Indagine_successione_report finale
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IMPRESE AL BIVIO IMPRESE AL BIVIO A cura di Francesco Favotto Con Saverio Bozzolan, Martina Gianecchini, Paolo Gubitta, Federica Ricceri, Sandro Sanseverinati Indice 1. Prefazione: vicini alle imprese per una buona successione .......... III 2. Premessa ................................................................................................1 3. Introduzione e sintesi ............................................................................4 4. La successione: un processo tante variabili ....................................10 5. La metodologia della ricerca ..............................................................15 6. Visti da fuori: le tendenze di fondo ....................................................17 7. Tra il dire e il fare .................................................................................37 8. Visti da dentro: i percorsi della successione imprenditoriale ........39 9. L’approccio dei conservatori ..............................................................44 10. L’approccio dei pragmatici..................................................................48 11. L’approccio degli anticipatori..............................................................52 12. L’approccio dei lungimiranti................................................................56 13. Alla ricerca delle buone pratiche? .....................................................59 14. Il gruppo di ricerca ...............................................................................66 15. Appendice - Il questionario.................................................................67 IMPRESE AL BIVIO 1. Prefazione: vicini alle imprese per una buona successione La successione imprenditoriale è un passaggio critico nello sviluppo delle imprese. Un’azienda su tre - secondo studi realizzati su scala nazionale - non sopravvive alla prima generazione. Questo avviene, nella maggior parte dei casi, perché l’imprenditore-fondatore è il perno attorno al quale è costruito il successo del business e la rete di relazioni personali ha un’importanza determinante. L’ingresso della nuova generazione rischia quindi di aprire un periodo di crisi, sia nel business che nei rapporti tra i familiari e i soci. Ma la successione, se gestita in modo corretto, può essere una formidabile occasione di sviluppo. Può innestare in azienda nuove competenze gestionali, per ridurre il gap cognitivo. Può aprire al capitale esterno, favorendo l’evoluzione e la crescita dimensionale. Può introdurre innovazioni di processo e di prodotto, con lo sviluppo della ricerca tecnologica e l’allargamento dei mercati, imprimendo nuovo slancio al brand aziendale. La successione interessa in modo peculiare l’economia del Nordest, che ha l’azienda di famiglia nel DNA e la compenetrazione fra impresa e società tra i fattori di successo e di coesione. La provincia di Padova, in particolare, è un contesto di recente industrializzazione, caratterizzato dal dinamismo di un tessuto diffuso di piccole e medie realtà industriali di prima e seconda generazione, che sperimenteranno a breve (o stanno già sperimentando) le implicazioni gestionali, finanziarie ed emotive del passaggio di testimone. Per cogliere gli atteggiamenti e le percezioni degli imprenditori padovani sulla successione generazionale, ma soprattutto per capire come le imprese hanno affrontato la successione, o si preparano a farlo, il Gruppo Giovani Imprenditori di Unindustria Padova ha realizzato questa ricerca, con la collaborazione scientifica del Dipartimento di Scienze Economiche “Marco Fanno” dell’Università di Padova. È il primo risultato di uno sforzo conoscitivo originale, indispensabile alla successiva messa a punto di azioni di consulenza e di accompagnamento delle imprese nella fase delicata della successione, per consentire un atterraggio morbido, garantire la continuità e la crescita aziendali. IMPRESE AL BIVIO I numeri attirano l’attenzione: un’impresa su tre ha già affrontato la successione, quasi la metà delle imprese (il 45,2%) ci sta pensando. Tra queste, quasi il 70% la prevede in un arco di tempo che va da qui a cinque anni. Dall’analisi, scientificamente articolata, emergono punti di forza, aree di debolezza e soprattutto pratiche eccellenti. Con una propensione al “far da sé” che fino ad ora ha funzionato, ma che ci stimola, come sistema, a fare passi in avanti nella managerializzazione delle imprese e nell’apertura al capitale esterno e, come Associazione, a formulare azioni attive per una successione morbida. La ricerca dimostra come scelte vincenti portino ad una “buona successione”, e suggerisce “buone pratiche” per governare con lungimiranza il fenomeno. Pratiche che possono diventare una bussola per tutti gli imprenditori, per garantire la continuità aziendale ed innestare una marcia in più. Francesco Peghin Presidente Gruppo Giovani Imprenditori Unindustria Padova IMPRESE AL BIVIO 2. Premessa L’occasione offerta dal Gruppo Giovani Imprenditori di Unindustria Padova al Dipartimento di Scienze Economiche “Marco Fanno” di approfondire sul campo il tema della successione nelle imprese padovane ha consentito, da un lato, di affinare il metodo di analisi correntemente usato in ricerche di questo tipo e, dall’altro, di entrare in profondità nelle modalità gestionali e organizzative con le quali il fenomeno viene davvero vissuto nelle singole imprese. Sull’importanza del tema in sé e nell’evoluzione delle singole imprese nonché del tessuto produttivo di un’area come il Nord Est si è soffermato con efficacia il Presidente dei Giovani Imprenditori Francesco Peghin. Nella ricerca sul campo si è cercato di adottare un approccio originale, centrato sulla lettura della successione all’interno dell’evoluzione della strategia di ciascuna impresa. E’ stata una scelta di campo specifica; non quindi una lettura sociologica o psicologica o giuridica o economica o altro, ma squisitamente aziendalistica nel senso che attingendo alle teorie evolutive dell’impresa e alle teorie sulla imprenditorialità ha trattato la ricostruzione e la interpretazione dei modi con cui avvengono le successioni nelle imprese all’interno del divenire delle stesse, della loro storia, della storia dei singoli protagonisti, dei valori di riferimento, delle formule imprenditoriali adottate, degli shock organizzativi, ecc. Questa scelta è motivata sia dall’obiettivo di ricostruire la successione nella reale complessità in cui sempre si presenta, evitando semplificazioni a priori come spesso avviene, sia da quello di estrarre in chiave normativa, attraverso l’analisi delle “best practices”, la individuazione delle leve del governo della successione che risultano più adatte ed efficaci nei diversi contesti per cogliere opportunità o per fronteggiare rischi. La scelta di tale metodo peraltro sconta limiti ben noti. Ogni impresa, infatti, è diversa da ogni altra, ha una sua originalità, identità, sistema dei valori irripetibile e peculiare, come unico e non ripetibile è l’imprenditore che la guida. Gli stessi modelli di business adottati dalle imprese sono, per loro natura, originali e non replicabili. Si è cercato di far fronte a tali limiti operando su due livelli fra loro integrati: Ø l’analisi delle dinamiche di fondo del processo di successione, ottenuta attraverso un questionario a risposte chiuse in cui con domande sullo stato del processo e sulle variabili gestionali prevalenti - tipo assetto societario, sistema di IMPRESE AL BIVIO governo, valori della famiglia, scelte strategiche, cultura, ecc. - si sono ricostruiti i tratti generali del problema-opportunità della successione nell’aggregato delle imprese padovane; Ø lo studio in profondità, via interviste ai vertici aziendali, delle problematiche specifiche e dei comportamenti tipici adottati nella progettazione e nella gestione della successione in trenta imprese che hanno già effettuato il passaggio generazionale o lo stanno affrontando o, per motivi anagrafici legati all’età dell’imprenditore, lo affronteranno negli anni a venire. Le soluzioni adottate sono, naturalmente, le più disparate. Si è trovata una efficace generalizzazione mettendo in relazione due variabili che, pur con accenti differenti, si sono trovate come costanti nei vari casi aziendali, specie riguardo ai confini all’interno dei quali si svolge il processo di successione: il grado di managerializzazione della struttura decisionale e il grado di stabilità del controllo di governo. I risultati ottenuti su entrambi i livelli, che verranno di seguito illustrati nel rapporto, sono interessanti e tali da aggiungere novità non banali alla letteratura sul tema. Qui basti sottolineare quattro “flash”: Ø la successione è largamente percepita dagli imprenditori come un problemaopportunità ad alta priorità; anche nei casi in cui il processo non è ancora stato impostato su base esplicita e razionale appare in modo chiaro che l’imprenditore, in modo più o meno strutturato, ci sta pensando; Ø nelle aziende di seconda o terza generazione la variabile che guida il processo di successione risulta essere la tutela dell’azienda piuttosto che la tutela del patrimonio o della famiglia; è una realtà assai significativa che spiega anche le complessità riportare negli equilibri dei rapporti familiari e personali; Ø risulta diffusa la consapevolezza che il passaggio generazionale debba essere preparato, soprattutto in considerazione della frammentazione della proprietà, e che la “pianificazione della successione” debba avvenire privilegiando nella scelta del successore la continuità della cultura e dei valori dell’azienda, fattori percepiti come garanzia della unitarietà della capacità di controllo da parte della famiglia; IMPRESE AL BIVIO Ø dalla combinazione dei due fattori della managerialità e del controllo sono emerse quattro tipologie di approccio alla successione - le imprese anticipatrici, le imprese lungimiranti, le imprese pragmatiche e le imprese conservatrici – che si presta a ulteriori sviluppi di ricerca sia in chiave territoriale di confronto con altre aree sia di monitoraggio periodico delle linee di sviluppo del processo della successione su base locale. Infine, i migliori complimenti ai componenti il Gruppo di Ricerca per la rigorosità del metodo e la qualità del lavoro svolto nonché i più vivi ringraziamenti all’Ufficio Studi di Unindustria Padova, agli studiosi del Dipartimento di Scienze Economiche “Marco Fanno” coi quali spesso si sono scambiate opinioni e valutazioni, al personale tecnico amministrativo del Dipartimento per il supporto offerto e agli Imprenditori che hanno dato la loro disponibilità ad essere intervistati. Francesco Favotto Coordinatore del Gruppo di Ricerca IMPRESE AL BIVIO 3. Introduzione e sintesi Alcune ricerche condotte a livello nazionale ha nno dimostrato che il mondo del family business appare attraversato da cambiamenti strutturali, che coinvolgono il complesso rapporto famiglia- impresa. I prossimi anni, vedranno numerose imprese familiari impegnate nella gestione della successione imprenditoriale. Le ricerche Doxa-Il Sole 24 Ore (1995), Grant Thornton (1999) e 3i (2001) mostrano che oltre il 40% degli imprenditori italiani ha più di 60 anni e si sta preparando, nell’arco di 5 - 10 anni, a passare il testimone. Altri studi condotti dall’Università Bocconi (1999 e 2001), dall’Università di Udine (1999) e di Padova (2001) e dalla Fondazione CUOA (1999) mettono in evidenza come questa transizione rappresenti un momento critico nell’evoluzione dell’impresa, che può aprire nuove opportunità su differenti fronti: strategico, manageriale e finanziario. Per verificare in che modo stanno affrontando questo processo le imprese della provincia di Padova, è stata condotta un’indagine (sia attraverso questionari postali che interviste dirette) che ha coinvolto complessivamente oltre 160 aziende. Il passaggio generazionale coinvolgerà, nel giro di cinque anni, quasi la metà del campione (45,2%) mentre un’impresa su tre l’ha già superato. La successione, tanto per le imprese che l’hanno sperimentata quanto per quelle che si accingono a farla, è vissuta come un fenomeno complesso, che coinvolge diverse dimensioni della gestione dell’impresa e della famiglia. L’analisi delle aziende che hanno vissuto il processo di successione o che sono in procinto di affrontarlo evidenzia come al momento della successione, le logiche della famiglia e dell’impresa trovino ampie aree di sovrapposizione, relative alle dimensioni delle scelte strategiche, dei processi di gestione e di governance e della cultura e dei valori. La “confusione” tra famiglia ed impresa non rappresenta, comunque, una debolezza. Anzi, se gestita con l’obiettivo di tutelare gli interessi dell’azienda (indicato come prioritario dal 66% degli imprenditori), può costituire un acceleratore della crescita. IMPRESE AL BIVIO La successione, quindi, non deve essere considerata solo come un momento puntuale nella storia dell’impresa, ma come la somma di tutte le scelte imprenditoriali che preparano o seguono l’evento e che hanno effetti (diretti o indiretti) sulla sua riuscita. Tra le imprese vi è la consapevolezza che il passaggio generazionale debba essere preparato (il 48,3% di quelle che lo devono ancora affrontare, lo ha già pianificato), soprattutto in considerazione della possibile frammentazione della proprietà tra i discendenti, e che la pianificazione debba avvenire privilegiando criteri di scelta del successore che garantiscano l’unitarietà del controllo. In sostanza si passa da un controllo de iure sull’azienda, fondato cioè sulla proprietà delle quote di maggioranza, a un controllo de facto, basato sulla cultura, norme, valori che “abitano” nell’impresa familiare e che fanno parte del “patrimonio genetico” dei componenti della famiglia. L’analisi statistico-descrittiva sull’intero campione ha permesso di segnalare alcuni trend riguardanti le variabili coinvolte nel processo di successione. “Mettere ordine”: questa sembra essere la prima dinamica rilevante associata alla transizione generazionale nelle imprese del campione. Le prime fasi di sviluppo dell’impresa, che spesso si accompagnano ad un “caos creativo”, avvengono secondo logiche che non tengono conto di un’efficiente razionalizzazione dei compiti e delle responsabilità. Questo disordine può generare rallentamenti nella crescita e perdita di opportunità di business. Cambiamenti nella strategia, che non sarebbero possibili “in corsa”, possono venire effettuati al momento del cambio al vertice dell’azienda. In particolare le imprese segnalano di voler agire su una migliore focalizzazione delle attività (19,6%), sulla creazione di nuove aree di responsabilità (19,2%) e sulla definizione di nuove regole operative per il funzionamento dei processi gestionali (16,4%). “Dalla guida di uno al governo di molti”: questo il secondo trend evidenziato dalle imprese relativamente ai cambiamenti intervenuti nella gestione e negli assetti di governance. Le aziende familiari analizzate si caratterizzano per avere una proprietà molto concentrata, in cui, in oltre la metà dei casi, il socio di maggioranza possiede più del IMPRESE AL BIVIO 50% del capitale. Lo scorrere delle generazioni agisce sull’assetto proprietario causando un frazionamento della proprietà, che nella maggior parte dei casi rimane in capo ai componenti della famiglia “allargata” (65,9% dei casi), mentre in altri “esce” dal clan familiare e viene acquisita da soci finanziatori (9,8%). La necessità di comporre e mediare i diversi interessi dei soci può essere all’origine di una difficoltà a svolgere con efficacia il processo decisionale. Questa “impasse” decisionale viene superata dalle aziende analizzate passando dalla situazione di comando di un singolo (il “vecchio” leader) ad un gruppo dirigente strutturato in organismi collegiali (consiglio di amministrazione, riunioni formali e informali tra soci e manager) e supportato dalla definizione di nuove regole operative. Nel 23,6% delle imprese che hanno già superato la successione, la transizione si è accompagnata con un potenziamento della funzione consultiva del consiglio di amministrazione, e nel 38,9% con l’istituzione di strutture formali per l’incontro tra soci e manager non familiari. Le dinamiche di sviluppo del business “chiamano” dunque risorse finanziarie e cognitive, che la famiglia non sempre trova all’interno del proprio clan. Con la successione, le “stanze dei bottoni” strategiche e operative dell’impresa familiare, il consiglio di amministrazione e il consiglio direttivo, aprono le porte a portatori di capitale economico (i finanziatori) e di competenze per la crescita (i manager). “Innovazione nella tradizione”: questo è l’ultimo trend rilevante messo in evidenza dai risultati della ricerca relativamente alle dinamiche che coinvolgono la cultura e i valori dell’impresa. Il filo rosso della continuità dei valori di fondo dell’impresa è l’elemento che permette ai cambiame nti che intervengono nella strategia e nella gestione di non “snaturare” il carattere familiare dell’impresa. La capacità di mantenere in vita lo stile di management del predecessore e di perpetuare la vision aziendale sembrano essere le caratteristiche peculiari che l’imprenditore uscente ricerca nel proprio erede, e che, in una scala di importanza crescente da 1 a 5, vengono valutate intorno al 4. Questo criterio di selezione, che