PERCHÉ IL MEDIOEVO - Centro Italiano di Studi sull`Alto Medioevo
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PERCHÉ IL MEDIOEVO - Centro Italiano di Studi sull`Alto Medioevo
ANNO 01 | N. 02 semestrale | OTTOBRE 2010 PERCHÉ IL MEDIOEVO IL MEDIOEVO È UN’ETÀ CHE SEMBRA CORRISPONDERE A QUALSIASI DOMANDA NEWS ITALIA LANGOBARDORUM di ENRICO MENESTÒ «Il Medioevo inventa tutte le cose con cui ancora stiamo facendo i conti, le banche e la cambiale, l’organizzazione del latifondo, la struttura dell’amministrazione e della politica comunale, la lotta di classe e il pauperismo, la diatriba tra Stato e Chiesa, l’università, il terrorismo mistico, il processo indiziario, l’ospedale e il vescovado, persino l’organizzazione turistica... compresa la guida Michelin» (U. Eco). Se dunque il Medioevo è la «nostra infanzia» (J. Le Goff), è oggi fin troppo facile riferirsi e aspirare ad essa, trasfigurandola e sognandola, pur nella consapevolezza dei vari giudizi – spie di ansie e tormenti delle diverse generazioni storiografiche – che via via, dall’Umanesimo ai nostri giorni, sono stati proposti sull’età di mezzo. Superata l’idea di un Medioevo età delle tenebre, si è presto scoperto un Medioevo età della luce: e la barbarie dei secoli bui si è così trasformata in una tensione verso la libertà individuale prima che collettiva. Tutti inseguiamo l’idea del Medioevo come specchio e alibi del tempo presente Ben oltre i limiti o le mistiche metafore dei romantici, si assiste oggi a un imponente revival del Medioevo: letteratura, teatro e musica, ma anche e soprattutto cinema, televisione, fumetti e videogiochi continuano, infatti, a riproporre un’età che diviene una figura dai cento volti, che si impone nel presente e si proietta nel futuro. È sotto gli occhi di tutti quanto costante e approfondita sia ormai l’informazione sulla storiografia medievistica che offrono i più grandi quotidiani italiani. Ciò vuol dire che alcuni tra i più acuti studiosi di quella storia ritengono doveroso informare i lettori sui risultati più significativi della medievistica, non solo perché molti sembrano inseguire l’idea di riconoscersi nel Medioevo, specchio e alibi del tempo presente. Il panorama delle culture attuali è dunque sempre più intriso di Medioevo. Ma quale Medioevo? La domanda è certamente legittima, se si pensa che accanto ad un cosiddetto Medioevo rozzo, incolto, culla delle corrusche origini germaniche vive ed opera un Medioevo di SEGUE A PAG 2... VERSO IL VERDETTO PER LA CANDIDATURA UNESCO A PAG 3 APPUNTAMENTI DEL CISAM A NOVEMBRE IL CISAM È A UMBRIALIBRI A PAG 8 LA 59° SETTIMANA DI STUDI IL MEDIOEVO? COMINCIA NEL DUEMILA. CLAUDIO LEONARDI Qualcuno ha definito la politica di Bossi, nei giorni scorsi, come medievale, volendo così bollarla di un segno negativo. Mi sono sentito offeso, come cittadino prima ancora che come studioso, per tutto ciò che il Medioevo è stato e ancora oggi rappresenta (non è ancora oggi il nostro paesaggio architettonico un paesaggio soprattutto medievale? Non ammiriamo san Benedetto e san Francesco? Non ricordiamo almeno qualche verso di Dante?). Si deve invece dire che l’equiparazione di Medioevo a barbarie, ad arretratezza, a oscurantismo è storicamente sbagliata e storiografi- camente impropria. È grande la civiltà classica, cioè la civiltà pagana? Lo è certamente per i suoi pensatori, la sua letteratura, il suo diritto, ma grandi sono stati anche i suoi limiti, pari alla grandezza. Si pensi all’isolamento e alla condanna di Socrate, indice di una svalutazione totale della persona, di fronte alla morale della città, e alla schiavitù che deriva. E così è grande il Medioevo, pur con tutti i suoi limiti, e grande ogni epoca e insieme terribilmente limitata. Ci si deve allora chiedere da dove derivi l’idea di un Medioevo oscuro e barbarico. Questa concezione viene certamente dal giudizio dell’Umanesimo, che ha creduto di fare leva sui limiti medievali per affermare la propria identità. L’Umanesimo ha affermato un certo naturalismo contro il soprannaturalismo medievale, ha affidato alla filologia il compito di indagare ogni scibile; ha visto l’uomo come capace, pur non negando la fede cristiana, di regolare la sua vita e la sua storia, capace autonomamente di stabilire la morale e di determinare la politica. L’altro evento che ha dato origine all’epoca moderna è stata la riforma di Lutero, la scissione nella tradizione cristiana, la condanna di Roma e del papato. SEGUE A PAG 3... LEGGERE E SCRIVERE NELL’ALTOMEDIOEVO A PAG 8 OFFERTA SPECIALE PER ACQUISTI ON-LINE WWW.CISAM.ORG GIUSEPPE SERGI Qm il medievista Il CISAM può curare le malattie della storia? Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diffusa contemporanea in un libro recente (Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori, 2010). Riadattando al presente vari saggi dagli anni Settanta a oggi, ho constatato che la qualità del ‘medioevo condiviso’ è purtroppo, nell’ultimo decennio, peggiorata... A PAG 2... 