Il giorno prima del giorno dopo

Transcript

Il giorno prima del giorno dopo
IL ROMANZO
Jas Herzog e Mina Gallina, studentesse diciassettenni di Gorizia, sono diverse in tutto,
eppure non ricordano di essere mai state meno che amiche. Il loro legame è messo a
dura prova quando ripetuti atti vandalici mettono in pericolo la sicurezza della loro scuola
e sconvolgono le esistenze di tutti gli abitanti della città. Antiche rivalità popolari si
riaccendono e le famiglie minacciano di ritirare dalla scuola i propri figli. Toccherà ai
giovani studenti chiudere i conti col passato doloroso della comunità, facendo superare a
tutti ogni pregiudizio e paura verso il diverso.
Un romanzo di formazione corale che commuove il lettore e impressiona per la capacità
di restituire ogni sfumatura dell’amore, dell’amicizia e di tutta la forza delle passioni
dell’adolescenza.
Il giorno prima del giorno dopo
di
J.H. project
© 2013 Libromania S.r.l.
Via Giovanni da Verrazzano 15, 28100 Novara (NO)
www.libromania.net
ISBN 9788898562121
Prima edizione eBook novembre 2013
Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questo volume può essere riprodotta,
memorizzata o trasmessa in alcuna forma o con alcun mezzo elettronico, meccanico, in
disco o in altro modo, compresi cinema, radio, televisione, senza autorizzazione scritta
dell’Editore.
Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o
commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate
a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana n.
108, Milano 20122, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org
L’Editore dichiara la propria disponibilità a regolarizzare eventuali omissioni o errori di
attribuzione.
Progetto grafico di copertina e realizzazione digitale NetPhilo S.r.l.
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale e indipendente dalla
volontà dell’autore.
Il giorno prima del giorno dopo
Prologo
“Questo, è il mio sangue?” domando spaesata.
Non sento più niente. Ricordo solo le luci della macchina della polizia, Nick che mi
tiene la testa e mi dice qualcosa, poi il nulla. La mia mente percepisce in modo offuscato
il moto incessante dei poliziotti mentre coprono alcuni cadaveri con un lenzuolo, e poi
Patrick... che mi guarda preoccupato e Nick... Dio mio la faccia di Nick... trema dalla
paura e cerca di tenermi al caldo con una coperta. Non so bene cosa sia successo. È
stato un sogno? Cos’ho visto veramente? Ma soprattutto, dirò a qualcuno ciò che ho visto?
Dirò a qualcuno la verità? Ma qual è la verità? Poi, il buio.
1.
Dal diario di Mina – La mia vita
Ciao a tutti, mi chiamo Mina, ho diciotto anni e abito a Gorizia, una piccola città al
confine con la Slovenia, o ex Jugoslavia, come molti la chiamano.
Mio padre mi ha chiamato così perché adora la famosa cantante, e non ci sarebbe
niente di strano se solo il mio cognome non fosse Gallina, e Mina Gallina non è il
massimo per una ragazza che frequenta uno dei più prestigiosi istituti privati della città.
I miei hanno divorziato cinque anni fa, mio padre, dopo avermi pagato la scuola ed
essersi alleggerito la coscienza, è andato a vivere a Roma, si è fatto una nuova famiglia e
io lo sento sì e no una volta all’anno. Ora mi ritrovo a vivere in un piccolo appartamento
fuori città e ad aver cura di una madre teenager e irresponsabile. È un’eterna bambina,
si veste ancora come se avesse sedici anni, con minigonne, décolleté esagerati, va in
discoteca con le amiche, balla sul cubo. Insomma, fa tutto quello che una madre
responsabile non fa. Sono io quella che lava i panni, pulisce la casa, fa da mangiare e sta
attenta che paghi le bollette e non le scarpe di tendenza che ha visto in vetrina.
“Mamma! Ti ho lasciato il pranzo sul tavolo, io vado!”
“Dove vai?” mi urla sorpresa dal bagno.
“Ma a scuola, mamma!”
Ho chiuso la porta dietro di me e me ne sono andata sbuffando.
Mi definisco una ragazza ordinaria, la ragazza della porta accanto: capelli scuri e lisci
fino alle spalle, occhi marroni grandi, sempre nell’anonimato di jeans e maglietta. Sono
responsabile e generosa, ma anche insicura e ingenua, e soffro un po’ di manie di
persecuzione. Mai fortunata in amore, ogni volta finivo puntualmente per innamorarmi
della persona sbagliata, con il risultato di essere sempre l’unica a rimetterci. Ma questo
accadeva in passato: adesso sto con Erik, un ragazzo sloveno che mi fa sentire al settimo
cielo. È la prima persona a cui penso appena mi sveglio, ed è l’ultima quando vado a
dormire. È quello giusto, stavolta ne sono sicura. Penso che nessuno di noi al mondo sia
veramente completo senza aver mai provato l’amore, anche se non tutti sono della mia
stessa opinione, me ne rendo conto. Ma io sono così: vivo d’amore, amo amare ed essere
amata.
In tutta la mia vita, non ho mai avuto quello che volevo. Da piccola chiedevo a Babbo
Natale “Barbie Luci di Stelle”, ma sotto l’albero trovavo “Tanya Profumo di Stalle”. A
tredici anni, quando mi sono iscritta a danza, avrei tanto voluto uno zaino della “Puma”
ma mia madre me ne comprò un modello con su scritto “Tigre”. Quando le ho chiesto
spiegazioni, mi ha detto che in fondo sempre di animali si trattava. E infine, a diciotto
anni, invece di una bella Opel Corsa nera fiammante, sotto casa c’era una Punto rossa
del Novantanove.
Nessuna certezza, nessuna vera soddisfazione, tranne la mia migliore amica. Su di lei
posso contare sempre, nel bene e nel male, mi dà forza e ottimismo e mi capisce con un
solo sguardo. Le voglio molto bene, quasi un bene morboso, e qualche volta sono anche
gelosissima di lei. È stata lei a insegnarmi che nella vita bisogna rispettare prima se stessi
e poi, se proprio devi, gli altri, ma su questo ci sto ancora lavorando.
***
Ogni mattina, nel cortile interno della scuola, ho a che fare con il solito problema:
devo riuscire a parcheggiare la mia macchina senza danneggiare le altre. Oggi ce l’ho
fatta in dieci minuti, manovra dopo manovra, con Mujo, il tuttofare della scuola, che mi
guardava dalla sua postazione davanti al cancello e scuoteva la testa. Quando finalmente
sono uscita dalla macchina e gli sono andata incontro ho notato che portava un’uniforme
nuova, grigia come quella di noi studenti, che lo fa sembrare più grosso ed evidenzia la
sua carnagione già scura.
Non appena arrivo mi dice, nel suo italiano stentato: “Bon giorno. Jas rubato me
chiave per macchina di caffè, no si fa cvesto! Allah punisce! Tu dice a Jas che chiave è
mia e io volere indietro chiave! Io sa che lei rubato, io no stupido! Tu dice lei sì?”
“Buongiorno Mujo,” gli rispondo “sì, glielo dirò. Ti chiedo scusa a nome suo.”
“No si fa, noi in Bosnia mai rubare, rubare è peccato!”
“Scusa di nuovo.”
Non so neanche perché continuo a chiedergli scusa, visto che non ho fatto niente.
Dentro la scuola, seduta a un tavolino davanti alla macchinetta del caffè, vedo Chanel,
che da quando è diventata responsabile del giornale scolastico è ancora più agitata del
solito. Non sorride mai, e quando comincia ad assillarti con le sue domande è finita.
Anche adesso sta lì a tormentarsi i suoi capelli castani, tagliati cortissimi.
Mi avvicino a lei, ma non faccio neanche in tempo a salutarla che lei parte all’attacco:
“Due cose. Uno: Jas ha ottenuto il primo posto nella gara di memoria. Oggi ci sarà la
premiazione, con tanto di professori, giornalisti, fotografi, e subito dopo tocca a me farle
un’intervista. Il problema è: cosa devo fare per ottenere un briciolo di attenzione da
quella asociale della tua migliore amica, senza essere presa in giro o umiliata?”
“Hai pensato di non intervistarla?”
Mi sembrava l’unica soluzione possibile, ma non mi ha preso molto sul serio.
“Simpatica.” Decisamente, non mi ha preso sul serio. “E due: hanno scelto la nostra
scuola per il progetto sperimentale con i venti ragazzi disabili e con quoziente intellettivo
inferiore alla media, e il bello è che saremo proprio noi studenti a fare da tutor. Ci stai?”