porta nove aziende su dieci a scegliere il successore tra i componenti della famiglia attivi nella gestione dell’impresa, non è però disgiunto da valutazioni riguardanti le esigenze di sviluppo del business. Infatti, tra gli elementi maggiormente rilevanti nella scelta, gli imprenditori segnalano la capacità di innovare la IMPRESE AL BIVIO strategia d’impresa (a cui assegnano un valore pari a 3,7) e di apportare nuove competenze (3,6). Per l’erede, guidare la crescita significa non solo innovare ma anche gestire l’innovazione, porsi cioè al comando del gruppo dirigente al vertice l’azienda. Ecco allora che le imprese indicano come indispensabili, tra le abilità imprenditoriali ricercate nel successore, la capacità di decidere (a cui assegnano un valore pari a 4) e di gestire le persone(3,7). L’integrazione della parte statistico-descrittiva (che ha segnalato le tendenze di fondo) con l’analisi approfondita attraverso intervista di 30 casi aziendali, ha permesso di segnalare alcune buone pratiche, che possono trasformare la successione in un’occasione di sviluppo, indicando agli imprenditori e ai lo ro familiari le linee normative da seguire. Tali modelli, tuttavia, non sono sempre efficaci. L’abilità dell’imprenditore e della famiglia consiste proprio nel gestire la coerenza dinamica tra tutte le variabili che influenzano il processo: le svolte strategiche, la cultura e i valori della famiglia e dell’impresa, il livello e i percorsi della managerializzazione, l’assetto della compagine sociale. Un primo gruppo di modelli, emerge dalle imprese (7 casi su 30) che rientrano nel gruppo dei conservatori (imprese poco sviluppate sotto il profilo manageriale e con una medio-bassa stabilità del controllo). Il modello dell’accentratore si ha quando l’impresa è costruita a immagine e somiglianza del leader, che tenta di clonare il successore, nel quale vede implicitamente la proiezione di se stesso. Parlare di successione in questo contesto è “esagerato”, in quanto la nuova generazione vive di “identità riflessa”. Le imprese che adottano questo modello sono potenzialmente a rischio nel momento della successione, sia per l’oggettiva difficoltà di trovare l’erede giusto, sia perché presuppone costanza nelle condizioni interne e competitive. Il modello partecipativo caratterizza le situazioni nelle quali manca la volontà o non ci sono le condizioni per identificare chiaramente un unico leader. La successione, pertanto, apre una lunga trattativa, che consuma risorse e distoglie l’attenzione dalla IMPRESE AL BIVIO strategia d’impresa. Il punto di arrivo è spesso un compromesso, che risponde alle esigenze di chi prende la decisione (la famiglia) e non di colui per il quale la decisione è presa (l’impresa), senza distinguere nettamente il “fine” (continuità e sviluppo dell’impresa) dai “mezzi” (successione all’interno della famiglia, individuazione di un leader non familiare, vendita dell’azienda). Dalla prospettiva dei pragmatici (imprese con un medio-alto sviluppo manageriale e con una medio-bassa stabilità del controllo) (6 casi su 30), si hanno tre modelli: l’autoritario, il direttivo e il saggio. Nel modello autoritario, il leader uscente in qualche modo ostacola la nuova generazione, vuoi per l’ostinazione con la quale rimanda il problema, vuoi per l’inibizione che genera nei potenziali successori. All’interno di queste imprese, progettare la successione è praticamente impossibile. Solo un evento traumatico, sia in termini personali che di business, fa emergere la necessità di affrontare la questione. Nel modello direttivo, invece, il leader, anche se in modo inconsapevole, preme sulla nuova generazione. I potenziali candidati vengono messi nella mischia e coinvolti nella definizione della strategia dell’impresa. Potenzialmente, questo modello facilita l’individuazione del miglior erede. Ma non è privo di rischi. Non tutti i figli possono avere le capacità o l’interesse ad assumere la guida dell’impresa. Saranno gli eventi a segnalare il più adatto. Infine, nel modello saggio, il leader crea le premesse per supportare il successore nell’acquisizione delle competenze gestionali e relazionali necessarie alla conduzione dell’impresa (spesso con la presenza di un manager non familiare, che è uomo di fiducia della vecchia generazione e funge da coach per quella nuova). Si tratta di un approccio efficace, che lascia al candidato il tempo di esprimersi. Il modello degli spregiudicati e dei prudenti caratterizza invece le imprese che rientrano nel gruppo degli anticipatori (imprese con un medio-basso grado di sviluppo manageriale e con una medio-alta stabilità del controllo) (6 casi su 30). Il primo si riassume nel fatto che il successore sarà colui che sa fare, fa e fa sapere. In altri termini, la persona che dimostra di condurre meglio degli altri il business diventerà di fatto il leader. Tale approccio ha il vantaggio di “far parlare i numeri”, ma potrebbe IMPRESE AL BIVIO alimentare comportamenti molto competitivi, non sempre coerenti con gli interessi e le performance dell’organizzazione. Il modello dei prudenti, invece, presenta un maggior grado di coinvolgimento e fa della pianificazione il punto forte del processo di successione. Infine, la prospettiva dei lungimiranti (imprese che hanno contemporaneamente un medio-alto grado di sviluppo manageriale e di stabilità del controllo) (11 casi su 30), con due modelli: quello degli elefanti e quello delle formiche. Il modello degli elefanti è adottato tip icamente dalla aziende di medie dimensioni, che riconoscono nel processo di successione imprenditoriale un passaggio critico. Per questo motivo, si pongono nella condizione di guidare e non di farsi guidare dagli eventi. E non si tratta di retorica: la successione si affronta in incontri ad hoc; il processo viene definito in piani più o meno formalizzati, ma in ogni caso esplicitati e condivisi; si realizzano specifici interventi in termini di assetto proprietario e di sviluppo manageriale. Il modello delle formiche è invece tipico delle aziende di minori dimensioni che, pur associando un elevato grado di criticità al processo di successione imprenditoriale, non prevedono piani formalizzati o espliciti per la sua gestione e spesso non affrontano “di petto” la situazione. Ciò non si traduce in pressappochismo e impreparazione di fronte all’ingresso del nuovo leader. Il processo di successione avviene in modo graduale, talvolta anche involontariamente. In ogni caso, dopo aver individuato il leader, l’inserimento avviene spesso per prova ed errore, sia sotto il profilo gestionale (adozione di nuove pratiche manageriali), che nell’articolazione dei modelli di governance (creazione di comitati direttivi, “scoperta” o “riscoperta” del ruolo istituzionale del consiglio di amministrazione), che dell’assetto proprietario. IMPRESE AL BIVIO 4. La successione: un processo tante variabili Ricerche empiriche hanno posto in evidenza come la successione generazionale sia un passaggio critico nell’evoluzione di un’azienda ma anche un momento che può aprire nuove opportunità su differenti prospettive: strategiche, manageriali e finanziarie. Da uno studio condotto dalla Sda Bocconi nel 1999 è emerso che il passaggio generazionale non rientra nell’ambito delle priorità di un imprenditore nella gestione della propria azienda, anche in situazioni che, per momento storico, lo richiederebbero. Il processo di successione viene spesso tradotto in modo semplificato e semplicistico come problema di avvicendamento padre- figlio. Una seconda ricerca condotta nel 1999 1 , su un campione di 150 piccole e medie imprese del Friuli Venezia Giulia evidenzia invece come il processo di transizione generazionale comporti rilevanti cambiamenti nei meccanismi di governo delle imprese. Lo studio dimostra che nelle imprese appartenenti a settori ad alto tasso di innovazione, caratterizzate cioè dall’impiego di tecnologie avanzate nei processi produttivi, la transizione generazionale implica l’apertura del capitale a terzi e l’inserimento di membri esterni nei board delle imprese, al fine di pianificare il processo di successione. Una terza ricerca effettuata da 3i (2001) ha posto in maggiore evidenza quest’ultimo fenomeno: le imprese familiari stanno cominciando a scoprire manager e consulenti. Poco più della metà delle aziende analizzate ritiene sia importante inserire almeno un manager in posizione dominante. Si attenua quindi la figura dell’azienda condizionata da un solo uomo; emerge al contempo la rilevanza di un processo di successione delicato, che si fonda sulla fiducia della famiglia nel management al quale viene delegato il governo “della propria creatura”. Il passaggio generazionale si caratterizza quindi per essere un processo complesso che coinvolge diverse dimensioni della gestione dell’impresa e della famiglia 2 e che investe l’intero mondo del family business, sia di piccola che di medio- grande dimensione 3 . Concepire la successione come processo che, con l’obiettivo di garantire continuità 1 COMPAGNO C., PITTINO D., 2001, “Rigidità e flessibilità dei meccanismi di coordinamento interorganizzativo nei distretti”, in COSTA G. (a cura di), Flessibilità e performance, ISEDI, Torino 2 COSTA G., GUBITTA P. (a cura di), 1999, Dossier: Strategia e sviluppo delle imprese del Nordest, in CUOA Rivista, 2, settembre 3 BRUNETTI G., CORBETTA G., 1998, “Ruolo e funzionamento dei consigli di amministrazione nelle imprese di medie e grandi dimensioni a proprietà familiare”, sta in A IROLDI G., FORESTIERI G. (a cura di), Corporate Governance. Analisi e prospettive del caso italiano, Etas, Milano IMPRESE AL BIVIO all’impresa, perviene alla delega della responsabilità attinente al ruolo imprenditoriale 4 , implica considerare non solo il momento in cui passa il testimone, ma anche tutte le decisioni che precedono e seguono l’evento ed hanno effetti (diretti o indiretti) sulla sua efficacia. 4.1. Le svolte strategiche In primo luogo, è opportuno considerare le scelte strategiche, azioni che per il grado di specificità e complessità, per l'impegno di risorse materiali e finanziarie generano effetti irreversibili. Si pensi, ad esempio, alla decisione di entrare in un nuovo mercato, all’apertura di un nuovo stabilimento, all’ampliamento del portafoglio prodotti. Oppure, se si è in fase di ristrutturazione, all’abbandono di un mercato, alla chiusura di un sito produttivo o commerciale, alla concentrazione su uno o pochi core products o services. In tutti questi casi, per l’impresa si aprono nuove opportunità, ma nello stesso tempo l’organizzazione (le sue strutture, i suoi sistemi operativi, le sue persone) è sottoposta a pressioni, vuoi per tenere il passo con la crescita, vuoi per ridefinire i ruoli delle persone e riallocare le risorse tra le varie aree. Le svolte strategiche rappresentano uno straordinario strumento per razionalizzare ex post le dinamiche della successione. Il successo o l’insuccesso di queste decisioni, infatti, rappresenta: Ø un indicatore del “fiuto imprenditoriale” di chi le ha prese, Ø un esempio della qualità delle decisioni e dei processi decisionali, Ø uno strumento per apprendere. Collocare il “passaggio del testimone” sullo sfondo delle svolte strategiche, pertanto, aiuta a comprendere come e perché la successione è avvenuta in un certo modo. 4.2. La gestione e la governance Il coinvolgimento nella gestione di manager5 non appartenenti al nucleo familiare rappresenta il secondo elemento critico per comprendere le dinamiche della successione. 4 CORBETTA G., 1995, Le imprese familiari, Egea, Milano Per manager si intende una persona che gestisce risorse (umane, finanziarie e informative), ha la responsabilità, più o meno ampia, su fenomeni e altri eventi dell’impresa e prende decisioni complesse (anche se non necessariamente di rilevanza strategica). Si pensi al direttore di stabilimento, al direttore commerciale, al responsabile amministrativo. 5 IMPRESE AL BIVIO È evidente che affidare la responsabilità di una unità organizzativa a terzi può derivare da vari motivi. Da una parte, potrebbe trattarsi del modo con cui l’imprenditore ridefinisce il proprio ruolo 6 . La crescita dimensionale, ad esempio, potrebbe saturare le sue risorse “fisiche”, per cui risulta efficiente focalizzare l’attenzione sulle decisioni strategiche, delegando quelle tattiche (che influenzano la gestione day by day del business) ad altre persone. Se il numero dei familiari pronti (sia sotto il profilo anagrafico che delle competenze) non è sufficiente, assumere manager non familiari diventa indispensabile. Dall’altra, invece, l’inserimento dei manager amplia il portafoglio di competenze dell’impresa, nel senso che apporta “nuovo sapere” e “nuovo saper fare” che la famiglia non presidia, ma di cui necessita per gestire la complessità del business. Si è in presenza, quindi, di un gap cognitivo che deriva o dalle svolte strategiche o dall’evoluzione dell’ambiente (mercati, tecnologie, istituzioni) che sfugge al controllo dell’imprenditore 7 . In entrambi i casi, la managerializzazione della gestione si accompagna alla necessità di esplicitare le regole organizzative. Si pensi, ad esempio, al sistema premiante o alla pianificazione delle carriere. Le “norme della famiglia”, come è noto, sono spesso diverse dalle “regole dell’impresa”. La successione imprenditoriale genera attese di sviluppo tanto tra i familiari, quanto tra i manager non familiari8 . Se le regole sono ambigue, c’è il concreto rischio di generare: Ø conflitto tra “gli aventi diritto” (a un “ruolo nell’azienda di famiglia”, a una opportunità “per dimostrare di valere”, o più semplicemente “a una retribuzione”), Ø insoddisfazione tra i manager non familiari che apportano competenze diverse da quelle della famiglia, i quali potrebbero optare per l’uscita, privando l’azienda (e la famiglia) delle loro competenze. Emergono, quindi, due precise indicazioni per la gestione della successione: non basta progettare sistemi operativi il più possibile equi, ma è necessario anche comunicare i criteri di scelta. 6 PRETI P., 1999, Da un uomo solo al comando al gruppo dirigente, Egea, Milano COSTA G. (a cura di), 2001, Flessibilità e Performance, ISEDI, Torino 8 M ONTEMERLO D., 2000, Il governo delle imprese familiari, Egea, Milano 7 IMPRESE AL BIVIO Strettamente connessa alla managerializzazione è la progettazione delle strutture di governance, cioè di un sistema articolato e coerente di regole formali e informali, di strutture collegiali e individuali, di processi decisionali che: coinvolgano gli attori che apportano le risorse critiche per lo sviluppo dell’organizzazione; assicurino la direzione, il controllo e l’accountability della stessa. In altre parole, l’imprenditore e la sua famiglia dovrebbero definire: Ø quali organi devono prendere le decisioni strategiche e quali devono implementare le stesse, Ø chi partecipa agli organi di governo, Ø come controllare i manager (familiari e non) che occupano posizioni di responsabilità nell’impresa. È evidente, infatti, che i familiari che “non trovano posto nella gestione” per mancanza di opportunità (sono troppo numerosi rispetto alle posizioni organizzative disponibili) o per carenza di competenze possono veder soddisfatte le loro attese partecipando agli organi che in qualche modo tutelano i loro diritti di “proprietari”. In mancanza di questa possibilità, si genera conflitto o si rende necessario liquidare i familiari “delusi” (con conseguente emorragia di risorse finanziarie, distolte dallo sviluppo del business). Da ultimo, va considerato che anche i manager non familiari che “trovano posto nella gestione”, potrebbero avere “attese di partecipazione agli organi di governo”, in relazione alla loro criticità nella gestione dell’impresa. 