02 | Quale Medioevo PERCHÉ IL MEDIOEVO IL MEDIOEVO È IL PASSATO PROSSIMO E L’EREDITÀ ALLA QUALE TUTTI APPARTENIAMO. altissima e raffinata cultura; che ad un Medioevo mistico e devoto si contrappone un medioevo laico e profano; che ad un Medioevo pieno di superstizioni corrisponde un Medioevo assolutamente razionalista, e ad un Medioevo guerriero uno pacifista. Sono interessi ed esigenze particolari a scegliere e a riproporre oggi uno dei tanti Medioevi. È proprio in una siffatta operazione che il Medioevo viene a costituire un alibi, un alibi che non di rado si deteriora in equivoco. La scoperta del Medioevo – ha detto qualcuno – è l’approdo ad un’isola che non esiste, dove l’uomo va a cercare – o rincorrendo i miti dell’infanzia o per sfuggire dal tempo attuale – altre dimensioni di se stesso. Il Medioevo, del resto, è un’età che sembra corrispondere sempre a qualsiasi domanda. Per una società come la nostra che ha Qm fatto del protagonismo uno dei principali punti di riferimento, la figura del cavaliere medievale – ad esempio – è un modello pieno di attrattiva e irresistibile. Ma quel cavaliere, che è non solo un protagonista ma anche un emarginato come tanti eroi più o meno attuali di films western, ha un codice d’onore, elemento che lo rende ancora più affascinante agli occhi di un mondo che i codici d’onore ha perduto da un pezzo. Egli ha in sé – come tutto il Medioevo – una vocazione interiore intensa e talvolta muta: agire in nome di un ideale che si rispecchia nell’immagine di Dio. L’idea di un Medioevo intriso di religiosità e di desiderio di Dio, sembra essere il vestito fatto indossare a viva forza ad alcune tensioni in realtà attualissime. Lo dimostrano, almeno, l’inquietudine e il fascino che esercitano sulla coscienza moderna le tante immagini dell’uomo medievale intento a misurare le proprie azioni col metro di un Dio presentissimo e inevitabile. Si tratta, quasi, della nostalgia di un’epoca che, persi i puntelli di riferimento delle ideologie, resta caratterizzata dalla provvisorietà e dall’incertezza. “Condannato” all’autodeterminazione, l’uomo contemporaneo, sia pure forte del proprio progresso, sembra smarrito, vittima di se stesso, condannato a un’invincibile angoscia esistenziale. Nel fondo oscu- ro di questa condizione pare attecchire e germogliare con sempre maggiore frequenza e rigoglio l’esigenza di un rapporto con una certezza esterna, autosufficiente, capace di smussare la spigolosità del relativismo culturale. Ed è questa esigenza ansiosa che trova il suo simmetrico ancestrale nella certezza dell’uomo medievale di vivere immerso e confortato dalla Provvidenza divina, appeso a uno qualunque dei punti di circonferenza di un circolo chiuso di cui Dio è centro, punto d’avvio e punto d’arrivo. La certezza, cioè, agli estremi possibili, del monaco che, rifuggendo il mondo, cerca per tutta la vita una più piena contemplazione di Dio, e quella dell’eretico, che, nella propria dissidente militanza dentro il secolo, continua a cercare un Dio giusto e meno “istituzionale”. D’altra parte, i desideri, le tensioni, le paure, le angosce e gli incubi del Medioevo si originavano per le stesse ragioni per cui nascono oggi. Ecco perché di quel Medioevo pare quasi impossibile liberarci. Il Medioevo siamo noi stessi. Il Medioevo, dunque, non “prossimo venturo”, né “presente alternativo” e neppure “passato remoto”, come sono invece altre età della storia umana, ma – stando a una felicissima intuizione di Ovidio Capitani – “passato prossimo”, con una sua grande eredità alla quale tutti apparteniamo. Enrico Menestò Il CISAM può curare le malattie della storia? il medievista Il peggioramento è da ascrivere a una nuova, decisa strumentalizzazione della storia, dovuta a tre cause: 1) l’ «invenzione della tradizione» non più da parte delle grandi nazioni dell’Ottocento, ma da parte di un’Europa delle piccole patrie impegnate a costruire, anche con la deliberata falsificazione, nuovi edifici identitari; 2) l’esplosione del marketing territoriale, al servizio del quale Assessorati al Turismo e Pro Loco hanno fatto nascere una pletora di sagre, rievoca- Da tempo si sottolinea come il medioevo sia un ‘altrove’ comodo, in cui collocare tutto ciò che ci piace immaginare del passato più oscuro e più diverso dal presente: lo ha affermato con forza, ancora di recente, il medievista statunitense Patrick Geary, frequente ospite delle Settimane e dei Congressi del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo di Spoleto. Ma è un tema su cui non avevano mancato di insistere prima Georges Duby e poi Jacques Le Goff. Una curiosa contraddizione si riscontra nelle manifestazioni folkloriche in costume ‘medievale’, rivitalizzate rispetto a modelli tardivi ottocenteschi oppure create dal nulla negli ultimi anni: applicando approssimativi schemi di comodo, risulta almeno in parte ‘di destra’ la spinta a organizzare quelle manifestazioni, che vogliono rispolverare tradizioni in chiave no- stalgica; d’altra parte sono spesso ‘di sinistra’ i contenuti, con frequenti richiami a ribellioni popolari contro lo strapotere e gli abusi dei signori locali (come lo ius primae noctis, che i medievisti sanno bene non essere mai esistito). Alcuni studiosi del medioevo si schierano a favore del «meglio che niente»: meglio cioè che del millennio medievale si parli, anche se è un medioevo inventato, perché in ogni caso così si fa cultura, anche se bassa. Non sono di questo avviso, sostengo con convinzione il «meglio niente». Il mio sogno è che non solo il medioevo della scuola, ma anche quello della politica, delle sagre e della televisione sviluppi una divulgazione ben fatta – semplice ma corretta – del medioevo che il CISAM di Spoleto sta insegnando da oltre mezzo secolo: con aspetti anche più originali, interessanti e sorprendenti rispetto alla vulgata dominante. Per evitare quella che una prestigiosa rivista culturale (L’Indice) ha scelto come titolo di un suo dibattito pubblico: La storia come malattia. Giuseppe Sergi courtesy: Davide Lovatti | www.davidelovatti.com Mi sono occupato della presenza del medioevo nella cultura diffusa contemporanea in un libro recente (Antidoti all’abuso della storia. Medioevo, medievisti, smentite, Napoli, Liguori, 