“Io? Non saprei, non credo di essere in grado, è una grossa responsabilità. Cosa dovrei
fare di preciso?”
“Portare il tuo assistito in giro per la città, raccontargli la storia di questo Paese,
insegnargli la buona educazione, studiare con lui, aiutarlo a capire il mondo e qualche
volta, perché no, preparargli da mangiare. Un po’ come fai con tua madre.”
È bastata quella battuta infelice per deprimermi. Mi siedo vicino a lei, sconsolata.
“A quanto pare sono destinata a dovermi sempre occupare di qualcuno. Mai nessuno
che si occupi di me.”
Ma Chanel mi ha ignorato, continuando a scrivere sul suo block notes. Dalle mie spalle
però sento una voce dirmi: “Ma che dici? C’è Erik che si occupa di te adesso”.
Era Susy, una mia compagna di classe, che si avvicina e mi abbraccia, sorridendomi.
“Vi ho visti ieri sera a tubare al Forum, sporcaccioni!”
“Sì” le rispondo.
“Peccato che non appena ha ricevuto una telefonata dai suoi amici se l’è svignata in
meno di due secondi. Non capisco perché non mi invita mai ad andare con lui, io vorrei
conoscere i suoi amici.”
“Meglio così, credimi! Io e Bob ci siamo lasciati proprio quando ho conosciuto i suoi
amici.”
“Sì, ma perché tu hai deciso di approfondire un po’ troppo la conoscenza con un
amico di Bob. Direi che è diverso.”
Susy si passa una mano tra i capelli rossi e continua, incrociando le mani: “Dettagli.
Tu non capisci bene quello che intendo. Immagina, mettiamo il caso, che tu un
malaugurato giorno presenti Erik a Jas...”
“...”
“Ecco. Ora hai capito.”
“Invece di pensare a queste cose, Susy, hai preparato la macchina fotografica?” ci
interrompe Chanel “Lo sai che ti voglio pronta a immortalare ogni espressione di ogni
presente in ogni momento nell’aula magna.”
“Ci sarà anche Jas?”
“Direi di sì, visto che ha vinto lei il premio.”
“Oh, ci sarà anche Jas...”
“Vuoi smetterla di fare il pappagallo?”
“L’ultima volta che le ho scattato una foto... ti ricordi cosa è successo?”
“Sì. Ti ha ripagato la macchina e ti ha chiesto scusa.”
“Mina mi ha chiesto scusa. La preside mi ha chiesto scusa. I genitori di Jas mi hanno
chiesto scusa. Lei è venuta dopo e mi ha chiesto se volevo un panino!”
“Un panino è un buon modo di chiedere scusa.”
“Non quando la tua macchina fotografica è conficcata nella macchinetta dei panini.”
“Insomma: vuoi lavorare ancora per il giornale della scuola o no?”
“Sì che lo voglio.”
“E allora smettila di lamentarti e fai il tuo lavoro.”
Il viso di Susy, già pieno di lentiggini, si fa ancora più rosso dalla rabbia. Non sapendo
più come ribattere, si volta verso di me, che per l’ennesima volta stavo lì a sentirmi in
colpa per qualcosa che non avevo fatto io.
“Come fai ad essere amica di quella iena? Si vede che sei troppo buona per capire
che ti sta solo usando.”
“Non è vero, non mi sta usando. Jas non è una iena, ha solo... un carattere particolare,
ecco.”
In tutta risposta, Susy si limita a guardarmi con quel tipico sorrisetto da “povera
illusa”, che odio. Non sopporto che gli altri parlino male di Jas, loro che non la conoscono
come la conosco io, e ancora di più detesto essere trattata come una stupida che non sa
pensare con la propria testa.
“Buuuenas dias señoritas!” La parlata spagnoleggiante è quella di Rodrigo, un altro
mio compagno di classe, che si avvicina a noi con un sorriso smagliante e una barretta di
cioccolato in mano. “Quieres sapere come faccio ad essere così in forma? La risposta es
semplice: mangio wiiki form, due barrette al giorno per togliere los kilos de torno!”
“Ciao Rodrigo. Vendi barrette dimagranti questa settimana?”
“Sì, più ne vendo più guadagno, ma non ditelo in giro perché es illegal. Non deve
sembrare che quiero vendere. Quieres comprar?”
“No, grazie. Ma almeno sai cosa vendi? Non è che c’è qualcosa di strano dentro?”
“Non posso saver todo. Ehi, che ne dici dei miei capelli splendenti? Sono stato dal
parrucchiere ieri. Jas gradirà?”
Risponde Susy per me: “Neanche sa come ti chiami, cosa vuoi che le importi dei tuoi
capelli?”
“Non es vero!”
“Sì invece.”
“Es solo arrabbiata” mi dice Rodrigo, sottovoce “perché l’anno scorso Jas ha buttato la
sua macchina fotografica nella macchinetta dei panini.”
Fortuna che Chanel ha deciso di sedare la battaglia dando a tutti dei compiti ben
precisi: “Ok ok, io devo andare in redazione ora. Rodrigo, questa è la lista delle cose da
fare per la festa di Halloween, occupatene tu. Susy, tu sai già cosa fare. E Mina, per
favore, per favore convinci la iena a rispondere ad almeno una domanda. Almeno una!”
“Tenterò.”
“Yo soy lo show e io addobbo lo show, es claro” fa Rodrigo, mentre Susy prende una
barretta dal suo carrello “Donde estas la chica del mio corazon? Ho una poesia da
dedicarle: Jas mi amorrr!”
“Sai che Jas viene sempre all’ultimo momento, quando decide di venire” gli dico,
mentre i corridoi si stanno riempiendo e la macchinetta del caffè subisce il suo solito
assalto mattiniero.
Mi giro verso il fondo del corridoio e da dietro l’angolo della presidenza ecco che
spunta lei, la più bella della scuola, che come in un film al rallentatore cammina con la
testa alzata, i capelli biondi, lunghissimi e un po’mossi che le danzano dietro la schiena, il
viso leggermente truccato incurante di tutti, l’uniforme della scuola, come tutte noi, ma
con la cravatta legata alla vita e le scarpe col tacco. Se qualcuno osa passarle davanti
deve sottostare allo sguardo gelido dei suoi occhi scuri.
È antipatica, maleducata, bugiarda, una manipolatrice, ma soprattutto è la mia
migliore amica! L’unica al mondo a non essere ciò che sembra: reincarna tutto ciò che
si può odiare a pelle in una persona, ma questo perché non permette a nessuno di
conoscerla per almeno cinque minuti. Allora si rivelerebbe un intero universo dietro alla
sua maschera, un universo solare e pieno di affetto. Chissà se mai deciderà di farlo.
“È finita la pacchia” fa Susy, sgranando gli occhi non appena la vede e andandosene
a gambe levate. Rodrigo, invece, assume la sua miglior posa da macho e la guarda
avvicinarsi con gli occhi più profondi e penetranti che riesce ad avere.
“Buenas dias mio esuberante fior...”
“Sparisci Miguel, oggi non è giornata!”
“Rodrigo, mi amor, me llamo Rodrigo, e ho una poesia por tigo...”
Ma Jas lo ha già sorpassato, andando verso la macchinetta del caffè.
“Ehi!” mi fa, cercando qualcosa nella sua borsa nera.
“Ciao. Perché quella faccia? Da dove arrivi?”
“La preside mi ha convocato per parlarmi di un premio. Ha parlato di fotografi, o
almeno credo, non seguivo molto.”
“E quale sarebbe la parte che ti infastidisce?”
“Quella in cui scopro che fra un’ora ho il compito di matematica e non so niente di
niente. Il Rossi mi sta col fiato sul collo.”
Immagino fosse quella di Mujo la chiavetta che ha tirato fuori dalla borsa per poi
inserirla nella macchinetta come se niente fosse.
“Non capisco perché ce l’abbia tanto con me quel... quel coso! Ma perché questa
maledetta non funziona?”
“Non prenderla a calci, non serve a niente. Il fatto che l’anno scorso il Rossi abbia
dovuto cambiar cognome per colpa tua, dici che sarebbe un motivo sufficiente?”
“Ma tu da che parte stai?”
“Dalla tua, ma non puoi creare casini a tutti e poi meravigliarti se ti stanno col fiato sul
collo. Perché non fai ricorso a qualche scusa dell’ultimo minuto come al solito?”
Jas riprende la chiavetta e torna nervosa verso il corridoio, mentre io cerco di starle
accanto e gli altri cercano di spostarsi dalla sua traiettoria.