4.3. La cultura e i valori L’ultima variabile considerata si riferisce alla cultura e ai valori della famiglia. Si tratta dei principi di fondo che non si possono mai mettere in discussione e che, in quanto tali, sono implicitamente assunti in tutte le decisioni aziendali. Le svolte strategiche, i percorsi della managerializzazione e l’assetto di governance sarebbero incomprensibili se non si considerano questi elementi. La pregnanza dei valori della famiglia non assume di per sé valore positivo o negativo. In alcuni contesti, “tenere fermi i valori tradizionali” rappresenta una condizione necessaria per il successo del business. In altri, invece, è la capacità di ibridare lentamente la cultura familiare (e organizzativa) con nuovi principi, apportati dal management o ricavabili dall’evoluzione ambientale, a garantire la continuità dell’impresa. IMPRESE AL BIVIO La corretta progettazione e gestione della successione imprenditoriale, pertanto, deriva dalla coerenza dinamica tra questa componente e le altre precedentemente descritte. E su questo punto, gioca un ruolo chiave l’imprenditore, il leader dell’impresa, la persona che rappresenta lo snodo critico del network sociale (gestione delle relazioni all’interno della famiglia) e del network economico (gestione delle relazioni tra l’impresa e tutti gli attori che interagiscono con essa). IMPRESE AL BIVIO 5. La metodologia della ricerca La metodologia utilizzata nella ricerca è stata duplice in funzione degli scopi conoscitivi dell’analisi. La prima di carattere statistico – descrittivo e condotta attraverso un questionario, aveva la finalità di individuare la portata e le dinamiche di fondo del fenomeno della successione; la seconda aveva l’obiettivo di evidenziare problematiche specifiche e comportamenti tipici adottati nella gestione o nella progettazione della successione, e ha utilizzato la metodologia dell’analisi dei casi. Il questionario 9 , a risposte chiuse, è stato inviato alle aziende iscritte ad Unindustria Padova con un fatturato nel 2001 superiore a 1 milione di euro (circa 1.200). Il questionario è stato strutturato in tre sezioni. La prima, di carattere generale, è stata orientata verso l’individuazione del profilo dell’azienda rispondente e ha riguardato informazioni storico – anagrafiche, la struttura dell’assetto proprietario e i meccanismi di funzionamento che caratterizzano lo svolgimento dei processi decisionali. In particolare sono state rilevate informazioni di natura descrittiva relativamente a variabili come fatturato, settore, dimensione, struttura organizzativa e altre relative alla presenza di un management professionale, il ruolo del consiglio di amministrazione e i principi di fondo che guidano le decisioni in azienda. La seconda e la terza sezione sono state più specificatamente orientate all’analisi del fenomeno della successione: nella sezione 2 si è analizzato il fenomeno successione nelle aziende che hanno dichiarato di averlo già affrontato; nella sezione 3 il fenomeno successione è stato studiato nelle aziende che devono ancora affrontarlo. Le dimensioni analizzate hanno riguardato tre elementi: il cambiamento effettivo e/o ipotizzato sull’assetto proprietario, il cambiamento nello svolgimento dei processi decisionali in termini di strutture organizzative e di soggetti coinvolti; le variabili che hanno determinato la scelta del successore. Il tasso di risposta al questionario inviato è stato attorno al 10% (126 aziende hanno restituito il questionario compilato), una percentuale in linea con le indagini postali. I dati ottenuti sono stati analizzati, utilizzando alcuni semplici metodi statistici (coefficienti di correlazioni e test di associazione) al fine di evidenziare alcuni elementi relativi alla dimensione del fenomeno e le relazioni tra le quattro dimensioni chiave poste alla base della ricerca: cultura e valori, finanza, direzione, strategia. 9 Il questionario è riportato in Appendice. IMPRESE AL BIVIO Queste tendenze di fondo, sono state analizzate in profondità e calate nei diversi contesti organizzativi tramite l’analisi di 30 casi aziendali. I dati sono stati raccolti con una intervista semi-strutturata, condotta dai componenti del team della ricerca e che ha coinvolto gli imprenditori che hanno passato o stanno passando “il testimone” al successore e quelli che “hanno ricevuto il testimone” da un familiare. Relativamente ai tempi di svolgimento della ricerca, il questionario è stato predisposto tra la metà di febbraio e la metà di marzo del 2002; l’invio è avvenuto attorno al 20 marzo, l’ultimo questionario è stato ricevuto il 10 maggio. Le interviste per l’analisi dei casi sono state effettuate dal 10 aprile al 10 maggio 2002. IMPRESE AL BIVIO 6. Visti da fuori: le tendenze di fondo Le risposte ottenute ai questionari provengono da un insieme di imprese le cui caratteristiche settoriali e dimensionali approssimano abbastanza fedelmente la composizione dell'universo di riferimento delle imprese iscritte a Unindustria Padova. I settori maggiormente rappresentati sono quelli “tradizionali”: il metalmeccanico (33,6% del campione), l'edile (8%), i servizi alle imprese (8%), il legno e arredo (7,2%) (Tavola 1). Tavola 1 Composizione del campione per settore di appartenenza delle imprese Settore Metalmeccanica Edilizia Servizi alle imprese Legno e arredo Alimentari Commercio Gomma e materie plastiche Altre Abbigliamento Chimica Grafica e cartotecnica Installatori Tessile artificiale Energia e gas Materiali da costruzione Calzature Cartiere Manufatti in cemento Sanità % 33,6% 8,0% 8,0% 7,2% 6,4% 6,4% 5,6% 4,8% 3,2% 3,2% 2,4% 2,4% 2,4% 1,6% 1,6% 0,8% 0,8% 0,8% 0,8% La quasi totalità delle imprese è strutturata sotto forma di società di capitali (52,4% società per azioni, 30,1% società a responsabilità limitata). L’analisi è stata condotta relativamente alle aziende che hanno conseguito un fatturato nel 2001 maggiore di un milione di euro e il campione selezionato si caratterizza per una dimensione media ridotta. Infatti, il 47,8% delle imprese ha un fatturato per il 2001 compreso tra 1 e 5 milioni di euro, il 27,4% tra 5 e 13 milioni di euro, il 24,8% supera la soglia dei 13 milioni di euro. Relativamente al numero di dipendenti, l’organico medio è di 63 persone: il 41,3% delle imprese ha meno di 25 dipendenti, il 32,5% tra 26 e 50, il 26,1% oltre 50 dipendenti (Tavola 2). IMPRESE AL BIVIO Tavola 2 La dimensione delle imprese: fatturato e numero di dipendenti Fatturato 2001 Meno di 5 mil € Da 5 a 13 mil € Da 13 a 25 mil € Da 25 a 50 mil € Oltre 50 mil € 47,8% 27,4% 8,0% 8,0% 8,8% Numero di dipendenti Fino a 10 12,7% Da 11 a 25 28,6% Da 26 a 50 32,5% Da 51 a 100 11,9% Oltre 100 14,2% L’età media delle imprese è di 35 anni: il campione è distribuito uniformemente nelle diverse classi di età, con una percentuale elevata anche di imprese giovanissime (19%) costituite dopo il 1990. La maggiore percentuale di imprenditori con oltre 65 anni di età (46,2%) è concentrata nelle imprese costituite tra il 1950 ed il 1970: sembra questa la classe a maggior “rischio successione” dal momento che nelle imprese di più recente costituzione o in quelle fondate prima della metà del secolo scorso l’età media degli imprenditori è inferiore ai 40 anni. Da porre in evidenza il carattere familiare dell’assetto proprietario delle aziende analizzate, in quanto nel 52,1% i soci appartengono allo stesso nucleo familiare. A questa percentuale bisogna aggiungere il 23,1% delle imprese in cui il capitale sociale è in mano a più nuclei familiari uniti da legami di parentela, a conferma della forza dei vincoli di sangue nell’allocazione della proprietà (famiglia allargata), mentre nel restante 24,8% dei casi i soci appartengono a famiglie che non hanno un legame di parentela tra loro. All’interno di questo quadro il numero medio dei soci è molto ridotto: circa l’85% delle aziende analizzate si caratterizza per avere un numero di soci inferiore a cinque e solamente il 7% delle aziende presenta un assetto proprietario composto da più di 10 soci. Le compagini sociali si caratterizzano per un elevato grado di concentrazione: nel 52% delle imprese il primo socio possiede la maggioranza assoluta del capitale e in nessun caso il pacchetto di controllo scende al di sotto del 10%. Il ruolo della famiglia nel controllo delle quote non appare comunque un vincolo che rende l’impresa “miope” nella gestione del proprio processo di sviluppo dimensionale: 2 imprese su 10 segnalano infatti la presenza di un investitore istituzionale in grado, con i propri capitali, di sostenere la crescita. Relativamente alla composizione della squadra manageriale, l’articolazione orizzontale della struttura organizzativa prevede in media la presenza di 8 funzioni o unità organizzative (in alcuni casi non esplicitamente formalizzate), 3 guidate da manager non IMPRESE AL BIVIO familiari e 5 da componenti della famiglia. In particolare, la famiglia proprietaria presidia le funzioni di confine (commerciale, marketing e acquisti) e la gestione amministrativa dell’impresa. Ai manager non familiari è affidata la gestione delle funzioni tecniche: produzione e logistica, progettazione e R&S. Il questionario si è poi concentrato sull’analisi delle strutture collegiali (consiglio di famiglia, consiglio di amministrazione e comitato direttivo) e dei processi attraverso cui si esercita il governo economico, ossia si prendono le decisioni aziendali di fondo in merito alle combinazioni economiche. Il consiglio di famiglia, è un organo tipicamente composto da tutti i familiari proprietari del capitale di un’impresa. Si riunisce periodicamente per discutere i problemi riguardanti la famiglia proprietaria e le relazioni tra famiglia e impresa. Esso è presente nel 72,5% delle aziende, a fianco degli altri organi istituzionali giuridicamente riconosciuti, quali l’Assemblea dei soci o il consiglio di amministrazione. In alcune imprese il suo ruolo va oltre il semplice supporto alla gestione aziendale, dal momento che si sostituisce al consiglio di amministrazione. Il consiglio di amministrazione ha una dimensione media molto ridotta e si caratterizza per essere sotto il diretto controllo della famiglia proprietaria: è composto in media da 3,5 persone, di cui il 71,2% appartiene al gruppo dei familiari attivi nella gestione, il 7,4% rappresenta gli interessi dei familiari non coinvolti in azienda, il restante 21,4% difende le istanze di stakeholder non familiari. Questa struttura è quella cui le imprese delegano il controllo dei risultati reddituali e nella quale vengono definite le linee di sviluppo strategico di lungo termine (Tavola 3). Tavola 3 Le decisioni oggetto delle riunioni del consiglio di amministrazione* Decisioni CdA % prodotti/mercati 46,8% obiettivi di lungo termine 63,5% assetto organizzativo 39,7% risultati reddituali 75,4% Fonti di finanziamento 23,8% Questioni familiari non di business 3,2% *La somma della percentuali è maggiore di 100 perché era prevista la possibilità di risposta multipla Tra gli organi di governance particolare rilievo assume il comitato direttivo, una struttura collegiale composta generalmente da rappresentanti del management, cui sono IMPRESE AL BIVIO delegate le decisioni di gestione quotidiana dell’impresa. Presente nel 92,7% delle imprese, è l’organo in cui i manager non familiari gestiscono il loro spazio decisionale: infatti è composto in media da 4 persone, di cui 3 manager non familiari e 1 familiare attivo nella gestione. Le aziende del campione mostrano quindi di strutturarsi secondo logiche che privilegiano il ruolo della famiglia nella gestione dell’impresa. Questo principio è un valore riconosciuto dagli imprenditori che mettono al primo posto, tra i principi da non mettere in discussione nelle decisioni aziendali, quello della salvaguardia del patrimonio familiare (66%), seguito dal riconoscimento dei familiari più competenti (59%) e dal controllo della famiglia sull’impresa (55%) (Tavola 4). Tavola 4 I principi da non mettere in discussione nelle decisioni azie ndali 66% 59% 55% 52% 37% 33% famiglia deve controllare impresa famiglia deve gestire l'impresa salvaguardia patrimonio familiare unità e accordo tra stesse opportunità premiare familiari famiglie per familiari più competenti Il campione generale delle 126 imprese che hanno risposto al questionario, è stato suddiviso in tre gruppi significativi rispetto al problema oggetto della ricerca: le imprese che hanno già superato un passaggio generazionale, quelle che hanno in previsione di affrontarlo, quelle che non lo percepiscono come un problema da gestire nel breve o medio termine. L’analisi effettuata in questa parte del lavoro confronta, lungo le dimensioni critiche illustrate nel paragrafo 4, i cambiamenti avvenuti nel gruppo di imprese che hanno già vissuto con successo la successione rispetto alle attese di quelle che dichiarano di doverla affrontare. IMPRESE AL BIVIO 6.1. Tra passato e futuro Le aziende che hanno affrontato il processo di successione sono un terzo di quelle che hanno risposto al questionario (42 su 126); di queste il 28% sono state fondate prima del 1950, il 28% tra il 1950 e il 1970; il 12% negli anni ‘70, il 16% negli anni ‘80 e il 16% negli anni ‘90. Il primo dato interessante è che il 30% delle imprese che hanno già sostenuto un processo di ricambio generazionale ha meno di 20 anni. Questo sembra confermare il fatto che tali imprese sono state fondate da persone non più giovanissime e fornisce una rappresentazione del noto processo di nascita delle imprese familiari venete che ha visto, dalla metà degli anni ‘60, un elevato numero di lavoratori dipendenti con esperienze significative e skill professionali elevate dare inizio ad una propria attività imprenditoriale. Anche la dimensione delle imprese rispecchia la classica situazione delle aziende padovane sia in termini di dipendenti (il 75% ha meno di 50 occupati) sia in termini di fatturato (il 75% non raggiunge i 26 milioni di euro). È da evidenziare, allo stesso tempo, come il 15% delle aziende che hanno attraversato un processo di successione abbia conseguito nel 2001 un fatturato superiore ai 50 milioni di euro. Dai risultati del questionario non si è però in grado di stabilire quale fosse la dimensione dell’azienda al momento in cui è avvenuto il passaggio generazionale. Le imprese che si preparano alla successione rappresentano quasi la metà del campione selezionato (58 imprese, pari al 45,2%). Di queste il 30,3% affronterà il processo di transizione generazionale al vertice dell’azienda nel corso dei prossimi 1-2 anni, il 37,5% prevede che la successione si avvierà tra 3-5 anni, mentre il 32,5% tra più di 5 anni. Queste imprese si distinguono da quelle precedentemente analizzate per un’età media bassa (37,1 anni), e un numero ridotto di dipendenti (48,6 in media). Nonostante siano giovani e non ancora sviluppate in termini di organico, questo non impedisce loro di attestarsi su quote di fatturato sui livelli di quelli dell’intero campione (il 16% fattura oltre 26 milioni di euro). Passando all’analisi più dettagliata dei dati relativi al passaggio imprenditoriale, risulta che il 71,1% delle aziende che ha già superato la successione è alla seconda generazione, il 26,3% alla terza generazione, il 2,6% è alla quarta generazione. Nel IMPRESE AL BIVIO 70,3% dei casi la successione è avvenuta in tempi recenti (meno di dieci anni) e il successore si caratterizza per essere un uomo (70,7% dei casi) con una formazione almeno di scuola media superiore (87,8% possiede un diploma di scuola media superiore, di questi il 41,5% è laureato) e un’età inferiore ai 44 anni (73,2%). L’età dell’imprenditore non sembra però, come si potrebbe supporre, una variabile direttamente correlata con “l’urgenza” del passaggio generazionale: infatti, il 40,3% degli imprenditori che si appresta a lasciare il comando dell’impresa ha meno di 44 anni (Tavola 5). Tavola 5 Età dell’imprenditore nelle imprese che devono ancora effettuare la successione 35% 23% 18% 14% 9% meno di 35 35-44 anni 45-54 anni 2% 55-64 anni 65-74 anni oltre 75 anni 6.2. Le svolte strategiche Per le aziende di entrambi i gruppi in esame, la successione si prospetta come un momento importante, da vivere non come un problema ma come un’opportunità di ripensamento organizzativo. I cambiamenti effettuati nelle imprese che hanno già superato la successione e quelli previsti dalle aziende che la devono ancora affrontare, indicano priorità simili e riguardano, principalmente, interventi sulla struttura organizzativa. Tra questi, quelli maggiormente segnalati da entrambi i gruppi sono una migliore focalizzazione delle attività, la creazione di nuove aree di responsabilità, la definizione di nuove regole operative per il funzionamento dei processi gestionali (Tavola 6). IMPRESE AL BIVIO Tavola 6 I cambiamenti nella strategia e nella gestione a seguito della successione* Cambiamenti nella strategia e nella gestione Imprese che hanno Imprese che devono già effettuato la ancora effettuare la successione successione Modificazione della gamma dei prodotti 19,0% 42,9% Modificazione dei processi produttivi 12,1% 47,6% Entrata nuovi mercati geografici 44,8% 47,6% Definizione di nuove aree di responsabilità 70,7% 71,4% Entrata nuovi business 41,4% 54,8% Migliore focalizzazione delle attività 72,4% 78,6% Inserimento di manager non familiari 48,3% 57,1% Definizione di nuove regole operative 60,3% 73,8% *La somma della percentuali è maggiore di 100 perché era prevista la possibilità di risposta multipla Chi deve ancora affrontare la successione dichiara inoltre che, tra le attività da implementare per supportare il passaggio, prevede di concentrarsi su interventi hard quali la formalizzazione di ruoli e responsabilità (72,4%), piuttosto che agire su variabili soft che impattano sulle relazioni e sulla cultura organizzativa, quali la preparazione dell’imprenditore uscente (43,1%) e dei dipendenti (34,5%). Questa strategia può costituire un rischio per la continuità della gestione dell’impresa, dal momento che le dinamiche sociali legate alla ritrosia del vecchio imprenditore a “lasciare il timone” e alle resistenze ambientali nell’accettazione del nuovo leader, che non si sia ancora guadagnato i “gradi di generale sul campo”, hanno impatti diretti sul clima aziendale. 