2010). Riadattando al presente vari saggi dagli anni Settanta a oggi, ho constatato che la qualità del ‘medioevo condiviso’ è purtroppo, nell’ultimo decennio, peggiorata rispetto alla stagione della prima importazione in Italia dei messaggi storiografici della rivista «Annales» e della significativa internazionalizzazione (anni Ottanta, soprattutto) della cultura storica italiana. zioni storiche, palii senza alcuna preoccupazione di aderenza ai modelli (presunti) medievali delle manifestazioni; 3) il successo di trasmissioni televisive sedicenti culturali che, per garantirsi spettatori, coltivano la dimensione esoterico-misterica (Voyager) o procedono a ricostruzioni più attente ai gusti di massa che alla correttezza dell’informazione (Quark, History Channel ecc.). Quale Medioevo | 03 Il Medioevo? Comincia nel duemila È singolare come l’Umanesimo abbia rifiutato il Medioevo e abbia cercato le sue radici nell’antichità cristiana, nei classici, così come il protestantesimo nell’antichità cristiana. La nostra epoca sembra avere perso proprio queste radici. Bisogna chiedersi per quale ragione, anche se le risposte potranno essere problematiche. In verità noi assistiamo alla fine della grande epoca nata con l’Umanesimo e il Protestantesimo. La civiltà fondata sulla ragione che ha frantumato la ragione. Che sia essa a regolare positivamente la morale e la politica, in questa fine di secolo, non è possibile affermare. L’epoca moderna, come le altre epoche, ha generato anche i suoi mostri: dopo il nazi-fascismo e il comunismo, le due guerre mondiali, i genocidi in molte parti del mondo, il nostro tempo appare come un tempo diverso, senza più radici, appunto, nell’epoca antica, senza più fiducia nella ragione, che ha rintracciato forze nell’atomo e nella cellula tali da travolgere e modificare la natura e da distruggere la storia. La nostra è veramente un’epoca postmoderna. Per questo il Medioevo torna alla nostra esperienza come un tempo che si può comprendere senza pregiudizi. La classicità è stata una grande epoca. Platone e Aristotele rappresentano una conquista perenne per l’umanità. Ora bisogna aggiungere che anche Tommaso d’Aquino e Bonaventura da Bagnoregio rappresentano una conquista perenne, essi sono la norma della tradizione cristiana, il punto più alto in cui la tradizione cattolica è stata organizzata e trasmessa. Non è il caso che il Medioevo, nonostante conservi volgarmente un significato negativo, sia da qualche anno, per così dire, di moda. Questo sentimento corrisponde a un’esigenza di radicamento, che si rivolge al Medioevo per- ché non può più ritrovare radici nella civiltà <classica> (non esaltava Mussolini i colli fatali di Roma e il nazismo non si rifaceva ai miti della Grecia?) e tanto meno in quella moderna, che è quella che ora abbiamo lasciato alle spalle. Non si vuol dire con questo che il Medioevo rappresenti senz’altro per l’uomo d’oggi il punto di riferimento con il passato: la nostra incertezza è oggi troppo grande per avere certezze storiche. Il cristiano tuttavia dovrebbe sapere di poter trovare nel Medioevo una grande civiltà che si è formata alla luce della fede, senza negare la ragione, e dove è possibile ancora oggi, anzi forse proprio oggi, trovare premesse e stimoli a ripensare la propria ragione d’essere e la propria civiltà. Non un ritorno al Medioevo, ma la piena accettazione del Medioevo nella storia della civiltà e quindi nella nostra consapevolezza civile e culturale. Claudio Leonardi Claudio Leonardi è morto il 21 maggio 2010. Gli avevo chiesto durante l’ultima settimana di studi (aprile 2010), di poter ristampare in Quale Medioevo questo articolo apparso sul quotidiano Avvenire del 5 settembre 1999 (ha dunque più di dieci anni), con il quale inaugurava una sua rubrica intitolata Tempo di Mezzo. Accettò. Ora ci restano la sua saggezza, la sua sterminata cultura, il suo insostituibile insegnamento, la sua piena umanità e la sua profonda spiritualità. Enrico Menestò ITALIA LANGOBARDORUM INSEGUENDO LE TRACCE BARBARICHE DELL’ITALIA ALTOMEDIOEVALE di MASSIMILIANO BASSETTI L’«Italia Langobardorum» ci riprova. Il 18 gennaio 2010, la “rete” di siti longobardi che consorzia centri di prima importanza della civiltà dei Longobardi (Cividale del Friuli, Brescia, Castelseprio, Spoleto, Campello sul Clitunno, Benevento e Monte Sant’Angelo) ha di nuovo depositato presso il Centro del Patrimonio Mondiale di Parigi la propria candidatura (l’unica italiana) per l’inclusione nella «World Heritage List - UNESCO» 2010 di un progetto di valorizzazione del patrimonio monumentale italiano risalente all’età longobarda. Dopo il giro a vuoto della prima candidatura del 2009, la Fondazione CISAM ha accettato ben volentieri di collaborare con il consorzio all’arricchimento e al consolidamento del dossier scientifico del progetto, nel tentativo di mettere a regime le indicazioni con le quali l’ICOMOS lo aveva “rimandato” a ulteriore valutazione. La straordinaria validità del nuovo progetto, dal titolo «I longobardi in Italia. I Centri del potere (568-774 d.C.)», è fuori di discussione. Come pure fuori di discussione è il fatto che i monumenti ora candidati a divenire patrimonio dell’UNESCO rappresentino uno spettacolare percorso culturale in grado di fornire un’appagante e convincente rappresentazione di quella civiltà longobarda. I monumenti di “Italia Langobardorum” sono una spettacolare rappresentazione della civiltà longobarda. È bene ricordare, però, come tale immagine “monumentale” sia solo la parte emersa di una ben più vasta piattaforma culturale longobarda sulla quale, per due secoli, avevano