“Mina, in un mese ho avuto tre malattie diverse, due funerali e un trauma cranico.
Credo di aver esaurito le scuse, per un po’. Abbiamo un codice per ‘non sopporto più il
Rossi, ma perché sono venuta a scuola invece di restarmene a casa?’”
“Sì. Il sedici.”
“Bene, allora sedici! Un enorme sedici! Un sedici gigantesco!”
“A proposito. Che ne dici se facciamo un nuovo codice? Ventidue per ‘vai via’o ‘vado
via’.”
Nessuna risposta. Intanto Chuck, un ragazzo della seconda classe, si fa verso di noi con
il cellulare e il diario di Jas.
“Ciao, li ho trovati fuori in giar...”
“Ventidue! Mi piace!” dice, rivolta a me, mentre recupera la sua roba e se ne va
senza ringraziare, come al solito. Ci penso io, e torno a seguirla, mentre lei accende il
cellulare.
“Forse dovrei marinare la scuola.”
“No Jas, hai detto che quest’anno avresti fatto in modo di avere più presenze che
assenze. Lo hai promesso ai tuoi, te lo ricordi? Ok, non l’hai promesso, ma hai detto che
ci avresti provato.”
“Sì mamma” dice, facendomi il broncio.
“E comunque, Mujo vuole la sua chiavetta indietro, Chanel vuole intervistarti a tutti i
costi dopo la premiazione e Susy è ancora molto arrabbiata con te.”
“E chi diavolo è Susy? E perché nessuno si interessa a quello che voglio io? O a quello
che non voglio?”
Ma il suo umore è cambiato di colpo non appena il suo cellulare ha cominciato a
squillare con la melodia di “Bang bang”. Sapevamo entrambe chi era.
“Sono iooo!” risponde Jas al cellulare, con un sorriso immenso, e non appena ha
chiuso la conversazione lascia cadere lo zaino e si precipita verso l’uscita, trascinandomi
per un braccio lungo tutto il corridoio, ignorando i miei pallidi tentativi di ricordarle
l’inizio delle lezioni, la premiazione, l’intervista, i fotografi, il compito di matematica.
Tutto inutile, quando fuori dalla porta, appoggiato come sempre alla sua moto BMW
nera c’è Nickolas Ortega Torres, col suo fisico scolpito, la sua carnagione scura, i suoi
occhi neri, i suoi capelli al vento. Il classico bel ragazzo che fa impazzire tutte le donne.
Tutte, tranne me.
Appena Nickolas vede Jas che gli corre incontro, il suo viso si illumina. La prende
praticamente al volo e la stringe tra le braccia, mentre dalle finestre della scuola un’orda
di ragazzine urlanti chiama il suo nome. Sembrano due innamorati che si rivedono dopo
un mese di lontananza, uno spettacolo davvero triste. Mi avvicino lentamente mentre
dietro di me continuano gli urletti fastidiosi delle altre spasimanti.
“Quando sei tornato?” gli chiede lei, guardandolo dritto negli occhi e sistemandogli un
ciuffo di capelli dietro l’orecchio.
“Cinque minuti fa. Non sono neanche tornato a casa. E tu invece? Quando sei
tornata?”
“Ma da dove? Sei tu che eri via!” risponde lei, ridendo e abbracciandolo di nuovo.
Non l’ho mai vista comportarsi così, di solito non è così espansiva.
“E perché non sei a lezione?”
“Perché tu mi hai chiamato!”
“Hm...” esclama lui, allontanandola a distanza di braccio e guardandola dalla testa ai
piedi.
“E quella gonna? Non è un po’ troppo corta, signorina?”
“No. Non lo è.”
“Ho sentito che hai vinto il primo posto in memoria fotografica, congratulazioni.”
“Come fai a saperlo? Io l’ho scoperto dieci minuti fa!”
“Sono un investigatore, l’hai dimenticato? Hai qualche compito oggi?”
“Niente di niente. Un mortorio. Perché?”
“So che non è da me, ma dai, salta su.”
“Dici sul serio?”
Jas, sbalordita, prende il casco che Nickolas le sta passando. Non aspettava altro che
una scusa come questa per non entrare in classe, devo intervenire: “No, salta giù, invece,
che hai il compi...”
“Sette!” Che nel nostro codice vuol dire, semplicemente, “sta zitta”.
Nickolas mi saluta, sorridendo, e io ricambio cercando di essere più gelida possibile,
mentre dalle finestre continuano a piovere urli e proposte di matrimonio.
“Non dovevi stare via un mese?” gli chiedo.
“Infatti.”
“Allora è vero che il tempo vola, quando si è felici.”
Mormoro infastidita dalla sua presenza e da quelle stupide che continuavano a
tempestarci di urli.
“Ok, l’hai salutata. Adesso andiamo.”
“Andiamo?” mi fa il verso lui e sorride “Perché, in quante siete, Mina?”
Jas si mette tra noi per interromperci e comincia a indossare il casco mentre mi fa,
con tono da cospiratrice: “Ascolta. Nick mi permette di non entrare in classe per andare
via con lui. Con lui. Nick. Andare via. Con lui. Quando mi può capitare ancora di
pronunciare queste parole nella stessa frase?”
Non sapendo più come oppormi, provo a dirle che la prossima volta che lui le vieterà
qualcosa, geloso com’è, io... Ma neanche riesco a finire la frase. Non sono brava ad
arrabbiarmi, o almeno non so mai cosa dire al momento giusto. E poi, Jas, con già il
casco sulla testa, mi ha appena liquidato con un ventidue.
E con un rombo spariscono in fondo alla strada, seguiti da fischi e urla di delusione.
“Dove andata?” mi chiede Mujo, correndo subito verso di me “Dato indietro mia
chiave? Tu non ha detto Jas di mia chiave?”
Provo a balbettare qualcosa, ma lui ha già capito tutto, si afferra i capelli e torna al
suo posto, bestemmiando in bosniaco. Come sempre. Jas crea i casini e io mi sorbisco le
conseguenze. Torno dentro la scuola, salgo le scale per raggiungere il primo piano, dove
si trova la mia classe. Lo zaino di Jas è ancora per terra, lo raccolgo scuotendo la testa.
Ovunque ci sono fotografi, operatori che aggiustano le luci, e la preside De Filippi se ne
sta seduta su una sedia con la sua assistente Jill che le aggiusta il trucco. Tutta questa
agitazione mi fa star male. Mi è venuta la tremarella. Provo a cercare rifugio nel bagno,
ma non faccio in tempo a voltarmi che Chanel mi chiama e mi corre incontro tenendo
tra le braccia un sacco di fogli.
“Mina! Dov’è Jas? Alla macchinetta del caffè? Deve prepararsi, e in fretta! Queste
sono le domande che le faranno i giornalisti, il premio è già dentro, i fotografi sono
pronti, la preside pure. Le hai parlato della mia intervista? Che ti ha detto?”
“Chanel...”
“Cosa?”
Non sapendo come dirglielo, alzo il braccio che teneva lo zaino. Un bello zaino nero
con su scritto Jas, Jas, Jas, in bianco su tutta la stoffa. Non è difficile capire di chi sia.
Chanel sbarra gli occhi e si mette a imprecare in francese senza riuscire a fermarsi. La
preside è diventata verde, ha incrociato le braccia e ha urlato di chiamare,
immediatamente, i genitori di Jas. E in tutto quel trambusto, l’unica cosa che riesco a
pensare è che mi dispiace.
2.
Dal diario di Jas – La villa di Nick
La villa di Nickolas si trova su un monticello di Gorizia al confine con la Slovenia.
Basta attraversare la strada e raggiungere le altre due piccole case che si trovano lì per
trovarsi in un altro stato.
Salve a tutti. Io sono Jas Herzog. Ho diciassette anni e frequento la terza superiore.
Vivo in Slovenia. Ho una madre, un padre e due migliori amici, una femmina e un
maschio. E proprio quest’ultimo, questa mattina, è venuto a prendermi e mi ha portato
via dalla scuola, il posto più noioso del mondo. Mi è mancato molto, in questo mese in cui
è stato via, anche se ci siamo sentiti più volte ogni giorno. Strano a dirsi, ma mi
mancavano i suoi rimproveri, i suoi interrogatori quotidiani.
Abbiamo raggiunto la sua villa in meno di cinque minuti, a bordo della sua bella moto
nera, e ci siamo fermati davanti al cancello automatico aspettando che si aprisse.