6.3. La governance Facendo riferimento al gruppo familiare di appartenenza dei soci, il 56,4% appartiene al medesimo gruppo familiare (inteso in senso stretto come relazione diretta padre – figlio; fratelli), il 17% appartiene a gruppi familiari con legami di parent ela (cugini), il restante 25,6% appartiene ad altri gruppi familiari che non hanno alcun legame di parentela tra loro. Queste percentuali differiscono significativamente da quelle osservate nelle imprese che non hanno ancora affrontato il processo di successione, principalmente in relazione alla variabile “presenza di soci appartenenti a differenti nuclei familiari non legati da rapporti di parentela” che è pari all’11,1%, contro il 25,6% delle imprese che hanno già effettuato il processo di successione (Tavola 7). IMPRESE AL BIVIO Tavola 7 La composizione della compagine proprietaria 56% 57% 32% 26% 18% 11% una famiglia più famiglie con legami di parentela più famiglie senza legami di parentela imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale Questo dato sembra suggerire che, analogamente ai risultati della ricerca effettuata in Friuli Venezia Giulia, la copertura del gap finanziario che emerge con la crescita dimensionale, comporta una necessaria apertura della compagine sociale non solo all’interno del “clan familiare allargato”, ma anche a soggetti terzi non appartenenti alla famiglia. Le osservazioni appena condotte sono confermate dall’analisi della presenza di investitori istituzionali nella compagine azionaria: un quarto delle imprese che hanno già affrontato il passaggio generazionale (26,2%) ha nella propria compagine azionaria un investitore istituzionale (non è stata analizzata la quota di azioni in mano all’investitore/investitori istituzionale); per le imprese che non hanno ancora affrontato il processo di successione questa percentuale si riduce al 17,2%. Oltre che per la presenza di un investitore istituzionale, le differenze sulla struttura della compagine azionaria si manifestano anche nella concentrazione della proprietà delle azioni. Se, da un lato, la percentuale di aziende che hanno meno di cinque soci (82,3% contro 86,2%) rimane all’incirca uguale, si modifica significativamente la percentuale delle aziende che hanno più di dieci soci. Le aziende che hanno già affrontato la successione imprenditoriale e che presentano un numero di soci maggiore di dieci sono circa il 14,3% dell’intero campione, contro una percentuale del 3,4% di aziende in cui non è ancora avvenuto il passaggio generazionale (Tavola 8). IMPRESE AL BIVIO Tavola 8 Il numero di soci 82% 86% 14% 10% 3% da 6 a 10 soci oltre 10 soci 2% meno di 5 soci imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale Il processo di successione non è quindi neutro sugli assetti proprietari: nel 65,9% dei casi si è osservato un frazionamento delle quote, mentre nel 9,8% vi è stata un’apertura a terzi del capitale sociale, che, nella metà dei casi, ha implicato la perdita del controllo da parte della famiglia. Al contrario, per chi sta solamente pianificando la successione, la tutela del patrimonio non sembra essere percepita come un problema rilevante. Infatti, accanto al 28,1% delle imprese che prevede che la successione avrà effetti sull’assetto proprietario nel senso di favorire il processo di frazionamento delle quote tra i familiari, dinamica evidenziata con forza da chi ha già superato la prima generazione, oltre la metà delle aziende (54,3%) non si aspetta alcun cambiamento nella composizione della compagine sociale (Tavola 9). Tavola 9 I cambiamenti nell’assetto proprietario a seguito della successione Imprese che hanno già effettuato la successione Imprese che devono ancora effettuare la successione Nessun cambiamento 24,4% 54,3% Frazionamento quote tra familiari 65,9% 28,1% Apertura a terzi con controllo familiare 4,9% 8,8% Apertura a terzi con famiglia in minoranza 4,9% 7,0% Cessione totale proprietà 0,0% 1,8% Cambiamenti nell’assetto proprietario IMPRESE AL BIVIO Relativamente alla numerosità della compagine proprietaria, le imprese familiari che hanno già superato almeno un passaggio generazionale sembrano dunque risentire del fenomeno della deriva generazionale 10 , intesa come aumento progressivo del numero di membri di una famiglia allo scorrere delle generazioni. La dimensione di questo avvenimento naturale può essere più o meno ampia a seconda del numero di nuclei familiari che hanno dato origine all’impresa. A causa di questo fenomeno, si possono configurare situazioni di dispersione delle quote proprietarie con assenza di leader adatti a guidare l’impresa e con conseguenti difficoltà a svolgere con efficacia il processo decisionale. 6.4. La gestione Una seconda area di analisi per comprendere i modi attraverso i quali il processo di successione ha influenzato lo svolgimento delle dinamiche aziendali riguarda come sono mutate, o ci si aspetta che cambino, le politiche di gestione dell’impresa e lo svolgimento del processo decisionale. Ad essere coinvolte saranno sia le strutture cui sono delegate le decisioni strategiche, sia quelle cui sono affidate le scelte di gestione operativa dell’azienda. Relativamente alle modifiche delle dinamiche decisionali, solamente il 19% delle aziende che ha già effettuato la successione ha affermato che non ci sono stati cambiamenti; nel 40,5% delle aziende il consiglio di amministrazione ha acquisito un ruolo più importante, nel 38,1% si tengono un maggiore numero di riunioni tra soci e manager e nel 28,6% queste riunioni hanno una valenza di natura operativa. Analogamente, nelle imprese che devono ancora affrontare la successione è previsto un potenziamento del ruolo del consiglio di amministrazione, che accanto alla valutazione dei risultati reddituali e alla definizione degli obiettivi di lungo termine, indicati come le principali decisioni oggetto delle riunioni dell’organo, amplierà la sua funzione consultiva anche su scelte riguardanti i mercati in cui impegnarsi e la definizione dell’assetto organizzativo. Ma l’impatto maggiore della successione sul processo decisionale avverrà a livello di comitato direttivo. È infatti attraverso questa struttura, di cui si prevede la creazione, se non esistente, o l’intensificazione delle riunioni, nel caso in cui sia già presente in azienda, che il nuovo leader potrà dialogare con il 10 CORBETTA G., 1995, Le imprese familiari, Egea, Milano IMPRESE AL BIVIO management, cui le porte del consiglio di amministrazione non si sono ancora aperte (Tavola 10). Tavola 10 I cambiamenti nel processo decisionale a seguito della successione* Cambiamenti nel processo decisionale Imprese che hanno Imprese che devono già effettuato la ancora effettuare la successione successione Nessun cambiamento 19,0% 27,6% Maggiore importanza del CdA 40,5% 48,3% Inserimento di familiari nel CdA 14,3% 13,8% Inserimento di componenti non familiari nel CdA 16,7% 12,1% Ideate riunioni operative tra soci e manager 28,6% 34,5% Aumento del numero di riunioni tra soci e manager 38,1% 37,9% Introdotte riunioni solo tra familiari 14,3% 8,6% *La somma della percentuali è maggiore di 100 perché era prevista la possibilità di risposta multipla L’analisi della composizione del consiglio di amministrazione mette in luce, infatti, come questo venga considerato un organo relativamente “chiuso”, in cui siedono i familiari attivi nella gestione dell’azienda. Nelle imprese a proprietà ristretta (come quelle familiari) gli azionisti, di norma, non sentono il bisogno di controllare l’operato del management, o perché sono loro stessi a interpretare ruoli direzionali o perché si fidano dei parenti che gestiscono l’impresa. In queste aziende il consiglio di amministrazione, se interpretato come mera rappresentanza degli azionisti, non avrebbe ragione di essere: in questo caso il bisogno di confronto e di coordinamento si risolve con atti informali o all'interno di organi con componenti selezionati in funzione di uno specifico obiettivo di gestione (comitato direttivo, consiglio di famiglia). In queste aziende il funzionamento corretto del consiglio di amministrazione permette di conseguire altri scopi, quali: Ø favorire il dialogo tra più familiari coinvolti nella gestione; Ø facilitare la partecipazione alla vita dell'impresa da parte dei soci che non lavorano in azienda, dando loro la possibilità di comprendere le ragioni di determinate decisioni; Ø offrire all'impresa familiare risorse supplementari a quelle disponibili al suo interno; Ø programmare una successione imprenditoriale ben ordinata. IMPRESE AL BIVIO Relativamente alle categorie di amministratori diversi dai soci attivi nell’impresa, due sembrano essere le dinamiche conseguenti al passaggio generazionale. I familiari non coinvolti operativamente nella gestione 11 , pur aumentando di numero a causa della deriva generazionale, continuano a non trovare una collocazione all’interno del consiglio di amministrazione. Le imprese del nostro campione sembrano dunque essere in grado di contrastare il problema del raffreddamento dei soci familiari 12 , la mancanza cioè di un coinvolgimento attivo dei familiari nella gestione dell’impresa. Superata la fase nella quale il fondatore si identifica completamente con l’attività alla quale ha dato avvio, al passare delle generazioni è naturale che tra i successori si allentino i legami affettivi o di affinità e si attenui il coinvolgimento nell’impresa. Questo processo porta inevitabilmente ad una differenziazione dei ruoli: può accadere infatti che alcuni familiari preferiscano mantenere il solo ruolo di azionisti finanziatori, limitandosi ad esercitare i propri diritti/doveri di soci (a causa di interessi personali o per mancanza di ruoli da ricoprire in azienda), mentre altri continuino ad operare attivamente nella gestione dell’impresa. L’insieme di queste modifiche nell’allocazione del controllo è fonte di potenziali conflittualità, a causa delle diverse attese che si generano fra i soci familiari. Dall’analisi dei questionari questo fenomeno non sembra ancora emergere con forza nelle imprese padovane: con il passaggio generazionale cresce di poco la percentuale di soci non coinvolti nel management day by day dell’impresa presente nel consiglio di amministrazione (prima della successione i soci non operativi presenti nel consiglio di amministrazione sono pari al 6,3%, dopo la successione la percentuale arriva al 9,5%), mentre aumenta il numero dei soci attivi (Tavola 11). Più significativa è, al proposito, la dinamica relativa alla presenza nel consiglio di amministrazione di manager operanti in azienda ma non appartenenti alla famiglia (dal 6,3% prima della successione all’11,7% dopo la successione). Questo potrebbe far pensare che l’inserimento del management in azienda sia avvenuto in conseguenza della successione e che il professionista esterno sia stato visto anche come una figura finalizzata a seguire e supportare il successore, sia in particolari aree gestionali dell’azienda sia nello svolgimento della funzione imprenditoriale nel suo complesso. 11 Per soci non coinvolti nella gestione sono stati considerati i possessori di azioni che o non hanno nessun ruolo all’interno dell’azienda stessa o che operano in azienda con deleghe particolari oppure che sono cooptati per qualche particolare progetto. IMPRESE AL BIVIO Tavola 11 La composizione del consiglio di amministrazione 74% 69% 10% soci attivi nella gestione 12% 6% soci non attivi nella gestione 7% 6% manager non familiari 10% 4% professionisti esterni 3% altri imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale In realtà, quello che si evidenzia è che solamente nell’8% dei casi l’inserimento del management è avvenuto al momento della successione; nel caso siano presenti in azienda manager non appartenenti alla famiglia l’inserimento è avvenuto in seguito all’aumento dimensionale (48%) e all’entrata in nuovi business (10%). Analogamente, nonostante nel 22,4% delle imprese che non hanno ancora effettuato la successione non siano presenti manager non familiari alla guida di aree funzionali o unità organizzative, nel 55,2% dei casi essi sono stati inseriti a seguito della crescita dimensionale. Le dinamiche di sviluppo del business “chiamano” dunque competenze critiche che la famiglia difficilmente può trovare all’interno del proprio clan. I manager, destinati a colmare il gap cognitivo, trovano nella crescita dell’impresa, più che nel singolo evento della successione, un momento critico per il loro inserimento nel processo decisionale. In seguito al passaggio generazionale, il successore si pone, comunque, come il rappresentante della famiglia maggiormente qualificato per instaurare un dialogo orientato allo sviluppo dell’azienda (Tavola 12). Di fatto quindi, a livello di processo decisionale, emerge un processo di delega in base al quale dal comando di un singolo (il “vecchio” leader) si passa ad un gruppo dirigente strutturato in organismi collegiali (consiglio di amministrazione, riunioni formali e 12 CORBETTA G., 1995, Le imprese familiari, Egea, Milano IMPRESE AL BIVIO informali tra soci e manager) e supportato dalla definizione di nuove regole operative. In sostanza in presenza di un leader forte, vi sembra essere una minore attenzione ai meccanismi di gestione. La correlazione negativa statisticamente significativa tra la quota del socio di maggioranza e il valore dato dalle imprese alla continuità nei criteri di gestione (p-value = 0,093), significa che mentre da un lato l’inevitabile processo di deriva generazionale tende a disgregare l’unità di comando e di controllo della famiglia, dall’altro l’imprenditore uscente tenta di contrastarlo ricercando un successore che sia in grado di dare continuità alle pratiche di gestione dell’impresa familiare. Tavola 12 Cause di inserimento dei manager non familiari 53% 48% 22% 16% 16% 12% 10% 8% 2% non ci sono manager non familiari dalla fondazione 0% 13% 0% in un a seguito della al momento momento di crescita della crisi dimensionale successione entrata in nuovi business imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale 6.5. La cultura e i valori Se la divisione della proprietà sembra essere un elemento che caratterizza il passaggio generazionale, diviene interessante cercare di capire come questa “frammentazione” della proprietà viene preparata nel processo di successione e gestita una volta che il processo di successione è avvenuto. Lo svolgimento del processo di successione è stato generalmente pianificato sia dalle aziende che l’hanno già affrontato sia da quelle che lo devono ancora superare. Tra le prime, la pianificazione è stata effettuata dalla famiglia (56,1%) e con il supporto di un consulente esterno (un ulteriore 22%); la successione è avvenuta a seguito di un avvenimento improvviso e spesso doloroso in un altro 22% delle aziende. Interessante IMPRESE AL BIVIO nell’analisi del processo di successione è capire se ci sono stati supporti esterni: nel 33,3% dei casi il processo è stato gestito autonomamente all’interno dell’azienda; un altro 30,4% ha avuto come supporto principale il commercialista; l’11,6% si è rivolto ad un avvocato, il 23,2% si è rivolto ad altri consulenti aziendali. Solamente l’1,4% ha fatto ricorso ad associazioni di categoria. Anche la quasi totalità delle imprese che hanno in previsione la successione, la percepisce come un momento a cui è necessario non arrivare impreparati, tanto che il 48,3% dichiara di averla già progettata, formalmente o informalmente. La pianificazione ha coinvolto tipicamente i membri della famiglia, che hanno affrontato il problema sia in riunioni ad hoc (12,5%) che in occasioni informali (62,5%). Il cambio al vertice dell’azienda è quindi sentito come una dinamica a gestione familiare, in cui le logiche dell’impresa e le istanze dei portatori di interessi esterni vengono scarsamente prese in considerazione. Il soggetto investito del diritto/dovere di scegliere il successore è indicato dal 45,8% delle imprese nel leader uscente, mentre un altro 18,9% dichiara di voler considerare i pareri di tutte le famiglie con vincoli di parentela coinvolte nella gestione. Solo in un’impresa su tre verranno ascoltati i consigli dei soci e dei manager non familiari. Dalle risposte alla domanda in cui si chiedeva di valutare, secondo una scala crescente da 1 a 5, l’importanza di alcune possibili motivazioni alla pianificazione della successione, emergono però le difficoltà legate a questa scelta gestita interamente all’interno della famiglia: la necessità di progettare un’adeguata formazione per il successore, la gestione della delega delle funzioni imprenditoriali e la definizione di regole formali nel rapporto famiglia- impresa, sono le alternative che hanno ottenuto i punteggi maggiori (Tavola 13). Le scarse preoccupazioni riguardo al processo di inserimento nel clima aziendale, sono probabilmente dettate dal fatto che il successore, sia nelle imprese in cui l’erede ha già acquisito il comando dell’impresa sia in quelle in cui il passaggio è solo stato pianificato, è scelto principalmente tra i familiari già attivi all’interno dell’impresa. Nelle imprese in cui è già avvenuta, l’entrata in azienda del successore è stata graduale, in quanto nel 53,8% delle aziende ha avuto una durata maggiore di due anni, scontando probabilmente le difficoltà legate alla scarsa attenzione per le variabili di clima e cultura organizzativa messe in luce nei paragrafi precedenti. IMPRESE AL BIVIO Tavola 13 Motivi per cui la successione dovrebbe essere pianificata delega della gestione 5 4 inserire nuovi manager non familiari 3,88 per formare il successore 3 4,16 2 2,29 1 0 apertura a nuovi soci 1,62 2,71 pianificare interventi sul patrimonio 2,38 3,4 regole nel rapporto famiglia–azienda interventi fiscali Il criterio di scelta “familiare” non è però disgiunto da valutazioni riguardanti le esigenze di sviluppo del business. Infatti, tra gli elementi maggiormente rilevanti nella scelta del successore, sia in fase previsiva che consuntiva, gli imprenditori, in una scala da 1 a 5, assegnano i valori più elevati alle capacità di innovare la strategia d’impresa (4,03 per le imprese che devono ancora affrontare la successione, 3,45 per quelle che l’hanno già superata) e di apportare nuove competenze (3,88 per le imprese