insistito le due Langobardiae d’Italia: quella Maior al Nord, quella Minor al Meridione. Questa comune piattaforma poté formarsi e consolidarsi grazie ad alcune consapevoli scelte di politica culturale (come si direbbe oggi) imposte, al primo stanziamento nella Penisola, dal confronto con quanto restava dell’organizzatissima macchina amministrativa dei Romani. È il caso, in primo luogo, del diritto tradizionale longobardo, nato a nuova vita a meno di ottant’anni dalla “fondazione” del regno longobardo in Italia, in una data fatidica. Il 22 novembre del 643, nel suo palazzo di Pavia, il re dei longobardi Rotari (636652) promulgava l’Editto che ancora ne porta il nome e che organizzava in un sistema coerente il patrimonio normativo della natio longobarda. Era la prima codificazione scritta di leggi trasmesse, sino ad allora, solo oralmente, tramite uomini esperti, dei veri e propri “codici viventi”, alla cui memoria era affidato il complesso delle norme. Sono questi gli «antiqui homines», di cui dice il capitolo 386 dell’Editto, che avevano supportato il sovrano nel riesumare le «antiquae leges patrum nostrorum, quae scriptae non erant». Questa codificazione fece di Rotari un re-codificatore, secondo il modello romano-imperiale di Giustiniano, mutuando, dunque, alcune almeno delle categorie di regalità definite dalla secolare tradizione cristiano-ellenistica. Un re, dunque, che fece le leggi, ma anche (e più) leggi che fecero il re. Per quanto ec- 04 | Quale Medioevo cezionale, quest’opera di raccolta e di riscrittura giuridica fu soltanto il momento iniziale di un diritto propriamente longobardo, che avrebbe goduto di ben più larga fortuna. Il motore di questo successo, ben misurabile nella pratica documentaria, va rintracciato nella prolifica scuola di diritto fiorita presso il palazzo regale di Pavia. Proprio nel cuore dell’età dei Carolingi (tramontato, dunque, il regno longobardo nord-italiano), questa scuola avrebbe dato il meglio di sé, riuscendo ad armonizzare i dispositivi giuridici di tradizione longobarda e la normativa più recente promossa dai capitolari franchi e garantendo all’Editto di Rotari il salvacondotto per altri secoli d’applicazione. Il Liber Papiensis, con i suoi estesi commentari del pieno XI secolo, la Lex Walcausina e l’Expositio in Librum Papiensem, avrebbe concesso al diritto germanico in Italia una solidità e una certezza d’applicazione ben superiore allo stesso diritto romano. Ne è prova il fatto che, sino alla prima metà del XII secolo, ormai esauriti gli altri diritti germanici che pure avevano avuto corso (almeno quelli alamanno, salico, burgundo), le professioni di legge longobarda, da parte degli attori della documentazione privata, avrebbero persino sopravanzato in numero le dichiarazioni di vivere secundum legem romanam. Solo la scuola (e poi lo Studium) bolognese, tramite le proprie poderose bocche da fuoco, capeggiate da Irnerio, Pepo e Bulgaro, avrebbe, da ultimo, fatto tabula rasa, attorno al Codex Iustinianus e alla sua riscoperta. Il diritto longobardo ha rivaleggiato fino al XII secolo con quello romano. Se, dunque, scrivere la legge fu il gesto di autocoscienza capace di trasformare la gelatinosa struttura tribale longobarda in monarchia di tipo romano-cristiano, scrivere la storia fu il momento naturalmente conseguente ad esso sullo scivoloso piano inclinato dell’identità “nazionale” così inaugurato. Come Giordane per i Goti, come Gregorio di Tours per i Franchi, come Beda per gli Angli, così il coltissimo monaco Paolo Diacono provvide alla costruzione di una storia per i Longobardi: la Historia Langobardorum. Come i suoi colleghi storiografi della tribolata Europa barbarica, anche Paolo si mostra portatore, per dirla con Walter Benjamin, di una debole e dolente forza messianica, attraverso la quale egli ha tentato di corrispondere alle attese di riscatto delle generazioni precedenti. Perché, sennò, raccontare la storia di un popolo che si sa sconfitto? Certo, sul racconto di Paolo è come stesa una patina grigia e greve. Epperò, dinnanzi a quella sconfitta, dinnanzi alla superiorità culturale e spirituale dei Franchi che avevano schiacciato i Longobardi, Paolo ebbe la forza di ripensare alla storia longobarda come al passaggio dalla barbarie alla civiltà, dalla grandezza germanica alla grandezza germanico-cristiana. È questa prospettiva cristiana della Storia che rende accettabile la disfatta longobarda, dignitosa almeno quanto l’ultimo re che per Paolo merita di essere raccontato: Liutprando. Alla consapevolezza della sconfitta, Paolo poteva, infatti, associare la convinzione che la storia sia guidata da Dio tramite la saggezza dei suoi re. E la civiltà longobarda saprà trovare la propria redenzione: il nuovo impero di Carlo, che nasce nel momento in cui Paolo muore, non è solo un impero germanico, è un impero anche romano proprio perché la nazione più romana delle nazioni germaniche era quella longobarda. L’Historia Langobardorum, del resto, riflette appieno la figura di Paolo, nella sua cifra interculturale e internazionale. Friulano di nascita, a Pavia per formarsi e formare, di passaggio tra i dotti della corte di Carlo, ad Aquisgrana, per i quali forse scrisse la Storia dei Longobardi, a Beneven- to e a Montecassino, infine, per riannodare il filo di cui era portatore a quello sfilacciato degli ultimi legittimi eredi della tradizione longobarda. Tra scrivere la legge e scrivere la storia c’è un minimo comune denominatore... scrivere. Tra scrivere la legge e scrivere la storia c’è, da ultimo, un minimo comune denominatore per niente scontato e