Dall’altra parte della strada, in Slovenia, c’è una casetta tutta verde dove abita una
famiglia di cinesi, con un bambino di sì e no cinque anni che io ho soprannominato Spia,
dato che osserva Nick continuamente e lo imita in tutto ciò che fa. Anche adesso che ci
ha visto arrivare in moto, si è messo a giocare con una motocicletta in miniatura. Anche
la sua è nera. È un po’ strano, ma divertente.
Entriamo dal cancello grande, da cui vedo subito una jeep scura, bellissima,
parcheggiata davanti alla villa con le portiere aperte.
“Wow! Vedo che hai portato un souvenir da Roma.”
“Bella eh? È il nostro nuovo acquisto. Ora ci penserà Veronica ad aggiungere un paio
di gadget, come dice lei, e poi sarà perfetta per le nostre investigazioni.”
“Eh sì, passerete proprio inosservati, non c’è che dire. Vi confonderete subito tra le
altre macchine. Già che c’eri potevi prendere una Big Foot!”
“Mi mancava il tuo sarcasmo.”
Nel piccolo giardinetto davanti alla villa vedo uno dei nani malefici di Veronica. Un
incrocio tra Pisolo, Mignolo o come accidenti si chiamano quei nani, non lo ricordo mai.
Se il nano è qui, significa che c’è anche Veronica, purtroppo.
“Deduco che c’è anche Veronica...”
“Esatto, e non vede l’ora di vederti. Ti aspetta in officina.”
“Certo, mi aspetta come si attende un infarto.”
“Lascia stare il nano! Ho promesso a Veronica che non sarebbe sparito per mano tua.
Come tutti gli altri sei, più Biancaneve!”
“Sai che non devi fare promesse che non puoi mantenere.”
“Non scherzo. Via da lì.”
“Io odio i nani!”
“È un problema tuo. Vieni.”
E così, per questa volta, mi limito a minacciare il nano con qualche gestaccio. Nick lo
ha trovato divertente, a quanto pare, perché mi sorride mentre mi segue dentro la villa.
Una volta all’interno, davanti alle scale ci sono ancora le valigie. Le scavalchiamo e
saliamo quelle scale, di pietra scura, in cima alle quali è appeso un enorme ritratto della
nonna di Nick, Isobel. Mi fermo per un attimo a guardarlo, come ogni volta. È un mese
che non lo vedo, e mi fa sempre uno strano effetto. Nick si ferma accanto a me e mi
mette una mano sulla spalla stringendomi a sé. Poi comincia a parlare, cauto, molto
probabilmente perché sapeva già cosa gli avrei risposto.
“Manca tanto anche a me. Sai, fra poco sarà passato un anno da quando è morta e
pensavo sarebbe bello, da parte tua, se venissi...”
“No! Non verrò al cimitero con te!” gli rispondo, secca, allontanandomi lungo il
corridoio.
“Ma perché fai così? Sarebbe un bel gesto da parte tua, Jas.”
“Ti do una dritta sui morti. Che tu li vada a trovare ogni mese o non ti faccia vedere
per il resto dei tuoi giorni, a loro non importa. Indovina perché? Perché sono morti.”
“Sei una cinica!”
“E tu sei noioso!”
Colpito e affondato, sapevo che questa è la parola che Nick odia di più al mondo. L’ho
visto fare un enorme sospiro, e un secondo dopo è cominciato l’inseguimento, con me
che scappo urlando come una pazza e lui alle mie calcagna da un’ala all’altra della villa.
Per quanto possa correre forte, Nick è decisamente più veloce e più atletico di me. A
favore mio c’è l’infinità di mobilia e di soprammobili antichi sparsi per tutta la villa,
quindi un inseguimento del genere diventa decisamente pericoloso per il suo patrimonio.
Quando ormai è a un passo da me, provo a liberarmi facendo cadere una grossa sedia,
ma lui, senza neanche scomporsi tanto, riesce ad afferrarla e, dopo aver eseguito
capriola in aria, atterra di nuovo su tutti e due i piedi, con la sedia in mano. Come al
solito, io sono rimasta pietrificata, incantata dalla sua agilità. Lo vedevo in ogni dettaglio,
i suoi capelli scuri e lunghi che gli cadevano sugli occhi, il suo sguardo così sicuro, tutti i
suoi muscoli strizzati nella maglietta attillata a maniche corte. Una volta messa al suo
posto la sedia, come se niente fosse, mi guarda in modo strano, e ricomincia la fuga fino
in camera sua. Non ho più scampo. La sua camera è grande, ma così piena di oggetti
delicati e di mobili antichi e costosi che ogni volta che ci entro, anche quando non si tratta
di scappare dalle sue grinfie, non so mai come muovermi. E lui ne ha approfittato al
volo, afferrandomi da dietro con le sue braccia forti e facendomi cadere sul suo enorme
letto. Si siede a cavalcioni su di me e comincia a picchiarmi con il cuscino, ridendo e
gridando come un bambino mentre io cerco di proteggermi con le mani.
“Chi sarebbe quello noioso? Ripetilo se hai coraggio!”
“Tu sei noioso!”
Ancora peggio, con la mano libera comincia a farmi il solletico, e io sotto, senza
scampo, che riesco ad allontanarlo picchiandolo sul petto
“Non è vero! Ritira quello che hai detto!”
“Mai!”
“E sta’ un po’ ferma con queste mani” mi dice, fermandomele ai polsi.
“No!”
Finisce sempre così. Con lui sopra di me che mi guarda in modo provocatorio,
sapendo che non ho la forza per liberarmi, ma per fortuna riesco a liberare almeno una
mano e lo afferro per i capelli.
“Sei il re dei noiosi!”
“E tu sei cinica!”
“E ne vado fiera. Lasciami l’altra mano!”
“E tu lasciami i capelli. E ritira quello che hai detto.”
“Mai e poi mai. Posso restare anche tutto il giorno così sai?”
A un certo punto si ferma, il suo viso vicinissimo al mio, e mi guarda in un modo
strano, con negli occhi una specie di imbarazzo. Chissà perché. Mi prende la mano con
cui gli sto tenendo i capelli e la stringe.
“Testarda. Mi arrendo.”
Non sapendo cosa pensare, gli lascio i capelli e lui subito si sposta da me e si siede
sulla sponda del letto. Io mi aggiusto la gonna della divisa scolastica, salita un po’ troppo,
e mi siedo accanto a lui.
“Che ti prende? Ci stavamo divertendo.”
“Niente” mi risponde lui, nervoso, alzandosi dal letto “sono solo stanco, devo ancora
farmi la doccia, sistemarmi un po’...”
Va verso la finestra e apre le persiane. La luce entra dentro la sua camera. Mi ero
dimenticata di quanto fosse bella la sua stanza alla luce del giorno, con i raggi del sole
che rimbalzano sul grandissimo lampadario fatto di veri cristalli pendenti che riflettono
l’arcobaleno dappertutto. Sorrido e mi sdraio comodamente sul suo letto, guardando
estasiata il soffitto, quando una luce forte che viene dal comodino attira la mia
attenzione. Sembrava un anello, ma quando le nuvole hanno coperto il sole, facendo
diminuire la luce, l’ho riconosciuto: non è solo un anello, ma l’anello, quello che Nick
aveva regalato alla sua ormai ex ragazza Ginevra e che lei gli aveva restituito un mese
fa, prima che lui partisse. Quella grandissima stronza. Non mi importa quale sia il motivo
della loro rottura, non la perdonerò mai per aver infranto il cuore di Nick. Non mi va giù
che tenga ancora quello stupido anello sul comodino! Lo prendo e comincio a giocarci,
mettendolo al mio dito.
“Hai visto Ginevra?”
Lui si volta verso di me, e non appena vede cosa stavo facendo mi toglie l’anello di
mano e lo butta dentro a un cassetto.
“No.”
“Perché non l’hai cercata o perché non l’hai trovata?”
“Perché non l’ho pensata.”
“Quindi sei ancora single. Le mie amiche ne saranno contente.”
“Le tue amiche? Plurale? Chi, Mina e Mina? Dev’essere un tipo importante, se sia lei
che te ne parlate al plurale.”
“Che simpatico.” Faccio finta di ridere alla sua battuta, ma è ovvio che non ha voglia
di parlare di Ginevra. Odio quando è così pensieroso.
“Sei diventato strano tutto d’un tratto.”
“Non sono strano. Sono stanco.”
“Vuoi che vada a casa?”