che devono ancora affrontare la successione, 3,43 per quelle che l’hanno già superata) (Tavola 14). La variabile “sensibile” per le imprese che hanno già effettuato la successione, ma non così importante per le altre, è la continuità dei valori di fondo. La continuità nella diffusione dei valori di fondo (mission e vision aziendale, stile di management adottato) sembra essere la prima caratteristica principale che le imprese giudicano rilevante “expost” nella persona che ha sostituito l’imprenditore al governo dell’azienda. IMPRESE AL BIVIO Tavola 14 Elementi per la scelta del successore continuità valori di fondo 5 3,88 4 attese di soci finanziatori criteri di gestione 3 3,78 2 3,09 1 1,14 2,4 0 evitare spaccatura famiglia 2,98 2,62 1,95 3,03 3,45 4,03 innovare la strategia garanzia di controllo familiare 3,43 3,88 apportare nuove competenze imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale La ricerca di continuità nella gestione dell’impresa, nel rispetto dei valori della famiglia, segnalata come un’esigenza fondamentale da parte delle aziende che hanno già affrontato la successione, trova riscontro nelle risposte alla domanda che indagava le abilità imprenditoriali ricercate nel successore. Pur rimanendo elevato il valore assegnato alla propensione all’innovazione, in linea con i risultati della domanda precedente, vengono segnalate come maggiormente importanti la capacità di decisione e di gestire e motivare le persone. Le imprese, dunque, sembrano cercare un leader che abbia le caratteristiche personali per comporre gli interessi dei soggetti coinvolti nel passaggio generazionale e governare l’effetto disgregante del potenziale innovativo che apporta nell’organizzazione (Tavola 15). La tutela dell’azienda è infatti la preoccupazione primaria degli intervistati: al momento del passaggio generazionale sembrano passare in secondo piano altre priorità quali il patrimonio e la famiglia. Tenendo in considerazione allora il fenomeno della frammentazione degli assetti proprietari e le modalità tramite le quali sono stati scelti i “successori”, si può arrivare a sostenere che il processo di successione viene pianificato in modo da garantire una IMPRESE AL BIVIO continuità nell’unitarietà del controllo. Infatti, si passa da un controllo de iure sull’azienda, fondato cioè sulla proprietà delle quote di maggioranza, a un controllo de facto, basato sulla cultura, norme, valori che “abitano” nell'impresa familiare e che fanno parte della conoscenza tacita condivisa dai componenti della famiglia. Tavola 15 Abilità imprenditoriali ricercate nel successore Propensione all’innovazione 5 4 Capacità di gestire le persone 3,14 Capacità di delegare 3 4,12 2 3,31 1 3,97 3,91 2,83 0 Capacità relazionali 3,86 3,57 3,12 2,14 Capacità di decisione 4,45 3,17 3,28 3,69 Competenze tecniche e produttive Capacità di mobilitare finanziamenti imprese che hanno effettuato la successione imprese che devono ancora effettuare il passaggio generazionale Allo stesso tempo si evidenzia come al momento della successione, le logiche della famiglia e dell’impresa trovino ampie aree di sovrapposizione. La continuità nei valori di fondo della famiglia (elemento che è emerso come particolarmente rilevante nella scelta del successore) risulta infatti positivamente correlata con le variabili riguardanti la gestione dell’impresa. Gli imprenditori che hanno assegnato elevata importanza alla continuità nei valori di fondo come elemento guida nella selezione del successore, segnalano con uguale forza la necessità di dare continuità ai criteri di gestione (p- value = 0), garantire il controllo operativo della famiglia sull’impresa (p- value = 0,003), evitare la spaccatura della famiglia (p- value = 0,0028). È peraltro da evidenziare in queste considerazioni che i coefficienti di correlazione, pur essendo significativamente IMPRESE AL BIVIO diversi da zero, non assumono dei valori particolarmente elevati (nessuno è superiore a 0,7) a sottolineare la relativa “debolezza” di queste relazioni (Tavola 16). Tavola 16 Correlazione tra la quota del primo socio e gli elementi di scelta del successore Continuità Continuità valori di criteri di fondo gestione Quota del socio maggioranza Continuità valori di fondo Continuità criteri di gestione Garanzia del controllo della famiglia Apporto nuove competenze Corr p-value Corr p-value Corr p-value Corr p-value Corr p-value -0,2 0,229 -0,277* 0,093 0,571*** 0 Garanzia Evitare la del Apporto Innovare spaccatura controllo nuove la della della competenze strategia famiglia famiglia 0,006 -0,214 -0,135 -0,119 0,974 0,197 0,419 0,478 0,452*** 0,118 0,025 0,338** 0,003 0,457 0,875 0,028 0,227 0,306** 0,154 0,101 0,148 0,049 0,331 0,525 0,006 0,028 0,648*** 0,969 0,861 0 0,739*** 0,103 0 0,515 * La correlazione è s ignificativa a livello 0,1 (2 code) ** La correlazione è s ignificativa a livello 0,05 (2 code) *** La correlazione è significativa a livello 0,01 (2 code) Tra le abilità richieste al successore, che sono in relazione con le variabili strutturali dell’impresa, si segnala la capacità di mobilitare risorse finanziarie, che risulta positivamente correlata con il numero di soci (p-value = 0,003) e negativamente con il livello di concentrazione della proprietà (p- value = 0,094) (Tavola 17). Tavola 17 Correlazione tra la quota del primo socio e gli elementi di scelta del successore Numero di Quota del socio soci di maggioranza Capacità di mobilitare risorse finanziarie Corr p-value 0,469 0,003 -0,275 0,094 * La correlazione è s ignificativa a livello 0,1 (2 code) ** La correlazione è s ignificativa a livello 0,05 (2 code) *** La correlazione è significativa a livello 0,01 (2 code) Questo significa che una corretta scelta del successore può colmare non solo il gap cognitivo che lo sviluppo del business genera in seno all’impresa familiare, ma anche quello finanziario. In entrambi i casi le aziende possono scegliere due strade per colmare queste lacune: una interna alla famiglia ed una esterna. La mancanza di conoscenze per la gestione delle attività, può essere colmata incentivando percorsi di formazione per i familiari oppure ricercando sul mercato manageriale risorse umane in IMPRESE AL BIVIO grado di apportare le competenze specialistiche necessarie. La carenza di capitali spinge in un caso, come indicano i dati sopra riportati, a scegliere un successore in grado di recuperare finanziamenti, nell’altro ad aprire il capitale a istituzioni finanziarie. IMPRESE AL BIVIO 7. Tra il dire e il fare È questo ultimo elemento uno dei punti chiave dai quali emerge una possibile tendenza di fondo del processo di successione imprenditoriale. Le aspettative sulla priorità nel processo di successione erano quelle di una forte preminenza della famiglia sull’azienda, preminenza testimoniata dal ricorso all’indebitamento bancario piuttosto che al capitale di rischio per finanziare i processi aziendali o la crescita (il fenomeno della scarsa capitalizzazione delle aziende associato al detto impresa povera – famiglia ricca), il “ruolo patriarcale” assunto da certi leader e l’identificazione quasi assoluta dell’azienda con la figura del leader stesso (sono molti i casi di aziende note e meno note che possono essere portati ad esempio), la difficoltà con la quale molte aziende sono disposte ad accettare investitori istituzionali come partner. L’azienda veniva in questa prospettiva interpretata come strumento funzionale al mantenimento - accrescimento del patrimonio familiare e alla salvaguardia dell’unità della famiglia stessa. Quanto invece è emerso è completamente diverso. La priorità, come si è visto, è data all’azienda (intesa come is tituzione separata dalla famiglia) e la successione viene vista come un momento importante, da vivere non come un problema ma come un’opportunità che favorisce anche significativi cambiamenti nel modello di business aziendale. In particolare, con la successione imprenditoriale si assiste ad una focalizzazione delle attività aziendali (in termini di processi e di combinazioni prodotto – mercato) e al ripensamento della struttura organizzativa con la creazione di nuove aree di responsabilità e la definizione di nuove regole operative per il funzionamento dei processi gestionali. Il passaggio generazionale porta con sé il fenomeno della deriva generazionale intesa come aumento progressivo del numero di membri di una famiglia allo scorrere delle generazioni. La dimensione di questo avvenimento “naturale” è più o meno ampia a seconda del numero di nuclei familiari che hanno dato origine all’impresa. L’effetto più rilevante della deriva generazionale è la difficoltà a svolgere con efficacia il processo decisionale, per la mancanza di un leader forte legittimato dall’autorità che deriva dal “peso” delle quote proprietarie possedute prima che dall’autorevolezza conquistata “sul campo”. Questa difficoltà decisionale viene superata dalle aziende analizzate facendo ricorso ad organi collegiali (consiglio di amministrazione, riunioni formali ed informali IMPRESE AL BIVIO tra soci e manager) che affiancano il “nuovo” leader e ad una struttura organizzativa di supporto. Se la divisione della proprietà sembra essere un elemento della gestione che caratterizza il passaggio generazionale, nelle aziende analizzate la sua forza disgregante viene compensata dagli elementi di continuità ricercati nel successore. La continuità nei valori di fondo sembra essere la prima peculiare caratteristica che un imprenditore ricerca nella persona che lo sostituirà nel governo dell’azienda. In un certo senso, si potrebbe affermare che l’imprenditore sceglie il suo successore privilegiando alcuni tratti caratteriali che nel governo e nella gestione dell’impresa no n determinino significativi cambiamenti - “rotture” nel percorso aziendale. Ecco quindi emergere la necessità di approfondire alcune tra queste dimensioni, che solamente un’analisi “dall’interno” delle singole realtà aziende permette di ottenere. La relazione tra azienda e famiglia nel processo di successione deve essere quindi approfondita in relazione al livello di managerializzazione dell’azienda in situazioni di incremento della complessità gestionale e in funzione del livello di stabilità del controllo, inteso nel senso di presenza di un socio che, detenendo la maggioranza del capitale sociale, può imporre le sue scelte. IMPRESE AL BIVIO 8. Visti da dentro: i percorsi della successione imprenditoriale L’integrazione dell’indagine statistico-descrittiva della successione imprenditoriale con lo studio di 30 casi ha lo scopo di individuare la natura, l’intensità e la direzione delle dinamiche organizzative e familiari sottese alla gestione del fenomeno stesso. 8.1. I modelli emergenti All’interno del quadro delineato, si è tentato di mappare le 30 aziende studiate in profondità lungo due dimensioni, che definiscono i confini all’interno dei quali si svolge il processo di successione: il grado di sviluppo manageriale e il grado di stabilità del controllo. Il grado di sviluppo manageriale La prima dimensione è il grado di sviluppo manageriale, a sua volta scomponibile in tre elementi: il numero di manager non familiari, il numero di funzioni aziendali formalmente presenti nella struttura organizzativa, l’ampiezza dei ruoli manageriali. Sulle determinanti della numerosità dei manager familiari si è già discusso. È tuttavia necessario specificare che non è il numero assoluto di manager a definire il grado di managerializzazione, ma il loro peso relativo in relazione all’articolazione della struttura organizzativa. Se il business rimane di dimensioni ridotte o le competenze del leader della famiglia e dei suoi familiari sono adeguate, quindi, l’inserimento di manager esterni non è necessario: managerializzarsi non è un obbligo. Tuttavia, in generale si assume che: il grado di managerializzazione aumenti all’aumentare del peso relativo di manager non familiari nella gestione dell’impresa Per quanto concerne le funzioni aziendali, invece, ci si riferisce ad unità organizzative che presidiano parti della gestione, nel senso che governano un centro di profitto, di ricavo o di costo. Si pensi alla funzione commerciale, alla funzione di produzione, alla funzione amministrativa. La presenza effettiva di tali funzioni è stata dedotta ricostruendo assieme all’intervistato la struttura organizzativa dell’impresa e individuando in modo preciso quando la responsabilità dei risultati di queste aree è esplicitamente attribuita a qualcuno. In assenza di tale esplicitazione, la funzione è stata considerata assente. La loro numerosità è collegata in primo luogo alla complessità della gestione e si assume che: IMPRESE AL BIVIO il grado di managerializzazione aumenti all’aumentare della numerosità delle funzioni aziendali formalmente presenti Infine, l’ampiezza dei ruoli manageriali. Nello sviluppo di un’impresa, la necessità strategica di presidiare un’area gestionale non sempre si associa alla individuazione di una persona ad hoc che ne assuma la responsabilità. La scarsità di risorse oppure la ridotta dimensione delle attività da svolgere rendono più efficiente attribuire più funzioni ad una stessa persona, che si trova a dover “portare cappelli diversi”. Tale decisione, se da una parte risponde a un evidente criterio di efficienza, dall’altro rende incompleto il processo di managerializzazione, in quanto può generare difficoltà nella gestione e nella misurazione delle prestazioni. A ciò si aggiunga che, per superare la resistenza psicologica alla delega, in alcuni casi si esplicita che la responsabilità di una funzione appartiene contemporaneamente a più persone. Per tale motivo si assume che: il grado di managerializzazione aumenti all’aumentare del numero di funzioni che hanno un responsabile unico e ad hoc Considerando questi tre elementi e sommandoli, è possibile calcolare un indicatore sintetico che misura il grado di sviluppo manageriale 13 . Il grado di stabilità del controllo La seconda dimensione considerata è il grado di stabilità del controllo, che si compone di due elementi: la concentrazione del capitale sociale e la deriva generazionale. La gestione del processo di successione imprenditoriale risente in modo diretto della presenza o meno di un socio che, detenendo la maggioranza del capitale sociale, può imporre le sue scelte, anche in presenza di opposizione da parte degli altri familiari. Quanto più frazionato è il capitale sociale, tanto più sarà necessario trovare un accordo tra gli azionisti nell’individuazione del successore e nelle modalità di gestione del trapasso. Ciò potrebbe avvenire sia utilizzando le abilità relazionali del leader sia attraverso patti parasociali o altri accordi, che riducono il rischio di impasse decisionale. Si assume che: il grado di stabilità del controllo aumenti all’aumentare del grado di 13 In particolare, questo indicatore sarà dato dalla somma di tre addendi: il rapporto tra manager non familiari e funzioni aziendali formalmente presenti, il numero di funzioni normalizzato rispetto alla media del panel, il complemento all’unità del rapporto tra numero di funzioni che non hanno un responsabile ad hoc, numero di funzioni mediamente presidiate da una stessa persona e numero di funzioni formalmente presenti nella struttura organizzativa. IMPRESE AL BIVIO concentrazione del capitale A parità di altre condizioni, però, la successione può risultare complessa per effetto della deriva generazionale, che consiste nell’aumento del numero dei componenti della famiglia che hanno un ruolo attivo nell’impresa. Come si è detto, “l’apertura della successione” genera attese tra i soci e, in particolare, tra coloro che già sono coinvolti nella gestione. Se l’impresa ha progettato efficaci regole per l’individuazione dei criteri in relazione ai quali si scelgono i familiari da inserire nelle posizioni di responsabilità (siano esse norme della famiglia piuttosto che i sistemi operativi dell’impresa 14 ), la deriva generazionale può essere facilmente gestita. In caso contrario, è possibile che si inneschino conflitti, che possono ritardare o bloccare il processo. A parità di altre condizioni, comunque, la gestione di questo fenomeno passa sempre per l’organizzazione: se le posizioni organizzative disponibili (in prima approssimazione le funzioni aziendali formalmente presenti) sono in numero pari o superiore ai familiari attivi nella gestione, sarà più semplice gestire il problema. In definitiva, si assume che: il grado di stabilità del controllo aumenti all’aumentare dello spazio organizzativo potenzialmente disponibile per ciascuno dei familiari presenti in azienda Considerando questi due elementi e sommandoli, è possibile calcolare un indicatore sintetico che misura il grado di stabilità del controllo 15 . In sintesi Alla luce delle considerazioni compiute è possibile rappresentare graficamente il posizionamento delle 30 imprese analizzate nella Tavola 18. Il piano è diviso in quattro quadranti, in relazione alla media delle due variabili considerate. Con i quadratini (¦ ) sono indicate le imprese che si trovano alla prima generazione e che stanno progettando la successione imprenditoriale. Con il cerchietto (?), invece, sono indicate le imprese che hanno già sperimentato il processo (anche più di una volta). 