della massima importanza: scrivere. I Longobardi delle origini dovevano trovarsi in una condizione di sostanziale estraneità al mondo della scrittura. L’impatto con la cultura romana, che aveva assegnato alla scrittura la funzione di pressoché esclusivo mezzo di comunicazione, valse ai Longobardi una di quelle scelte culturali alle quali si accennava in avvio di discorso. Prima attraverso il ricorso a scriventi locali, poi con l’articolarsi di un’educazione grafica primaria ed elementare diffusa almeno tra gli strati superiori dei nuovi dominato- ri – via via più compromessi con le strutture ecclesiastiche – anche presso i Longobardi la scrittura divenne una componente vitale del discorso amministrativo, sociale, economico e culturale. Quale scrittura, però? Naturalmente la scrittura usuale disponibile agli scriventi dell’amministrazione provinciale dell’età tardoimperiale in Italia: la corsiva nuova. E sin qui, tutto normale: lo stesso meccanismo di conversione alla scrittura, innestato su questo tipo grafico, si era già felicemente compiuto in Gallia, presso i Franchi della dinastia merovingica, e nella penisola iberica, con i Visigoti. Di nuovo, semmai, nel più attardato percorso dei Longobardi, va rilevato il carattere assai distinto della corsiva che da quell’innesco sarebbe derivata (oggi la chiamiamo «beneventana»), e la capacità che essa ebbe di porsi come privilegiato indicatore di una specifica cultura territoriale. La scrittura in vigore nei territori di tradizione longobarda (principalmente quelli italomeridionali, ma con sconfinamenti in alcune roccaforti di sicuro marchio longobardo, come Nonantola) si era specializzata così da interpretare e manifestare al meglio la diversità – culturale e politica, se non più quella etnica – rispetto ai Franchi dell’impero carolingio, che usavano un’altra scrittura: la carolina. In altri termini, scrivere in beneventana era un gesto simbolicamente importante per manifestare con orgoglio la propria cultura di riferimento, in opposizione a quella dominante. Che questo abbinamento tra una scrittura e un territorio (e, naturalmente, tra una scrittura e una cultura), non sia solo una lettura di noi moderni è provato dalla consapevolezza che se ne ebbe nel passato prossimo alla civiltà longobarda. Angelo Poliziano, Biondo Flavio, Giovan Battista Palatino non esitavano, in riferimento a scritture vagamente assimilabili a quella che diciamo oggi beneventana, a usare il nome di «litterae langobardae», così manifestando un’associazione per loro evidentissima. “Buon vento”, insomma, alla candidatura di «Italia Langobardorum». E che il prestigioso itinerario monumentale possa, infine, alimentare una rinnovata curiosità per gli aspetti meno spettacolari (ma, come visto, non meno importanti) della nostra «Italia dei Longobardi». Massimiliano Bassetti Quale Medioevo | 05 TORNARE, AVANTI! di ROBERTO LEONI La scuola non può più essere un contenitore sociale scarsamente produttivo courtesy: Elisabetta Severini | www.elisabettaseverini.com Oggi, forse per la prima volta da decenni, è in atto un tentativo di porre uno freno alla dequalificazione del sistema innescata dalla demagogia del ’68 e proseguita con una orizzontalizzazione dequalificante, che ha portato ai preoccupanti risultati odierni. Come si può dirigere il sistema scolastico senza esser stati docenti e dirigenti? Cioè senza conoscere dal suo interno la Scuola stessa? L’educazione delle giovani generazioni è indubbiamente uno dei compiti fondamentali di ogni società, un diritto dovere che è garanzia di positivo sviluppo culturale, scientifico e tecnologico, etico, innanzi tutto. sto, è svolta cercando sempre di guar- pianto napoleonico, rivisitato, in Italia, dare in avanti e, proprio per questo, la dal Gentile. Tentando di rincorrere il Scuola è soggetta ad una permanente nuovo abbiamo avuto ed abbiamo in- azione, intrinseca a se stessa, di ade- terventi settoriali, pannicelli caldi al guamento allo sviluppo socio cultu- sistema, che hanno oscillato fra il mo- rale, all’accrescersi e rinnovarsi delle dello centralistico e quello autonomo, conoscenze; per questo i Governi proprio questo dei Paesi anglosassoni. dicono di voler investire nell’educazione e nella Scuola, che comprende anche l’Università - pur essendo questa scuola in senso atipico. Nel Nostro Paese, ma non solo in “L’azione educativa è progettazione del futuro” Italia, si susseguono, dal Dopoguerra in poi, i tentativi di riforma, alla ricerca dell’adeguamento della Scuola all’evolvere della società. Tutto ciò ci ha portati ad inseguire il nuovo, però ogni giorno c’è il nuovo, facendo della Scuola una perenne inseguitrice di aste senza bandiere, per dirla con Dante. Come corollario abbiamo avuto il trasformarsi della scuola in un contenitore sociale - scarsamente produttivo nonostante l’aumento del numero Diciamo tentativi di riforma perché L’azione educativa è progettazione del futuro, come spiega il Suchodolski nella sua fondamentale opera Trattato di Pedagogia. dei docenti, la così detta autonomia in realtà nessuno, anche per la breve scolastica (che in realtà è più uno durata dei governi della così detta slogan che un fatto), il crescere della Prima repubblica e per le aporie in- spesa… - l’abbassarsi complessivo del terne alla Seconda, ha potuto porre livello qualitativo e la collocazione Per questo l’azione educativa, che comprende in larga parte il momento istruttivo ma non si ferma solo a que- in atto un quadro complessivo e stra- del nostro sistema e dei suoi risultati tegico di sistema scolastico che so- agli ultimi posti delle classifiche