica dell’affresco con la prima
presentazione analitica dei personaggi e dei particolari simbolici, Milano Rusconi, 1999.
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