14 Ad esempio: criteri di selezione, percorsi di carriera, sistema premiante In particolare, questo indicatore sarà dato dalla somma di due addendi: il rapporto tra numero di quote che è necessario sommare per ottenere la maggioranza e numero di soci; il complemento all’unità del rapporto tra numero di familiari attivi e numero di funzioni formalmente presenti nella struttura. 15 IMPRESE AL BIVIO Tavola 18 Approcci alla successione tra managerialità e controllo 1,80 Anticipatori Lungimiranti 1,60 Grado di Stabilità del Controllo 1,40 1,20 1,00 0,80 0,60 0,40 0,20 Conservatori 0,00 0,00 0,50 1,00 Pragmatici 1,50 2,00 2,50 3,00 3,50 4,00 4,50 Grado di Sviluppo Manageriale Nel quadrante in basso a sinistra sono collocate le imprese conservatrici. Si tratta, in prima battuta, dei casi in cui vi è il massimo livello di complessità nella gestione del passaggio generazionale. Il basso livello di stabilità del controllo può tradursi in conflitti tra i soci per affrontare il cambio di leadership (e di comando), mentre il ridotto sviluppo della managerializzazione potrebbe creare disordine organizzativo, stante la difficoltà di definire con chiarezza i confini dei ruoli manageriali (con le connesse deleghe, responsabilità e modalità di misurazione delle performance). Il quadrante in basso a destra, invece, include le imprese pragmatiche, che hanno dato la precedenza alla managerializzazione della gestione, ma che presentano un potenziale rischio nella gestione della successione imprenditoriale, per il frazionamento del capitale sociale o per l’elevata (e a volte eccessiva) presenza di familiari attivi in relazione alle posizioni disponibili. In più, in questo caso, c’è la concreta possibilità che manager non familiari e familiari “aventi diritto” entrino in diretta concorrenza all’apertura della successione. Nel quadrante in alto a sinistra rientrano le imprese anticipatrici. Si tratta di organizzazioni con un livello di managerializzazione medio o basso, ma che presentano una elevata stabilità del controllo, vuoi perché un solo socio o l’accordo tra due soci garantisce la maggioranza in assemblea, vuoi per un rapporto tra familiari attivi nella gestione e posizioni organizzative “disponibili” sufficiente a garantire potenzialmente a tutti un posto, una occasione o una retribuzione. IMPRESE AL BIVIO Infine, il quadrante in alto a destra nel quale rientrano le imprese lungimiranti. In questo caso, la gestione presenta un elevato grado di managerializzazione, per l’effetto congiunto della presenza di un elevato numero di manager non familiari, dello sviluppo orizzontale della struttura organizzativa (numero di funzioni) e della maggiore specializzazione di manager nella gestione di specifiche aree gestionali (è basso il numero di manager che porta “più cappelli” o di funzioni che hanno più responsabili contemporaneamente). IMPRESE AL BIVIO 9. L’approccio dei conservatori Le imprese conservatrici (7 casi su 30) si contraddistinguono per il fatto di mettere la famiglia al di sopra di tutto. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, questo tipo di impostazione non caratterizza esclusivamente le tipiche piccole imprese del Nord Est ma anche realtà di medie dimensioni, il cui fatturato arriva a toccare i 125 milioni di euro. È proprio la presenza di una forte connotazione familiare della gestione che consente di superare alcuni dei limiti derivanti dal basso livello di stabilità del controllo (determinato nella maggioranza dei casi da un elevato frazionamento del capitale sociale): in questi contesti è la famiglia, e non tanto il socio che detiene la maggioranza, a decidere chi deve governare l’azienda. La scelta può ricadere tipicamente su: Ø una persona specifica, che una volta legittimata da tutta la famiglia, gode di un’autonomia pressoché illimitata: Caso 6 «Ho preso in mano l’azienda perché ero l’unico che si era fatto una certa esperienza e che era in grado di portare avanti il lavoro di mio padre, e i miei fratelli per fortuna me lo hanno riconosciuto. Oggi si fidano di me, perché in passato ho dimos trato di difendere anche i loro interessi» Ø il gruppo di familiari attivi nella gestione: Caso 14 «Qui non facciamo differenze: tutti i componenti della famiglia che lavorano in azienda hanno diritto di prendere parte attiva nelle decisioni; solo in situazioni di emergenza decidiamo chi debba prendere in mano le redini dell’azienda, ma comunque non è una situazione che può durare per molto tempo» Le svolte strategiche che hanno segnato la vita e lo sviluppo delle imprese che rientrano in questo gruppo sono ispirate principalmente da due tipologie di esigenze: Ø rispondere a specifiche dinamiche familiari: Caso 2: «Verso l’inizio degli anni ’90 avevamo un problema: come sistemare i sette figli dei miei fratelli. L’aumentata pressione competitiva del settore mi è sembrata l’occasione ideale: costruire delle filiali commerciali ci avrebbe permesso di creare lo spazio e IMPRESE AL BIVIO l’indipendenza necessaria a ciascuno e allo stesso tempo di ridurre i prezzi rivolgendo la nostra offerta direttamente al mercato di riferimento […] oggi ogni nipote è presidente di una filiale» Ø seguire inclinazioni personali dei componenti familiari che entrano in azienda: Caso 14: «Mio fratello è entrato in azienda verso la fine degli anni ’80, quando il settore attraversava un periodo di rallentamento; era una persona che amava viaggiare ….non riuscivamo a tenerlo a casa; abbiamo deciso di dare spazio a questa sua inclinazione nell’ambito dell’azienda e così quando partiva per i suoi viaggi si portava via il catalogo …oggi più del 50% del nostro fatturato è realizzato al di fuori del mercato nazionale». All’interno di questo gruppo, la dinamica di business viene vista spesso come condizione “di contorno” che agevola od ostacola il perseguimento degli obiettivi della famiglia. Detto in altri termini, è l’inclinazione dei familiari a “tirare” la strategia e non viceversa. Il successo ottenuto dai casi analizzati rappresenta un segnale implicito che “questa volta è andata bene”; è evidente però che ciò dipende da una contingenza favorevole e non tanto da un approccio corretto e da prendere come riferimento. La presenza di criteri familiari nella gestione dell’impresa, si traduce sovente nella quasi totale assenza di manager esterni, elemento che non deve necessariamente assumere una connotazione negativa. Si consideri ad esempio il caso di imprese di piccole dimensioni dove esiste un numero limitato di funzioni (tipicamente acquisti, produzione e commerciale) e in cui spesso è l’imprenditore a fare un po’ tutto. Il basso grado di sviluppo manageriale non rappresenta certo una “patologia da curare”, ma piuttosto una caratteristica fisiologica che permette di sfruttare economie di raggio d’azione e di “essere flessibile”: Caso 6 «Per il volume di attività che abbiamo, posso gestire da solo praticamente tutte le funzioni aziendali e presidiare direttamente tutte le fasi del processo produttivo. Questo permette un adattamento immediato alle particolari esigenze del cliente» È nelle imprese di dimensioni maggiori invece che la contemporanea presenza di un basso grado di managerializzazione e di un basso grado di stabilità del controllo determinano un mix rischioso, in particolare in prossimità della successione, che rende necessario un ripensamento delle logiche fino a quel momento adottate: IMPRESE AL BIVIO Caso 14 «Siamo preoccupati: iniziamo ad essere tanti e chi ci garantisce che continueremo ad andare d’accordo? Un conto è essere tra fratelli, ma quando i legami di parentela si affievoliscono rischia di affievolirsi anche l’accordo» All’interno di questo quadro, la crescita del numero dei componenti della famiglia attivi in azienda sembra minacciare la possibilità di portare avanti la logica egualitaria che aveva caratterizzato fino a quel momento la gestione. È qui, più che in ogni altro momento, che si diviene pienamente consapevoli del fatto che “il futuro” dell’azienda dipende quasi esclusivamente dalle possibilità di giungere ad un accordo all’interno della famiglia. L’introduzione di figure manageriali, in particolare nelle imprese di maggiori dimensioni, non è in genere valutata come via per agevolare il processo di successione; la delega delle decisioni a persone al di fuori del nucleo familiare è vista come una dichiarazione di incapacità: Caso 11 «Non abbiamo mai considerato l’ipotesi di affidare alcune delle funzioni aziendali a manager esterni perché siamo perfettamente in grado di gestire tutto da soli; dopotutto chi può avere più esperienza di noi? Non la penso come mio nipote [che ipotizza l’ingresso di manager esterni in previsione della successione] e sinceramente non capisco perché debba essere così pessimista» Ma la decisione di rivolgersi a manager non familiari può essere una scelta obbligata, in particolare in assenza di un successore che abbia requisiti necessari: capacità decisionali, capacità di gestione delle persone e capacità di delega. In un caso estremo (CASO 4) si arriva ad ipotizzare la cessione totale dell’impresa. In altri, quando il successore cresce gradualmente all’interno dell’azienda la successione sembra quasi essere un processo naturale: Caso 2 «Mio figlio ormai lavora in azienda da 15 anni, parlo con lui di tutto, anche se le decisioni le prendo ancora io; conosce perfettamente il mio modo di pensare; non penso che con la successione cambierà niente qui dentro. Praticamente lui ormai è un mio clone» Chi tenta di cambiare il modo di gestire l’azienda incontra comunque resistenze forti: si tratta di mettere in discussione logiche di governo ben consolidate, che hanno radici IMPRESE AL BIVIO profonde nella cultura aziendale e che si trasmettono di generazione in generazione. Tra gli elementi rilevanti nella scelta del successore spiccano la continuità dei valori di fondo, dei criteri di gestione e la necessità di evitare la spaccatura della famiglia. Tra ciò che non può essere messo in discussione nell’ambito dell’azienda, la maggioranza degli intervistati ha messo ancora una volta la famiglia in primo piano, evidenziando la necessità di offrire ai familiari le stesse opportunità e di mantenere accordo tra le famiglie. Nel CASO 6 i due elementi si presentano strettamente correlati e costituiscono un ostacolo ad una efficace ed efficiente gestione: Caso 6 «Come potrei andare d’accordo con i miei fratelli se non offrissi le stesse opportunità ai miei figli e ai miei nipoti?” Come si nota, viene riconosciuto esplicitamente come l’elevato frazionamento del capitale sociale tra i fratelli, che possiedono tutti la stessa quota, rappresenti un vincolo per un governo efficace ed efficiente dell’azienda». Caso 6 «Avremmo bisogno di un responsabile commerciale più intraprendente. Ma adesso c’è mio nipote; un inserimento di un manager esterno sarebbe come una dichiarazione di guerra». In altre realtà il fatto di utilizzare i criteri guida della famiglia anche in azienda rappresenta un forte incentivo per “mettere il cuore al di là degli ostacoli”: Caso 10: «Uno per tutti e tutti per uno è il nostro motto. Per noi l’azienda è la vita. Non solo perché ci dà il pane, ma perché nell’azienda mettiamo il cuore, qui dentro c’è un grande coinvolgimento emotivo ed è per questo che riusciamo a trovare sempre un accordo, il bene dell’azienda è nell’interesse di tutti». IMPRESE AL BIVIO 10. L’approccio dei pragmatici La caratteristica distintiva delle imprese che rientrano nel modello dei pragmatici (6 casi su 30) è l’urgenza del business: tutte le decisioni legate alla managerializzazione, alla strategia e alla successione (sia sperimentata che progettata) trovano una spiegazione solo in funzione del business. Perfino la cultura organizzativa e le sue espressioni simboliche ne sono influenzate: Caso 26 «I valori di fondo della mia impresa sono tre. E sono piuttosto semplici. Innanzi tutto, dividere l’impresa è sbagliato: bisogna restare tutti uniti, perché solo in questo modo siamo una forza. In secondo luogo, bisogna credere nel business fino in fondo, senza mai tirarsi indietro: non si deve mai avere paura! Infine, è necessario mettersi all’ascolto del mercato, nel senso che bisogna essere sempre orientati al nuovo, al miglioramento, alla ricerca di soluzioni originali, per mantenere e sviluppare la nostra capacità competitiva» Caso 30 «[…] Ad un certo punto mi sono messo a girare per tutte le fiere. Andavo dappertutto, quasi senza una meta precisa. Ero alla ricerca di nuove occasioni di attività, perché il business in cui operavo mi stava stretto. E alla Fiera di Padova mi sono innamorato della settore in cui attualmente opero. Cosa vuole, è facile mantenere l’armonia quando l’azienda cresce e c’è spazio per tutti: qui da noi, è nel codice genetico andare alla ricerca di nuove opportunità» La managerializzazione di queste imprese, che hanno una dimensione mediamente piccola (quattro su sei fatturano intorno ai 5 milioni di euro), è avvenuta lungo due direzioni, che segnano in modo preciso le modalità di gestione della successione imprenditoriale. In alcuni casi, l’inserimento dei manager esterni ha soddisfatto il bisogno dell’imprenditore di affiancarsi un alter ego, una persona di completa fiducia che lo potesse supportare nello sviluppo dell’impresa. Caso 23 «La nostra azienda è presente fin dalle origini in mercati lontani. Proprio per questo motivo nostro padre, spesso all’estero per seguire le attività, si è affiancato un delfino. Lo ha scelto con cura e gli ha affidato la gestione di una unità di business rilevante. Oggi IMPRESE AL BIVIO siede anche in consiglio di amministrazione. Penso che sia l’unica persona di cui mio padre non può privarsi. Anche quando abbiamo rinnovato la gestione, sostituendo la “vecchia guardia”, mio padre non ha mai messo in discussione né la sua presenza, né tanto meno il suo ruolo» La creazione di un tandem affiatato, se da una parte può dare un’accelerazione al business, dall’altro può “bloccare” l’acquisizione della piena consapevolezza del ruolo dei successori. Quando questo succede, la successione viene in qualche modo elusa, nel senso che non si affronta in modo diretto il problema, ritardando conseguentemente la progettazione di cambiamenti nella gestione e nei processi decisionali. Caso 23 «Non si sa ancora chi potrà essere il successore tra noi due figli. Abbiamo sempre pensato che l’azienda fosse di nostro padre: un figlio non può candidarsi alla guida dell’impresa. Non ne abbiamo mai parlato in modo esplicito con lui, perché ci fa un po’ paura e ci sembra inopportuno. Per nostro padre il problema non esiste: e noi non lo solleviamo per evitare di “sembrare interessati”. Ci siamo però “confidati” con il suo braccio destro, perché sappiamo che loro due si parlano e si ascoltano» Un secondo effetto è l’adozione di uno stile direttivo nella pianificazione della successione. La generazione uscente, con il supporto dei manager non familiari e del loro alter ego, sembra “avere in pugno la situazione”: tutto può essere pianificato e, soprattutto, tutto è sotto il loro diretto controllo. Caso 30 «Ho portato i miei figli in azienda fin da bambini: conoscono tutto e sono conosciuti da tutti. Le funzioni che hanno preso in mano non sono in conflitto con le responsabilità dei manager esterni. C’erano due cose nuove da fare in azienda e se stanno occupando loro. I miei figli, entrambi laureati in materie strettamente legate al business, nel giro di 3-4 anni dovranno sostituirmi» Caso 26 «I miei figli hanno competenze complementari. Il più vecchio ha acquisito una specifica competenza tecnologica e gli ho affidato la gestione di una area strategica di business. Il secondo è un vero e proprio uomo da officina e infatti gestisce questo reparto. Il terzo, invece, ha un fiuto commerciale innato e gli ho affidato la gestione di IMPRESE AL BIVIO questa funzione, affiancandolo al mio vecchio responsabile commerciale che adesso a l vora come consulente esterno […]. In questo periodo ci stiamo certificando. La certificazione ci obbliga a definire in modo preciso le responsabilità e, come dicevo io, è emerso chiaramente che ognuno deve avere un ruolo preciso, perché non siamo intercam biabili» I manager non familiari, però, possono anche svolgere il ruolo di coach per la nuova generazione. Per diversi motivi, a differenza del caso precedente, si crea un tandem tra il manager e il potenziale successore, che supporta il processo di formazione on the job e contribuisce a legittimare il futuro leader tanto nei confronti della linea manageriale interna, quanto rispetto al mercato (clienti, fornitori, sistema finanziario). In queste circostanze, la successione rientra in un vero e proprio piano, che pur non essendo sempre formalizzato, emerge nel concreto operare dell’impresa. Caso 18 «[…] Quando abbiamo chiuso lo stabilimento ho gestito la prima vera operazione difficile della mia carriera professionale. In questa occasione mi ha assistito un manager non familiare, da sempre uomo di fiducia di mio padre. Mi ha veramente accompagnato. Oggi, io dirigo l’impresa, ma lui siede sempre in consiglio di amministrazione» Caso 20 «La successione nel mio caso è stata traumatica. Dall’oggi al domani mi sono trovato da solo a mandare avanti l’azienda. Per fortuna che c’era quel collaboratore di mio padre che mi ha aiutato. Era il mio mentore. E anche adesso che è andato in pensione, mi sento regolarmente con lui per discutere dei problemi critici. Non è inserito nel consiglio di amministrazione. Ma è come se lo fosse» Il vero problema di queste imprese è la criticità della stabilità del controllo. Con l’esclusione