internazionali. stituisse quello posto in atto dall’im- Tuttavia credo che vada detto che la benemerita azione posta in atto dal ministro Gelmini necessiti di alcune integrazioni, che vanno dall’avere una struttura di conduzione ministeriale adeguata - come si può dirigere il sistema scolastico senza esser stati docenti e dirigenti? Cioè senza conoscere dal suo interno la Scuola stessa? - ad una impostazione culturale che, pur accettando le necessità di adeguamento economico e riduzione della spesa, pur puntando alla reale qualificazione dei docenti e dei dirigenti, pur ricercando l’adeguamento costante all’evolvere della società, non si limiti all’efficentismo economicistico tecnologico - bocconiano, per dirla con un termine esemplificativo anche se non esaustivo. Chi non sa da dove viene non sa neppure dove andare Adeguamento culturale che, anche qui in una parola non esaustiva, deve esser di tipo storicista: crediamo che si sbagli nel pensare che facendo studiare l’attuale, il Novecento, si risolva il problema dell’incombente ignoranza prossima ventura. La vera sfida è operare una rivoluzione copernicana capace di porre in atto una sintesi a priori culturale che dia finalmente luogo ad un umanesimo degno di questo nome. Per ottenere questo risultato è necessario affondare la formazione dei cittadini, dei docenti in primis, nelle radici culturali ed etiche che ci caratterizzano e che sole possono darci identità e, quindi, capacità di crescita. Per andare avanti bisogna esser capaci di tornare alle radici autentiche e profonde della nostra civiltà. Chi non sa da dove viene non sa neppure dove andare, cammina, cammina, per trovarsi sempre allo stesso posto. Per andare avanti bisogna esser capaci di tornare alle radici autentiche e profonde della nostra civiltà, quelle che ci hanno dato la possibilità dello sviluppo sin qui raggiunto e che, sole, potranno darci garanzia di sviluppo, radici che ci vengono da duemila anni di storia: radici cristiane. Senza avremo inevitabilmente l’imbarbarimento del relativismo, che, da soli, né l’inglese, né l’informatica, né internet, potranno evitarci. Più storia nella scuola almeno come qualità di insegnamento Per questo gli studi storici anziché ridotti dovranno esser approfonditi, non tanto nella quantità delle ore quanto nella qualità dell’insegnamento! Roberto Leoni Ministero della Pubblica Istruzione Gabinetto del Ministro Dirigente Tecnico Consigliere 06 | Quale Medioevo Quale Medioevo è lieto di dar voce alla Cassa di Risparmio di Spoleto autorevole interprete del credito nel territorio. LA CASSA DI RISPARMIO DI SPOLETO: UNA BANCA PER IL TERRITORIO TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE di ANTONIO ALUNNI Presidente unitamente all’ingresso di oltre mille soci privati, garantiscono il radicamento territoriale e l’affezione dei clienti. Una formula, questa, che spetta al management ed ai dipendenti della Cassa di saper valorizzare. Ciò, ovviamente, senza dimenticare le origini, la tradizione e la storia ed è proprio quest’ultima ad essere celebrata nel volume intitolato La Cassa di Risparmio di Spoleto, arricchito del contributo di illustri ed appassionati studiosi ed edito proprio dalla fondazione CISAM, volume che ripercorre i quasi duecento anni di storia della Cassa. Una storia che, possiamo affermare con sicurezza, nel permeare di sé il tessuto sociale ed imprenditoriale dell’intera regione Umbria, ci consente di guardare al futuro con la consapevolezza delle Nostre tradizioni e dei Nostri valori. È sulla base di questi valori che la Cassa intende continuare il suo cammino, con una sempre maggiore In tale ottica, la Cassa di Risparmio di Spoleto opera con la massima attenzione alle imprese ed allo sviluppo dei servizi e dell’innovazione, ferma restando la sua originaria “vocazione” alla valorizzazione del risparmio. La costituzione della Cassa di Risparmio di Spoleto risale al 1836, epoca in cui, nello Stato Pontificio, preesisteva soltanto una Cassa di Risparmio, quella di Roma. Il Nostro Istituto ha improntato la propria filosofia alla conoscenza dei valori della collettività. Da allora, il Nostro Istituto ha improntato la propria filosofia alla conoscenza dei valori della collettività in cui opera, anche in vista del perseguimento del massimo benessere della collettività, intesa nel senso più ampio ed esteso cui è solita ispirarsi la cultura anglosassone (si pensi ai termini shareolders o stakeolders). Tutto ciò senza tralasciare un fondamentale spirito di apertura verso l’esterno, che l’ha condotta, alla fine degli anni ’80, ad ottenere l’importante primato di essere la prima Cassa ad essere partecipata da una grande banca quale è stata la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, Cariplo. la Cassa si pregia di essere partecipata dal più grande gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo Attualmente la Cassa, in virtù della sua natura composita, ha uno status del tutto originale e caratteristico: essa, in primo luogo, si pregia di essere partecipata dal più grande gruppo bancario italiano, Intesa Sanpaolo, che con le sue competenze professionali le conferisce grandi potenzialità operative e commerciali; al tempo stesso, la presenza della Fondazione Carispo apertura alle esigenze del mercato non soltanto locale, ma anche e soprattutto globale. Sulla base dei valori del proprio territorio la Cassa intende continuerà a guardare alle esigenze del mercato locale e soprattutto globale. Sotto questa prospettiva, la Carispo continuerà ad avvalersi della collaborazione di apposite Strutture del Gruppo, quali il Mediocredito