“Non ho detto che sono stanco di te” mi ha risposto, ed è andato all’armadio a cercare
qualcosa da mettersi. Io mi sono girata verso il poster dei grandi occhi scuri di Jx e mi
sono messa a leggere i biglietti bianchi appiccicati tutto intorno. “Sa parlare sette lingue”,
“Nessuno l’ha mai vista in viso”, “La riconosci solo guardandola negli occhi.”
“E Jx? Qualche nuovo gossip sulla tua musa?”
“Non è la mia musa” dice, e poi, indicando il poster “quella lì è opera tua. Sei tu che
hai voluto investigare su di lei.”
“Sì, ma tu me l’hai lasciato fare.”
Ecco di nuovo il suo sorriso, finalmente, non sopporto quando fa il muso. Butta alcuni
vestiti sul letto, si siede e comincia a togliersi le scarpe.
“E allora?” continuo “L’hai incontrata?”
“Figuriamoci. Lei si fa vedere solo con gente che conta.”
“Tu sei gente che conta.”
“In Italia, forse, ma non a livello mondiale. Per adesso sono un semplice
investigatore, che nel mondo di Jx significa solo una cosa: inavvicinabile.”
“Punto A, so cosa significa semplice investigatore, e tu non lo sei. E punto B, fra un
paio d’anni, quando la tua agenzia di spionaggio sarà pronta, sarà lei a venire da te.
Vedrai, vedrai.”
“Adoro il tuo ottimismo.”
“Adori il mio realismo. È ben diverso. Qualche novità da Miami?”
“Sai, pare abbiano proposto a Jx di lavorare per il governo degli Stati Uniti, ma lei ha
declinato dicendo che preferisce lavorare da sola.”
“Ok, aggiungeremo un altro biglietto sotto il suo poster. Ma a me interessa Miami,
come procede?”
Però Nick sembra voler evitare ogni argomento che gli propongo, e la cosa mi fa
innervosire sempre di più. Mi alzo alterata.
“Ma insomma, si può sapere cos’hai oggi?”
Lui si volta verso di me, distratto, mentre si stava togliendo la maglietta, e così me lo
sono trovato davanti, a petto nudo, che mi guardava con aria interrogativa. Sono rimasta
di pietra, lo guardo come un’idiota, a bocca aperta per la bellezza statuaria del suo corpo
perfetto. Proprio come una di quelle ochette che urlavano dalle finestre della scuola
neanche venti minuti fa. Lui aspetta che gli dica qualcosa, ma tutto quello che sono
riuscita a fare è stato abbassare lo sguardo e grattarmi la testa.
“Ehm, io...” riesco a dire “io vado da Will a cercare di decodificare il suo linguaggio
alieno.”
“Ok...” ha capito subito che qualcosa non andava, l’ho notato dal suo sopracciglio
alzato.
“...Ok” e lui ancora lì, a petto nudo, con la maglia in mano, e l’unica cosa che riesco a
pensare è cosa diavolo sta aspettando a rimettersela! E io ancora lì, incapace di fare
altro che non fosse guardarlo e ripetere il solito “ok”.
“...Ok.”
Finalmente mi riprendo e riesco ad andarmene di corsa. Mi sento a disagio ad
ammirare i muscoli del mio migliore amico, non so perché, ma mi sembra così, come
dire, innaturale farlo, come se guardassi un mio fratello. Un incesto platonico! Scappo
nell’ala sinistra della villa, dritta nel santuario di Isobel, la biblioteca. Già dalla porta, fatta
di legno pregiato con decorazioni di spine di rosa, e pesante da aprire, si capisce che
quella stanza è diversa da tutte le altre. È spaziosa, con il soffitto alto e uno scaffale
enorme e pieno di libri che corre lungo tutta la parete. Non sono mai riuscita a sapere
quanti siano in tutto. Sul lato sinistro della stanza c’è un tavolo molto lungo, ingombro di
fogli, quaderni e block notes vuoti, cinque barattoli colorati pieni di pennarelli, matite e
una lampada. Questa biblioteca è stata costruita con cura e attenzione, ma c’è un
dettaglio in particolare che la rende speciale: il libro magico. A una prima occhiata è
soltanto il Macbeth, il libro preferito di Isobel, e si trova in mezzo a tutti gli altri testi della
letteratura shakespeariana. Ma è sufficiente spostarlo per far sì che lo scaffale si apra,
rivelando dietro di sé un’altra grandissima stanza segreta, che Isobel chiamava l’Aldilà.
Sosteneva infatti che, soltanto dopo la morte, una persona riesca a scoprire tutti i segreti,
le bugie e le manipolazioni che ha subito durante la vita, ma grazie a questa stanza è
possibile conoscere tutto questo senza dover per forza morire.
Entro nell’Aldilà. È una stanza immensa e piena di computer, televisori, monitor, con
una serie di schermi che ti permettono di vedere ogni angolo della casa e, se vuoi, aprire
o chiudere ogni porta o finestra. E poi una serie di armadi pieni di macchine
fotografiche, telecamere, registratori, cellulari, cavi e borse.
In mezzo a tutto questo, sempre e comunque seduto sulla sua sedia rossa e ormai
sbiadita, c’è William, un vecchio amico e collaboratore di Nick, che tre anni fa ha
lasciato Londra per venire a lavorare con lui.
“Good morning mister William, how are you?”
“I’m fi-fi-fine, thank you” balbetta Will.
“Com’è andato il viaggio? Catturato qualche ladro?”
“Sì, a dire la verità, se-se-senza e-e-esagerare e ghthg, non so se ca-ca-capisci i
termini perché ognuno p-p-poi, come nella vita da ghtbtkrk e insomma, po-po-positivo
fino al fghnghyh non puoi sapereklgnmdr comunque. Sddsfcnt direi” aggiunge lui ancora
balbettando.
“Quindi è un sì?”
“È qu-qu-quello che ho detto. Non ascolti quando parlo?”
Detto questo, torna ai suoi computer e si mette subito a scrivere sulla tastiera,
velocissimo. Io mi metto a guardarmi in giro, giocherellando con le mille penne colorate
che Will ha sulla scrivania, e lui continua a scrivere con una mano sola, mentre l’altra è
impegnata a rimettere ogni cosa al suo posto. C’è una nuova foto dei suoi genitori
incorniciata sul tavolo. Due stimati professori di Oxford che fanno di tutto per ostentarlo,
con i loro occhiali e i loro libri sotto braccio. Prendo la foto in mano.
“Hai intenzione di dirglielo, prima o poi, che non hai nessuna intenzione di stare dietro
a una cattedra?”
Will mi toglie subito di mano la foto, proprio come prima Nick aveva fatto con l’anello
di Ginevra, e la mette dall’altra parte del tavolo.
“No. Li de-de-deeeluderei. A-a-aspetto ancora un po’.”
“Sei la vergogna di tutto il pianeta, te ne rendi conto vero?”
“Hgjkn.”
“Hgjkn un cacchio, hai trent’anni e ancora hai paura dei tuoi genitori? È da anni che
racconti la solita balla che sei un professore, e per di più fidanzato con un’italiana. Ma
come fanno a crederti?”
Mano a mano che il discorso si fa più complicato lui diventa sempre più nervoso. È
buffo nel suo sproloquio, però ha un non so che di affascinante.
Dopo questo breve scambio di battute torna a scrivere e trafficare con il computer. Io
mi sdraio sulla scrivania, osservando ogni suo gesto. Lui digita qualche numero strano e
qualche lettera senza senso in sequenza, e in mezzo allo schermo appare il nostro pianeta.
In uno spazio vuoto in basso a destra digita una serie di cifre, forse un numero di
telefono, e tutto d’un tratto la Terra sullo schermo ha cominciato a girare e ingrandirsi
sempre di più, fino a fermarsi in Europa, e poi sempre più vicino, sempre più vicino, fino
a fermarsi sulla Svizzera. Il tutto è stato così veloce che per poco non sono caduta dalla
scrivania.
“No-no-non dovresti guardare. Nick sa che sei qui?”
“Certo che lo sa, mi ha detto lui di venire qui da te.”
Will fa finta di niente e torna ai suoi computer. Confronta cifre su diversi monitor,
digita un po’ qua e un po’ là. Scrive così veloce, e senza neanche guardare la tastiera:
questo per me, che scrivo ancora con due dita, ha del miracoloso.
“Quindi tu puoi sapere in ogni momento dove si trova esattamente una persona solo
digitando il numero del suo gsm?”
“Sì.”
“E se qualcuno non vuole farsi rintracciare? Insomma, ci sarà un metodo per
cancellare le proprie tracce, no?”
“Sì.”
“E qual è?”
“Quando farai parte del team lo saprai.”