del CASO 26, in tutte le altre imprese il valore di questa dimensione è molto vicino alla media generale. Si tratta, quindi, di imprese in procinto di passare nel quadrante dei lungimiranti. Ma che cosa non è ancora adeguatamente sviluppato? Caso 29 «Mio padre era convinto, ma io non sono dello stesso avviso, che due soci al 50% possano andare d’accordo. La sua idea (sua, non mia) è quella di frazionare il capitale sociale in tre parti uguali al momento, non molto lontano, in cui oltre alla gestione IMPRESE AL BIVIO avremo anche la proprietà dell’azienda. Ma lui è un egualitarista incallito: una volta, quando avevamo raggiunto un brillante obiettivo di gestione, per evitare di fare differenze tra noi fratelli ha evitato di premiarci» All’interno di questo scenario, però, emerge con chiarezza che solo investendo nella stabilità del controllo si potrà garantire la continuità dell’impresa. Caso 30 «Con il tandem si può andare in gita. Ma in tandem di certo non si governa un’impresa. Bisogna scegliere: non si può dare il 50% a ciascuno dei due figli, altrimenti rischiano di litigare. La cosa più semplice è che siano le loro performance a indicare a me, alla famiglia e all’organizzazione chi dovrà avere la guida dell’impresa» IMPRESE AL BIVIO 11. L’approccio degli anticipatori La storia conta. Questo sembra essere il concetto che riassume l’approccio alla gestione aziendale e alla progettazione della successione che caratterizza le imprese che rientrano nel modello degli anticipatori (6 casi su 30). I sei casi che appartengono a questo quadrante non presentano un profilo ben definito in termini dimensionali. E anche per quanto riguarda le svolte strategiche è difficile trovare dei punti di contatto. Caso 27 «Il punto di svolta nella strategia della nostra impresa è stata la delocalizzazione. Se continuavamo a tenere la produzione in Italia, si rischiava di chiudere: i differenziali del costo del lavoro con gli altri Paesi sia europei che extra UE erano (e rimangono) abissali. E oltre al coraggio serviva la tempestività. Per questa ragione abbiamo dato fondo a tutte le risorse della famiglia per aprire siti produttivi nostri: costruire una joint venture ci avrebbe fatto perdere un sacco di tempo (trova il partner, fai capire cosa ti serve, organizza, integra le diverse realtà). E il tempo era la risorsa scarsa» Caso 16 «Eravamo una piccola bottega. Poi si presentò la possibilità di diventare dei produttori. La crisi che investì il nostro settore ci obbligò a cambiare mestiere: con le stesse competenze, abbiamo cominciato a fare un prodotto diverso. Da quel momento, siamo cresciuti in modo costante e lineare, senza tanti salti. L’unica cosa che ci ha fatto correre è stata l’innovazione tecnologica: ma non abbiamo perso nessun treno, anche se il cambiamento delle macchine ha imposto, in primo luogo a noi familiari, di ampliare in continuazione le nostre competenze. Non si finisce mai di formarsi» Infine, pure il percorso della managerializzazione appare differente. In alcuni casi, il livello medio o basso dello sviluppo manageriale dipende essenzialmente dalla numerosità dei figli presenti in azienda. Caso 16 «In azienda ci sono entrambi i miei figli e un paio di nipoti. Mio fratello è stato liquidato qualche anno fa, ma non me la sento di “scaricare” i cugini dei miei figli. Sono convinto che sarà difficile trovare un posto per tutti. Ma dobbiamo tentare e sono convinto che ci riusciremo» IMPRESE AL BIVIO In altri casi, invece, è la ridotta dimensione che spiega il fenomeno. Si verifica infatti che la famiglia ha avuto la capacità di aprirsi al contributo di manager non familiari. In generale, inoltre, queste persone risultano particolarmente critiche. Tuttavia esiste un certo disordine organizzativo, in quanto i ruoli manageriali non sono sempre definiti in modo puntuale e, soprattutto, vi è un frequente accumulo di responsabilità diverse in capo alle medesime persone. Caso 3 «Per esigenze di crescita abbiamo dovuto occupare diverse aree. Non avevo mai fatto il marketing nella mia azienda: ma se non ti sai presentare, non vendi alcun prodotto. Per questo motivo, se lei guarda l’organigramma vede un sacco di caselle e spesso con due nomi. Uno dei figli segue il commerciale e il marketing. Lui e un manager non familiare hanno in mano l’amministrazione. Io e il secondo figlio abbiamo in comune la responsabilità della ricerca e sviluppo e della qualità. Il secondo figlio e un manager si occupano insieme della gestione del personale. In produzione e nel controllo di gestione, invece, abbiamo messo solo manager esterni, perché nessuno di noi è in grado di farlo» Infine, il basso grado di sviluppo manageriale dipende dalla struttura a gruppo. Nel CASO 27, infatti, l’azienda è di medio grandi dimensioni (fatturato intorno ai 50 milioni di euro) e dispone di siti produttivi in diversi Paesi sia europei che non. La capogruppo, oggetto di indagine, ha sia un ruolo operativo (gestisce un business proprio e sinergico con le altre) sia un ruolo di coordinamento delle altre sedi produttive e commerciali. L’inserimento dei manager non familiari è stato trainato dalle dinamiche ambientali e, in particolare, dai radicali cambiamenti delle dinamiche competitive. Ciò ha generato uno shock esterno, da cui ha preso avvio un’imponente strategia di ristrutturazione, che ha convinto la famiglia a chiudersi a riccio nella impresa storica, al fine di dare l’imprinting e governare l’intero processo. Caso 27 «Qui in sede non siamo in tanti. Io mi occupo di commerciale, marketing e ricerca e sviluppo. Mio padre segue la produzione e il controllo di gestione. Mio cugino la qualità. Agli acquisti lavorano in affiancamento un manager non familiare e un familiare. Tutt’altra musica in giro per il mondo! Lì abbiamo piazzato uomini preparati e li controlliamo in base ai risultati ottenuti. Io giro IMPRESE AL BIVIO sistematicamente per tutte le sedi produttive e commerciali. Poi, all’interno del consiglio di amministrazione della capogruppo tiriamo le somme e decidiamo come cogliere le opportunità che intravedo (e che i nostri manager mi aiutano a intravedere) o cautelarci dalle potenziali minacce» Ciò che accomuna tutte le imprese, quattro delle quali hanno già sperimentato la successione, è l’avere avuto la capacità di apprendere dalle esperienze passate, non solo in termini di gestione strategica, ma soprattutto per la progettazione della successione imprenditoriale Caso 25 «Quando siamo partiti eravamo un’impresa monobusiness. Poi, con molta attenzione, siamo entrati in un business complementare che ci ha permesso di superare una serie di crisi, che invece hanno travolto i nostri diretti concorrenti. Non abbiamo avuto la stessa attenzione, però, quando abbiamo creato la prima filiale commerciale all’estero: ha generato un buco enorme. All’epoca avevo appena preso in mano le redini da mio padre: risanare quella situazione è stata la mia prima volta. Ho avuto veramente molta paura. […] In tutte le situazioni difficili, mia madre, che era attivamente presente in azienda, mi ha sempre aiutato: era la chioccia di tutti. Ma per lei prima di tutto veniva la famiglia: tutti dovevano avere un posto, anche se la cassa aziendale piangeva […] Ma i tempi cambiano e quando si deve ristrutturare può essere necessario tirare fuori i muscoli: lei non sapeva farlo. Io mi sono guadagnato i galloni sul campo, gestendo le difficoltà. Come lei sapevo mediare tra esigenze contrapposte, ma ho portato una maggiore enfasi sulla gestione dell’impresa. Quando uno dei familiari ha chiesto di essere liquidato, non l’ho trattenuto e dopo una lunga trattativa sono rimasto il solo leader. […] E pensando alla futura generazione, in famiglia abbiamo già chiarito alcuni punti. Se il business rimane quello attuale (in termini di dimensione e settore) non ci sarà posto per figli e nipoti. Darò la precedenza ai miei figli (uno dei quali lavora stabilmente in azienda). Insieme pianificheremo il passaggio del testimone: già oggi li metto al corrente delle decisioni strategiche» IMPRESE AL BIVIO Caso 27 «Per ristrutturare la nostra azienda non bastava gestire meglio. E non era nemmeno un problema di risorse finanziarie. Bisognava poter decidere. Quando mio padre è entrato, non aveva la maggioranza. Altri due soci familiari detenevano insieme poco più del 50%. Ma è riuscito a liquidarne uno: non l’ha messa sul personale ma sul gestionale. Qui da noi, essere operativo in azienda è condizione sine qua non per avere potere. E non è un caso che in consiglio di amministrazione, oltre a mio padre e allo zio, ci siamo io e mio cugino, che non possediamo quote di capitale sociale. E perché siamo dentro? Al di là delle chiacchiere, conta solo quello che sai fare, quello che fai e quello che fai sapere. Se la struttura non ti legittima non puoi diventare leader» Dall’analisi del ruolo della cultura all’interno di queste imprese, emerge una diffusa capacità di trasformare la cultura, quando necessario. In altri termini, gli assunti fondamentali della gestione non sono immodificabili. Sono tali solo a bocce ferme. Ma se cambiano le condizioni interne o esterne all’organizzazione, allora devono cambiare anche questi valori. La variabilità della cultura non è un concetto contraddittorio. La cultura si riferisce a un insieme di modi acquisiti di pensare, sentire, agire. Si concretizza in un sistema ordinato di significati e norme interiorizzati e operanti per un gruppo, anche senza una esplicita formalizzazione e accettazione. Ma si tratta anche di principi di fondo sviluppati affrontando problemi e che hanno funzionato abbastanza bene nella soluzione degli stessi. Fanno la differenza le imprese che riescono a concepirla in questo modo. Per le altre diventa un punto di forza, ma solo fino a quando è coerente con le dinamiche del business. Le imprese che rientrano in questo gruppo hanno interiorizzato questo princip io. Per tutte, infatti, assume rilevanza la capacità di mettersi in discussione. In altri termini: conta l’attitudine a ridefinire il proprio modo di pensare e di agire. IMPRESE AL BIVIO 12. L’approccio dei lungimiranti Le imprese presenti nel quadrante dei lungimiranti (11 casi su 30) sono caratterizzate da una logica gestionale orientata alla pianificazione flessibile. In azienda, bene o male a tutti i livelli, è sempre chiara la direzione verso cui muoversi, anche se allo stesso tempo si è pronti a cambiare rotta quando dinamiche esterne o interne generano nuove opportunità da cogliere. Le svolte strategiche più significative di queste aziende sono riconducibili ad una tensione, quasi continua, alla crescita e all’innovazione. Caso 7: «Nel giro di cinque anni abbiamo sostanzialmente raddoppiato il fatturato, siamo diventati una piccola multinazionale grazie a notevoli investimenti produttivi, che hanno comportato l’acquisizione di altre aziende anche di settori parzialmente diversi dal nostro, e alla presenza di un management aggressivo. Con una di queste acquisizioni, la più importante dal punto di vista strategico, abbiamo anticipato l’evoluzione del settore: per primi abbiamo adottato una nuova tecnologia e integrato la nostra offerta con un pacchetto di prodotti che ci ha consentito di difendere il business originario » L’elevata propensione alla crescita non significa che le aziende presenti in questo settore siano tutte quelle di maggiori dimensioni. Ci sono anche realtà più piccole (una delle minori fattura 8 milioni di euro), che operano in settori in cui è la tensione all’innovazione a tutto campo e la flessibilità a premiare. Caso 1: «Ho visto che le normative più recenti del settore in cui operavamo originariamente avrebbero determinato una progressiva contrazione della domanda; era necessario rivolgerci ad un settore parzialmente diverso, ma attiguo, e arrivare a cambiare la missione stessa dell’azienda: il cliente non ci doveva vedere come “uno che vuole vendergli il suo prodotto” ma come “quello che poteva risolvere i suoi problemi» In entrambi i contesti, vi è un elevato grado di sviluppo manageriale. L’inserimento dei manager è avvenuto lungo percorsi diversi. Per le aziende del primo tipo, ha seguito il fabbisogno generato dalla crescita dimensionale. Sorprendentemente, nelle realtà più piccole, la managerializzazione si è spesso verificata in prossimità del processo di IMPRESE AL BIVIO successione e ha rappresentato il momento ideale per realizzare quei cambiamenti che nessuno aveva avuto il coraggio di portare avanti: Caso 1: «La successione imprenditoriale è stata per noi un momento assolutamente fondamentale della vita dell’azienda; già dopo i primi mesi di esperienza in azienda avevo capito che se non avessimo messo un po’ di ordine non avrei mai potuto avere un quadro generale completo delle attività che venivano svolte in azienda e non sarei mai potuto essere indipendente da mio padre; ne ho parlato con lui e anche se a fatica, abbiamo iniziato a fare un po’ di ordine […] abbiamo rivisto tutte le funzioni, assegnato a ciascuno delle responsabilità ben precise, rifocalizzato e semplificato i processi produttivi (pochi e chiari!). Insomma per fortuna abbiamo cambiato tutto!» Anche la dimensione proprietaria è nella maggioranza dei casi stata oggetto di azioni specifiche volte ad assicurare basi solide all’inserimento del nuovo leader. Tali azioni si sono concretizzate ad esempio nella costruzione della “finanziaria di famiglia”, in cui gestire le complessità legate alla presenza di più nuclei familiari delimitandone con chiarezza il “campo di azione” ed evitando così conflitti nocivi alla gestione. Si rende quindi evidente una chiara intenzione a tenere distinta la famiglia dall’impresa anche tramite accordi ben definiti: Caso 5: «Abbiamo formalizzato una serie di punti al fine di guidare decisioni “critiche” nel rapporto famiglia/impresa. Il “patto di famiglia” è diretto a disciplinare, in base a norme e regole dettagliate e nell’interesse dell’azienda, l’ingresso dei familiari. Alcune di queste regole stabiliscono precisi requisiti in termini di competenze richieste e impongono ad esempio che il membro della famiglia candidato all’ingresso sia sottoposto all’esame di una commissione giudicatrice composta da consulenti esterni e quindi del tutto “imparziale e oggettiva» In questo contesto, in particolare per le aziende di maggiori dimensioni, gli organi di governance diventano più articolati: accanto ad un consiglio di amministrazione che sembra recuperare il proprio ruolo istituzionale talvolta è anche presente, a livello IMPRESE AL BIVIO aziendale o di gruppo, un comitato direttivo che riunisce mediamente una volta al mese manager esterni e componenti del consiglio di amministrazione. Coerentemente con il quadro delineato, i criteri guida nella scelta del successore privilegiano la capacità di innovazione. Si rivelano di fondamentale importanza: apportare nuove competenze alla gestione e innovare la strategia dell’impresa. Parallelamente, nell’ambito delle competenze del successore, accanto alla capacità di delega, di decisione e di gestione delle persone emerge la capacità di innovazione. Ciò non significa però dimenticare il passato e le tradizioni: Caso 7: «Mio figlio ha sicuramente le capacità e le competenze per innovare...ma io gli ho trasmesso gli insegnamenti derivanti dalla mia esperienza e dai valori di fondo che nessuna scuola ti può insegnare» IMPRESE AL BIVIO 13. Alla ricerca delle buone pratiche? Le linee di fondo che emergono dal quadro appena tracciato mettono in evidenza che non esiste un one best way nella gestione della successione imprenditoriale. L’efficacia del processo deriva dalla coerenza dinamica tra le variabili più volte indicate e spiegate nel corso di questa ricerca: le svolte strategiche, la cultura e i valori della famiglia e dell’impresa, il livello e i percorsi della managerializzazione, l’assetto della compagine sociale. Lo studio di 30 casi non è in grado di fornire indicazioni normative definitive. Tuttavia, segnala almeno alcune buone pratiche, che possono trasformare la successione in un’occasione di sviluppo: non garantisce solo la continuità dell’impresa, ma porta al vertice della stessa la persona che, in quel momento e all’interno di uno specifico contesto organizzativo e strategico, è in grado di innestare una marcia in più. 13.1. I modelli emergenti dalla prospettiva dei conservatori All’interno di questo approccio si possono individuare due modelli di comportamento: l’accentratore e il partecipativo. Il modello dell’accentratore si ha quando l’impresa è costruita a immagine e somiglianza del leader. Quest’ultimo tenta di clonare il nuovo, nel quale vede implicitamente la proiezione di se stesso, per garantire, innanzi tutto, la continuità dei “connotati genetici” dell’azienda. Parlare di successione in questo contesto è “esagerato”: ci si limita a dare un nome diverso al leader. In effetti, la nuova generazione vive di “identità riflessa” (ha gli stessi valori di fondo e principi guida, utilizza i medesimi orientamenti nei processi di gestione) e si forma sul campo affiancando quella vecchia (e il leader in particolare), dalla quale apprendere tutto ciò che ha fatto funzionare l’azienda fino a quel momento. Le imprese che adottano questo modello sono potenzialmente a rischio nel momento della successione, sia per l’oggettiva difficoltà di trovare l’erede giusto, sia perché presuppone costanza nelle condizioni interne e competitive. Il modello partecipativo caratterizza le situazioni nelle quali manca la volontà o non ci sono le condizioni per identificare chiaramente un unico leader. La successione, pertanto, apre una lunga trattativa, che consuma risorse e distoglie l’attenzione dalla strategia d’impresa. Il punto di arrivo è spesso un compromesso, che risponde alle IMPRESE AL BIVIO esigenze di chi prende la decisione (la famiglia) e non di colui per il quale la decisione è presa (l’impresa). In questi casi, gli interventi di supporto dovrebbero intervenire sui processi decisionali, aiutando la famiglia a distinguere il “fine” (continuità e sviluppo dell’impresa) dai “mezzi” (successione all’interno della famiglia, individuazione di un leader non familiare, vendita dell’azienda). Così facendo, anche l’assetto di governance assume contorni più chiari e può dare il suo supporto al processo. In caso contrario, adottare questo modello si accompagna al rischio di giungere a scelte di second best : la successione è efficace (garantisce la continuità dell’impresa) ma non adeguatamente efficiente (impedisce di cogliere occasioni di sviluppo). 