Italiano per le operazioni di lungo termine, il Leasint per il Leasing, la Banca Infrastrutture Innovazione e Sviluppo (BIIS) per finanziare le opere pubbliche, la Banca Prossima per il settore del non-profit, l’Agriventure per il supporto dei settori agroalimentare, agroindustriale ed agroenergetico. Quale Medioevo | 07 Il Nostro istituto, inoltre, continuerà ad intrattenere proficui rapporti di collaborazione con le Cooperative di Garanzia operanti sul territorio, le Associazioni di categoria e tutte le Istituzioni locali, nell’ottica di rafforzare gli interventi di supporto all’economia locale. Quanto ai clienti privati, la Cassa continuerà ad offrire un qualificato servizio di Private Banking che consente di cogliere le migliori opportunità del mercato. Tutto ciò dimostra come la Carispo sia in grado di soddisfare le esigenze imprenditoriali e commerciali così come le esigenze dei privati, dando anche la possibilità alla propria clientela di accedere ad un articolato ventaglio di servizi, con particolare riguardo al Sistema dei Pagamenti, alla operatività con l’Estero, al finanziamento degli impianti fotovoltaici, alla consulenza fornita al Desk per le energie rinnovabili. In definitiva, la Cassa di Risparmio di Spoleto aspira ad essere per la propria clientela un partner ideale, in grado di costruire modelli di offerta, di stimolare la domanda, di coprire finanziariamente idee e progetti. Ciò anche grazie e soprattutto alla ricerca ed all’impegno profuso dai suoi azionisti, managers e dipendenti, che hanno fatto della Cassa un Brand riconoscibile ed unico. la Cassa di Risparmio di Spoleto aspira ad essere un partner ideale per elaborare modelli di offerta, per stimolare la domanda e per coprire finanziariamente idee e progetti. www.carispo.it 08 | Quale Medioevo LE EDIZIONI DELLA FONDAZIONE CISAM di FRANCESCA BERNARDINI BRUNO ANDREOLLI, PAOLA GALETTI, TIZIANA LAZZARI, MASSIMO MONTANARI (CUR.) Il medioevo di Vito Fumagalli Spoleto 2010, pp. X-346 (Miscellanea, 16) Gli allievi di Vito Fumagalli, uno tra i più illustri medievisti italiani, ripercorrono, come per proporre un’analisi critica degli studi del loro comune maestro, i temi principali che egli ha affrontato in numerosi e fecondi contributi offerti alla ricerca sul medioevo. Quattro i temi individuati, fra loro diversi, ma strettamente integrati; per evocarli si è scelta la suggestiva soluzione di fare ricorso a espressioni tratte dalla storiografia fumagalliana: Terra e società, La Pietra viva, il Regno Italico, Atteggiamenti mentali e stili di vita. Un intensa raccolta di studi, insomma, per ricordare il maestro a 10 anni dalla sua scomparsa. al 18 maggio del 2008, presso l’Università “Gabriele d’Annunzio” di Chieti e il comune di S. Salvo (Ch). È il secondo di una serie di incontri dedicati allo studio delle strutture monastiche medievali: il primo si è tenuto a Tergu (SS) nel settembre 2006. Tali convegni, fondamentali per uno approfondimento diretto circa gli aspetti che riguardano la nascita e lo sviluppo dei contesti monastici benedettini, sorti nel primo medioevo, contribuiscono a chiarire e definire le problematiche inerenti le attività progettuali e tecniche necessarie alle “grandi opere” architettoniche che ancora oggi impreziosiscono i nostri panorami. I contributi di questo II convegno si soffermano puntualmente sia sulle modalità di reperimento sia sulla lavorazione delle materie prime, senza trascurare le necessarie puntate dedicate alla decorazione. monografici, il Del Punta si è sentito pronto con questo suo lavoro, nonostante l’ancor giovane età, a cimentarsi con un tema di ampio respiro, che tuttavia ha avuto la misura e la prudenza di non affrontare mediante lo strumento di quella che ordinariamente si definisce una “sintesi organica”, bensì attraverso una serie di monografie […]: la guerra sula mare, i suoi aspetti tecnici, i suoi legami con la pirateria e il commercio, la tipologia urbana e la relativa struttura sociale, la memoria civica, il rapporto infine tra mercatura e potere». Con queste “istruzioni per l’uso” Franco Cardini, introducendo l’opera, ne raccomanda caldamente la lettura e immette al cuore di questo lavoro dedicato a una affascinante ricostruzione storica della Toscana costiera d’età pieno-medievale. ballon d’essai che sarebbe stato continuato lungo tutto il Quattrocento. Il “diario” segue, come in presa diretta, l’evolversi quasi quotidiano della politica veneziana attraverso alcune fonti di prima mano: lettere di mercanti, dispacci di ambasciatori veneti e larga parte della documentazione che giungeva alle autorità pubbliche veneziane. L’editore ha concretizzato in questa poderosa opera una ricerca durata oltre dieci anni, al cui centro si ravvisa un’intensa attività di indagini condotta in collaborazione con i più prestigiosi istituti accademici internazionali. MARIO SENSI «Mulieres in ecclesia» storie di monache e bizzoche. (tomi II) Spoleto 2010, pp. XX-1342 (Uomini e Mondi medievali, 21) Sin dal secolo XIII le donne che si votavano a esperienze di profonda spiritualità, pur conservando una condizione laicale, venivano chiamate bizzoche (ovvero pinzochere, incarcerate, recluse, cellane). Era, quella delle bizzoche, una vita ascetica di solitudine e penitenza, il cui fascino, ancora oggi, non cessa di contagiare uomini e donne alla ricerca di un rapporto intimo, privatissimo e assai personale con Dio. MARIA CARLA SOMMA (CUR.) Cantieri e maestranze nell’Italia medievale. Atti del Convegno di studio (Chieti - San Salvo, 16-18 maggio 2008) (De re monastica, II) Spoleto 2010, pp. X-616 ill. (Incontri di Studio, 