“Ecco: quando si tratta di vietarmi qualcosa il tuo linguaggio diventa alquanto
limpido!”
“Ordini del capo.”
Me ne vado senza neanche salutarlo. In questa casa non fanno altro che proibirmi
qualsiasi cosa, sono stufa. Torno verso la camera di Nick e lo vedo in bagno, con la porta
aperta, davanti allo specchio che finisce di farsi la barba. Credo di non averlo mai visto
con la barba incolta. Si volta verso di me con il rasoio a mezz’aria.
“Sei ancora nervosa o...”
“...O...”
“Cinque minuti e sono pronto.”
“Dove mi porti?”
“Dove vuoi che ti porti?”
“Lo sai...”
“Dai, prepara il cestino.”
Mi giro, e in un attimo eccomi in cucina. Se al posto del grande arco per entrarci ci
fosse stata una porta, credo proprio che ci sarei andata a sbattere contro. Più che in una
cucina, sembra di essere in una farmacia: è tutto pulitissimo e in ordine, tanto che
sembra di entrare in un negozio di arredamento, sebbene questa stanza abbia qualche
decennio, e secondo me i prodotti in frigo sono posizionati in ordine alfabetico. Devo
decisamente parlarne con Will: capisco che sia lui il cuoco di casa, ma tenere tutto così
pulito rasenta la malattia. Apro la dispensa sopra il lavello, quella con su scritto
“proprietà privata”. Mi piace avere una dispensa privata, solo mia e di Nick, in cui
nessuno può mettere le mani. Dentro, oltre alle cose da mangiare, ci sono alcune foto
appese. Quella che preferisco è stata scattata un giorno in cui Isobel si era messa in testa
di insegnarmi a cucinare. Ci siamo io, lei e Nick, tutti bianchi di farina, che ridiamo
come matti, e la cucina alle nostre spalle ridotta a un campo di battaglia. Eravamo così
felici e spensierati, chi poteva immaginare che poco dopo Isobel sarebbe morta
lasciando Nick solo al mondo.
Ma non mi va di avere questi brutti pensieri adesso. Ci penserò un altro giorno. Il
giorno prima del giorno dopo. Nel frattempo cerco di fare due panini con il salame,
sporcando di briciole non solo il ripiano della cucina, ma anche il pavimento. Nascondo
tutto spostando le briciole col piede sotto a una dispensa.
“Se Will scopre che fai così è la tua fine, sarebbe capace di rincorrerti con lo straccio
in mano e dio solo sa cosa potrebbe farti” mi dice Nick, che probabilmente mi stava
guardando da un po’, appoggiato allo stipite dell’arco.
“Niente di quello che potrebbe farmi sarà peggiore del male che mi fa quando parla.”
“Di che avete parlato?” mi chiede, ridendo e prendendo il cestino.
“Io di niente. Lui invece mi ha raccontato di gkgk , poi si è lamentato di gbghbvgh e
alla fine ha aggiunto un frff” e continuo, mentre Nick, ridendo ancora, mi dà un bacio
sulla testa. “Da quando lui ha preso il monopolio della cucina si muore di noia. È tutto
così pulito e ordinato, sembra di stare in un museo.”
“Ti mancano i vani tentativi della nonna per insegnarti a cucinare?”
“Sì! La cucina era piena di farina, piatti rotti e puzza di bruciato!”
“Facciamo così: uno di questi giorni ci mettiamo di nuovo ai fornelli, ci stai?”
“Dici davvero?”
“Dico davvero.”
“Non vedo l’ora!” gli ho detto, abbracciandolo, poi ci siamo avviati verso l’uscita.
“Vuoi passare da Veronica prima di andare?”
“E perché dovrei fare una cazzata del genere, scusa?”
“Smettila di dire parolacce.”
“E tu smettila di dire idiozie.”
“Dico sul serio, lo sai che non mi piace.”
Gli do uno spintone e torniamo subito a ridere, per fortuna. Saliamo di nuovo sulla
moto e Nick mi costringe a mettere il casco, anche se il viaggio sarebbe stato di sì e no
due minuti: basta salire lungo la collinetta oltre la casa e oltrepassare un cartello con su
scritto “senso unico” per inoltrarsi in un bosco che si apre, dopo un minuto, su un
panorama bellissimo. Qui c’è un albero enorme con, nascosta tra i rami, una casetta che
Isobel ha fatto costruire moltissimi anni fa. Ogni volta che torno qui mi sembra di sentire
di nuovo la sua voce dirci che questo sarebbe stato il nostro rifugio felice. E aveva
ragione: è qui che veniamo a parlare dopo qualche suo lungo viaggio, è qui che veniamo
se siamo tristi, e qualche volta è qui che veniamo a bere con altri amici, ovviamente se
fanno i bravi. La casetta è di legno, e sopra il tetto ci sono due riflettori che, accesi nel
buio, somigliano agli occhi di un gatto. È per questo che ho deciso di chiamarla cat’s
eyes.
***
In questo mese senza Nick non sono venuta neanche una volta qui. Scendo dalla moto
e guardo un po’ quel grande albero, quando Nick comincia a chiedermi: “Hai fatto i
compiti che ti ho assegnato?”
I compiti: mai una volta che se ne dimentichi.
“Sì papà” gli rispondo, sbuffando.
“Sai che se sbagli anche solo una risposta non ti racconto niente del mio viaggio di
lavoro.”
“Sì papà.”
“Chi era Garibaldi?”
“Giuseppe Garibaldi è stato un generale, condottiero e patriota italiano. Con le sue
imprese militari è stato determinante per la riunificazione dello stato italiano, avvenuta
nel 1861.”
“Repubblica Italiana?”
“Diciotto giugno quarantasei.”
Nick sale sulla casetta mettendo il piede in un’incavatura sul tronco dell’albero e
aiutandosi con la sola forza della gamba, cestino e tutto.
“Inizio del calendario romano?”
“Settecentocinquantatre avanti cristo” gli rispondo, mentre come al solito la sua agilità
mi lascia esterrefatta. Dall’alto della casetta mi arriva la sua voce: “Musulmano?”
“Seicentoventidue avanti cristo.”
Afferro la mano che mi porge e mi faccio aiutare a salire.
“Greco?”
“Settecentosettantasei avanti cristo.”
“La mia data di nascita?”
“Dai, questa è difficile!”
Mi sorride dolcemente. Il cestino è al centro della casetta e la porta di vetro che dà sul
balconcino è aperta verso il bellissimo panorama di fuori, con il castello di Gorizia da
una parte, quello di Merna dall’altra, e tanto verde intorno. Usciamo e ci appoggiamo al
parapetto, con il vento che soffia scompigliandomi i capelli. Nick mi mette una ciocca
dietro l’orecchio e mi guarda teneramente, senza dire una parola.
“È così bello qui” gli dico “sembra di stare su un iceberg.”
“Un iceberg?”
“Perché? Uno non può immaginare di stare su un iceberg?”
“Di solito le ragazze sognano di stare in un castello, sull’Olimpo, sul Titanic con Di
Caprio, non su un iceberg.”
“A me non piacciono queste cose” rispondo, arrampicandomi sul parapetto “io vado
controcorrente. Dai, facciamo la scena di Titanic sulla punta della nave?”
“No. Scendi che è pericoloso.”
“Jack, sto volandooo!” Da quassù sembra davvero di volare. Per un attimo mi è
venuta voglia di provare a saltare nel vuoto.
“Scendi giù, Rose, prima di farti male.”
Mi afferra per la vita e mi mette giù.
“Sei noioso, te l’ho già detto oggi vero?”
“Non sono noioso. Sono prudente.”
“Come vuoi.”
Torno nella casetta. Possibile che qualsiasi cosa io voglia fare è pericolosa? Non fa
altro che dirmi cosa posso o non posso fare. Anzi, soprattutto cosa non posso fare. Mi
siedo sopra uno dei cuscini colorati sparsi a terra intorno al cestino e cerco qualcosa da
bere, mentre Nick si viene a sedere di fronte a me.
“Dai, raccontami come ti sei annoiata questo mese.”
“Come fai a sapere che mi sono annoiata?”
“Ti annoi sempre. Per te è sempre tutto una noia totale.”
“Solo perché è così. Vediamo. È cominciata la scuola, mia madre mi ha comprato
uno stupido acquario con dieci stupidi pesci, mio padre ha deciso di fare ramadan, Mina
sta con un ragazzo sloveno, tu sei partito e tornato. Ora tocca a te.”
“Non mi hai detto niente di te.”