13.2. I modelli emergenti dalla prospettiva dei pragmatici All’interno di questo approccio si possono riconoscere tre modelli: l’autoritario, il direttivo e il saggio. Nel modello autoritario, il leader uscente in qualche modo ostacola la nuova generazione, vuoi per l’ostinazione con la quale rimanda il problema, vuoi per l’inibizione che genera nei potenziali successori. All’interno di queste imprese, progettare la successione è praticamente impossibile. Solo un evento traumatico, sia in termini personali che di business, fa emergere la necessità di affrontare la questione. E probabilmente, troverà impreparate sia l’impresa, che non ha un elevato grado di stabilità del controllo, sia i candidati alla successione, che potrebbero vedersi abdicare (e non cedere) il potere. Gli interventi di supporto in questo caso dovrebbero agire prevalentemente sulla figura del leader, puntando in parte sugli aspetti relazionali e psicologici, per poi affrontare la delicata questione patrimoniale e di governance. Nel modello direttivo, invece, il leader, anche se in modo inconsapevole, preme sulla nuova generazione. I potenziali candidati vengono messi nella mischia e coinvolti nella definizione della strategia dell’impresa. Potenzialmente, questo modello facilita l’individuazione del miglior erede. Ma non è privo di rischi. Non tutti i figli possono avere le capacità o l’interesse ad assumere la guida dell’impresa. Saranno gli eventi a segnalare il più adatto. Si potrebbe intervenire agendo prevalentemente sui potenziali eredi. Ad esempio, una corretta analisi del loro portafoglio di competenze e delle loro motivazioni imprenditoriali può aiutare nell’identificazione del nuovo leader, da un lato accelerando i tempi e dall’altro evitando l’accumulo di stress e di tensioni tra coloro che ambiscono a un ruolo direttivo nell’azienda di famiglia, ma non ad assumerne la piena IMPRESE AL BIVIO responsabilità. E se dovesse esistere più di un leader, allora si potranno progettare soluzioni organizzative per dare a ciascuno un’area strategica di affari, piuttosto che ricercare opportunità di business che riducano il potenziale conflitto nel momento della verità. Infine, il modello saggio. Il leader crea le premesse per supportare il successore nell’acquisizione delle competenze gestionali e relazionali necessarie alla conduzione dell’impresa. Si tratta di un approccio efficace, che lascia al candidato il tempo di esprimersi. Potrebbe, tuttavia, entrare in crisi se gli scenari ambientali (competitivi, tecnologici o istituzionali) mutano in modo radicale oppure rendono urgente il passaggio del testimone. La presenza del coach rappresenta lo strumento gestionale e organizzativo per gestire l’emergenza. 13.3. I modelli emergenti dalla prospettiva degli anticipatori All’interno di questo approccio si riconoscono il modello degli spregiudicati e il modello dei prudenti. Il primo si riassume nel fatto che il successore sarà colui che sa fare, fa e fa sapere. In altri termini, la persona che dimostra di condurre meglio degli altri il business diventerà di fatto il leader. Tale approccio ha il vantaggio di “far parlare i numeri”, ma potrebbe alimentare comportamenti molto competitivi, non sempre coerenti con gli interessi e le performance dell’organizzazione. Inoltre, presuppone che l’impresa disponga di meccanismi operativi in grado di misurare le prestazioni in modo il più possibile oggettivo. In alternativa, per evitare che il fare e il far sapere diventino un boomerang, rimane aperta la “strada del business”. Focalizzando l’impegno dei potenziali successori in aree strategiche d’affari ben definite, misurabili e che possono diventare business autonomi, si offre a ciascuno lo spazio per fare il leader. La struttura a gruppo è il contesto organizzativo ideale. Il modello dei prudenti, invece, presenta un maggior grado di coinvolgimento e fa della pianificazione il punto forte del processo di successione. Vecchia e nuova generazione lavorano fianco a fia nco, al fine di trasferire i valori di fondo dell’impresa e decidere insieme il momento opportuno per cedere il testimone. La struttura del controllo è sufficientemente stabile e, salvo cambiamenti repentini e non prevedibili, la successione avviene in modo lineare. In questo caso, giocano un ruolo rilevante: le regole, che la famiglia ha esplicitato per risolvere il problema della scelta definitiva del nuovo leader IMPRESE AL BIVIO (quello con più esperienza, il più anziano, il più abile a garantire l’accordo tra i familiari, quello dotato di maggiore spirito imprenditoriale); l’articolazione e il funzionamento degli organi di governance, che possono aiutare la gestione delle eventuali differenti aspettative dei candidati. 13.4. I modelli emergenti dalla prospettiva dei lungimiranti All’interno di questo approccio si possono rintracciare due modelli: quello degli elefanti e quello delle formiche. Il modello degli elefanti è adottato tipicamente dalla aziende di medie dimensioni, che riconoscono nel processo di successione imprenditoriale un passaggio critico. Per questo motivo, si pongono nella condizione di guidare e non di farsi guidare dagli eventi. E non si tratta di retorica: la successione si affronta in incontri ad hoc; il processo viene definito in piani più o meno formalizzati, ma in ogni caso esplicitati e condivisi; si realizzano specifici interventi in termini di assetto proprietario e di sviluppo manageriale. Non è infrequente, inoltre, la famiglia blindi il controllo creando una finanziaria di famiglia e liberando in tal modo la gestione dalle “questioni di famiglia” (che vengono concentrate e risolte al livello superiore). Il modello delle formiche è invece tipico delle aziende di minori dimensioni che, pur associando un elevato grado di criticità al processo di successione imprenditoriale, non prevedono piani formalizzati o espliciti per la sua gestione e spesso non affrontano “di petto” la situazione. Ciò non si traduce in pressappochismo e impreparazione di fronte all’ingresso del nuovo leader. Il processo di successione avviene in modo graduale, talvolta anche involontariamente. In ogni caso, dopo aver individuato il leader, l’inserimento avviene spesso per prova ed errore, sia sotto il profilo gestionale (adozione di nuove pratiche manageriali), che nell’articolazione dei modelli di governance (creazione di comitati direttivi, “scoperta” o “riscoperta” del ruolo istituzionale del consiglio di amministrazione), che dell’assetto proprietario. 13.5. Alcuni esempi da scuola? I modelli di gestione della successione descritti, pur in assenza di un percorso ideale, danno alcune indicazioni sul grado di potenziale efficacia di ciascuno di essi. Tra i casi analizzati, però, ci sono alcuni esempi, CASO 21, CASO 24 e CASO 22, che si segnalano in modo particolare (tutti rientrano nel quadrante dei lungimiranti). Nei primi due, la successione è stata fatta senza mai nominarla; annullando di fatto le pressioni IMPRESE AL BIVIO familiari e psicologiche sull’evento. Sembra che il processo sia avvenuto naturalmente. Ma è solo un’illusione (e sarebbe un errore strategico non capirlo): dietro le quinte c’è stata la sapiente regia del leader. Il terzo caso, invece, porta in primo piano il ruolo di cambiamento e sviluppo del nuovo leader e indica in che modo ci si può muovere operativamente lungo le dimensioni del grado di sviluppo manageriale e di stabilità del controllo (vedi Tavola 18). Dalla parte dei genitori Caso 24 «Nella mia azienda è improprio parlare di successione. Succedere a chi? Se lei si pone in questa logica, rischia di “non vedere la foresta per colpa degli alberi”. Se hai un figlio che ha i numeri, o ti pare che li abbia, la cosa migliore è costruirgli attorno un business. Perché devo farmi da parte io? E perché lui deve aspettare che io mi faccia da parte? Nel mio caso, dato il settore e le prospettive di sviluppo dell’azienda in cui lavoro io, non c’era spazio per alcuno dei miei figli. In modo casuale (ma io ero da tempo all’ascolto del mercato) si sono aperte alcune opportunità di business. Abbiamo avviato nuove iniziative, assolutamente non correlate tra di loro e con l’azienda storica di famiglia, e ci è andata bene. Adesso ogni discendente è leader, ma a casa sua! Questo non significa che la famiglia si sia dissolta. Abbiamo la nostra cassaforte di famiglia. E qui non mettiamo solo il patrimonio, ma anche la cultura e i valori. Qui risolviamo i nostri eventuali problemi: la famiglia è troppo importante per essere confusa con il business» Caso 21 «Io sono per un approccio egualitarista. Ogni erede deve poter avere le stesse opportunità. Poi, in base ai risultati, tirerà le somme. Il mio percorso di imprenditore è costellato da casi di spin off. Parecchi miei ex collaboratori si sono messi in proprio. E quasi sempre li ho aiutati, sia finanziariamente che sotto il profilo gestionale, a metter su la loro bottega. Ho adottato la stessa logica con i miei figli. A partire dal business originale, per effetto dell’innovazione e delle esigenze dei consumatori, si sono aperte varie opportunità. Potevo coordinarle tutte io. Ma chi me lo fa fare? In alcuni casi, l’idea è venuta da loro e li ho considerati come facevo con i miei collaboratori che “confessavano di voler fare il mio mestiere”: li IMPRESE AL BIVIO ho aiutati a partire. In altri casi, l’idea è stata mia, ma non avevo né la voglia, né il tempo, né le competenze per realizzare l’idea: l’ho proposta a qualcuno di loro e, quando erano d’accordo, abbiamo avviato il nuovo business» Dalla parte dei figli Caso 22 «Quando ho cominciato a lavorare, potenzialmente eravamo ben sette ad ambire alla leadership dell’impresa (appartenenti a due famiglie senza vincoli di parentela). Per fortuna, sia “sistemando” la questione proprietaria sia per scelte professionali diverse, alla fine ci si accorda sul fatto che sarei stato io il successore. Cosa succede? Un bel giorno, mi trovo un manager con deleghe molto ampie sull’intera gestione. Le famiglie sono veramente strane! Evidentemente mio padre iniziava ad avvertire la mia pressione e ha sentito il bisogno di mettere una diga tra me e lui. Ma alla fine la sua decisione si è dimostrata inefficace. Il manager ha capito che non poteva avere un futuro là dentro e si è dimesso. Mio padre, a sua volta, ha capito e abbiamo fatto la successione imprenditoriale […] Quando ho preso in mano l’azienda i valori erano non solo l’onestà e la correttezza, ma anche una gestione basata su strumenti manageriali evoluti […] Oggi, pur non avendo ripudiato quelli vecchi, il principio di delega manageriale si basa sui risultati. Prima c’era poca abitudine a rendere conto dei risultati perché le decisioni venivano prese da mio padre che si assumeva la responsabilità dei risultati: tutti erano “responsabili” del business, ma solo uno, mio padre, era responsabile del conto economico. In questo modo si alimentava un meccanismo di de-responsabilizzazione non tanto rispetto alla performance, quanto rispetto al rapporto tra performance e costo. […] Il processo di successione generazionale che ho vissuto io è stato il più costoso, il più lungo e il più complesso che si possa immaginare. Prima abbiamo dovuto liquidare il socio (che non avendo un erede in posizione di vertice aveva preferito monetizzare il lavoro di molti anni) appesantendo l’azienda e distogliendo risorse dallo sviluppo. Poi, mio padre decide di tenersi una piccola quota e ripartire il resto tra tutti i figli in modo uguale, per questioni di giustizia famigliare e per non IMPRESE AL BIVIO fare preferenze. Peccato che tra i figli ci fossero quelli che facevano tutt’altro mestiere. […]. Dopo alcuni anni, la situazione si è fatta insostenibile. Io avevo precisi piani industriali e strategici e dovevo poter decidere rapidamente. Si trattava anche di operazioni aggressive e, per certi aspetti, rischiose. Capivo i dubbi dei miei familiari. Anch’io li avrei avuti al loro posto. Ma per me stavano diventando un vincolo troppo stringente. Ci siamo accordati e ho liquidato anche loro, con evidenti disagi finanziari per l’azienda. Ma tant’è. Adesso siamo rimasti in due, ma la ripartizione delle quote attribuisce a uno una solida maggioranza. E per ora i risultati sono dalla mia parte» IMPRESE AL BIVIO 14. Il gruppo di ricerca Francesco Favotto (coordinatore) Ordinario di Economia Aziendale, Preside Facoltà di Economia, Università di Padova [email protected] Saverio Bozzolan Ricercatore di Economia Aziendale, Facoltà di Scienze Statistiche, Università di Padova [email protected] Martina Gianecchini Dottoranda di ricerca in Organizzazione e Gestione delle Imprese, Università di Udine [email protected] Paolo Gubitta Ricercatore di Organizzazione Aziendale, Facoltà di Economia, Università di Padova [email protected] Federica Ricceri Borsista post dottorato, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Padova [email protected] Sandro Sanseverinati Ufficio Studi, Unione degli Industriali della provincia di Padova [email protected] IMPRESE AL BIVIO 15. Appendice - Il questionario16 15.1. Sezione 1 – Parte generale. Il profilo della sua azienda Ø Quale è la forma giuridica della sua azie nda? Ø Descriva brevemente la sua azienda Ø Qual è stato il fatturato della sua azienda negli ultimi 2 anni? Ø L'azienda appartiene ad un gruppo? Ø Come è articolata la compagine sociale? Ø Chi dirige le aree aziendali? Ø Quando sono stati inseriti i manager non familiari? Ø Nella sua azienda vengono organizzati incontri che riuniscono tutti i soci familiari? Ø Da quante persone è composto il Consiglio di Amministrazione (CdA)? Ø Quali sono le decisioni oggetto delle riunioni del CdA? Ø Nella sua azienda vengono organizzati incontri tra le persone coinvolte nella gestione operativa? Ø Cosa non dovrebbe mai essere messo in discussione nelle decisioni aziendali? Ø Lei considera la sua azienda come familiare? Ø Può brevemente descriverci il Suo profilo? 15.2. Sezione 2 – Imprese che hanno già affrontato la successione Ø Quale è la generazione attualmente alla guida dell’azienda? Ø Come è avvenuto il processo di successione? Ø Chi ha scelto il successore? Ø Tra chi è stato individuato il successore? Ø Quando si è verificata la successione imprenditoriale? Ø Quanto tempo è trascorso dalla scelta del successore al suo pieno inserimento al vertice dell’azienda? Ø Quali tra i seguenti elementi hanno avuto maggiore rilevanza nella scelta del successore? Ø Quali sono le abilità imprenditoriali che hanno portato alla scelta del successore? Ø Chi l’ha aiutata nella gestione della successione imprenditoriale? 16 Ogni domanda prevedeva una griglia di risposte chiuse i cui risultati sono stati elaborati IMPRESE AL BIVIO Ø Come si è svolto l’inserimento del successore? Ø Come sono cambiate la strategia e la gestione dopo la successione imprend itoriale? Ø Come è cambiato l’assetto proprietario al termine della successione imprenditoriale? Ø A seguito della successione, è cambiato il modo di decidere nella sua azienda? Ø Nel momento della successione imprenditoriale, quanto hanno pesato le seguenti priorità? Ø In sintesi, come pensa sia stato gestito il passaggio generazionale nella sua azienda? 15.3. Sezione 3 – Imprese che non hanno ancora affrontato la successione Ø Il processo di successione imprenditoriale è stato pianificato? Ø Se è stato pianificato, come è avvenuto? Ø Perché la successione imprenditoriale dovrebbe essere pianificata? Ø Tra quanti anni si avvierà veramente la successione? Ø Come dovrebbe essere gestito il processo di successione? Ø A chi spetta la scelta del successore? Ø Tra chi dovrebbe essere individuato il successore? Ø Da chi pensa di farsi aiutare nella gestio ne della successione imprenditoriale? Ø Quali tra i seguenti elementi avranno maggiore rilevanza nella scelta del successore? Ø Quali sono le abilità imprenditoriali che guideranno la scelta del successore? Ø Che cosa bisognerebbe fare per supportare la successione imprenditoriale? Ø Come ritiene possa evolvere l’assetto proprietario dopo la successione imprenditoriale? Ø A seguito della successione, ritiene che possa cambiare il modo di decidere della sua azienda? Ø Come ritiene cambieranno la strategia e la gestione dopo la successione imprend itoriale? Ø Nel momento della successione imprenditoriale, quanto peseranno le seguenti priorità?