7) Il volume contiene gli atti del II Convegno di De re monastica tenutosi dal 16 IGNAZIO DEL PUNTA Guerrieri, crociati, mercanti. I toscani in Levante in età pieno-medievale (secoli XI-XIII) Spoleto 2010, pp. XXXIV-478 (Uomini e Mondi medievali, 20) «Provvisto di una solida formazione nell’àmbito della storia commerciale e bancaria toscana, garantita da ormai quasi un decennio di buoni saggi ANDREA NANETTI (CUR) Il Codice Morosini. Il mondo visto da Venezia (1094-1433) (tomi IV) Spoleto 2010, pp. LXII-2274 ill. (Quaderni della rivista di Bizantinistica, 10) Sempre rimasta sotto l’epigrafe di cronicha de Veniexia, l’opera cronachistica del Morosini si mostra oggi come una sorta di diario “aperto”, come un L’autore affronta il tema della gestione sociale della reclusione, sia maschile sia femminile, nell’Italia centrale, facendo della presente opera una ideale prosecuzione del volume Storie di bizzoche tra Umbria e Marche (Roma, 1995). Tramite le numerose e intense ricerche d’archivio si tracciano così anche le origini dei tanti monasteri di cui è costellata l’Italia centrale, alcuni dei quali arrivati ai nostri giorni. DANTE ALIGHIERI Monarchia. Testo introduzione traduzione e commento a cura di Gustavo Vinay. A sessant’anni dalla prima comparsa dell’edizione della Monarchia curata da Gustavo Vinay, il CISAM ne ripropone anastaticamente le pagine con la scoperta intenzione di riproporre un’opera centrale per la definizione del pensiero dantesco e della società medievale in genere, ma utilisima anche per i «disagi e le inquietezze» di un’epoca come la nostra. La vexata quaestio circa il dissidio tra potere spirituale e potere temporale trova soluzione, nella riflessione di Dante (in questo erede di una lunga tradizione patristica che rimonta ad Ambrogio), nella comune unicità della sorgente di quelle due forme di potere: Dio. La presente ristampa anastatica consente anche, inaugurando la collana «La Memoria del Medioevo», di sottolineare a vantaggio di una più ampia platea l’acribia e l’acume intellettuale, l’erudizione e il genio creativo di uno dei maggiori medievisti del secolo scorso: Gustavo Vinay. (La Memoria del Medioevo, 1). LE ULTIME PAROLE FAMOSE SUL MEDIOEVO Malgrado Quale Medioevo voglia essere un antitodo ai luoghi comuni sul Medioevo, questi continuano... Tratto da Repubblica.it “VIVIAMO UN MEDIOEVO SENZA ORIZZONTE”. SAVE THE DATE di Francesca Bernardini Qm Quale Medioevo La fiera «Umbrialibri 2010» si presenta, come ogni anno, ricca di iniziative che, dal 10 al 14 Novembre prossimi, animeranno prestigiosi palazzi, antiche chiese e sale pubbliche della città di Perugia. La manifestazione, posta sotto l’egida dalla Regione Umbria, propone anche una mostra-mercato dell’editoria umbra, irrinunciabile per chi voglia tastare il polso della vitalità culturale di questa regione. La Fondazione CISAM parteciperà a Umbrialibri proponendo una tavola rotonda, a chiusura e suggello della manifestazione, che insisterà attorno al tema Il medioevo oggi; ne parleranno, ciascuno dalla propria suggestiva e autorevole prospettiva disciplinare, i proff. Franco Cardini, Tullio Gregory ed Enrico Menestò. 9-11 dicembre, Terni Convegno: San Valentino e il suo culto tra medioevo ed età contemporanea: uno status quaestionis In collaborazione con la Diocesi di Terni, Narni e Amelia, dodici studiosi di profilo internazionale prenderanno in esame l’impalpabile figura storica, letteraria e agiografica del santo presule della città, il cui carisma ne spinse la fama ben oltre i confini dell’Impero. Senza tralasciare gli aspetti archeologici, antropologici, religiosi, nonché sociologici, si tenterà di ricostruire e mettere in prospettiva moderna questa decisiva presenza religiosa del territorio umbro. 28 aprile-4 maggio 2011 LIX Settimana di Studi Scrivere e leggere nell’alto medioevo: questo è il coinvolgente titolo della Settimana di studi spoletina che, come ormai da quasi sessant’anni, detiene una forza attrattiva per i maggiori studiosi del medioevo di ogni parte del mondo. Durante le 35 lezioni che riempiranno le giornate di studio si indagheranno gli aspetti più rilevanti delle pratiche di scrittura e di lettura in Occidente e nel mondo bizantino, attraverso l’esame di libri, documenti, iscrizioni monumentali, sigilli e monete. Sarà l’occasione per verificare, una volta di più, l’assertivo ammonimento di un grande storico della lettura: «Non esiste testo a prescindere dal supporto che permette di leggerlo e non esiste comprensione di uno scritto, qualunque esso sia, che non dipenda in parte dalle forme in cui raggiunge il suo lettore» (R. Chartier) CONSIGLIO SCIENTIFICO DELLA FONDAZIONE CISAM Direttore responsabile: Erika Monticone Art direction: Elisabetta Severini Hanno collaborato: Antonio Alunni, Massimiliano Bassetti, Francesca Bernardini, Claudio Leonardi, Roberto Leoni, Enrico Menestò, Giuseppe Sergi. Consulenza Marketing: Etheria Consulting Edizioni Fondazione «Centro italiano di studi sull’alto medioevo» Ovidio Capitani (presidente onorario), Enrico Menestò (presidente), Letizia Ermini Pani (vice presidente), Ermanno Arslan, Paolo Cammarosano, Antonio Carile, Guglielmo Cavallo, Giuseppe Cremascoli, Tullio Gregory, Paolo Grossi, Claudio Leonardi, Carlo Alberto Mastrelli, Massimo Montanari, Antonio Padoa Schioppa, Adriano Peroni, Giuseppe Sergi. Copyright © 2010 per la Fondazione CISAM Registrazione del Tribunale di Spoleto n. 2/2010 del 25 marzo 2010 SPOLETO P.ZZA DELLA LIBERTÀ, 12 [email protected] www.cisam.org con il contributo di APPUNTAMENTI DELLA FONDAZIONE CISAM 14 novembre, Perugia Umbrialibri 2010