“Come no? Tutto questo era me.”
“Jas...” Mi chiama, appoggiandosi ai cuscini e fissandomi dritto negli occhi,
incrociando le mani. Io alzo gli occhi al cielo e provo a rispondere: “Quasi ogni giorno
vado a scuola, frequento lezioni inutili, evito studenti e iniziative senza senso, vado al Bar
Forum, dove almeno posso svagarmi un po’, e poi torno a casa dai miei genitori, lei che
non fa altro che ristrutturare casa in preda alla menopausa e lui in ansia per il ramadan a
chiedersi se riuscirà a stare a digiuno tutto il giorno. Per fortuna che c’è Mina, che mi
capisce e mi fa ridere. Questa routine mi uccide. È una noia totale. Voglio di più dalla
vita, voglio viaggiare, vedere il mondo, voglio l’avventura, l’adrenalina! Tutte cose che
potrebbe darmi il mio migliore amico, che però si rifiuta di farlo, e questo mi fa
imbestialire più di tutto il resto!”
“Hai finito?”
“No, ho appena cominciato!”
“Ne abbiamo già parlato.”
“No, tu ne hai già parlato!”
“Quando sarai maggiorenne e finirai la scuola ne riparleremo. Hai ancora molto
studio davanti a te e non devi farti distrarre dalle fantasticherie sul mio team.”
“Sto già studiando un sacco, non faccio altro che studiare da anni, studio a scuola,
studio a casa, studio con te. A cosa mi servono tutte queste informazioni se non le posso
usare da nessuna parte?”
“Quando intendo studiare non intendo solo lo studio scolastico.”
“E cos’altro?”
“Per esempio l’autodifesa. Devi imparare a proteggerti da sola, la preparazione fisica
è molto importante.”
“Io so già proteggermi da sola.”
“Bugiarda.”
“Ma imparo in fretta!” E continuo a lodarmi da sola, mentre Nick mi guarda con viso
rassegnato, “Ho un’ottima memoria, so parlare cinque lingue e sono una delle più brave
della mia scuola, matematica a parte. Cosa mi manca?”
“La maturità, la disciplina, l’autocontrollo, la sensibilità...”
“Ehi! Ne parli come se fosse un difetto. Neppure Dr House è il massimo della
gentilezza e sensibilità, però il suo lavoro lo fa molto bene.”
“Dr House è il personaggio di un telefilm.”
“Ci sono più Dr House nel mondo di quanti tu ne possa immaginare, eppure la loro
personalità non è d’impiccio nel loro lavoro. È il mio carattere a distinguermi dalla
massa, ci hai mai pensato? A me piace come sono e non ho nessuna intenzione di
cambiare.”
“Io non voglio che tu cambi.”
“Tu non vuoi niente che riguardi me con te!”
Perché fa così, perché non mi vuole nel suo mondo? Io mi sento pronta per andare
con lui, ogni tanto, a investigare un po’, spiare le persone. Dopotutto, anche lui ha
cominciato da giovane. Lo guardo alzarsi e venire accanto a me, abbracciandomi.
“Jas, tu sei l’unica famiglia che mi è rimasta. Se ti succedesse qualcosa, io rimarrei
veramente solo al mondo. Finché avrò vita, farò di tutto per proteggerti e tenerti lontana
dai pericoli. Ti ho promesso che un giorno farai parte del mio team: manterrò la
promessa, ma non avere fretta, so quel che faccio. E non voglio che tu cambi, sei la
ragazza più... speciale che abbia mai conosciuto in tutta la mia vita. Non voglio
cambiarti: voglio solo migliorarti.”
“Non ce la faccio più. Io... io mi annoio, Nick! Ho bisogno di vita, di emozioni, di
vivere qualcosa di speciale, qualcosa di più. Tu non capisci. Mi sento come una Ferrari
che potrebbe andare a trecento all’ora e invece non va neanche a trenta.”
“Piccola, hai solo diciassette anni, vedrai che avrai tutte le emozioni e l’adrenalina che
vorrai. Non devi avere fretta di crescere.”
“Ho capito, devo migliorarmi. Uffa...”
“Comincia con il responsabilizzarti. Dico sul serio.”
“Non voglio responsabilizzarmi. È noioso.”
“E tu sei terribile.”
“Fra due anni, io verrò con te. E anche se non lavorerò con te non importa,
l’importante è che mi porti con te, ok?”
“...”
“Ok?”
“Farò tutto il possibile per non deluderti.”
“Dai... ora raccontami il tuo mese interessante e pieno di emozioni.”
“Siamo andati a Roma, io, Will, Veronica e Patrick. Non sapevamo esattamente cosa
ci aspettasse: l’unica cosa certa era che loro si trovavano in quel bar, e che Veronica
doveva farsi condurre al loro rifugio...” E continua a raccontare, mentre io ascolto con
attenzione ogni sua parola. Mi ha detto che erano in giro per l’Italia a cercare di
smascherare dei ladri di bancomat, raccogliendo ogni prova necessaria, e non ha
risparmiato le parole di elogio per ogni membro del suo team. Will è un genio dei
computer, Veronica una maestra per quanto riguarda macchine e motori, e Patrick un
vero professionista, capace di scorgere dettagli e particolari che sfuggirebbero a
chiunque altro. Chissà se parlerà mai così di me, chissà se sarò mai all’altezza del resto
del gruppo!
“...Alla fine siamo riusciti a raccogliere tutte le prove necessarie per incastrarli. Ora è
tutto nelle mani delle forze dell’ordine, saranno loro a portare avanti il lavoro.”
“Penso tu sia uno dei pochi rimasti a credere nelle istituzioni e nelle autorità” gli dico,
canzonandolo, “ormai, guardando il telegiornale, non vedi altro che poliziotti corrotti
ovunque”.
“Non è vero. Io credo molto nel lavoro che faccio e credo nella giustizia. È il solo
modo di fare ordine nel mondo. Prova a immaginare un mondo senza le leggi: cosa
diventerebbe? Vorrei che le persone si fidassero di più delle autorità e della polizia: la
maggior parte è composta da persone scrupolose e responsabili che prendono
seriamente il loro lavoro. E poi, senza fiducia, ci sarà sempre più criminalità. Lo scopo
della mia agenzia è quello di restituire la fiducia alle persone. Voglio dare a tutti la
possibilità di essere aiutati, voglio che sappiano che a qualcuno importa di loro, che non
devono più pensare di essere soli. Io ci sono.”
Si può essere atei come me, eppure è necessario ringraziare Dio quando Nick riesce a
concludere il suo solito discorso sulla giustizia e sulla morale in così breve tempo. Io non
credo nella giustizia, però credo in lui. È l’unico ad essere veramente ciò che dice di
essere.
“Che c’è?” mi chiede quando si accorge che lo sto fissando.
“Niente.”
Forse è bastato quel niente a fargli capire che sta diventando troppo pesante, perché
per fortuna decide di cambiare argomento.
“Siete ancora decise, tu e Mina, a fare il vostro giro per l’Europa quest’estate? Tutte
sole?”
“Certo! Quest’anno eri riuscito a convincere i miei a non farmi partire, con la scusa
che ero ancora minorenne, ma a giugno compirò diciotto anni, e nessuno potrà
fermarmi!”
“Non credo che ti lascerò andare.”
“E io non credo di averti chiesto il permesso.”
“È pericoloso.”
“Guarda che non cambio idea.”
“Lo sai che ti terrò d’occhio vero? Ti nasconderò addosso una microspia e ti farò
seguire da uno dei miei uomini.”
“Non potrai tenermi d’occhio sempre.”
“Cosa sarebbe questa, una minaccia?” mi ha detto, e poi si è alzato in piedi e mi ha
attirato a sé, vedendomi sbuffare. È arrivato il momento tanto temuto dell’emotion
dance . Accende il piccolo lettore CD a batterie che sta sempre per terra vicino ai cuscini
e comincia a cantare la canzone abbracciandomi.
“He wore black and I wore white, he would always win the fight, bang bang, he shot me
down, bang bang, I hit the ground, bang bang, that awful sound, bang bang, my baby shot
me down... Vieni qui, è l’ora dell’ED.”
“No, io odio l’emotion dance .”
“Ok, allora comincio io. Non faccio che avere lo stesso incubo da mesi ormai. Sogno
di perderti. In un modo lento e doloroso, tu ti allontani da me, e più facevo di tutto per
non lasciarti andare via, più tu ti allontanavi. È una sensazione terribile.”
“Questo non succederà mai, e tu lo sai.”
“No che non lo so.”
“È solo un incubo, Nick.”
“Perché non me lo dici mai?”
“Dirti cosa?”
“Dimmelo. Dimmi ‘Nick, non ti lascerò mai’”
“Te l’ho già detto, era solo un incubo, e non succederà.”
“È la regola dell’ED, voglio che tu me lo dica.”
“Questa cosa è ridicola!” Ma ho dovuto cedere, vedendo che lui continuava ad
aspettare: “Ok, ok! Non ti lascerò mai. Sei felice adesso?”
“Tutte le persone che ho amato, prima o poi mi hanno abbandonato.”
“Nick, non ti hanno abbandonato” gli dico, prendendogli la testa tra le mani.
“Guardami. Io non me ne andrò da nessuna parte senza di te. Hai capito? E neanche tu te
ne andrai da nessuna parte senza di me. Quindi, sii gentile, piantala con questa sindrome
dell’abbandono che stai cominciando a infastidirmi. Hai capito? Te. Lo. Prometto.”
Lui sorride stringendomi fortissimo a sé. Ci appoggiamo alla porta del terrazzo,
ballando, e quando questa si apre da sola cadiamo sui cuscini dentro la casetta, proprio
mentre Nancy Sinatra finisce di cantare.
Le ore passano sempre in fretta insieme a Nick. Poco prima del tramonto siamo
andati via dal cat’s eyes . Fermiamo la moto davanti al cancello e purtroppo lì
incontriamo Veronica, a cavallo della sua moto bianca, che si stava sciogliendo i capelli
neri e lunghissimi aspettando di poter entrare. Il bambino cinese è ancora lì davanti a
casa, stavolta con una moto nera e una bianca davanti alla sua villetta di cartone. Scendo
dalla moto e mi allontano, e quando Nick si offre di accompagnarmi a casa gli ho detto
che preferivo fare una passeggiata.
“Buenos dias Nick” lo saluta Veronica e poi si gira verso di me e mi chiede “Come
stai Jas?” dalla sua espressione si nota che non è davvero interessata al mio stato di
salute, lo fa solo per educazione, mi sono girata dall’altra parte senza neanche salutarla.
“A quanto pare non sei ancora guarita dalla maleducazione” aggiunge ancora
Veronica.
“No, purtroppo gli antibiotici non hanno avuto effetto” ho replicato.
“Hm, non so neanche perché parlo con te. Non hai la testa per parlare in modo
adulto.”
“Tu invece la testa ce l’hai. È il cervello che ti manca.”
“Davvero un bell’esempio di maturità, tutte e due!” ci interrompe Nick, che poi dice,
rivolto a me: “Forse passo per il Forum, stasera.”
“Come vuoi, basta che non ti porti dietro quella lì. Ah, a proposito, di’ al tuo nano di
dormire con un occhio aperto.”
“Ma l’hai sentita? Sta minacciando Baldo!”
“Sei ridicola!”
“Piantatela voi due! Jas, vuoi che ti accompagni a casa?”
“Ho detto no!”
E me ne vado, voltando loro le spalle. Attraverso la strada per raggiungere il
marciapiede sul lato opposto, mentre Nick e quella là spariscono dietro al cancello.
Afferro la maniglia del portoncino ed entro nel giardinetto di casa mia, in Slovenia.
***
Il lato negativo del mio rapporto con Nick è proprio quello di abitare uno di fronte
all’altro. Innanzitutto perché riesce a controllare ogni mia mossa: fra la sua camera da
letto che guarda dritto verso la mia e le telecamere che guardano ogni angolo della
strada, la mia privacy ha fatto le valigie e se n’è andata molto tempo fa. E poi, perché
ogni giorno devo vedere quella cretina di Veronica, che dall’alto dei suoi venticinque
anni si comporta come se ne avesse dieci di meno!
Come ogni volta, entro in casa passando per la finestra di camera mia, che per
fortuna si è rotta un paio d’anni fa e può essere aperta da fuori con una semplice spinta.
Sono stata ben attenta a non farlo notare, così posso sgattaiolare fuori e dentro casa
indisturbata ogni volta che voglio. Non ho voglia di farmi sentire dai miei, meglio evitare
domande riguardo al compito di matematica che oggi ho saltato. Mia madre in
particolare è insopportabile: da quando è in menopausa sembra una donna
costantemente incinta che gira per casa.
Mi tolgo le scarpe buttandole sul tappeto viola e bianco al centro della mia camera e
mi siedo davanti al vecchissimo computer sulla mia scrivania. Oggi è venerdì e
sicuramente deve avermi scritto mia nonna dalla Serbia, ma il mio computer è talmente
vecchio che, mentre aspetto che si accenda e si connetta a internet, ho tutto il tempo di
ascoltare l’ennesimo litigio dei miei.
“Non ho parole!” urla mio padre dal bagno “Sai che voglio celebrare il ramadan e
cosa fai? Riempi il frigo di cibo!”
“Devo forse ricordarti, caro, che l’ultima volta che mi sono messa a dieta tu ti sei
messo a cucinare la porchetta in giardino?”
“Almeno io andavo a cucinare fuori!”
“Ah, se è per questo puoi andartene fuori anche adesso!”
“Sei incredibile, incredibile!”
Sono buffi quando litigano, i miei genitori. Presi singolarmente possono anche
sembrare due persone normali. Lui onesto, leale, gran lavoratore, lei energica,
premurosa e con un gran senso degli affari, ma come coppia tendono ad essere un vero
disastro! Finalmente il computer si è acceso! Apro subito la mail di mia nonna: “Tua
madre mi ha fatto davvero arrabbiare! Pare che a capodanno non potrà venire in Serbia,
e questo mi fa ricordare che è solo colpa sua se non può venire perché diciotto anni fa se
ne è andata in Slovenia con una piccola valigetta, dicendo che se ne andava in vacanza e
sarebbe tornata entro tre settimane. E invece è tornata con più bagagli di quando è
partita: un marito e una pancia di quattro mesi! Non glielo perdonerò mai! E come se
non bastasse, per rendere ancora più forte il mio dolore e assicurarsi che soffra senza
tregua anno dopo anno, si è trasferita a ottocento chilometri di distanza! Quella
disgraziata, ingrata e traditrice di mia figlia! Spero che un giorno tu possa recarle lo
stesso dolore che lei ha recato a me! Come stai piccola mia? Io bene, il colesterolo è
nella norma e la pressione stabile. Ti mando un po’ di articoli sui miei interventi
chirurgici e un paio di fogli per ripassare la lezione di pronto soccorso. Salutami tanto il
tuo futuro marito Nickolas e dai un bacio a Mina. Ti amo e ti adoro! Nonna.
Ps: stamattina, facendo i tarocchi, mi è caduta la carta del neonato dal mazzo. A
quanto pare ci saranno dei grandi cambiamenti nella tua vita. Anche se questa carta è
positiva, non dimenticarti che si tratta sempre di un neonato, e se non sai gestirlo, con
poppate e cambio di pannolini, passerai delle notti insonni nipote mia cara”.
Leggendo l’e-mail di mia nonna non riesco a smettere di ridere, con quel modo tutto
suo di ragionare. È esilarante. Le rispondo subito: “Tu mi farai morire dalle risate,
sappilo. In ogni caso, non te la caverai così facilmente, mi hai detto tutto tranne quello
che volevo sapere! Ho sentito che lunedì hai prescritto un sacco di esami dolorosissimi a
un uomo, dicendogli che forse aveva un cancro, per poi rivelargli a fine giornata che
poteva tornare a casa perché aveva solo un raffreddore! Non spererai di convincermi
che non sai distinguere un raffreddore da un cancro? Confessa, donna! Cosa ti ha fatto
quel pover’uomo per farti arrabbiare così? Bella la tua foto sul giornale, solo la prossima
volta ricordati di togliere la mascherina ché non si vede il tuo viso. E sì, ripasserò e
studierò dai fogli che mi hai mandato, ormai so fare solo questo! Riguardo alle carte
invece, sai già come la penso, quindi mi sa che il neonato rimarrà orfano di madre. Ci
sentiamo il prossimo venerdì, tu fai la brava capito? Ti amo e ti adoro. Jas.
Ps: come faccio a liberarmi dei pesci?”
Non appena invio la mail vedo una borsa entrare al volo dalla finestra e cadere per
terra, e subito dopo apparire sul davanzale la testa di Mina, che a fatica prova ad
arrampicarsi fino a cadere sul pavimento. Mi sforzo di non ridere, sapendo quanto sia
delicata su certi argomenti.